Neopositivismo
Il neopositivismo, detto anche “positivismo logico”, “neoempirismo” o “empirismo logico”, nacque
all'interno di un gruppo di studiosi, noto come Circolo di Vienna, ed ebbe come punto di partenza le
idee espresse nel “Tractatus” di Wittgenstein.
Uno dei principali obiettivi del neopositivismo fu quello del definitivo superamento della
metafisica, responsabile, a giudizio dei membri del Circolo, della mancata soluzione di alcuni
fondamentali problemi che si trascinavano da lunghissimo tempo senza che si facessero passi in
avanti. Nel campo scientifico, invece, il progresso si poteva vedere con molta chiarezza: i problemi
venivano affrontati e risolti, permettendo a nuovi problemi di emergere e di essere a loro volta
risolti.
Per uscire dalla situazione di stallo in cui versava la filosofia, bisognava allora adottare un metodo
per affrontare i problemi analogo a quello utilizzato nella scienza: operare una distinzione tra
problemi autentici e pseudoproblemi, ovvero tra affermazioni che possono essere messe a confronto
con i fatti, e affermazioni che non consentono tale confronto.
Le proposizioni metafisiche venivano escluse dall'orizzonte della riflessione filosofica in base al
criterio empirico di significanza per il quale il senso di un enunciato coincide con il metodo della
sua verifica (Schlick), per cui un enunciato è dotato di senso soltanto se si conoscono le condizioni
di fatto che lo rendono vero e quelle che lo rendono falso.
E' dunque il principio di verificazione, basato sulla distinzione tra affermazioni provviste di base
empirica ed affermazioni che ne sono prive, a fare da spartiacque tra ciò di cui la filosofia deve
occuparsi e ciò che costituisce solo un non senso.
Esistono, è vero, anche delle proposizioni la cui validità non dipende dall'esperienza, come quelle
della logica e della matematica, ma esse costituiscono delle semplici tautologie: sono prive di valore
conoscitivo, non dicono nulla del mondo e non hanno bisogno di essere dimostrate.
Il perfezionamento della logica matematica era dunque visto come ciò che consentiva la
trasformazione della filosofia, intesa ormai come analisi logica del linguaggio, in pratica scientifica.
Sarebbe quindi stato possibile portare a compimento il processo che vedeva la filosofia
gradualmente sostituita da un sapere di tipo scientifico.
Agli occhi dei neopositivisti, l'introduzione del metodo scientifico in filosofia rappresentava una
svolta capace di favorire lo sviluppo illimitato del sapere liberandone la carica progressista e
chiarificatrice.
BIBLIOGRAFIA
- Francesco Barone, Il neopositivismo logico, Laterza, Bari, 1953
- Mario Trinchero (a cura di), Il neopositivismo logico, Loescher, Torino, 1982
- N. Tempini (a cura di), Il neoempirismo logico, La Scuola, Brescia, 1995
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