Indice Introduzione 6 1. Cos’è il Training Autogeno 1.1 Training Autogeno – Storia 2. Applicazioni in ambito clinico e non clinico 2.1 Regolazione neurobiologica dell’ansia 2.2 Significato dell’ansia 3. Ambiente e posizioni del Training Autogeno 3.1 Esercizi del Training 3.2 Consigli pratici 7 8 12 16 19 21 23 25 Conclusioni 27 Bibliografia 28 Sitografia 30 5 Introduzione Il Training Autogeno è un metodo di autodistensione da concentrazione psichica passiva che, attraverso l'apprendimento progressivo di esercizi specifici, consente di ottenere in tempi brevi e apprezzabili modificazioni dell'unità psico-somatica e di intervenire su numerosi disturbi funzionali. Il metodo, nella versione di Schulz, se praticato correttamente e costantemente, permette di migliorare il contatto con se stessi, combattere lo stress, le tensioni muscolari e psichiche, la mancanza di energia, l’ansia e le sue somatizzazioni organiche (tremori, insonnia, sudorazione, tachicardia, oppressione toracica, gastrite, stipsi, asma bronchiale, tachicardie parossistiche, tic, alcune manifestazioni cutanee come l’alopecia e la psoriasi, ecc.). Obiettivo del Training Autogeno è toccare l'individuo nella sua unitarietà e renderlo autonomo. Infatti, il termine autogeno significa che la persona autonomamente, dopo il periodo iniziale di training, può modificare le funzioni del proprio sistema neurovegetativo. In questo modo si diventa autori del proprio benessere psicofisico. Schultz stesso definì il Training Autogeno come un metodo di auto-distensione che consente di modificare situazioni psichiche e somatiche. 6 1. Cos'è il Training Autogeno? Il Training Autogeno è, riprendendo le parole del suo ideatore, Neurologo e Psichiatra berlinese Johannes Heinrich Schultz, (1884-1970), “un metodo di autodistensione da concentrazione psichica passiva1”. “Il principio fondamentale del metodo consiste nel determinare, per mezzo di particolari esercizi fisiologici-razionali, una deconnessione globale dell'organismo che, in analogia con le metodologie eteroipnotiche, permette di raggiungere le realizzazioni proprie degli stati suggestivi”2. Il Training Autogeno nasce ufficialmente nel 1932, anno in cui fu pubblicata l’opera fondamentale di Schultz, “Das autogene training” (Il Training Autogeno); in essa sono presenti tutti i risultati che lo psichiatra tedesco ha raccolto nel corso degli anni e che risentono fortemente degli studi sull’ipnosi di Hippolyte Bernheim e Jean-Martin Charcot (primi del ’900). L'autore partendo dalle tecniche di ipnosi e in particolare dalle ricerche sul sonno fatte da Oscar Vogt, mise a punto una tecnica che, a differenza dalle precedenti metodologie, attribuiva al soggetto/paziente un ruolo attivo ed indipendente dal terapeuta nel raggiungere lo stato di rilassamento. Il Training Autogeno, più comunemente conosciuto con l'acronimo T.A., consiste in una serie di esercizi di concentrazione che si focalizzano su diverse 7 zone del corpo. Tale concentrazione ha lo scopo di attivare uno stato di rilassamento sia a livello fisico che a livello psichico. Con tale metodo, si potrà avere la possibilità di ottenere, tramite la concentrazione mentale, delle modifiche reali a livello corporeo che a loro volta coinvolgeranno l’intera sfera psichica del soggetto. Tale modificazione è possibile, giacché sappiamo che mente e corpo sono strettamente correlate tra loro anche se sono componenti indipendenti e autonome. Le due componenti si influenzano reciprocamente e in modo costante. Infatti, è possibile, con il semplice apprendimento degli esercizi, ottenere delle modificazioni delle funzioni organiche e non. Proprio la costanza farà si che lo stato di distensione e il benessere psico/fisico non debbano essere ricercati attivamente, ma che si producano in modo autonomo e spontaneo (autogeno). Gli esercizi del T.A. di Schultz sono studiati e messi in un ordine specifico affinché si possano realizzare delle modificazioni che sono diametralmente opposto a quelle dello stress. 