Rem Tech 2016 Ref no: XXX AMIANTO NATURALE E VALORI DI FONDO: CRITICITÀ E PROSPETTIVE EMANUELE SCOTTI1 e GIANLUCA BECCARIS2 1 ARPAL - Agenzia per la Protezione dell’Ambiente Ligure, [email protected], 2 ARPAL - Agenzia per la Protezione dell’Ambiente Ligure ABSTRACT Il principio che consente di stabilire limiti normativi superiori ai valori tabellari, in caso di accertati fenomeni naturali o antropici diffusi, è ormai consolidato nella disciplina comunitaria ambientale e trova diverse applicazioni nella normativa nazionale di recepimento. Il D.Lgs. 152/06 (Norme in materia ambientale) richiama più volte il concetto che, nel caso in cui talune sostanze nei suoli o nelle acque presentino concentrazioni superiori alle CSC (Concentrazioni soglia di contaminazione), è data facoltà di dimostrarne l’origine naturale, e con ciò non incorrere negli obblighi di bonifica previsti dalla legge. L’amianto di origine naturale (NOA, Naturally Occurring Asbestos), sia per le peculiari condizioni in cui si presenta nelle rocce ofiolitiche, sia per le caratteristiche di pericolosità, costituisce un caso particolare, che richiede un approccio differenziato in grado di contemperare lo sviluppo sostenibile e le trasformazioni del territorio con le esigenze ambientali e di tutela della salute pubblica. Key words: fondo naturale, ofioliti, amianto, pericolosità dei materiali, compatibilità geologica. 1. INTRODUZIONE Gli studi e le ricerche sulle elevate concentrazioni di taluni metalli, semimetalli e minerali nei terreni sono storicamente legati allo sfruttamento delle risorse minerarie, e negli ultimi anni, con la drastica contrazione dell’industria mineraria nel nostro paese, sempre più alle bonifiche ambientali e alla gestione delle Terre e rocce da scavo. Il termine “Valore di fondo naturale” è desunto dalla norma ISO 19258/2005 (Soil Quality – Guidance on the determination of background values), ripresa dal “Protocollo Operativo per la determinazione dei valori di fondo di metalli/metalloidi nei suoli dei siti d’interesse nazionale” (2006) dell’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente e per i Servizi Tecnici assieme all’Istituto Superiore di Sanità, che lo definisce come le “Caratteristiche statistiche del contenuto naturale pedogeochimico di una sostanza nei suoli”. Il contenuto naturale pedo-geochimico (Pedo-geochemical background content) è invece definito come la “concentrazione di sostanze nei suoli, risultante da processi naturali geologici e pedologici, senza alcuna interferenza di origine antropica”. Il Valore di fondo naturale è pertanto la derivazione, tramite elaborazione statistica, dei valori caratteristici del contenuto naturale pedogeochimico di una sostanza nel terreno, e il D.Lgs. 152/06 (Norme in materia 1 ambientale) stabilisce che esso costituisce a tutti gli effetti il nuovo riferimento di legge all’interno dell’ambito territoriale in cui sia stato definito. Anche il D.M. 161/12 (Regolamento recante la disciplina dell'utilizzazione delle terre e rocce da scavo) richiama lo stesso concetto, con corrispondenti definizioni: - “Art. 1 Definizioni: i. «Ambito territoriale con fondo naturale»: porzione di territorio geograficamente individuabile in cui può essere dimostrato per il suolo/sottosuolo che un valore superiore alle Concentrazioni Soglia di Contaminazione (CSC) di cui alle colonne A e B della tabella 1 dell'allegato 5, alla parte quarta, del D.Lgs. 152/06 e successive modificazioni sia ascrivibile a fenomeni naturali legati alla specifica pedogenesi del territorio stesso, alle sue caratteristiche litologiche e alle condizioni chimico-fisiche presenti. (…) - Art. 5 Piano di Utilizzo: 4. Nel caso in cui (…) le concentrazioni degli elementi e composti di cui alla Tabella 4.1 dell'allegato 4, superino le Concentrazioni Soglia di Contaminazione di cui alle colonne A e B della Tabella 1 dell'allegato 5 alla parte quarta del D.Lgs. 152/06 è fatta salva la possibilità che le concentrazioni di tali elementi e composti vengano assunte pari al valore di fondo naturale esistente per tutti i parametri superati. (…) - Allegato 4 - Procedure di caratterizzazione