Nascita e sviluppo dell’impresa negli Stati Uniti _____ slides terza lezione a.a. 2008-09 L’impresa tradizionale e la sua specializzazione ------ Nel mondo preindustriale, conviene ricordarlo, gli affari costituivano una faccenda essenzialmente individuale. Modesto era in genere il volume dei beni trattati, come lenti erano i ritmi dell’attività, mentre tutt’altro che secondario appariva il ruolo della famiglia dell’operatore economico: tanto che la forma d’impresa più diffusa, verrebbe da dire la sua forma “primigenia”, era l’azienda agricola familiare. Ciò era vero in Gran Bretagna, che a metà del Settecento stava entrando nell’era della rivoluzione industriale, e a maggior ragione negli altri paesi che l’avrebbero seguita solo di lì a qualche decennio sulla stessa strada. Vale perciò anche per gli Stati Uniti, e cioè per il paese in cui lo sviluppo dell’impresa avrebbe conosciuto esiti straordinari. Quali Le origini dell’impresa negli Stati Uniti? Le origini sono prevalentemente rurali, come sono rurali gli Stati Uniti dell’Indipendenza - nel 1790 su 4 milioni di abitanti, solo 200.000 abitano in centri con più di 2.500 abitanti - su 2,9 milioni di persone attive, ben 2,1 operavano in agricoltura In America, come del resto in Europa, nei periodi morti delle stagioni agricole il lavoro nei campi fosse integrato da produzioni manifatturiere per autoconsumo. In caso di sovrappiù di produzione, questa veniva venduta nei mercati limitrofi all’azienda agricola. I prodotti manifatturieri non realizzati nelle aziende rurali, erano opera di botteghe di artigiani che potevano utilizzare qualche apprendista, trattato generalmente quale membro della famiglia. Va ricordato che l’artigiano è un produttore tipicamente “urbano”. Ma guardiamo alle tipologie di imprese che si trovano negli Stati Uniti delle origini… E che sono: l’azienda agricola l’impresa mercantile la manifattura casalinga i mercanti-imprenditori… Se l’impresa prevalente era nell’età preindustriale quella agricola a base familiare, una variante importante fu tuttavia rappresentata dall’impresa mercantile. E cioè da quella impresa – anch’essa personale, o fondata sui vincoli familiari – che, con base nei centri urbani, distribuiva nei mercati rurali i prodotti manifatturieri degli artigiani urbani, e/o intermediava verso le città i prodotti agricoli. Fu dall’impresa mercantile che prese avvio la lenta evoluzione dell’impresa tradizionale. Ciò avvenne sostanzialmente attraverso due strade. Da un lato, mediante la progressiva trasformazione del mercante da semplice intermediatore di merci – fossero esse quelle prodotte in città, o più tardi il surplus manifatturiero reso disponibile dai lavoratori agricoli indipendenti e dalle stesse aziende agricole – in organizzatore, acceleratore e veicolatore della produzione manifatturiera extracittadina. Nacquero da ciò (qui, ma già prima in Europa) i c.d. mercanti-imprenditori… Dall’altro mediante una rapida specializzazione, che portò il mercante da operatore multi-prodotto (o “tuttofare”) a concentrare la sua attività su di un solo bene, o su un limitato numero di essi tra loro omogenei dal punto di vista merceologico. Merceologia = disciplina che studia le caratteristiche intrinseche dei beni, dalle materie prime impiegate, ai processi che vengono utilizzati per produrli fino all’individuazione dei loro possibili mercati di sbocco commerciale. La seconda “strada” indicata, quella della c.d. specializzazione) fu la premessa di un ulteriore salto di qualità: quello che vide il mercante divenire mercante-imprenditore, e cioè operatore economico in grado di determinare il mercato di produzione dei beni. E ciò avvenne fornendo ai produttori la materia prima, i mezzi di produzione (quasi sempre i primi macchinari), spesso il credito, ed imponendo la quantità di beni da produrre ed anche i prezzi con cui questi sarebbero stati remunerati. Questo fece sì che i produttori indipendenti – originariamente proprietari della materia prima, e quindi del “prodotto finito” che solo in un secondo momento veniva venduto sul mercato locale, o veniva ceduto al mercante – divennero via via sempre meno autonomi, trasformandosi anzi in una sorta di “terminali” dell’intermediatore commerciale. Era il mercante a connettere le attività delle diverse unità produttive, vero e proprio dominatore di tale sistema economico. Il produttore indipendente, o produttore “casalingo” come anche viene chiamato, si trasformò sempre più in una specie di lavoratore “salariato”. Ciò che gli veniva remunerata non era più la merce prodotta, bensì il solo “lavoro”, dato che nel tempo fu il mercante-imprenditore a fornirgli materie prime e strumenti di lavoro. In sostanza, erano i prodromi di un nuovo sistema economico, vale a dire quello che avrebbe portato al “factory system” ed alla c.d. Rivoluzione industriale. Ben presto, tuttavia, questa nuova figura economica, il mercante-imprenditore, scoprì il vantaggio di affiancare al giro d’affari sul mercato nazionale anche quello del commercio internazionale. DAL COMMERCIO NAZIONALE A QUELLO INTERNAZIONALE… in ciò furono attivi soprattutto gli operatori dei centri costieri: erano uomini d’affari “tuttofare”, e cioè attivi in rami diversi delle attività economiche, che esportavano, importavano e commercializzavano all’ingrosso e al minuto prodotti d’ogni tipo, acquistando in proprio, o per conto dei loro clienti fissi, o fungendo da agenti per i mercanti di altre località, vendendo le loro merci in cambio di una provvigione prestabilita. Essi