Carcinoma del Colon Retto: Aspetti Epidemiologici e di Chemioprevenzione Il cancro del colon (conosciuto anche come il cancro del colon-retto) è un importante problema di sanità pubblica. Recenti rapporti indicano che, negli Stati Uniti, è stata la forma più frequente di tumore tra le persone dai 75 anni in su. Dato che la maggior parte dei tumori si verifica in persone anziane e con l'invecchiamento della popolazione, questa osservazione dà ulteriore impulso a indagare le strategie di prevenzione e di trattamento tra questo sottogruppo di popolazione. La promozione di screening di ricerca, di raccomandazioni sugli stili di vita e della loro attuazione appaiono dunque una priorità evidente. Sebbene ancora ci siano molte domande a cui rispondere, è evidente che molti aspetti del cancro del colonretto sono sempre più chiari e le ottime prospettive per la prevenzione sono sempre più evidenti. Il raggiungimento di un controllo del cancro del colon-retto rappresenta pertanto una sfida immediata dell’epidemiologia e della sanità pubblica. I tumori del colon e del retto sono rari nei paesi in via di sviluppo mentre sono i più frequenti tumori secondari nelle società opulente. Il cancro colon-rettale è, di fatto, una malattia comune e letale. Più di 940.000 casi ogni anno si verificano in tutto il mondo, e circa 500.000 ne muoiono ogni anno. Il cancro colon-rettale è il tumore maligno più frequente che colpisce il 25% della popolazione occidentale e la seconda causa di decessi dovuti al cancro. L'equilibrio tra predisposizione genetica e fattori ambientali, comprese le componenti nutrizionali e comportamenti di vita, determina la suscettibilità individuale a sviluppare il cancro colon-rettale. Numerosi fattori di stile di vita sono stati implicati nella carcinogenesi del colon-retto. Questi includono la dieta, l’attività fisica, l’obesità, il consumo di alcol e il fumo. Studi epidemiologici, esperimenti su animali e studi clinici randomizzati hanno dimostrato che i fattori dietetici possono influenzare tutte le fasi della carcinogenesi del colon-retto, dalla proliferazione delle cellule alla trasformazione al cancro. Definire il ruolo preciso della dieta e dello stile di vita sano nella carcinogenesi del colon-retto può richiedere la delucidazione della suscettibilità genetica e delle interazioni genetico-ambientali. L'incidenza del cancro del colon non è molto diversa tra maschi e femmine, ma il cancro del colon è leggermente più frequente nelle donne rispetto agli uomini (rapporto di 1,2:1), ma il tumore del retto è più comune nei maschi (rapporto 1,7:1). Il cancro del colon è più frequente nella popolazione anziana rispetto a quella giovane. Il rischio di sviluppare il tumore del colon inizia ad aumentare a partire dall'età di 40 anni e va incrementando ogni anno che passa. L'età mediana di presentazione del tumore del colon varia a seconda del paese. Negli Stati Uniti l'età media alla presentazione è di 72 anni. Nelle società occidentali, oggi, il rischio per la popolazione con età intorno agli 80 anni è di 1 su 10 per i maschi e di 1 su 15 per le femmine. L'incidenza del cancro al colon-retto nei pazienti a rischio medio è di circa il 5 %, il 90 % dei casi si verificano dopo i 50 anni. L'incidenza, inoltre, è più elevata nei pazienti che possiedono specifiche condizioni ereditarie che predispongono allo sviluppo del cancro colon-rettale. Negli Stati Uniti il cancro del colon è più frequente negli afro-americani rispetto alla popolazione caucasica. L'incidenza del cancro del colon è in aumento negli afro-americani dal 1973 e l'incidenza di questo gruppo etnico è salito di circa il 30% durante gli ultimi 3 decenni. Tabella 2 Incidenza e la mortalità da tumore colon rettale in relazione alla razza ed etnia, 1992 - 1998 USA Razza/Etnia Incidenza Mortalità Neri 50.1 22.8 Bianchi 42.9 16.8 Asiatici/Pacifico 38.2 10.7 Indoamericani/ Nativi d’Alaska 28.6 10.3 Ispanici 28.4 10.2 Circa 146.970 nuovi casi di tumore del grosso intestino vengono diagnosticati ogni anno negli Stati Uniti, di cui 106.100 sono del colon e il resto sono cancri al retto. Ogni anno, circa 49.920 americani muoiono di cancro colon-rettale, rappresentando circa