La cognitio symbolica e la generatio homonyma nella filosofia

La cognitio symbolica e la generatio homonyma nella
filosofia trascendentale di Kant. Il simbolo come
«ipotiposi»: «subiectio sub adspectum»
ANDREA GENTILE
«Die Vernunft fühlt nicht; sie sieht ihren Mangel ein,
und wirkt durch den Erkenntnistrieb das Gefühl des Bedürfnisses».
Immanuel Kant
1. IL SIMBOLO COME «IPOTIPOSI»: «SUBIECTIO SUB ADSPECTUM»
Nel paragrafo 59 della Critica del Giudizio Kant definisce il
simbolo come una “ipotiposi”, cioè come una “esibizione” che,
attraverso il dato di un’intuizione, lascia pensare un’idea della
ragione. «L’ipotiposi (esibizione, subiectio sub adspectum), in quanto
è qualcosa di sensibile, è duplice; schematica, quando l’intuizione
corrispondente ad un concetto dell’intelletto è data a priori; simbolica,
quando ad un concetto che può essere pensato solo dalla ragione, e a
cui non può essere adeguata alcuna intuizione sensibile, viene
sottoposta un’intuizione, nei cui confronti il procedimento del
Giudizio è soltanto analogo a quello dello schematismo; vale a dire,
che si accorda con questo soltanto secondo la regola del
Studi Linguistici e Filologici Online
ISSN 1724-5230
Vol. 8.2 (2010), pp. 153-182
Andrea Gentile, La cognitio symbolica e la generatio homonyma nella filosofia
trascendentale di Kant. Il simbolo come «ipotiposi»: «subiectio sub adspectum»
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procedimento, non secondo l’intuizione stessa, e quindi soltanto
secondo la forma della riflessione e non secondo il contenuto. A torto
e con uno stravolgimento di senso i logici moderni accolgono l’uso
della parola simbolico per designare un modo di rappresentazione
opposto a quello intuitivo; perché il simbolico non è che una specie
del modo intuitivo. Questo (l’intuitivo) si può dividere cioè in modo
di rappresentazione schematico e simbolico. Entrambi sono ipotiposi,
cioè esibizioni (exhibitiones): non sono caratterismi, cioè
designazioni dei concetti per mezzo di segni sensibili concomitanti,
che non contengono nulla che appartenga all’intuizione dell’oggetto,
ma servono soltanto come mezzo di riproduzione, secondo la legge
associativa immaginativa, e quindi per uno scopo soggettivo; tali
sono, come semplici espressioni dei concetti, o le parole oppure i
segni visibili (gli algebrici ed anche i mimici)»1.
Sono due gli aspetti rilevanti di questa definizione. Da un lato
Kant fa notare che il simbolo, come lo schema, va inteso quale “modo
dell’intuizione”: non se ne può parlare dunque in antitesi a questa,
confondendolo con un “caratterista”, vale a dire con un semplice
“segno” convenzionale. Dall’altro lato, Kant ci pone davanti alla
tensione apparentemente paradossale del simbolico: si tratta infatti di
una “esibizione intuitiva” di ciò che in sé e per sé non sopporta
un’espressione propriamente intuitiva.
1
I. Kant, Critica del Giudizio, tr. it. di A. Gargiulo, Laterza, Roma-Bari, 2002, p.
215.
154
In questo orizzonte semantico, sta il carattere analogico del
simbolo che, per un verso esprime qualcosa di “immediatamente
intuitivo”, per altro verso lascia che in questa intuizione si rifletta un
oggetto del tutto diverso, di cui ciò che è immediatamente intuito
costituisce un’esibizione indiretta, cioè simbolica. Giungiamo così a
quella nozione che fa del simbolo un trasparire dell’indicibile,
un’espressione a duplice e inscindibile articolazione di un significato
primario ed immediato e di un significato secondario mediato: modi,
che, nell’ambito del pensiero contemporaneo, troveremo riproposti in
Jaspers e più recentemente in Ricoeur.
Secondo Kant, “tutte le intuizioni” che sono sottoposte a concetti
a priori, sono schemi o simboli: le prime contengono esibizioni dirette
del concetto, le seconde esibizioni indirette. Le prime procedono
“dimostrativamente”, le seconde per mezzo di una “analogia”, in cui il
Giudizio ha una doppia funzione: in primo luogo, di applicare il
concetto all’oggetto di una intuizione sensibile; in secondo luogo, di
applicare la semplice regola della riflessione su quella intuizione ad
un oggetto del tutto diverso: il simbolo. Il nostro linguaggio – osserva
Kant – “è pieno” di queste esibizioni indirette, fondate sull’analogia,
in cui l’espressione non contiene le schema proprio del concetto, ma
soltanto un “simbolo” per la riflessione. Le “ipotiposi” non
schematiche, ma simboliche, designano concetti, non mediante
intuizioni dirette, ma soltanto secondo l’analogia con queste, cioè con
il “trasferimento” della riflessione su di un oggetto dell’intuizione ad
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un concetto del tutto diverso, al quale forse non potrà mai
corrispondere direttamente un’intuizione.
2. LA COGNITIO SYMBOLICA E LA GENERATIO HOMONYMA
Nel simbolo, l’oggetto non è dato o rappresentato, bensì
riconosciuto: si tratta di una conoscenza “indiretta” fondata su
un’intuizione analogica che come tale richiama una presenza al di là
di se stessa, oltre i limiti della possibilità reale. Kant riferisce
«l’orizzonte simbolico a quel mondo dell’immaginario che, pur
costituendosi ad esibizione di un concetto, per se stesso dà però
talmente a pensare (viel zu denken veranlasst) da non lasciarsi mai
contenere in un concetto determinato»2.
In questo contesto semantico, la cognitio symbolica si rapporta
alla generatio homonyma. «La ragione prepara il campo all’intelletto:
a) con un principio della omogeneità del molteplice entro generi
superiori; b) con un principio della varietà dell’omogeneo entro specie
inferiori. E per completare l’unità sistematica, la ragione aggiunge
ancora, in terzo luogo, una legge dell’affinità di tutti i concetti, legge
che impone un passaggio continuo da ogni specie a ogni altra specie,
mediante un graduale progressivo accrescimento delle diversità.