chimico-fisiche e accertamento delle qualità ambientali: Qualora si rilevi il superamento di uno o più limiti di cui alle colonne A e B Tabella 1 allegato 5, al Titolo V parte IV del D.Lgs. 152/06 e s.m.i., è fatta salva la possibilità del proponente di dimostrare (…) che tali superamenti sono dovuti a caratteristiche naturali del terreno o da fenomeni naturali e che di conseguenza le concentrazioni misurate sono relative a valori di fondo naturale”. Nel caso dell’amianto di origine naturale (NOA, Naturally Occurring Asbestos), come si vedrà, tale approccio generale risulta problematico e di difficile applicazione, lasciando peraltro irrisolte molte delle principali criticità sotto il profilo della tutela della salute pubblica. 2. LE OFIOLITI E L’AMIANTO DI ORIGINE NATURALE 2.1. Cenni sulla genesi delle ofioliti e dei minerali asbestiferi Come noto, la presenza di amianto in natura è legato agli affioramenti di Ofioliti (da ὄφις, serpente, e λίθος, roccia, per la loro caratteristica colorazione verdognola traslucida, che ricorda la pelle dei rettili). Le ofioliti, conosciute con il termine informale «Rocce verdi» o «Pietre verdi», sono sezioni di crosta oceanica e del sottostante mantello (litosfera oceanica) che sono state sollevate e inglobate nelle catene montuose fino ad affiorare sulla superficie terrestre. Sono costituite dall’alto, generalmente al di sotto di sedimenti oceanici da: a) complesso vulcanico, costituito in prevalenza da lave basaltiche a cuscini, messe in posto in ambiente sottomarino; b) complesso filoniano, costituito da dicchi stratificati la cui messa in posto avverrebbe mediante iniezione in una ristretta fascia lungo l’asse della dorsale oceanica; c) complesso intrusivo, costituito nella parte superiore da gabbri con una marcata tessitura isotropa; la parte inferiore è costituita da gabbri con una stratificazione orizzontale di origine magmatica; d) complesso ultrabasico, costituito da peridotiti di tipo harzburgitico e/o lherzolitico, metamorfosate tettonicamente, che rappresentano la parte superiore del mantello terrestre. 2 Come noto, non esiste un singolo modello per spiegare l’obduzione delle ofioliti. In ogni caso, tra i diversi meccanismi, quello più consolidato resta quello collisionale. 2.2. Cenni sulla distribuzione delle ofioliti nelle Alpi liguri e negli Appennini La distribuzione delle rocce ofiolitiche attuale nelle Alpi e negli Appennini si caratterizza per una spiccata disomogeneità spaziale. Infatti, alcuni tratti di crosta oceanica vengono «salvati» dalla subduzione e carreggiati in lembi ripiegati insieme ai sedimenti della copertura. Può inoltre accadere che settori di crosta andati in subduzione siano riesumati e si accavallino anch’essi insieme ad altre scaglie. Le ofioliti «alpine» affiorano nel settore di catena centro-occidentale della Liguria e afferiscono agli insiemi strutturali dell’Unità Voltri, della Zona Sestri-Voltaggio. Questi due insiemi hanno raggiunto il massimo livello metamorfico che può raggiungere un tratto di crosta (subduzione) per poi subire un lungo processo di decompressione verso gradi di pressione e temperatura più bassi durante la messa in posto. Nel ponente ligure, sono presenti anche affioramenti di rocce anfibolitiche che non rientrano propriamente nei complessi ofiolitici ma che sono classificate Pietre Verdi. Le ofioliti «appenniniche» affiorano a basso grado metamorfico nella zona del levante ligure nell’Unità Bracco Graveglia (Liguridi Interne) e all’interno di unità a carattere sedimentario con olistoliti. Le unità presenti sotto il nome di Liguridi Esterne affiorano anche in Emilia e Toscana e comprendono spesso olistoliti e grandi ammassi inglobati in marne e arenarie, caratterizzandosi anche per una differente competenza e struttura alla scala dell’affioramento. 