CONSIDERAZIONI A MARGINE SULLE DIMISSIONI DI PAPA BENEDETTO XVI Santi Lo Giudice «L’ultima enciclica di papa Ratzinger è la Caritas in veritate: un bellissimo titolo, ma falso, perché a me sembra che non ci sia né amore né verità. Comunque Ratzinger non fa altro che continuare la restaurazione avviata da Wojtyla, prendendo sempre le distanze dal Concilio, ma anche allontanandosi dalla maggioranza del popolo di Dio» (don Andrea Gallo, Gesù, gli ultimi e il Concilio tradito) moleskine 4 B Benedetto XVI enedetto XVI si è dimesso da papa. A suo dire perché gli sono venute meno le energie per continuare ad assolvere il magistero pietrino. Penso, invece, che la mancata capacità di assolvere a tale magistero sia stata la causa delle sue dimissioni. Scambiare la causa con l’effetto non è dignitoso, ma giova tanto anche alle anime dei potenti. E un papa, come tutte le anime autarchiche, è sempre nel vero, anche quando ha coscienza di quanto lontana sia la verità della condizione d’essere in cui versa da quella che vuole che si appalesi. Papa Benedetto XVI non ha mai dismesso i panni che l’hanno elevato al soglio cardinalizio, che sono quelli della sua identità biologica e culturale, dei suoi lunghi trascorsi di uomo di fede che dalla Chiesa tedesca via via ha preso possesso della Chiesa Vaticana. A nessuno, neppure a un papa, è dato uscire dalla fisiologia della propria biografia. Che è come dire: Benedetto XVI si è sempre portato dietro Joseph Ratzinger e non c’è mai stato un solo istante della sua vita che non abbia vissuto, pensato, operato da Ratzinger, cioè dalle condizioni fisiologiche e fisiostoriche di sua intima appartenenza. Questo è ciò che penso su un fatto che i più erroneamente hanno ritenuto epocale. Epocale sarebbe stato se Benedetto XVI, una volta lasciato il soglio pontificio, avesse indossato il saio di pellegrino e avesse speso le ultime energie a sollevare materialmente e spiritualmente i diseredati delle periferie degradate del mondo. Se avesse operato con le sue ultime energie e i suoi ultimi respiri al pari di Madre Teresa di Calcutta. In netto contrasto con lo spirito cristiano di Madre Teresa, Benedetto XVI, ora, in qualità di papa emerito, si è invece trasferito in una edulcorata ala del Vaticano a studiare e pregare, confortato dalle servizievoli attenzioni di suore e personale addetto a rendere gradevole il suo quotidiano. I teologi, dopo Cristo, mi appaiono sempre più imbonitori emeriti che tengono in alto un’aristocrazia intellettuale sempre più estranea ai bisogni delle anime sofferenti. Paolo di Tarso, essendo più uomo etico che teologo, ha compreso che la «fede» e la «speranza» nelle anime che non praticano la «carità« sono prive di senso. Convincimento questo che darà i suoi frutti grazie al pensiero di Immauel Kant, il quale, nel sostituire l’«io logico», della tradizione ellenica, con l’«io etico» della tradizione cristiano-paolina, ha aperto alla filosofia tedesca nuovi orizzonti in direzione del recupero umanitario del bene comune. L’imperativo categorico a cui Kant sottopone l’«io trascendentale» è finalizzato a ritenere l’«altro» che ci sta accanto mai come un mezzo per il raggiungimento dei nostri fini bensì sempre come il solo «fine» a cui deve tendere la condizione umana. La teologia quando non si alimenta dalla «carità» di Paolo e dall’«etica» di Kant riconduce a un cielo che dice dei volteggi dei passeri e delle metamorfosi delle nuvole. La Chiesa cattolica non morirà. Del pianto dei fedeli in Piazza San Pietro il giorno dell’addio di Benedetto XVI nessuno fra qualche mese si ricorderà più. Farà parte degli archivi che nessuno un giorno si sentirà di spolverare. Un papa che si dimette in piena condizione fisica è un papa che ha ucciso quell’anima universale della Chiesa che 5 moleskine Celestino V attesta nel tempo, che è stato, che è e che sarà, del «bisogno» in cui versa