il 9 % di tutte le morti per cancro negli USA. Negli Stati Uniti, tra il 1998 e il 2006, i tassi di incidenza del cancro colon-rettale sono leggermente diminuiti del 2,4 %, mentre in molti altri paesi occidentali sono aumentati leggermente durante lo stesso periodo. Tuttavia, anche negli Stati Uniti, i tassi di incidenza per il tumore del colon ascendente sono aumentati, in particolare nelle donne. Negli Stati Uniti, ma anche in altri paesi occidentali, è stato osservato un graduale passaggio verso il cancro del colon del lato destro o prossimale e il maggior incremento nei tassi di incidenza è in sede cecale. L’incidenza del tumore del colon-retto varia notevolmente da paese a paese. I paesi più industrializzati come Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Europa occidentale, Australia hanno una maggiore incidenza di cancro colon rettale rispetto a quelli meno industrializzati del mondo, come Asia, Africa e Sud America. Tuttavia, nel corso degli ultimi decenni (1980-2010), sono stati notevoli i cambiamenti rilevati nell’incidenza del cancro del colon-retto nei paesi asiatici. Nel 2004 è stato costituito il gruppo di lavoro del colon-retto Asia-Indo-Pacifico(Cina, India, Indonesia, Giappone, Corea del Sud, Malaysia, le Filippine, Singapore, Taiwan e Thailandia) per risolvere questo problema emergente di sanità pubblica. I dati del dell'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) mostrano che l'incidenza in molti paesi asiatici opulenti è simile a quella dell’occidente. Il tasso standardizzato per età di tumore del colon-retto per 100 000 uomini è 49,3 in Giappone, 24,7 in Corea del Sud e 35,1 a Singapore, a fronte di 44,4 nel Nord America e di 42,9 nell’Europa occidentale (Fig 1). Figura 1: Incidenza del cancro nel colon retto nelle popolazioni Asiatiche comparata a quella delle popolazioni USA e UK. (1993-97). Da Cancer Incidence in Fiwe Continents volumes I-VIII, IARC Cancer Base N. 7, Lyon. In Cina, il tasso di incidenza era inizialmente basso, ma negli ultimi anni, a causa dei cambiamenti di stile di vita e delle abitudini alimentari, il tasso è in continuo aumento. L'aumento più repentino dei tassi di incidenza del cancro del colon retto è stato osservato dal 1972 -1974 al 1987-1989, i casi diagnosticati erano l'85% maschi e il 79% femmine. E’ stato stimato che il tasso medio di aumento di incidenza è del 4,2% annuo. Secondo il rapporto del Ministero della Salute della Repubblica Popolare Cinese nel 2002, il cancro del colon retto si è classificato al terzo posto tra tutti i tumori diagnosticati mentre nel 1970 era sesto tra i più comuni con un aumento del tasso di mortalità tale essere indicata come la quinta causa di mortalità per cancro.Circa 106 nuovi casi di cancro del colon-retto sono diagnosticati ogni giorno nel Regno Unito ed anche in questo paese è il terzo tumore più comune dopo mammella e polmone. Nel 2007 ci sono stati 38.608 nuovi casi di tumore del grosso intestino: circa due terzi (24.274) nel colon e un terzo (14.334) nel retto. In Inghilterra, nel triennio 1997-2000, si è osservata una distribuzione percentuale di casi di cancro per sedi nel grosso intestino dove i tumori del colon sigmoideo (18%), del cieco (13%), della giunzione retto sigmoidea (7%) e del retto (29%) insieme rappresentano oltre la metà dei casi, seguono colon ascendente (5%), colon trasverso (4%) e infine un 2% per le altre sedi (Fig.2). Figura 2. Distribuzione percentuale di casi di cancro per sedi nel grosso intestino. Triennio 1997-2000 Regno Unito. Da Cancer Research UK,UK Incidence Statistics. In Italia l’incidenza e la mortalità di alcuni tumori presentano un gradiente decrescente (come per il tumore del colon retto) dalle aree del Nord al Sud e con il Centro che mostra valori simili a quelle del Sud (19952005) come elucidato in Fig. 3. Figura 3. Incidenza in Italia del tumore del colon retto per area geografica, uomini + donne. Dati osservati (1998-2005), proiezione (2006-2019). Da AIRTUM. A parità di età, i livelli nel Sud Italia sono più bassi di circa il 40% rispetto a quelli del Centro-Nord (in media 36,2 casi per 100.000/anno vs 58,8). Parte di questa differenza è legata all’esposizione nel