2.3. L’amianto nella normativa italiana Durante i processi di trasformazione sul fondo oceanico e durante i processi orogenetici, i processi metamorfici a carico dei complessi ultrabasici possono generare minerali idrati del gruppo del serpentino (Sr) a spese dell’olivina (Ol) e dell’ortopirosseno (Opx) secondo la seguente nota reazione metamorfica: Mg3SiO4 (Ol) + MgSiO3 (Opx) +2H2O = Mg3Si2O5(OH)4 (Sr) Oltre all’amianto di serpentino (famiglia fillosilicati), esistono amianti di anfibolo (famiglia inosilicati). I minerali definiti amianto ai sensi della normativa vigente (Art. 247 del D.Lgs. 81/08) sono i seguenti: La classificazione delle ofioliti in base alla normativa nazionale (D.M. 14.05.06) e regionale della Regione Liguria (D.C.R. 105/96) è la seguente: 3 Si accenna solo, in questa sede, alla problematica delle fibre non normate, quali la fluoro-edenite, la balangeroite, la carlosturanite ecc., che, per quanto non definite ‘amianto’ dall’attuale normativa, sono largamente sospettate di indurre effetti analoghi sulla salute dell’uomo. 2.4. Analisi allo stereomicroscopio propedeutica alle determinazioni analitiche dell’amianto secondo le procedure ARPAL La determinazione del contenuto di amianto in una roccia o in un terreno costituisce l’esito di una procedura complessa, in cui rientrano attività sia in sito sia in laboratorio tra loro strettamente correlate. I controlli istituzionali in corso connessi ad alcune importanti opere strategiche in via di realizzazione nel territorio regionale costituiscono per la nostra Agenzia un carico di lavoro oggettivamente rilevante, oltre ad essere soggetti a tempistiche di restituzione dei dati particolarmente ristrette. Tutto ciò ha spinto a ricercare il massimo grado di efficienza delle procedure, al fine di ottimizzare le risorse a disposizione e garantire risposte adeguate nei tempi più brevi possibili. È stata pertanto adottata una procedura di analisi macroscopica per la caratterizzazione delle rocce e delle terre che, per quanto generalmente propedeutica alle successive analisi in microscopia ottica o elettronica (presso ARPAL generalmente microscopia elettronica S.E.M.), può tuttavia risultare esaustiva in alcuni casi, consentendo di evitare il ricorso sistematico alle analisi al microscopio elettronico, o comunque limitando la necessità di ricorrervi in tutti casi, con notevole riduzione di tempi e costi. La procedura fa parte del più ampio processo di caratterizzazione dei materiali naturali, dal rilevamento geologico-strutturale sull’ammasso roccioso o geologico-tecnico dei terreni, al prelievo di campioni rappresentativi, alle determinazioni analitiche. In modo particolare, si riferisce alle attività che si svolgono dall’accettazione del campione, fino alle fasi di preparazione del campione per le eventuali analisi successive. La procedura si sviluppa attraverso le seguenti attività: 1. Il campione viene estratto dal contenitore utilizzato per il prelievo, e deposto su un vassoio per un primo esame visivo finalizzato all’individuazione delle principali caratteristiche sullo stato di aggregazione, litotecniche e granulometriche di massima, 4 dell’umidità e del colore. Tale primo esame è anche rivolto all’individuazione di eventuali evidenze di contaminazione e della presenza di inclusi di varia origine; 2. Esecuzione di fotografie del campione, avendo cura di inserire nell’immagine un riferimento dimensionale e i riferimenti identificativi dello stesso campione; 3. Prelievo di una piccola quantità di materiale fine (sabbioso-limoso) e di alcuni frammenti litoidi di dimensioni superiori (fino a 2-3 cm) per l’esame allo stereomicroscopio; 4. Poiché i frammenti di dimensioni superiori sono finalizzati al riconoscimento litologico e all’eventuale individuazione di patine cristalline potenzialmente fibrose, gli stessi vengono lavati con acqua per eliminare la polvere che normalmente li ricopre. La frazione fine, al contrario, non deve essere lavata per evitare la dispersione di eventuali fibre libere disperse nella matrice; 5. Analisi allo stereomicroscopio, compilando apposite schede per le rocce e per le terre: a. I frammenti litoidi vengono fotografati e osservati per il riconoscimento litologico per la classificazione del litotipo (es. serpentinite, basalto ecc.). La superficie viene indagata, in modo particolare, per l’individuazione di eventuali patine di cristallizzazione, riempimenti di microfratture e vene, e foliazioni differenziate