24 settembre 2014
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Alimentazione
Glutine nemico dell’intestino?
Benedetta Callegari
Determinati alimenti o componenti
alimentari possono provocare reazioni
tossiche o allergiche.
L’etimologia del termine “intolleranza” indica
l’incapacità di sopportare, di tollerare: in seguito a
un’assunzione abbondante di un determinato alimento,
l’organismo “si ribella” perché non riesce a digerirlo
correttamente. Ecco il motivo per il quale l’intolleranza
è una reazione tossica dell’organismo, a differenza
dell’allergia (reazione non tossica) che non dipende dalla dose assunta.
La celiachia è una malattia provocata da un’intolleranza
permanente al glutine, una sostanza proteica che si trova in frumento, farro, kamut, orzo, segale, spelta e triticale. In minima parte è presente anche nell’avena, ma
per la maggior parte deriva dall’utilizzo di strumenti di
raccolta in comune con il frumento. I cereali che invece
non contengono glutine sono: riso, miglio, amaranto,
quinoa, grano saraceno e mais. Il glutine si trova principalmente negli alimenti, ma se ne trovano tracce anche nei prodotti di uso comune come farmaci, integratori, burro, cacao. La celiachia è una disfunzione permanente e può essere diagnosticata a qualsiasi età. Se la
persona che ne è affetta consuma un alimento contenente glutine, le pareti di rivestimento dell’intestino tenue si danneggiano e subiscono una riduzione della capacità di assorbire nutrienti essenziali quali grassi, proteine, carboidrati, minerali e vitamine. La celiachia è
anche maggiormente frequente tra le persone affette da
altre malattie genetiche, come per esempio la sindrome
di Down e la sindrome di Turner, una malattia che incide sullo sviluppo femminile.
I sintomi della celiachia variano da persona a persona. I
sintomi possono colpire l’apparato digerente oppure
altre parti dell’organismo; quelli collegati al tratto digerente sono più frequenti nei neonati e nei bambini piccoli e possono comprendere gonfiore e dolore addomi-
nale, dissenteria, vomito, costipazione, dimagrimento.
Un altro sintomo frequente nei bambini è l’irritabilità.
Il cattivo assorbimento delle sostanze nutritive, proprio
in quel periodo in cui la nutrizione è più importante per
la crescita e lo sviluppo normale del bambino, può dare
origine ad altri problemi, come per esempio difficoltà di
sviluppo nei neonati, ritardi nella crescita e bassa statura, ritardi nella pubertà e difetti dello smalto dentale nei
denti definitivi.
Gli adulti hanno meno probabilità di soffrire di sintomi
all’apparato digerente, ma possono soffrire anche di
uno o più dei sintomi seguenti: anemia sideropenica (da
mancanza di ferro), apparentemente inspiegabile, affaticamento, dolore alle ossa o alle articolazioni, artrite,
fragilità ossea o osteoporosi, depressione o ansia, formicolio e intorpidimento delle mani e dei piedi, convulsioni, assenza di mestruazioni, sterilità o aborti spontanei ricorrenti, stomatite aftosa nella cavità orale, eruzione cutanea pruriginosa (dermatite erpetiforme).
Le persone affette da celiachia potrebbero anche non
presentare alcun sintomo, ma, nel tempo, potrebbero
comunque sviluppare complicazioni, che sul lungo periodo comprendono: malnutrizione, problemi al fegato
e tumori dell’intestino.
I ricercatori stanno studiando i motivi per i quali la celiachia presenta sintomi così diversi a seconda del paziente.
La lunghezza dell’allattamento al seno, l’età in cui la
persona ha iniziato ad alimentarsi con cibi contenenti
glutine e la quantità di alimenti a base di glutine che
vengono assunti sono i tre fattori che sembrano influenzare il momento della comparsa della celiachia e le modalità con cui la malattia si presenta. Alcuni studi hanno
dimostrato, per esempio, che il protrarsi dell’allatta-
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sintomi da malnutrizione, anche se apparentemente si
alimenta con regolarità.