passato a diversi fattori di rischio e di protezione, tra cui sicuramente l’alimentazione. In Italia, nel 2008, è stata osservata un’incidenza di cancro colon-rettale di 28233 casi negli uomini e di 19379 nelle donne (Tab. 3), una prevalenza di 163067 negli uomini e di 132390 nelle donne (Tab. 4). Sempre in Italia, nel 2008, è stata osservata una mortalità per cancro colon-rettale pari a 9241 negli uomini e 6390 nelle donne (Tab. 5). Tab 3. Incidenza relativa al tumore del colon-retto. Numero di nuovi casi, tasso grezzo di incidenza per 100.000, tasso standardizzato (standard europeo) per 100.000. Età: 0-84. Maggio, Anno 2008 (da ISS). Uomini Donne AREA Numero Casi Tasso grezzo Tasso std Numero Casi Tasso grezzo Tasso std Piemonte 1776 90 53 1319 65 31 Valle d'Aosta 47 82 53 35 61 31 Lombardia 4472 104 69 3251 73 39 Trentino Alto Adige 496 108 80 344 74 44 Veneto 2522 118 80 1776 81 44 Friuli Venezia Giulia 713 133 80 508 91 44 Liguria 735 104 54 625 83 34 Emilia Romagna 2423 134 76 1539 82 40 Toscana 1688 106 59 1038 62 30 Umbria 458 120 67 309 78 37 Marche 736 109 63 473 68 36 Lazio 2158 87 57 1478 56 31 Abruzzo 635 106 68 267 43 23 Molise 163 107 68 68 43 23 Campania 1887 65 57 1209 41 28 Puglia 1305 65 49 871 42 26 Basilicata 288 98 66 165 56 32 Calabria 779 78 56 369 36 22 Sicilia 1673 68 50 1152 45 28 Sardegna 734 93 68 425 52 31 ITALIA 28233 103 69 19379 68 38 Tab. 4: Prevalenza del tumore del colon-retto. Numero di casi prevalenti, proporzione grezza di prevalenza per 100.000, proporzione standardizzata (standard europeo) per 100.000. Età: 0-84. Maggio, Anno 2008 (da ISS). Uomini Donne AREA Casi prev. Prop. grezza Prop. std Casi prev. Prop. grezza Prop. std Piemonte 10840 548 319 9588 470 223 Valle d'Aosta 284 499 319 253 440 223 Lombardia 26757 623 407 22596 509 272 Trentino Alto Adige 2908 635 463 2226 478 282 Veneto 14803 690 463 11505 523 282 Friuli Venezia Giulia 4196 785 463 3295 593 282 Liguria 4384 620 319 4235 561 229 Emilia Romagna 14741 815 458 11038 590 283 Toscana 11057 691 384 7849 470 227 Umbria 2571 675 374 2031 514 244 Marche 4581 678 388 3548 509 264 Lazio 12301 495 326 10186 388 212 Abruzzo 3013 504 322 1673 270 145 Molise 775 506 322 428 272 145 Campania 9133 317 277 6935 233 166 Puglia 6265 313 240 5018 242 155 Basilicata 1333 454 311 833 280 166 Calabria 3552 355 260 2184 214 135 Sicilia 7465 302 228 6021 234 149 Sardegna 3407 430 318 2276 280 168 ITALIA 163067 597 397 132390 468 261 Tab. 5. Mortalità relativa al tumore del colon-retto. Numero di decessi, tasso grezzo di mortalità per 100.000, tasso standardizzato (standard europeo) per 100.000. Età: 0-84. Maggio, Anno 2008 (da ISS). Uomini Donne AREA Decessi Tasso grezzo Tasso std Decessi Tasso grezzo Tasso std Piemonte 735 37 21 479 24 10 Valle d'Aosta 19 34 21 13 22 10 Lombardia 1453 34 22 1039 23 12 Trentino Alto Adige 143 31 22 96 21 11 Veneto 727 34 22 496 23 11 Friuli Venezia Giulia 207 39 22 143 26 11 Liguria 335 47 24 213 28 11 Emilia Romagna 711 39 21 472 25 11 Toscana 600 38 20 430 26 12 Umbria 170 45 23 118 30 13 Marche 281 42 23 181 26 13 Lazio 837 34 22 593 23 12 Abruzzo 251 42 25 127 21 10 Molise 65 43 25 33 21 10 Campania 736 26 22 556 19 12 Puglia 513 26 19 405 20 12 Basilicata 114 39 25 75 25 14 Calabria 305 30 21 173 17 10 Sicilia 708 29 20 570 22 13 Sardegna 282 36 25 196 24 13 ITALIA 9241 34 22 6390 23 12 Fattori di rischio per il cancro del colon retto. Una delle cause principali del tumore del colon-retto è una dieta squilibrata (ricca in grassi, carboidrati raffinati e proteine animali) combinata ad una scarsa attività fisica. Vi è, infatti, un probabile effetto sinergico tra inattività fisica, l'assunzione di alta energia, l'obesità e l'incidenza di cancro colon rettale. La suscettibilità genetica sembra essere coinvolta in meno del 5% dei casi (Fig. 4). Molti studi epidemiologici indicano che il rischio può essere ridotto diminuendo il consumo di carne (in particolare riducendo gli alimenti trasformati a base di carne) e aumentando l'assunzione di verdura e frutta fresca. L'eziologia del cancro del colon-retto prevede infatti l'influenza reciproca di cambiamenti molecolari cellulari e dei fattori ambientali, con