ARS INVENIENDI Direttore Fabrizio L Università degli Studi di Napoli “Federico II” Comitato scientifico Louis B Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” Giuseppe C Università degli Studi di Napoli “Federico II” Domenico C Università degli Studi di Napoli “Federico II” Antonello G Università degli Studi di Napoli “Federico II” Matthias K Martin Luther Universität Halle Wittenberg Edoardo M Università degli Studi di Napoli “Federico II” Rocco P Università degli Studi di Napoli “Federico II” José Manuel S F Universidad de Sevilla ARS INVENIENDI Questa collana dell’ex Dipartimento di Filosofia “Antonio Aliotta” (confluito nel Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II”) nasce come “porta” aperta al dialogo interculturale con studiosi vicini e lontani dalla grande tradizione napoletana e italiana. Lo scopo è di offrire un nuovo luogo di confronto senza pregiudizi ma con una sola prerogativa, quella della serietà scientifica degli studi praticati e proposti sui più aggiornati itinerari della filosofia e della storiografia, della filologia e della letteratura nell’età della globalizzazione e in un’Università che cambia. Le pubblicazioni di questa collana sono preventivamente sottoposte alla procedura di valutazione nella forma di blind peer–review. Francesco Tigani Nel mare delle possibilità Prospetto per una storia dell’idea di Infinito Copyright © MMXIV ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: maggio Indice 7 Prologo 1. Storia di un’idea, 7 – 2. Il viandante e il funambolo, 10 – 3. La scoperta dell’Infinito e la nascita della filosofia, 13 17 Capitolo I L’Infinito in una bottiglia Aditi: l’Infinito nei Veda, 17 – I.2. L’ápeiron di Anassimandro, 18 – I.2.1. L’interpretazione nietzschiana, 18 – I.2.2. Fra materialismo e ontologia, 20 – I.2.3. Infinito o Imperfetto?, 21 – I.3. L’Infinito per i neoplatonici e i cristiani, 23 – I.3.1. L’Infinito di Dio, 23 I.1. 25 Capitolo II La zattera del Superuomo Fra due Infiniti: il cielo e il mare, 25 – II.1.1. Il mare come metafora dell’esistenza, 27 – II.2. Nietzsche e il mare, 30 – II.2.1. Uccelli, barche e profeti, 31 – II.3. Viaggio nella vertigine del Superuomo, 33 – II.3.1. Nietzsche e la modernità, 34 – II.3.2. Il problema del Tempo, 37 – II.3.3. Perché Zarathustra, 40 – II.3.4. La « morale dei signori », 40 – II.3.5. Il cavaliere schiaffeggiato, 43 – II.3.6. Un’interpretazione wagneriana dello Zarathustra, 47 – II.3.7. Il piglio beffardo del Superuomo, 50 – II.4. L’attesa di una nave, 53 – II.4.1. Il mare come promozione della Volontà, 54 – II.4.2. Il mare come caduta della Volontà, 55 – II. 5. La Cappella del Periglio, 58 II.1. 5 6 61 Indice Capitolo III Volontà e verità I delitti della Ragion Morgue, 61 – III.2. La novità del pragmatismo, 63 – III.2.1. Una filosofia di vita, 63 – III.2.2. Il fine pratico della filosofia: l’etica, 65 – III.2.3. Il valore di un’azione, 66 – III.2.4. Il senso della verità, 68 – III.3. L’Infinito e la Vita: fra romanticismo e pragmatismo, 70 – III.3.1. Fu vera gloria?, 74 – III.4. Il cavaliere e il navigatore: don Chisciotte e Colombo a confronto, 74 – III.4.1. Il titanismo, 78 III.1. 83 Riferimenti bibliografici 87 Indice dei nomi Prologo Dove trovare scampo? Tu riempi il mondo. Non posso fuggire che in te stesso. M. YOURCENAR, Fuochi 1. Storia di un’idea Quando è sorta nella coscienza umana l’idea dell’Infinito? Difficile dirlo, se non impossibile. È un’idea così profonda e radicata nel codice genetico della nostra specie da riscontrarla in ogni cultura e in ogni epoca fin dalla notte dei tempi. Traspare dai testi sacri e letterari come un’immagine serigrafata, che emerge fra le forme in rilievo del mondo fenomenico, ed era presente prima ancora che fosse inventata la scrittura. Nei graffiti rupestri, come troviamo riprodotte battute di caccia, animali, sagome antropomorfe e scene di vita quotidiana, riscontriamo anche dei segni come la spirale, linee sinusoidali e croci di vario genere che sono dei richiami cosmici