Copyright © by Tommaso Ciccarone NIETZSCHE Follia come oltre-ragione “Vedete: io vi insegno il Superuomo; egli è questa folgore; egli è questa pazzia!” (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra; Prefazione) A cavallo tra il XIX e il XX sec, la cultura mittleuropea (centro Europa) è segnata dal concetto di “Crisi”. Crisi delle vecchie certezze metafisiche (l’idea di Soggetto, per es.), teologiche (Dio), scientifiche(la verità obiettiva della matematica) e morali (i valori assoluti di Bene e Male): in generale Nietzsche utilizza l’espressione fondamentale di “Morte di Dio”. Nietzsche è il primo grande interprete di questa Crisi (detta filosoficamente anche “Nichilismo”) e si inserisce nel quadro della storia della filosofia come “maestro del sospetto” (etichetta che, in realtà, è stata assegnata anche a MARX e FREUD) Il pensiero di Nietzsche poggia innanzitutto sulla necessità di prendere coscienza del dato di fatto epocale: l’accettazione della “Morte di Dio”, ovvero la consapevolezza che tutti i “valori” tradizionali di cultura, in quanto “invenzioni” umane, sono mutevoli, relativi, instabili ed esposti al tramonto. Da questo presupposto (ciò che Nietzsche chiama la “trasvalutazione” – superamento di tutti i valori) egli annuncia profeticamente (ed è questo lo stile e il tono dello Zarathustra) il nuovo atteggiamento filosofico da assumere: l’accettazione totale del “senso della terra”, ovvero accettazione dell’esistenza in tutti i suoi lati e sfaccettature, nel bene e nel male, al di là di ogni principio che pretenda di essere assoluto ed eterno o univoco. Nella Prefazione dello Zarathustra Nietzsche esprime il senso del suo annuncio: “Ecco, io vi insegno il superuomo! Il superuomo è il senso della terra. La vostra volontà dica: il superuomo sia il senso della terra! Io vi scongiuro fratelli, restate fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi parlano di speranza ultraterrene! Sono avvelenatori, lo sappiano o no” L’accettazione totale della vita, in tutte le sue forme, possibilità future, instabilità e problematicità non ricorre a scappatoie di salvezza ultraterrena o meta-umana, meta-fisica; il senso della terra è l’accettazione lucida e disillusa del senso del TRAGICO dell’esistenza, o comunque dello spirito “Dionisiaco”. 1 Copyright © by Tommaso Ciccarone Bisogna ricordare che in tutta la sua produzione filosofica, quindi a maggior ragione nello Zarathustra, Nietzsche mostra di non abbandonare quella sua predilezione per la Tragedia greca che ne La Nascita della Tragedia del 1871aveva individuato nel recupero dello Spirito dionisiaco l’essenza del superuomo o del valore “prometeico” – eroico dell’uomo che accetta il peso dell’esistenza senza “paradisi artificiali” con tutte le conseguenze dolorose corrispondenti. Per la precisione Nietzsche si riferiva alla Tragedia di ESCHILO che scrisse il “Prometeo Incatenato” e che esprime in Prometeo il simbolo dell’uomo che sfida gli Dei per ottenere libertà ma al prezzo del dolore e sofferenza (la condizione mortale dell’uomo che nella tragedia di Eschilo è simboleggiata da Prometeo che è condannato ad essere lacerato da un’aquila sulle montagne del Caucaso). Dice Zarathustra: “Io amo colui la cui anima è profonda anche nella ferita e che può perire anche di una piccola esperienza” E ancora: “Quel che è grande nell’uomo è che egli e un ponte e non una meta: quel che si può amare nell’uomo è che egli è transizione e tramonto”. Andare al di là dei valori dogmatici della tradizione filosofica (il Platonismo, per es. che teorizza l’anima immortale e riduce il corpo e “il senso della terra” a “carcere” per l’anima) e della tradizione religiosa (Il Cristianesimo, che anziché elaborare una morale dell’Al di Qua prospetta e promette la salvezza eterna nell’ Al di Là). Significa recuperare