La celiachia può essere vista sia come una malattia di
malassorbimento sia come una reazione immunitaria
anomala al glutine. La celiachia si trasmette per via genetica, ossia può colpire i membri della stessa famiglia;
a volte questa malattia si scatena, o si manifesta per la
prima volta, dopo un intervento chirurgico, dopo la gravidanza o il parto, dopo un’infezione virale o uno stress
emotivo molto forte.
Per curare la celiachia, attualmente, non esistono cure
anche se si stanno mettendo a punto appositi farmaci.
Dunque l’unico modo è agire sull’alimentazione, escludendo dalla dieta alcuni dei cibi più comuni: pane, pasta, biscotti e pizza, ma anche le più piccole tracce di
farina da ogni piatto. La dieta senza glutine, se condotta
con rigore, è l’unica terapia che garantisce al celiaco un
perfetto stato di salute. Escludendo questa sostanza dalla dieta, l’intestino si ripara gradualmente e i sintomi
scompaiono.
Sono in corso ricerche per individuare l’esatta natura e
sequenza degli aminoacidi del glutine che determinano
la celiachia e, in futuro, queste conoscenze potrebbero
costituire la base per l’applicazione della biotecnologia
allo sviluppo di cereali che non causano intolleranza.
L’alimentazione senza glutine non è solo un limite o una
rinuncia continua – come potrebbe sembrare – dal
momento che ci sono tanti alimenti privi di glutine che
da sempre fanno parte dell’alimentazione mediterranea
e che possono essere un valido spunto per piatti semplici e particolari per tutti, celiaci e non.
Le diverse specie di grano presentano un contenuto di
glutine estremamente variabile, pertanto non tutte le
varietà sono ugualmente tossiche per i celiaci. Le varietà di grano di oggi, a differenza delle prime a essere state coltivate dall’uomo, hanno una quantità di glutine
maggiore e, contemporaneamente, presentano maggiore tossicità nella celiachia. Si è, quindi, proposto di utilizzare grani ancestrali per la preparazione di cibi per
celiaci. Il principale ostacolo per la realizzazione di cibi
tollerati dai celiaci, sfruttando questo approccio, consiste nelle caratteristiche merceologiche della farina ottenuta da questi cereali, che non è idonea per la produzione di pasta e pane. Una risposta a questi problemi
viene dall’adozione delle Pratiche di buona fabbricazione (o Gmp, Good manufacturing practices), compresa
l’adozione dei sistemi di Analisi dei rischi e punti critici
di controllo (Haccp, Hazard analysis critical control
mento al seno farebbe ritardare la comparsa dei sintomi
della celiachia.
I sintomi variano anche in base all’età del paziente e da
quanto è stato danneggiato l’intestino tenue. Molti adulti sono colpiti dalla malattia per un decennio o più,
prima che la celiachia sia diagnosticata. Più tempo passa prima della diagnosi e della cura, maggiori sono le
possibilità che si presentino complicazioni sul lungo periodo.
Riconoscere la celiachia può essere difficile perché alcuni dei suoi sintomi sono simili a quelli di altre malattie. La celiachia può essere scambiata per sindrome del
colon irritabile, per anemia da carenza di ferro causata
dal ciclo mestruale, per infiammazione dell’intestino,
per diverticolite, per infezione intestinale o per la sindrome da stanchezza cronica. La conseguenza è che la
celiachia può essere sottovalutata o scambiata per
un’altra malattia anche per molto tempo.
Le diagnosi di celiachia sono in rapido aumento, perché
i medici sono più consapevoli dell’estrema varietà dei
sintomi della malattia e ora hanno a disposizione tecniche di analisi del sangue più affidabili.
Le persone affette da celiachia presentano livelli più alti
del normale di determinati autoanticorpi nel sangue.
Per diagnosticare la celiachia si determina quindi la
presenza di anticorpi antitransglutaminasi tissutale o
antiendomisio. Se i risultati delle analisi sono negativi,
ma si sospetta ancora la presenza della celiachia, potrebbero essere necessarie ulteriori analisi.
Prima delle analisi occorre continuare a seguire una
dieta che includa alimenti contenenti glutine, come pane e pasta.
Se si smettesse l’assunzione di alimenti contenenti glutine prima delle analisi, i risultati potrebbero essere falsati, anche se si fosse celiaci a tutti gli effetti.
