MARX - REVISIONE

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KARL MARX
(1818 – 1833)
1. La vita
Nasce a Treviri da una famiglia ebrea non praticante nel 1818.
Studia giurisprudenza a Bonn e poi a Berlino, dove viene in
contatto con i giovani hegeliani, passa a filosofia e si laurea con
una tesi sulla Differenza fra la filosofia e di Epicuro e quella di
Democrito. La tesi si conclude con una esaltazione di Prometeo.
Il mito di Prometeo è l’esaltazione dell’uomo che fa a meno di
Dio, che si oppone a Dio, che fa le beffe a Dio. Il prometeismo ci
richiama la particolare caratteristica dell’ateismo di Marx: è un
ateismo positivo, o, se vogliamo, un umanesimo assoluto, che
può essere espresso dalla formula “solo l’uomo esiste”
(l’ateismo “negativo” è quello che parte dall’affermazione che
“Dio non esiste” o che l’uomo non può credere perché troppo grande è il male). Per Feuerbach
e Marx l’ateismo è condizione per la piena realizzazione dell’uomo e la religione è il frutto di un
meccanismo di alienazione. Tale ateismo è l’esito ultimo della mentalità sorta con l’epoca
moderna che ha iniziato a considerare Dio come un ostacolo alla realizzazione dell’uomo. “Ciò
che è dato a Dio è tolto all’uomo”, scriveva Feuerbach: Marx riprende questo concetto, anche
se interpreta in modo diverso la causa dell’alienazione.
Non trovando spazio all’università si dedica al giornalismo politico divenendo caporedattore
della Gazzetta renana. In questi anni abbiamo la fondamentale esperienza del contatto con gli
operai, con la recente industrializzazione e le sue devastanti conseguenze sociali. Questo è
l’altro abbrivio (dopo quello “filosofico” del marxismo: un senso profondo dell’ingiustizia
sociale. Dopo la chiusura del giornale da parte del governo prussiano (1843) si trasferisce a
Parigi e qui pubblica “Per la critica della filosofia del diritto di Hegel” ; stringe poi amicizia con
Engels che gli sarà sempre vicino. Espulso dalla Francia vive a Bruxelles dove matura il distacco
dalla Sinistra hegeliana e da Feuerbach, di cui sono testimonianza le opere La sacra famiglia, le
Tesi su Feuerbach e L’ideologia tedesca. La Miseria della filosofia rappresenta invece il polemico
distacco da Proudhon. Nel 1848 pubblica con Engels il Manifesto del partito comunista. Nel 1850
emigra a Londra dove resta, conducendo una vita di stenti, fino alla fine della vita, con la moglie
Jenny e una numerosa famiglia, aiutato da Engels. Si dedica intanto agli studi di economia (Per
la critica dell’economia politica) e inizia la stesura del Capitale. In questi anni inoltre la sua vita è
ormai indissolubilmente legata alle vicende del movimento operaio internazionale, attraverso la
partecipazione ai lavori della prima internazionale. Muore nel 1883.
2. L’antropologia di Marx
Il punto di partenza della filosofia di Marx è una particolare risposta alla domanda “Che cos’è
l’uomo”. In Marx non c’è solo un metodo di spiegazione della realtà, ma una completa visione
dell’uomo: l’analisi della realtà e il metodo rivoluzionario derivano da una precisa filosofia, che
si forma nella critica da un lato di Hegel, dall’altro di Feuerbach.
La critica che Marx muove a Feuerbach è di essere ricaduto in una idea astratta dell’uomo,
inteso come individuo. Per Marx non esiste una essenza umana astratta, sempre uguale e se
stessa, dentro ai singoli individui. Scrive nella VI tesi: “Feuerbach risolve l’essenza religiosa
nell’essenza umana. Ma l’essenza umana non è qualcosa di astratta che sia immanente
all’individuo singolo. Nella sua realtà essa è l’insieme dei rapporti sociali.” Troviamo la
definizione dell’uomo come insieme dei rapporti sociali. Tale affermazione reca un carattere
rivoluzionario in quanto nega radicalmente tutta la precedente tradizione greco-cristiana,
fondata sull’idea dell’anima come ciò che da consistenza ultima alla persona. Socrate, Platone,
Aristotele, S.Agostino e S.Tommaso avevano affermato che la realtà vera dell’uomo non risiede
nei rapporti esteriori ma nella sua interiorità. “Conosci te stesso”, diceva Socrate. “Noli foras
ire, sed in te ipsum redi; in interiore hominis habitat veritas; et si te ipsum mutabilem inveneris,
trascende et te ipsum”: la verità è dentro l’uomo, ma non è prodotta dall’uomo, creata
dall’uomo, è una verità che l’uomo trova dentro di sé. In questa concezione di persona l’io, Dio
e il mondo rappresentano una strutturale unità. E’ proprio questa dimensione personale che
costituisce la dignità dell’uomo: non il fatto di avere un corpo, né di appartenere a una società,
ma la sua interiorità, la sua ragione che è fondamentalmente apertura a qualcosa di più grande.