una grande enfasi sui componenti della dieta. Fig. 4. Distribuzione percentuale dell’origine del cancro del colon retto Un gran numero di studi sperimentali hanno trovato un effetto “counter active” di fibre nell’induzione della neoplasia, soprattutto in relazione a fibre fermentabili (crusca di frumento e cellulosa). Studi di correlazione hanno anche indicato che una maggiore assunzione di verdura, frutta, cereali e di semi (es. legumi) è associata ad un minor rischio di neoplasia colon rettale. Inoltre, le proprietà benefiche delle fibre (in particolare da fonti vegetali) sono state documentate in oltre la metà degli studi caso-controllo condotti su popolazioni occidentali. L'importo complessivo e la composizione degli acidi grassi specifici possono avere ruoli distinti in questo contesto. La carne rossa, i salumi, e forse i carboidrati raffinati sono implicati nel rischio di cancro colon rettale. In contrasto con le valutazioni precedenti, le diete ricche di grassi sembrano aumentare il rischio di cancro del colon-retto solo indirettamente, come parte di una dieta ipercalorica, spingendo il rischio di obesità. Così, gli indizi di obesità, in particolare l'obesità viscerale, come fattore di rischio di cancro colon-rettale è giudicato oggi convincente. Studi prospettici di coorte suggeriscono che le persone che assicurano importi medi superiori di acido folico mediante integratori multivitaminici hanno minori rischi di cancro colonrettale. L'evidenza di un effetto di riduzione del rischio da apporti dietetici di calcio, selenio, vitamina D e vitamina E contro il cancro del colon-retto è invece ancora insufficiente. Le popolazioni migranti raggiungono rapidamente il livello di rischio più elevato caratteristico del paese di adozione, e questo è un altro segno che i fattori ambientali, insieme all’adozione di comportamenti non corretti, giocano un ruolo importante nella promozione e sviluppo di un cancro al colon retto. I paesi in via di sviluppo che stanno adottando stili di vita simili a quelli Europei, del Nord America, Australia, Nuova Zelanda e Giappone, stanno infatti incrementando rapidamente i tassi di incidenza di molti tumori, in particolare dei tumori del seno, del colon, della prostata e dell'utero. I ricercatori hanno dimostrato che i cambiamenti comportamentali favorevoli al mantenimento della salute (eliminazione del fumo di tabacco, riduzione del consumo di alcol e miglioramento della dieta e del BMI) prevengono i tumori molto più che l'eliminazione delle tossine derivanti dall'inquinamento industriale, dalle emissioni di scarico delle automobili ecc. Un nuovo studio di coorte (2010) condotto su persone di mezza età in Danimarca, il primo volto a studiare l’impatto dei diversi comportamenti salutari (attività fisica, circonferenza vita, fumo, assunzione di alcol, e dieta) piuttosto che uno solo, suggerisce che quasi un quarto (23%) dei casi di cancro colon-rettale potrebbe essere prevenuto con uno stile di vita sano. Tuttavia tale associazione tra indice di stile di vita e cancro colon-rettale è stata più consistente negli uomini rispetto alle donne. Secondo i ricercatori ciò potrebbe essere dovuto ad alcune differenze biologiche o ad una differenza del livello o della qualità delle relazioni di stile di vita, le donne tendono a sovrastimare il consumo di elementi "desiderabili" più degli uomini. L’età è un fattore di rischio per il cancro colon rettale sporadico, come già detto per tutti i tumori, tant’è che la diagnosi del cancro colon-rettale é rara prima dei 40 anni, l'incidenza infatti inizia ad aumentare in modo significativo tra i 40 e i 50 anni, ed i tassi di incidenza età-specifici aumentano in ogni decade successiva. Anche il fumo di sigaretta è stato sempre associato ad un alto rischio di adenoma del colon e alla formazione di polipi iperplastici e ad un aumento dell'incidenza di carcinoma del colon-retto. Infatti, studi clinici su larga scala hanno dimostrato l’esistenza di un “dose-dependency” del fumo sull’adenoma del colon e di una sua associazione con la formazione del cancro. Fumatori da meno di 20 anni sono stati associati ad un aumentato rischio di formazione di piccoli adenomi nel