Götz Aly Le modalità di finanziamento del debito pubblico tedesco sotto il nazismo Fra i motivi addotti per spiegare il vasto consenso che il regime nazista riuscì a ottenere in patria vi è la significativa ripresa economica che portò in breve la Germania dai drammatici livelli di disoccupazione dei primi anni Trenta a un regime di piena occupazione. Dietro a questo fenomeno non vi era per altro alcun miracoloso intervento da parte del governo: oltre che di un mutato trend internazionale, Hitler poté avvalersi di una strategia che puntava su un deciso incremento della spesa pubblica, senza troppe preoccupazioni per l’accrescimento del debito dello Stato che ne sarebbe inevitabilmente conseguito. Come mostra attraverso un’analitica ricostruzione lo storico tedesco Götz Aly, le scelte di politica economica del regime nazista implicavano fin dall’inizio la necessità di accollare il crescente deficit di bilancio ai Paesi che l’espansionismo hitleriano avrebbe di lì a poco sottomesso. In tal senso le spese belliche, se da un lato costituivano la principale uscita nel bilancio dello Stato, rappresentavano dall’altro la condizione per poterlo riequilibrare. Quando Hitler aveva assunto la direzione del governo, la recessione economica si era già arrestata. I responsabili della sua politica finanziaria favorirono nel momento giusto la ripresa che si stava delineando: elevarono l’indebitamento a breve dello Stato per ridurre la disoccupazione e per creare le condizioni affinché aumentasse all’interno la capacità di acquisto. Ciò sgravò lo Stato di spese sociali improduttive (le indennità di disoccupazione) e, in prospettiva, creò le condizioni per futuri maggiori introiti fiscali1. In effetti le entrate del fisco aumentarono dal 1933 al 1935 del 25 per cento; in cifra assoluta: di poco meno di 2 miliardi di marchi. Parallelamente le uscite per le indennità di disoccupazione calarono di 1,8 miliardi. […] Poiché tuttavia il governo superò il livello delle sue entrate aggiuntive, sul versante delle uscite, di quasi il 300 per cento, l’indebitamento pubblico salì nei due primi anni del regime nazionalsocialista di 10,3 miliardi di marchi. L’unica imposta importante che, fra il 1933 e l’inizio della guerra, fu riscossa per la copertura di un deficit rapidamente crescente fu quella sui profitti delle società che era stata introdotta nel 1920, in tutto il territorio nazionale, dalla repubblica di Weimar. Il maggior sfruttamento di questo cespite fiscale2 avvenne in quattro fasi fra l’agosto del 1936 e il luglio del 1939, quando l’imposta sul reddito delle imprese fu raddoppiata, passando dal 20 al 40 per cento, con l’obiettivo di colpire soprattutto quelle società di capitali che stavano guadagnando con il boom degli armamenti. […] I dirigenti politici del Paese incamerarono puntualmente il profitto politico di simili provvedimenti di perequazione sociale3. La relazione annuale del responsabile della pubblica sicurezza annotò nel 1938: «L’aumento dell’imposta sul reddito delle società fa una buona impressione soprattutto sui lavoratori». Fu interpretato fra l’altro come un segno della volontà che i costi del riarmo fossero sostenuti mediante «una giusta distribuzione degli oneri», coinvolgendo «adeguatamente gli alti profitti delle grandi società». Su larga scala, la politica sociale e fiscale sgravò le famiglie: la legge che regolò nell’ottobre del 1934 l’imposta sui redditi elevò fra l’altro notevolmente la quota di base esente4, con vantaggio quindi di coloro che guadagnavano di meno. La riforma fu impostata in modo tale che le entrate dello Stato, complessivamente, non diminuissero. Perché ciò avvenisse, si prelevò la differenza «mediante un corrispondente maggiore aggravio a scapito degli scapoli, dei coniugi senza figli e, a partire da un determinato reddito, anche dei coniugi con soltanto uno o due figli». Fra i provvedimenti a favore delle famiglie, adottati per ragioni di politica demografica5, vi furono anche i mutui messi a disposizione di chi contraeva matrimonio, le sovvenzioni per l’acquisto dell’arredamento delle case, i contributi per l’istruzione e gli assegni famigliari per i figli. Per far fronte a questi impegni lo Stato spese, in cifra assoluta e fino al 1941, l’importo complessivo relativamente modesto di poco più di 3 miliardi di marchi. […] Dal 1933 alla metà del 1939 il Terzo Reich investì circa 45 miliardi di marchi per riarmarsi. Questa spesa, astronomica per le concezioni di allora, risultò nel 1937 pari al