1.1. Training Autogeno – Storia Il principio su cui si basa il Training Autogeno è il condizionamento classico, più noto anche come condizionamento pavloviano. Attraverso il condizionamento pavloviano, il Training Autogeno consente di ottenere, ripetendo degli esercizi specifici, l’associazione tra una formula e uno stato 8 psicologico o fisiologico. Si basa sull'allenamento di una serie di esercizi di concentrazione psichica passiva. Gli studi di Schulz hanno messo in rilievo un fenomeno naturale noto come ideoplasia3 di Forel. Lo studioso riteneva che il pensare di effettuare un movimento, potesse generare delle modificazioni elettriche a livello neuronale in corrispondenza della zona cerebrale interessata a detto movimento. Tale fenomeno accade parzialmente anche a livello delle fibre nervose motorie dell’organo interessato. Allo stesso modo, attraverso un opportuno percorso di allenamento, immaginare e rappresentarsi mentalmente determinati stati (calma, calore, pesantezza ecc.) li induce veramente. Il fine è quello di raggiungere una condizione di cosciente passività, che si realizza quando il soggetto si lascia andare ad un atteggiamento d’indifferente contemplazione di quanto spontaneamente accade nel proprio organismo e nella propria mente. In seguito all’apprendimento di questa tecnica ed all’allenamento quotidiano del paziente, si sviluppano spontaneamente modificazioni psichiche e somatiche di senso opposto a quelle provocate nella nostra mente da uno stato di tensione, di ansia e stress. Il principio fondamentale dell'autogeno è l’autogenicità: affinché questa si realizzi è importante che il paziente svolga gli esercizi in modo costante e autonomo; il compito dello Psicologo è, dunque, quello di illustrare progressivamente il metodo, supervisionare il 9 lavoro individuale del paziente e favorire l’elaborazione del vissuto che emerge durante l’apprendimento degli esercizi. Diversamente dall’Ipnosi, il Training Autogeno cerca di ridurre gli effetti suggestivi e di fornire al paziente uno strumento che possa poi essere utilizzato in modo autonomo. I principali risultati che si possono ottenere con la pratica del T.A. sono tre: 1. equilibrio neurovegetativo; 2. stato di calma; 3. modifiche di personalità. Gli effetti diretti del T.A. sull’individuo si possono così riassumere: • un più profondo e rapido recupero di energie, autoinduzione alla calma tramite il rilassamento interiore, • autoregolazione di funzioni corporee involontarie (apparato cardiocircolatorio, respiratorio, viscerale) miglioramento della capacità di concentrazione e delle prestazioni mnemoniche, • diminuzione della percezione del dolore (attraverso la modificazione del vissuto di sofferenza) • autodeterminazione per mezzo di proponimenti che permettono di superare specifiche difficoltà, • introspezione e autocontrollo attraverso l’ascolto del proprio corpo, quel “tuffo in se stessi” (Schultz) che permette una miglior coscienza di sé. 10 Il Training Autogeno nasce dall'esigenza di gestire adeguatamente lo stress a cui siamo sottoposti giornalmente, soprattutto in questo periodo storico pieno di cambiamenti repentini. E' una tecnica di rilassamento di interesse psicofisiologico, usata in ambito clinico nel controllo dello stress, nella gestione delle emozioni e nelle patologie con base psicosomatica. Il Training viene usato anche in ambiti non clinici soprattutto in quello sportivo e in tutte quei contesti che richiedono il raggiungimento di un alto livello di concentrazione e gestione dell'ansia. 