Possiamo chiamarli principi dell’omogeneità, della specificazione e
2
Ibid.
156
della continuità delle forme. L’ultimo sorge dalla riunione dei primi
due, una volta che è stato compiuto il collegamento sistematico
nell’idea, tanto che l’ascesa ai generi più alti, quanto con la discesa
alle specie più basse. In tal caso, difatti, tutte le molteplicità sono
affini tra loro, poiché derivano tutte quante ad un unico genere
supremo, attraverso tutti i gradi di una determinazione sempre più
estesa»3.
Se l’intelletto produce le analogie dell’esperienza, la ragione, con
i modi supremi dell’affinità, della specificazione e dell’omogeneo,
costituisce via via delle analogie dell’intelletto. Facendo riferimento
all’unità ideale della ragione, Kant reintroduce ancora la figura dello
schema: come le funzioni analogiche dell’intelletto si facevano
determinate e determinanti nella duplice appartenenza degli schemi,
così le funzioni della ragione si precisano in una sorta di superiore
analogia. «Sebbene nell’intuizione – osserva Kant – non si possa
scoprire alcuno schema per la completa unità sistematica di tutti i
concetti dell’intelletto, tuttavia, può e deve essere dato qualcosa di
analogo a tale schema: questo qualcosa è l’idea del maximum sia nella
divisione di una conoscenza dell’intelletto sia nella riunione della
conoscenza dell’intelletto in un principio. L’idea della ragione è
dunque qualcosa di analogo ad uno schema della sensibilità, con la
differenza però, che l’applicazione dei concetti dell’intelletto allo
schema della ragione non costituisce allo stesso modo una conoscenza
3
Ibid., p. 216.
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dell’oggetto stesso (come nell’applicazione delle categorie ai loro
schemi sensibili), ma è soltanto una regola o principio dell’unità
sistematica di ogni uso dell’intelletto»4.
Il principio dell’«unità analogica» diventa così la chiave di lettura
per ricomprendere la totalità attraverso la generatio homonyma:
l’intera realtà finita è in funzione di uno stesso principio unitario.
L’orizzonte della generatio homonyma costituisce una determinazione
della più alta unità ideale, quella teologica. Questa determinazione
non ha lo statuto del giudizio determinante: resta pur sempre al di
sopra di ogni esperienza e si dà semplicemente come un ideale
regolativo-trascendentale della ragione, cioè come Prototypon
transzendentale. Tutti i principi soggettivi e le condizioni che fondano
la possibilità della totalità devono essere comunque strutturati
all’interno di un sistema: cioè l’unità di un molteplice di conoscenze
sotto un’unica idea. Questo è il concetto razionale della forma di un
tutto, per mezzo del quale è determinato a priori sia l’ambito del
molteplice, sia la reciproca connessione delle parti: la conoscenza di
questo «sistema della ragion pura» deve essere strutturato secondo un
metodo in un orizzonte trascendentale.
4
Ibid.
158
3. LA «DOTTRINA TRASCENDENTALE DEL METODO». ARCHITETTONICA
E SISTEMA DELLA RAGION PURA
Secondo Kant, la ricerca del metodo assume un ruolo
determinante nella filosofia trascendentale. La «Dottrina
trascendentale del metodo» (Transzendentale Methodenlehre) è «la
determinazione delle condizioni formali di un sistema completo della
ragion pura. Per la sua realizzazione – osserva Kant – dovremo
occuparci di una disciplina (Disziplin), di un canone (Kanon), di
un’architettonica (Architektonik), infine di una storia (Geschichte)
della ragion pura, e dovremo compiere, dal punto di vista
trascendentale, ciò che nelle scuole si cerca di fare – però con cattivi
risultati – rispetto all’uso dell’intelletto in generale, sotto il nome di
logica pratica. Questi scarsi risultati si spiegano per il fatto che, non
essendo la logica generale ristretta ad una specie particolare di
conoscenza dell’intelletto (non essendo ristretta per esempio a quella
pura), e neanche a certi oggetti, essa allora, senza prendere a prestito
conoscenze da altre scienze, non può esporre se non titoli di metodi
possibili ed espressioni tecniche, che vengono utilizzati in riferimento
al lato sistematico delle varie scienze»5.
Nella filosofia trascendentale di Kant, ogni singola particolare
conoscenza e ogni totalità di conoscenze devono essere conformi ad
5
I. Kant, KrV., B 736/A 708.
159
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un principio. La conoscenza in quanto scienza deve essere strutturata
secondo un metodo: la scienza, infatti, è la “totalità organica” della
conoscenza come sistema: essa richiede pertanto una conoscenza
“sistematica” secondo principi e condizioni di possibilità. Se la
dottrina degli elementi ha, nella logica, come proprio contenuto gli
elementi e le condizioni di possibilità della conoscenza, la dottrina del
metodo, quale seconda parte della logica, deve invece trattare della
“forma” di una scienza in generale, ossia della possibilità di
organizzare il molteplice della conoscenza facendone una scienza.
Una delle finalità essenziali della conoscenza consiste nella
distinzione, nel rigore e nella connessione sistematica tra i saperi. La
distinzione delle conoscenze e la loro connessione in una totalità
sistematica assume un ruolo particolarmente significativo nella
filosofia
trascendentale.
Con
il
termine
“architettonica” (Architektonik) Kant intende «l’arte di costruire
sistemi»6: poiché l’unità sistematica è l’unico elemento che possa
trasformare la conoscenza comune in scienze (definendo cioè un
sistema da un semplice aggregato di conoscenze). L’architettonica è
pertanto la dottrina di ciò che è scientifico nella nostra conoscenza: in
6
Si veda S. Palmquist, Kant’s System of Perspectives: an architectonic
interpretation of the Critical Philosophy, University Press of America, Lanham,
1993; H. G. Callaway, Open Transcendentalism and the Normative Character of
Methodology, in: «Philosophy and Social Criticism», 44, 1993, pp. 1-24; AA.VV.,
Architektonik und System in der Philosophie Kants, Herausgegeben von H. Friedrich
Fulda und J. Stolzenberg, Meiner Verlag, Hamburg, 2001.
