COSTRUIAMO IL FUTURO Se non per tutti per chi?

COSTRUIAMO IL FUTURO
Se non per tutti per chi?
Viaggio nella generazione precaria: direzione diritti istruzione, lavoro.
43% di disoccupazione giovanile, 12,6% di disoccupazione complessiva, 15% di abbandono scolastico,
1.000.000 di NEET, la più bassa percentuale di giovani laureati in Europa.
Numeri, percentuali e statistiche, buone per editoriali e schede dei talk show, che restituiscono
freddamente e solo in modo parziale, l’immagine di un Paese bloccato in una stagnazione sociale, prima che
economica, in cui le nostre generazioni, perennemente “giovani”, sono impantanate in un presente di
precarietà permanente e stanno perdendo l’ambizione stessa del futuro.
Una precarietà, la nostra, che è la cifra principale di una disuguaglianza diffusa e non più riconducibile a
fratture tradizionali, come quella di classe o tra lavoro professionale e manuale, ma che si articola in nuove
dinamiche di esclusione e impoverimento, che il sistema di welfare pubblico, indebolito e ormai in parte
inadeguato, non riesce a contrastare.
Trasversale a tutto il mondo del lavoro e dell’istruzione, questa condizione ci riguarda tutti e tutte, dai
giovani professionisti, avvocati, medici, architetti, ingegneri, agli studenti che lavorano per pagarsi gli studi,
fanno percorsi di alternanza o esperienze di stage e tirocini. E’ la condizione dell’apprendista neodiplomato
di un impresa, del praticante di uno studio legale, del free lance che a stento tiene aperta una partita IVA,
dell’archeologo che arrotonda lavorando nei cantieri, del ricercatore con assegno di ricerca o con un
contratto senza sbocchi.
Ma è ormai una precarietà anche delle relazioni, alimentata da forti spinte individualistiche che permeano
la società e attraversano la comunicazione e la cultura, il sistema economico, e quello politico. La catena
solidale che aveva costruito, anche attraverso le molteplici reti del volontariato sociale, un’ architettura
fondata su pratiche di mutualismo e comunità attive nell’ascolto e aiuto reciproco, con il protrarsi della crisi
ha dovuto assistere al diffondersi di un egoismo radicale e nutrito di solitudini, trovandosi a combattere
isolata, e spesso priva di strumenti efficaci, una nuova battaglia.
Questo a partire dall’istruzione, dove la dimensione sociale della crescita e dell’apprendimento viene
progressivamente immolata sull’altare di una decantata meritocrazia, che genera solo esclusione e
competizione. Eppure le nostre scuole ed università restano spazi di condivisione e resistenza delle nostre
speranze e desideri, perché combattono geneticamente le diseguaglianze cercando di essere motore di
cambiamento e mobilità sociale.
Siamo la generazione che assiste in diretta televisiva alla chiusura dell’orchestra sinfonica nazionale di
Atene, al licenziamento degli artisti dell’Opera di Roma, ai crolli di Pompei, ai continui disastri ambientali e
al dissesto dei nostri territori. La dottrina del rigore colpisce duramente la Cultura e la Scienza, relegando ad
una dimensione marginale proprio quegli elementi che dovrebbero essere, invece, i nostri punti di forza nel
riemergere dalla Crisi: la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale, la tutela dell’ambiente e del
territorio, la ricerca, l’innovazione energetica e dei prodotti, sono le basi di un economia della conoscenza
su cui ricostruire una filiera di investimenti e professionalità in grado di ridare prospettive alle nostre
generazioni e al Paese tutto.
L’attuale Governo porta con se una concezione della politica che esalta la verticalità delle decisioni, in nome
dell’efficienza e del cambiamento, mentre fonda la propria azione riformatrice su interessi parziali e ben
definiti. Tutto ciò è evidente nel percorso che sta portando all’approvazione di importanti provvedimenti,
dal Jobs Act, alla legge di stabilità, dalla riforma elettorale a quelle costituzionali; in cui il confronto con le
istanze sociali si limita ad un ascolto meramente formale.
Il rischio concreto è di aumentare ulteriormente la distanza tra decisori politici e società, indebolendo la
democrazia, delegittimando le parti sociali e svuotandone il ruolo di rappresentanza di interessi collettivi e
mediazione dei conflitti sociali.
Esistono, invece, una pluralità di realtà sociali, sindacali, e culturali, che portano avanti esperienze
innovative di rappresentanza, creazione di spazi sociali e di discussione, che hanno idee e proposte per il
lavoro, l’istruzione, l’economia del nostro Paese.
Nelle prossime settimane attraverseremo l’Italia, per creare spazi di discussione e proposta, aperti a chi
crede che si possa determinare un vero cambiamento solo se si ridefinisce il nostro modello di crescita,
ripartendo dall’istruzione, ridando dignità e diritti al lavoro e rafforzando il welfare.
Un viaggio attraverso scuole, università, luoghi di lavoro e spazi sociali per incontrare e raccontare una parte
di quelle esperienze e costruire, insieme a chi rifiuta l’unilateralità e l’omologazione di questi ultimi mesi di
dibattito politico, un percorso ampio di mobilitazione ed elaborazione verso lo Sciopero Generale del 12
Dicembre.