colon, mentre è stato dimostrato che gli adenomi di grandi dimensioni vengono prodotti in quei fumatori che fumano da più di 20 anni. Il lungo periodo di latenza tra l'inizio del fumo e l’aumento del rischio di cancro, e la significativa associazione positiva tra il fumo e la formazione di adenomi del colon, rivelano che il fumo ha dunque un ruolo importante nella carcinogenesi del colon-retto, il rischio di morte per cancro del colon-retto è, infatti, più elevato nei fumatori o ex fumatori piuttosto che nei non-fumatori. Prevenzione del cancro del colon retto. La Colonscopia è oggi il mezzo più affidabile di prevenzione secondaria per la diagnosi precoce. Una diagnosi precoce progressivamente migliorata insieme al trattamento, infatti, ha portato ad un tasso di sopravvivenza a cinque anni del 50%. Modificazioni della dieta insieme a misure di prevenzione secondaria possono avere un impatto importante sulla riduzione della mortalità da cancro colon rettale. L'uso del tabacco, la dieta squilibrata e una inattività fisica con incremento del BMI sono le principali cause facilmente evitabili di cancro nel mondo, ma in particolare del cancro del colon retto. Per i fattori alimentari bisogna contenere o ridurre il consumo di carne rossa, e in particolare di carne lavorata con positivo bilancio energetico (ovvero ad elevato apporto di grassi e carboidrati totali). Incoraggiare i fattori di prevenzione vuole significare aumentare il consumo di una grande varietà di frutta e verdura, in particolare, a foglia verde scuro, inserire nella dieta una quota consistente di fibre (es. cereali integrali, prodotti integrali) e verdure ricche in fibre come le crocifere (Cavoli, cavolfiori, cavoletti di bruxelles, broccoli, broccoletti, verza, cipolla, aglio ecc.) e prediligere prodotti lattiero-caseari a basso contenuto di grassi, pesce e pollame alla carne rossa e agli zuccheri raffinati. L’attività fisica come mezzo per la prevenzione primaria del tumore colon rettale è degna di nota. Un numero crescente di evidenze epidemiologiche sostiene che la riduzione del sovrappeso, e quindi del BMI e la rimozione del consumo di tabacco e di alcool è altamente consigliata per prevenire il cancro colon rettale. I dati attuali suggeriscono in definitiva che la modificazione dello stile di vita, compresa una dieta corretta, come quella ricca di verdure e povera di carne rossa e grassi, un’attività fisica regolare, il mantenimento di un corretto peso corporeo e l’astinenza dal consumo di tabacco e di alcol può portare a ridurre il rischio di cancro colon rettale rappresentando il pool di raccomandazioni da seguire per abbassare in m odo sostanziale l’incidenza e la prevalenza di tale tumore. La ricerca futura dovrebbe pertanto valutare quali fonti di fibra forniscono un’efficace protezione antineoplastica. Quindi, le attuali raccomandazioni per ridurre il rischio di cancro colon rettale comprendono misure dietetiche, come aumentata assunzione dell’alimento vegetale, consumo di cereali integrali, ortaggi e frutta, riduzione dell'assunzione di carne rossa ovviamente moderando o astenendosi contemporaneamente dal consumo di alcool e tabacco e privilegiando uno stile di vita ben lontano dalla sedentarietà. Tali comportamenti favorevoli al mantenimento della salute sono maggiormente acquisibili se seguiti sin dall’età infantile. Tabella riassuntiva L’epidemiologia oncologica fornisce dati e informazioni sui tumori al fine di incoraggiare le azioni di prevenzione, di diagnosi precoce e di controllo della patologia. L'equilibrio tra predisposizione genetica, fattori ambientali, fattori nutrizionali e comportamenti di vita, determina la suscettibilità individuale a sviluppare il cancro colon-rettale. Il cancro colon-rettale è il tumore maligno più frequente che colpisce il 25% della popolazione occidentale e la seconda causa di decessi dovuti al cancro. Numerosi fattori di stile di vita sono stati implicati nella carcinogenesi del colon-retto di tabacco. L'incidenza del cancro del colon non è molto diversa tra maschi e femmine, ma è leggermente più frequente nelle donne rispetto agli uomini e nella popolazione anziana rispetto a quella giovane. Molti studi indicano