Farmaco @ vigilanza Notiziario a cura della SOC Ass. Farmaceutica Territoriale Responsabile ASL CN2 Farmacovigilanza: Dr.ssa Maria M. Avataneo Progetto FARMATER: Dr. Andrea Riberi Settembre 2012 – n.4 FDA COMMUNICATION: Morti in età pediatrica per somministrazione di Codeina TGA COMMUNICATION: Malformazioni fetali per uso di Candesartan Codeina Cadersartan cilexetil Antitussivi Oppiodi Antagonisti dell'angiotensina II + diuretici Tutte le specialità Classe C Tutte le specialità Classe A La FDA sta analizzando le segnalazioni di reazioni avverse gravi o morte in bambini a seguito dell'assunzione di codeina per alleviare il dolore dopo tonsillectomia e/o adenoidectomia, per la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno. Recentemente sono stati documentati, nella letteratura medica, tre morti in età pediatrica e un caso non-fatale, ma pericoloso per la vita, di depressione respiratoria. Questi bambini di età compresa tra i 2 e i 5 anni, mostravano una capacità, genetica ereditaria, di convertire codeina in quantità tossiche o mortali di morfina. Tutti i bambini avevano ricevuto dosi di codeina all'interno del range di dosaggio tipico. La codeina ingerita è normalmente convertita in morfina nel fegato dal citocromo P450 2D6. Il metabolismo ultra-rapido, che manifestano alcune persone, derivante dall’elevata attività di questi enzimi, fa sì che la codeina venga convertita in morfina più velocemente che negli altri individui. Elevati livelli di morfina nel sangue possono causare difficoltà respiratorie ed inoltre, possono essere fatali. L’FDA sta conducendo una revisione per determinare se ci sono ulteriori casi di sovradosaggio accidentale di morte nei bambini che assumono codeina, e se questi eventi avversi si sono verificati durante il trattamento di altri tipi di dolore, come il dolore post-operatorio. L’FDA aggiornerà il pubblico quanto quando saranno disponibili maggiori informazioni.1 L’Autorità regolatoria australiana (TGA) ha ricevuto 4 segnalazioni di anomalie fetali associate ad impiego di Candesartan in gravidanza, inclusi 3 casi verificatisi nel 2011. Nel primo caso, la terapia con Candesartan era stata iniziata prima del concepimento e continuata fino alla trentesima settimana di gestazione: al feto fu diagnosticata insufficienza renale, nefrocalcinosi e anomalie congenite del sistema genitourinario. Nel secondo caso, fu diagnosticata anidramnios e possibile displasia renale: la morte fetale è sopraggiunta alla trentaquattresima settimana, 7 settimane dopo aver interrotto la terapia con candesartan. Nel terzo caso è stata riportata la presenza di insufficienza renale e malformazioni renali. Inoltre, il TGA ha ricevuto segnalazioni di anomalie fetali, anche in seguito all’uso di irbesartan, enalapril, lisinopril, perindopril e captopril durante la gravidanza. I sartani e gli ACE-inibitori sono classificati in categoria D, secondo il sistema di classificazione australiana e il loro impiego è controindicato in gravidanza. L’utilizzo di antipertensivi, che agiscono sul sistema renina-angiotensina, sono stati associati a riduzione della funzionalità renale, oligoidramnios e ritardo dell’ossificazione del cranio nel feto. Il rischio di malformazioni fetali è ritenuto maggiore quando l’esposizione avviene nel secondo e nel terzo trimestre di gravidanza e il loro impiego è stato associato a problemi neonatali come l’insufficienza renale, ipotensione ed ipokaliemia. La TGA consiglia agli operatori sanitari di valutare l’uso di sartani e di ACE-inibitori nelle donne in età fertile. È opportuno avvisare queste donne dei rischi per il feto e consigliare un appropriato metodo contraccettivo per evitare involontarie esposizioni fetali. Le donne in trattamento con un sartano o un ACE-inibitore devono consultare il proprio medico se iniziano una gravidanza o se la stanno programmando. In questi casi bisogna passare ad un altro antipertensivo.1 1. FDA, press release 15 August 2012 National Cancer Institute: principali novità Densità mammografica elevata e rischio di morte. Secondo uno studio, condotto dalla dott.ssa G.L. Gierach (NCI), la densità mammografica