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NIETZSCHE
Follia come oltre-ragione
“Vedete: io vi insegno il Superuomo; egli è questa folgore; egli è questa pazzia!”
(F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra; Prefazione)
A cavallo tra il XIX e il XX sec, la cultura mittleuropea (centro Europa) è segnata
dal concetto di “Crisi”. Crisi delle vecchie certezze metafisiche (l’idea di
Soggetto, per es.), teologiche (Dio), scientifiche(la verità obiettiva della
matematica) e morali (i valori assoluti di Bene e Male): in generale Nietzsche
utilizza l’espressione fondamentale di “Morte di Dio”.
Nietzsche è il primo grande interprete di questa Crisi (detta filosoficamente
anche “Nichilismo”) e si inserisce nel quadro della storia della filosofia come
“maestro del sospetto” (etichetta che, in realtà, è stata assegnata anche a MARX
e FREUD)
Il pensiero di Nietzsche poggia innanzitutto sulla necessità di prendere
coscienza del dato di fatto epocale: l’accettazione della “Morte di Dio”, ovvero
la consapevolezza che tutti i “valori” tradizionali di cultura, in quanto
“invenzioni” umane, sono mutevoli, relativi, instabili ed esposti al tramonto. Da
questo presupposto (ciò che Nietzsche chiama la “trasvalutazione” –
superamento di tutti i valori) egli annuncia profeticamente (ed è questo lo stile e
il tono dello Zarathustra) il nuovo atteggiamento filosofico da assumere:
l’accettazione totale del “senso della terra”, ovvero accettazione dell’esistenza in
tutti i suoi lati e sfaccettature, nel bene e nel male, al di là di ogni principio che
pretenda di essere assoluto ed eterno o univoco.
Nella Prefazione dello Zarathustra Nietzsche esprime il senso del suo annuncio:
“Ecco, io vi insegno il superuomo!
Il superuomo è il senso della terra. La vostra volontà dica: il superuomo sia il
senso della terra!
Io vi scongiuro fratelli, restate fedeli alla terra e non prestate fede a coloro che vi
parlano di speranza ultraterrene! Sono avvelenatori, lo sappiano o no”
L’accettazione totale della vita, in tutte le sue forme, possibilità future,
instabilità e problematicità non ricorre a scappatoie di salvezza ultraterrena o
meta-umana, meta-fisica; il senso della terra è l’accettazione lucida e disillusa
del senso del TRAGICO dell’esistenza, o comunque dello spirito “Dionisiaco”.
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Bisogna ricordare che in tutta la sua produzione filosofica, quindi a maggior
ragione nello Zarathustra, Nietzsche mostra di non abbandonare quella sua
predilezione per la Tragedia greca che ne La Nascita della Tragedia del 1871aveva
individuato nel recupero dello Spirito dionisiaco l’essenza del superuomo o del
valore “prometeico” – eroico dell’uomo che accetta il peso dell’esistenza senza
“paradisi artificiali” con tutte le conseguenze dolorose corrispondenti.
Per la precisione Nietzsche si riferiva alla Tragedia di ESCHILO che scrisse il
“Prometeo Incatenato” e che esprime in Prometeo il simbolo dell’uomo che sfida
gli Dei per ottenere libertà ma al prezzo del dolore e sofferenza (la condizione
mortale dell’uomo che nella tragedia di Eschilo è simboleggiata da Prometeo
che è condannato ad essere lacerato da un’aquila sulle montagne del Caucaso).
Dice Zarathustra: “Io amo colui la cui anima è profonda anche nella ferita e che
può perire anche di una piccola esperienza”
E ancora: “Quel che è grande nell’uomo è che egli e un ponte e non una meta:
quel che si può amare nell’uomo è che egli è transizione e tramonto”.
Andare al di là dei valori dogmatici della tradizione filosofica (il Platonismo,
per es. che teorizza l’anima immortale e riduce il corpo e “il senso della terra” a
“carcere” per l’anima) e della tradizione religiosa (Il Cristianesimo, che anziché
elaborare una morale dell’Al di Qua prospetta e promette la salvezza eterna
nell’ Al di Là). Significa recuperare quei lati “umani, troppo umani” che proprio
Platonismo e Cristianesimo avevano per secoli neutralizzati come falsi e
“immorali”, perché non corrispondenti alla perfezione; non garanti di stabilità e
verità.