e, in quanto tali, assolvono la funzione di finestre aperte sull’Infinito. Lo swastika, ad esempio, è un simbolo solare e nasce dalla stilizzazione geometrica della croce uncinata, che ha i bracci ricurvi e può ruotare, evocando l’eternità o la perfezione dell’Essere, associato da Parmenide alla sfera. È perciò il simbolo dell’illuminazione interiore e dell’Infinito ed è raffigurato spesso sul petto di Buddha per indicare la bodhi, la sua anima di luce, e l’Infinito che è racchiuso in Lui: un concetto che in sanscrito viene espresso col termine Akâsha, che significa « etere » e designa la quintessenza custodita nel microcosmo del cuore1. L’idea dell’Infinito manifesta qualcosa che, da un lato, è empiricamente fittizio e insondabile, ma dall’altro è spiritualmente 1 Cf. R. GUÉNON, L’Etere nel cuore, in ID., Simboli della Scienza sacra [1962], trad. it., Adelphi, Milano 2010, pp. 384–390. 7 8 Nel mare delle possibilità fondato, e fornisce all’uomo uno stimolo per tendere verso una realtà ulteriore rispetto a quella immediatamente esperibile. È evidente che non siamo in presenza di un’idea univoca, che possa essere vagliata con metodo. La sua ineffabilità e relatività, il suo essere senza coordinate e soggetta a un numero di variabili congruo al numero dei casi specifici in cui si riscontra, la rende indefinibile non solo nominalmente. D’altronde, l’uomo non può che avere una conoscenza parziale e parcellizzata dell’Infinito, circoscritta a un determinato orizzonte storico e mentale. Possiamo però provare a vedere quali caratteristiche abbia assunto questa idea nel corso dei secoli e come eventualmente sia mutata, senza avere la pretesa di farlo nell’ambito di una trattazione esaustiva sull’argomento. Il testo che state leggendo non potrebbe essere più avulso da una simile ambizione e deve anzi intendersi come un umile e debolissimo spunto. Una suggestione, in fondo. Anche perché, quali supreme facoltà occorrerebbero, a un comune mortale, per redigere una « storia dell’Infinito »? Sarebbe come scrivere una « storia dell’eternità ». C’è chi ha provato a farlo. Mi riferisco a Jorge Luis Borges, ovviamente 2 . Ma la sua « storia » altro non era che un gioco letterario, uno dei sofisticati paradossi che ricorrono di frequente nelle sue opere: il tentativo paradossale di temporalizzare l’Intemporale e di raccontare cronologicamente l’inaccaduto, ossia ciò che manca per statuto di coordinate spazio–temporali. Una vera storia dell’idea di Infinito rimarrebbe sul piano della pura idea, poiché la storia è in sé finita e di per sé infinita: è vissuta e narrata da comuni mortali, ma si pone in una prospettiva illimitata, dove a un prima seguirà sempre un dopo. Per rendere onore alla chiarezza, sarebbe opportuno chiedersi innanzitutto che cosa sia un’idea. Un’idea storica. Per avere una risposta, dovremmo subito chiamare in causa il padre spirituale della « storia delle idee », Arthur Oncken Love2 1962. Cf. J.L. BORGES, Storia dell’eternità [1936], trad. it., Il Saggiatore, Milano Prologo 9 joy, se non fosse che egli stesso non ha mai dato un’autentica spiegazione in merito, limitandosi grossomodo a definire le idee come « presupposti impliciti o non completamente espliciti, o abiti mentali più o meno inconsci, che operano nel pensiero di un individuo o di una generazione »3. Sicuramente occorre rilevare che un’idea storica non sia un’Idea nell’accezione platonica del termine. Non è un ente separato dal mondo, un oggetto sovrasensibile che dimora in una dimensione metafisica. Al contrario è profondamente immanente e appare calato come un secchio nel pozzo delle circostanze. Un’idea storica è la predisposizione cognitiva di un essere in carne e ossa che pensa all’interno di un corpo. Un corpo che non è il suo corpo, ma è il Corpo dell’Umanità. Lo storicizzarsi di un’idea è il processo autocosciente con cui il Singolo percepisce il senso di un principio (próton) e di una fine (éschaton). L’idea storica dell’Infinito suggerisce appunto la