160
questo orizzonte, essa appartiene alla dottrina trascendentale del
metodo.
Sotto il governo della ragione, le nostre conoscenze in generale non
possono costituire una rapsodia, ma un sistema; solo in questo, infatti,
sono in grado di sostenere e promuovere i fini essenziali della ragione.
Per sistema intendo l’unità di un molteplice di conoscenze sotto
un’unica idea. Questo è il concetto razionale della forma di un tutto, per
mezzo del quale è determinato a priori sia l’ambito del molteplice sia la
reciproca posizione e connessione tra le parti che costituiscono il
sistema. Il concetto scientifico della ragione racchiude pertanto il fine e
la forma del tutto ad esso corrispondente. L’unità del fine, a cui tutte le
parti fanno riferimento, mentre si connettono tra di loro nell’idea del
fine stesso, fa sì che ci possiamo rendere conto della mancanza di una
parte qualsiasi mediante la conoscenza che abbiamo degli altri elementi
che costituiscono il sistema. La totalità è pertanto articolata
(articulatio), e non ammucchiata casualmente (coacervatio); è
suscettibile di crescita dall’interno (per intussusceptionem), ma non
dall’esterno (per appositionem)7.
Queste riflessioni kantiane sono particolarmente significative,
facendo riferimento al rapporto semantico tra “unità” architettonica e
“sistema” architettonico della “ragion pura”8 . Ma come è possibile la
sua esecuzione in un orizzonte operativo? Seguendo le strutture del
trascendentale, quali sono le condizioni che fondano la possibilità del
7
I. Kant, KrV., B 861/A 833.
8
Cfr. B. Tuschling, System des transzendentalen Idealismus bei Kant? in: «Kant
Studien», 86, 1995, pp. 196-210.
161
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sistema della ragion pura nella sua totalità costitutiva? Kant afferma
che in rapporto alla sua “esecuzione”, l’idea ha bisogno di uno
“schema”: cioè di una molteplicità essenziale e di un ordine delle
parti, determinati a priori secondo il principio del fine. Quando uno
schema non è definito in base ad un’idea, cioè secondo il fine della
ragione, ma è definito “empiricamente” o “accidentalmente”, esso
porta solo ad una unità tecnica. Quando invece si origina
esclusivamente da un’idea (nel qual caso la ragione prescrive i fini a
priori) fonda una unità architettonica. Ciò a cui diamo il nome di
scienza non può costituirsi “tecnicamente”, in virtù della somiglianza
riscontrata nel molteplice o dell’impiego casuale della conoscenza in
concreto per ogni specie di scopi arbitrari ed esterni, bensì
architettonicamente, sulla scorta e sulla base dell’affinità delle parti e
in a base alla derivazione da un fine interno unico e supremo, il solo in
grado di rendere possibile il tutto: il suo schema deve perciò
contenere, in conformità all’idea, ossia a priori, il tracciato
(monogramma) e la ripartizione del tutto nei suoi principi costitutivi.
Osserva Kant:
Nessuno potrà mai tentare di costruire una scienza senza porre a suo
fondamento un’idea. Ma nella successiva elaborazione, molto
raramente lo schema, e la stessa definizione che si dà all’inizio della
scienza, corrispondono all’idea; e ciò perché quest’ultima è presente
nella ragione come un germe in cui le varie parti si occultano.
162
Ne deriva che le scienze, essendo tutte concepite in base ad un certo
interesse generale, siano chiarite e determinate, anziché dalla
descrizione che di esse ci dà il loro autore, dall’idea che si trova fondata
nella ragione stessa e che viene dall’unità naturale delle parti che
l’autore ha posto assieme. È allora possibile rendersi conto che l’autore,
e sovente anche i suoi seguaci, brancolano attorno ad un’idea, di cui
non sono riusciti a venire in chiaro e si trovano così nell’impossibilità di
determinare il contenuto particolare, l’articolazione (l’unità sistematica)
e i confini della scienza9.
I sistemi hanno tutta l’apparenza di formarsi per generatio
aequivoca: di conseguenza, non solo ogni sistema è di per sé
strutturato in base ad un’idea, ma tutti si riuniscono adeguatamente tra
di loro, quali principi o condizioni di possibilità di una totalità, dando
luogo ad un unico sistema della conoscenza umana e rendendo
possibile una architettonica dell’intero sapere umano. Osserva ancora
Kant:
Noi ci limiteremo a definire e a progettare soltanto l’architettonica
dell’intera conoscenza ricavabile dalla ragion pura prendendo le mosse
dal punto in cui la radice universale della nostra facoltà conoscitiva si
divide in due orizzonti: se si astrae da tutto il contenuto della
conoscenza, presa oggettivamente, ogni conoscenza, sotto l’aspetto
soggettivo, è o storica o razionale. La conoscenza storica è cognitio ex
datis; la conoscenza razionale, invece, è cognitio ex principiis10 .
9
I. Kant, KrV., B 862/A 834.
10
Ibid., B 864/A 836.