Il superamento, la trasvalutazione, la transizione, il “tramonto” determinano
l’etica nietzscheana del superuomo; colui che supera il modo di vedere
comunemente accettato dalla massa passivamente e acriticamente (la “morale
degli schiavi”) soprattutto consci delle conseguenze. Cioè il costo
dell’autonomia e della libertà rispetto alla passività ai valori eterni, è la
solitudine, l’emarginazione, l’incomprensione o comunque la difficoltà di essere
compresi. Ma di questo Zarathustra è lucidamente consapevole:
“Non mi capiscono: io non sono la bocca che fa per queste orecchie (…)
E ora mi guardano e ridono: e mentre ridono, mi odiano. Nel loro riso è il
ghiaccio(..) Chi odiano più di tutti?
Colui che infrange le loro tavole dei valori, il distruttore, lo sfregiatore: ma
questi è il creatore”
Questo spirito che accetta in maniera disillusa l’esistenza e la realtà, contro la
morale corrente e i dogmi, si carica del peso della solitudine ed è FOLLIA intesa
come “spirito dionisiaco”: ebbrezza che tutto accetta; fusione con il tutto; ciò che
i greci chiamavano la “sacra manìa”, ovvero il co-in-volgimento” dell’uomo nella
sua Natura e sull’abisso che la caratterizza. Ovvero, l’abisso di possibilità
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future, le situazioni mutevoli, l’assenza di un senso univoco e stabile una volta e
per sempre.
Quando Nietzsche parla di “Pazzia” o “follia” vuol alludere alla “de-menza”
(lo fa in “Aurora”), quell’atteggiamento critico e allo stesso tempo distruttivo
che rimuove l’illusione della fermezza e della assoluta razionalità del soggetto
(nel senso di Sub-jectum = “Fondamento di se stesso”). L’uomo non è
fondamento di se stesso; è senza fondo o senza certezza perché è innanzitutto
mortale e vincolato alla “terra”. Questo non fa di lui un Dio o una “meta” ma,
come ha detto prima Nietzsche, è un ponte sospeso su un abisso. E’ transizione.
In Aurora c’è scritto, infatti, ad un certo punto:
“Sulla porta del pensatore futuro c’è scritto: <COSA IMPORTA DI ME!>”
Questa è la de-menza: rimozione del dogma del soggetto o comunque della
“Mens”: atteggiamento disilluso che arretra rispetto (il “de” latino di Demenza)
al dogma della mens, da cui “de-menza”.
La “follia” che “raccomanda” Nietzsche non è di natura patologica, ma
corrisponde all’acquisizione di quella salute che deriva dalla “Dynamis”, ovvero
dinamicità, attivismo e “Potenza” del superuomo, portatore “sano” di questa
malattia che è la follia, che Nietzsche in altri termini chiama “Nichilismo attivo”
Nietzsche parla di “malattia” volendo intendere il dolore, comunque accettato
consapevolmente, che è intrinseco alla vita stessa, alla sua tragicità: in questi
termini bene e male coesistono, fanno parte dello spettacolo “assurdo” della
vita
Dunque la follia è la stessa “Manìa” greca della Tragedia greca e dello spirito
dionisiaco: il furore orgiastico dell’In-dividuum che si fonde con il Tutto, con la
vita in tutte le sue facce: l’individuo diventa alla lettera “dividuum”, ovvero
consapevole di essere limitato, sfaccettato, aperto e esposto all’abisso delle
possibilità.
“Morto Dio tutto è possibile”.
Il superuomo è “folle” nella misura in cui acquista la capacità (“Volontà di
Potenza”) di ricrearsi attivamente ogni istante e in ogni situazione problematica
della vita; da questo punto di vista il superuomo ha come compito morale di
essere continua “Opera d’arte” di sé; ovvero, generatore di valori (comunque
sempre relativi e “terreni”) dal proprio interno.
In definitiva, come dice Nietzsche:
“Io vi dico: si deve avere ancora del caos dentro di sé per poter generare una
stella danzante!”
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