concezione di un inizio, di una Fonte originaria, e insieme il presagio di un compimento, di una Fine che è il Fine, con la realizzazione della coincidentia oppositorum, l’unità dei contrari, e la trasformazione in dittongo di alfa e omega. In concreto, l’idea di Infinito si traduce nel tema molto complesso e tangibile della possibilità: un tema che coinvolge direttamente l’esistenza nei suoi aspetti dinamici e pragmatici. Quanto appare impossibile in una realtà finita, in una infinita diventa possibile, come ha spiegato Zenone di Elea con il paradosso di Achille e della tartaruga. Se lo spazio è finito la testuggine, che è in vantaggio di un passo su Achille, sarà da lui inevitabilmente raggiunta e superata. Ma se lo spazio è infinito Achille non la raggiungerà mai, perché neppure con la sua prestanza fisica e il suo « piè veloce » – qualità con le quali la tartaruga non è in grado di competere – potrà colmare la distanza che lo separa da quel corpo in movimento. Infinito e possibilità sono le due facce della stessa idea. 3 A.O. LOVEJOY, La grande catena dell’Essere [1936], trad. it., Feltrinelli, Milano 1966, p. 14. 10 Nel mare delle possibilità Ma la numismatica insegna che le monete hanno una « terza faccia », corrispondente al bordo. E anche nel caso di specie, sebbene non stiamo parlando di monete ma di idee, c’è un terzo aspetto da considerare. Fra i temi dell’Infinito e della possibilità si inserisce quello della volontà. Evitando inutili circonlocuzioni, il discorso può essere sintetizzato in questi termini: l’idea di Infinito contiene in sé l’idea della possibilità che esso offre a ciascun individuo, il quale a sua volta vive e contempla le ipotesi dell’Infinito e della possibilità in relazione alla propria volontà. 2. Il viandante e il funambolo Prendiamo due immagini molto diverse fra loro. Una è un dipinto di Caspar Friedrich del 1818, il Viandante sul mare di nebbia, che ritrae un gentiluomo di spalle intento a contemplare, dalla cima di un monte, la nebbia che attanaglia le rupi ai suoi piedi. L’altra è una fotografia del 1974 che mostra il funambolo Philippe Petit mentre cammina su un cavo teso fra due grattacieli, le ormai scomparse Twin Towers. Che cosa accomuna queste immagini? La circostanza che entrambe testimoniano la sproporzione fra la piccolezza dell’uomo e l’immensità dello spazio circostante, facendo risaltare quel senso di humilitas, d’inadeguatezza, che tutti gli individui provano di fronte al « sublime ». « Noi diciamo sublime ciò che è assolutamente grande », registra Kant nella Critica del Giudizio, rielaborando un concetto risalente all’epoca alessandrina e riproposto in età moderna da Edmund Burke. « Noi non possiamo avere per esso alcuna misura adatta fuori di lui; né altro criterio v’è in esso. È infatti una grandezza che è uguale solo a se stessa […], al cui paragone tutto il rimanente è piccolo »4. 4 I. KANT, Critica del Giudizio [1790], trad. it., Laterza, Bari–Roma 1970, II, « Analitica del sublime », p. 91 ss. Prologo 11 Già nei Pensieri di Pascal figurano delle mirabili osservazioni sulla nullità dell’uomo al cospetto dell’« alta e piena maestà » della natura. « Poiché infine che è mai l’uomo nella natura? Un nulla rispetto all’infinito, un tutto rispetto al nulla, una via di mezzo tra nulla e tutto, e infinitamente lontano dal comprendere gli estremi; la fine delle cose e il loro principio sono per lui invincibilmente nascosti in un segreto impenetrabile »5. Ciononostante, Pascal esorta l’uomo a guardarsi intorno, a provare a cogliere l’essenza delle cose. Che l’uomo contempli dunque la natura intera nella sua alta e piena maestà, che allontani il suo sguardo dagli oggetti bassi che lo circondano. Osservi questa luce splendente messa come una lampada eterna per illuminare l’universo, che la terra gli sembri come un punto a cospetto del vasto cerchio che questo astro descrive, e si meravigli del fatto che questo vasto cerchio esso stesso non è che una punta lievissima rispetto a quello