La civiltà egizia - FDA Didattica per le materie letterarie

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La civiltà egizia
Con l’espressione Antico Egitto si intende la civiltà sviluppatasi in quella sottile striscia di terra fertile che si
distende lungo le rive del Nilo a partire dalle sue cateratte al confine col Sudan fino allo sbocco nel Mediterraneo,
e riconosciuta come entità statale a partire dal 3300 a.C. fino al 31 a.C., quando questa fu conquistata dai
Romani.
Le tracce di insediamenti lungo il Nilo sono molto antiche e si calcola che l'agricoltura (in particolare la
coltivazione di grano e orzo) abbia fatto la sua comparsa in quelle regioni intorno al 6000 a.C.. In tal senso l’Egitto
è tra le prime civiltà fluviali, sviluppatesi cioè lungo il corso di grandi fiumi. Oltre al Nilo, il Tigri e l’Eufrate, l’Indo e
lo Huang He (fiume Giallo).
Le quattro civiltà fluviali
Proprio la presenza del fiume, che rende possibile la vita in una regione peraltro desertica, è il motore primo
del precoce nascere della civiltà urbana e del suo persistere per quasi tremila anni. Le acque del Nilo, con le loro
piene annuali, non portano solo fertilità, ma anche distruzione se non vengono costantemente controllate,
imbrigliate, incanalate, conservate per i periodi di siccità; ed è proprio da questi elementi che nasce la necessità di
uno stato organizzato, che garantisca la manutenzione di quelle strutture da cui dipende la sopravvivenza di tutti.
La necessità di avere una struttura statale per la gestione delle opere (dighe e canali) collegate con le
acque del Nilo, ha portato alla formazione di uno dei primi stati della storia, nel 3300 a.C. Questa esigenza fece sì
che le tribù nilotiche imparassero a vivere prima sotto l'autorità di capi locali (fase della formazione dei distretti o
nomoi [sing. nomos] ). I vari nomoi si scontrarono e si allearono tra loro, nell'arco di circa un millennio, fino a
formare due regni, l'Alto Egitto al sud (costituito dalla parte meridionale della valle del Nilo) ed il Basso Egitto al
nord (costituito principalmente dal delta del fiume), che vennero unificati nel 3000 a.C. in un solo impero da Menes
(da identificarsi probabilmente con il sovrano Narmer), re dell'Alto Egitto, che inaugurò le trenta dinastie di regnanti
dell'antico Egitto.
L'antico Egitto raggiunse l'apice della sua potenza ed estensione territoriale nel periodo chiamato Nuovo
Regno (1567 a.C.-1085 a.C.), quando i confini dell'impero andavano dalla Libia all'Etiopia al Medio Oriente.
L'antico Egitto conobbe anche momenti di debolezza e di frammentazione del potere come avvenne nei tre Periodi
Intermedi, nel secondo dei quali l'Egitto cadde sotto il controllo dei dominatori detti Hyksos.
La storia egiziana è suddivisa in differenti periodi. Le date degli eventi sono ancora oggetto di studio. Molte
di esse sono state ricavate sulla base di dati storici, archeologici e astronomici. Sin dall'antichità non mancarono
del resto diversi cataloghi scritti delle dinastie che si susseguirono in Egitto.
Uno schema sintetico fornisce gli estremi di riferimento cronologici essenziali
Periodo predinastico
precedente al 3200 a.C.
Periodo arcaico
I - II dinastia (3150 a.C. - 2700 a.C.)
Antico Regno
III - VI dinastia (2700 a.C. - 2160 a.C.)
Primo periodo intermedio
VII - X dinastia (2160 a.C. - 2055 a.C.)
Medio Regno
XI - XII dinastia (2055 a.C. - 1790 a.C.)
Secondo periodo intermedio
XIII - XVII dinastia (1790 a.C. - 1540 a.C.)
Nuovo Regno
XVIII - XX dinastia (1530 a.C. - 1080 a.C.)
Terzo periodo intermedio
XXI - XXV dinastia (1080 a.C. - 672 a.C.)
Periodo tardo
XXVI - XXX dinastia (672 a.C. - 343 a.C.)
L’Egitto nel Regno Antico
Con Periodo predinastico dell'Egitto si intende la fase precedente alla formazione dello stato unitario
egiziano. La fase comincia indefinitamente nella preistoria e arriva fino al 3100 a.C.: il paese, come già detto, è in
questa fase suddiviso nei due regni del Basso Egitto e Alto Egitto.
Le prime comunità agricole si stabiliscono presto nel Delta del Nilo e nell'oasi del Fay(y)um, subendo nel
Basso Egitto un'eccezionale sviluppo, che porta, dalla metà del V millennio, alla nascita delle prime città. Secondo
alcuni studiosi, lo sviluppo delle attività legate all'agricoltura ha permesso un'enorme crescita demografica;
secondo altri, invece, è la crescente pressione demografica a portare ad uno sviluppo dell'agricoltura. Nel
medesimo periodo aumenta anche la ricerca delle risorse minerarie del Medio e dell'Alto Egitto, soprattutto oro, da
parte di coloni che adorano già gli dei Osiride e Horo, provocando al contempo un conflitto con le popolazioni
meridionali che adorano Seth.
A prevalere sono gli adoratori di Horo; si forma così un primo nucleo di regno, con capitale la città di
Nekhen o Ieraconpoli. L'Egitto è ora diviso in Alto e Basso Egitto, due regni distinti e separati.
Con periodo arcaico o periodo Thinita (dal nome della città di Thinis, forse mutuato sul culto della dea Tanit,
probabile città natale dei primi sovrani, Narmer compreso, e capitale della prima nazione egizia unitaria per poco
tempo prima del trasferimento a Menfi) si intende l'arco di tempo coperto dalle prime due dinastie egizie.
Il re dell'Alto Egitto adorava la dea avvoltoio Nekhbet e veniva raffigurato con un'alta corona bianca. Il
Basso Egitto aveva come capitale Buto; il sovrano adorava la dea cobra Uto e cingeva una corona rossa,
caratteristica di una dea del delta, Neith. Secondo le antiche leggende l'Alto Egitto, guidato dal dio Horo, sottomise
il Basso Egitto, unificando tutto il territorio. Il sovrano del regno del Sud assunse da allora nella sua persona i
simboli di entrambi i poteri e cinse la doppia corona.
La tradizione attribuiva il merito dell'unificazione dei due regni a Menes, identificato col faraone Narmer. Il
nome di Narmer fu il primo ad apparire in un serej, uno dei simboli più antichi della regalità. L'unificazione fu
ottenuta con una sola battaglia; il processo fu lento e comportò prima l'unificazione culturale, e solo più tardi quella
politica. L'unificazione dei due regni fu il prodotto di numerose battaglie, come dimostrano le diverse tavolozze del
periodo predinastico che sono giunte fino a noi. I nemici non erano solo gli abitanti del Delta, ma si combatteva
anche contro le tribù beduine o i Nubiani.
Una volta conseguita la vittoria, l'Egitto stabilì la propria capitale a Menfi, una città nuova, che sarebbe stata
fondata dal successore di Narmer. Il nuovo Stato adottò simboli dei due regni, unì le due corone e fece del
serpente e dell'avvoltoio le due divinità protettrici del faraone. Narmer fu sepolto nell'Alto Egitto, nella necropoli
reale di Abido.
In questo periodo storico compaiono le tombe a mastaba, ossia coperte da una struttura a forma di tronco
di piramide che sovrasta la camera funeraria.
Scarse sono le notizie sugli avvenimenti storici del periodo; alcune iscrizioni lasciate in occasione di
spedizioni militari sono la prova dell'interesse per la regione del Sinai. Con maggior sicurezza abbiamo notizie sui
traffici commerciali con la città fenicia di Byblos, grazie al ritrovamento in questa città di resti di stoviglie con
iscrizioni geroglifiche. Già in epoca arcaica l'Egitto importa da Byblos i tronchi di cedro usati nelle costruzioni.
Dal punto di vista archeologico di questo periodo ci rimangono soprattutto sepolture, quasi sempre
saccheggiate, e frammenti di statue, stele e false porte provenienti da cappelle funerarie. Per quanto riguarda
invece le strutture civili (abitazioni, palazzi) non rimane praticamente nulla, soprattutto per la deperibilità dei
materiali utilizzati (mattoni di fango, legno, canne)
.
Sezione di una mastaba
Fin dalle prime dinastie il re si afferma quale dio in terra, con la precisa funzione di conservare l'ordine, il
sistema, anche cosmico, che da lui dipende. Da qui deriva il regime faraonico, autocratico per diritto divino, che
accentra ogni funzione dello stato sul re e che, sia pure con alternative e variazioni, si mantenne tale sino alla fine
della civiltà egiziana. L'affermazione del dogma faraonico ha la sua massima espressione nell'Antico Regno e
precisamente nella IV dinastia, quando possiamo prendere a simbolo della straordinaria autorità regale e
dell'accentrato interesse sociale sul faraone le piramidi, cioè i monumenti funerari dei faraoni di quella dinastia:
Cheope, Khefren e Micerino.
Cheope fu il secondo faraone della IV dinastia e il grande artefice dell'unificazione territoriale e di un
periodo di notevole prosperità per l'Egitto. Le notizie sulla sua vita e sul suo regno sono peraltro contraddittorie:
infatti, secondo la tradizione, tramandataci dalla storiografia greca antica, Cheope fu un faraone crudele e
spietato; i testi a lui contemporanei, invece, ce lo descrivono come un riformatore, capace di accrescere il potere
reale.
In ogni caso, durante il suo regno, Cheope avviò all'interno del paese numerose riforme, destinate ad
accrescere il suo potere. Affrontò innanzitutto il riordino dell'amministrazione dello Stato ponendovi a capo il visir
che in questo modo assunse un ruolo di primissimo piano, ben al di sopra di tutti gli altri funzionari statali e molto
vicino alla famiglia reale: il faraone ottenne così, come primo risultato, quello di aumentare il controllo su tutti i
funzionari. In ambito religioso, limitò i privilegi dei sacerdoti e dei templi, scegliendo, inoltre, i sommi sacerdoti
delle principali divinità tra i membri della sua famiglia. In politica estera, il suo regno fu caratterizzato dalla
convivenza pacifica con i popolo vicini; le uniche spedizioni al di fuori dei confini del Regno, verso il Sinai e la
Nubia, furono effettuate con il scopo di approvvigionarsi di minerali.