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Secondo Kant, il sistema di tutta la conoscenza è la filosofia. La
filosofia è il sistema delle conoscenze filosofiche, ovvero delle
conoscenze razionali per concetti: questo è il concetto “scolastico”
della filosofia, mentre il concetto “cosmico” è la scienza dei “fini”
ultimi della ragione umana. Per la filosofia intesa secondo il concetto
scolastico è necessario fare riferimento a due elementi fondamentali:
in primo luogo, ad un insieme di principi, condizioni e conoscenze
razionali; in secondo luogo, ad una connessione “sistematica” di
queste conoscenze. Kant afferma:
La filosofia non solo si presta ad una connessione rigorosamente
sistematica, ma essa, anzi, è l’unica scienza che ha, nel senso più
proprio, una connessione sistematica e che dà unità sistematica a tutte le
altre scienze. La filosofia occorre considerarla oggettivamente, se si
vuole intendere con essa il modello di valutazione di tutti i tentativi di
filosofare, che deve servire alla valutazione di ogni filosofia soggettiva,
la cui struttura è spesso varia e mutevole. Così intesa, la filosofia è
semplicemente l’idea di una scienza possibile, mai data in concreto
[…]. Ma la filosofia dove si trova? Chi la possiede? Come la si può
riconoscere? Si può soltanto imparare a filosofare, cioè ad esercitare il
talento della ragione mediante l’applicazione dei suoi principi
universali, ma sempre con riserva del diritto della ragione di indagare su
quei principi fino alle loro fonti in un orizzonte critico 11.
11
Ibid., B 866/ A 838.
164
4. LA «LINEA-LIMITE» DELLA CONOSCENZA
Nella Dottrina trascendentale del metodo (Transzendentale
Methodenlehre), Kant definisce e analizza un problema centrale nella
Critica della ragion pura: il concetto di “linea-limite”(Grenzlinie) in
rapporto all’“orizzonte” (Horizont) indeterminato del sapere.
L’insieme di tutti gli oggetti accessibili alla nostra conoscenza
(Erkenntnis) ci si presenta come una superficie piana, fornita di un
orizzonte (Horizont) apparente, che abbraccia il suo ambito intero, a cui
abbiamo dato il nome di concetto razionale della totalità incondizionata
(Vernunftbegriff der unbedingten Totalität). […] Non c’è questione
della nostra ragion pura che non riguardi ciò che si trova al di là di
questo orizzonte o almeno sulla sua linea-limite (Grenzlinie)12.
Qual è il significato di “linea-limite”? Come si pone il rapporto
tra “orizzonte” e “linea-limite”? Come e perché il concetto di “linealimite” assume un ruolo particolarmente significativo nell’analisi del
“concetto cosmico” (Weltbegriff, conceptus
cosmicus) di
filosofia? Secondo Kant, la determinazione dei “limiti” della ragione
si configura in un orizzonte negativo come un trattato del metodo
critico-trascendentale, finalizzato sia a costituire una filosofia del
“limite”13 , sia a tracciare le “condizioni di possibilità” della
12
Ibid., B 787/A 759.
13
Cfr. A. Gentile, Ai confini della ragione. La nozione di limite nella filosofia
trascendentale di Kant, Edizioni Studium, Roma, 2003.
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conoscenza in rapporto ai suoi limiti e alla sua interna struttura
costitutiva: è un esame critico della ragione umana. La Critica della
ragion pura ha la finalità di determinare le “fonti” del sapere umano,
l’estensione dell’uso possibile e utile di ogni sapere e i “limiti” della
ragione. La «determinazione dei limiti della nostra ragione
(Grenzbestimmung unserer Vernunft) – osserva Kant – può avere
luogo esclusivamente in base a principi a priori (nach Gründen a
priori); ma la limitazione della ragione, in quanto costituisce la
conoscenza, se pur indeterminata, di una ignoranza mai totalmente
sopprimibile, può essere riconosciuta anche a posteriori, quando ci si
rende conto che, oltre tutto ciò che si conosce, resta sempre qualcosa
da conoscere»14. Sullo sfondo di queste riflessioni, Kant definisce il
concetto di “linea-limite” (Grenzlinie) in rapporto ad una doppia
analogia: l’analogia della “terra sferica” e l’analogia della “terra
piana”.
Se (stando all’apparenza sensibile) immagino la superficie della terra
come una superficie piana, non mi è dato sapere quali siano i confini
(Schranken) della sua estensione. Ma l’esperienza mi dice, che mi trovo
sempre circondato da uno spazio in cui mi sarà possibile procedere
oltre. Mi è dunque dato conoscere di volta in volta i confini (Schranken)
in cui è racchiusa la mia conoscenza della terra, ma in nessun caso potrò
conoscere i limiti (Grenzen) di ogni sua possibile descrizione. Quando,
invece, mi rendo conto che la terra è rotonda, e che la sua superficie è
14I.
Kant, KrV, B 786/A 758.
166
sferica, mi è possibile – prendendo le mosse anche da una piccola parte
di essa, quale può essere l’ampiezza di un grado – conoscere
determinatamente, in base a principi a priori, il relativo diametro, e
conseguentemente gli interi confini della terra, cioè la sua superficie. E
se anche non conosco gli oggetti che possono giacere su tale superficie,
posso conoscere, invece, l’ambito da essa racchiuso, la sua estensione e
i suoi confini (Schranken)15.
Mantenendo la distinzione semantica tra Grenzen e Schranken,
vengono distinti due tipi di conoscenza dei limiti della ragione: a)
quando si percepiscono a posteriori i limiti della nostra conoscenza,
perché di volta in volta si avvertono e si definiscono i confini e/o le
barriere (Schranken) percepiti nell’esperienza; b) quando si ha un vera
e propria determinazione a priori dei limiti della nostra conoscenza,
perché si ha la facoltà di esaminare e determinare in un orizzonte
critico i “limiti” (Grenzen) della ragione. È il caso della critica della
ragione, che, secondo Kant, costituisce il punto-chiave della filosofia
trascendentale. Sulla base del metodo critico-trascendentale, infatti,
«non si congetturano soltanto, ma si esaminano e si determinano, in
base a principi, non già semplicemente i confini (Schranken), bensì i
precisi limiti (Grenzen) della ragione»16 .
Nella filosofia critica di Kant il problema del “doppio-limite” si
riflette anche nell’uso dei termini latini corrispondenti alla distinzione
15
Ibid., B 788/A 760.
16
Ibid., B 789/A 761.