che abbracciano questi astri che ruotano nel firmamento. Ma se il nostro sguardo si ferma qui, l’immaginazione vada oltre, si stancherà prima lei di concepire che la natura di offrire. Tutto questo mondo visibile non è che un tratto impercettibile nell’ampio seno della natura. Nessuna idea vi si avvicina, abbiamo un bel gonfiare le nostre concezioni al di là degli spazi immaginabili, non generiamo che degli atomi di fronte alla realtà delle cose. È una sfera infinita il cui centro è dovunque, la circonferenza in nessun luogo. Insomma è il più grande carattere sensibile della onnipotenza di Dio, che la nostra immaginazione si perda in questo pensiero.6 Per ribadire il principio del « noli foras ire, in te ipsum redi », « non uscire da te, ritorna in te stesso » (La vera religione, 39, 72), Agostino nelle Confessioni parla degli « ampi ricettacoli della memoria » – questa « sala immensa » dove l’interiorità incontra tutte le immagini esterne recepite dai sensi, trasformandole in coscienza. Gli uomini se ne vanno a contemplare le vette delle montagne, i flutti vasti del mare, le ampie correnti dei fiumi, l’immensità dell’Oceano, il corso degli astri, e non pensano a se stessi, non si meravigliano che 5 6 B. PASCAL, Pensieri [1670], trad. it., RCS, Milano 2004, XII, 199–72, p. 183. Ivi, p. 181. 12 Nel mare delle possibilità mentre io nomino tutte codeste cose non le vedo con gli occhi, ma che non potrei nominarle se i monti, i flutti, i fiumi, le stelle che conosco per averle viste, l’oceano di cui ho sentito parlare non li vedessi nella mia memoria così smisurati nello spazio come se li vedessi lì davanti. Eppure non le ho tratte dentro quando le guardai con gli occhi, non sono qui vicine, esse, bensì le loro immagini: e so anche quale senso del corpo me ne ha stampato dentro l’impressione.7 Leopardi che scopre l’Infinito oltre l’« ermo colle », scopre la grandezza di sé, ossia la sua facoltà di percepire qualcosa di « interminato » e « sovrumano » al di là delle cose che può enumerare e collocare nel suo orizzonte8. L’uomo ha una « sete insaziabile di Infinito », come sa bene Miguel de Unamuno9: una sete che è proporzionale alla sua Volontà di azione. Si racconta che quando Alessandro Magno giunse al confine delle terre conosciute, sulle rive dell’Oceano Indiano, pianse perché non gli restava più niente da conquistare, se non l’« errante e solitaria terra, inaccessa», che stava sospesa in aria e si specchiava sulle onde: la luna10. Questo « male del desiderio », un desiderio irrazionale e inappagabile, è il sentimento romantico della Sehnsucht che si tramuta in Spleen: nella frustrazione, nel tedio universale di chi avverte l’insensatezza di continuare a vivere senza uno scopo, per cui ai battiti del cuore si alternano le fitte alla milza11. Ma esorcizzando la vertigine dell’Infinito, gli uomini possono godere della meraviglia generata dalle sue forme apparenti, come l’altitudine, la lontananza, il vuoto. L’animo umano, servendosi dell’immaginazione, è in grado di accedere alla totalità di una visione che i sensi sono incapaci di abbracciare. « L’animo », conferma Kant, « si sente elevato 7 AGOSTINO, Confessioni, trad. it., RCS, Milano 1996, X, 8, p. 280. G. LEOPARDI, L’infinito [1819], in ID., Opere, UTET, Torino 1977. 9 M. DE UNAMUNO, Vita di don Chisciotte e Sancio Panza [1905], trad. it., Mondadori, Milano 2005, cp. LXIV, p. 310. 10 G. PASCOLI, Alexandros, in Poemi conviviali, Zanichelli, Bologna 1905. 11 Questo è il significato originario dell’inglese spleen, poiché anticamente la milza era ritenuta l’organo responsabile dei temperamenti inclini all’abulia e all’accidia. 