Su questa concezione si fonda l’idea della libertà della persona e della sua irriducibilità a ogni
contesto sociale e statale. quando Marx dice che l’uomo è l’insieme dei rapporti sociali non dice
semplicemente che l’uomo è un essere per sua natura sociale (uno zoon politikon, come diceva
Aristotele, e come riprendono S.Agostino e S.Tommaso): dice che l’uomo è solo un essere
sociale, che la socialità esaurisce l’essenza umana.
3. Il materialismo storico dialettico
Come viene concepito dunque questo uomo? Per Hegel era stato un predicato dell’idea, per
Feuerbach, che aveva criticato l’astrattezza dell’hegelismo, un essere materiale. La concezione
marxista della realtà risulta dalla fusione di questa due componenti: la dialettica hegeliana e il
materialismo feuerbachiano. Marx tuttavia, pur riconoscendo i meriti di Feuerbach, non si
accontenta di dire “materia”, e perciò muove a Feuerbach delle critiche che riguardano
principalmente questo punto. Cfr. tesi 1 F.intende la materia come qualcosa che è sempre
identico a se stesso e l’uomo come un ente individuale, naturale. A questo materialismo
ingenuo Marx vuole contrapporre un materialismo storico dialettico. Per Marx la struttura vera
della realtà, che in ultima istanza è la causa prima di tutto, non è una materia generica, uguale in
ogni epoca storica; la struttura è l’insieme dei rapporti sociali, di produzione, che sono diversi
nelle varie epoche storiche. La molla di tutto non è una generica materia, ma è l’insieme dei
rapporti sociali, l’insieme dei rapporti di produzione. “la morale, la religione, la metafisica e ogni
altra forma ideologica e le forme di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano che
la parvenza dell’autonomia. Esse non hanno storia, non hanno sviluppo, ma gli uomini, che
sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali, trasformano, insieme con
questa loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non è la coscienza
dell’uomo che determina la sua maniera di essere, ma è, al contrario, la sua maniera di essere
sociale che determina la sua coscienza” (da l’Ideologia tedesca): l’insieme dei rapporti di
produzione e delle forze produttive, cioè la struttura economica della società, è la base reale,
fondamentale, la struttura, su cui è impiantata una sovrastruttura giuridica, politica,
intellettuale o “ideologica”. E’ evidente come questa concezione si riallacci all’hegelismo e alla
sua concezione totalmente immanentista e storicista. Tale struttura, cioè l’insieme dei rapporti
di produzione, non è atemporale ed eterna, ma storica, segue perciò uno sviluppo dialettico,
che è la mola dello sviluppo storico. Ne emerge la visione della storia come storia di lotta di
classe, in cui nuove forze produttive sono presenti in classi sociali in ascesa, che combattono
contro una classe dominante al tramonto.
4. La religione e l’alienazione
Da questo deriva una diversa concezione della religione. La filosofia di Marx si radica nella
critica alla religione della sinistra hegeliana. “Ma l’uomo non è un essere astratto che vaga fuori
dal mondo, L’uomo non è altro che il mondo dell’uomo, lo Stato, la società. Questo stato,
questa società producono la religione, che è una conoscenza capovolta del mondo”.
Cfr. tesi 4 e 7
L’alienazione religiosa non è perciò il frutto di un meccanismo di tipo psicologico, di una
rappresentazione mentale inadeguata, ma di una realtà sociale di sfruttamento. La religione è
oppio dei popoli, sovrastruttura atta ad impedire che l’uomo affronti le proprie reali condizioni
di sfruttamento, proiettando altrove il suo desiderio di una piena realizzazione. Il punto allora
non è preoccuparsi di modificare la rappresentazione mentale, ma di eliminare le condizioni di
sfruttamento che sono alla radice. L’alienazione è una fatto reale, conseguenza dello
sfruttamento (del meccanismo del plusvalore che toglie all’uomo ciò che più gli è proprio, il suo
lavoro”). La sinistra hegeliana è rimasta prigioniera di una concezione astratta dell’uomo, e la
sua filosofia è rimasta perciò sterile. Un’ideologia che, lasciando tutto così com’è, è
ultimamente al servizio delle classi dominanti. Così scrive Marx nella Introduzione alla critica
della filosofia del diritto di Hegel: “La critica della religione finisce con la dottrina per cui l’uomo
è per l’uomo l’essere supremo, dunque con l’imperativo categorico di rovesciare tutti i rapporti
nei quali l’uomo è un essere degradato, assoggettato, abbandonato, spregevole”.
