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A P E R E
Attenti a
quei tre
Trigliceridi e colesterolo ‘cattivo’ troppo
alti, colesterolo ‘buono’ insufficiente.
Spesso occorre intervenire su queste
condizioni che si affiancano al diabete.
I farmaci, quando necessari, possono
essere diversi ma la ‘ricetta base’ è la
stessa per tutti: esercizio fisico e
alimentazione sana e moderata.
Qualcuno ha ‘solo’ il diabete e mantiene un
buon equilibrio nei grassi del sangue. Ma non
sono la maggioranza. «Normalmente la persona con diabete tipo 2, alla diagnosi, oltre alla
glicemia alta, ha un eccesso di trigliceridi, ha
poco colesterolo ‘buono’ (HDL) e, meno spesso, un eccesso di colesterolo ‘cattivo’ (LDL)»,
spiega Italo Nosari, diabetologo dell’Unità
complessa di Diabetologia agli Ospedali Riuniti di Bergamo. Tenere sotto controllo questi
parametri significa ridurre il rischio di infarti
e di ictus, come ben sanno i diabetologi.
«Oggi, un Team diabetologico valuta la sua
qualità di processo, insomma la bontà del suo
modo di lavorare, anche sulla base della percentuale di pazienti che tratta per queste condizioni», afferma Carlo Giorda, direttore del
Servizio di Diabetologia dell’Asl 5 di Torino,
che ha partecipato e diretto diversi studi sull’argomento, soddisfatto nel notare che «oggi,
Team diabetologici e cardiologi hanno significativamente aumentato la loro attenzione
verso questi fattori di rischio cardiovascolare».
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Cammina, diventerai più buono. Le variabili
da tenere d’occhio sono tre: trigliceridi, colesterolo ‘cattivo’ (LDL) e colesterolo ‘buono’
(HDL). Le prime due devono essere più basse possibile la terza più alta. Il colesterolo ‘buono’ aiuta a ripulire le arterie dal colesterolo in
eccesso, evitando così che si possa depositare
nella parete interna dei piccoli vasi con conseguente formazione di placche aterosclerotiche,
principale causa di infarto. La concentrazione
di HDL nel sangue deve essere almeno pari a
40 mg/dl negli uomini e 50 mg/dl nelle donne.
Come fare? «Per aumentare il colesterolo buono abbiamo a disposizione una terapia molto
efficace che non ha effetti secondari negativi ed
è altrettanto potente nel moderare la pressione,
migliorare la glicemia e l’equilibrio di tutti i
grassi nel sangue. Si tratta dell’esercizio fisico»,
spiega Italo Nosari. La classica passeggiata a
piedi o in bicicletta di mezz’ora ogni giorno è
spesso in grado da sola di portare il colesterolo
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HDL ai livelli desiderati. «Un buon equilibrio
glicemico e un’alimentazione sana e ricca di
fibre aiutano; non disponiamo ancora di un
farmaco specifico per alzare il colesterolo
buono», spiega Nosari.
LDL sotto quota 100. Spesso, le persone con
diabete tipo 2 risultano avere alla diagnosi una
quota troppo alta di colesterolo ‘cattivo’.
Non è un dato da sottovalutare, «la cosiddetta
LDL-ipercolesterolemia è il principale fattore
di rischio cardiovascolare», sottolinea Nosari.
«Una persona che ha il diabete ed è già ‘a
rischio’ deve cercare di abbassare almeno a 100
mg/dl la sua quota di colesterolo LDL. E questo in effetti richiede un certo sforzo». Il primo
passo ovviamente è moderare l’alimentazione.
Anche l’esercizio fisico aiuta ad abbassare il
colesterolo LDL e soprattutto la riduzione del
grasso corporeo, «riducendo il peso di 10 chili,
il colesterolo LDL può ridursi del 15%», afferma Nosari. Quanto agli steroli vegetali, sostanze oggi aggiunte in prodotti alimentari di largo
consumo come gli yogurt, «queste hanno un
certo effetto di riduzione sul colesterolo LDL,
diciamo che possono abbassarlo del 10%. Il
che aiuta ma non basta», fa notare Nosari,
«insomma, vanno bene ma guai a pensare che
lo yogurtino possa sostituire l’attività fisica,
una alimentazione sana o i farmaci».