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linguistico-semantica Grenze-Schranke. Nelle Vorlesungen über
Metaphysik und Rationaltheologie Kant afferma: «Limes (Schranke)
ist unterschieden von terminus (Grenze)»17 . Grenze, che traduce il
latino terminus, implica uno spazio di ulteriorità rispetto a ciò che
delimita o racchiude. Al contrario, Schranke che traduce il latino
limes, indica nella sua immediatezza qualcosa di semplicemente
negativo, che si esaurisce di fatto nel segnalare la non compiutezza di
una grandezza. Questa terminologia, che assume un significato
decisivo in Germania durante il Settecento, venne a far parte del
lessico filosofico tedesco proprio grazie alla traduzione dei termini
latini limes e terminus, adottata prima da Leibniz per la sua rilevanza
nel metodo infinitesimale e ripresa successivamente proprio da Kant.
Nella lingua latina, la nozione di limes indica sempre una
negazione, una mancanza, un’assenza, un’imperfezione, mentre
definiamo qualcosa. Al contrario, la nozione di terminus è spesso
connessa al concetto di ratio primitiva e completudo: così il terminus
di una serie è il primo membro della medesima, le cui condizioni di
possibilità sono implicite nel conceptus terminator che si identifica
con il significato del termine Grenzbegriff (concetto-limite)18 . In
questo contesto semantico, i limiti (Grenzen) sono «der erste Grund,
17
I. Kant, Vorlesungen über Metaphysik und Rationaltheologie, AA XXVIII, 2, 1, p.
644, tr. it di A. Rigobello, testo tedesco a fronte, Edizioni S. Paolo, Roma, 1998.
18
Cfr. I. Kant, Reflexionen zur Metaphysik, AA XVII, 3897 e 4033.
168
die omnitudo des verknüpften und das letzte subjectum»19. Pertanto,
mentre limes-Schranke sembra indicare la semplice mancanza nella
determinazione del molteplice e/o della totalità, al contrario terminusGrenze indica ciò che conferisce determinatezza e compiutezza ad una
cosa. In questo orizzonte semantico, la nozione kantiana di
“limite” (Grenze) rimanda all’eredità aristotelica del termine greco
péras: ciò che porta a compimento e conferisce individualità a
ciascuna cosa. Secondo Aristotele, infatti, le cose sono compiute
proprio perché sono limitate, ovvero finite e/o definite. «Il limite è il
termine estremo di ciascuna cosa, vale a dire quel termine primo al di
là del quale non si può più trovare nulla della cosa e al di là del quale
c’è tutta la cosa»20. Nella filosofia trascendentale di Kant, la nozione
di limite presenta un significato negativo e positivo. Il limite significa
“negazione di continuità”, “negazione d’essere” oppure “negazione di
permanenza”. In questo orizzonte semantico, il limite indica
un’imperfezione, una mancanza, un vuoto, un’assenza: essere
“limitati” significa essere imperfetti e/o essere privi di qualcosa. Ma il
limite non “annuncia” solo la negazione di qualcosa, ma anche un
significato autenticamente e profondamente positivo. In quanto
limitato nella sua corporeità, nella sua razionalità, nel suo essere nel
mondo e nella sua conoscenza, l’uomo rivela un’incancellabile
impronta di complessità dovuta al fatto che, alla radice stessa della sua
19
Ibid., AA XVII, 4415.
20 Aristotele,
Metafisica, 1022a, 4, tr. it. di A. Russo, Laterza, Roma-Bari, 2005.
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sostantività, il limite vi si insedia come consistenza della sua
insufficienza. Il limite giace nella sfera dell’esistenza, nella
dimensione più profonda, nel santuario “ontologico” dell’uomo. Ma il
limite non rimane statico o stazionario, ma è dinamico. In qualsiasi
forma o grado di realtà, la funzione del limite è di produrre limitazioni
e nel riconoscimento soggettivo (nella presa di coscienza immediata)
di ogni limitazione si radica la positività del limite. Il dinamismo del
limite in quanto consistenza dell’insufficienza di qualsiasi grado di
realtà e di manifestazione esterna, tocca l’uomo alla radice stessa della
sua sostantività e autenticità e lo abbraccia interamente nell’esercizio
positivo di tutta la complessità e diversità delle sue espressioni sia nel
campo cognitivo-razionale, sia nel campo pragmatico-antropologico.
L’essere dell’uomo si configura come un «essere nel limite»: il limite
giace inevitabilmente nella sfera dell’esistenza, nella dimensione più
profonda della “destinazione” dell’uomo. In questo orizzonte, il limite
e/o i diversi limiti della soggettività, della razionalità e della
conoscenza umana possono essere enucleati nel momento in cui si
prende ad esaminare l’essere dell’uomo: il limite non è una finzione,
un paradosso o un qualcosa di oscuro, di irreale, ma ciò che vi è di più
reale (wirklich) nella vita, nel tempo e nell’esistenza umana. Si tratta
del primo dato avvertibile nell’esperienza: il limite è la prima realtà
che fonda, costituisce e caratterizza la nostra esperienza.
Secondo Kant, in tutti i limiti vi è «qualcosa di positivo»:
consentire il rapporto tra gli spazi delimitati, spazi che acquistano la
170
propria costituzione, appunto a partire dal loro rapporto reciproco. In
questo orizzonte, una filosofia del limite è una conoscenza autentica,
reale, positiva: il limite nella sua presenza, nella sua positività, nella
sua “realtà” (Wirklichkeit) divide due campi qualitativamente diversi
(il campo del limitato e dell’illimitato, del possibile e dell’impossibile,
del condizionato e dell’incondizionato, dei phaenomena e dei
noumena) ma, allo stesso tempo, il limite appartiene di fatto sia
all’uno sia all’altro campo: il limite appartiene inevitabilmente e
necessariamente alle due regioni sdoppiate che esso divide.