Per preparare il suo passaggio nell'oltretomba, diede l'avvio alla costruzione di una monumentale opera,
che finì per oscurare tutte le altre: nacquero così la Grande Piramide e il complesso funerario che la circonda,
destinato ad accogliere parenti e funzionari.
Il fatto più noto relativo a questo periodo è proprio la costruzione delle piramidi, imponenti monumenti
funebri dei sovrani di questo periodo storico.
La piramide fu, molto probabilmente un'evoluzione della mastaba, infatti quella che è considerata la più
antica tra esse, la piramide a gradoni di Djoser non è altro che una serie di mastabe sovrapposte.
Le piramidi più famose sono le tre di cui non venne mai persa la memoria a causa delle loro dimensioni,
queste sono i monumenti funebri di Cheope, Khefren (che comprende anche la Sfinge) e Micerino. La piramide di
Cheope, detta anche Grande Piramide, venne considerata già dagli antichi una tra le sette meraviglie del mondo.
Ormai tramontata la teoria, dovuta più che altro ai racconti di Erodoto, dell'utilizzo di migliaia di schiavi
catturati in battaglia, per la costruzione delle piramidi è ormai abbastanza accettato da tutti gli studiosi che queste
costruzioni siano state erette da operai specializzati, che vivevano nei pressi, aiutati durante la stagione
dell'inondazione (periodo dell'anno in cui il Nilo allagava i campi rendendo impossibili i lavori agricoli) da contadini
che, si dice, provenissero da tutto l'Egitto.
Complessivamente si contano più di cento piramidi, tra grandi e piccole, sebbene solo una piccola parte sia
tuttora in discrete condizioni.
Nelle sepolture risalenti a questo periodo sono stati rinvenuti i primi esempi di tecnica di imbalsamazione.
Secondo un racconto popolare conservatoci nel cosiddetto Papiro Westcar, i primi tre re della V dinastia
sarebbero stati figli della moglie di un sacerdote di Ra, il dio solare di Eliopoli, e dello stesso dio Ra: seppure coi
colori della novella popolare, il testo è interessante e altri elementi documentari confermano che realmente
l'avvento della V dinastia segna un cambiamento, una crisi anche religiosa che si presenta con lo spostare
l'importanza sul dio di Eliopoli e con l'edificazione di templi "solari" dei quali l'elemento principale è un obelisco su
una piattaforma.
Un ulteriore mutamento dinastico portò il faraone Teti sul trono, iniziando così la VI dinastia, ultima
dell'Antico Regno.
In questo periodo grandi spedizioni commerciali e militari furono inviate in Nubia e in Libia, mentre i rapporti
con l'Asia restarono assai limitati, eccetto quelli con Byblos, e non ebbero comunque scopi imperialistici ma si
limitano a scambi commerciali. Dal commercio esterno arrivava in Egitto dalla Nubia l'oro, con avorio e altri
prodotti esotici, dal Sinai rame in grande quantità, mentre le spedizioni commerciali in Fenicia procuravano
legname, specialmente legno di cedro.
Il desiderio d'indipendenza della nobiltà porta a un decentramento del potere, e alla provincializzazione che
caratterizzano ciclicamente i momenti di crisi del potere faraonico. Alla fine della VI dinastia, col lunghissimo regno
di Pepi II, termina l'Antico Regno: allora in Alto Egitto sorge una potente nobiltà provinciale, le terre che erano
state unicamente proprietà regale vengono frazionate, sempre più larghi privilegi sono consessi ai templi e ai
sacerdoti mentre le risorse della cassa regia si esauriscono. Si arriva così al periodo turbolento, uno dei più oscuri
della storia egiziana, che è il Primo periodo Intermedio, scarso di testimonianze contemporanee e che giunge fino
alla X dinastia.
Alla fine del primo Periodo intermedio, essendo le province tornate alla condizione di piccoli stati
indipendenti, si formano dinastie di principi locali, con diritto ereditario al potere, che datano i monumenti coi loro
anni, reclutano truppe, e non esitano ad assumere titoli e prerogative reali. La fine di questo periodo è
particolarmente felice per la società, nella quale torna sovrana la giustizia, tanto a lungo elogiata dai monarchi
dell'Antico Regno.
Verso il 2040 a.C. finisce il primo Periodo Intermedio: il principe Mentuhetep riesce a riunire l'Egitto sotto il
proprio potere e diventa fondatore dell'XI dinastia: nessun dubbio che lui e i suoi successori abbiano dovuto
penare per riorganizzare l'Egitto, ostacolati dalle tendenze indipendentistiche radicatesi nei nomarchi provinciali,
ma alla fine i nuovi sovrani riescono a controllare l'intero paese e a ottenere un concentramento del potere politico
a Tebe, la nuova capitale. Nella riconquistata unità nazionale, l'Egitto è in grado di riprendere il controllo in Libia e
in Nubia, sfrutta di nuovo le sue risorse minerarie e riallaccia il commercio con la Siria. L'ultimo sovrano della XI
dinastia è soppiantato dal suo visir, Amenemhat, che con il nome di Amenemhat I inizia la XII dinastia, con cui si
apre il Medio Regno.
La nuova dinastia s'impone ai sudditi, (priva com'è di legittimi diritti al trono non può appoggiarsi infatti su
diritti divini), con argomenti umani, utilizzando abilmente una propaganda capillare condotta anche attraverso testi
letterari. L'avvento del fondatore della dinastia è presentato, in un testo letterario, ispirato alla stessa volontà
regale, la cosiddetta Profezia di Neferty, come il compiersi di una profezia, emessa nell'Antico Regno, che
prometteva il risollevamento dell'Egitto dal disordine. La capitale viene spostata da Menfi alla nuova città di Ity
Tawy (Dominatrice delle Due Terre) appositamente fondata nella regione del Fayum anche se il centro del potere
si trova nel sud a Tebe.
Il regno di Sesostri I come unico sovrano inizia in modo cruento, con l'uccisione in guerra di suo padre
Amenemhat I. Sesostri si fa incoronare nel 1962 a.C. controllando così una situazione di potenziale rischio e di
vuoto di potere. Il nuovo re governa insieme al figlio Amenemhat II. Prima di morire fa costruire una piramide, a elLisht, in cui viene sepolto. Il regno di Sesostri si caratterizza per la politica interna volta a potenziare al massimo la
regione di el-Faiyum, continuando in questo modo la linea politica tracciata dal padre. Economicamente il faraone
continua lo sfruttamento delle cave di marmo e garantisce il controllo delle miniere d'oro nella zona meridionale. A
Nord il faraone guida spedizioni contro le tribù nomadi e mantiene contatti commerciali col porto di Ugarit. La
maggior parte degli edifici costruiti da Sesostri non è arrivata ai nostri giorni. Grazie alla sua politica e a quelli dei
suoi successori, l'Egitto conosce così un grande periodo di tranquillità economica e politica.
Il Secondo Periodo Intermedio comprende le dinastie XIII, XIV, XV, XVI e XVII. Da un punto di vista
cronologico questa fase della storia egizia copre il periodo dal 1790 a.C. al 1530 a.C..
Il Medio Regno è per l'Egitto antico uno dei migliori periodi della sua storia, sotto l'aspetto politico,
economico ed amministrativo; ma subito dopo la morte di Amenemhat III si verifica un declino della prosperità e
del prestigio del paese. Durante questo nuovo periodo di decadenza, il Secondo Periodo Intermedio,
un'apparenza di potere centrale continuò nella XIII e XIV dinastia, ma sempre più indebolito e limitato alla regione
meridionale dell'Egitto.
Infatti, dopo un lungo periodo d'infiltrazione, lenta ma costante, il Delta e anche l'antica capitale dell'Egitto,
Menfi, finisce con il cadere nelle mani degli Hyksos, una commistione di differenti genti asiatiche, semiti in
prevalenza, ma la cui classe dirigente era probabilmente formata da elementi khurriti, che stabilirono la loro
capitale nel Delta Orientale, ad Avaris, l'attuale Tell el-Daba, dove scavi recenti hanno portato novità storiche e
archeologiche, come gli stretti rapporti con la Creta minoica.
Questi dominatori di cultura inferiore, assimilarono la civiltà egiziana e, probabilmente impiegando
largamente funzionari egiziani, amministrarono il paese con metodi non oppressivi e non dovettero essere malvisti
dai loro sudditi. L'Egitto deve agli invasori almeno la conoscenza dei cavalli e dei carri da guerra, fino ad allora
ignoti in Egitto.
Sotto gli ultimi re hyksos, Kamose, un sovrano di Tebe della XVII dinastia, decise di attaccare gli stranieri: è
il primo segno storicamente certo di un tentativo di cacciare dal delta gli invasori. Della sua “guerra di liberazione”
Kamose ha lasciato testi ufficiali epigrafici. L'espulsione degli Hyksos avvenne però in maniera lente e graduale,
con un lento indebolirsi del potere degli Hyksos. Gli invasori furono scacciati in maniera definitiva solo con
Ahmose, fratello e successore di Kamose: egli riuscì infatti a superare il delta e a giungere fino in Palestina dove
sconfisse definitivamente gli Hyksos. In questo modo ebbe inizio la XVIII dinastia con la quale si aprì il Nuovo
Regno.
Il Nuovo Regno comprende le dinastie XVIII, XIX e XX e copre gli anni dal 1530 a.C. al 1080 a.C.
L'Egitto ora è di nuovo riunito ed unificato: ha mostrato di saper combattere ed è pronto a un nuovo periodo
di splendore. La Nubia viene ripresa, un nuovo senso di politica e di conquista spinge i sovrani della XVIII dinastia
alla conquista militare della Siria e della Palestina, specialmente con Thutmose I, primo sovrano imperialista.
Dopo la morte di Thutmose I, gli succede al trono il figlio Thutmose II. Alla sua prematura scomparsa sale al
trono la moglie di quest'ultimo, Hatshepsut che comincia il suo regno nel 1490, al fianco del nipote Thutmose III,
ancora bambino, figlio del defunto faraone e di una concubina. Per sette anni la regina si è adattata a un ruolo
politico secondario. Ma l'appoggio dei sacerdoti di Amon, del visir e degli architetti reali permette ad Hatshepsut di
proclamarsi faraone, relegando Thutmose III ad altre attività di minore importanza.