Benedette statine. Già, perché quasi sempre
per abbassare a quota 100 mg/dl il colesterolo
LDL c’è bisogno anche di una medicina: le ‘statine’. «Si tratta dei farmaci più efficaci nella
prevenzione del rischio cardiovascolare», afferma Carlo Giorda, «riducono del 20-25% il
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rischio di infarti e ictus». L’effetto
salva cuore (e salva cervello) delle
statine si estende alla circolazione
periferica (arteriopatia delle gambe, per esempio), e si esprime non
solo abbassando la quota di colesterolo ‘cattivo’, «le statine esercitano
anche un effetto antiinfiammatorio
e probabilmente riducono la formazione di trombi (coaguli) sulle
placche», continua Giorda, «tanto
che oggi si sta studiando l’uso delle
statine per la cura di diverse malattie».
«Le evidenze raccolte portano oggi
il diabetologo, il cardiologo e il medico di Medicina generale a prescrivere le statine a fianco dell’esercizio
fisico, della riduzione di peso e di
un’alimentazione corretta, abitudini che ovviamente vanno mantenute», afferma
Giorda. «I farmaci in commercio sono assolutamente sicuri, un paziente su 10 mila può
avere dei dolori ai muscoli che comunque spariscono non appena si interrompe la terapia.
Qualche volta l’uso delle statine può ‘muovere’
le transaminasi, che possono indicare qualche
difficoltà da parte del fegato. Se queste triplicano si può ridurre la dose delle statine o cambiare tipo di farmaco ma non vale la pena di
interrompere la terapia».
Fino a qualche tempo fa si chiedeva alla persona che usava statine di controllare spesso la
concentrazione delle transaminasi e del CK,
una proteina che indica la sofferenza muscola-
L’alcol, è noto, non alza la glicemia (anzi caso mai, a digiuno,
l’abbassa perché inibisce il rilascio di glucosio da parte del
fegato) ma nell’organismo si trasforma molto facilmente in trigliceridi. Il messaggio secondo il quale ‘bere un po’ di vino fa
bene al cuore’ ha delle eccezioni. «Chi ha i trigliceridi alti
dovrebbe davvero ridurre moltissimo l’assunzione di alcol»,
avverte Italo Nosari del Servizio di Diabetologia degli Ospedali
riuniti di Bergamo. Chi usa farmaci per abbassare il colesterolo LDL, invece, non dovrebbe esagerare con il succo di pompelmo, bevanda naturale che però interferisce con il funzionamento di molti farmaci fra i quali le statine.
A proposito di prodotti alimentari con effetti sui lipidi, è noto
Italo Nosari,
diabetologo dell’Unità
complessa di Diabetologia
agli Ospedali Riuniti
di Bergamo.
POCO ALCOL E NIENTE
che una
SUCCO DI POMPELMO
dieta ricca di
pesce aiuta a
migliorare l’equilibrio dei
trigliceridi nel sangue. È merito di una sostanza naturale
detta Omega 3. Per ottenere un effetto sull’organismo però
non serve a molto comprare cibi arricchiti con Omega 3. La
dose minima è 3 grammi al giorno, pari a circa un chilo di salmone o frutti di mare.
Chi non vive su un peschereccio o in Islanda e Groenlandia
quindi dovrebbe ricorrere a integratori alimentari o scegliere
altre strade per ridurre i trigliceridi.
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A P E R E
re nel sangue. Oggi le linee guida dell’AIFA,
l’Agenzia Italiana del Farmaco, chiedono di
misurare il CK prima dell’inizio della terapia
solo se il paziente ha una insufficienza renale
o problemi muscolari e dopo solo se lamenta
sintomi specifici.