Se le analisi del sangue e i sintomi fanno propendere
per la diagnosi di celiachia, è eseguita una gastroscopia
con biopsia dell’intestino tenue per confermare la diagnosi. Nel corso della biopsia, il chirurgo asporta piccole porzioni di tessuto dall’intestino tenue per controllare
se i villi sono danneggiati.
Quando le persone affette da celiachia assumono alimenti o usano prodotti che contengono glutine, il loro
sistema immunitario reagisce danneggiando o distruggendo i villi intestinali. I villi, di solito, consentono
l’assorbimento delle sostanze nutritive che, attraversando la parete dell’intestino tenue, finiscono nel sangue. Se i villi non funzionano bene la persona manifesta
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points), che comportano una stretta collaborazione con
i fornitori di materie prime e altri anelli della filiera alimentare. La corretta preparazione delle ricette e i controlli garantiscono che il prodotto alimentare contenga
soltanto gli ingredienti specificati in etichetta. Sono inoltre adottate precauzioni per impedire le contaminazioni crociate durante lo stoccaggio delle materie prime,
la manipolazione e la lavorazione degli alimenti, soprattutto quando gli stessi impianti sono usati per alimenti
diversi.
In base alla legislazione europea, non esistono disposizioni alimentari specifiche che prevedono la necessità di
indicare in etichetta i potenziali allergeni; la norma generale impone che tutti gli ingredienti aggiunti all’alimento debbano essere indicati nella lista degli ingredienti riportata sul prodotto. Per i prodotti privi di
glutine è spesso presente il simbolo della spiga sbarrata.
Il problema è che l’iscrizione al prontuario per celiaci è
volontaria e non obbligatoria quindi è sempre molto
importante leggere attentamente l’etichetta per compiere scelte informate al supermercato o quando si mangia
fuori casa.
Di propria iniziativa, alcuni produttori e commercianti
dichiarano già nella lista degli ingredienti gli allergeni
più rischiosi anche se presenti in piccolissime quantità.
Sono inoltre riportate diciture del tipo “può contenere”
su prodotti in cui possono essere accidentalmente presenti tracce potenziali di glutine. Tuttavia, in risposta
alle ripetute richieste dei consumatori circa una migliore informazione sugli alimenti che acquistano, la Commissione ha emesso una proposta di emendamento della Direttiva 2000/13/EC sull’etichettatura dei cibi.
Per la maggior parte dei pazienti, la dieta farà scomparire i sintomi, curerà i danni intestinali precedenti e potrà prevenire peggioramenti. I miglioramenti cominceranno dopo pochi giorni dall’inizio della dieta.
L’intestino tenue di solito guarisce in un periodo che va
dai tre ai sei mesi nei bambini, ma potrebbe impiegare
diversi anni nel caso degli adulti. La guarigione dell’intestino significa che i villi intestinali ritorneranno ad
assorbire le sostanze nutritive dagli alimenti e le trasferiranno correttamente nel sangue.
Per stare in salute, le persone celiache devono evitare il
glutine per tutto il resto della vita. Anche una piccola
quantità di glutine può danneggiare l’intestino tenue. Il
danno si verificherà in tutti coloro che sono affetti dalla
malattia, comprese le persone che non presentano sintomi evidenti. A seconda dell’età al momento della dia-
gnosi, alcuni problemi non miglioreranno, come per esempio la bassa statura e i difetti nello smalto dentale.
Alcune persone celiache non migliorano, anche se seguono una dieta senza glutine. Il motivo più frequente
per la scarsa efficacia della dieta è che vengono ancora
assunte piccole quantità di glutine. Tra le fonti di glutine nascoste troviamo gli additivi, come l’amido modificato, i conservanti e gli stabilizzanti a base di frumento.
Molti alimenti a base di cereali e di riso sono prodotti in
aziende che fabbricano anche prodotti a base di grano,
quindi possono essere contaminati con il glutine presente nel grano.
In casi rari, il danno all’intestino continuerà a manifestarsi, nonostante una dieta del tutto priva di glutine. Le
persone affette da questa malattia, nota come celiachia
refrattaria, hanno danni gravi all’intestino che non possono essere curati, di conseguenza il loro intestino non
assorbe sufficienti sostanze nutritive che devono essere
somministrate direttamente nel sangue, per via endovenosa.