8 Prologo 13 nella propria stima quando […] si abbandona all’immaginazione e alla ragione, la quale ultima, pur unendosi all’immaginazione senza alcun fine determinato, la estende, e insieme trova che tutta la potenza stessa è inadeguata alle sue idee ». Con la sua mente, l’uomo riesce a viaggiare in terre inesplorate « e udire e vedere cose così orribili che mai tali ne vide il vagabondo della Terra fredda »12. Può ascendere i gradini di Etemenanki, la Torre di Babele, o assistere ai bagni di sangue che gli aztechi perpetravano in onore di Huitzilopochtli, e perfino levarsi in volo dal labirinto di Cnosso come il leggendario Icaro… E può spingersi ancora più in alto, « sugli stagni, sulle valli, sopra i boschi, oltre i monti, sulle nubi e sui mari, oltre il sole e oltre l’etere, al di là dei confini delle sfere stellate »13. Questi versi di Baudelaire parlano dell’elevazione dello spirito, ma richiamano straordinariamente l’immagine del « grande volo » prospettato da Giordano Bruno nel Dialogo de l’infinito universo et mondi: Quindi l’ali sicure all’aria porgo, né temo intoppo di cristallo o vetro, ma fendo i cieli e a l’infinito m’ergo. E mentre dal mio globo agli altri sorgo, e per l’eterio campo oltre penétro, quel ch’altri lungi vede lascio a tergo.14 3. La scoperta dell’Infinito e la nascita della filosofia Con la scoperta dell’Infinito ha inizio la storia della filosofia greca. La paternità ufficiale del concetto è attribuita a uno dei tre saggi di Mileto, Anassimandro, che conia i termini arché e ápei12 W. BLAKE, Il viaggiatore mentale, in ID., Opere, trad. it., Guanda, Milano 1984. 13 C. BAUDELAIRE, « Elevazione », in I fiori del male [1861], trad. it., Feltrinelli, Milano 1964. 14 G. BRUNO, De l’infinito universo et mondi [1584], in ID., Dialoghi filosofici italiani, Mondadori, “I Meridiani”, Milano 2000. 14 Nel mare delle possibilità ron, ma bisogna ammettere che anche la più modesta speculazione di Talete e Anassimene, incentrata sulla ricerca dei principi che governano la natura, è un tacito e incessante confronto col tema dell’Infinito. Come ha notato Nietzsche: La filosofia greca sembra aver inizio con un’idea inconsistente, la proposizione che l’acqua è l’origine e il grembo materno di tutte le cose. […] Nella rappresentazione di quest’idea di unità mediante l’ipotesi dell’acqua, […] Talete ha oltrepassato a dir poco d’un balzo il basso stadio delle cognizioni fisiche del tempo. Le manchevoli e disordinate osservazioni di tipo empirico che Talete aveva fatto sull’apparizione e sulle trasformazioni dell’acqua, o più esattamente sull’umido, avrebbero consentito ben poco o tanto meno consigliato una siffatta generalizzazione; ciò che condusse a questa fu un articolo di fede metafisico che ha la sua origine in una intuizione mistica e che incontriamo in tutte le filosofie insieme con i sempre rinnovati tentativi di esprimerlo meglio – la proposizione « tutto è uno ».15 Sarà però un discepolo di Parmenide, Melisso, a proporre compiutamente l’idea che « tutto è uno » e che « l’uno è tutto ». Da quel momento, l’Infinito comincerà a perdere i suoi connotati fisici per entrare nel campo dell’ontologia pura, identificandosi prima con l’Essere e poi con l’Essere assoluto, con l’Assolutamente Trascendente, con l’Uno dei neoplatonici, con l’En Sof dei cabalisti: con Dio. Il lavoro in questione tralascia la prospettiva verticale, eminentemente teologica, e si concentra su quella orizzontale, che ha determinato un processo di individuazione più stringente e « a misura d’uomo » dell’Infinito. La strada che ho intenzione di battere mostrerà come questa idea, parallelamente alla sua sublimazione verso l’alto, ne abbia conosciuta una verso il basso, in forza della quale si è immanentizzata, insinuandosi sotto una « soglia » finita. Mi riferisco all’Infinito naturale: l’Infinito che si rivela come idea attraverso la natura e che nella natura è contenuto come spirito. 