La strategia di un''anatra zoppa'
L'ultimo asso nella manica per Obama è il 'potere della persuasione'
Di Alessandro Mancini Caterini
ROMA, 19 Novembre 2014 (Zenit.org) - Le elezioni di mid-term del 4 novembre scorso hanno
causato un terremoto all'interno del partito democratico americano. Quando a gennaio il nuovo
Congresso sarà insediato come da normativa, l'amministrazione di Obama si ritroverà con una
maggioranza ostile in entrambe le camere. Il Partito Repubblicano, infatti, è riuscito non solo a
consolidare la sua forza nella Camera dei Rappresentanti, ma è anche riuscito conquistare più del
50% del Senato.
Ragionando su tali risultati, è lecito domandarsi quali siano le prospettive per l’amministrazione
Obama nei suoi ultimi due anni di mandato. Sarà un governo completamente paralizzato? Sarà un
governo guidato da una cosiddetta ‘anatra zoppa’?
Le preoccupazioni sono legittime. Bisogna inoltre ricordare che l'attuale sistema politico americano
è già di per sé complesso e lento, per via dell'architettura costituzionale dei Padri Fondatori i quali,
per evitare che uno dei tre poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) dominasse gli altri, hanno
sapientemente creato un efficace sistema di controlli e bilanciamenti. Il costo di tale ‘armonia fra
poteri’ è un’eccessiva lentezza. Una lentezza che dopo i recenti risultati elettorali non può che
confermarsi ulteriormente, dato che nessuno dei due maggiori partiti americani ha un controllo
completo per implementare più celermente le proprie leggi (ai democratici è rimasto il potere
esecutivo, mentre ai repubblicani quello legislativo).
In passato, stalli simili venivano risolti con soluzioni bipartisan, ma attualmente è difficile
aspettarsi una collaborazione per questioni assai controverse. Per esempio, che ne sarà del
livellamento del deficit? Che ne sarà della politica sul controllo delle armi? Che ne sarà della
politiche ambientali? Come cambierà la complessa riforma sanitaria?
Seppure i numeri non siano dalla sua parte, il presidente degli Stati Uniti può ancora contare su
quello che lo scienziato politico Richard Neustadt chiamava il ‘potere della persuasione’. In virtù
del suo prestigio simbolico, il presidente può contare sulla sua influenza e sul suo carisma per
cambiare gli assetti politici. Per Neustadt, il potere del presidente non è quello di comandare, ma
quello di persuadere.
Nelle ultime settimane è diventato evidente che Obama si sia dovuto affidare a questa forma di
potere. Mentre a Washington, Obama soffre l'opposizione dei Repubblicani sui temi energetici, a
Pechino, durante il summit dell'APEC, ha ripetuto con enfasi che gli attuali sforzi profusi per
contrastare il cambiamento climatico non sono sufficienti e che sono necessarie nuove coraggiose
politiche. Di conseguenza Obama e il presidente cinese Xi Jinping hanno realizzato un comunicato
stampa congiunto in cui veniva reso noto che sia il governo cinese che quello americano
svolgeranno una strategia comune per lo sviluppo delle energie alternative.
Una settimana dopo l'incontro, i Democratici sono riusciti ad evitare l'approvazione al Congresso di
una mozione che avrebbe dato il via ai lavori di un controverso gasdotto dal Canada agli Stati Uniti,
il Keystone Pipeline. Il partito di Obama ha evitato questo progetto per il rotto della cuffia, dunque
al presidente è diventato perfettamente chiaro che da gennaio, con un Congresso completamente
dominato dai Repubblicani, i numeri non potranno più salvarlo.
Dunque l'enfasi di Obama nei summit internazionali sui temi energetici non è casuale: il potere
della persuasione potrebbe risultare efficace se il presidente riuscisse a convincere i Repubblicani
che il cambiamento climatico è una questione mondiale e non un prodotto di varie mozioni separate
fra loro che passano periodicamente per Washington. Non a caso Obama ha recentemente
incoraggiato l'idea di creare nuovi investimenti per un fondo delle Nazioni Unite sulle energie
rinnovabili. Gli Stati Uniti non saranno gli unici donatori, dato che il concetto chiave nei discorsi di
Obama è quello di una “strategia globale”: altri investimenti, infatti, si aspettano da paesi come
Germania, Francia e Giappone. Creare un consenso globale vuol dire mettere ulteriore pressione sul
Congresso americano. È chiaro, dunque, che la vastità del progetto potrebbe persuadere i
Repubblicani a non votare a favore di progetti che rischiano di alzare il livello di inquinamento,
come la Keystone Pipeline.
Un altro notevole esempio della strategia di persuasione è la richiesta di Obama alla FCC (l’agenzia
governativa per le telecomunicazioni) di stabilire delle regole per difendere la neutralità della rete.
Tali regole impedirebbero alle multinazionali più grandi come la AT&T di creare delle corsie
preferenziali su internet. È evidente che a Obama toccherà affrontare una dura opposizione su
questa tema (spesso queste multinazionali sono grandi finanziatori dei partiti americani), ma
potrebbe essere necessario un vasto appello popolare sull'equità di internet per evitare aspre
battaglie al Congresso.
Inoltre il G20 a Brisbane ha dimostrato che la persuasione di Obama può avere effetti anche su altri
paesi e non solo sugli Stati Uniti. Il Presidente ha enfatizzato l'importanza di politiche di crescita in
un periodo di crisi economica e ciò ha naturalmente incoraggio leader nazionali come Renzi a
criticare le rigide regole di austerità nell'Eurozona.
Poiché le sconfitte al Congresso sono destinate ad aumentare (recentemente i Repubblicani del
Senato hanno votato contro il Freedom Act voluto da Obama per contrastare alcune violazioni della
privacy della NSA), non dovrebbero stupire ulteriori iniziative internazionali anziché domestiche da
parte di Obama. Essendo ormai giunto verso la fine del suo mandato, il presidente ha meno
incentivi a recuperare consensi in territorio domestico. Gli ultimi due anni rimasti nel suo mandato,
invece, possono servirgli per concentrarsi su cambiamenti globali: per esempio ottenere risultati
effettivi su un tema come quello dell’ecologia che è ancora immobilizzato dal fallimento di
Copenaghen nel 2009. Ancor più ambizioso nello scenario globale sarebbe riuscire ad ottenere
maggiore stabilità nei rapporti geopolitici, ma purtroppo le questioni irachena, palestinese e ucraina
sembrano lontane dall'essere risolte. Eppure è evidente che, all'interno della politica americana,
l'ultimo asso nella manica rimasto ad Obama è quello di ottenere effetti talmente evidenti nelle
questioni mondiali, che tali successi avrebbero conseguenze positive anche sull'opinione pubblica
americana. Un Presidente capace di risolvere tali questioni non apparirebbe mai zoppo e i numeri
del Congresso a lui ostili diventerebbero quasi irrilevanti.