La celiachia è attualmente una condizione che non può
essere prevenuta. Poiché, comunque si tratta di una patologia multifattoriale, la cui patogenesi ha una componente genetica e una ambientale, è stato ipotizzato che
la modulazione del momento dell’introduzione del glutine durante lo divezzamento possa influenzare lo sviluppo della celiachia.
Una recente meta-analisi dei lavori pubblicati in letteratura, ha concluso che il rischio di sviluppare celiachia è
ridotto, di circa la metà, se la prima introduzione del
glutine durante il divezzamento avviene quando il bambino è ancora allattato al seno e che vi è una correlazione inversa tra la durata dell’allattamento e il rischio di
sviluppare celiachia. Riguardo all’età di introduzione
del glutine nello schema di divezzamento, l’European
society of pediatric gastroenterology, hepatology and
nutrition (Espghan) raccomanda di introdurre il glutine
per la prima volta tra i 4 e i 7 mesi di età. Questa forbice
di età, infatti, da una parte assicura una maggiore possibilità che il bambino sia ancora allattato al seno e una
maggiore efficacia dei meccanismi di induzione della
tolleranza orale nella mucosa intestinale, dall’altra
un’adeguata maturazione e integrità della mucosa intestinale.
La prevalenza della celiachia sia nei bambini che negli
adulti è stimata intorno al 10% per cui, se si considera
che la popolazione in Italia raggiunge i 60.340.328 significa che in teoria il numero dei celiaci si aggira intor-
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no a 6.000.000 contro i 122.482 effettivamente diagnosticati e censiti. Ogni anno le Regioni e le Province autonome, ai sensi dell’art. 6 della legge 4 luglio 2005, n.
123, forniscono al Ministero della Salute i dati provenienti dal proprio territorio di competenza e il Ministero a sua volta provvede alla loro elaborazione.
La distribuzione della malattia celiaca è omogenea
all’interno della popolazione, ma varia in maniera molto
consistente all’interno di ciascuna Regione/Provincia
autonoma a causa della diversa densità di popolazione.
Le Regioni che ospitano più celiaci sono ancora Lombardia, Lazio e Campania registrando rispettivamente il
15,3%, l’11,2% e l’11%.
Dai dati raccolti si confermano le proporzioni maschi/femmine della celiachia all’interno della popolazione. Dai dati pervenuti nel 2010 risulta, infatti, che i
maschi celiaci sono 35.824 contro le femmine celiache
che invece risultano 86.477, molto più del doppio. Questo dato è prevedibile visto che la celiachia è una malattia con una componente autoimmune, ossia mediata da
fattori ormonali che ne regolerebbero l’insorgenza e per
i quali si svilupperebbe maggiormente nelle donne.
I dati pervenuti sono stati analizzati anche per fasce di
età. La fascia di età più colpita risulta quella dai 10 anni
in su con 104.081 celiaci del 2010 contro i 90.234 del
2009; occorre tuttavia considerare che, con molta probabilità, è anche quella che maggiormente si sottopone
alle indagini diagnostiche. Questo dato confermerebbe
anche il fatto che le diagnosi in età adulta sono ancora
le più numerose.
Stockinger S. et al., 2011. Cellular and molecular life
sciences, 68 (22), 3699-712.
Benedetta Callegari, tecnologo alimentare, lavora nell’ambito
della divulgazione e dell’educazione.
www.intersezioni.eu
Riferimenti bibliografici
Legge 4 luglio 2005, n° 123. Norme per la protezione
dei soggetti malati di celiachia.
McNeish A. S., Harms H. K., Rey J., Shmerling D. H.,
Visakorpi J. K., Walker-Smith J. A., 1979. The diagnosis
of coeliac disease. A commentary on the current practices of members of the European society for paediatric
gastroenterology and nutrition (Espgan). Archives of
Disease in childhood, 54:783-6.
Ministero della salute, Dipartimento per la Sanità pubblica veterinaria, la nutrizione e la sicurezza degli alimenti, Direzione generale della sicurezza degli alimenti
e della nutrizione, 2010. Relazione annuale al Parlamento sulla celiachia.
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