LA SEGRETARIA D'AMERICA
Martedì 02 Dicembre 2008 14:30
di Michele Paris
Come per l’economia, anche per gli esteri e la sicurezza nazionale, il presidente eletto Barack
Obama ha optato per la scelta di un team di personaggi di grosso calibro e di pragmatisti con
una lunga esperienza negli ambienti di Washington. In una sobria conferenza stampa nella
capitale statunitense, il primo presidente afroamericano della storia di questo paese ha
introdotto i membri del suo gabinetto annunciando “un nuovo inizio e una nuova alba per la
leadership americana” nel mondo, fissando una serie di principi secondo i quali la sua
amministrazione dovrà operare nel bel mezzo di due guerre ancora estremamente complicate,
per rimediare in qualche modo agli errori di George W. Bush. Poco importa poi, a detta di
Obama, se a ricoprire le due posizioni più importanti saranno da un lato proprio uno degli attori
principali nella gestione della politica estera di Bush negli ultimi due anno - Robert M. Gates,
confermato alla Difesa - e dall’altro il nuovo Segretario di Stato Hillary Clinton, schieratasi a
favore dell’invasione irachena nel voto al Senato dell’ottobre 2002. L’annuncio ufficiale dei
membri del nuovo governo che dovranno confrontarsi con le spinose questioni internazionali e
con i temi della sicurezza interna del paese non ha riservato alcuna sorpresa ed è giunto al
termine di complesse trattative per portare al Dipartimento di Stato quella che sarà la vera star
del gabinetto Obama e il volto della sua amministrazione all’estero. Una nomina molto discussa
quella di Hillary e fortemente condizionata dalla figura del marito Bill e dalle proficue attività da
quest’ultimo intraprese intorno al globo a partire dall’addio alla Casa Bianca nel gennaio del
2001.
A tutti i possibili candidati ad un posto nel gabinetto di Obama è stato chiesto già all’indomani
delle votazioni di rispondere ad un questionario molto dettagliato che richiedeva di elencare, tra
l’altro, tutti i possibili motivo di imbarazzo e di conflitto di interesse che sarebbero potuti
emergere una volta assunto l’incarico. Pur non sapendo se la medesima procedura sia stata
adottata anche nei confronti della ex first lady, nel suo caso si è resa necessaria una difficile
negoziazione per evitare che gli affari di Bill Clinton potessero suscitare complicazioni già dai
prossimi mesi. Il 42esimo presidente degli USA infatti è a capo di una fondazione per la lotta
contro la povertà e le malattie che raccoglie parecchie centinaia di milioni di dollari in tutto in
tutto il mondo grazie al contributo di grandi compagnie private e di molti governi. Non è difficile
credere come simili contributi potrebbero in futuro intrecciarsi con l’attività diplomatica di Hillary
nei confronti di paesi alla ricerca di trattamenti di favore da parte del governo americano.
Oltre all’attività benefica di Bill, vanno ricordate poi almeno altre due sue fonti di guadagno che
gli hanno permesso di accumulare una vera e propria fortuna nell’ultimo decennio. Vale a dire i
compensi ricevuti presso organizzazioni varie in tutto il mondo per i suoi discorsi - prestazioni
che gli hanno assicurato cachet addirittura superiori ai 400.000 dollari per un singolo intervento
- e quelli per l’attività di consulenza a favore di alcune aziende e multinazionali impegnate
nell’ottenere proficui contratti in paesi esteri. Se l’ex presidente democratico ha alla fine
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acconsentito a rendere noto l’elenco dei benefattori della sua fondazione e a sottoporre al
giudizio di una apposita commissione etica della Casa Bianca ogni suo futura attività o
compenso, rimangono profondi interrogativi circa un intreccio di interessi a livello planetario che
avrebbero potuto essere fugati solo con la cessazione di ogni attività da parte della sua
fondazione.