elevata, rappresenta un fattore di rischio molto importante per il tumore al seno, ma non sembra aumentare il rischio di morte nelle pazienti affette da questo tipo di cancro. NIH: linfoma di Burkitt differente da altri linfomi. Alcuni scienziati hanno scoperto segni distintivi nel linfoma di Burkitt, tra cui alterazioni genetiche uniche che favoriscono la sopravvivenza cellulare, non riscontrate in altri linfomi. Tumori del colon e del retto: un solo cancro. Il modello di alterazioni genomiche nei tessuti del colon e del retto è lo stesso, ed è indipendente dalla posizione anatomica e/o dalla sede di origine (colon o retto). Questo ha portato i ricercatori a concludere che questi due tipi di tumore possono essere raggruppati come fossero uno, in accordo con il progetto The Cancer Genome Atlas (TCGA).1 1. National Cancer Institute, September 2012 1. TGA, Medicines Safety Update 2012 Farmaco @ vigilanza Notiziario a cura della SOC Ass. Farmaceutica Territoriale Responsabile ASL CN2 Farmacovigilanza: Dr.ssa Maria M. Avataneo Progetto FARMATER: Dr. Andrea Riberi Settembre 2012 – n.4 La concomitanza dell’epatopatia Gli inibitori della tirosin chinasi sono una numerosa classe di farmaci efficaci nella terapia orale di svariate patologie neoplastiche, ematologiche e solide, usati con sempre maggior frequenza per la loro azione antiproliferativa. Questi farmaci, pur vantando una notevole efficacia, spesso si associano a eventi avversi che possono ridurre la compliance alla terapia. I maggiori eventi avversi attribuibili a questa classe di farmaci sono riconducibili a tossicità gastrointestinale, cardiovascolare, ematologica e cutanea. Altri eventi avversi associati al trattamento con gli inibitori della tirosin chinasi comprendono ipotiroidismo, epatotossicità, affaticamento e osteonecrosi della mandibola.1 In riferimento al caso di Camilla, la “confusione” è presente tra gli effetti indesiderati dell’imatinib, mentre per il lapatinib non è riportata e per entrambi non è descritta l’iperammoniemia come reazione avversa.2,3,4 Imatinib e lapatinib, i due farmaci assunti dalla paziente, vengono eliminati per via epatica, soprattutto attraverso il sistema CYP3A4 e sono controindicati nell’insufficienza epatica per il rischio di grave epatotossicità.2,4 E’ verosimile che nel caso di Camilla, in un “terreno” di epatopatia cronica, peraltro non evidente biochimicamente né clinicamente al momento del ricovero, senza altri eventi clinici correlati a complicanze di epatopatia cronica precedenti lo stato confusionale, l’uso di lapatinib abbia favorito, nel corso di alcuni mesi, il precipitare di un’encefalopatia metabolica di origine epatica con marcata iperammoniemia. Il difetto di rimozione di ammonio potrebbe essere avvenuto per blocco enzimatico a vari livelli del ciclo epatico dell’urea (soprattutto carbamilfosfatosintetasi, ornitiltranscarbamilasi e arginasi) che rappresenta la principale via di eliminazione dell’ammonio prodotto dai tessuti e dal tratto gastrointestinale a opera dei batteri e/o per blocco enzimatico a livello epatico, cerebrale e renale del ciclo dell’acido glutammico e glutamina (glutamina sintetasi e glutammato deidrogenasi). Tutti gli inibitori della tirosin chinasi non dovrebbero essere usati nei pazienti con insufficienza epatica manifesta o latente a causa della potenziale e grave epatotossicità. Inoltre, è noto come alcuni farmaci possano dare potenziali interazioni con gli inibitori della tirosin chinasi, sia a causa di induzione o inibizione metabolica sia a causa di altri meccanismi non ben noti. In particolare il warfarin, con cui Camilla è in terapia cronica, potrebbe aver aumentato la biodisponibilità degli inibitori della tirosin chinasi.1 Alla luce di quanto esposto occorre sottolineare ancora una volta l’importanza di un’attenta anamnesi anche farmacologica e l’attenzione alla comorbilità nella guida alla prescrizione razionale di sostanze efficaci ma gravate da importanti effetti avversi. A cura di Daniele Busetto UOC Medicina Interna, Azienda ULSS 6 Vicenza, Ospedale S. Bortolo Bibliografia 1. Mol Aspect Med 2011;32:1 2. Farmacologia di genere, Seed