Riconosciuta come re, si fa rappresentare in aspetto maschile e adotta il protocollo faraonico, pur
modificandolo leggermente. Hatshepsut avvia una vasta attività di costruzione a Tebe, dove spicca il suo tempio
funerario a Deir el-Bahari. Per legittimare il suo potere si serve inoltre dei sacerdoti di Amon che, in cambio di una
loro maggiore influenza, creano per lei il mito della teogamia. Il dio Amon, possedendo il corpo del faraone
Thutmose I, si sarebbe unito alla regina e questa avrebbe concepito Hatshepsut. Con tale spiegazione si
attribuisce dunque alla sovrana un'origine divina e quindi il diritto a governare come faraone.
Sotto il suo mandato si compiono dunque spedizioni commerciali verso il sud, alla ricerca di materiali esotici
come legno profumato o oro, e organizzate anche campagne militari che permettono di controllare la terza
cateratta e di arrivare fino alla sesta. Tali spedizioni sono guidate da Thutmose III, che, nonostante il presunto odio
verso la zia “usurpatrice”, non si solleverà mai contro di lei. Durante il regno di Hatshepsut si completano parte dei
templi di Ermant e Karnak, si realizzano lavori di costruzione a Buhen e a Beni Hasan, dove la regina ha fatto
erigere lo Speos Artemidos.
Con il regno di Thutmose III l'Egitto ha raggiunto la sua massima espansione: l'impero comprende ora la
Nubia e giunge in Asia fino all'Eufrate. con un’organizzazione amministrativa egiziana di valore e presidi militari; i
rapporti con i sovrani asiatici di Babilonia, di Mitanni, di Cipro sono fitti e cordiali.
Per il regno di Amenhotep III e per quello di Amenhotep IV siamo particolarmente bene informati grazie
all'archivio della corrispondenza ufficiale con quei sovrani: le tavolette d'argilla coi testi accadici ritrovate a Tell elAmarna.
L'Egitto divenne il paese più ricco del mondo antico; ma l'oro che arrivava in Egitto, dalla Nubia e dall'Asia,
in massima parte andava ad arricchire le casse dei templi; Amon di Tebe, al quale i sovrani consacravano gran
parte del bottino, vede il suo sacerdozio divenire sempre più potente e il sovrano dipendere da quello.
L'urto tra il potere del faraone e quello del clero di Amon porta a una crisi violenta e aperta nel regno di
Amenhotep IV: i sacerdoti sono cacciati, i templi chiusi e particolarmente Amon e il suo clero sono perseguitati,
mentre anche Tebe non è più la capitale. Amenhotep IV fonda una nuova città, Akhetaton (l'orizzonte di Aton) in
onore del dio della nuova religione monoteista, Aton, il disco solare.
Akhenaton Il forma nuovi quadri amministrativi, sostituendo ai vecchi funzionari gente nuova, che non
aveva una formazione amministrativa, ma che deve la sua posizione al fatto di aver abbracciato la nuova fede e di
aver appoggiato il re nella sua riforma. Il dio di Akhenaton, di cui il sovrano è profeta, sacerdote e apostolo, poteva
avere, in quanto culto puro dell'astro del sole, elementi di cosmopolitismo
La fine dello scisma atoniano e la rivincita degli dei ignorati o perseguitati, soprattutto Amon, si prepara già
negli ultimi anni di Akhenaton: alla crisi contribuì anche la situazione in cui era venuta a trovarsi la potenza
egiziana in Asia. La corrispondenza dei sovrani asiatici con Akhenaton mostra che continuavano, almeno nei primi
anni del suo regno, rapporti diplomatici amichevoli. Invece un quadro tutto diverso è presentato dalla
corrispondenza tra il faraone e i capi e principi siriani, fra i quali si manifesta un certo disagio e una crescente
insofferenza per l'autorità egiziana in Siria: alla base c'è sicuramente la mano degli Hittiti, la nuova potenza
minacciosa in Asia, che controlla i movimenti dei ribelli, li coordina e, all'occasione, si appropria delle loro
conquiste.
La Siria è divisa in due partiti: quelli che restano fedeli all'Egitto come i principi degli stati siriani costieri,
Byblos, principalmente, e Damasco, e quelli che sperano di ottenere vantaggi dal cambiamento, fiduciosi
nell'appoggio degli Hittiti, come i principi della zona interna. Akhenaton, benché i principi a lui fedeli abbiano
chiesto aiuto diverse volte, non risponde alle loro preghiere.
Alla sua morte, l'Egitto è pronto a tornare alla condizione che aveva preceduto il tentativo di riforma
religiosa monoteista.
Dopo la morte del “faraone eretico”, la cui storia viene cancellata da tutti i monumenti, così come il culto del
suo dio, sale al trono suo figlio, il giovanissimo Tutankhaton ("figlio del dio Aton"), ribattezzato in seguito
Tutankhamon, "figlio del dio Amon".
Il piccolo monarca proclama presto il ripristino del culto degli dei precedenti al regno del padre e torna a
riconciliarsi con il clero. La capitale viene riportata a Tebe, Akhetaton, la capitale del dio Aton, viene depredata e
abbandonata per sempre. Tutankhamon sposa la giovane Ankhesenamon, sua sorellastra, regna per circa dieci
anni e muore all'età di diciannove anni, nel 1325 a.C., ultimo sovrano della XVIII dinastia.
Ay, suo consigliere fidato, ne sposa la vedova, Ankhesenamon, e gli succede nel regno per quattro anni,
dopodiché, per volontà del clero, sale al trono Horemheb, primo faraone a non vantare alcuna discendenza regale,
ma semplicemente il grado di generale sotto il regno di Akhenaton e Tutankhamon.
La definitiva sistemazione dell'Egitto spetta comunque a Horemheb il quale viene scelto come re
dall'oracolo di Amon, come documenta un’iscrizione.
Ancora generale, dopo la morte di Akhenaton, Horemheb aveva mostrato la sua energia riuscendo a
conservare la Palestina all'Egitto con una spedizione fortunata; divenuto faraone, si preoccupa di sanare la
deplorevole condizione del paese emettendo un decreto ch'è uno dei più importanti documenti legislativi lasciati da
sovrani egiziani.
Le misure adottate da Horemheb sono in parte legislative (riorganizza i tribunali, reprime gli abusi e le
estorsioni ai danni dei contadini, le requisizioni abusive di schiavi ai privati) e in parte amministrative.
Dopo Horemheb, morto senza eredi, si ha un netto cambiamento: i sovrani della XIX dinastia, di cui il
fondatore è Ramesse I, gran visir del precedente faraone, non sono di origine tebana, bensì del delta orientale.
Ciò spiega anche perché Seth, il dio locale, sia la divinità protettrice dei membri di questo casato.
La politica religiosa dei primi tre sovrani della XIX dinastia, è di favorire altre divinità: Ra di Eliopoli e Ptah di
Menfi in modo particolare, così da evitare l'accaparramento del potere da parte del sacerdozio tebano senza
tuttavia entrare in conflitto con esso, anzi ufficialmente mostrandosi devoti del dio di Tebe. Sotto il loro comando,
l'Egitto conosce un periodo di grande splendore, culturale ed economico.
Dopo due anni di regno Ramesse I muore e al suo posto sale al trono il figlio, Seti I, già co-reggente. Questi
regna sull'Egitto per circa diciotto anni. Il suo è un periodo di equilibrio assoluto. Suo figlio e successore è
Ramesse II, uno dei più grandi faraoni nella storia d'Egitto.
Ramesse dimostra ben presto di essere un ottimo comandante, nei primi anni di regno affronta e sconfigge
infatti un gruppo di predoni del mare, denominati Shardana, in seguito inglobati nella sua guardia personale.
La sua impresa più memorabile, e senza dubbio la meglio documentata nella storia dell'Antico Egitto, è
però la Battaglia di Kadesh, combattuta nel 1296 nei pressi del fiume Oronte, nella quale il faraone affronta
l'impero hittita, sotto la guida di Muwatalli II. Benché nessuno dei due contendenti vinca la battaglia, Ramesse farà
larghissima propaganda all'episodio presentando la battaglia di Kadesh come una grande vittoria, per il semplice
fatto di aver riportato la quasi totalità dell'armata in patria. Il sentimento del pericolo, comune all'impero hittita e
all'Egitto nel suo predominio sulla Siria, dell'affermazione della potenza assira in Asia è certamente alla base del
trattato di pace tra Ramesse II e Hattusili, fratello e successore di Muwatalli. Il testo dell'alleanza difensiva tra le
due potenze era redatto in egiziano e in cuneiforme. A suggello della nuova situazione tra i due paesi si ha il
matrimonio tra la figlia del sovrano hittita e Ramesse II.
Il faraone non è ricordato solo come grande guerriero ma anche come un instancabile costruttore. Molte
opere dell'Antico Egitto sono state ordinate da lui o da lui sono state modificate. Si possono ricordare i due templi
di Abu Simbel, uno dedicato a sé stesso, l'altro alla moglie Nefertari divinizzata, il Ramesseum, la città di Pi-
Ramses, sua nuova capitale. Il suo è uno dei regni più lunghi, Ramesse morì infatti a circa 91 anni, dopo sessanta
anni di governo. Padre di numerosi figli, riuscì a far salire sul trono solo il tredicesimo, Merenptah, non perché i
precedenti sopravvissero a lui.
Il figlio e successore di Ramesse II, Merenptah, deve far fronte a una situazione molto grave, che tocca
direttamente l'Egitto, e non più soltanto il suo prestigio nelle zone esterne del dominio egiziano: il pericolo è alla
frontiera occidentale dell'Egitto ed è costituito dai Libici che fanno pressione per entrare in Egitto e che portano
con sé anche truppe appartenenti ai “popoli del mare”, quelle genti, cioè, della grande ondata indoeuropea che
comincia a calare nel Mediterraneo.
Della sua vittoria sui Libici e sui loro alleati, Merenptah dà un ampio resoconto in una iscrizione a Karnak e
in una stele.
Durante il regno di Ramesse III (che può considerarsi l'ultimo grande sovrano del Nuovo Regno), il delta
egiziano fu di nuovo in pericolo per gli attacchi ripetuti dei Libici, ancora alleati con elementi dei "popoli del mare" e
per l'attacco nel delta Orientale, per terra e per mare questa volta, di orde di "popoli del mare", ma Ramesse III
riuscì a proteggere il confine egiziano. Lunghi testi e scene scolpite sulle pareti del suo tempio funerario a
Medineth Habu commemorano gli episodi delle imprese belliche del sovrano e le sue vittorie.