che possono presentare natura fibrosa o pseudofibrosa. Le mineralizzazioni in frattura rappresentano delle zone di debolezza della roccia spesso accompagnate ad un elevato grado di alterazione e disgregabilità. La presenza di fasci di fibre in frattura costituisce un incremento della pericolosità del materiale e pertanto tali cristallizzazioni vanno indagate con estrema cura; b. Nel caso di riscontro positivo, viene prelevato un frammento per l’analisi qualitativa al S.E.M, che potrà confermare l’abito fibroso o al contrario prismatico/lamellare, e l’appartenenza ai minerali classificati ‘amianto’ dalla normativa vigente. c. La frazione detritica fine viene analogamente fotografata e osservata per l’individuazione della litologia dei granuli e la loro distribuzione prevalente. La verifica dell’omogeneità petrografica tra i granuli e i frammenti litoidi di dimensioni superiori (vd. precedente punto a) costituisce un importante elemento di valutazione delle caratteristiche e dell’origine del materiale. Anche in questo caso, qualora si riscontrasse la presenza di fibre disperse nella matrice, si procederà a prelievo per l’analisi qualitativa al S.E.M, che potrà confermare l’abito fibroso o al contrario prismatico/lamellare, e l’appartenenza ai minerali classificati ‘amianto’ dalla normativa vigente. L’esito delle valutazioni potrà portare ad alcune situazioni-tipo fondamentali: 1. Riconoscimento della natura non ofiolitica del materiale (assenza di Pietre verdi); 2. Riconoscimento della natura ofiolitica del materiale (presenza di Pietre verdi), con eventuale presenza di minerali fibrosi; 3. Riconoscimento della presenza di elementi eterogenei di origine sia ofiolitica sia non ofiolitica (situazione tipica di alcune rocce sedimentarie tipo brecce, conglomerati e arenarie poligeniche). Nel primo caso, non sarà necessario eseguire l’analisi in microscopia ottica o elettronica. L’eventuale presenza di fibre nella matrice fine costituisce un’anomalia, da considerare indizio di contaminazione antropica. Se già a questo livello di osservazione è possibile 5 escludere la natura minerale delle fibre, è possibile anche in questi casi non proseguire gli accertamenti analitici. Nel caso, invece, di presenza di fibre minerali, sarà necessario procedere con gli accertamenti in microscopia ottica o elettronica. Nel secondo caso, si procederà sempre ai successivi accertamenti in microscopia ottica o elettronica, per la determinazione dell’effettiva appartenenza delle fibre rilevate a specie mineralogiche definite amianto dalla normativa vigente, e della loro concentrazione in massa. L’analisi in microscopia deve essere condotta anche in assenza di fibre visibili allo stereomicroscopio, in quanto in tali litotipi non è possibile escludere la presenza di minerali amiantiferi all’interno del reticolo cristallino. Nel terzo caso, si procederà sempre ai successivi accertamenti in microscopia ottica o elettronica, per gli stessi motivi e con le stesse finalità descritte nel caso precedente. 3. CRITICITÀ E PROSPETTIVE 3.1. Nuova normativa e un vecchio problema Lo schema di decreto del presidente della repubblica recante la “Disciplina semplificata della gestione delle terre e rocce da scavo, ai sensi dell’articolo 8 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164” in via di definitiva approvazione, sembra introdurre per l’amianto una limitazione riguardo la possibilità di avvalersi del concetto di Fondo naturale. Infatti, l’articolo 11 (Terre e rocce da scavo conformi ai valori di fondo naturale) dello schema di decreto stabilisce in generale che: “Qualora la realizzazione dell’opera interessi un sito in cui, per fenomeni di origine naturale, nelle terre e rocce da scavo le concentrazioni dei parametri di cui all’allegato 4, superino le concentrazioni soglia di contaminazione di cui alle colonne A e B, Tabella 1, Allegato 5 al Titolo V della Parte IV del decreto n. 152 del 2006, è fatta salva la possibilità che le concentrazioni di tali parametri vengano assunte pari al valore di fondo naturale esistente. A tal fine, in fase di predisposizione del piano di utilizzo, il proponente segnala