Torino, 2010 3. Int J Clin Pharmacol Therap 2011;49:577 4. J Clin Pharmacol 2012, in stampa 5. Int J Geriatr Psychiatry 2012;DOI:10.1002/gps.3806 6. Am J Med 2010;123:877 7. Psychosomatic Med 2000;62:804 Farmaco @ vigilanza Notiziario a cura della SOC Ass. Farmaceutica Territoriale Responsabile ASL CN2 Farmacovigilanza: Dr.ssa Maria M. Avataneo Progetto FARMATER: Dr. Andrea Riberi Settembre 2012 – n.4 Domperidone: e se il vomito aumenta? Segnaliamo una reazione avversa da domperidone osservata in sette pazienti pediatrici (con età da 1 a 8 anni) in riabilitazione dai postumi di un grave trauma cerebrale, comprendenti stato di minima responsività, tetraparesi spastica, crisi epilettiche occasionali e disfagia. Prima della riabilitazione nessun paziente era in grado di alimentarsi, per cui la nutrizione e i farmaci sono stati somministrati via sondino naso-gastrico in due pazienti e tramite gastrostomia endoscopica percutanea negli altri cinque. Le modalità di nutrizione enterale sono state costantemente adattate per evitare qualsiasi fastidio o induzione del vomito. La terapia farmacologica era costituita da baclofene, diazepam, valproato e antibiotici al bisogno, più omeprazolo o ranitidina per la gastroprotezione. Per facilitare lo svuotamento gastrico, ai pazienti veniva somministrato domperidone da 15 a 20 minuti prima dei pasti, quattro volte al giorno, alle dosi terapeutiche raccomandate. Secondo la scheda tecnica la posologia indicata in pediatria (neonati e bambini) è di 0,25-0,50 mg/kg da 3 a 4 volte al giorno con una dose massima giornaliera di 2,4 mg/kg (senza superare gli 80 mg al giorno). Quattro pazienti avevano iniziato la terapia con domperidone in terapia intensiva, pochi giorni prima, e si sono presentati in neuroriabilitazione già con vomito ricorrente. Tre bambini hanno iniziato il domperidone durante la riabilitazione e il vomito è insorto entro un giorno. Con il prosieguo della terapia il vomito è aumentato sia come frequenza sia come intensità in tutti i pazienti, che soffrivano anche di crampi addominali ricorrenti, meteorismo e diarrea. Cinque di loro hanno evidenziato ristagni persistenti della nutrizione enterale, che andavano dal 50 all’80% del volume somministrato, rendendo quindi necessaria l’aspirazione gastrica dopo la maggioranza dei pasti. Nonostante il ristagno gastrico peggiorato, in tre pazienti la peristalsi era molto aumentata. A eccezione di un paziente, trasferito d’urgenza mentre assumeva ancora il domperidone, negli altri la somministrazione è stata interrotta non appena il farmaco è stato sospettato essere la causa del vomito, con il risultato di una rapida riduzione nell’intensità del sintomo, seguita dopo 2-3 giorni dalla diminuzione del numero di episodi. L’assimilazione della nutrizione enterale è migliorata, il ristagno gastrico è cessato e solo episodi residui di rigurgiti e conati sono persistiti, spesso in seguito a tosse importante. In due pazienti l’insorgenza spontanea di vomito, durante un ricovero successivo, ha permesso una seconda somministrazione di domperidone, che ha portato ancora a un peggioramento dei sintomi a cui ha fatto seguito un miglioramento degli stessi una volta interrotto il farmaco. In un paziente, sottoposto a esame scintigrafico del transito gastrico durante la terapia con domperidone, è stato evidenziato un episodio di reflusso gastroesofageo; l’esame del piloro ha inoltre rivelato inizialmente una stenosi completa, seguita da un rilassamento insufficiente, che ha portato a una minima apertura pilorica. L’analisi del nesso causale tra la reazione osservata e la somministrazione di domperidone effettuata tramite l’algoritmo di Naranjo ha ottenuto il risultato “probabile”. Farmaco @ vigilanza Notiziario a cura della SOC Ass. Farmaceutica Territoriale Responsabile ASL CN2 Farmacovigilanza: Dr.ssa Maria M. Avataneo Progetto FARMATER: Dr. Andrea Riberi Settembre 2012 – n.4 Una reazione avversa paradossa I bambini disfagici che ricevono una nutrizione enterale sono soggetti a sviluppare gastroparesi, per cui vengono trattati con procinetici allo scopo di migliorare la peristalsi. Evidenze cliniche