Principali direttrici delle incursioni dei così detti Popoli del mare
Ramesse III riesce a conservare la Palestina, ma dopo di lui l'Egitto non ha più la forza di mantenere la sua
supremazia in Asia. La crisi appare infatti evidente verso la fine del suo regno: l'Egitto soffre di una gravissima
situazione economica che porta all'inflazione; tra gli operai della necropoli tebana si verificano veri e propri scioperi
di protesta per le paghe che non sono date e ancora durante il regno di Ramesse IX è attestato un altro grave
sciopero nello stesso ambiente; bande di ladroni depredano le ricche tombe dei faraoni nella Valle dei Re.
La progressiva debolezza del potere centrale, i disagi economici, la scomparsa di un vero e proprio impero
egiziano, tutto porta alla rovina dell'Egitto, che conosce disordini e carestie finché alla fine della XX dinastia l'unità
del regno delle Due Terre si sfascia, quando un debole faraone regna nel Delta, con capitale a Tanis, mentre in
Alto Egitto domina Herihor, il quale ha riunito nelle sue mani la funzione di visir dell'Alto Egitto e quella di sommo
sacerdote di Amon a Tebe.
Dopo Herihor, l'Egitto entra in una fase decisa di decadenza. La Nubia si stacca dal regno, e a Napata, la
città eletta capitale, salgono al trono sovrani di cultura in qualche modo egiziana che si considererano eredi dei
faraoni. La Libia e la Siria sono ormai sottratte all'influenza egiziana. Anche l'Alto Egitto si separa praticamente dal
resto del paese, e si costituisce come stato autonomo dominato dai sacerdoti di Amon.
Verso il 959 a.C., dall'ambiente delle colonie militari libiche che negli ultimi tempi sono state accettate in
Egitto, sale sul trono del faraone una dinastia libica, la XXII; Tebe e l'Alto Egitto restano in mano al sacerdozio
ammoniano.
L'unità dell'Egitto viene ricostituita intorno al 730 a.C. da sovrani del lontano regno di Kush: appoggiandosi
al sacerdozio tebano, Piankhi prima, poi suo fratello Shabaka conquistano l'Egitto, sottomettendo i principi locali
che, specialmente nel Delta, erano fortemente indipendenti e bellicosi. La nuova dinastia, la XXV, dà quindi
all'Egitto, con l'unità, un nuovo impulso: estremamente pii, i sovrani di Kush restaurano templi e ne edificano di
nuovi; la devozione ad Amon, loro dio, è al centro della loro pietà religiosa, venata di un certo arcaismo di tipo
ortodosso, teso anche alla restaurazione di culti tradizionali.
La vera debolezza della XXV dinastia sta nel fatto che la capitale del regno era lontanissima da Kush, dove,
dopo la conquista, i sovrani sono ritornati, lasciando libertà di manovre indipendentistiche ai principi locali delle
città egiziane. Ma la dissoluzione dell'unità egiziana viene dall'esterno: gli Assiri, la nuova grande potenza assoluta
in Asia, penetrano in Egitto e saccheggiando e distruggendo arrivano a Tebe: Assurbanipal riduce l'Egitto a una
sorta di protettorato assiro che designa come capi locali i principi egiziani del Delta educati a Ninive.
Quando l'Assiria conosce però la crisi, l'Egitto, sotto una nuova dinastia, la XXVI, ha di nuovo un periodo
d'unità: Psammetico, principe di Sais e vassallo dell'Assiria, si allea con la Libia e caccia gli Assiri dall'Egitto. La
dinastia saitica (di origine libica) regna per più di un secolo restituendo al paese un ultimo periodo di rinascita: il
potere è accentrato, Tebe è sotto controllo da quando Psammetico I fa adottare come "Divina Adoratrice" la
propria figlia, i contatti commerciali ed economici con la Grecia portano all'Egitto vantaggi commerciali ed
economici poiché, commerciando adesso con i Greci, gli egiziani sono affrancati nel Mediterraneo dalla necessità
di mediazione dei fenici.
I sovrani saitici assumono largamente mercenari greci, benché questa preferenza sia causa di difficoltà
interne per la rivalità tra egiziani e Greci: ma i Greci sono adesso gli alleati dell'Egitto contro la nuova potenza
asiatica che minaccia l'equilibrio del Mediterraneo: la Persia.
L'ultimo faraone della XXVI dinastia, Psammetico III, è sconfitto e catturato dal re persiano Cambise, figlio
di Ciro, nella battaglia di Pelusio (525). L'Egitto, con Cipro e la Fenicia, entra a far parte dell'impero achemenide,
sesta delle sue venti divisioni amministrative, o satrapie. La XXVII dinastia comprende Cambise, morto nel 522 in
Siria sulla via del ritorno in Persia e, in successione, Dario I, Serse, Artaserse I, Dario II e Artaserse II, che viene
riconosciuto in Egitto come faraone almeno fino al 402.
Per intensificare i rapporti della Persia con la satrapia d'Egitto, Dario I realizza il raccordo con il Mar Rosso
dell'antico canale nilotico che sboccava nel Lago Timsah, l'odierno Ismailia per poi attraversare i Laghi Amari e
che in quattro giorni di navigazione permetteva di andare da Bubasti fino al Mar Rosso. Lungo il canale Dario I fa
erigere la sua stele celebrativa, di dimensioni colossali con testi geroglifici, cuneiformi ma anche bilingui. Nello
stesso spirito si realizza anche la grande statua di Dario I in abito persiano, coperta d'iscrizioni geroglifiche e
cuneiformi, scoperta nel 1972 a Susa, eseguita in Egitto e trasferita in Persia probabilmente da Serse.
L'Egitto recupera la sua indipendenza in seguito alla guerra condotta da Amirteo di Sais, primo e unico
rappresentante della XXVIII dinastia. La guerra è proseguita da Nepherite di Mende, fondatore della XXIX dinastia.
L'ultimo faraone dello stato egiziano indipendente è Nectanebo II, della XXX dinastia, al quale si deve una
notevole attività edilizia nel Delta. Nectanebo organizza il proprio culto, in vita, sotto le sembianze del dio falco
Horo. La sua opposizione ai rinnovati attacchi persiani sono però inutili e, nel 343, vinto da Artaserse III, è
costretto a fuggire in Nubia.
La seconda dominazione persiana dura appena dieci anni; dopo la battaglia di Isso (333) nella quale viene
sconfitto Dario III, l'Egitto è costretto ad essere inserito nell'impero di Alessandro Magno.
Arte
Le tombe che i faraoni delle prime due dinastie avevano utilizzato come sepolcri furono sostituite da un
nuovo edificio durante il regno del faraone Zoser: la piramide. La costruzione di questa prima opera derivò dalla
sovrapposizione di mastabe, tombe generalmente a forma di piramide tronca, di grandezza decrescente via via
che aumentava l'altezza. La figura "a gradoni" simboleggiava la scala attraverso la quale il faraone saliva al cielo.
A essa ne seguirono altre e, durante la IV dinastia, apparve la prima piramide perfetta.
La prima fase della costruzione consisteva nello scegliere il luogo adatto all'ubicazione; poi si disegnavano
le piante e si decideva la quantità di materiale e di personale necessaria. Allora venivano convocati i sacerdoti, per
determinare i punti cardinali che avrebbero orientato le facce delle piramidi, delimitare le basi e procedere alla
cerimonia del livellamento del terreno. Il faraone doveva eseguire il rituale dell'inizio della costruzione e la
cerimonia dell'allungamento della corda, che consisteva nel verificare l'orientamento, nel piantare un piolo in
ciascun angolo, nell'iniziare lo scavo di una piccola parte della fossa, nel modellare un mattone e nel porre la
prima pietra. Cominciava così la costruzione vera e propria. La durata dei lavori dipendeva dalla grandezza del
complesso funerario, che doveva essere pronto al momento della morte del faraone.
Dopo aver inaugurato ufficialmente la costruzione si iniziava il primo gradino della piramide. Il lavoro veniva
svolto da squadre di operai che ricevevano un salario dallo Stato. Una volta stabiliti i gruppi di lavoro, si procedeva
all'estrazione dalle cave della pietra necessaria per innalzare la piramide. Il metodo di estrazione dipendeva dalla
durezza. Quelle molto dure venivano sottoposte a un brusco cambiamento di temperatura. Perciò, prima veniva
riscaldata la superficie e poi veniva rapidamente raffreddata, incrinando la massa e permettendo di tagliare la
pietra con semplici strumenti dello stesso materiale, o di legno oppure di rame. Un altro metodo consisteva
nell'abbassare il terreno, tracciando una rete di piccole trincee fino a raggiungere la profondità adatta
all'estrazione.
Dopo essere stati separati, i blocchi della parete della cava venivano deposti sul piano per poi essere
trainati ai piedi della piramide. Per evitare che rimanessero incagliati, si spargeva a terra del fango, che
permetteva un migliore scorrimento delle slitte. Intanto, altre squadre di operai provvedevano a sollevare i blocchi
di pietra, completando così i diversi piani. Come gli Egizi riuscirono a sollevare pietre tanto grandi e pesanti è una
questione ancora aperta. Molto probabilmente utilizzarono un articolato sistema di rampe, permettendo alle
squadre di lavorare senza ostacolarsi. Gli spazi che restavano tra i vari piani venivano riempiti con materiali vari e
il tutto veniva ricoperto con pietra calcarea bianca, concludendo così la lavorazione.
Principali siti archeologici
I faraoni del Nuovo Regno scelsero come luogo del loro eterno riposo una valle collocata all'estremità
occidentale di Tebe. Fu Jean-Francois Champollion, nel XIX secolo, a dare per la prima volta a questa valle,
conosciuta fino ad allora come la Grande Prateria, il nome di Valle dei Re. La scelta di questo luogo non fu
casuale: qui l'occidente indicava infatti, secondo le credenze religiose dell'epoca, il regno dei morti. Questa
caratteristica funeraria era esaltata dalla presenza di una montagna a forma di piramide che dominava la valle e
richiamava alla mente le tombe dei faraoni dell'Antico Regno.