l’umanità sofferente. La storia del governo della Chiesa cattolica è storia di perversità (dal latino, per-versus, ossia storia dei tanti «per sé». E nessuno pensa che ci sia un Artefice di questa perversità. Tutti invece sono portati a pensare che la credenza in un Artefice sia dovuta alla condizione di sofferenza (materiale e spirituale) che accompagna la condizione d’essere dell’umano. La Chiesa cattolica, molto di più di tutte le altre confessioni religiose cristiane, si mantiene grazie a questo convincimento. E non c’è niente che lo possa scalfire. Quello che Lutero non ha compreso - e dire Lutero significa dire tutte le chiese di matrice cristiano/protestante - è che l’«indulgenza» non fu una prerogativa del papato di Leone X ma dell’intero corpo della Chiesa del tempo. Con Cristo la Chiesa ha compreso che senza indulgenza l’umanità ha paura di vivere. L’indulgenza aiuta, e l’umanità trova in essa ragioni di fede per meglio addomesticare le paure di sua appartenenza. Senza l’indulgenza il nostro animo non conosce alcuna via d’uscita verso tiepidezze accondiscendenti alla vita che si apre alla vita, al bene proprio e altrui. Benedetto XVI, che prima di diventare papa ha lasciato segni indelebili dei suoi transiti nelle dinamiche operative della gerarchia ecclesiastica, ha ben conosciuto gli snodi più significativi che hanno accompagnato la Chiesa da un millennio a questa parte. Sa, per esempio, che la svolta della Chiesa in senso verticistico si deve alla “Riforma Gregoriana” avviata da papa Gregorio VII: a) un papato centralista e assolutista, b) un clericalismo forzato, c) l’obbligo del celibato dei preti e degli altri membri laici del clero. Sa che i tentativi di modificare questo impianto sono risultati fallimentari: alludo ai concili riformatori del XV secolo, alla Riforma protestante del XVI secolo, all’Illuminismo e alla Rivoluzione Francese del XVII e XVIII secolo. E, se si volge lo sguardo al nostro tempo, mi rendo conto che lo stesso Concilio Vaticano II (1962-1965) fu soffocato dal potere reazionario della Curia. Curia che durante il papato di Benedetto XVI è rimasta quella dell’XI secolo: nulla di rigeneratore affiora alla coscienza del potere curiale, comprese le aperture ecumeniche nei confronti delle altre chiese cristiane (fatta eccezione di quella ortodossa) e delle altre confessioni religiose, comprese le rivisitazioni delle norme etiche che caratterizzano il mondo contemporaneo. Gli anni pietrini di Benedetto moleskine 6 XVI non solo non hanno registrato nulla di nuovo sul piano dottrinario ma, a seguito di scelte poco ponderate, hanno esacerbato i rapporti con le chiese protestanti, con gli ebrei, con i musulmani, gli indios latino-americani, le donne, gli omosessuali, i teologi riformisti e gli stessi cattolici progressisti. E poi gli scandali durante il suo pontificato non sono di poco conto: dal riconoscimento della Società di San Pio X all’organizzazione dell’arcivescovo straconsevatore Marcel Lefebvre, al vescovo negazionista Richard Williamson. Per non parlare dei tanti abusi sessuali consumati ai danni di bambini e adolescenti da membri del clero, di cui il papa ha delle responsabilità per averli occultati quando era cardinale. E, per ultimo, gli intrighi che vanno sotto il nome di “Vatileaks”: accadimenti, a quanto sembra, che hanno condotto il Papa alle dimissioni. “Vatileaks” è stata una fenomenologia pesante non tanto perché sono stati messi sulla piazza del mercato fatti che avrebbero dovuto restare segreti, quanto, invece, per l’ilarità che ha generato nelle coscienze attente un simile svelamento da parte, guarda caso, del maggiordomo del papa e di altri strettissimi collaboratori. Marco Ansaldo, in un articolo apparso su “la Repubblica” di venerdì 7 marzo, scrive che «il maggiordomo del Papa, Paolo Gabriele, non è l’unico corvo del Vaticano. I corvi sono tanti. Più di venti