IL
TIRANNO
D'ORIENTE
Giovanni Giuseppe
Pintore
Il Tiranno
d'Oriente
- Capitolo III Il Segreto
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Lodd
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Caro lettore,
Questo racconto segue ed amplia le vicende
narrate nel racconto “L'Erede di Eracle”.
Questo capitolo segue la trama de “Il Tiranno
d'Oriente”. Se stai scoprendo ora questa storia,
voglio invitarti ad iniziare dal principio:
Leggi “L'Erede di Eracle”
Leggi il Capitolo I de “Il Tiranno D'oriente”
Giovanni Giuseppe Pintore
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- Capitolo III -
Segreto
La sua ombra correva rapida sulla liscia muratura delle abitazioni limitrofe alla scogliera,
ingiallite e scorticate dall'aria marina. I resti del
tempio di Poseidone si ergevano proprio lì, a
ridosso della prominente vetta, dove lo stretto
dell'Ellesponto poteva essere meglio ammirato. Si era prematuramente trasformato nel riparo di volatili di ogni sorta, ora che nessuno
fra i viventi osava più recarvisi per portare
omaggio al dio.
Il sole di mezzodì impedì all'incappucciato di
passare inosservato, benché sino ad allora egli
avesse evitato qualsiasi contatto, prendendo
strade alternative, al fine di raggiungere in sicurezza il luogo sacro. Anche il più improbabile
ed innocuo degli abitanti, se l'avesse scorto in
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volto, avrebbe potuto sancire la sua condanna
a morte; e non sarebbe stato l'unico.
L'uomo sgattaiolò oltre le robuste colonne,
rannicchiandosi all'ombra di un mezzo piedistallo. I ricordi gli montarono in testa con insistenza, quasi volessero rammentargli quanto
accaduto di recente. Questa volta sarebbe potuto non essere tanto fortunato.
Si premette la mano sul ventre, dove la ferita, a causa del mancato riposo e dei movimenti
repentini, si era riaperta. Sentì il calore del proprio sangue intingere l'improvvisata fasciatura.
Lo spartano non si era di certo risparmiato,
per assicurarsi che quella messinscena risultasse quantomai credibile. La lama aveva però segnato a fondo le carni dell'ateniese, mancando
di un millimetro gli organi vitali. Aveva rischiato di ucciderlo per davvero; d'altra parte, però,
non aveva avuto scelta.
Una lunga striscia insanguinata gli imbrattò
la veste persiana.
Si sporse dal proprio riparo, abbastanza da
individuare un gomitolo di abiti sporchi, abbandonati ai piedi dell'altare. Si assicurò di es6
sere solo, prima di avventarsi su di essi. Li raccolse in modo forsennato, correndo subito via.
Si fermò solo una volta lontano, ormai al riparo
da occhi indiscreti.
Rammentò le parole del greco, e qualcosa lo
trattenne dallo srotolare l'impacco. Pesava.
Dopotutto, doveva nascondersi qualcosa d'importante sotto i tessuti, pensò.
Sparta lo accolse con freddezza, ed un occhio di riguardo. Un'oplita aveva iniziato a seguirlo da quando aveva superato la truppa posta a guardia dell'ingresso. Poteva sentirne l'alito sul collo. Sì chiese più volte se lo facesse
per il volere dei Re, oppure sotto generoso
compenso di Serse. Non ci si poteva fidare più
di nessuno, ed ancor meno di uno spartano,
dopo gli ultimi eventi.
La città era affollata. Gli abitanti parevano
insolitamente agitati, ed al suo stesso modo si
mostravano guardinghi nei confronti degli stessi concittadini. Si respirava un'atmosfera pesate, carica del timore di brutte notizie imminenti. Dagli sguardi che ricevette, l'ateniese com7
prese da subito che in molti attendessero il suo
arrivo. La notizia si era diffusa in un baleno, ed
a ben poco erano servite le tante precauzioni
prese. Ciò non era un bene per la propria incolumità. Sì sentì meno al sicuro fra quelle illustri
vie, rispetto a quando s'incamminava furtivo
fra le sanguinose strade di Abidi.
Aveva mantenuto un unico contatto in città,
sino alla sua partenza, che aveva fatto sì che la
sua pericolosa permanenza in Asia fosse remunerata: gli dissero che era stato trovato morto
durante l'inverno. Omicidio. Il colpevole non
era mai stato smascherato. Qualcuno sapeva,
ed era chiaro che avesse intenzione d'impedire
il loro incontro.