La Valle dei Re è un letto prosciugato di un fiume, scavato tra le montagne tebane, il cui corso si biforca in
due diramazioni: quella secondaria, occidentale, o Valle delle Scimmie, in cui sono state rinvenute quattro tombe,
tra cui quella di Ay e Amenhotep III, e quella principale, che appunto forma la Valle dei Re, nella quale sono state
scoperte più di 58 tombe. Questa valle appartata garantiva ai re un riposo tranquillo, assicurato inoltre dalla
vigilanza di un corpo speciale di polizia e dalla protezione della dea cobra Meretseger che vegliava sulla sicurezza
della necropoli.
Il primo faraone che utilizzò questa valle per costruirvi il proprio sepolcro fu Amenhotep I. Durante il suo
regno il concetto di complesso funerario cambiò radicalmente; la tomba fu infatti separata dal tempio, costruito
vicino alla sponda del fiume o in un'altra valle. Anche la struttura degli ipogei subì delle modifiche nel corso dei
secoli. Le piante delle costruzioni funerarie seguivano in genere due modelli: quello della XVIII dinastia, a forma di
angolo retto, e quello della XX dinastia, di tipo rettilineo. In entrambi i casi, il sarcofago veniva posto nella sala più
profonda e le pareti erano riccamente decorate.
La Valle delle Regine sorge nelle vicinanze della Valle dei Re, fra le rocce che sovrastano la piana
occidentale di Tebe. In arabo si chiama Biban el-Harim, "porte dell'harem". Nella valle sono state individuate
un'ottantina di tombe, molte mai portate a termine, altre molto rovinate, tutte più o meno delle due ultime dinastie
del Regno nuovo, XIX e XX. In essa riposavano, oltre a regine e concubine, anche alcuni importanti funzionari.
La tomba che però più di ogni altra spicca per bellezza è quella appartenuta a una delle più famose regine
dell'Antico Egitto, Nefertari, la Grande Sposa Reale di Ramesse II. Questa vasta tomba scoperta nel 1904 dall'
egittologo Ernesto Schiaparelli, è collocata nel versante settentrionale della Valle delle Regine e presenta una
pianta molto articolata. E infatti diversa rispetto a quella delle tombe di tutte le altre regine (solitamente più
semplici e dotate di un'unica camera funeraria) e si ispira piuttosto alle sepolture faraoniche della vicina Valle dei
Re. Nelle pareti della seconda scala discendente, la decorazione è anche a rilievo. Al termine del ciclo pittorico,
Nefertari si tramuta in Osiride, con il conseguente, auspicato raggiungimento dell'immortalità e della pace eterna.
Il tempio in Egitto era la "casa di dio"; come in una dimora umana, vi era una parte aperta anche agli
estranei, una destinata agli intimi e infine la parte più segreta, dove solo il signore della casa aveva diritto di stare,
così lo schema classico di un tempio egiziano, comprendeva un cortile, pubblico, con porticati a colonne, dove
poteva accedere anche la folla dei fedeli, mediante un portale monumentale inquadrato da due piloni, aperto nel
muro di cinta che proteggeva il tempio; poi, la sala ipostila, dove avevano accesso il clero e gli alti dignitari: qui la
luce era scarsa, il soffitto era sostenuto da altissime colonne; dalla semioscurità della sala ipostila si passava
all'oscurità assoluta del santuario, la parte più intima e misteriosa, dove, nel suo naos sigillato, abitava il dio,
nell'aspetto di una statua preziosa, e dove solo il faraone e i sacerdoti potevano entrare, quando venivano
eseguite sulla statua divina le cerimonie del culto giornaliero. Solo in eccezionali ricorrenze e feste la statua del
dio lasciava il suo oscuro ricetto, per essere portata in processione, sulla barca sacra (nella quale era sistemata
una cappella).
I templi in miglior stato di conservazione si trovano oggi maggiormente nella zona di Tebe, la "città" per
eccellenza. Qui si trova il complesso templare di Karnak, sito architettonico estremamente complicato: nella cinta
dei grandi templi era il gran santuario di Amon, la cui grandiosa sala ipostila fu iniziata da Seti I e continuata da
Ramesse II, il tempio di Ptah, quello di Khonsu, anch'esso di età ramesside; numerosi blocchi sono rimasti del
tempio del sole, dedicato ad Aton, edificato dal faraone Akhenaton prima di abbandonare Tebe; a Karnak vi è
anche il "Padiglione delle Feste" di Thutmose III, ritenuto uno dei monumenti più originali dell'architettura templare.
A Luxor, nel santuario eretto da Amenhotep III, si ammira una fra le più belle sale ipostile dei templi
egiziani. A Menfi, capitale dell'Antico Regno, non è rimasto purtroppo nulla se non povere rovine di templi, come il
santuario di Ptah. Ad Abido, nella zona meridionale dell'Egitto, è conservato in ottimo stato il magnifico tempio di
Osiride, costruito da Seti I e terminato dal figlio di questi, Ramesse II; il tempio ha due sale ipostile e un santuario
settuplo.
Menzione a parte meritano i due magnifici templi di Abu Simbel, ad opera dell'instancabile Ramesse II, uno
dedicato a Ra e al faraone divinizzato, uno dedicato ad Hathor e alla regina Nefertari, adattati magnificamente alla
topografia del luogo, un terreno montuoso, e alla natura del materiale scavato, la roccia.
Quattro grandi statue sedute del sovrano, alte quasi 21 metri, a gruppi di due, dominano la facciata del
primo tempio, il maggiore. Sull'entrata del tempio venne posta una statua di Ra mentre afferra gli altri simboli che
compongono uno dei nomi del faraone: una figura di Maat e uno scettro. Il tempio presenta una sala ipostila, dalla
quale si accede alla camera che precede il santuario, e un numero elevato di sale secondarie laterali.
La facciata orientale del tempio dedicato ad Hator e Nefertari consta invece di sei statue alte circa 10 metri.
Quattro di queste rappresentano il faraone e due la sposa Nefertari, cui spettò l'inusuale onore di essere
raffigurata della stessa grandezza del re. Scolpite all'interno di nicchie, le sculture hanno la gamba sinistra in
avanti; ai lati di ciascuna sono rappresentati principi e principesse. La decorazione interna di entrambi i templi
ricorda episodi della celebre battaglia di Kadesh, combattuta da Ramesse II contro gli ittiti.
La grande abbondanza di materiale lapideo in Egitto determinò fin dalle origini una notevole ricchezza di
opere scultoree. Nella scultura a tutto tondo o ad altorilievo le figure sono presentate in maniera rigidamente
frontale, e sebbene siano talvolata inscenati dei movimenti di braccia e gambe, il risultato è sempre
sostanzialmente statico. Grande attenzione viene di solito posta nei volti, con una maggiore delicatezza nella resa
del modellato e dei lineamenti.
Quanto alle strutture diverse da quelle adibite al culto o alla sepoltura dei faraoni, le case presentavano una
tipologia diversificata a seconda della classe sociale.
La casa del funzionario era costituita da 3 piani: il piano terra per le attività commerciali, il primo piano per
ricevere eventuali ospiti mentre al secondo piano si trovavano le stanze da letto e gli alloggi per le donne. Tutti i
piani erano collegati da scale.
Grazie a scavi archeologici ad Amarna, si sono ritrovate prove di abitazioni con vasti cortili e con piscine
non per nuotarvi ma come abbellimento, piene di pesci e piante acquatiche galleggianti.
L'arredamento della casa egiziana, anche quella signorile, mirava all'essenziale. Nella cucina si ritrovavano
bracieri, forni in muratura e ceste che contenevano vivande; si preferiva mangiare seduti su stuoie. Nelle sale
adette alle udienze vi erano sedili pieghevoli senza spalliera e troni, anche con rifiniture in oro e pietre preziose,
con spalliera e braccioli.
Cofanetti e bauli venivano utilizzati per depositare e contenere abiti e oggetti da toilette. Per far luce si
utilizzavano delle ciotole di ceramica: esse venivano riempite di olio e ci si immergeva uno stoppino solitamente di
fibra vegetale che galleggiava.
Società
Nella società egizia il faraone è il sovrano potente e incontrastato, apice della piramide sociale che regge
l'Egitto. Più dio che uomo, incarnazione di Horo, figlio di Osiride, colui che sconfisse il male, rappresentato da
Seth, il faraone nasce con l'avvento di Narmer e l'unificazione delle Due Terre sotto un unico scettro.
La parola faraone, desunta dalla Bibbia, è però anacronistica per gran parte della storia egiziana. Il termine
originario per-'ao significa "grande casa" e indicava la residenza reale; venne usato per indicare il monarca a
partire da Thutmosis III. Per quanto riguarda i nomi personali, essi sono indicati da una titolatura con cinque nomi,
che spesso comprendono lunghi epiteti riferiti ad un programma o ad una realizzazione del re, ad esempio: "Colui
che tiene unite le Due Terre".
I sovrani dell'Egitto unito portano la cosiddetta "Pa-sekhemty", unione della corona "Deshret", la rossa,
simbolo del Basso Egitto, e della bianca, "Hedjet", simbolo dell'Alto Egitto, poiché signori delle Due Terre Unite.
Nel Nuovo Regno e principalmente durante l'epoca del faraone Ramesse II, grande guerriero, il faraone era solito
portare il cosiddetto "Khepresh", la corona di guerra, un casco blu con piccole decorazioni circolari. Queste corone
erano tutte accomunate dall'"Ureo", la dea cobra, protettrice dei faraoni.
Il faraone, come possiamo vedere sia nelle pitture murali che nei sarcofagi, regge due scettri: il pastorale,
Hekat, simbolo del sovrano "pastore del gregge", e dunque guida, e il Nekhekh, simbolo di potere e fonte di timore
per nemici e ribelli. Durante le cerimonie ufficiale si soleva reggere anche il Uas, lo scettro degli dei, un lungo
bastone la cui parte superiore aveva la forma di animale mitico.
La casta sacerdotale aveva un ruolo importante nella gestione del potere, affiancando i Faraoni e
minacciandone a volte la supremazia, come accadde nello scontro fra Akhenaton e il clero di Amon.
Il sacerdote aveva il compito di officiare i numerosi e complicati riti imposti dagli dei. Poteva inoltre avere
l'accesso alla parte più interna del tempio, quella in cui era conservata la statua del dio, dopo preventive pratiche
purificatorie.
La circoncisione, la rasatura del corpo, l'astensione da cibi come le verdure a foglia verde o i pesci di mare,
il divieto periodico di rapporti sessuali (ai sacerdoti era consentito sposarsi) costituivano la regola.