persone, tutte legate alla Santa Sede». E subito dopo si fa portavoce di uno dei corvi, profondo conoscitore della macchina vaticana e dei suoi protagonisti, con il seguente dire: «Siamo donne e uomini, laici e prelati. Se abbiamo fatto uscire i documenti dall’Appartamento del Papa, con l’aiuto di Paolo Gabriele, è stato per compiere un’operazione di trasparenza nella Chiesa». Dice esplicitamente che lui è un ex corvo, che assieme ad altri ex corvi entrerà nel conclave per eleggere il nuovo Papa e che è stato spinto a fare il corvo per porre fine al degrado in cui versa la Curia romana. La voce, lontana da occhi indiscreti, è quella di una persona che muove «la mano che tormenta un anello dorato con lo stemma del Papa» e che, alla domanda del giornalista se nel rapporto dei cardinali designati dal Papa per comprendere le ragioni del comportamento del corvo ci fossero segni di disagi più grandi, come la «storia della lobby Gay» e la «storia della lobby economica», risponde che l’esistenza della prima lobby è «verissima (…) Potrei fare nomi e cognomi di cardinali e monsignori, di vescovi e funzionari. Dai piani alti della Segreteria a dicasteri di prima fila». E per quanto riguarda la lobby economica, l’operazione di razionalizzazione nelle attività economiche della Santa Sede unitamente all’opera di trasparenza affidata dal papa a Ettore Gotti Tedeschi allo IOR «fu ostacolata perché considerata lesiva di determinati equilibri all’interno degli istituti soggetti a verifiche». Non a caso Gotti Tedeschi è stato sfiduciato e costretto alle dimissioni. Dalle dimissioni di Gotti Tedeschi a quelle di Benedetto XVI il passo è breve. A questo punto l’interlocutore di Ansaldo puntualizza: «Il Papa non si è dimesso per il caso Vatileaks. Né per le pressioni. Anzi, la sua presenza continuava a giustificare un determinato andazzo, che invece Joseph Ratzinger voleva scardinare». Si è dimesso per lanciare una sfida «alla Chiesa cattolica e alla Curia, perché facciano il bene. E per realizzare quello che a lui non è riuscito: una Chiesa libera, forte e trasparente». Puntualizzazioni che dicono di verità, di mezze verità e di falsità. Queste ultime sono legate per lo più alle dimissioni di Benedetto XVI. Che speranza in una Chiesa «libera, forte e trasparente» può nutrire il papa dimissionario? Nessuna. Se ne avesse nutrito qualcuna, avrebbe agito in prima persona, invece di delegare. Avrebbe, come Gesù al Tempio, spazzato via mercanti e mercanzie. E invece no, ha scelto la strada delle dimissioni. Scelta all’insegna della consapevolezza che gli «invasati» dello Spirito Santo sono gli stessi che l’hanno elevato al soglio di Pietro. Gli stessi che hanno Antonio Rosmini dettato le regole del potere curiale di sempre: che 700 anni fa elevarono al soglio pontificio Celestino V e una volta che questi ha dato le dimissioni hanno eletto al suo posto Benedetto Gaetani (col nome di Bonifacio VIII) che quelle dimissioni ha imposto. Gli stessi che un tempo erano espressioni delle più potenti famiglie aristocratiche (“Orsini”, “Medici”, “Gaetani”, “Colonna”, “Borghese”, “Pamphili”), oggi delle “Sacre Armate” che stanno dietro le spalle dei cardinali che hanno diritto al voto: dai “Cavalieri di Colombo” alla “Comunità di Sant’Egidio” ai “Legionari di Cristo” ai “Focolarini” a “Comunione e Liberazione” all’”Opus Dei”«. Dei “Cavalieri di Colombo” si sa tutto della loro potenza nell’ambito economico della Chiesa e del mondo intero, come si sa della volontà del loro leader Carl Anderson, che siede nel board dello IOR e che non ha esitato un attimo a disfarsi dell’onesto operato di Gotti Tedeschi. Anche dei “Legionari di Cristo” si sa tutto: dal padre fondatore Marcial Maciel Degollado, pedofilo e padre di famiglia, alla potente gestione sul territorio di tutto il mondo tramite i loro istituti e movimenti religiosi. Così come si sa tutto delle altre “Sacre