(e non) USA ed Europee

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RANDOM NOTE 2 – 2016
13 Novembre 2016
ANALISI POST ELETTORALE.
Quali effetti sulle politiche monetarie (e non) USA ed Europee
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Nonostante il programma economico presentato dal presidente D. Trump sembri molto
semplicistico e con varie incertezze, i mercati finanziari gli hanno da subito dato credito e quindi lo
pensano realizzabile. A mio avviso vi sono molti punti di domanda affinché, soprattutto per la parte
relativa alle politiche protezionistiche, esso possa essere portato a termine. Prendiamo atto dei fatti
e pensiamo che aver messo al centro della scena una forma d’interventismo economico sino ad ora
non realizzabile sia per motivi politici sia di bilancio favorirà il lavoro delle autorità monetarie USA e
meno di quelle dell’area Euro.
IL PIANO ECONOMICO DI TRUMP
Il suo piano si può sintetizzare in: mettere in atto delle politiche che portino la crescita al 3.5% (dal
2.1% medio degli ultimi sette anni) e con la stessa si finanzierà il deficit aggiuntivo creato dalle
suddette politiche.
Entriamo nel dettaglio su quelli che sono i punti del suo programma:
•
Riforma fiscale. Una semplificazione e una riduzione delle aliquote fiscali e un aumento
delle spese deducibili a favore delle classi medio basse.
•
Revisione della regolamentazione a carico delle imprese soprattutto nel settore della
produzione/estrazione di energia e contro l’inquinamento per alleggerire il carico di oneri a
carico delle imprese coinvolte e quindi favorire l’attività economica nel settore estrattivo e
di produzione energetica. Mentre nel settore finanziario si vorrebbero allentare molte delle
misure introdotte dopo la crisi del 2008.
•
Liberalizzare il settore dell’energia permettendo di estrarre senza limiti qualsiasi forma di
energia.
•
Commercio e difesa della proprietà intellettuale. Oltre a rinegoziare i termini del NAFTA che
siano più favorevoli agli USA, è prevista una battaglia contro i cinesi per evitare manovre di
dumping, vigilare sui sussidi statali, vietati dalla WTO, e soprattutto sulla contraffazione. La
sola protezione da prodotti contraffatti dovrebbe creare 2 milioni di posti di lavoro.
In termini numerici il piano si traduce in una spesa fiscale (al netto degli effetti positivi della spesa
stessa) di 2.6 Triliardi di Dollari con maggiori entrate derivanti dalle varie politiche di liberalizzazione,
dall’energia e dal protezionismo commerciale di 1.8 Triliardi di Dollari. Il restante deficit di 800
miliardi di deficit di bilancio dovrebbe essere finanziato da ottimizzazione della spesa pubblica.i Non
è chiaro quanto costerà e come finanziera l’imponente progetto di ricostruzione delle infrastrutture
(scuole, strade, ponti) e l’aumento della spesa militare, salvo che non siano compresi nei 2.6 Triliardi
di Dollari di cui sopra.
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Tale programma dovrebbe creare 25 Milioni di nuovi posti di lavoro (invece dei previsti 7) nei
prossimi 10 anni.
GLI EFFETTI MACRO ECONOMICI DI TALE PIANO
Se tale piano si realizzasse, e non siamo qui per dubitarne, gli effetti economici diretti e collaterali
previsti dovrebbero essere i seguenti:
1. L’alleggerimento fiscale e l’aumento dell’occupazione dovrebbero favorire la domanda da
consumi interni con effetti benefici sulla crescita economica e quindi sull’inflazione. Lo
stesso vale per il piano di investimenti pubblici.
2. L’importazione di deflazione cinese o messicana o da altri paesi subirà uno stop.
3. Le aziende produrranno a costi più elevati con effetti negativi sui loro utili. Questo varrà per
tutte le aziende che esportano in USA, non solo per quelle americane. Quindi se da una
parte venderanno di più in USA d’altra parte venderanno meno in altri paesi (Messico, Cina)
e comunque produrranno a costi più elevati.
4. Quello che è maggiore GDP da localizzazione USA diventa minor GDP per i paesi
delocalizzati. A livello di crescita mondiale l’effetto è negativo poiché la localizzazione della
produzione sarebbe inefficiente e alla fine sono le aziende (a livello mondiale) che pagano il
conto o in alternativa il consumatore.
5. Tralasciamo gli effetti di “retaliation” da parte di Cina e Messico.
Le domande che ci poniamo sono:
1. Che cosa farà la FED nella riunione del 14 Dicembre e quale può essere la traiettoria delle
sua politiche a partire dal 2017?
2. Quali sono gli effetti sull’Europa e sulle politiche della BCE?
LA REAZIONE DELLA FED
Le attese di un aumento dei prezzi e dei salari si stanno, forse, realizzando e dovrebbero permettere
alla FED nella sua riunione del 14 Dicembre di aumentare il suo tasso di interesse di riferimento.