il superamento di cui sopra ai sensi dell’articolo 242 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e contestualmente presenta all’Agenzia di protezione ambientale territorialmente competente un piano di indagine per definire i valori di fondo naturale da assumere”. E, tuttavia, l’articolo 24 (“Utilizzo nel sito di produzione delle terre e rocce escluse dalla disciplina rifiuti”) stabilisce che “Ferma restando l’applicazione dell’articolo 11, comma 1, ai fini del presente articolo, le terre e rocce da scavo provenienti da affioramenti geologici naturali contenenti amianto in misura superiore al valore determinato ai sensi dell’articolo 4, comma 4, possono essere riutilizzate esclusivamente nel sito di produzione sotto diretto controllo delle autorità competenti. A tal fine il produttore ne dà immediata comunicazione all’Agenzia di protezione ambientale e all’Azienda sanitaria territorialmente competenti, presentando apposito progetto di riutilizzo”. La ratio del legislatore sembra dunque indubbiamente quella di voler evitare il trasporto di materiali significativamente amiantiferi al di fuori del sito di produzione, eliminando così i fattori di potenziale dispersione connessi a tali operazioni. In termini sostanziali, tuttavia, nonostante l’apparente restrizione, ciò sembra costituire in realtà un ampliamento delle possibilità di utilizzo dei materiali con contenuti di amianto superiori alle CSC. Infatti, nonostante la teorica possibilità di determinare un “fondo naturale” per l’amianto che la ancora per poco vigente normativa (D.M. 161/12) consente, e con ciò di potersi avvalere, pertanto, della qualifica di sottoprodotti anche per materiali con contenuti di amianto superiori alle CSC, a tutto’oggi è difficilmente immaginabile un qualsiasi utilizzo di terre e rocce con contenuti superiori a 1.000 mg/kg (CSC della Tabella 1, Allegato 5 al Titolo V della Parte IV del decreto n. 152 del 2006), che in questi venivano e vengono invariabilmente gestite come rifiuti. E ciò per almeno 6 un duplice motivo: la richiamata impossibilità tecnica di determinare un valore di fondo naturale per l’amianto in matrice solida naturale, da un lato, e, dall’altro, i condizionamenti anche di natura socio-culturale legati alla particolarità del tema “amianto”, col quale si identificano indistintamente una pluralità di situazioni affatto diverse, industriali e produttive e naturali.. Nella nuova norma, invece, l’utilizzo in sito di materiali naturali sarebbe invece sempre consentito, nei termini e alle condizioni stabilite dal citato art. 24. In termini generali, a prescindere dall’effettiva portata delle novità legislative che solo la successiva pratica applicativa potrà chiarire, resta la necessità di valutare la naturalità del contenuto di amianto dei materiali di scavo. Conseguentemente, ai sensi di legge, permane la necessità, o quantomeno la facoltà, di definire un valore di fondo naturale dell’amianto in caso di superamento delle CSC. E qui si ripresenta uno dei principali sopracitati ostacoli, che il nuovo testo non sembra in grado di superare: l’impossibilità, allo stato attuale, di definire un valore di fondo naturale per l’amianto nelle terre e nelle rocce. Vi è infatti un generalizzato accordo nella comunità tecnico-scientifica nel ritenere il concetto di fondo naturale sostanzialmente inapplicabile nel caso dell’amianto. Le peculiarità con le quali l’amianto si presenta all’interno degli ammassi rocciosi, con concentrazioni spiccatamente variabili da punto a punto, e con conseguente particolare difficoltà nella trattazione statistica di set di dati caratterizzati da valori estremi e un’elevata percentuale di dati non-detect, i particolari meccanismi dei fenomeni di alterazione, trasporto e deposito nei suoli, unitamente alla complessità delle procedure di quali-quantificazione analitica, sono alcuni tra i fattori che non consentono ad oggi di determinare un significativo valore di fondo per tale parametro. Si cita per tutti il rapporto “Normal background concentrations (NBCs) of contaminants in English soils: Final project report” (British Geological Survey, 2012), che definiva “not possibile” e addirittura “inappropriate” definire un valore di fondo naturale per l’amianto. 