che circa il 23% dei casi di cancro colon-rettale potrebbero essere prevenuti con uno stile di vita sano insieme ad una migliorata diagnosi precoce e ad un trattamento adeguato. I dati di letteratura indicano che la modificazione dello stile di vita, compresa una dieta corretta (ricca di verdure e povera di carne rossa e grassi), un’attività fisica regolare con il conseguente mantenimento di un corretto peso corporeo e l’astinenza dal consumo di tabacco e di alcol può portare a ridurre notevolmente il rischio di cancro colon rettale abbassando in modo sostanziale l’incidenza e la prevalenza di tale tumore. Il ruolo della chemioprevenzione nel cancro del colon-retto. Ogni anno si ammalano di cancro circa 10 milioni di persone nel mondo e secondo la World Health Organization tale cifra è in continuo aumento soprattutto negli anziani. Attualmente i tumori rappresentano la seconda causa di morte dopo le malattie cardiovascolari. Il cancro è un processo estremamente complesso, che comporta una progressiva alterazione del DNA sino all’instaurarsi della patologia clinicamente evidente che si manifesta con l’insorgere di una massa tumorale nell’organo primitivo e/o di masse nelle sedi metastatiche. Le fasi che precedono la malattia clinicamente evidente sono supportate da numerosi fattori che interagiscono tra loro e che possiamo raggruppare in fattori genetici e fattori ambientali. I fattori genetici e molecolari sono stati già descritti e rappresentano ciò che nel senso comune viene correttamente indicato come “predisposizione” vale a dire la presenza di determinate alterazioni che rendono il patrimonio genetico di un individuo più suscettibile all’ accumulo di danni nel DNA o talora di semplici “varianti genetiche” (polimorfismi) che producono uno sbilanciamento di alcune vie di trasduzione del segnale importanti per il controllo della proliferazione cellulare (per esempio meccanismi di riparo del DNA, iper- o ipo-attività di proteine ad attività tirosin-chinasica, ecc.). Questa “predisposizione” può essere molto alta quando sono coinvolti geni “chiave” nella regolazione dell’omeostasi della mucosa colica tale da prefigurare sindromi neoplastiche trasmesse con meccanismi di tipo ereditario. Altri fattori invece che rappresentano la parte preponderante nel determinismo del cancro, sono “ambientali”: sostanze di natura chimica, fisica, ormonale o farmacologia. Vi è consenso unanime nella comunità scientifica che la prevenzione possa essere l’arma più efficace per ridurre drasticamente l’incidenza di numerosi tumori. Infatti, intervenire sui fattori che producono il danno al DNA o revertire i processi biologici che sostengono la trasformazione neoplastica nelle sue primissime fasi produrrebbe una drastica riduzione dell’incidenza del cancro. Purtroppo, sebbene affascinante ed intuitivamente efficace, l’attuazione di tale intervento risulta estremamente difficile perché molti dei fattori indicati sono strettamente connessi con lo stile di vita dell’uomo moderno. Una delle aree di intervento più realistico ed attuabile per la riduzione dell’incidenza dei tumori è la chemioprevenzione mediante la somministrazione di farmaci non citotossici o di altre sostanze presenti nell’organismo o normalmente assunte con la dieta in grado di interrompere il processo di trasformazione neoplastica nelle sue fasi iniziali. I farmaci utilizzati per la chemioprevenzione hanno lo scopo dunque di “prevenire” il danno al DNA, o limitare i fenomeni responsabili del processo di trasformazione neoplastica. Ovviamente, tali sostanze devono essere somministrate in soggetti sani (“chemioprevenzione primaria”) e spesso per tutta la vita, vale a dire per tutto il periodo in cui il DNA può essere esposto al rischio di subire un danno. Una caratteristica fondamentale della chemioprevenzione è quindi che essa non comporti effetti collaterali per l’individuo. Inoltre, essa deve potere essere somministrata per via orale, avere un basso costo e un meccanismo d’azione conosciuto. Una delle prerogative fondamentali per l’identificazione di una sostanza con potere chemiopreventivo nel cancro del colon-retto è lo studio e la comprensione dei meccanismi alla base