triplo delle entrate dello Stato iscritte a bilancio. Conseguentemente l’indebitamento salì alla fine di agosto del 1939 a 37,4 miliardi di marchi. La piena occupazione e il riarmo furono insomma pagati con un enorme ricorso al credito. Perfino Goebbels, che si beffava spesso degli esperti di cose finanziarie chiamandoli «meschinelli», annotò nel suo diario l’esistenza di un «deficit folle». —1— Di fronte a questa situazione allarmante, il direttorio della Reichsbank6 si rivolse nel gennaio del 1939 direttamente a Hitler: «L’illimitata crescita delle spese dello Stato vanifica ogni tentativo di impostare un bilancio ordinato, porta nonostante l’enorme pressione esercitata sulla leva fiscale le finanze statali sull’orlo del tracollo e compromette di conseguenza l’istituto di emissione e la moneta. Non esiste una sia pur geniale e raffinata ricetta o sistema di tecnica finanziaria e monetaria che risulti sufficientemente efficace per scongiurare gli effetti devastanti di una strabordante politica delle spese. Nessun istituto di emissione è in grado di sostenere il valore della moneta in presenza di una inflazionistica politica delle spese da parte dello Stato7». […] Nel 1939 il fabbisogno finanziario tedesco per le spese civili fu di 16,3 miliardi di marchi, quello per la Wehrmacht di 20,5 miliardi. Le entrate dello Stato si collocarono invece attorno a un importo compreso fra i 17 e i 18 miliardi di marchi. I soli interessi sui debiti contratti8 ingoiarono quell’anno 3,3 miliardi. Carl Friedrich Goerdeler9, che sarebbe in seguito diventato uno dei personaggi di maggior spicco della resistenza tedesca, definì assai presto questa politica delle spese una «pazzia finanziaria». In un promemoria del 1° luglio 1940 – scritto dunque nei giorni di quello che poté apparire come uno dei maggiori successi militari tedeschi, la vittoria sulla Francia – denunciò seccamente: «Le finanze del Reich sono rovinate». Se la guerra fosse proseguita, alla fine del 1941 «i tre quinti ormai delle entrate annuali […] dovranno essere usati per pagare i debiti del passato. […] Ciò significa che l’indebitamento del Reich non potrà più essere affrontato con le entrate correnti, e che i debiti cresceranno sempre di più per il sol fatto di esistere». Hitler dribblò la precaria situazione finanziaria, ben nota a lui e ai suoi diretti collaboratori, ricorrendo a operazioni belliche repentine a scapito di milioni di persone. Espropri, deportazioni e uccisioni in massa divennero le fonti più importanti delle finanze statali tedesche. Nel 1942 il sottosegretario alle Finanze Reinhardt affermò categoricamente: «Gli importi continuativamente occorrenti per pagare gli interessi e per l’ammortamento10 dei debiti del Reich dovranno essere coperti dai proventi continuativamente forniti dalla gestione e dallo sfruttamento dei territori orientali». Il regime ebbe insomma bisogno di una costante destabilizzazione bellica della periferia per dare all’interno un’ingannevole apparenza di stabilità. «Si stanno già preparando giganteschi piani di costruzioni e di armamenti», scrisse Goerdeler nel 1940, e aggiunse con amara ironia: «Il trattamento di vecchiaia del popolo tedesco sarà totalmente garantito. Ci si avventurerà, con l’estendersi dei territori controllati, in progetti edilizi e di riconversione ancora più grandiosi». Durante la Seconda guerra mondiale la Germania addossò all’Europa costi di occupazione e contribuzioni senza precedenti. [] Gli oneri bellici accollati risultarono molto rapidamente superiori – di regola più del 100 per cento e nella seconda metà della guerra spesso più del 200 per cento – all’ultimo bilancio di pace d’ogni Paese occupato. Nel gennaio del 1943 il ministero delle Finanze tedesco pretese per esempio che fossero «devoluti al Reich i due terzi del bilancio del Governatorato generale11». I vertici dell’amministrazione tedesca nella Polonia occupata reagirono prontamente, facendo presente che simili tributi avrebbero «reso impossibile ogni ulteriore sviluppo perfino in tempi ordinati». Però il ministero delle Finanze tedesco ribadì inflessibilmente il suo principio: un contributo per le spese di difesa di quella consistenza era da considerare «per il momento almeno adeguato». Quando nella primavera del 1944, in seguito all’infittirsi dei bombardamenti aerei sulle fabbriche tedesche, sempre più stabilimenti per la produzione di armamenti furono trasferiti nella Polonia occupata, fu questa che dovette addossarsi tutti i relativi costi di