Per amministrare l'Egitto il faraone ricorreva all'aiuto di suoi rappresentanti, con un ampio sistema di
funzionari, dei quali il più elevato era il visir. Fino alla XVIII dinastia vi fu un solo visir per tutto l'Egitto, ma nel regno
di Thutmose III la funzione si sdoppiò e vi fu un visir del sud che risiedeva a Tebe e un visir del nord che aveva la
sua sede a Eliopoli. Al visir facevano capo tutte le branche amministrative dell'Egitto ed era inoltre quel che oggi
chiameremo ministro della guerra, ministro degli interni, capo della polizia egiziana, ministro dell'agricoltura e
ministro di grazia e giustizia. Vi erano comunque molti altri tipi di funzionari come ad esempio i "grandi
maggiordomi", dediti ad amministrare le terre di proprietà del faraone, comandanti militari, architetti reali, e tra i
funzionari meno conosciuti, i sementi, addetti alla ricerca dell'oro e pietre preziose.
L'Egitto riusciva inoltre a conservare la propria economia grazie all'aiuto di funzionari, trascrittori di tutte le
derrate alimentari, delle importazioni e delle esportazioni, del numero di capi di bestiame, di vino o altri prodotti
che entravano nei magazzini: erano gli scribi. Chiunque poteva diventare scriba, sebbene generalmente fosse un
mestiere che veniva tramandato di padre in figlio. Durante l'Antico Regno era lo scriba a insegnare personalmente
al proprio figlio; tuttavia, a partire dal Medio Regno, in alcune città comparvero le prime scuole degli scribi dette
"case della vita". I bambini vi entravano all'età di quattro anni e il loro apprendistato finiva verso i dodici. Iniziavano
copiando frammenti di calce o ceramica, o di legno ricoperto di gesso, dato che il papiro era un materiale molto
costoso. Oltre a saper scrivere dovevano anche conoscere le leggi e avere nozioni di aritmetica per calcolare le
imposte. Questa casta era talmente importante da avere una propria divinità tutelatrice: il dio Thot. Questi,
rappresentato sia come babbuino che come ibis, nel poemetto imprecatorio scritto da Ovidio, era ritenuto
inventore della scrittura e del calendario, scriba supremo, presenziava personalmente alla cerimonia del giudizio
dell'anima, trascrivendo le dichiarazioni come in un qualsiasi processo.
Durante l'Antico Regno non vi fu necessità di un esercito permanente. Quando vi era bisogno di affrontare
un'incursione beduina o la necessità di un bottino, si organizzava una leva; venivano dunque reclutati giovani che,
una volta terminata la guerra, tornavano al loro lavoro abituale. Molto più comune era però il reclutamento di
mercenari, in particolare Libici e Nubiani. Questi ultimi erano molto apprezzati come arcieri. L'esercito assunse un
ruolo importante a partire dal Medio Regno, giungendo al proprie apice nel Nuovo Regno, periodo di grandi
spedizioni militari.
L'esercito egizio era perfettamente organizzato, e alla guida delle truppe stava sempre il faraone, sul quale
ricadeva il comando assoluto. Malgrado questa concentrazione di potere, egli, come avveniva col suo potere
religioso, delegava le sue funzioni ai generali. Vi sono però molti faraoni, primo fra tutti Ramesse II, che
accompagnavano le truppe in battaglia e spesso combattevano al loro fianco. Le truppe erano composte da corpi
di arcieri, di fanteria e di cavalleria, o per meglio dire "carreria", quest'ultima riservata principalmente agli
aristocratici.
Spessissimo nelle armate egiziane la truppa sui carri era la più numerosa. Erano carri leggeri, differenti (per
esempio) da quelli ittiti, e veloci. Erano spesso usati come truppa di sfondamento negli eserciti egiziani. Sul carro
c'era un arciere ma soprattutto un soldato armato di una lunga lancia da guerra. Dei carri egiziani si può dire che
costituivano la "cavalleria leggera" dell'armata, appunto perché erano veloci e versatili. Gli egizi avevano
conosciuto il carro da guerra dal popolo invasore Hyskos.
La massa della popolazione era formata principalmente da contadini che lavoravano per i privati, o per i
domini regi o i templi, con un contratto di lavoro, registrato in un ufficio statale, che definiva esattamente le
prestazioni cui i lavoratori si impegnavano e alle quali i datori di lavoro dovevano attenersi, a rischio di essere citati
ai tribunali locali; c'erano inoltre gli affittuari, che prendevano a lavorare, con un contratto scritto, una certa terra
pagando un tanto.
C'erano poi gli operai dello stato, addetti alle cave e alle miniere. C'era anche la classe artigiana,
essenzialmente urbana, formata da gente libera: falegnami, lavandai, fornai, vasai, muratori. C'erano i
commercianti e, soprattutto nelle città del Delta, c'erano i marinai, che esercitavano il commercio marittimo verso
Creta, Cipro, il Libano, esportando e importando.
C'era anche un'altra classe, la più bassa, formata da persone che appartenevano al re o ai templi, o ai
privati: uomini addetti soprattutto al lavoro dei campi e donne addette specialmente alle case.
Agricoltura e allevamento
Il contadino egizio dedicava gran parte della giornata a curare i campi e a difenderli dalla siccità e dalle
calamità. Arava e seminava il terreno in autunno, quando non era ancora impregnato d'acqua, in modo da poter
utilizzare al meglio i primitivi strumenti di cui disponeva. Il successivo compito era quello di curare l'irrigazione dei
vari appezzamenti, dal momento che l'abbondanza del raccolto dipendeva dall'acqua che vi arrivava; doveva
quindi sorvegliare che le dighe e i canali portassero regolarmente acqua ai campi. Nei luoghi dove non era
possibile far arrivare l'acqua con i canali, utilizzava altri sistemi di trasporto o stoccaggio come le cisterne.
Le coltivazioni più importanti erano quelle del lino e dei cereali, dalle quali si ricavavano due raccolti: il
principale avveniva alla fine dell'inverno e l'altro, meno abbondante, in estate. Una volta cresciute le spighe, era
necessario mieterle. Il lavoro del contadino era controllato dagli scribi, che curavano di riscuotere le tasse a
seconda del rendimento ottenuto e di punire chi non rispettava le prescrizioni. Il grano era custodito in silos e nei
magazzini i quali dipendevano, per la maggior parte, dallo Stato e dai templi. I granai dovevano essere pieni per
far fronte ai periodi di cattivo raccolto e per approvvigionare l'esercito e i funzionari.
L'allevamento del bestiame rivestiva una notevole importanza. Sin dai tempi del neolitico veniva praticato
nel territorio, come testimoniano le varie decorazioni delle tombe dell'Antico Regno, che ne mostrano alcune
scene.
Venivano allevati soprattutto bovini, sia caratteristici della zona come il bue che altri. Si allevavano anche
asini, capre, pecore, diversi tipi di uccelli e maiali, in seguito i cavalli, i cammelli e i gallinacei. Gli Egizi riuscirono
anche ad addomesticare alcuni animali solitamente selvatici come antilopi e carnivori.
Molti furono semplicemente animali da compagnia, che potevano dimostrare il rango sociale del loro
padrone.
Altri animali come l'ibis, le gazzelle e i leoni, potevano costituire animali da compagnia, per dimostrare
l'elevato stato sociale di chi possedeva tale rarità. Lo stesso faraone Ramesse II ne possedeva uno. Altri furono
usati nella caccia, come nel caso delle iene.
A partire dal neolitico la caccia assunse un ruolo sempre più importante; anche se si hanno pochi reperti di
queste epoche antiche, dalle varie rappresentazioni si comprende come gli animali cacciati con lance, arpioni e
boomerang erano leoni, leopardi e ippopotami. Durante l'epoca faraonica, la caccia divenne anche uno sport per
classi privilegiate. Era un mezzo per dimostrare la loro forza e spesso arrivavano a farsi rappresentare in tale
guisa nelle loro tombe; prove di questo sono state rinvenute proprio grazie alle pitture funerarie. Era uno sport
individuale ma i potenti avevano una compagnia che gli era utile nel trasporto sia di armi che di prede. La caccia
rimaneva comunque un mezzo per procurarsi del cibo e si utilizzavano trappole con rete e buche scavate dal
terreno. Alla fine della caccia una parte delle prede veniva sacrificata come ringraziamento.
Si cacciavano soprattutto ippopotami; durante la caccia veniva inizialmente lanciato un arpione, fatto di
legno con un gancio metallico e una corda, che veniva lanciato per colpire l'animale.
Commercio
Al mercato era frequente il baratto: le eccedenze agrarie venivano scambiate con manufatti degli artigiani
liberi, compreso l'oro.
Durante l'Antico Regno iniziò la diffusione delle monete: si trattava di pezzi metallici (d'oro, argento o rame)
con nomi e valori diversi, a seconda della quantità di metallo utilizzato per coniarli. I valori equivalenti erano
stabiliti ponendo come base un lingotto o una moneta di calcolo, chiamata shat, di 7,5 grammi d'oro, peraltro poco
utilizzata dal popolo.
A tutto veniva dato un valore espresso in shat, e la vendita avveniva o in oro o tramite baratto ma in tal
caso i vari prodotti venivano stimati in shat.
A partire dalla XVIII dinastia, allo shat successe il deben (che pesava circa 91 grammi ed era
completamente di metallo), equivalente a due shat circa. I due sistemi di compravendita, l'utilizzo delle monete e il
baratto vissero in sintonia fino al periodo persiano, per decisione del re Dario I.
Vita quotidiana
L'Egitto era un paese agricolo e offriva molte varietà di cibi: grano, orzo farro, sesamo, agli, fave, lenticchie,
cipolle, fichi, datteri, melagrane e uva. Il pane, invece veniva fatto con farina di farro o di orzo,era l'alimento
essenziale.Poiché veniva impastato all'aperto si mescolava alla sabbia portata dal vento, perciò consumava i denti
ed era spesso causa di carie. Esso veniva consumato semplice o arricchito con grasso e uova, oppure addolcito
con miele e frutta.Per questo motivo si hanno fonti di medici egizi che avevano sviluppato diverse tecniche per
curare la dentatura. I contadini non mangiavano molta carne, ma i ricchi ne consumavano in abbondanza,
particolarmente lessa o allo spiedo;si hanno prove dove i poveri,insieme ai ricchi si riunivano per ammazzare i
bovi di fiume (ippopotami), e i poveri facevano a gara a chi riusciva a prendere le interna per poi cuocerle,
ovviamente i pezzi migliori andavano ai ricchi. Riguardo la carne è stato dimostrato per la prima volta in maniera
scientifica, da un gruppo di ricercatori dell'Università di Pisa, che hanno scoperto nelle pareti dello stomaco di una
mummia di tarda età Tolemaica I-II secolo a.C il più antico caso di cisticercosi, malattia causata da un parassita
ingerito mangiando carne di maiale cruda. Il Nilo poi offriva buon pesce di fiume.Con l'orzo gli Egizi ottenevano la
birra,che era la bevanda dei poveri,mentre il vino era riservato ai ricchi. Gli egizi consumavano tre pasti al giorno.