Armate” che si proclamano progressiste e tradizionaliste, dimenticando che Cristo, sposando la carità, aveva posto fine all’insorgenza di tendenze ideologiche e di potere di fronte alla pratica del «bene». E avendo dimenticato ciò continuano sulla strada tracciata da Gregorio VII con i celebri Dictatus Papae (che hanno elevato il romano pontefice a dittatore del papato e del papato una dittatura) e di Bonifacio VIII che nel cerimoniale dell’elezione sostituì il termine «consacrare» con il termine «coronare», attribuendosi così la facoltà d’essere, a un tempo, «vicario di Cristo» e «verus imperator». Ciò considerato ritengo la pubblicizzazione dei documenti privati vaticani un fatto grave, ma ancor più grave per il papa si è rivelato il riso beffardo destato da tale pubblicizzazione. Del danno si può sopravvivere, ma della beffa no. Non foss’altro perché la freccia avvelenata dalla beffa non esclude l’apertura di nuovi scenari che potrebbero ulteriormente e irrimediabilmente cambiare i connotati del volto della Chiesa. Il passaggio dal segreto e dall’obbedienza alla pubblica piazza, è il passaggio dalla Chiesa alla non Chiesa. Passaggio che ha voluto evitare Benedetto XVI con le dimissioni. Bisogna salvare la Chiesa, mantenerla in piedi, se il caso lo richiede, anche contro sé stessa. Benedetto XVI ha capito tutto ciò e, oramai incapace di menar sferzate per antiche compromissioni e condivisioni con un universo approntato a degrado di ogni ordine etico, spinto da ciò che i Greci definivano hybris - la speciale condizione d’essere dell’uomo che si allontana da Dio - si dimette da Dio in terra non per una chiesa «libera, forte e trasparente», ma per le Chiesa che è sempre stata e che sempre sarà - possibilmente meno sensibile al ghigno beffardo di quanti di «sacro» in essa hanno poco o nulla rintracciato. Queste brevi considerazioni vedranno luce in un tempo in cui la Chiesa avrà già salutato il suo nuovo Pastore. E mentre do il mio assenso alla stampa, il mio sguardo si posa sulla Cinque piaghe della Chiesa (1848) di Antonio Rosmini. Questi è stato messo all’indice e perseguitato. Il Concilio Vaticano II lo ha rivalutato e, qualche anno addietro, è stato beatificato, assorbito dal sistema ecclesiale senza un’attenta riflessione intorno alle ragioni del dissenso nei confronti della Chiesa del suo tempo (che poi sono le stesse del nostro tempo). Un giorno, se giovano, la Chiesa assorbirà anche quanti in un recente passato ha perseguitato: Davide Maria Turoldo, Primo Mazzolari, don Lorenzo Milani, Gustavo Gutiérrez, e tanti altri. E tra questi altri mi piace mettere l’accento sulla figura di Leonardo Boff che, pur difeso innanzi a Ratzinger, a quel tempo a capo della “Congregazione per la Dottrine della Fede”, da due cardinali di alto livello dottrinario come Paolo Evaristo Arns e Aloisio Lorscheider, è stato d’autorità espulso dalla Chiesa e ridotto allo stato laicale. Quello di Ratzinger e di Wojtyla è stato un atto grave, consumato a danno di un credente che nell’opera La Chiesa: carisma e potere (1981) non sul problema della fede aveva espresso perplessità ma sulla gestione della Chiesa da parte della gerarchia ecclesiale. Gli uomini di sana fede non dimenticheranno questo abuso di potere; e Ratzinger, irriso da quella Chiesa che lo ha spinto alle dimissioni, mi auguro che possa chiedere perdono agli uomini, prima che a Dio, per il delirio d’onnipotenza esercitato nei confronti di un uomo portatore di una visione di Chiesa legata alla carità cristiana e non a una visione di Chiesa che la gerarchia vaticana ha imposto all’intera ecclesia cattolica «per ferrea necessità di doversi istituzionalizzare (…) nello stile romano e feudale». Ma se Benedetto XVI con le dimissioni ha cercato di tutelare la Chiesa dalle nefandezze in cui versa non credo che questo proponimento possa contemplare il suo capo cosparso di cenere.