quei lati “umani, troppo umani” che proprio Platonismo e Cristianesimo avevano per secoli neutralizzati come falsi e “immorali”, perché non corrispondenti alla perfezione; non garanti di stabilità e verità. Il superamento, la trasvalutazione, la transizione, il “tramonto” determinano l’etica nietzscheana del superuomo; colui che supera il modo di vedere comunemente accettato dalla massa passivamente e acriticamente (la “morale degli schiavi”) soprattutto consci delle conseguenze. Cioè il costo dell’autonomia e della libertà rispetto alla passività ai valori eterni, è la solitudine, l’emarginazione, l’incomprensione o comunque la difficoltà di essere compresi. Ma di questo Zarathustra è lucidamente consapevole: “Non mi capiscono: io non sono la bocca che fa per queste orecchie (…) E ora mi guardano e ridono: e mentre ridono, mi odiano. Nel loro riso è il ghiaccio(..) Chi odiano più di tutti? Colui che infrange le loro tavole dei valori, il distruttore, lo sfregiatore: ma questi è il creatore” Questo spirito che accetta in maniera disillusa l’esistenza e la realtà, contro la morale corrente e i dogmi, si carica del peso della solitudine ed è FOLLIA intesa come “spirito dionisiaco”: ebbrezza che tutto accetta; fusione con il tutto; ciò che i greci chiamavano la “sacra manìa”, ovvero il co-in-volgimento” dell’uomo nella sua Natura e sull’abisso che la caratterizza. Ovvero, l’abisso di possibilità 2 Copyright © by Tommaso Ciccarone future, le situazioni mutevoli, l’assenza di un senso univoco e stabile una volta e per sempre. Quando Nietzsche parla di “Pazzia” o “follia” vuol alludere alla “de-menza” (lo fa in “Aurora”), quell’atteggiamento critico e allo stesso tempo distruttivo che rimuove l’illusione della fermezza e della assoluta razionalità del soggetto (nel senso di Sub-jectum = “Fondamento di se stesso”). L’uomo non è fondamento di se stesso; è senza fondo o senza certezza perché è innanzitutto mortale e vincolato alla “terra”. Questo non fa di lui un Dio o una “meta” ma, come ha detto prima Nietzsche, è un ponte sospeso su un abisso. E’ transizione. In Aurora c’è scritto, infatti, ad un certo punto: “Sulla porta del pensatore futuro c’è scritto: <COSA IMPORTA DI ME!>” Questa è la de-menza: rimozione del dogma del soggetto o comunque della “Mens”: atteggiamento disilluso che arretra rispetto (il “de” latino di Demenza) al dogma della mens, da cui “de-menza”. La “follia” che “raccomanda” Nietzsche non è di natura patologica, ma corrisponde all’acquisizione di quella salute che deriva dalla “Dynamis”, ovvero dinamicità, attivismo e “Potenza” del superuomo, portatore “sano” di questa malattia che è la follia, che Nietzsche in altri termini chiama “Nichilismo attivo” Nietzsche parla di “malattia” volendo intendere il dolore, comunque accettato consapevolmente, che è intrinseco alla vita stessa, alla sua tragicità: in questi termini bene e male coesistono, fanno parte dello spettacolo “assurdo” della vita Dunque la follia è la stessa “Manìa” greca della Tragedia greca e dello spirito dionisiaco: il furore orgiastico dell’In-dividuum che si fonde con il Tutto, con la vita in tutte le sue facce: l’individuo diventa alla lettera “dividuum”, ovvero consapevole di essere limitato, sfaccettato, aperto e esposto all’abisso delle possibilità. “Morto Dio tutto è possibile”. Il superuomo è “folle” nella misura in cui acquista la capacità (“Volontà di Potenza”) di ricrearsi attivamente ogni istante e in ogni situazione problematica della vita; da questo punto di vista il superuomo ha come compito morale di essere continua “Opera d’arte” di sé; ovvero, generatore di valori (comunque sempre relativi e “terreni”) dal proprio interno. In definitiva, come dice Nietzsche: “Io vi dico: si deve avere ancora del caos dentro di sé per poter generare una stella danzante!” 3