Quando noi rapportiamo tutti i giudizi trascendentali della ragion pura
con l’orizzonte di una ricerca filosofica finalizzata a risalire fino ai
concetti che rimangono al limite dell’uso empirico della ragione, noi ci
avvediamo che ambedue possono coesistere, ma possono coesistere
solo rimanendo sulla linea limite dell’uso legittimo della ragione:
perché questa linea appartiene egualmente al campo dell’esperienza
come a quello della realtà intelligibile 21.
La «linea limite» (Grenzlinie) si costituisce come una linea di
comune appartenenza in cui si incontrano due campi qualitativamente
diversi. Proprio sulla base di questa congiunzione partecipativa, si
muove una filosofia del limite, cioè una filosofia che riflette sul limite,
studiando le oscillazioni semantiche che costituiscono non delle zone
21
I. Kant, Prolegomeni ad ogni futura metafisica che si presenterà come scienza, tr.
it. di R. Assunto, Laterza, Roma- Bari, 1995, p. 125.
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d’ombra, ma il campo, l’ambito e il territorio del limite: ciò significa
che «la ragione viene a stabilire un collegamento reale del noto con
l’assolutamente ignoto» 22. Come afferma Kant, la conoscenza del
limite, e quindi una filosofia del limite, «è una conoscenza reale
positiva: (eine wirkliche positive Erkenntnis)»23.
5. L’«ORIZZONTE»
INDETERMINATO DEL SAPERE E IL CONCEPTUS
COSMICUS DI FILOSOFIA
Secondo Kant, la filosofia
è la scienza della suprema massima nell’uso della nostra ragione,
intendendo per massima il principio interno della scelta tra fini diversi.
[…] La filosofia è la scienza della relazione di ogni conoscenza e di
ogni uso della ragione con lo scopo finale della ragione umana, al quale,
in quanto fine supremo, tutti gli altri fini sono subordinati e nel quale
devono raccogliersi in unità 24.
Il «concetto cosmico» (Weltbegriff, conceptus cosmicus) di
filosofia riguarda ciò che interessa necessariamente ogni uomo e
secondo tale concetto la filosofia è la scienza del rapporto di ogni
22
Ibid, p. 123.
23
Ibid., p. 130.
24
I. Kant, Logica, tr. it. di L. Amoroso, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 19.
172
conoscenza con i fini essenziali della ragione umana. In questo
significato cosmopolitico, il “campo” (Feld) della filosofia si può
ricondurre alle seguenti domande fondamentali: a) Che cosa posso
sapere? b) Che cosa devo fare? c) Che cosa mi è dato sperare? d) Che
cos’è l’uomo? Alla prima domanda risponde la metafisica, alla
seconda la morale, alla terza la religione e alla quarta l’antropologia.
Osserva Kant:
In fondo, si potrebbe però ricondurre tutto all’antropologia, perché la
prime tre domande fanno riferimento all’ultima. Il filosofo deve dunque
sapere determinare: le fonti del sapere umano; l’estensione dell’uso
possibile e utile di ogni sapere; e, infine, i limiti della ragione (die
Grenzen der Vernunft). L’ultima cosa è la più necessaria, ma anche la
più difficile 25.
In base a queste riflessioni kantiane si costituisce un nesso
fondamentale sia tra filosofia come sistema “cosmopolitico” e
destinazione dell’uomo, sia tra i fondamenti della “logica”26 e il
problema della determinazione dei “limiti” della ragione. È proprio
nella correlazione semantica tra i limiti della ragione, la logica e le
25
Ibid.
26
Cfr. R. Pozzo, Kant within the Tradition of Modern Logic. The Role of the
“Introduction” Idea of a Transcendental Logic, in: «The Review of Metaphysics»,
December 1998, LII, n. 2, pp. 295-310; W. Vossenkuhl, Das System der
Vernunftschlüsse, pp. 232-234, in: AA.VV., System der Vernunft. Kant und der
deutsche Idealismus, Band I, Herausgegeben von W. G. Jacobs, H. D. Klein, J.
Stolzenberg, Felix Meiner Verlag, Hamburg, 2001 e M. Capozzi, Kant e la logica,
Bibliopolis, Napoli, 2006.
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strutture del trascendentale (nell’orizzonte del significato di filosofia
come «conceptus cosmicus») che si costituisce la struttura e la
finalità della filosofia critica. Solo mediante la critica «è possibile
estirpare sin dalle radici il materialismo, il fatalismo, l’ateismo,
l’incredulità dei liberi pensatori, la fantasticheria, la superstizione e
anche l’idealismo e lo scetticismo» 27. Chi vuole imparare a filosofare
deve considerare tutti i sistemi della filosofia solo come storia dell’uso
della ragione e come oggetti di esercizio del suo talento filosofico. Il
vero filosofo deve fare un uso libero, autonomo e critico della propria
ragione e non un uso servilmente imitativo. Ma non deve farne
nemmeno un uso dialettico, un uso cioè che miri soltanto a dare alle
conoscenze una parvenza di verità e saggezza. Questo è il mestiere di
chi non è che un sofista e non è assolutamente compatibile con la
dignità di un filosofo, in quanto conoscitore e maestro di saggezza. La
scienza, infatti, ha un valore intrinseco solo in quanto organo della
saggezza. La filosofia è l’unica scienza che chiude per così dire il
cerchio scientifico e solo grazie ad essa le scienze acquistano ordine e
connessione. Al fine di esercitarsi a pensare in proprio, ossia a
filosofare, dovremmo dunque fare attenzione più al metodo del nostro
uso della ragione che non alle proposizioni stesse alle quali siamo giunti
grazie a quel metodo28.