11 2. Applicazioni in ambito clinico e non clinico Il campo di applicazione più importante del T.A. è l'autoregolazione delle funzioni normalmente involontarie. Oggi si parla di disturbi funzionali o di sindrome psico-vegetativa in cui l'aspetto vegetativo e quello psichico sono sempre presenti contemporaneamente nelle singole manifestazioni della sindrome. La diagnosi di un disturbo psico-vegetativo, parte di solito, dall'esclusione di una malattia organica; una caratteristica dei pazienti psicosomatici è la scarsa percezione dei loro conflitti interni ed esterni.. Il sintomo psicosomatico è da intendersi come conseguenza di un disturbo vegetativo funzionale, dovuto alla rimozione di una certa quantità di energia psichica all'interno di un conflitto costante. Lo schema delle nevrosi riportato da Schultz, può essere un buon aiuto per la valutazione delle possibilità terapeutiche dei disturbi psico-vegetativi: • Nevrosi endogene, tali nevrosi dipendono da fattori esterni e ambientali; • Nevrosi marginali, questi ultimi fanno parte dei meccanismi psichici primitivi, affini ai meccanismi fisiologici come memoria, assuefazione e riflessi condizionati, il cui conflitto rispecchia un atteggiamento psichico errato nei confronti dei propri processi organici e del proprio fisico; 12 Nevrosi stratificate, cioè conflitti endopsichici tra i desideri istintuali e la loro possibilità di realizzazione di cui l'individuo non e' cosciente; • Nevrosi nucleari. • Tipiche dei disturbi psico-vegetativi sono: la multiformità delle manifestazioni, la quantità dei disturbi, la frequenza del fenomeno generico (nervosismo), il decorso vario, la frequenza del fenomeno generico e l'aspetto di inadeguatezza. • Tra i disturbi psico-vegetativi trattabili con il Training Autogeno ci sono: • disturbi dell'alimentazione e della digestione; • disturbi dell'apparato cardio-circolatorio; • disturbi della respirazione; • disturbi degli organi addominali (sessuali e della vescica); • disturbi della pelle; • degli occhi, della regolazione ormonale e della biochimica ematica; • degli organi di sostegno e della locomozione; • disturbi neurologici. In ambito clinico: • Per quanto concerne l'apparato digerente, il T.A., favorisce la normalizzazione dei fattori stressanti collegati alle patologie dell’apparato, tutto ciò tramite l’autoregolazione delle funzioni motorie, • 13 • • • • vasomotorie e secretive dell’apparato gastrointestinale. Il T.A. si è dimostrato particolarmente utile per contrastare alcuni disturbi dermatologici, come ad esempio eczemi, psoriasi e pruriti, che si presentano abitualmente nel soggetto in situazioni di forte stress, ansia e sovraccarico mentale, quindi patologie psicosomatiche. Per quanto riguarda l'apparato respiratorio, il T.A. agisce sui meccanismi fisiologici del disturbo lavorando sulla respirazione diaframmatica e sulle sue implicazioni psicodinamiche. Nei casi cronici può essere utile associare il T.A. alle abituali terapie farmacologiche. Per l'apparato circolatorio, il T.A. diminuendo l’ansia e le preoccupazioni migliora la circolazione periferica, assesta valori pressori, induce uno stato di calma. Per le turbe neurologiche, il T.A. rappresenta in questi casi un affiancamento, non certo una risoluzione del disturbo. Nella malattia di Parkinson e nella sclerosi multipla si è mostrato utile per ridurre l’ipereccitabilità e l’ansia legata alle conseguenze della malattia. Ha dato buoni risultati anche nell’illusione dell’arto fantasma che insorge talvolta dopo amputazione, in quanto favorisce l’elaborazione della propria immagine corporea. Nei disturbi del sonno il T.A. 14 riduce l’eccessiva eccitazione e, regolarizzando il ciclo sonno-veglia, può essere utile anche nella narcolessia. Inducendo analgesia attraverso la modificazione del vissuto del dolore, si è mostrato utile nel ridurre il dolore nelle cefalee. • Per disturbi d’ansia, attacchi di panico e fobie il T.A., esercita un’influenza sui sintomi proprio in quanto lavora sull’attesa della paura, che solitamente genera il circolo vizioso dell’attacco di ansia. Nella fase acuta del disturbo, può essere utile accostare il T.A. a terapie farmacologiche. • Nei soggetti dipendenti da sostanze con una buona motivazione all’interruzione, e buona collaborazione, il T.A. riduce la tensione, ripristina il ciclo sonno-veglia, rinforza la sicurezza in sé e la motivazione. In questi casi può essere utile il T.A. in situazioni di gruppo; controindicati sono i casi in cui la dipendenza da sostanze si accompagna a un disturbo di personalità strutturato. • Il T.A. nei disturbi della sessualità effettua uno smorzamento della risonanza emotiva predisponendo alla calma e