15 F.W. NIETZSCHE, La filosofia nell’epoca tragica dei Greci [1873], in ID., Opere complete, III, 2, trad. it., Adelphi, Milano 1973, p. 279–280. Prologo 15 È possibile rintracciare un fil rouge che si dipana nella storia unendo l’ápeiron di Anassimandro, l’ilozoismo arcaico dei presofisti, l’animismo, la Natura naturans di Spinoza, il sentimento della « dipendenza dall’Infinito » di Schleiermacher, l’Assoluto di Schelling, l’Oversoul di Emerson e la teoria del pianeta Gaia di Lovelock. Tali concezioni, pur differenziandosi per la specificità dei loro argomeni, si reggono su due presupposti basilari: a) la materia, anche quella apparentemente inerte, è viva ed è animata da una forza dinamica (ilozoismo), per cui il mondo è un organismo vivente, un Essere che interagisce attivamente con le specie che lo abitano, instaurando con esse un rapporto dialettico o simbiotico (animismo e « ipotesi Gaia »); b) l’energia, lo spirito che sostiene il mondo è di origine divina, anzi l’Essere vivente che è il mondo è Dio stesso (Spinoza): è l’Infinito che è compreso nel finito (Schleiermacher), l’Ente Superiore, la Superanima (Emerson) che permea il creato e così l’uomo, influenzando quest’ultimo con la bellezza delle sue forme immortali. L’idea di un Infinito naturale ha dunque sorvolato ogni epoca, ora scendendo in picchiata come un falco a predare fugacemente l’attenzione dell’uomo, ora soffermandosi più a lungo per nidificare e deporre le uova. In alcuni casi la sua presenza è passata quasi inosservata, ma spesso è stata scalzata dall’insorgere di un’idea antagonista, come quella di una Scienza che ha inteso rendere misurabile ciascun oggetto della propria ricerca, escludendo di conseguenza l’Infinito per definizione. Ha ragione Thomas Ernest Hulme nel ritenere che dall’alba delle civiltà siano circolate sempre le stesse idee, che di volta in volta sono state enunciate in maniera diversa per un problema linguistico e cognitivo, di adeguamento del linguaggio e della forma mentis al divenire storico e alle sue esigenze. « La storia della filosofia » sostiene Hulme « dovrebbe essere scritta come quella di sette o otto grandi metafore, e si potrebbe persino dire che gli oggetti fisici attuali osservati dagli uomini 16 Nel mare delle possibilità hanno mutato il corso del pensiero. Per esempio, lo specchio nella teoria della percezione e la ruota nel pensiero orientale »16. Da quando l’idea dell’Infinito si è incarnata nella realtà della natura, l’uomo ha potuto scorgervi concretamente il proprio alter ego, l’immagine del proprio Essere, o il volto di Dio con cui l’Essere anela a entrare in contatto. Nel breve itinerario che viene qui proposto ci soffermeremo in particolare su come questa idea sia stata avvertita ed elaborata da tre grandi autori e pensatori degli ultimi due secoli: Leopardi, Nietzsche e Unamuno. Se ci accostassimo a costoro dal versante della storia della filosofia o della letteratura, certamente dovremmo trattarli singolarmente. Ma una ricerca storica che s’interessi alla genesi e allo sviluppo di un’idea, travalica i confini di uno studio settoriale e agevola il riconoscimento di legami seminali che altrimenti risulterebbero impossibili. Ecco perché Lovejoy, nell’esporre l’oggetto della storia delle idee, l’ha definita come « qualcosa che è nello stesso tempo più specifico e meno limitato di quanto non sia la storia della filosofia »17. Nelle pagine successive, con la curiosità e la smania di un giovane naturalista che vaga per gli acquitrini, come il personaggio di una poesia di Seamus Heaney18, andremo a rimestare il fondo melmoso dell’Infinito – il filologo Giovanni Semerano ha avanzato l’ipotesi che il termine ápeiron possa derivare dal semitico apar, cioè « terra »19 – esplorando i campi in cui hanno germogliato i semi del romanticismo, del pragmatismo e dell’irrazionalismo. « Ma dove condurrà questo viaggio? » vi domanderete. La risposta è semplice: da nessuna parte. E che cosa vi aspettavate, dopotutto? Non è forse un discorso sull’In–finito? 16 Cf. R. BIANCHI, Il problema dell’espressione nella filosofia di T.E. Hulme, “Rivista d’Estetica”, VIII, 1962, pp. 265–266. 17 LOVEJOY, cit., p. 11. 18 S. HEANEY, Morte di un naturalista [1966], in ID., Opere, trad. it., UTET, Torino 2003. 19 Cf. G. SEMERANO, L’Infinito: un equivoco millenario. Le antiche civiltà del Vicino Oriente e le origini del pensiero greco, Paravia, Torino 2001.