27
I. Kant, KrV., B XXXIV.
28
I. Kant, Logica, cit., p. 18.
174
In questo orizzonte, la filosofia critica nell’intento di Kant vuole
essere come una «propedeutica filosofica», cioè un esame critico
preliminare che secondo le strutture del trascendentale si traduce e si
attua in un orizzonte teoretico-razionale-cognitivo: tracciare le
«condizioni di possibilità» (Bedingungen der Möglichkeit) della
conoscenza in rapporto ai suoi limiti e in rapporto alla sua interna
struttura costitutiva. L’idea del circuito, cioè dei limiti esterni e
costitutivi dei diversi campi ambiti e limiti di possibilità della
conoscenza si è andata delineando nel pensiero di Kant quando ancora
intitolava la sua opera (la futura Critica della ragion pura): Limiti
della sensibilità e dell’intelletto e immaginava di poterla condurre a
termine in pochi mesi. Poi, si è accorto che per capire, definire e
determinare i limiti della ragion pura doveva definire e organizzare
dall’interno nella sua totalità organica tutto il territorio: cioè
riconoscerne la sua struttura critico-trascendentale. Questa finalità e
questo compito in un orizzonte critico ha richiesto un decennio di
lavoro. È rimasta però nel titolo dell’opera una traccia del primitivo
significato negativo e/o limitativo che deve essere integrato con il
secondo e più positivo significato, se si vuole abbracciare il significato
e la struttura del trascendentale in tutta la sua complessità teoretica.
Critica, dunque, vuol dire non soltanto esame dei limiti, ma anche
dell’interna struttura del sapere. La ragion pura, che forma oggetto
della critica, è denominata nel senso più largo come “fonte” di tutti gli
elementi a priori della conoscenza. Con il nome di conoscenze a
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priori s’intendono quelle conoscenze che sono indipendenti da ogni
esperienza. Pertanto, la determinazione dei “limiti” della ragione è un
esame critico della ragione, delle diverse fonti e condizioni di
possibilità della conoscenza.
Sullo sfondo di queste riflessioni, nella filosofia trascendentale di
Kant, assume un ruolo particolarmente significativo definire e
analizzare i diversi campi, ambiti e limiti di possibilità dei processi
cognitivi e razionali. La positività del limite sta proprio nel
riconoscere la validità e la legittimità di un orizzonte trascendentale
dei diversi campi e condizioni di possibilità che assumono diverse
funzioni e strutture trascendentali. Riconoscere i limiti di queste
diverse condizioni di possibilità significa: a) definire la natura critica
del trascendentale; b) esaminare i limiti di ogni processo cognitivo nel
suo processo dinamico e genetico; c) analizzare criticamente i principi
e le strutture a priori del trascendentale in rapporto alla loro origine,
alla loro deduzione-giustificazione e facendo riferimento ai loro
diversi campi, ambiti e limiti di possibilità; d) orientarsi secondo una
metodologia di ricerca in funzione di una sorta di meta-sapere, di
«possibilità della possibilità», di «filosofia della filosofia». Pertanto,
se la filosofia critica di Kant copre un ambito prevalentemente
formale che potremmo definire come una formalità dinamicogenetica, tuttavia entra continuamente in rapporto sia con il problema
della determinazione dei limiti del conoscere, sia con la definizione
degli ambiti e dei limiti dei principi puri a priori connaturati nella
176
soggettività. In questa prospettiva, si costituisce una filosofia in cui la
razionalità è mutuata dalla riflessione in un orizzonte criticotrascendentale e riflessivo-trascendentale. Il continuo “risalire” dal
particolare all’universale, dal “condizionato” (Bedingt) alle
“condizioni di possibilità” (Bedingungen der Möglichkeit) è il
processo di ricerca che costituisce e caratterizza il metodo della
filosofia trascendentale di Kant. La filosofia trascendentale è «la
rappresentazione della conoscenza sintetica a priori di concetti
nell’intero sistema dei suoi principi: è un principio delle forme della
conoscenza filosofica: è filosofia della filosofia»29.
6. LIMITI
E CONFINI DELLA RAGIONE. IL PROBLEMA TRASCENDENTALE
DEL «DOPPIO-LIMITE»
Il concetto di filosofia trascendentale come «filosofia della
filosofia» si rapporta al problema trascendentale del «doppio-limite».
Questo problema può essere analizzato partendo da una domanda che
Kant stesso pone a conclusione di alcune significative riflessioni sulla
doppia distinzione-relazione «limitato-illimitato» (BegrenztUnbegrenzt) e «possibilità-impossibilità» (MöglichkeitUnmöglichkeit): «Con quale diritto si può impedire alla ragione di
proseguire oltre il campo della possibilità? Dov’è mai il limite in cui
29
I. Kant, Opus Postumum, tr. it. di V. Mathieu, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. 367.
177
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la ragione deve arrestarsi? È davvero possibile determinare in modo
definitivo e rigorosamente necessario il limite tra il campo della
possibilità e dell’impossibilità della conoscenza?» 30.
I limiti (Grenzen) – osserva Kant – presuppongono sempre uno
spazio che si trova fuori di un certo determinato luogo e lo racchiude;
i confini (Schranken) non hanno bisogno di ciò, ma sono semplici
negazioni che affettano una grandezza, in quanto non ha completezza
assoluta. La nostra ragione vede (sieht), per così dire, intorno a sé
«uno spazio per la conoscenza delle cose in sé, sebbene non possa mai
averne concetti determinati e sia confinata soltanto entro i
fenomeni»31 . Il termine “limite” (Grenze) è utilizzato spesso per
indicare “la linea-limite”(Grenzlinie) oltre cui non risulta possibile
una conoscenza degli oggetti dati nell’esperienza. «Sarà un atto della
ragion pura guidare il suo uso quando essa muovendo dagli oggetti
noti dell’esperienza vuole estendersi oltre tutti i limiti
dell’esperienza» (über alle Grenzen der Erfahrung) 32. Al contrario, il
termine Schranke «indica i confini in quanto semplici negazioni che
affettano una grandezza»33 . La ragione «sente il bisogno, per la
possibilità di tutte le cose, di presupporre una realtà come data e
30
I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensare?, tr. it. di A. Gentile, Edizioni
Studium, Roma, 1996, nota a p. 94.
31
I. Kant, Prolegomeni, cit., p. 120.
32
I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensare?, cit., p. 89.