si occupavano sia della distribuzione che degli aspetti finanziari ad essa collegati, nonché dei trasporti. Negli Stati Uniti, tale figura di operatore arrivò presto a concedere prestiti a lungo termine ai piantatori di tabacco o di cotone, agli agricoltori ed agli artigiani, e a breve termine per finanziare i flussi delle derrate agricole e dei manufatti. Insieme ad altri mercanti, egli armava le navi che ne dovevano assicurare il trasporto, e di cui era quasi sempre comproprietario. L’evoluzione dell’impresa, a partire da questi operatori, fu più rapida in America che in Europa Questo universo ove gli affari avevano carattere personale e familiare, cominciò infatti rapidamente a mutare: da un lato la rottura con la Gran Bretagna aprì nuove regioni ai mercanti americani (il Baltico, il Levante, la Cina e le Indie Orientali), dall’altro le guerre napoleoniche diedero impulso a nuovi partners commerciali in Europa. Fu tuttavia soprattutto lo sviluppo che si innestò sul commercio del cotone, fortemente richiesto dall’industria inglese in rapida espansione, a costituire l’elemento più rilevante nel vigoroso processo di specializzazione dell’impresa e di spersonalizzazione delle funzioni economiche. IL RUOLO DEL COTONE e della sua coltura commerciale - la sgranatrice meccanica delle piante tessili - da 2500 q.li nel 1793 ai 376.000 del 1815, oltre 1.000.000 q.li nel 1840, con poi crescite esponenziali… La diffusione della coltura commerciale del cotone avvenne inizialmente ad opera degli agenti delle fabbriche inglesi, le quali erano alla ricerca di nuove più convenienti fonti di approvvigionamento della materia prima. Presto, tuttavia, il commercio del cotone divenne monopolio di mercanti che si dedicarono al traffico di un solo tipo di merci: i quali, consci del rischio delle fluttuazioni internazionali dei prezzi generate da una offerta e da una domanda che non erano in grado di controllare, preferirono in genere operare come agenti su commissione, percependo una percentuale fissa per i loro servizi di intermediazione con gli acquirenti inglesi. Questi mercanti, trasformatisi in agenti su commissione, erano in realtà una sorta di “uomini nuovi” nel mondo dell’intermediazione di beni… Comparvero però anche altri operatori: i mediatori i magazzinieri i jobbers (grossisti) i “corrieri comuni” i mediatori non legati a clienti fissi: essi facilitavano, su provvigione, l’incontro di compratori e venditori i magazzinieri svolgevano verso i piccoli piantatori di cotone del Sud, ma anche per i coltivatori occidentali che cominciavano a coltivare su vasta scala il frumento, le stesse funzioni di commercializzazione, di rifornimento e di finanziamento svolte dagli agenti su commissione per le grandi piantagioni. Diversamente dagli agenti su commissione, tuttavia, i magazzinieri delle campagne acquistavano direttamente le merci ed erano altresì proprietari delle derrate alimentari che provenivano dalla costa orientale, e che vendevano agli agricoltori. i “jobbers” (grossisti) Un numero limitato di importatori o, comunque, grossisti (i jobbers, appunto) avvertirono ad un certo punto – prevalentemente quelli operanti a New York o a Philadelphia – la convenienza di divenire proprietari diretti delle merci intermediate. Essi vendevano ai dettaglianti delle città in cui risedevano, a commissionari delle città meridionali, ma – soprattutto – agli agenti del cotone e ai magazzinieri che raggiungevano New York o Philadelphia due volte all’anno, per approvvigionarsi per conto dei propri clienti o per rifornire i propri magazzini. i “corrieri comuni” L’aumento del volume degli affari, e quindi delle merci intermediate, portò alla specializzazione – oltreché della distribuzione delle derrate – anche del loro trasporto. Successivamente al 1790 si assistette infatti al rapido sviluppo dei cosiddetti corrieri comuni, e cioè di imprese di trasporto che accettavano qualsiasi tipo di merce se depositata presso i loro punti di carico, o presso i loro uffici. Ben presto si costituirono vere e proprie linee di diligenze e di carri, operanti su territori sempre più vasti: tale processo si accelerò nei primi decenni dell’800, man mano che vennero costruite nuove strade, talune delle quali – in quanto di iniziativa privata – a pedaggio. A metà degli anni Dieci, con l’istituzione dei primi postali tra New York e Liverpool, o tra New York ed altri porti europei, lo sviluppo dei trasporti di cabotaggio tra i vari porti della costa orientale, le prime linee di battelli a vapore lungo il Mississippi e i fiumi della costa orientale, poteva dirsi realizzata una razionale rete di approvvigionamento e di esportazione del paese. il grande cambiamento: la specializzazione nel commercio nei trasporti nel credito nelle assicurazioni IL SISTEMA DI FABBRICA - trasformazione derrate alimentari, industria del legno, lavorazione del metallo... ( loro limite: le dimensioni, la “stagionalità”...) L’INDUSTRIA COTONIERA ( Francis Cabot Lowell ) * 1815, fabbrica di Walthan (Boston) * filatura e tessitura integrata * dimensioni... * da partnership a società azionaria * alti profitti * effetti diffusivi * progettazione sociale: 1822, Lowell City LE PRIME IMPRESE COMPLESSE * LE COMPAGNIE DEI CANALI * LE FERROVIE * LE IMPRESE TELEGRAFICHE loro caratteristiche: * più funzioni: costruzione impianti ed esercizio degli stessi * rilevante fabbisogno di risorse finanziarie * individuazione di nuovi strumenti adatti al reperimento di tali risorse Imprese complesse LE COMPAGNIE DEI CANALI (1810-1870) • 1807-15, avvio della navigazione a vapore sull’Hudson * strade a pedaggio e canali * prima fase (fino al 1820): ruolo dei privati (Boston-Merrimak, Providence-Worcester) * seconda fase: intervento del “pubblico” * 1825, canale New York-Erie: primo grande canale su iniziativa pubblica * gli appaltatori… struttura organizzativa di una Compagnia (pubblica) dei canali - Commissione del Canale: 5 membri - ruolo dello “state comptroller” - Cassa del Canale (e innovazioni finanziarie) LE COMPAGNIE FERROVIARIE ovvero del “big business” slides quarta lezione a.a. 2008-09 LE FERROVIE diversamente dai Canali, il ruolo dei privati è fondamentale ESSE DEVONO AFFRONTARE: problemi tecnici problemi organizzativi problemi finanziari problemi di concorrenza/cooperazione tra imprese LE FERROVIE SONO LE PRIME IMPRESE A PRESENTARE: * dirigenti stipendiati (tecnicismo della funzione) * elevato capitale fisso e circolante * una molteplicità di sedi, uffici ecc. * elevato numero di dipendenti * vasto apparato burocratico * uso sistematico dei dati statistici a fini gestionali LE FERROVIE AMERICANE: le tappe dell’espansione * 1829 - messa a punto della locomotiva a vapore da parte di George Stephenson * 1830 - avvio delle costruzioni ferroviarie americane * 1840 - già costruite 3 mila miglia * 1850-1860 - vengono superati i monti Appalachi, e si inizia a costruire nella vallata del Mississippi * 1860 - si giunge a 30 mila miglia, vale a dire la trama fondamentale della rete * 1869 - si raggiunge il Pacifico * 1875 - rete di 75 mila miglia: sistema quasi completo * 1880 - accordi di interconnessione: sistema nazionale di trasporto * 1882-85 - riprendono le costruzioni: il mito dei “sistemi autosostentatisi” * 1890-95 - crisi, ed intervento delle banche d’affari * 1895-1900 - due terzi della rete accorpati in 25 grandi sistemi regionali, controllati dalle grandi banche d’affari IL TELEGRAFO * l’avanzata della ferrovia corse parallela, in molti casi essendone preceduta, a quella del telegrafo * 1844, invenzione del telegrafo * 1844, sperimentazioni negli USA (Washington-Baltimora) * 1847, sua utilizzazione commerciale * più facile ed economico da installare delle ferrovie, il telegrafo raggiunse prima di queste, nel 1861, il Pacifico * al 1861 ferrovie = 30.000 miglia telegrafo = 50.000 miglia * al 1880 telegrafo = 300.000 miglia * rapida concentrazione di imprese 1866 - nasce la Western Union FERROVIE AMERICANE le dimensioni del business… * Metà anni ‘50 15 compagnie ferroviarie con capitale fisso superiore a 5 milioni di dollari * capitale circolante nelle più grandi compagnie: > di 3 milioni di dollari * personale nelle più grandi compagnie: > di 4000 addetti * investimenti complessivi fino al 1859: 1,5 miliardi di dollari (di cui 0,7 miliardi solo dopo il 1850…) FERROVIE AMERICANE struttura organizzativa centralità del ruolo dei capi-impresa: i SOVRINTENDENTI… (la loro provenienza dal Genio Militare) impreviste e positive caratteristiche/sinergie di tale comune origine professionale… INIZIALMENTE la struttura è composta da SUCCESSIVAMENTE essa assumerà questo assetto ALLA FINE (anni 1860-65) essa si evolverà nel c.d. STAFF & LINE, che poi diventerà tipico della grande impresa Tale evoluzione organizzativa, detta appunto di STAFF & LINE, si era resa necessaria per ovviare ai conflitti di competenza che presto si determinarono tra gli Uffici alle dirette dipendenze del Sovrintendente Generale e gli omologhi uffici dei Sovrintendenti di tratta, con gravi diseconomie sia organizzative che economiche. A tale soluzione arrivarono, senza consultarsi tra loro, due diversi Sovrintendenti Generali: Daniel McCalllum (New York and Erie Railroad) e Edgar Thomson (Pennsylvania Railroad). La adottarono poi tutte le Compagnie. IN TALE NUOVA ORGANIZZAZIONE, GLI UFFICI DI STAFF DEL SOVRINTENDENTE GENERALE (CHE SI DILATORONO NEL TEMPO SIA COME NUMERO CHE PER COMPETENZE LORO ATTRIBUITE), AVRANNO RUOLI FUNZIONALI (e/o di consulenza-supporto) RISPETTO GLI UFFICI DEI SOVRINTENDENTI DI TRATTA TARIFFE E CONTABILITA’ nelle Ferrovie americane * determinazione delle tariffe: complessità... * il ruolo stategico del “comptroller” * il problema dell’ammortamento del capitale fisso * i costi d’esercizio: nasce la “contabilità industriale” o “contabilità analitica”, con la strategica individuazione dei “centri di costo” * a metà anni ’70 dell’800 nasce la c.d. formula di Fink per il calcolo del costo del trasporto tonnellata/miglio, che arriverà a valutare 70 voci diverse: 19 considerate costi costanti 9 più costanti che variabili 32 più variabili che costanti 10 solo costi variabili * i dati contabili cominciano ad essere usati non solo per determinare le tariffe, ma anche per valutare l’efficienza delle diverse unità operative (nonché per determinare le carriere manageriali...) FERROVIE AMERICANE: ( altri temi ) * i flussi informativi * guerre tariffarie, cartelli, pools finanziari * il dipartimento del traffico * l’assorbimento dei corrieri privati * il dibattito professionale tra i Sovrintendenti, ed il rapporto con i produttori di materiale rotabile… RIVOLUZIONE COMMERCIALE e commercializzazione di massa slides lezioni quinta e sesta a.a. 2008-09 LA RIVOLUZIONE COMMERCIALE Cosa si intende con tale concetto? PERIODO: 1850-1880 MODALITA’: - specializzazione - accorciamento della catena distributiva - uso combinato di telegrafo e ferrovia - introduzione di nuovi metodi organizzativi LA CASA GROSSISTA chiave di volta di tale rivoluzione due dipartimenti principali: acquisto e vendite figure principali: buyer e commesso viaggiatore organizzazione degli acquisti organizzazione delle vendite logistica i marchi propri il nodo del credito: iniziale eliminazione delle dilazioni di pagamento, poi la concorrenza deve giocarsi anche su tale fattore la liquidità: come investirla? ancora sul credito: le agenzie di informazioni commerciali, o di affidabilità del “credito”, poi chiamate agenzie di rating 1870: due le principali - R.G. Dun - Bradstreet poi fusesi nella Dun & Bradstreet due indici di valutazione dei risultati aziendali * indice di rotazione delle scorte: più volte (a parità di dipendenti ed attrezzature utilizzate) “gira” il magazzino durante l’anno, maggiore sarà la produttività pro-capite dei dipendenti, e quindi la redditività e quindi la redditività dell’azienda * rapporto tra margine lordo e e fatturato netto (dove il margine lordo è il ricavo detratto del costo delle merci e delle spese generali) più alto è tale rapporto, più efficiente è l’azienda grossista IL DETTAGLIO DI MASSA • I MAGAZZINI A REPARTI o “grandi magazzini” - insediamento nelle aree di pregio delle grandi città - il ruolo-chiave del buyer - enorme liquidità (e sue conseguenze) - l’ostilità dei negozianti tradizionali • LE CATENE DI NEGOZI “monoprodotto” - “monoprodotto” od unica tipologia merceologica… - localizzazione nelle periferie urbane • LE CASE DI VENDITA PER CORRISPONDENZA il bacino sono le aree rurali somiglianze con i “magazzini a reparto” posta + ferrovia… il nodo della celerità della consegna connessioni tra le varie tipologie problema e conseguenze della liquidità… PRODUZIONE DI MASSA ed Organizzazione Scientifica del Lavoro slides lezione settima a.a. 2008-09 LA PRODUZIONE DI MASSA * PERIODO: 1870-1900 (ma anche prima…) * MODALITA’: nuovi processi produttivi a ciclo continuo, o per grandi lotti logistica elevata intensità nell’uso di energia ingenti investimenti in capitale fisso organizzazione scientifica del lavoro * PRIMI SETTORI COINVOLTI: macinazione cereali inscatolamento dei cibi e del latte produzione sigarette, sapone e materiale sensibile raffinazione e distillazione Dove si ha Il più elevato potenziale di crescita costante nella velocità e nel volume di produzione? Nelle seguenti lavorazioni: fusione e prima lavorazione dei metalli metallurgia di seconda fusione nell’industria meccanica * i processi produttivi in meccanica e siderurgia rendevano possibile una divisione del lavoro molto maggiore di quella conseguibile in altre produzioni, ma ponevano la necessità di più stringenti controlli sulla forza-lavoro. * da qui l’esigenza di un rapporto numerico tra dirigenti ed operai più elevato… * elevata parcellizzazione delle lavorazioni nelle imprese che producevano su grande scala macchinari ed altri prodotti mediante la fabbricazione ed il montaggio a parti intercambiabili (ad es. armi da fuoco, serrature, orologi, macchine per cucire, macchine per scrivere, registratori di cassa, trebbiatrici ed altri macchinari agricoli complessi, pompe ecc.) * numero di materiali grezzi o di semilavorati superiore a quello di ogni altro tipo di industria manifatturiera PRIMA FASE: (anni ‘50-‘70 Ottocento) i dirigenti si dedicano al miglioramento dei macchinari e dell’impianto degli stabilimenti SECONDA FASE: (anni Ottanta, depressione) - I dirigenti affrontano il tema del contenimento dei costi, e quindi i problemi del sistema organizzativo. - Si ricercano nuovi metodi (sistematici, o “scientifici”) di gestione aziendale. L’Organizzazione Scientifica del Lavoro * ruolo della A.S.M.E., una delle prime associazioni professionali statunitensi, fondata nel 1880. * 1886, Henry R. Towne ( il capo della Yale and Towne Lock Co., più semplicemente conosciuta come “Yale”) elabora il concetto dell’ingegnere inteso come “economista” d’impresa. «Nella nozione di “gestione di reparto” – affermava Towne – sono compresi i problemi attinenti all’organizzazione, alla responsabilità, ai rapporti, ai sistemi di contratto e di lavoro a cottimo, connessi tutti alla direzione esecutiva degli stabilimenti, degli opifici e delle fabbriche». «Nella nozione di “contabilità di reparto” sono compresi i problemi attinenti ai sistemi di calcolo dei tempi e di remunerazione, alla determinazione dei costi, alla scelta tra lavoro a cottimo o a giornata, ai metodi di contabilizzazione… …sono compresi altresì i problemi che riguardano la distribuzione dei diversi conti delle spese, e la verifica dei profitti: elementi tutti del sistema di contabilità attinenti ai dipartimenti produttivi di un’impresa, e alla determinazione e registrazione dei risultati da essa ottenuti». Nasceva così la “contabilità industriale” delle moderne aziende manifatturiere DEL “TAYLORISMO”: alcune osservazioni Uno dei cardini delle riflessioni di Frederick W. Taylor riguarda la “fluidificazione” dei materiali e l’incremento di produttività. Furono queste le prime acquisizioni concettuali della futura organizzazione scientifica del lavoro (o.s.d.l.). Taylor fu, in realtà, solo uno dei tanti ingegneri (anche se tra i più abili), che svilupparono negli Stati Uniti i principi – più che dell’o.s.d.l., come egli chiamò i suoi interventi razionalizzatori – del c.d. movimento per la “direzione scientifica” delle imprese. Se in questo “movimento” – concretatosi soprattutto tra la fine del secolo e i primi due decenni del Novecento – emerge netta la tendenza alla definizione di leggi scientifiche, e in quanto tali ritenute neutrali, idonee a risolvere i problemi di efficienza