3.2. Un cambiamento di paradigma? L’avanzamento degli studi scientifici, le esperienze applicative acquisite in modo particolare nel corso della realizzazione di importanti opere pubbliche, le nuove tecnologie rese disponibili in campo ingegneristico, ambientale e della protezione e sicurezza dei lavoratori rendono possibile una riflessione sull’approccio generale alla problematica dell’amianto naturale, a partire da alcune prime considerazioni: 1. Nel caso di scavi in roccia, il problema della dimostrazione della “naturalità” della composizione del materiale scavato dovrebbe poter essere superato dalla stessa incontestabile evidenza che, all’interno di una matrice compatta a profondità di decine e talora centinaia di metri dalla superficie, è da escludersi qualsiasi possibilità di contaminazione antropica della matrice solida; 2. La pericolosità di un materiale naturale amiantifero non è esclusivamente legata al valore della concentrazione totale dell’amianto. Se il nuovo regolamento sulle Terre e rocce da scavo in via di pubblicazione ha il rilevante merito, tra le altre cose, di chiarire in via definitiva la modalità di analisi e calcolo della concentrazione, superando le precedenti ambiguità che tante incertezze interpretative e contenziosi avevano suscitato, non può dirsi che sia stato ancora del tutto risolta la problematica relativa all’effettiva pericolosità dei materiali. È noto, infatti, che le proprietà meccaniche, e in modo particolare la disgregabilità, influiscono in modo determinante sull’effettivo rilascio di fibre nell’ambiente. 3. Tra l’insufficiente significatività del parametro Indice di rilascio e la massima cautelatività dell’Amianto totale, potrebbe essere ulteriormente approfondita la ricerca di indici e parametri in grado di integrare l’aspetto puramente composizionale con le proprietà meccaniche, come quello introdotto dalla 7 Regione Emilia Romagna con la DGR 1696/2012 col parametro “Fibre liberabili (AR”); 4. Le modalità di scavo e movimentazione dei materiali, e l’adozione di procedure di controllo e monitoraggio della dispersione delle fibre sono accertati fattori decisivi sulla concentrazione di amianto aerodisperso negli ambienti di lavoro e di vita. È noto, infatti, che, in mancanza di idonee cautele, anche materiali “sottosoglia” possono indurre significative concentrazioni di fibre aerodisperse; e, al contrario, l’adozione di opportuni provvedimenti e dispositivi di controllo della dispersione e di abbattimento delle fibre liberate, possono contenere entro limiti di assoluta sicurezza i livelli di concentrazioni aerodispersa anche in presenza di concentrazioni di amianto nei materiali al di sopra delle CSC. 4. CONCLUSIONI In conclusione, si ritiene che, nel caso dell’amianto, la dimostrazione dell’origine naturale di concentrazioni nel suolo e nel sottosuolo superiori alle CSC di cui alla Tabella 1 dell'allegato 5 alla parte quarta del D.Lgs. 152/06 debba fondarsi su un criterio di “compatibilità geologica”, piuttosto che sulla definizione di un valore numerico di “concentrazione di fondo”. L’impossibilità di definire il valore di fondo in termini rigorosamente numerici non può in alcun modo giustificare un approccio riduttivo o semplificativo; ma, al contrario, evidenzia la necessità di studi geo-minero-petrografici rigorosi, in grado di consentire di ascrivere con sicurezza i livelli di concentrazione rilevati nelle rocce e nei terreni alla specifica pedogenesi del territorio stesso, alle sue caratteristiche litologiche e alle condizioni chimico-fisiche presenti. In tali casi, ogni piano e progetto di riutilizzo dei materiali dovrà essere accompagnato dalla predisposizione di specifiche procedure operative per la gestione del rischio amianto e di relative misure di prevenzione e protezione, in grado di controllare l’intero processo, dallo scavo alla destinazione finale, in condizioni di completa sicurezza per i lavoratori e la popolazione. REFERENCES 1. Cortesogno L. & Haccard D. 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