Diapositiva 1 - Dipartimento di Filosofia

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Corso 2009-10
Il punto cui siamo giunti 1
“Qual è il tuo scopo in
filosofia? Indicare alla
mosca la via d’uscita
dalla bottiglia”
(L. Wittgenstein,
Ricerche filosofiche, 1953,
oss. 309).
“we have first raised a learned dust, and
then complain, we cannot see”
(G. Berkeley, Principles, first draft).
Una distinzione fondamentale: la
distinzione tra lo spazio logico delle
ragioni e lo spazio logico della natura.
Una distinzione che sembra racchiudere
in sé un aspetto della problematicità del
rapporto mente – mondo.
Due possibilità:
1. Rifiutare la distinzione
2. Riformularla
Rifiutare la distinzione vuol dire cercare di disporre lo
spazio logico delle ragioni nello spazio logico delle
cause (crudo naturalismo) o, viceversa, riassorbire
l’autonomia della natura nello spazio logico delle
ragioni.
Le forme logiche come posizioni degli interruttori in un circuito
elettrico, sufficientemente ramificato. La negazione dirà che un circuito
deve essere interrotto dallo stesso interruttore che ne apre un altro, la
congiunzione chiederà che siano chiusi due interruttori in serie, la
disgiunzione che in un collegamento in parallelo almeno un interruttore
sia chiuso e così via.
Si potrebbe sostenere che anche verità e falsità, motivazione
ed inferenza dovrebbero infine rivelarsi soltanto nomi, parole
cui non spetta alcun legittimo uso poiché ciò che c’è sono i fatti
della biologia e gli stati della nostra macchina corporea.
Il filosofo naturalista ci invita dunque a ragionare così, ma può
davvero farlo? Il filosofo naturalista ci invita ad affermare che
le nostre proposizioni e le nostre credenze debbono essere
intese come manifestazioni naturali, come comportamenti
biologicamente utili, ma privi di un valore di verità; nel dire
così, tuttavia, sembra di fatto dimenticare che una simile
affermazione consta di proposizioni che pretendono di essere
vere e non soltanto biologicamente utili. Dicendo così, il
filosofo naturalista vuole convincerci e non è facile
comprendere che cosa ciò significhi in questa prospettiva, né
quale sia la ragione per la quale ce ne sarebbe bisogno.
Un paradosso.
Il filosofo naturalista ci invita a pensare al pensiero come a una funzione
biologica utile e per questo ritiene che non sia possibile valutarlo nei termini
della sua verità o falsità. vogliamo dargli ascolto e chiederci di conseguenza
se questa tesi che ci invita a condividere debba essere creduta in virtù del
suo essere biologica mente utile o se invece si debba crederla perché è vera.
La seconda ipotesi deve essere subito messa da canto: se si riconosce che è
semplicemente vero che ogni pensiero è soltanto un accadimento
biologicamente rilevante, allora ci si contraddice esplicitamente (perché
almeno questo pensiero sarebbe appunto vero e non biologicamente utile).
Immaginiamo allora che, a sua volta, sia soltanto biologicamente utile
credere che si creda a ciò che è biologicamente utile. Se così fosse, avrebbe
senso immaginare un contesto in cui la validità di questa tesi avrebbe come
sua conseguenza il nostro non doverla credere: il contesto in cui fosse
biologicamente utile avere un sistema di credenze che ci fa credere che vi
siano proposizioni vere e non soltanto utili.
Un’equazione complessa: si deve poter
ricondurre il mondo all’esperienza che ne
abbiamo. E ciò è quanto dire: ogni oggetto
è il correlato di una molteplicità di
possibile esperienze e si costituisce per
quello che è nella sintesi aperta delle
esperienze intersoggettive.
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