5. La prassi
L’importante allora non è la riflessione filosofico-speculativa, ma la prassi.
Cfr. tesi 1,2 ecc…
Non ha senso secondo Marx parlare dell’uomo in generale: sono infatti le condizioni divita e di
lavoro che egli trova all’interno della propria società a determinarne la personalità e la
coscienza. Egli non può essere colto in modo immediato, indipendentemente dallo sviluppo
sociale e storico; l’essenza dell’uomo si specifica nelle sue relazioni lavorative ed economiche
con gli altri uomini, nella sua prassi materiale. Perciò è anch’egli una realtà dialettica, ed egli
agisce sulle circostanze stesse per modificarle. L’uomo è modificato dalle circostanze ma a sua
volta le modifica. A questo si collega l’idea stessa di rivoluzione, cioè di cambiamento delle
circostanze da parte dell’uomo.
“i filosofi hanno finora variamente interpretato il mondo, ora si tratta di cambiarlo. La prassi,
cioè il cambiamento rivoluzionario del mondo, è perciò il vero scopo della nuova filosofia.
Attraverso essa si giungerà alla soluzione dell’alienazione. “Anche la teoria diviene una forza
materiale non appena si impadronisce delle masse”. Questa prassi sgorga però naturalmente
dallo svolgimento storico. Il marxismo è da questo punto di vista la traduzione sociologica della
dialettica hegeliana del logos e ne conserva lo stesso senso di ineluttabilità.
L’ANALISI DELLA SOCIETA’
Premessa
Marx caratterizza il proprio socialismo come “scientifico” (contrapponendolo perciò al
socialismo “utopistico” o borghese). Ritiene infatti che esso muova da una precisa analisi della
società, e dalla scoperta, in essa, di precisi dinamismi, che non possono non portare ad una
certa evoluzione.
1) Distinzione fra valore d’uso e valore di scambio. Il valore d’uso corrisponde a uno specifico
bisogno umano. Ciò che caratterizza una merce è il suo valore di scambio, la possibilità cioè di
essere scambiato con un’altra merce. Il valore di scambio è ciò che permette di scambiare fra
loro entità eterogenee, è il quantum identico in cose diverse, per cui valgono la stessa quantità
di denaro.
2) Identità fra valore e lavoro. Perché cosa diverse valgono la stessa quantità di denaro? Perché
sono frutto della stessa quantità di lavoro. Più precisamente il valore è dato dalla quantità di
lavoro socialmente necessaria per produrlo. V=L
3) Il capitalista non paga all’operaio il suo lavoro, ma compra la sua forza lavoro (FL). Se ad
esempio l’operaio lavora 10 ore al giorno e in questo tempo trasforma un oggetto in merce che
vale, mettiamo 6 scellini, il suo salario non sarà uguale a quei sei scellini. Posto che per
riprodurre la forza lavoro di un operaio occorrano 3 scellini, questo sarà il salario di un operaio.
Nasce così il plusvalore, dato dalla differenza fra il lavoro e la forza lavoro. Il capitalista si è
appropriato di metà del lavoro dell’operaio, e ha posto le basi del suo guadagno, che altro non
è se non lavoro alienato all’operaio, che progressivamente va a formare il capitale.
4) Teoria dell’accumulazione capitalista e della miseria crescente che porta i capitalisti ad
essere sempre meno e sempre più ricchi e i proletari ad essere sempre più e sempre più poveri.
5) Lotta di classe e rivoluzione e dittatura del proletariato. Tutta la storia secondo Marx è
storia di lotta di classe: cioè la molla dell’evoluzione storica è il contrasto dialettico fra le classi,
per cui la classe sfruttata si trasforma in classe sfruttatrice. Così i servi della gleba, divenuti
borghigiani poi borghesi, si ribellano alla nobiltà (e allo stato assoluto), creando la moderna
società industriale, a cui corrisponde lo stato liberale. In seno alla società capitalista si forma
una nuova lotta di classe, fra proletari e capitalisti. Attraverso una rivoluzione che non può che
essere violenta il proletariato prenderà in mano tutti gli strumenti di produzione e, attraverso
l’abolizione della proprietà privata, creerà un proprio sistema di dominio, la dittatura del
proletariato, cioè uno stato più forte, che dovrà produrre l’abolizione della proprietà privata.
Ma questo non è lo stadio definitivo: essendo una classe universale il proletariato riuscirà poi a
generare una società nuova.
6) Società senza classi come meta di tutto il divenire storico, in cui ogni contraddizione sarà
tolta, in cui avrà termine ogni sfruttamento, in cui ognuno lavorerà secondo le proprie
possibilità e a ciascuno sarà dato secondo i propri bisogni.
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