aziendale, e quindi dei singoli comportamenti del lavoratore, il taylorismo può essere definito piuttosto come una sua fase preliminare. Con grossi limiti impliciti nella concezione che Taylor aveva dell’uomo come essere esclusivamente “economico” e soggetto pertanto alla sola molla degli incentivi monetari: e quindi egli prestò scarsa attenzione agli aspetti psicologici che costituiranno l’intuizione più interessante del movimento per la “direzione scientifica” delle imprese. Taylor è comunque stato il primo a lasciare una testimonianza sistematizzata delle procedure da lui sviluppate. In due saggi, - “Direzione d’officina” - “Principi di organizzazione scientifica del lavoro”, Taylor riassunse un trentennio di esperienze, tutte vissute nella straordinaria trasformazione che l’economia americana conobbe con l’avvento della produzione di massa. Si tratta però di due scritti “d’occasione”, dato il carattere prevalentemente empirico di Taylor. “Principi di organizzazione scientifica del lavoro” costituisce una appassionata difesa da parte di Taylor dei metodi dell’o.s.d.l. Egli affronta esplicitamente le conseguenze di tale metodo sul piano sociale, contestando le accuse che ad esso (ed a lui stesso) rivolgevano le organizzazioni dei lavoratori. Taylor sostiene in quel saggio che i sistemi di valutazione da lui e da altri sviluppati erano di per sé neutrali, ma che potevano essere facilmente stravolti. Egli si riferiva in particolare al tema della attribuzione dei benefici degli incrementi di produttività ottenuti attraverso una utilizzazione sistematica dell’o.s.d.l., che Taylor prevedeva dovessero essere equamente ripartiti tra imprese e lavoratori, ma che più spesso venivano totalmente incamerati dalle prime. «Riconoscimento della necessità di una sempre maggiore produttività; riconoscimento della necessità di scoprire con metodi scientifici le leggi che governano il risparmio delle energie umane e materiali, nel conseguimento della maggiore produttività; accordi fra direzione e lavoratori per conferire efficacia a queste leggi; e pazienza, sempre più pazienza»… Questo era ciò che Taylor considerava le pietre angolari dell’autentica organizzazione scientifica del lavoro. L’IMPRESA E LE VIE DELLA CRESCITA DIMENSIONALE - l’impresa “integrata” - slides lezione ottava 2008-09 LA CRESCITA DIMENSIONALE verso il “gigantismo” d’impresa 1885-1900 CAUSE: a) successo del prodotto, e conseguente incremento della domanda b) esigenza di economie di scala c) strategia difensiva rispetto alla caduta dei prezzi ed alle guerre commerciali MODALITA’ della crescita: a) dall’interno: impresa “integrata” b) dall’esterno: fusioni ed acquisizioni IL NODO DELLA CONCORRENZA: - cartelli, pools finanziari, scambi azionari - i Trusts - le holdings finanziarie (la New Jersey holding company) LA PRIMA FORMA della moderna impresa industriale: l’impresa “integrata” L’integrazione tra produzione e commercializzazione di massa si generalizzò negli anni ’80 dell’800 L’INTEGRAZIONE VERTICALE, inizialmente risposta “difensiva” alla caduta dei prezzi, fu poi usata come fattore “strategico” per il conseguimento di economie di scala I settori pionieri a) macchine innovative e complesse (macchine prodotte su larga scala mediante la tecnica della fabbricazione a parti intercambiabili) - difficoltà di commercializzazione (la “strozzatura” del commercio grossista) - necessità di “inventarsi” servizi specializzati di sostegno alla vendita (pubblicità, dimostrazio- ne, finanziamento alla vendita, installazione,assistenza tecnica e riparazione) assieme alla creazione di specifiche reti di vendita (le filiali…) la prima impresa fu la SINGER Co. fabbrica di macchine per cucire, ad uso domestico ed industriale, fu la prima “multinazionale americana, approdando già alla fine degli anni ‘60 dell’800 in Europa… seguirono: - McCormik, Harvester, Deere, Case (macchine agricole) - Otis Elevator Co. (ascensori) - Remington, NCR-National Cash Register (macchine per ufficio e negozi) - Worthington (pompe) - Western Electric, Westinghouse, Edison General Electric (macchinari elettrici) b) beni confezionati semideperibili a basso prezzo la macchina di Bonsak… - American Tobacco - Diamond Match - Quaker Oats - Campbell, Heinz, Borden - Propter Gamble - Eastman Kodak il ruolo centrale della pubblicità… c) “macellazione”, e produzione di birra - Gustavus F. SWIFT (e poi: Armour, Hammond, Morris, Cudahy) il problema dei carri frigoriferi… (il nodo della refrigerazione) - Pabst Co., Schlitz, Busch (il nodo della temperatura costante e/o controllata) - le prime imprese che divennero “grandi” grazie a tali tecniche dominarono a lungo il mercato, prima nazionale poi mondiale… - gli inevitabili processi imitativi… LE IMPRESE GIGANTI i loro passaggi evolutivi slides lezione nona a.a. 2008-09 FUSIONI ed ACQUISIZIONI concetto di fusione concetto di acquisizione la ratio di tali processi di crescita il successo di fusioni/acquisizioni tali processi ebbero successo quando le società interessate centralizzarono il comando sui singoli impianti acquisiti, ed integrarono funzioni “altre” (ad es. quelle commerciali, finanziarie ecc.) …e quando ricorsero (per conseguire economie di scala) ad un sempre più sostenuto utilizzo di energia e di calore, nonché alle tecniche di lavorazione a ciclo continuo o per grandi partite, e – soprattutto - a forti innovazioni organizzative il successo delle fusioni si concentrò dapprima nella produzione di beni confezionati semideperibili (zucchero, biscotti, dolciumi, whisky