della carcinogenesi del grosso intestino, un processo questo, tuttavia, ancora in fieri ed in gran parte sconosciuto. Gli end-point della chemioprevenzione: omeostasi colica ed adenoma. Tutti gli agenti che hanno un’azione chemiopreventiva sulla mucosa del grosso intestino producono degli effetti che si manifestano macroscopicamente in due importanti fenomeni: il ripristino dell’omeostasi tissutale e la prevenzione della formazione dei polipi adenomatosi. Al primo fenomeno è strettamente connesso il concetto di apoptosi. A differenza della necrosi, l’apoptosi è un processo “controllato” di eliminazione cellulare. Esso è un fenomeno fisiologico ed estremamente selettivo tale da non scatenare una reazione infiammatoria ed è fondamentale per l’equilibrio cellulare di un tessuto sostenuto proprio dal rapporto tra le cellule in proliferazione e quelle in apoptosi (omeostasi tissutale). Per una completa trattazione dell’apoptosi si rinvia ad altri testi. L’omeostasi tissutale della mucosa di tutto il colon è sostenuta da un fisiologico turnover cellulare garantito dalla proliferazione delle cellule alla base delle cripte e dall’apoptosi delle cellule sulla superficie epiteliale (cellule senescenti). Nelle lesioni pre-neoplastiche come gli adenomi questo rapporto proliferazione/apoptosi tende ad invertirsi con una riduzione dell’apoptosi sulla superficie epiteliale e/o un aumento del tasso di proliferazione superficiale. E’ interessante notare che nei soggetti che sviluppano un carcinoma del colon anche il tessuto “normale” adiacente alle lesioni presenta questa alterazione rispetto ai controlli sani. Il grado di apoptosi delle cellule epiteliali superficiali non è stato ancora chiaramente correlato con il rischio di sviluppare un carcinoma, tuttavia, esso è predittivo del rischio di sviluppare polipi adenomatosi nei soggetti che non presentano una storia clinica di polipi del grosso intestino. Nei soggetti in follow-up per polipi adenomatosi si osserva invece una significativa riduzione del tasso di apoptosi superficiale. Per questo gran parte della comunità scientifica ritiene che agenti in grado di ripristinare un corretto equilibrio tra apoptosi e proliferazione della mucosa colica possano essere utili nella chemioprevenzione. La valutazione della capacità di ripristinare una corretta omeostasi colica è uno degli end-point della chemioprevenzione. Nella sequenza di progressione biochimica e molecolare che conduce dalla mucosa normale all’adenocarcinoma, il polipo adenomatoso (o semplicemente adenoma) è un importante surrogato del carcinoma colo-rettale rappresentandone la lesione pre-neoplastica “intermedia”. L’adenoma spesso resta indolente per anni, per questo dal punto di vista epidemiologico è possibile tracciare una mappa piuttosto precisa della sua prevalenza. Dal 30 al 50% degli individui con età superiore ai 50 anni ha uno o più adenomi del grosso intestino. Esso è generalmente asintomatico ed è scoperto occasionalmente. La gran parte degli adenomi non progredisce a carcinoma ma la gran parte dei carcinomi deriva da un adenoma. La maggior parte degli studi di chemioprevenzione sono attuati in pazienti che hanno già scoperto un adenoma ed il cui rischio di sviluppare nuovi adenomi (a causa di un background genetico e/o ambientale) è di gran lunga superiore alla popolazione generale. La proporzione dei carcinomi attribuibili a sindromi genetiche familiari (poliposi familiari) o patologie infiammatorie croniche (rettocolite ulcerosa, morbo di Crohn) è piccola per cui, benché queste popolazioni ad alto rischio possano giovarsi di una chemioprevenzione, gli interventi in queste popolazioni non hanno come aspettativa quella di ridurre significativamente l’incidenza del carcinoma colorettale. NSAIDs (Non Steroidal Anti-Inflammatory Drugs): infiammazione e cancro del colon-retto Virchow, il primo scienziato a teorizzare e proporre un modello di cancerogenesi colica a più fasi (multistep), già nel 1860 aveva speculato sul possibile legame tra infiammazione cronica e cancro. L’osservazione inaspettata che individui che utilizzavano cronicamente l’aspirina avevano una riduzione di mortalità per cancro del colon ha stimolato la