“ORME PROFONDE Grandi momenti nella storia della Matematica” Matera, 20-21-22 aprile 2011 LA RIVOLUZIONE GALILEIANA IN MECCANICA pseudo-Aristotele Μηχανικά Προβλήματα (Questioni meccaniche) Suscitano meraviglia, tra gli eventi che accadono secondo natura (κατά φύσιν), quelli dei quali la causa è ignota; tra gli eventi che accadono invece contro natura (παρά φύσιν), destano stupore tutti quelli che sono realizzati con arte per utilità dell’uomo. In molti casi, infatti, la natura opera in modo contrario al nostro utile, poiché obbedisce sempre e assolutamente alle stesse leggi, mentre il nostro utile muta in continuazione. Quando, dunque, si deve fare qualcosa contro natura, la difficoltà in ciò insita crea impaccio e rende necessario il ricorso all’arte. Di tutte tali cose il principio fondamentale è il cerchio. E ciò è ragionevole: nulla di strano, infatti, che da cosa più mirabile una mirabile ne proceda. Massimamente meraviglioso, invece, è che dei contrari stiano insieme. Il moto e la quiete (“prima stranezza del cerchio”) - consistono il concavo e il convesso - si muove simultaneamente in direzioni contrarie - “Perciò, come dianzi è stato detto, non è per nulla strano che in esso risieda il principio di ogni meraviglia” P : P CA : CB B A V. Fausto, Aristotelis machanica in pristinum habitum restituta ac latinitate donata, Parisiis, 1517 N.Leonico Tomeo, Conversio mechanicarum quaestionum Aristotelis cum figuris et annotationibus quibusdam [1525], in Opuscula nuper in lucem edita, Venetiis, 1525 A. Piccolomini, In mechanicas quaestiones Aristotelis paraphrasis, Romae, apud Antonium Blandinum, 1547 O.V. Biringucci, Parafrasi del monsignor Alessandro Piccolomini arcivescovo di Patras, sopra le Meccaniche d’Aristotele, In Roma, per Fabrizio Zanetti, 1582 A. Guarino, Le Mechaniche d’Aristotele trasportate di greco in volgare idioma, con le sue dichiarazioni, Modena, Appresso Andrea Galdino, 1573 H. De Monantheuil, Aristotelis Mechanica, graeca emendata latina facta et commentariis illustrata, Parisiis, 1599 B. Baldi, In Mehanica Aristotelis Problemata exercitationes; adiuncta succinta narratione de autoris vita et scriptis, Moguntiae, Ex typographia Petri Brae, 1621 G. De Guevara, In Aristotelis mechanicas Commentarii: una cum additionibus quibusdam ad eandem materiam pertinentia, Romae, apud Jacobum Mascardum, 1627 Francesco Maurolico (1494-1575) Giuseppe Biancani (1556-1624) Gerolamo Cardano (1501-1576) Nicolò Tartaglia (1500-1557) Giovan Battista Benedetti (1530-1590) Guidobaldo dal Monte (1545-1607) ARCHIMEDE (287-212 a.C.): Ἐπιπέδων ἰσορροπιῶν ἤ κέντρα βαρῶν ἐπιπέδων (Sull'equilibrio delle figure piane ovvero sui centri di gravità delle figure piane) 2 libri: -I lib.: 7 assiomi e 15 prop. - II lib.:10 prop. Prop. 6: Le grandezze commensurabili sono in equilibrio se sospese a distanze inversamente proporzionali ai pesi G. Galilei (1564-1642), La bilancetta, Pisa, 1586 I corpi solidi che nell’aqqua vanno al fondo, pesano meno dell’aqqua che nell’aria tanto, quant’è nell’aria la gravità di tant’aqqua in mole quant’è esso solido: il che da Archimede è stato dimostrato Aristotele riteneva che la velocità di caduta di un corpo dipendesse dal suo peso. Lasciando cadere una biglia di piombo e una uguale di sughero, la prima sarebbe arrivata a terra più presto. Galileo si era accorto che nella realtà è determinante il mezzo in cui cadono i corpi, cioè che ad esempio in acqua il distacco fra le due biglie è maggiore che nell’aria. Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze, 1638, concluderà che: “(...) se si levasse totalmente la resistenza del mezzo, tutte le materie discenderebbero con eguali velocità”. De Motu “Ea dicenda erunt inter se aeque gravia, quae, cum fuerint aequalia in mole, erunt etiam aequalia in gravitate” “Si devono definire corpi ugualmente gravi quei corpi che, essendo uguali in mole, saranno anche uguali in gravità” “Unde manifestum est, quod lignum non est dicendum aeque grave ac plumbum: frustrum enim ligni, quod cum plumbi frustro aequeponderet, longe plumbeum frustrum in mole excedet.” “Per cui manifestamente non si può dire che il legno è ugualmente grave al piombo. Infatti