costruzione e di produzione, poiché il ministero tedesco delle Finanze non si dichiarò disposto a distogliersi «dal principio fondamentale al quale ci siamo finora attenuti», e cioè che «tutti i costi che insorgono nel GG (Governatorato generale) devono essere localmente sostenuti. Gli esperti tedeschi di cose finanziarie ne parlavano come della «crescente redditività economicofinanziaria» dei Paesi occupati «conseguente agli impulsi dati all’economia locale e all’adozione di nuovi metodi di politica fiscale». […] La Convenzione internazionale dell’Aja sulla guerra terrestre12 consente di addebitare ai Paesi occupati i costi dell’occupazione e di pretendere le relative contribuzioni. Senonché i livelli di contribuzione fissati dai tedeschi non corrisposero mai, neppure lontanamente, al principio, codificato dall’articolo 52 della Convenzione, della giusta proporzione: Berlino decise semplicemente di ignorare, in quanto «troppo restrittiva e superata», la fastidiosa normativa internazionale. In aggiunta, i tedeschi incassarono anche le sovvenzioni dei Paesi alleati, dette contributi per le spese di guerra: li dovettero pagare, per esempio, la Bulgaria, la Slovacchia e la Romania. I funzionari addetti alla compilazione del bilancio del Reich germanico contabilizzarono però questi importi, senza nessuno scrupolo, sotto la voce «costi d’occupazione». Nel 1943 le entrate belliche del Reich, esposte nella parte IV del bilancio, consistettero in larghissima misura di denaro prelevato all’estero, estorto all’interno del Paese ai lavoratori forzati stranieri, o sottratto agli ebrei e a coloro che erano stati dichiarati nemici dello Stato. Tutto ciò migliorò in misura sostanziale il finanziamento tedesco della guerra. Come si è detto, fino —2— all’estate del 1944 le spese tedesche di guerra furono coperte nella misura del 50 per cento con le entrate correnti, mentre durante la Prima guerra mondiale l’87 per cento delle spese belliche era stato finanziato ricorrendo all’indebitamento. Il «poderoso miglioramento dei rapporti di copertura» fu realizzato dai tecnici finanziari tedeschi a spese altrui. (da G. Aly, Lo Stato sociale di Hitler. Rapina, guerra razziale e nazionalsocialismo, trad. di U. Gandini, Einaudi, Torino 2007, pp. 46-49, 95-98) Note 1 L’aumento del reddito pro capite – reso possibile dalla riduzione della disoccupazione, a sua volta favorita dalla crescita della spesa pubblica – garantiva in prospettiva allo Stato maggiori entrate fiscali. 2 Fonte di entrate per lo Stato. 3 Si trattava di una manovra che, colpendo le imprese e favorendo al contempo l’occupazione, agiva come meccanismo di redistribuzione del reddito, operava cioè in direzione di una riduzione della disuguaglianza economica. 4 Quella quota, cioè, del reddito familiare su cui non si applica alcuna aliquota (percentuale) di prelievo fiscale. 5 Nell’ottica cioè di incrementare la popolazione tedesca. 6 La banca centrale tedesca che aveva funzioni di emissione di cartamoneta e di controllo sull’intero sistema bancario nazionale. 7 Uno Stato che paga le sue crescenti spese o incrementando l’emissione di carta moneta o aumentando l’indebitamento pubblico provoca necessariamente un’inflazione interna e una svalutazione della propria moneta nei confronti delle valute straniere. 8 Ai suoi creditori lo Stato deve garantire, oltre al rimborso entro una certa data del debito contratto, anche la corresponsione di un tasso di interesse annuo. 9 Politico di orientamento conservatore (1884-1945), avversò il nazismo, tanto che i militari che attentarono nel luglio del 1944 alla vita di Hitler pensarono a lui come futuro cancelliere tedesco. Venne catturato e giustiziato dal regime negli ultimi mesi di guerra. 10 La progressiva riduzione. 11 All’inizio della Seconda guerra mondiale i nazisti occuparono la Polonia, una parte della quale venne annessa al Reich, mentre l’altra fu chiamata Governatorato generale. 12 Si tratta della IV Convenzione dell’Aja del 1907 concernente le leggi e gli usi della guerra per terra. Per la comprensione del testo 1 Come si spiega l’approvazione da parte dei lavoratori tedeschi delle misure economiche introdotte dal nazismo dopo il 1933? 2 In che modo le scelte di politica economica si intrecciarono con la politica demografica del regime? 3 In che modo la Germania poté soddisfare il crescente fabbisogno pubblico? 4 In che senso la «destabilizzazione bellica della periferia» rappresentò la condizione per garantire la stabilità interna? —3—