Quanto alle transaminasi, vanno misurate
prima della terapia e tre mesi dopo.
Nuove associazioni. La ricerca scientifica sta
lavorando per rendere ancora più efficaci le
statine. Un farmaco altrettanto potente non è
nemmeno all’orizzonte, «si lavora sulle ‘associazioni di farmaci’ con l’obiettivo cioè di
affiancare a una statina un altro principio attivo», spiega Giorda. Per esempio, l’ezetimide,
che inibisce l’assorbimento del colesterolo
nell’intestino. «Associato a una statina, l’ezetimide consente di raggiungere lo stesso obiettivo con una dose inferiore di statina», afferma
Nosari. Già in commercio l’associazione fra
una statina e la niacina, un farmaco degli anni
’60 poi abbandonato in Italia perché causava
delle ‘vampate’, afflussi di sangue al volto. «Si è
trovato un principio attivo che neutralizza
questo effetto e si è quindi potuta riproporre e
commercializzare l’associazione fra statine e
niacina», sottolinea Giorda.
Un’altra direzione di ricerca parte dall’insuccesso del torcitrapid, un farmaco che associato
alla statina dava ottimi risultati, un vero aspirapolvere del colesterolo LDL «ma innalzava la
pressione arteriosa e venne quindi ritirato.
Oggi si stanno sperimentando dei ‘parenti’ del
torcitrapid che associati alle statine ottengano
gli stessi risultati senza effetti ipertensivi», spiega Giorda.
Trigliceridi da controllare. «Alla diagnosi,
quasi tutte le persone con diabete tipo 2 hanno
Carlo Giorda,
direttore del Servizio
di Diabetologia
dell’Asl 5 di Torino.
Modus
Periodico di medicina, salute e vita pratica per diabetici e non
N° 30 – maggio 2009
Editore: Roche Diagnostics S.p.A.
Direttore responsabile: Massimo Balestri
Direttore scientifico: Dr. Umberto Valentini
Segreteria di redazione: Ilaria Giamberduca Tel. 039 2817266
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i trigliceridi alti, vale a dire oltre 150 mg/dl»,
ricorda Italo Nosari. Ovviamente non è un
caso. L’equilibrio dei trigliceridi nel sangue è
definito dall’azione dell’insulina nel fegato e se
l’insulina funziona male l’equilibrio si altera.
Un’alimentazione sana e moderata rappresenta la prima arma contro l’ipertrigliceridemia,
cioè l’eccesso di trigliceridi. Contrariamente a
quel che si può pensare, non basta ridurre l’apporto di grassi saturi. L’organismo infatti è in
grado di fabbricare trigliceridi anche a partire
dai carboidrati. Cosa bisogna fare quindi?
Mangiare il giusto e, possibilmente, dimagrire.
È importante anche inserire molte fibre nei
pasti in modo da evitare che calorie e grassi
vengano assorbiti rapidamente nell’intestino,
questo porterebbe infatti a un ‘picco lipemico’,
una improvvisa variazione della concentrazione di grassi nel sangue, «che pare avere effetti
molto importanti sulla formazione della placca
aterosclerotica», ricorda Giorda, «in analogia
con quel che accade con i picchi iperglicemici».
La seconda ‘medicina’ per i trigliceridi, alla pari
con l’esercizio fisico, è il compenso glicemico.
Una glicemia ‘ballerina’ aumenta i trigliceridi,
viceversa un buon compenso li riduce. Ma
importante è anche il ruolo dei farmaci. Il
fenofibrato (o Ppar-alfa agonista), aumenta il
colesterolo HDL, contribuisce a ridurre di
diverse decine di punti i trigliceridi e ha effetti
provati sulla retinopatia diabetica.
Anche i fenofibrati possono muovere le transaminasi e creare, in rarissimi casi, dolore ai
muscoli: può essere utile monitorare all’inizio
le transaminasi e, in situazioni selezionate, il
CK. «Ma il ‘risparmio’ in termini di infarti e
ictus è davvero significativo», conclude Carlo
Giorda.
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