e prodotti distillati in genere), in quella di macchinari di largo uso (ma complessi) utilizzati dai calzaturifici o dalle industrie tipografiche, nella raffinazione del petrolio, nelle industrie della gomma e degli esplosivi, in numerosi settori chimici, e in parte nel vetro e nella carta, che avevano introdotto tecniche di produzione continua. Le nuove imprese “consolidate” (vale a dire a comando centralizzato) nonché “integrate”, giunsero ben presto a dominare i rispettivi settori seguendo l’esempio della Singer nella internazionalizzazione delle loro attività. Le grandi imprese create dai processi di fusione, e poi di integrazione, ebbero successo anche nella siderurgia, nella metallurgia, e nella lavorazione dei minerali non ferrosi, tutti settori ad alta intensità di capitale, i cui prodotti non erano destinati al consumatore finale, bensì ad utilizzatori industriali. Anche in queste imprese, la rilevanza quantitativa della produzione imponeva una attenta programmazione e un sofisticato coordinamento del flusso delle materie prime agli stabilimenti, e della produzione sino agli utilizzatori delle “materie seconde” o dei semilavorati o dei c.d. beni intermedi. La differenza fra questa seconda categoria di imprese, ed i produttori di articoli destinati al consumatore finale, consisteva essenzialmente nella diversa consistenza degli apparati di commercializzazione, che erano ovviamente più contenuti per le imprese indirizzate ad aziende utilizzatrici di “materie seconde” o di semilavorati. quando l’insuccesso di fusioni/acquisizioni non poche volte, tuttavia, le fusioni e le acquisizioni fallirono i loro obiettivi, tanto che spesso le nuove società che così si erano formate finirono per sciogliersi quali i motivi? il fatto è che le concentrazioni si rivelarono un fallimento (o conseguirono risultati modesti) nei settori in cui l’integrazione delle funzioni commerciali non risultò vantaggiosa, o fu impossibile per le limitate dimensioni che le imprese fusesi raggiungevano sul mercato. Ciò riguardò i settori i cui processi produttivi continuarono (per vincoli tecnologici, all’epoca non superabili) ad essere caratterizzati da un’alta intensità di lavoro rispetto al capitale investito, e in cui l’uso di quantità crescenti di energia meccanica non accelerava il processo produttivo, ma solamente determinava un aumento proporzionale delle quantità prodotte a condizione che, contemporaneamente, crescessero in misura analoga i macchinari impiegati e il numero di addetti. Fu questo il caso del tessile, dell’abbigliamento, dei cappelli, delle calzature, della lavorazione del cuoio, della produzione di carrozze, mobilio, piastrelle e rivestimenti edili in genere, di sigari, delle maggior parte di beni alimentari, dell’editoria e della stampa, ecc. Insomma, di settori i cui prodotti non avevano necessità per la vendita di servizi specifici che solo il produttore avrebbe potuto assicurare. In tali settori, frazionatissimi e composti di imprese per la maggior parte di limitate dimensioni, il fatto di fondere insieme più unità di produzione non determinava effettivi vantaggi sul piano della concorrenza, quali una riduzione dei costi (e quindi dei prezzi di vendita), o una più elevata capacità di soddisfare le esigenze della clientela. I PASSAGGI EVOLUTIVI delle imprese che diventano “giganti” IMPRESA CENTRALIZZATA (1890-1910): è la forma indispensabile dopo la crescita dall’esterno (fusioni ed acquisizioni) per razionalizzare l’apparato produttivo-distributivo IMPRESA DIVISIONALIZZATA (dal 1910 in poi): - esigenza imposta dalla diversificazione (divisioni per prodotto, ma anche…) - la centralità del Dipartimento di R&S (ricerca e sviluppo) IMPRESA CONGLOMERATA (1960-1970): - l’impresa cresce mediante acquisizione di imprese di media taglia, ad elevata profittevolità - nessun processo di ristrutturazione - logica prevalentemente finanziaria Una metodologia unisce le tre tipologie, via via sempre più complessa USO DEI GRANDI AGGREGATI STATISTICI - a fini previsionali - analisi a breve, medio, lungo periodo CONCENTRAZIONI PRODUTTIVE e tutela della concorrenza l’intervento della legislazione federale: lo Sherman Act (1890) tale provvedimento, che inibiva l’uso distorto del Trust, impose lo scioglimento di quelli che nascondevano forme di controllo della concorrenza: fu il caso dello Standard Oil Trust guidato da J.D. Rockefeller. Come è noto, l’approdo al Trust come strumento di controllo/limitazione della concorrenza di fronte alla caduta dei prezzi ed alle guerre commerciali, fu la conseguenza della inefficacia sia dei “cartelli” sia degli scambi azionari tra imprese intenzionate a spartirsi in modo oligopolistico il mercato. La messa fuori legge del Trust, non fermò tuttavia la corsa alle concentrazioni produttive, che ricorse allo strumento delle Holdings company. la New Jersey Holding Co. dapprima, i Consigli di amministrazione di quasi tutte le Holdings che sorsero secondo la legislazione del New Jersey, si limitarono alla fissazione dei prezzi e dei quantitativi che le imprese consociate dovevano produrre. presto si capì che era una strada perdente: e che l’unico modo di stare profittevolmente sul mercato era quello di centralizzare le decisioni e integrare/razionalizzare i distinti impianti produttivi. questa acquisizione concettuale segnò la svolta nei processi di concentrazione. Per cui sia le Holdings nate dalla trasformazione dei Trusts o dei cartelli, sia quelle – e furono molte – che sorsero per acquistare (o “scalare”) imprese