agendo sull’ansia di attesa, favorendo il lavoro sulle implicazioni psicodinamiche che predispongono al disturbo. A livello preventivo, e in un’ottica di miglioramento globale, di benessere psico- fisico, il Training Autogeno viene consigliato per apprendere il con15 trollo e gestione dello stress e reazioni emotive eccessive nonché per imparare l’autoinduzione alla calma. Molti ritengono, inoltre, che gli esercizi di Training Autogeno possano aiutare il soggetto a migliorare in modo significativo le proprie prestazioni mentali. Attualmente, uno dei campi di maggiore applicazione del Training Autogeno, in ambito non clinico, è l’attività sportiva. 2.1. Regolazione neurobiologica dell’ansia Nella pratica clinica i disturbi d’ansia rappresentano una delle patologie più frequenti e costituiscono un ulteriore fattore di rischio per l'insorgere di diverse patologie a carico del nostro organismo. Le manifestazioni fisiologiche dell'ansia compaiono e si diffondono rapidamente, durano a lungo e si risolvono lentamente. La persona, pur soffrendo di tale sintomatologia, non la identifica come ansia perché non elabora correttamente il proprio stato interno. L'ansia non regolata adeguatamente, aumenterà fino a peggiorare e divenire ansia generalizzata. Una peculiare caratteristica dell’ansia è quella di alterare vari parametri neurofisiologici e comportamentali, generando sintomi comuni alle patologie endocrine, cardiovascolari, polmonari, gastrointestinali, urogenitali, neuro-muscolari, sensitivosensoriali. 16 Il disturbo d’ansia, pertanto, deve essere considerato una malattia sistemica ad andamento cronico, suscettibile di riacutizzazioni, che richiede attenzione. Una delle più frequenti cause scatenanti i disturbi d’ansia è rappresentata dallo stress. Quando il cervello percepisce un evento come stressante, vengono attivate una serie di risposte neurobiologiche e comportamentali, che permettono all’individuo di conservare la stabilità attraverso il cambiamento. Di seguito approfondiamo, da un punto di vista neurobiologico, il percorso di regolazione dell'ansia. La nostra conoscenza e comprensione del mondo si costruisce attraverso i nostri canali sensoriali quali la vista, l'udito, il tatto, l'olfatto, il gusto, la sensibilità al dolore e la propriocezione. Quando percepiamo una minaccia, l'informazione viene elaborata attraverso le vie sensoriali,il midollo spinale, il tronco cerebrale fino al talamo. Dal talamo l'informazione sensoriale è trasmessa contemporaneamente • all'amigdala • alla corteccia. Il talamo invia in circa 12 millisecondi l'informazione sensoriale primitiva all'amigdala. Tale veloce e diretto input talamico consente risposte emozionali primitive a breve latenza e prepara contemporaneamente l'amigdala alla ricezione di informazioni più complesse proveniente dalla corteccia. Il talamo invia segnali sensoriali più complessi alla corteccia impiegando circa 30-40 millisecondi, af17 finché analizzi ed elabori attentamente ciò che sta accadendo. Se queste regioni corticali e l'amigdala traducono le informazioni sensoriali come indicatori di pericolo, l'amigdala invia segnali all'ipotalamo sia direttamente che indirettamente attraverso il locus ceruleus, situato nel tronco cerebrale. Il locus ceruleus invia segnali alle aree corticali associative, funzionando come una sorta di snodo neuronale. Questo gruppo di neuroni coordina la via breve del sistema dello stress e collega le regioni del cervello secernenti il CRH, ormone per il rilascio della Corticotropina, con il Sistema Nervoso Autonomo, via lunga. Via Breve: l'amigdala invia segnali all'ipotalamo ed alle regioni del tronco encefalo che regolano le risposte anatomiche alla minaccia. L'ipotalamo integra in una risposta coerente le informazioni provenienti dalla corteccia cerebrale, dall'amigdala e dal tronco encefalo. L'ipotalamo agisce sul sistema nervoso autonomo mediante la modulazione del feedback di informazioni provenienti dagli organi interni. Via Lunga: il locus ceruleus invia segnali all'ipotalamo, il quale innesca la via lunga del sistema