un pezzo di legno che [in assoluto] pesi quanto un pezzo di piombo lo supera in mole ” Aequae gravia non sono corpi che hanno lo stesso peso in assoluto, ma i corpi dei quali rispettive moli uguali hanno lo stesso peso Aequalia in gravitate “Unde si accipiamus duo plumbi frustra, quae aequalia sint in mole, in gravitae quoque congruentia, ista vere dicenda erunt aeque ponderare” “Per cui se consideriamo due pezzi di piombo che siano uguali in mole e anche congruenti in gravità, si deve dire allora che questi pesano ugualmente” Aequalia in gravitate = aeque ponderare avere lo stesso peso 19/04/12 gravius P P V V 1 2 1 2 minus grave P1 <P2 V V 1 2 In termini moderni dire che moli uguali hanno lo stesso peso (ovvero l’uno peso > o < dell’altro), significa dire che volumi uguali hanno lo stesso peso (ovvero l’uno peso > o < dell’altro), e quindi che i corpi lo stesso peso specifico (ovvero peso specifico l’uno > o < hanno dell’altro) P Ps = V moli uguali hanno: lo stesso peso specifico (aeque gravia) peso specifico l’uno > dell’altro (gravius) peso specifico l’uno < dell’altro (minus grave) DEFINIZIONE IN ASTRATTO che stabilisce quando due corpi hanno lo stesso peso specifico (equae gravia) “Due corpi sono aeque gravia se e solo se due rispettive moli uguali hanno peso uguale” Il peso specifico è definito come la particolare “ proprietà che accomuna tutti i corpi di moli uguali che hanno peso uguale Euclide, Elementi, lib. V Definizione V: Si dice che sono nello stesso rapporto (quattro) grandezze, la prima alla seconda e la terza alla quarta, quando presi equimultipli qualunque della prima e della terza ed equimultipli qualunque della seconda e della quarta, secondo che il multiplo della prima sia maggiore uguale o minore del multiplo della seconda, l’equimultiplo della terza corrispondentemente maggiore, uguale o minore dell’equimultimplo della quarta. a, b, c, d stanno nello stesso rapporto a:b=c:d se, comunque si prendano due interi m, n vale una delle seguenti ma<nb mc<nd ma=nb mc=nd 19/04/12 Peso specifico relativo Primum quidem intelligatur magnitudo aliqua aeque gravis ac aqua, hoc est cuius gravitas aequalis sit gravitati aquae cuius moles aequetur moli dictae magnitudinis Per prima cosa, in vero, si consideri una certa grandezza ugualmente grave all’acqua, cioè la cui gravità sia uguale alla gravità di una mole di acqua ad essa uguale gravis e levis non sono proprietà assolute intrinseche dei corpi, cause di effetti differenti (moto verso il basso o verso l’alto), ma qualità relative definibili solo a partire dagli effetti provocati su di un corpo. Un corpo leve è solo un corpo minus grave (ossia con minor peso specifico) di un altro corpo o dell’ambiente che interagisce con esso. Se si devono considerare gravi i corpi che cadono verso il basso e leggeri quelli che invece ascendono verso l’alto, uno stesso corpo può essere sia grave che leggero, potendo cadere o ascendere a seconda dell’effetto prodotto su esso dall’ambiente circostante. “Nella bilancia tanto il moto verso l’alto che quello verso il basso sono dovuti alla gravità” “Il più pesante non può essere sollevato dal più leggero” “Anche nelle cose che si muovono naturalmente, così come nelle bilance per i pesi, la causa di tutti i moti, sia vero l’alto che verso il basso, può essere ricondotta alla sola gravità” Le Mecaniche, Adimandiamo adunque gravità quella propensione di muoversi naturalmente al basso, la quale, nei corpi solidi, si trova cagionata dalla maggiore o minore copia di materia, dalla quale vengono costituiti. 