Nonostante alcuni importanti esponenti ateniesi avessero provato a forzargli la mano, invitandolo a rivelare il messaggio di cui diceva di
essere in possesso, il messaggero era riuscito a
far valere la sua promessa: la parola d'onore di
un uomo aveva valore, ed era ancora rispettata. Aveva taciuto sul contenuto, e su chi gli
avesse affidato tale incarico.
Purtroppo, la sua amata Grecia era in tumul8
to, e gli uni diffidavano dagli altri. Persino tra
fratelli s'insinuava la serpe del sospetto. Le
spie di Serse erano ovunque, e rivelare anche
solo d'esser giunto da Abidi avrebbe compromesso irrimediabilmente la sua missione. Disse
di essere sì un messaggero, ma che portava notizie dalla lontana città di Mileto. Per quanto
fosse anch'essa sotto il dominio persiano, non
incombeva ancora l'ombra di funeste notizie
da parte del Tiranno d'Oriente.
Che la sua presenza fosse ritenuta scomoda
e pericolosa, venne confermato dal brutale assassinio della coppia di mercenari che aveva
assoldato per scortarlo sino a Sparta. Un agguato notturno nelle campagne, dove nessuno
avrebbe mai potuto udire o vedere niente.
Ma l'uomo, sgattaiolando via di soppiatto,
era riuscito a far perdere presto le sue tracce
nella notte, abbandonando addirittura il destriero con cui aveva percorso la maggior parte
della distanza che lo separava dall'adempimento del suo impegno. Lo aveva scambiato con
cibo, ed abiti tali da permettergli di camuffarsi
nell'ambiente ostile.
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Si era avventurato per le colline coltivate,
trovando ospitalità fra gli iloti. Benché egli fosse considerato un eguale, gli offrirono ospitalità e compresero il valore della segretezza dalla
sua missione. Curarono le sue ferite, e gli permisero di rimettersi in marcia, sfruttando il pascolo delle bestie per coprire i suoi spostamenti.
«Avevamo sentito dire che un messaggero
sarebbe giunto da Atene, portando urgenti
nuove dalla città di Mileto. Ti attendevamo oltre una settimana fa» esordì Leonida, quando
ebbe l'ateniese davanti. Riconobbe nel suo
stanco sguardo il peso delle miglia percorse
sulla strada, benché egli indossasse un abito
pulito e si fosse preso cura della sua igiene personale, prima di quell'incontro.
«Purtroppo, la mia presenza è ancor ora ritenuta pericolosa, per ciò che porto con me da
Abidi, ove Re Serse ha stanziato le sue truppe
ed ormeggiato la sua flotta, in attesa di attraversare l'Ellesponto. La falsa notizia che giungessi da Mileto mi occorreva per disorientare
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gli uomini del nemico. Ed è stata una scelta
saggia. La mia scorta è stata assassinata sulla
via per Sparta. Greci, senza dubbio. Ma non saprei dirti nel dettaglio di chi sia opera, mio signore. Proprio per questo voglio ringraziarti
per avermi concesso questa udienza in privato,
lontano da orecchi indiscreti. La mia visita ha
lo scopo di portarvi un dono, in realtà, piuttosto che vane parole» rispose, volgendo un gentile sorriso alla sua signora, Gorgo.
Le voci sul suo conto non tradivano l'immagine che un uomo poteva farsi della dama reale: la fermezza del suo sguardo poteva far gelare il sangue nelle vene. Era una donna spartana, e dava sfoggio di tutta la sua autorità, oltre
che di un fascino inatteso.
L'ateniese stringeva ancora fra le mani quegli stessi stracci che aveva raccolto nel tempio
di Poseidone, esattamente nelle condizioni in
cui li aveva trovati. Le sue braccia tremavano,
non tanto per il peso, bensì per il timore di
cosa vi si nascondesse, in realtà. Poteva trattarsi di un aiuto, così come di una feroce maledizione scagliata da Demarato. La sua vita dipen11
deva da ciò che stava consegnando ad uno dei
Re di Lacedemone.
«Sono tempi aridi di speranze, amico mio.
Voci narrano di grandi eserciti oltre il mare, desiderosi di raggiungere la nostra amata terra.
Dicono il vero?» proseguì Leonida, invitandolo
a sedere al suo fianco.