dello stress (asse ipotalamo-ipofisi- surrene). L'ipotalamo secerne Corticotropina (CRH), il più importante ormone dello stress, che giunge all'ipofisi che a sua volta rilascia ACTH, ormone adrenocorticotropo, nel sangue. L'ACTH stimola le ghiandole surrenali a produrre ormoni glucocorticoidi, responsabile del nostro stato di allerta ed incremen18 tano il glucosio ematico fornendo energia a muscoli e nervi.4 In caso di stress acuto l'ipotalamo secerne vasopressina per attivare ulteriormente le ghiandole surrenali. Terminata la minaccia il sistema si disattiva attraverso un collegamento a feedback negativo che permette all'ipotalamo di sopprimere la secrezione di CRH e di interrompere il rilascio di ACTH. Quando il pericolo o la percezione del pericolo si è conclusa, il sistema coinvolto nella regolazione dell'ansia si disattiva rapidamente egli organi riprendono le loro funzioni. Tuttavia, in situazioni croniche di stress, il sistema ripetutamente stimolato può alterarsi e rendere gli organi vulnerabili. 2.2. Significato dell’ansia L'ansia è un'emozione naturale e universale; è generata da un meccanismo psicologico di risposta allo stress, il quale svolge la funzione di anticipare la percezione di un eventuale pericolo prima ancora che quest'ultimo sia chiaramente sopraggiunto, mettendo in moto specifiche risposte fisiologiche che spingono da un lato all'esplorazione per identificare il pericolo ed affrontarlo nella maniera più adeguata e, dall'altro, all'evitamento e alla eventuale fuga. Questa caratteristica di interesse ed evitamento nei confronti di un possibile pericolo si ritrova soltanto negli esseri umani e negli animali 19 superiori e favorisce la conoscenza del mondo circostante e un migliore adattamento ad esso.5 L'ansia, oltre a rappresentare una reazione universale, primitiva ed aspecifica, in alcuni contesti arriva ad assumere modalità autoinibitorie. Freud, nel 1925, definì l'ansia un “segnale di pericolo dato dall'IO”, che a sua volta reagisce producendo i “sintomi creati per sottrarre l'IO dalla situazione di pericolo”. Pertanto, i sintomi, assumono valore difensivo, mettendo in atto condotte di evitamento. Il ruolo originario degli effetti inibitori è quello di autoregolazione e di autocontrollo delle emozioni che, se innaturalmente esasperate, compromettono la funzione adattiva di controllo e finiscono per esercitare inibizione, sabotaggio e disfunzioni somatiche. In tale contesto si inserisce il Training Autogeno quale Tecnica capace di consentire un recupero dell'equilibrio interiore della persona. 20 3. Ambiente e posizioni del Training Autogeno La postura del soggetto e l'ambiente nel quale si svolgono gli esercizi assumono una notevole importanza nello svolgimento della Tecnica del Training Autogeno. Pertanto è opportuno svolgere gli esercizi un ambiente tranquillo, non troppo caldo né troppo freddo, scarsamente illuminato per consentire una ulteriore diminuzione delle stimolazioni esterne. Si deve tenere anche in considerazione l'abbigliamento, il soggetto che si sottopone al Training Autogeno non deve essere disturbato da indumenti troppo stretti (colletti, cravatte, cinture, elastici) o troppo pesanti e che possano pertanto determinare un accumulo di calore. Anche la postura del soggetto risulta essere un fattore determinante e caratterizzato da una totale assenza di tensione muscolare per facilitare il raggiungimento della maggior passività possibile. Per lo svolgimento degli esercizi somatici inferiori si possono assumere le seguenti posizioni: • Posizione supina: inizialmente è la migliore, 21 si suggerisce anche un sostegno per la nuca. Le braccia proseguono lungo il corpo, con i gomiti leggermente flessi e le palme rivolte verso il basso. Gli arti inferiori non devono essere incrociati, i piedi sono rilassati e rivolti verso l'esterno. • Posizione seduta: si può utilizzare un'accogliente poltrona dallo schienale alto per sostenere il capo. I braccioli della poltrona devono essere posti in modo che le braccia vi si appoggino passivamente e senza tensioni muscolari. La