concorrenti, si posero l’obiettivo di costruire organizzazioni in grado di esprimere un comando centralizzato di produzione e distribuzione. lo scopo ultimo? giungere ad un mercato meno anarchico, e quindi meno esposto alle fluttuazioni congiunturali. Nonostante lo Sherman Act, ed altri provvedimenti legislativi minori tesi ad impedire situazioni dominanti (o semplicemente oligopoliste) sul mercato, l’ultimo decennio del secolo fu perciò caratterizzato da una vera e propria ondata di fusioni e/o di concentrazioni tra imprese. Tra il 1890 e il 1898 le operazioni di fusione e/o concentrazione furono complessivamente 108, mentre nel solo 1899 se ne verificarono ben 105. In tale processo, un peso non secondario giocarono i fattori tecnici/tecnologici ed i fattori commerciali: furono essi a determinare in ultima istanza la dimensione ottimale delle imprese, e la struttura dei settori industriali. Come fu il vincolo tecnologico (e cioè la complessità del processo produttivo, ed il rapporto capitale/addetto) a condizionare positivamente o negativamente il successo delle fusioni che via via si verificarono. CONSEGUENZE dei processi di concentrazione tra imprese gli elevati costi il frazionamento della proprietà azionaria quali le cause? l’impresa manageriale e la separazione tra proprietà e controllo quale potere ai “managers”? la mano visibile del mercato… GLI STATI UNITI tra riconversione post-1a guerra mondiale, Wall Street e Grande Crisi, e secondo dopoguerra slides della lezione decima e della lezione undicesima, a.a. 2008-09 LA “COBELLIGERANZA” STATUNITENSE NELLA 1a GUERRA MONDIALE GLI USA: sono i “grandi fornitori” della quadruplice Intesa (Francia, Russia, Gran Bretagna ed Italia) contro gli Imperi Centrali (Germania ed Austria-Ungheria) 1917: gli Stati Uniti dichiarano la propria cobelligeranza a fianco dell’Intesa. E’ l’inizio della fine per gli Imperi Centrali. Gli Stati Uniti erano dagli ultimi due decenni dell’800 la più colossale macchina produttiva del mondo. I metodi di pianificazione strategica delle “imprese giganti”, già estremamente sofisticati, subiscono un ulteriore miglioramento nei primi anni Dieci del ‘900 con il porre ad elemento cardine delle scelte espansive una corretta definizione della redditività degli investimenti. Ci si arrivò per progressive approssimazioni, fino alla individuazione da parte della Dupont de Nemours (la principale impresa chimica del paese, che controllava anche la General Motors) di due diversi strumenti utili a valutare tale redditività: a) il rapporto tra profitti e capitale; b) l’indice di “rotazione” del capitale, vale a dire il rapporto vendite investimenti totali + capitale circolante . Tale indice di “rotazione del capitale” divenne il parametro più realistico dell’efficienza (e quindi della redditività) di una “large corporation”. Più elevato esso era, più profittevole era l’impresa. LA CRISI DI RICONVERSIONE POST-BELLICA Si è soliti considerare la gravità della crisi di riconversione postbellica in Europa, ed anche in Italia, dove essa portò alla conquista del potere da parte del fascismo mussoliniano. Essa fu tuttavia ancora più grave negli USA, dove l’euforia di una economia al servizio del conflitto europeo aveva dilatato ancor più l’apparato produttivo. LA RIPRESA Il biennio 1920-21 fu durissimo, stante le difficoltà di riconvertire una economia di guerra ad una economia totalmente rivolta al mercato civile. Era, del resto la prima recessione che si verificava dopo i grandi processi di concentrazione produttiva, i quali avevano garantito un lungo periodo di elevata domanda, e quindi di prosperità diffusa. La recessione mise in luce la fragilità di quei settori i cui processi di produzione e/o commercializzazione implicavano larghe scorte di materie prime e di semilavorati. Tali settori erano quelli dell’industria dell’acciaio, della grande meccanica, ma anche dell’automobile ed in generale dei macchinari complessi, delle produzioni chimiche. Ma la crisi colpì anche la grande distribuzione di massa. In questi comparti, gli ordini di materie prime, di semilavorati, degli stessi beni finiti, ed anche il loro trasporto, dovevano essere programmati con largo anticipo rispetto alla loro utilizzazione o vendita finale. La recessione provocò perciò un brusco, e critico, rialzo del volume delle scorte, causando per molte imprese giganti drammatiche crisi finanziarie che compromisero, od annullarono, i livelli di redditività. Ciò non era invece avvenuto in quei settori, ad esempio nella produzione e commercializzazione di beni deperibili, usi da sempre a coordinare i flussi fisici tra le unità di acquisto, trasformazione e vendita attraverso l’uso sistematico del telegrafo. Le imprese di tali settori non incontrarono eccessive difficoltà nel contrarre i volumi prodotti e/o commercializzati. Anche perché si trattava produzioni “a ciclo corto”, agevolmente (e flessibilmente) gestibile rispetto il “ciclo lungo” dei comparti prima ricordati. I quali, per uscire dalla crisi, dovettero concentrarsi ancor più di prima sulle previsioni a lungo periodo. La programmazione degli acquisti, della produzione e dell’occupazione, venne sempre più basata – al pari di quella delle consegne dei prodotti finiti, e nella stessa determinazione dei prezzi alla vendita (che dipendevano dal costo unitario, che a sua volta derivava dal volume prodotto nell’unità di tempo) – su proiezioni annue dell’andamento della domanda, modificate periodicamente per tener conto della variabilità dei cicli congiunturali. Fu