«Dicono molto meno di quel che è in realtà,
mio signore. E questo posso garantirlo. Sono
numerosi, più di quanti potresti immaginare. È
un lungo serpente dalle squame cangianti e la
testa d'ebano, costituito da soldati raccolti lungo tutta l'Asia Minore. Sono talmente tanti che
è impossibile quantificare il loro numero, o anche solo sperare di poterli contare. Hanno alle
spalle un addestramento basilare, ma al loro
comando si trovano i soldati scelti della guardia reale. La tempesta li ha rallentati, ma saranno presto pronti a superare l'Ellesponto.
Serse è determinato a portare a compimento
la sua vendetta».
«Sembri intimorito da ciò che hai scorto. Hai
fatto molta strada per giunger sin qui, figlio di
Atene, pur quando fra le nostre case non scor12
re buon sangue. Ma dici di esser qui con un
dono, in questo momento difficile» aggiunse
Gorgo, intavolando subito il discorso per cui
erano tutti riuniti in quella sala. «Chi abbiamo
davanti, dunque?».
«Non sbagli, mia signora» replicò. «Il mio
nome vi dirà poco, poiché è opportuno che io
sia, e resti, un semplice nessuno, affinché possa svolgere al meglio il mio lavoro. Sono una
spia ateniese; ma, in questo caso, al servizio
della Grecia. Il mio nome è Ardene, figlio di
Cloriene. Vi porto questo dono nel nome di un
vostro lontano concittadino» disse. Protese poi
il fagotto in direzione di Leonida, invitandolo a
svolgerlo. «Mi diede questo, senz'altro aggiungere».
Il re lo srotolò, mettendo in mostra una tavoletta di ceramica ben lucida. Rimase per
qualche istante ad osservarla, inespressivo, rigirandola ed esaminandola con minuzia. Poi, il
suo volto s'accese di rabbia.
«Credi forse di poterti beffare del Re di Lacedemone, ateniese? Vieni nella mia casa, come
mio ospite, e pretendi, solo poiché sotto vesti
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di messaggero, di poter offendere in tal modo
il mio popolo!?» ruggì furente.
Ardene rimase spiazzato.
Aveva riposto fiducia nello spartano, illudendosi che la sua natura, nonostante i trascorsi,
l'avrebbe guidato a compiere del bene alla sua
gente, ed alla Grecia tutta. Invece, aveva deciso d'insultarlo, condannando così anche lui ad
una morte orribile.
«Non capisco, mio signore. A cosa ti
riferisci? Imploro pietà: ho solo eseguito un ordine, tenendo fede alla mia parola!» lo scongiurò, inchinandosi.
«Alzati, ateniese!» ringhiò Leonida. «Se devi
morire, lo farai da uomo. Dritto sui piedi, osservando il tuo carnefice negli occhi!».
Gli sbatté la tavoletta di ceramica sul petto,
affinché egli potesse comprendere il motivo
della sua collera.
Ardene sbiancò.
Voltò l'oggetto più volte, esaminandolo da
cima a fondo; ma sarebbe stato inutile: era
vuoto. La tavola era pronta per essere incisa,
piuttosto; ciò pareva un messaggio ben chiaro
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indirizzato ai re di Sparta: ciò che il suo mandante voleva, in realtà, era una dichiarazione di
resa. Era l'unica spiegazione plausibile che giustificasse un tale comportamento.
«Leonida, mio signore. Posso giurarti su tutti
gli Dei, che Zeus mi folgori, che non avevo idea
di ciò che stessi trasportando. Lui mi ha salvato
la vita, ordinandomi di non infrangere la promessa. Solo tu avresti potuto vederne il contenuto. Imploro la tua clemenza!» disse l'ateniese. I suoi occhi vissuti erano gravati dal senso
di colpevolezza, ma sinceri.
«Non possiamo permettere che la notizia
trapeli da questa sala. Se si sapesse, verresti
destituito per non aver mosso guerra contro
Atene, amore mio. Già in troppi siamo a conoscenza di questa vile realtà. Sparta non può
mostrarsi debole proprio ora. Devi fare qualcosa: qualcuno dovrà fungere da capro espiatorio» suggerì Gorgo.
«Chi è stato? Chi è il mandante di questo
dono, messaggero?! Chi reca offesa nella casa
degli eredi di Eracle?!» lo interrogò Leonida, tirandolo su per la veste, scuotendolo. L'uomo si
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lasciò sfuggire un mugolio di dolore, causato
dallo stiramento della pelle del bacino. Le gambe gli cedettero, e d'un tratto crollò a terra,
tremante. Il respiro corto. Le vesti gli si strapparono, mettendo in mostra le insanguinate fasciature.