33
I. Kant, Prolegomeni, cit., p. 120.
178
considera la diversità delle cose solo mediante le negazioni ad esse
inerenti come confini (Schranken)»34 . Nella filosofia trascendentale di
Kant, il valore semantico dei “limiti” e dei “confini” è costantemente
pensato in rapporto alla distinzione-relazione «possibilitàimpossibilità» della conoscenza. Ma in questo campo è possibile
pensare e determinare i limiti in modo definitivo e necessario?
Finché la conoscenza della ragione è omogenea, non si possono di essa
pensare limiti determinati. Nella matematica e nelle scienze naturali la
ragione conosce certo dei confini (Schranken) ma non dei limiti
(Grenzen), cioè riconosce che vi è fuori di essa qualcosa, a cui essa
giammai può arrivare, ma non vede mai se stessa nel suo interno
progresso. L’estendersi delle cognizioni matematiche e la possibilità di
sempre nuove scoperte va all’infinito, così pure la scoperta di nuove
proprietà naturali, di nuove forze e leggi, con il procedere
dell’esperienza e con la sua unificazione mediante la ragione 35.
In tutti i limiti vi è «qualcosa di positivo». Per esempio, «la
superficie è il limite dello spazio corporeo, e frattanto anch’esso è uno
spazio; la linea è uno spazio che è il limite della superficie; il punto il
limite della linea, ma pur sempre un luogo dello spazio; all’opposto i
confini contengono semplici negazioni»36 . Però «come si comporta la
34
I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensare?, cit., nota a p. 92.
35
Ibid., p. 120.
36
Ibid., p. 122.
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nostra ragione – si domanda Kant – nella connessione di ciò che
conosciamo, con ciò che non conosciamo e neppure non conosceremo
mai?»37. La limitazione del campo dell’esperienza con qualcosa che le
è sconosciuto è pur una «conoscenza che ancora rimane alla ragione in
questo punto, nel quale essa, non chiusa entro il mondo sensibile, ma
neppure vagante fuori di esso, si limita, come conviene ad una
conoscenza del limite, cioè soltanto al rapporto di ciò che sta fuori di
esso con ciò che vi è contenuto»38.
La ragione non rimane confinata all’interno di un
“orizzonte”(Horizont) irraggiungibile perché tutte le questioni della
nostra ragione mirano a ciò che può essere al di là e/o al di fuori di
questo “orizzonte”, o in ogni caso sulla linea del suo limite. Il limite
non è soltanto qualcosa di positivo, ma è anche qualcosa di comune ai
due spazi che esso divide: è qualcosa di comune al mondo fenomenico
e noumenico. Questo qualcosa di comune, che non elimina affatto
37
Ibid., p. 123.
38
Ibid.
180
l’eterogeneità dei due mondi, è un nesso o un «rapporto» (Verhältnis)
39:
Vi è qui un nesso reale del conosciuto con un quid completamente
sconosciuto, e, quand’anche lo sconosciuto non divenga minimamente
più conosciuto, pur deve il concetto di questo nesso poter essere
determinato e reso più chiaro 40.
Nella Critica della ragion pura il territorio, in cui è possibile la
conoscenza per concetti della ragione, è simile ad un continente di cui
la nostra ragione determina i limiti: questi non possiamo conoscerli se
non come, stando sulla riva, conosciamo l’oceano: cioè come qualcosa
di diverso da noi e che si estende davanti a noi sconosciuto. In questa
prospettiva, è necessario e inevitabile accettare il “limite” come
intrinseco e costitutivo di ogni indagine umana e farne la norma
dell’indagine stessa. Un’indagine di questo genere è l’indagine critica.
Il riconoscimento e l’accettazione del “limite”, che è proprio di
39
Ibid. L’identificazione di “limite” e “rapporto”, particolarmente significativa nella
determinazione dei limiti della ragion pura, apre un problema centrale nello studio
della filosofia critica di Kant: il problema del «doppio-limite» che si rapporta sia ad
uno sdoppiamento del concetto trascendentale di limite sia al doppio-significato
dell’ a priori kantiano. Su questo punto, cfr. F.Glauner, Reflexion: der
transzendentale Grenzbegriff, pp.96-167, in: F. Glauner, Kants Begründung der
«Grenzen der Vernunft», Janus Verlagsgesellschaft, Köln, 1990; R. Zocher, Der
Doppelsinn des kantischen Apriori, in: «Zeitschrift für philosophische Forschung»,
17, 1963, pp. 66-74; F.Heiner-Klemme, Kants Philosophie des Subjekts, Meiner
Verlag, Hamburg, 1996 e A. Rosales, Sein und Subjektivität bei Kant, De Gruyter,
Berlin, 2000.
40
I. Kant, Prolegomeni, cit., p. 123.
181
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ciascuna nostra facoltà diventa in Kant la norma che dà loro validità e
fondamento. In tutti i limiti vi è «qualcosa di positivo»: consentire il
rapporto tra gli spazi delimitati, spazi che acquistano la propria
costituzione, appunto a partire dal loro rapporto reciproco. Il concetto
di limite determinato in un orizzonte critico pone la relazione tra i
diversi campi, ambiti e limiti di possibilità delle facoltà della ragione.
Se lo “sguardo” immediato della ragione partendo dai suoi principi e
interessi naturali realizza di fatto una qualche compiutezza, allora è
possibile definire e determinare i limiti della ragione. Definire,
riconoscere e ricomprendere i limiti sono i tre momenti che
costituiscono il processo di ritorno della riflessione trascendentale
all’interno dell’esperienza. In senso trascendentale, ciò che non può
essere esibito si esibisce in un apparente paradosso: nel «vedere»,
come afferma Kant, «ciò che manca»:
La ragione non sente (fühlt); essa vede (sieht) ciò che le manca, e il
sentimento del bisogno (das Gefühl des Bedürfnisses) agisce mediante
la spinta della conoscenza (Erkenntnistrieb)41.
41
I. Kant, Che cosa significa orientarsi nel pensare?, cit., nota a p. 95.
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