schiena deve aderire comodamente allo schienale e le gambe non devono essere spinte in avanti. • Posizione del cocchiere a cassetta: ci si siede su una panca,uno sgabello o in punta di una sedia in posizione eretta, facendo in modo che la schiena sia distante dallo schienale. Così seduti ci si abbandona verticalmente, insaccandosi, con le braccia che pendolano ai lati ed il capo perpendicolare al di sopra del grembo, evitando di flettere 22 eccessivamente il tronco in avanti. La schiena si incurva, il capo penzola verso il basso, leggermente in avanti, il tronco si incassa perpendicolarmente su se stesso; ci si sente appesi ma senza nessuna prestazione muscolare. 3.1. Esercizi del Training Autogeno La tecnica del T.A. esige assoluto silenzio. Tale metodo, come detto precedentemente consente di raggiungere la distensione concentrativa passiva in sei settori del nostro corpo: muscoli, vasi sanguigni, cuore, respirazione, organi addominali e capo. Ovviamente, iniziare con il rilassamento dell'intero corpo sarebbe un errore, in quanto la concentrazione dovrebbe applicarsi su una zone troppo vasta; per questa ragione ogni esercizio deve essere praticato su di un braccio (per i soggetti destrorsi sarà il destro, per i mancini sarà il sinistro) finché la sensazione si estende da sé all'altro braccio ed infine si diffonde al corpo quando si generalizza. 23 Inizialmente il soggetto viene invitato dal conduttore ad adottare un atteggiamento somatico opportuno per l'esercizio e quindi ad assumere una posizione comoda priva di tensioni muscolari che rendono impossibile l'esecuzione dell'esercizio. Successivamente il soggetto viene invitato a chiudere gli occhi ed a disporsi mentalmente ad un atteggiamento di calma, rappresentandosi, nel miglior modo possibile la formulazione immaginativa “io sono perfettamente calmo/a”. Tale fase preliminare e propedeutica ad ogni esercizio rappresenta una fase fondamentale di addestramento per la concentrazione e l'attenzione del soggetto verso il proprio mondo interiore. Una volta compreso ed esperito dal soggetto il significato della formula dell'induzione alla calma si passa in successione ai seguenti esercizi: • Esercizio dell'esperienza della pesantezza deputato al rilassamento muscolare; • Esercizio del calore deputato alla dilatazione dei vasi sanguigni; • Esercizio del cuore deputato alla regolazione della funzione cardiaca • Esercizio del respiro deputato alla regolazione della respirazione; • Esercizio del plesso solare deputato al rilassamento del plesso celiaco; • Esercizio della fronte fresca rivolto agli organi cerebrali. Dopo l'esecuzione degli esercizi avviene la ripresa, che deve sempre essere effettuata nello stesso modo. Questa ultima fase corrisponde ad una de24 suggestione che deve essere eseguita nel seguente modo: • flettere energicamente le braccia verso l'esterno • inspirare ed espirare profondamente • aprire gli occhi. 3.2. Consigli pratici L’ambiente. Scegli un luogo preciso, preferibilmente in casa tua. Il luogo più confortevole possibile, dove sei sicuro di non essere disturbato e riduci al minimo le possibilità di distrazione. Stacca il telefono, spegni radio, televisione, stereo e abbassa le luci fino a creare una piacevole penombra, inoltre fai in modo che il luogo sia fresco. Il momento. Anche la scelta del momento ha la sua importanza. Sarebbe opportuno fissarsi delle pause piuttosto regolari da dedicare all’esercizio nell’arco della settimana, affinché la cadenza regolare dello stesso divenga fin dall’inizio una piacevole abitudine... Guida pratica al rilassamento e alla meditazione. L’abbigliamento. Non è necessario alcun abbigliamento particolare. L’unica cosa importante è non sentirsi costretti da vestiti troppo stretti o accessori pensanti. Quindi, se è il caso, allenta la cravatta e la cintura, sbottona gonne, pantaloni e colletti troppo stretti, togli l’orologio, gli occhiali e le scarpe. La postura. Gli esercizi possono essere eseguiti in tre posizioni, il soggetto sceglie quella più comoda 25 per sé. Si deve far in modo che il tuo corpo si