La tavoletta di ceramica, invece, rimbalzò sul
pavimento con un tonfo sordo.
Il Re e la Regina rimasero stupiti dalla sua
reazione. Ardene si premette la mano sul ventre, e sputò una cascata di sangue. La ferita
non era mai guarita del tutto, soprattutto a
causa del lungo viaggio. Rantolò per qualche
istante, prima di riuscire a prendere parola:
«Ho chiesto udienza ai discendenti della casata degli Agiadi, poiché forse avreste saputo
comprendere meglio il suo punto di vista. Pur
se vecchio, è ancora in forze. Ha scelto di
schierarsi dalla parte di Serse, dopo che Cleomene I ha fatto decretare il suo esilio da Sparta. Demarato, figlio di Aristone, discendente
degli Euripontidi, mi ha consegnato questa tavola. Mentre mi pugnalava, per consentirmi di
sfuggire alle grinfie dei persiani, mi sussurrò al16
l'orecchio: “Va' da Leonida. Capirà”». Il suo
racconto era sincero, mentre le lacrime di dolore che riversava sul pavimento davano prova
della sua nobiltà d'animo. «Mi chiedi di pagare
per la sua idiozia... t'imploro di risparmiarmi,
mio signore. Ho agito nel giusto!»
«Sembri onesto, Ardene. Ma Re Leotichida
esigerà chiarimenti in merito a questo incontro
segreto. Non sarà felice di sapere che Demarato ha voluto prendersi gioco di Sparta in questo modo. È una provocazione, per spingerci ad
agire guidati dalla sete di vendetta».
«Forse non è solo una provocazione, mio
re» lo corresse Gorgo d'un tratto, raccogliendo
la tavola di cera. Una piccola spaccatura sulla
stessa rivelava qualcosa al di sotto della superficie. La gettò a terra, mandandola in frantumi.
Un piatto pezzo di legno fu l'unica parte che rimase intatta. «Demarato non è mai stato uno
sciocco: sapeva che qualcuno avrebbe provato
ad intercettare il suo messaggero. Aveva preso
le dovute precauzioni...».
«Un messaggio segreto!» esclamò l'ateniese. «Ora si spiega il perché non volesse che leg17
gessi. Non avrei mai portato a Sparta questa
tavola, altrimenti. Gli Dei hanno guidato la mia
fede. Che Zeus sia lodato».
La donna porse a Leonida il frammento di legno.
Il re lesse assai sorpreso il contenuto della
tavola. Scoprì che lo spartano, pur schierato
dalla parte del nemico, aveva voluto fargli recapitare un avviso nel quale illustrava il piano del
Tiranno D'Oriente. Gli Elleni avevano poco
tempo a loro disposizione per organizzare le
difese, se avevano intenzione di limitare i danni, ed impedire che gli eserciti persiani conquistassero l'intera Grecia.
«Sarai ricompensato adeguatamente per il
tuo aiuto, Ardene. Ora vai, e torna solo quando
non sarai che un vago ricordo a Sparta; poiché
se, come dice Demarato, anche qui vi sono delle spie di Serse, la tua vita sarà in costante pericolo. Dovremmo incolparti, in un certo senso,
per evitare di condannare il nostro informatore. Nessuno conoscerà l'identità del mandante,
eccetto noi tre. Sarà il nostro segreto. Ti ringrazio ancora per i molti rischi che hai corso per
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consegnarci questo prezioso messaggio. Che
gli Dei tutti possano vegliare su di te».
Leonida lo strinse a sé come un fratello.
L'avanzata di Serse avrebbe incontrato
un'opposizione più intensa di quanto si sarebbe mai atteso. D'altra parte, però, era l'unico
modo che Demarato aveva per poter incontrare in battaglia gli stessi camerati che aveva perso con l'esilio. Per uno spartano, anche se ripudiato, morire degnamente restava l'unica massima aspirazione nella propria vita. Solo così il
mondo avrebbe serbato eterna memoria del
suo coraggio.
Ciò che Demarato non sapeva, però, era che
sarebbe stato proprio quel gesto a farlo passare alla storia, perché il suo avviso avrebbe mutato le sorti di quella guerra.
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Ringrazio Marta Simula e Simone Muzzoni per la
correzione delle bozze.
Grazie per aver dedicato il tuo tempo a questa lettura.
Sùilad!
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