Le perplessità legate all’eventuale successo nel nuovo ruolo di Hillary Clinton come Segretario
di Stato dipendono poi sia dal rapporto che quest’ultima riuscirà a costruire con Barack Obama
che dalla sua effettiva competenza nei rapporti internazionali. La durissima battaglia delle
primarie tra i due candidati democratici alla nomination si era basata durante i primi cinque mesi
dell’anno anche su aspri scambi di battute sui temi della politica estera. Oltre alle divergenze
circa l’appoggio alla guerra in Iraq, Hillary e Obama si erano confrontati su svariate altre
questioni, prima fra tutte l’approccio diplomatico da adottare verso paesi come Iran e Cuba. Le
critiche venute dal campo del futuro presidente si erano concentrate poi sul tentativo di sminuire
la presunta esperienza accumulata in questo ambito dalla sua rivale negli anni da first lady.
Nella più consolidata tradizione politica americana, gli attriti delle primarie erano stati poi
accantonati per il bene del partito e - a detta di molti membri dei rispettivi staff - le relazioni tra i
due sono notevolmente migliorate nei mesi seguenti. La volontà di Obama di circondarsi di
politici esperti e di procedere alla loro selezione in maniera indipendente e senza badare troppo
alle aspettative di buona parte del suo elettorato, più incline piuttosto ad una netta rottura con il
passato, ha fatto il resto. Da parte di Hillary erano state sollevate inizialmente non poche
perplessità per accettare un ruolo indubbiamente prestigioso ma che le avrebbe chiuso altre
strade, come quella verso una possibile leadership democratica al Senato. L’appurata
impossibilità di guidare una qualche commissione di un ceto rilievo nella prossima legislazione
al Congresso ha alla fine spinto Hillary ad accettare l’incarico propostole da Obama.
All’insegna della continuità bipartisan, come già anticipato, è stata poi la scelta di mantenere il
Segretario alla Difesa di George W. Bush al Pentagono. Numero uno della C.I.A. negli anni di
transizione tra Bush sr. e Bill Clinton, Robert M. Gates ha occupato varie cariche governative in
passato con amministrazioni repubblicane e democratiche. Succeduto all’impopolare Donald
Rumsfeld nel dicembre del 2006, Gates ha avuto un certo successo anche tra le file
democratiche e le sue posizioni, a ben guardare, non sono poi così distanti da quelle sostenute
dallo stesso Obama in campagna elettorale. A cominciare dalla chiusura del carcere di
Guantánamo per giungere alla necessità di avviare il disimpegno americano dall’Iraq, sia pure
senza sacrificare i progressi in termini di sicurezza ottenuti in quel paese, e in linea più
generale, all’opportunità di seguire la via diplomatica rispetto all’uso della forza nei confronti di
questioni internazionali delicate come quella iraniana o nordcoreana.
Oltre a Hillary e a Gates, Obama ha poi annunciato altri incarichi chiave della sua prossima
amministrazione. L’ex comandante NATO James L. Jones sarà il Consigliere per la Sicurezza
Nazionale, posizione che al contrario del Segretario di Stato non è sottoposta alla conferma del
Congresso. A capo dell’Alleanza Atlantica al momento dell’invasione dell’Afghanistan, Jones è
considerato un moderato in politica estera ed ha ricoperto incarichi diplomatici di vario genere,
tra cui uno dei più recenti come inviato speciale per la sicurezza in Medio Oriente per
Condoleezza Rice. La governatrice dell’Arizona Janet Napolitano sarà infine il Segretario per la
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Sicurezza Nazionale, lo speciale ufficio creato da George W. Bush dopo gli attacchi dell’11
settembre, Susan E. Rice - ex membro del Dipartimento di Stato durante la Presidenza Clinton l’ambasciatore presso le Nazioni Unite e Eric H. Holder – altra scelta bipartisan - a capo del
Dipartimento della Giustizia (“Attorney General”).
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