grazie a ciò che il processo di riconversione fu tutto sommato abbastanza veloce, e l’economia riprese a crescere. Determinando una nuova euforia, e la sensazione che questa volta il ciclo espansivo non si sarebbe più arrestato… L’ottimismo finì bruscamente con il crollo di Wall Street (1929)… Le cause… E dopo? LE GRANDI RISTRUTTURAZIONI le reti di comunicazione (ferrovie, telegrafo, telefono, viabilità) le grandi reti infrastrutturali (le compagnie elettriche) I NUOVI MEZZI di TRASPORTO auto autobus autotreni aereo grandi compagnie aeree a base regionale modellate come le compagnie ferroviarie LE “NUOVE” IMPRESE “media” ed industria dello spettacolo Gli sviluppi tecnici nel campo della fotografia, della cinematografia, e dei primi rudimenti dell’elettronica diedero vita, a partire dal 1920, a due settori industriali interamente nuovi: il cinema e la radio. Dimensioni industriali sia per la messa a punto di macchinari sempre più sofisticati, che per il livello degli investimenti ad essi destinati. La comparsa delle grandi imprese moderne nel cinema fece fare un salto di qualità (e di quantità) alla produzione di film, che divenne sempre più costosa e tecnologicamente complessa: e che dovette perciò dotarsi di strutture organizzative in grado di programmare la distribuzione del prodotto anche su scala internazionale. L’affermazione su vasta scala della radiofonia, seguì invece il modello dell’industria elettrica: con la nascita di un certo numero di network regionali o nazionali che collegavano tra loro molteplici emittenti locali. LA SECONDA GUERRA MONDIALE In molti campi fu invece la seconda guerra mondiale ad imporre veloci riorganizzazioni e/o ristrutturazioni produttive: con salti tecnologici prima impensabili. La messa a punto di nuovi prodotti tecnologicamente complessi richiesti dall’esercito americano – gomma sintetica, benzina ad elevato numero di ottani, radar e strumenti elettronici antisommergibili, ordigni d’offesa e di difesa di vario genere, ma anche altri apparentemente banali – esaltò, generalizzandola, l’utilizzazione congiunta delle conoscenze scientifiche e del normale background tecnico. Ciò diede l’avvio a una fase di rapido sviluppo nell’applicazione sistematica della scienza alla produzione industriale (spesso anche di largo consumo). E non poche delle innovazioni che ne derivarono, soprattutto nei settori elettrico e radiofonico, fluirono poi al mercato più vasto delle generalità delle imprese. La mobilitazione militare dell’economia spinse, inoltre, il governo di Washington a favorire l’ampia diffusione dei metodi gestionali, e delle procedure di controllo, fino agli anni Trenta patrimonio solo delle grandi imprese tecnologicamente avanzate ed integrate. IL DOPOGUERRA Il boom produttivo bellico – che riportò il mercato statunitense a quelle condizioni di virtuale piena occupazione interrotta dalla crisi del 1929 – protrasse i suoi effetti per almeno il ventennio successivo grazie al vasto programma di sostegno della domanda aggregata varato nel 1946 con una legge federale sull’occupazione, e grazie anche al c.d. Piano Marshall. Ciò - se da un lato favorì la crescita ininterrotta delle società giganti, segnando il trionfo della moderna impresa burocratica e impersonale - riversò sull’intero sistema economico gli effetti di una domanda aggregata che crebbe più di due volte tra il 1948 e il 1969. a prezzi costanti, il prodotto nazionale lordo passò infatti da 300,9 miliardi di dollari del 1948 a 725,5 del 1969. Questo determinò la formazione di un mercato di massa di dimensioni mai prima conosciute, tanto che la domanda di singole aree regionali raggiunse in quegli anni il livello già enorme di quella dell’intero paese negli ultimi due decenni del XIX secolo. Nel secondo dopoguerra, l’espansione al di fuori dei confini nazionali – soprattutto in Europa e in Estremo Oriente – ebbe per l’impresa gigante americana importanza anche maggiore dell’impulso governativo alla domanda aggregata interna. I soli investimenti diretti delle imprese americane passarono da 1,7 miliardi nel 1950 a 24,5 nel 1970. LA “SFIDA” AMERICANA Una duplice conseguenza in Europa: Da un lato, la invasiva presenza delle multinazionali statunitensi costrinse le aziende europee ad un rapido adeguamento organizzativo, che mutuò schemi e comportamenti fino allora praticamente sconosciuti ai sistemi economici europei, segnatamente nell’uso intensivo della R&S, nella diversificazione spinta e nella divisionalizzazione. Dall’altro, la generalizzazione del modello multinazionale portò le “larges Corporations” americane ad arricchire la loro struttura di una divisione internazionale chiamata a coordinare le attività estere, e a interagire con lo staff centrale per quanto riguardava gli investimenti e le strategie di espansione all’estero. Con una variante, tuttavia,: che quando una multinazionale giunse a replicare all’estero la forte diversificazione di prodotto sviluppata in patria, si preferì eliminare il filtro della divisione internazionale, attribuendo alle singole divisioni di produzione anche la responsabilità internazionale degli stessi prodotti che rientravano nella loro competenza all’interno del paese. CENTRALITA’ DELLE STRATEGIE DI INVESTIMENTO Nel 1947 le duecento più grandi società degli Stati Uniti detenevano il 30% del valore aggiunto, e il 47,2% delle attività manifatturiere del paese; Nel 1963 tali percentuali erano salite rispettivamente al 41 e al 56,3%; Alle soglie degli anni Settanta esse erano attorno al 45 e al 61%.