indicano che disfunzioni del sistema nervoso centrale possono causare uno svuotamento gastrico rallentato, ma le opinioni riguardo all’appropriatezza di una terapia procinetica sono contrastanti.1,2 Ciononostante i pro cinetici sono usati nella routine clinica e il domperidone è divenuto un farmaco d’elezione a causa della bassa incidenza di effetti avversi extrapiramidali. Infatti le reazioni avverse più comuni da domperidone, segnalate sulla scheda tecnica e pervenute dalla sorveglianza post marketing, comprendono disturbi gastrointestinali e una moderata induzione di iperprolattinemia.3 Tuttavia, in uno studio4 si è osservato che il domperidone accorcia la durata ma aumenta la frequenza degli episodi di reflusso gastroesofageo in neonati; e in un altro studio5 è stato riportato che il domperidone ha causato vomito nel 10% dei pazienti adulti in terapia per gastroparesi diabetica. La reazione avversa da domperidone qui segnalata è opposta all’azione terapeutica del farmaco ed è stata osservata in sette pazienti, molto omogenei in termini di condizioni e trattamento. Ciò permette di ipotizzare un meccanismo alla base dell’effetto paradosso del domperidone in questi casi. Due aspetti rilevanti del trauma cerebrale possono aver contribuito: la disfagia e il ridotto tono vagale. La disfagia ha un impatto negativo sulla stimolazione della peristalsi, in quanto sottrae segnali nervosi e ormonali a monte, che normalmente organizzano tale processo.6 L’innervazione vagale gioca un ruolo importante nello svuotamento gastrico e le fibre nitrergiche raggiungono la regione antro-duodenale, dove stimolano il rilassamento pilorico.7 E’ infatti noto che la riduzione del tono vagale può causare gastroparesi e in casi gravi potrebbe anche indebolire il rilassamento pilorico. In questo scenario, anche il domperidone può innescare la stenosi del piloro. Infatti la dopamina stimola le fibre nitrergiche responsabili del rilassamento e, dal momento che il domperidone blocca i recettori D2, esso causa una riduzione dell’attività dell’enzima ossido nitrico sintetasi che può portare a un’insufficiente capacità di rilassamento del piloro. Questo può spiegare perché il domperidone aumenti la peristalsi e contemporaneamente causi vomito. Non sorprende che il domperidone non sia unanimemente accettato come farmaco sicuro: questi casi dimostrano come effetti farmacologici elusivi, non evidenti in pazienti standard, possano in ultima analisi compromettere l’efficacia di una terapia. Una possibilità per limitare l’insorgenza di questa reazione avversa da domperidone è di effettuare un esame del transito gastrico subito dopo l’inizio della terapia, per riconoscere eventuali ostruzioni. Questo potrà inoltre aiutare a definire gruppi di pazienti a rischio,migliorando i criteri di somministrazione. A cura di Marco Pozzi (1,2), Sandra Strazzer (1), Federica Locatelli(1),Sara Galbiati (1), Francesca Formica (1), Valentina Perrone (2),Carla Carnevale (2), Emilio Clementi (2), Sonia Radice (2) 1 IRCCS E. Medea La Nostra famiglia, Bosisio Parini, Lecco 2 UO Farmacologia Clinica, Servizio di Farmacovigilanza, Ospedale Universitario L.Sacco, Milano Bibliografia 1. J Parenter Enteral Nutr 2009;33:646-55. 2. Digestion 1999;60:422-7. 3. Am J Gastroenterol 2007;102:2036-45. 4. J Perinatol 2008;28:766-70. 5. Am J Gastroenterol 1999;94:1230-46. 6. Am J Physiol Gastrointest Liver Physiol 2009;296:G1-8. 7. Neurogastroenterol Motil 2011;23:980-8. Farmaco @ vigilanza Notiziario a cura della SOC Ass. Farmaceutica Territoriale Responsabile ASL CN2 Farmacovigilanza: Dr.ssa Maria M. Avataneo Progetto FARMATER: Dr. Andrea Riberi Settembre 2012 – n.4 Ernesta pende da un lato Nel settembre 2010 Ernesta, 47 anni, viene ospedalizzata, a causa di una grave riacutizzazione psicotica con una diagnosi di schizofrenia disorganizzata, disturbo ossessivo-compulsivo, moderato ritardo mentale, epilessia generalizzata e incontinenza fecale. Al momento del ricovero, la donna è in trattamento farmacologico con ziprasidone (160 mg/die), sodio valproato (1.500 mg/die), clonazepam (6 mg/die) e loperamide cloridrato (2 mg/die). A causa della persistenza