rilassi e assuma una posizione tale per cui tutte le tensioni muscolari siano ridotte al minimo. I pensieri. Prima di iniziare gli esercizi, dobbiamo attendere di arrivare ad uno stato di passività. Non si tratta di esercizi da svolgere rapidamente, in modo frettoloso. Il respiro è una preziosa fonte di ossigeno, l'elemento chiave che permette al corpo di produrre energia. Quando iniziamo a respirare profondamente, i capillari si espandono permettendo così una maggiore quantità di ossigeno di raggiungere quelle parti del corpo che ne hanno più bisogno. La respirazione profonda pompa fluido linfatico, stimola la risposta di rilassamento e dà inizio al rilascio di numerosi neuropeptidi nel cervello (sostanze chimiche che sembrano svolgere un ruolo fondamentale per la biochimica delle emozioni). Più lento è il respiro, maggiore è il controllo sulla nostra mente" (Stellato K., 2008). 26 Conclusioni Ringraziamo tutti coloro che hanno reso possibile questo lavoro e ci sentiamo di lasciarvi con una citazione del fondatore del Training Autogeno J.H.Schultz: “Il senso del metodo di autodistensione da concentrazione psichica del training autogeno è di risolvere in modo sempre più interiorizzato gli esercizi esattamente prescritti, di sprofondarvisi raggiungendo così per l'intero organismo una riconversione, scaturente dall'interno, la quale consente di rinvigorire gli elementi sani, di attenuare o di smantellare gli elementi patologici. Come chi ha imparato a leggere è forzato a leggere ogni volta che vede dei segni scritti, per la persona che abbia appreso il training autogeno un atteggiamento di rilassamento diviene una seconda natura”.6 27 Bibliografia Peresson, L. (1975). Psicoterapia autogena. Faenza: Edizioni Faenza. Galimberti, U. (1999). Enciclopedia di Psicologia. Milano: Garzanti libri . Schultz, J.H., J.H. (1999). Training Autogeno. Vol I Esercizi inferiori. Milano: Feltrinelli. Farné, M., Calderaio, G., Pozzi, U. (1980). Il Training Autogeno di J.H.Schultz. Firenze: Giunti Barbera. Masi, L. (1999). Il training autogeno come psicoterapia breve. Schultz, J.H. (1984). Il Training Autogeno. Vol II. Milano: Feltrinelli. Bazzi, T. & Giorda, R. (1981). Il Training Autogeno, teoria e pratica. Roma: Città Nuova Roma. Peresson, L. (1980). Psicoterapia Autogena. Faenza: Edizioni Faenza. Hoffmann, B.H. (1980). Manuale di Training Autogeno. Roma: Astrolabio. Alexander, F. (1950). Medicina psicosomatica. Firenze: Giunti Editore. 28 Lowen, A. (2004). Bioenergetica. Milano: Feltrinelli. Lowen, A. (2003). Il linguaggio del corpo. Milano: Feltrinelli. Levey, J. (1988). L'arte del rilassamento, della concentrazione e della meditazione. Roma: Astrolabio. D'Alessio, M. (1985). L'intelligenza del corpo. Firenze: Giunti Editore. Pancheri, P. (1980). Stress, emozioni e malattia. Milano: Mondadori. Downing, G. (1998). Il corpo e la parola. Roma: Astrolabio. Feldenkrais, M. (1984). Conoscersi attraverso il movimento. Milano: Celuc Libri. Schnake, A. (1998). I dialoghi del corpo. Un approccio olistico alla salute e alla malattia. Roma: Borla. Kepner, J. (1997). Body process. Il lavoro con il corpo in psicoterapia. Milano: Franco Angeli. Schultz, J.H. (1982). Quaderno di esercizi per il training autogeno. Milano: Feltrinelli. 29 Kandel, E.R., Schwartz, J.H., Jessell, T.M., Siegelbaum, S.A., Hudspeth, A.J (2014). Principi di neuroscienze. Milano: Cea Edizioni Sitografia http://www.nienteansia.it/ansia-e-stress/ 30 Autori Irene Milano, psicologa, specializzanda in psicoterapia Breve ad Approccio Strategico, Istituto per lo Studio delle Psicoterapie. Anna Nastasi, Anna Nastasi, Psicologa, Operatore Training Autogeno, Specializzanda ISP, Istituto per lo Studio delle Psicoterapie. Valeria Verrastro: psicologo-psicoterapeuta, Istituto per lo Studio delle Psicoterapie; direttore scientifico della rivista Qualepsicologia; ricercatore, Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale. Filippo Petruccelli, psicologo-psicoterapeuta, Istituto per lo Studio delle Psicoterapie, Università degli studi di Cassino e del Lazio Meridionale.