La cena era quello principale. A tavola non usavano né coltello (che però esisteva) né forchetta(che era del tutto
sconosciuta): si portavano il cibo alla bocca con le mani. Pentole e padelle erano di coccio, piatti, ciotole e
bicchieri di terracotta.
L'abbigliamento
Dall'inizio del mesolitico e fino al Medio Regno il clima dell'Egitto era molto più caldo rispetto a quello
attuale e consentiva quindi di vestire poco e assai semplicemente. Nell'Antico Regno gli uomini usavano un
perizoma oppure un gonnellino dall'estremità sovrapposte che durante le dinastie del Medio Regno si trasformò
allungandosi fino alle caviglie e caratterizzato da pieghe e trasparenze. Il torace era coperto con una stola di
tessuto: molto usato era il colore bianco e il tessuto di lino mentre la lana non era gradita per motivi religiosi, in
quanto la pecora come animale vivo era considerato impuro. I nobili usavano adornarsi con gioielli e usavano
sandali in papiro o legno di palma con lacci di cuoio. Le donne usavano tuniche aderenti lunghe con una o due
bretelle. Successivamente divennero ornate di complessi disegni e colorate ma la maggior caratteristica fu
l'impiego del sottilissimo trasparente lino, chiamato bisso, e delle cinture. Sempre durante il Medio Regno si
incrementò l'uso di gonne lunghe e di stoffa a pieghe sul busto lasciando le braccia scoperte. Fu proprio durante il
Medio Regno che l'abito, divenuto più complesso, acquisiva svariate fogge atte ad individuare la classe sociale di
appartenenza come si evidenzia nelle immagini funebri. Le donne sono rappresentate sempre a piedi nudi al
contrario degli uomini che invece portano i sandali. Entrambi usavano nelle cerimonie un cono profumato sulla
testa e le donne si ornavano con un fiore di loto. Anche il sovrano portava sia il gonnellino che la gonna lunga ma
di suo uso esclusivo era il nemes. Poteva portare pettorali in oro con pietre e smalti, la corona e lo scettro. I
sacerdoti usavano una veste di lino e la caratteristica pelle di leopardo. La testa era rasata e spesso coperta con
copricapo di cuoio. I militari usavano un perizoma con una protezione triangolare in cuoio pesante davanti
all'addome. La testa era protetta dal sole con un copricapo di stoffa e in caso di battaglie con semplici elmi di
cuoio. Stavano generalmente a dorso nudo ma per proteggersi potevano indossare una camicia. Il popolo
ovviamente si abbigliava in maniera diversa dai nobili, sia per motivi economici che pratici. Semplici calzoni,
gonnellini, quando addirittura non lavorassero nudi, sia uomini che donne. I giovani fino alla pubertà erano nudi e
con la caratteristica treccia di capelli laterale. È da notare che la nudità, di adulti e ragazzi, era costume abituale
come ancora oggi avviene in molte etnie.
Gli egizi erano attenti alle loro acconciature; i bambini portavano i capelli molto corti o rasati con l'eccezione
di una parte che veniva raccolta in un ciuffo per poi farlo ricadere sulla spalla destra; così facendo veniva coperto
l' l'orecchio.
Il ciuffo veniva poi tagliato all'età di dieci anni, quando diventavano adulti; le bambine portavano
semplicemente i capelli corti.
Gli alti dignitari avevano piccoli ricci che coprivano le orecchie formando una curva dalle tempie alla nuca.
Le donne portavano inizialmente i capelli molto corti, poi le acconciature si allungarono sempre di più. I sacerdoti
avevano l'obbligo di radersi completamente testa e corpo: un segno di purificazione necessaria per l'accesso ai
sacri templi.
Venivano utilizzati oli e profumi per la cura dei capelli e tinture per nascondere i capelli bianchi. Dai rilievi
delle tombe rinvenute si osserva come la caduta dei capelli fosse ritenuta un problema. La perdita iniziava dalla
zona frontale della testa e con il passare del tempo si arrivava fino alla parte posteriore.
Come ipotetici trattamenti venivano utilizzati i grassi di molte specie di animali (leone, ippopotamo,
coccodrillo, gatto, serpente e stambecco) e provate diverse misture, come quella a base di miele e dente d'asino.
L'utilizzo di parrucche semplici si diffuse a partire dalla V dinastia presso i dignitari e le loro famiglie. In
seguito divennero sempre più comuni, cambiando anche il modello; nel Medio Regno ad esempio si portava un
modello più lungo, con due ciuffi a ogni lato, di cui uno era lasciato ricadere sulla spalla. Le parrucche divennero
successivamente sempre più elaborate.
Erano composte o da sottili treccine di capelli veri, che venivano raccolte utilizzando spilloni di vario
materiale come legno, osso o avorio, oppure erano formate da fibre vegetali; vi si aggiungevano poi degli
ornamenti ed erano in ogni caso espressione del rango sociale di appartenenza.
Anche la lametta per la barba cambiò materiale con il passare del tempo: inizialmente costituita da una
selce con manico in legno, divenne poi di bronzo.
La malachite verde del Sinai e la galena nera, oggi chiamata kohl, erano utilizzate per il trucco, dopo averle
impastate con l'acqua.
Con un estratto dalle foglie di ligustro le donne si dipingevano unghie e capelli, mentre come ombretto
erano solite utilizzare il nero dell’essenza estratta dalla galena. Era diffusa l'arte di truccarsi gli occhi e, grazie
all'uso di particolari bastoncini o cucchiaini, potevano scurirsi sopracciglia e ciglia.
Cultura letteraria e scientifica
Il vastissimo patrimonio letterario dell'Antico Egitto ci è pervenuto in gran parte su rotoli di papiro, spesso
conservati in anfore, ma anche grazie a iscrizioni monumentali e decorative che abbellivano le tombe dei defunti.
Di questo genere fanno parte opere come i Testi delle piramidi o il Libro dei morti, al quale si pensava che si
potesse far riferimento per dimostrare ad Osiride l'innocenza del defunto, nel momento in cui la sua anima
sarebbe stata pesata dal dio. Al di là di queste opere di carattere funerario o religioso, hanno avuto grande
successo testi come la Satira dei mestieri, quindi una novella a sfondo satirico, nella quale si polemizza contro i
privilegi dei nobili e Le istruzioni di Ptahotep, dove sono raccolti insegnamenti di tipo etico e filosofico da
tramandare ai posteri. Veri e propri romanzi possono essere considerati Il racconto del naufrago e Le avventure di
Sinuhe, che tanto influenzarono i successivi scrittori di racconti di avventure e di viaggi. Non mancarono opere di
carattere spiccatamente poetico, come i Canti d'amore e i Canti dell'arpista; il primo è una raccolta di ritratti di
coppie di innamorati, il secondo un vero e proprio poema della malinconia, emblema di quella crisi sociale che ha
caratterizzato il primo periodo intermedio della storia dell'Antico Egitto. Infine non è da trascurare l'apporto delle
fiabe, come la Storia dei due fratelli che risentono anche di elementi antichi trasmessi oralmente; nel caso
specifico la fiaba in questione tende addirittura a diventare un mito. Sono presenti anche numerose fiabe sugli
animali.
I numerosi papiri che ci sono pervenuti e lo studio sistematico delle mummie, con le moderne tecnologie
mediche, consentono di fare un quadro preciso sulle patologie degli Egizi e le relative terapie.
Gli egiziani non identificavano le malattie bensì cercavano le cause dei sintomi specifici, che secondo loro
erano addebitabili, per lo più, ad agenti esterni che le loro cure tentavano di distruggere o di estromettere; questo
modello eziologico era legato sia alla concezione dell'origine del mondo sia alle credenze sulle influenze delle
forze superiori. L'esame delle mummie ha rivelato malattie quali arteriosclerosi, carie, artrite, vaiolo e tumore ma
anche dalle raffigurazioni è possibile dedurre alcune patologie.
La sabbia del deserto, se inalata, causava malattie respiratorie e se masticata, insieme con gli alimenti,
usurava i denti causando parecchie dolorose patologie. Anche gli occhi, tra sabbia e acqua del Nilo, andavano
soggetti a congiuntiviti e il tracoma era molto diffuso, viste le numerose raffigurazioni di individui ciechi.
La maggior parte dei testi medici è scritta in ieratico, come il Papiro Chester Beatty; altri in demotico ed
alcuni sono scritti su ostraca, cioè su frammenti di argilla. Molte medicine sono state identificate ed erano costituite
per la maggior parte da vegetali quali sicomoro, ginepro, incenso, uva, alloro, e cocomero. Anche il salice, era
usato come analgesico mentre il loto veniva usato come sonnifero . I frutti della palma servivano per curare le
coliti, allora molto frequenti; con l'orzo si faceva la birra che serviva come eccipiente, o diluente; con il grano
veniva fatta la diagnosi di gravidanza. Gli Egizi usavano anche elementi animali quali la carne per le ferite, il
fegato e la bile per lenire il dolore agli occhi. Di quest'ultima è stata attestata l'efficacia anche di recente. Il latte,
sia di mucca, sia di asina che di donna, era integrato come eccipiente e il principio attivo più usato era di sicuro il
miele che per le sue tante proprietà serviva per le patologie respiratorie, ulcere e ustioni.
Tra i minerali usati in medicina, troviamo il natron, chiamato neteri cioè il puro, il sale comune e la
malachite, che curava le infezioni agli occhi ed era usata sia come farmaco che come cosmetico nella profilassi.
Come droga, sia per il dolore che per il pianto dei bambini, si usava l'oppio, chiamato shepen e importato
da Cipro, In alcune raffigurazioni è stata riconosciuta la mandragola, in egizio rermet, usata come sonnifero e per
le punture d'insetto. Esisteva anche la cannabis, shenshenet, che veniva somministrata, in particolare per via orale
e per inalazione, mentre l'elleboro era usato come vero e proprio anestetico, ma in maniera empirica e con
dosaggi errati tanto che spesso il malato passava direttamente dalla narcosi alla morte.