19/04/12 Galileo, LE MECANICHE Degno di grandissima considerazione mi è parso avanti, che discendiamo alla speculazione delli strumenti mecanici, il considerare in universale, e di mettere quasi inanzi agli occhi, quali siano i commodi, che dai medesimi strumenti si ritraggono: e ciò ho giudicato tanto più doversi fare, quanto (se non m’inganno) più ho visto ingannarsi l’universale de mecanici, nel volere a molte operazioni, di sua natura impossibili, applicare machine, dalla riuscita delle quali, ed essi sono restati ingannati, ed altri parimente sono rimasti defraudati della speranza, che sopra le promesse di quelli avevano conceputa. Facendo dunque principio a tale considerazione, prima ci fanno avanti quattro cose da considerarsi: la prima è il peso da trasferirsi da luogo a luogo; la seconda è la forza o potenza, che deve muoverlo; terza è la distanza tra l’uno e l’altro termine del moto; quarta è il tempo, nel quale tal mutazione deve essere fatta; il qual tempo torna nell’istessa cosa con la prestezza e velocità del moto, determinandosi, quel moto essere di un altro più veloce, che in minor tempo passa eguale distanza. Ora, assegnata qualsivoglia resistenza determinata, e limitata qualunque forza, e notata qualsivoglia distanza, non è dubbio alcuno che sia per condurre la data forza il dato peso alla determinata distanza. Percioche, quando bene la forza fusse piccolissima, dividendosi il peso in molte particelle, ciascheduna delle quali non resti superiore alla forza, e trasferendosene una per volta, arà finalmente condotto tutto il peso allo statuito termine. Né però nella fine dell’operazione si potrà con ragione dire, quel gran peso esser stato mosso e traslato da forza minore di sé, ma sì bene da forza la quale più volte averà reiterato quel moto e spazio, che una sol volta sarò stato da tutto il peso misurato. Dal che appare, la velocità della forza essere stata tante volte superiore alla resistenza del peso, quanto esso peso è superiore alla forza; poiché in quel tempo nel quale la forza movente ha molte volte misurato l’intervallo tra i termini del moto, esso mobile lo viene ad aver passato una sol volta. Allora solamente si potrà dire, essersi superato il naturale instinto, quando la minor forza trasferisse la maggiore resistenza con pari velocità di moto, secondo il quale essa camina; il che assolutamente affermiamo essere impossibile a farsi con qual si voglia machina, immagginata o che immagginar si possa. Ma perché potria tal ora avvenire che, avendo poca forza, ci bisognasse muovere un gran peso tutto congiunto insieme, senza dividerlo in pezzi, in questa occasione sarà necessario ricorrere alla machina: col mezzo della quale si trasferirà il peso proposto nell’assegnato spazio dalla data forza. Ma non si leverà già, che la medesima forza non abbia a caminare, misurando quel medesimo spazio od altro ad esso eguale, tante e tante volte, per quante viene dal detto peso superata. Tal che nella fine dell’azione noi non ci troveremo avere dalla macchina ricevuto altro benefizio, che di trasportare il dato peso con la data forza al dato termine tutto insieme; il qual peso diviso in parti, senz’altra machina, dalla medesima forza, dentro il medesimo tempo, per l’istesso intervallo, saria stato trasferito. E questa deve essere per una delle utilità, che dal mecanico si cavano, annoverata: perché invero spesse volte occorre che, avendo scarsità di forza, ma non di tempo, ci occorre muovere gran pesi tutti unitamente. Ma chi sperasse e tentasse, per via di machine far l’istesso effetto senza crescere tardità al mobile, questo certamente rimarrà ingannato, e dimostrerà di non intendere la natura delli strumenti mecanici e le ragioni delli effetti loro. 19/04/12 Ma il replicare lo spazio ML niente per certo è di più o di meno che il misurare una sol volta l’intervallo DI, quintuplo di esso LM. Adunque il trasferire il peso da B in G non ricerca forza minore, o minor tempo, o più breve viaggio, se quella si ponga di D, di quello che faccia bisogno quando la medesima fosse applicata in L. Ed insomma il commodo, che si acquista dal benefizio della lunghezza della lieva CD, non è altro che il potere muovere tutto insieme quel corpo grave, il quale dalla medesima forza, dentro al medesimo tempo, con moto eguale, non saria, se non in pezzi senza benefizio del vette, potuto condursi. Questa dunque sono le utilità che dai mecanici instrumenti si cavaneranno, e non quelle che, con inganno di tanti principi e con loro propria vergogna, si vanno sognando i poco intendenti ingegneri, mentre si vogliono applicare a imprese impossibili. Dal che, e per questo poco che si è accennato, e per quel molto che si dimostrerà nel progresso di questo trattato, verremo noi assicurati, se attentamente apprenderemo quanto si ha da dire.