Storicamente, quando ci sono le condizioni, la FED ha sempre preso atto di quelli che sono i tassi di
mercato e si è adeguata, per cui nella riunione non ci saranno, a nostro avviso, sorprese e ci sarà un
rialzo dei FED funds. Un qualsiasi richiamo alla situazione globale, per rimandare la decisione,
sarebbe inopportuno e certamente non gradito dal nuovo presidente e della sua politica di
Americanismo.
Accompagnare il nuovo corso sia politico, che vuole prendere il controllo dell’economia in modo
energico, che dei mercati finanziari, che prevedono un quadro inflazionistico con rialzi dei tassi,
faciliterebbe molto quel desiderio di normalizzazione della politica monetaria cominciato con
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Bernanke nell’estate del 2013. Un desiderio che non si è ancora avverato per tre motivi: la crisi
globale e la lenta crescita USA, con sacche di non occupazione che preoccupavano, inflazione
sempre costantemente sotto gli obiettivi e mancanza di una politica fiscale (che non sarebbe mai
passata nel Congresso Repubblicano). Riportare i tassi d’interesse lontano dallo zero permetterebbe,
qualora le politiche di Trump non funzionassero o non fossero applicate, di intervenire avendo
margine di manovra.
CHE COSA FARA’ LA BCE?
In tale contesto il lavoro della BCE diventa ancora più arduo e potremmo definirlo di difesa.
Se da una parte la caduta dei mercati obbligazionari negli ultimi giorni ha reso disponibili per
l’acquisto molti più titoli di cui il mercato si vuole disfare, diventa molto difficile sia seguire le
politiche della FED verso la normalizzazione che continuare con il QE.
L’Europa si trova in un quadro completamente opposto a quello USA:
1. Non vi sono aspettative di una politica fiscale che possa riprendere il suo posto. Innanzitutto
l’Europa non è Federale e la concertazione di politiche fiscali è immaginabile solo al termine
del ciclo elettorale in Ottobre 2017 con le elezioni tedesche e richiederà una serie di
negoziazioni in termini di riforme/cessione di sovranità in cambio di una politica fiscale.
2. Il ciclo economico e l’inflazione languono rispetto agli USA.
3. Permane un serio rischio di crisi del debito pubblico e di liquidità del sistema che preferisce,
per mancanza di fiducia, depositare la liquidità creata dalla BCE in BCE piuttosto che
nell’economia reale o finanziaria.
Fonte: BCE
Il grafico sopra dimostra come la liquidità aggiuntiva creata dalla BCE con il programma di QE non
viene messa in circolazione nell’economia e che addirittura la quantità depositata presso la BCE
aumenta più degli acquisti di titoli.
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Ciononostante, nella riunione dell’8 Dicembre la BCE sarà obbligata ad agire in modo da traghettare
il tutto alle decisioni politiche post 2017 per evitare un collasso dei mercati che metterebbe in crisi il
sistema. Viste le politiche protezionistiche annunciate da Trump non è immaginabile una ripresa
trainata dagli USA come è stato storicamente, anzi vi dovrebbe essere uno stop alle importazioni
americane e agli investimenti di aziende americane in Europa.
Una non azione avrebbe effetti dirompenti su tutte le attività finanziarie e soprattutto sui titoli di
stato dei paesi periferici, oltre che sui corsi azionari e delle obbligazioni societarie.
CONCLUSIONI.
Volendo dare per possibili le politiche annunciate da Trump, sicuramente i mercati USA si avviano
verso una normalizzazione monetaria “autorealizzantesi” con inflazione e tassi d’interesse in
aumento. Mentre siamo abbastanza certi che la crescita globale ne soffrirà, l’effetto sui corsi
azionari delle aziende americane che hanno sbocchi esterni è incerto.
La realizzazione delle politiche annunciate dipendono dal favore del Congresso USA che vorrà
analizzare gli effetti sul tanto difeso “tetto al debito”.
Per l’Europa le cose si mettono male in quanto in assenza di un intervento fiscale siamo sempre nelle
mani delle cartucce, ormai spuntate, della BCE: potrà evitare il collasso ma anche con azioni forti, in
mancanza di fiducia economica e non solo, poco potrà fare per rimettere in moto l’economia e
sostenere il debito dei paesi più deboli.
Il cambio Euro/USD, anche in presenza di una continuazione del QE, potrebbe fare un’altra gamba al
ribasso dopo un lungo periodo di stasi, anche se di fronte alle politiche protezionistiche meno potrà
fare per supportare il famigerato export Europeo che è stato l’unico elemento di crescita dalla crisi
del 2008.
Dovrebbero soffrire anche i mercati emergenti visto l’aumento dei tassi di interesse USA, il
protezionismo e la concorrenza in campo energetico che il presidente Trump vuole mettere in atto.
Giuseppe Distefano
CIO - Alessia
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https://www.donaldjtrump.com/press-releases/trump-delivers-speech-on-jobs-at-new-york-economic-club
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