Tra le terapie vi erano anche i massaggi che venivano usati per vene varicose e per lenire numerose
patologie il cui sintomo principale era il dolore. Era conosciuta la tecnica delle inalazioni che erano composte da
mirra, resine, datteri e altri ingredienti.
Nel tempio di Kôm Ombo, nell'Alto Egitto, vicino ad Assuan, sono raffigurati, sulla parte nord del recinto
esterno, strumenti medici e chirurgici quali bendaggi, seghe, forbici, bisturi, forcipi e contenitori vari per
medicamenti. Recentemente, tuttavia, si è ipotizzato che fossero solo attrezzi rituali per cerimonie religiose.
Accanto allo strumentario, vi sono alcune ricette mediche con tanto di componenti e dosi. Ma la chirurgia, non si
sviluppò come la medicina, forse per scarse conoscenze fisiologiche e per carenza di guerre. A conferma di ciò,
sia il Papiro Ebers che il Papiro Smith, detto anche Libro delle ferite, citano solo dati clinici, pur molto precisi, ma
non descrivono interventi chirurgici. Nonostante la pratica religiosa di imbalsamare i morti, vi era scarsa
conoscenza dell'anatomia e della chirurgia specialistica. Gli Egizi, infatti, intervenivano chirurgicamente solo in
piccole patologie, come foruncoli o ascessi, o direttamente con l'amputazione di arti. Inoltre, pur avendo
un'apparente rigorosità, tutte le pratiche mediche dovevano essere accompagnate da specifiche formule
apotropaiche.
Gli Egizi avevano, comunque, capito l'importanza dell'igiene. Durante il giorno, si lavavano spesso le mani,
e facevano la doccia giornaliera, con acqua versata dalle brocche, che erano anche parte integrante del corredo
funerario. Non usavano mai acqua stagnante perché poteva contenere ogni genere di larve. Curavano l'igiene di
bocca e denti che veniva effettuata con bicarbonato. Anche unghie e capelli erano lavati quotidianamente e poiché
non esisteva il sapone venivano usati oli profumati e complessi unguenti che rendendo la pelle integra, e quindi
non screpolata, impedivano l'introduzione, nell'organismo, di germi e batteri. Oltre alle brocche per la doccia, vi
erano anche le vaschette per pediluvi raffigurate anche, come geroglifico vero e proprio, nella tomba di Rahotep.
Vi era l'usanza di togliere i sandali per entrare nei templi che nasceva dall'esigenza di non introdurre
impurità dall'esterno.
Il debito della cultura medica greca sembra essere stato notevole
La religione
La religione dell'antico Egitto mostra un'estrema complessità di credenze e una moltitudine di divinità, in un
politeismo spesso confuso e contraddittorio. Questa complessità si spiega con le molte generazioni che hanno
fatto, per secoli, aggiunte alle primitive credenze. Ciò che appare contraddittorio nelle concezioni teologiche e
religiose si spiega con la singolare mentalità egiziana che non rifuggiva dal contraddittorio e con la tendenza al
sincretismo che assimilava divinità diverse e spesso tra loro lontanissime. All'interno di questa ricchezza
politeistica si distinguono alcune correnti come quella del culto degli animali, di origine preistorica pastorale che
tendeva a promuovere la fertilità; quella basata sulle condizioni naturali innestate dalla resurrezione della terra
dovuta all'azione propedeutica del Nilo; quella del dio incarnato e del faraone divinizzato e infine quella del culto
del sole.
Caratterizzata dalla persistenza di un carattere locale delle divinità (eredità dell'epoca preistorica dell'Egitto
non unificato) la religione egizia comprende divinità varie di carattere e di aspetto sicché il pantheon è
numerosissimo e tutt'altro che uniforme: Horo, dio falco, signore del cielo, e, con carattere più spiccatamente
solare; Ra, il dio di Eliopoli chiamato Atum al tramonto e Khepri al mattino, identificato anche con lo scarabeo;
Ptah, il dio di Menfi, protettore degli artigiani; Thot, signore di Ermopoli, che assume l'aspetto di ibis o di babbuino,
patrono degli scribi e delle scienze; Osiride, dio della vegetazione nel suo ciclo alternante di vita e morte, divenuto
signore dell'aldilà come dio morto e resuscitato; Min, signore di Copto; Hathor, dea del cielo e originariamente,
Mehetueret vacca celeste, in seguito dea dell'amore; Iside, sposa e sorella di Osiride, madre di Horo; Sekhmet, la
dea leonessa, signora della battaglia; Bastet, la dea gatto, dea della gioia.
Alcune divinità invece hanno maggiore importanza in determinati periodi storici (si ricordi dunque Amon, di
origini sconosciute, divenuto una delle maggiori divinità nel nuovo regno), per divenire in seguito entità minori,
altre divinità vengono invece create di sana pianta e in seguito cancellate dalla storia egiziana (basti ricordare il
dio di Akhenaton). Alcuni dei vengono invece estrapolati da culture orientali, in particolare quando l'Egitto ha
rapporti e scambi personali con l'Asia minore, e fra di essi bisogna ricordare Baal, Astarte e Anat.
Riguardo alle teorie sulle origini dell'universo (cosmogonia) esistono versioni differenti, a seconda della
località in cui sono nate e delle necessità del clero locale. La prima, nativa di Eliopoli, narra come Atum-Ra, in
seguito a masturbazione ed espettorazione, abbia generato una coppia primordiale, Shu (l'aria) e Tefnet
(l'umidità). Costoro generarono successivamente Geb (la terra) e Nut (il cielo) che, decisi ad unirsi, vennero divisi
dal padre Shu che, di conseguenza, riuscì a mantenere l'ordine cosmico ed a cancellare il Caos.
Un'altra versione della cosmogonia ha origine in Ermopoli dove all'origine esistevano otto entità, quattro
maschili e quattro femminili, quali Nun e Nunet (il caos delle acque primeve), Kuk e Keket (l'oscurità), Huh e Huhet
(l'illimitatezza), Amon e Amonet (l'aria e il vento), che generarono, tutti insieme, dalla collina primordiale, un uovo
dal quale sarebbe poi uscito il Sole dando così inizio alla creazione.
La terza teoria è desunta invece da frammenti provenienti da Menfi, la città il cui patrono era Ptah, il
demiurgo. Costui creò il mondo attraverso la voce e il cuore. In seguito diede vita agli uomini che volle guidare
come un gregge guidato da un pastore, creandoli tutti uguali. Essi però, in seguito all'avvento del male, decisero di
creare gerarchie e di divenire l'uno diverso dall'altro. Da quel momento in poi Ptah e gli altri dei sarebbero rimasti
nel cielo a osservare l'avvicendamento degli eventi umani fino alla fine dei tempi.
L'ultima, detta cosmogonia tebana, aveva come unico dio creatore Amon, era la sintesi delle tre precedenti
teorie e divenne la più popolare a partire dalla XI dinastia.
Secondo gli egizi il corpo era costituito da diverse parti: il ba o anima, il ka o forza vitale, l'aj o forza divina
ispiratrice di vita. Per ottenere la vita dopo la morte, il ka aveva però bisogno del corpo del defunto che doveva
dunque rimanere intatto, e ciò era possibile solo grazie alla tecnica della mummificazione.
Il tipo di mummificazione variava secondo la classe sociale alla quale apparteneva il defunto. Vi erano
sacerdoti addetti a queste pratiche, conoscitori dell'anatomia umana, dovevano essere cauti nell'estrazione degli
organi del defunto poiché avrebbero potuto danneggiarli e quindi cancellare la vita ultraterrena del defunto.
Durante il processo di mummificazione, i sacerdoti collocavano una serie di amuleti in mezzo alle bende, sulle
quali erano scritte formule destinate ad assicurare la sopravvivenza del defunto nell'aldilà.
Una volta preparato, il cadavere veniva deposto nel sarcofago, quindi si formava il corteo che lo avrebbe
condotto alla tomba. Il sacerdote funerario era in testa, seguito da alcuni che portavano gli oggetti appartenuti al
defunto che gli avrebbero garantito una confortevole vita ultraterrena. Il sarcofago era trainato da una slitta,
mentre una seconda slitta trasportava i vasi canòpi, destinati a conservare gli organi prelevati durante il processo
di mummificazione.
Quando la processione arrivava alla tomba, il sacerdote eseguiva il rito dell'apertura della bocca, per mezzo
del quale, secondo la tradizione, la mummia avrebbe ripreso vita. Tutto il corredo funebre, insieme al sarcofago e
alle offerte, era depositato nella tomba, che in seguito veniva sigillata affinché nessuno potesse turbare l'eterno
riposo del defunto.
Dunque questi iniziava un lungo viaggio attraverso il mondo dell'oltretomba. Il defunto veniva condotto da
Anubi, il dio dei morti, nella cosiddetta Sala delle Due Verità. A un'estremità c'era Osiride, seduto su un trono e
accompagnato da altre divinità e 42 giudici. Al centro della sala era posta la bilancia, le cui assi erano misurate
attentamente da Thot, dio degli scribi, sulla quale veniva pesato il cuore del defunto. Davanti alla divinità e ai
giudici, il defunto doveva pronunciare la confessione negativa: la sua dichiarazione di innocenza. Dopodiché, se il
piatto sul quale giaceva il cuore si fosse inclinato più di quello sul quale giaceva la piuma, simbolo della giustizia,
questi sarebbe stato divorato da Amit, un mostro metà ippopotamo e metà leonessa. In caso contrario il defunto
sarebbe potuto entrare nel regno di Osiride e raggiungere così i campi di Iaru, una sorta di paradiso, dove gli
ushabti, ometti di legno costruiti appositamente, avrebbero lavorato per soddisfare le sue necessità.
Prima di raggiungere però la gradita meta, l'anima del defunto doveva compiere un lungo viaggio. Sulla
barca del dio Ra, si doveva oltrepassare un lago infuocato, sorvegliato da quattro babbuini, affrontare coccodrilli,
serpenti e il perfido Apofi, gigantesco mostro condannato in eterno a minacciare l'affondamento della barca di Ra.
Unico aiuto per il defunto erano gli amuleti e le formule posti dai sacerdoti durante la mummificazione.
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