dei sintomi psicotici viene somministrata quetiapina (800 mg/die) e sospeso lo ziprasidone. In seguito alla comparsa di tremori distali agli arti superiori, viene iniziata anche una terapia con biperidene (4 mg/die). Un mese dopo, a causa del peggioramento della sintomatologia ossessivo-compulsiva, la donna viene trattata con sertralina (100 mg/die), in seguito aumentata a 200 mg/die. Cinque giorni dopo l’aumento della dose di sertralina, compaiono alcuni sintomi riconducibili a una sindrome di Pisa: la donna ha una flessione del tronco verso un lato e mantiene una postura inclinata da quel lato. Nelle analisi esplorative dei dati raccolti con la scala di Simpson- Angus per la valutazione dei sintomi extrapiramidali,1 emerge un punteggio di 28. La sertralina viene immediatamente sospesa e la dose giornaliera di quetiapina rapidamente ridotta a 400 mg/die. Le condizioni di Ernesta migliorano notevolmente, infatti dopo 20 giorni una rivalutazione con la stessa batteria di test porta a un punteggio di 6. In base all’algoritmo di Naranjo il nesso causale tra i farmaci sospetti (quetiapina e sertralina) e la reazione osservata è risultato “possibile”. Una sindrome extrapiramidale Il caso segnalato è relativo all’insorgenza della sindrome di Pisa in una donna di 47 anni con gravi disturbi organici delle funzioni cerebrali, insorta durante il trattamento con sertralina e quetiapina e scomparsa in seguito alla sospensione dell’inibitore della ricaptazione della serotonina. La sindrome di Pisa, o pleurototono, è un disturbo extrapiramidale raro, caratterizzato dalla flessione e dalla rotazione del tronco verso un lato oltre che dal mantenimento di una postura inclinata lateralmente. Questa particolare distonia è stata associata all’uso degli antipsicotici, sia tipici sia atipici. Costituiscono fattori di rischio per questa anomalia posturale il sesso femminile, l’età avanzata e i cambiamenti organici cerebrali.2 Nessun caso relativo all’insorgenza di sindrome di Pisa da sertralina è stato finora riportato in letteratura. Sono invece presenti due casi associati a somministrazione di quetiapina.3,4 Il caso clinico sopra descritto è quindi il primo in cui la sertralina è implicata nell’insorgenza della sindrome di Pisa. A supporto dell’ipotesi sono il profilo temporale, le caratteristiche cliniche e la risoluzione completa della reazione avversa dopo la sospensione della sertralina e la riduzione del dosaggio della quetiapina. I dati clinici non consentono di definire con assoluta certezza se la sertralina in monoterapia o la sua associazione con quetiapina sia stata responsabile dell’insorgenza dell’evento avverso osservato, anche se la sua sospensione è stata sufficiente per determinarne la remissione. Il meccanismo farmacologico alla base di tale eventi può essere riconducibile al fatto che entrambi i farmaci sono in grado di provocare uno squilibrio tra il tono dopaminergico e quello colinergico provocando il noto corteo di effetti collaterali extrapiramidali alla base della sindrome di Pisa. La quetiapina a dosaggio terapeutico determina la riduzione della neurotrasmissione della dopamina, mediata dai recettori D2; la sertralina inibendo la ricaptazione della 5-idrossitriptamina ne aumenta l’attività e concorre all’inibizione dei neuroni dopaminergici a livello sia nigrostriatale sia tubero-infundibolare, causando sintomi extrapiramidali.5,6 Questo caso mostra come la sertralina giochi un ruolo nell’insorgenza della sindrome di Pisa e che è necessaria una maggiore attenzione nei pazienti in politerapia con farmaci che modulano la neurotrasmissione. A cura di: Valentina Perrone, Stefania Antoniazzi, Carla Carnovale, Emilio Clementi e Sonia Radice Unità Operativa Farmacologia Clinica, Servizio di Farmacovigilanza, Ospedale Universitario L. Sacco, Milano Bibliografia: 1 Acta Psych Scand 1970;212:11-9. 2 CNS Drugs 2002;16:165-74. 3 Prog Neuropsychopharmacol Biol Psychiatry 2009;33:1286-7 4 Prog Neuropsychopharmacol Biol Psychiatry 2011;35:645-6. 5 Goldstein J, Greg C, et al. American Psychiatric Association’s 160th Annual Meeting, 2007, San Diego. 6 CNS Drugs 2000;14:367-79.