comunità scientifica ad approfondire il ruolo dell’infiammazione nella cancerogenesi colica. Recenti studi molecolari condotti in tutto il mondo hanno delucidato le connessioni fra infiammazione e numerose neoplasie. Particolarmente importante per comprendere il ruolo degli NSAIDs come agenti chemiopreventivi nella cancerogenesi del colon è il ruolo del metabolismo degli acidi grassi polinsaturi. Gli acidi grassi polinsaturi sono esterificati nei fosfolipidi e nei trigliceridi delle membrane cellulari di tutti i mammiferi, dove svolgono principalmente la funzione di fluidificanti delle membrane stesse. Il metabolismo ossidativo di questi acidi grassi a eicosanoidi (prostaglandine, leucotrieni, trombossani, ecc.) dipende dalla disponibilità di acidi grassi non esterificati liberi, garantita dalla presenza della fosfolipasi A2 di membrana, che scinde l’acido arachidonico (AA), precursore degli eicosanoidi dai fosfolipidi di membrana. L’AA diviene il substrato per tre diversi sistemi enzimatici: ciclossigenasi (COX), lipossigenasi (LOX) ed epossigenasi (EPOX). Gli eicosanodi o prostanoidi sono metaboliti che intervengono nel controllo di numerosi meccanismi e funzioni cellulari di vitale importanza, quali differenziazione, proliferazione, chemiotassi, apoptosi, rilascio di mediatori dell’infiammazione. La COX è fondamentale per la produzione di prostaglandine e la LOX per la sintesi dei leucotrieni. Le prostaglandine (PG) ed altri prostanoidi sono prodotti in notevoli quantità nelle sedi di infiammazione ove portano al reclutamento di mastcellule e leucociti con il successivo rilascio di radicali liberi. I radicali liberi sono in grado di danneggiare macromolecole, compresi lipidi e DNA. Oltre al danno genomico e cellulare che si verifica a causa dell’attività dei radicali liberi e di altri prodotti, il rilascio dei prostanoidi innesca inoltre la proliferazione cellulare e riduce il tasso di apoptosi dell’epitelio superficiale colonico. Questa combinazione di processi facilita notevolmente la cancerogenesi e rende, da un punto di vista probabilistico, l’evento mutazione più frequente. L’infiammazione è oggi considerata come un sicuro fattore di rischio per il cancro: diverse malattie infiammatorie predispongono al cancro, compresa la colite ulcerosa (che aumenta rischio il cancro colorettale di circa 20 volte) e l’esofago di Barrett (un precursore del cancro esofageo). Pertanto non sorprende che l’uso regolare di aspirina e di altri NSAIDs sia stato associato con una diminuzione del rischio di diversi tipi di cancro. L’enzima che catalizza la reazione iniziale della sintesi dei prostanoidi a partire dall’AA di membrana è la COX, nota anche come prostaglandina (PG) H sintetasi o, più correttamente PG-endoperossido sintetasi. L’enzima è, infatti, una endoperossidasi che catalizza la formazione dall’AA della PGG2 (15-idrossiperossil-9,11-endoperossido) attraverso una reazione ciclossigenasica che introduce due molecole di O2 formando un endoperossido biciclico con un gruppo idrossiperossido in posizione 15. Questa reazione si svolge in un canale idrofobico nel centro dell’enzima. Segue quindi la conversione della PGG2 così formatasi a PGH2 mediante riduzione dell’idroperossido in una reazione perossidasica che si svolge nel sito sulla superficie dell’enzima contenente l’eme. La PGH2 è un composto intermedio molto reattivo da cui originano le prostaglandine PGE2, PGD2, PGI2 (prostaciclina), PGF2alfa e il trombossano A2(TXA2). La PGE2 è la PG con le maggiori concentrazioni relative nei tessuti tumorali ed è pertanto quella ritenuta più importante ai fini della cancerogenesi. La PGE2 si lega a recettori di membrana denominati EP1, EP2, EP3, EP4, la cui attivazione provoca un aumento della concentrazione dei secondi messaggeri. L’attivazione di EP1 aumenta il calcio libero nel citoplasma, mentre l’attivazione di EP3 riduce i livelli di cAMP, che aumentano invece per azione di EP2 e EP4. Le linee cellulari mammarie tumorali esprimo tutte e quattro le isoforme di EP, mentre nel colon sono considerati importanti per la formazione dei polipi adenomatosi tutti i recettori tranne EP3. Nei mammiferi esistono due isoenzimi, COX-1 e COX-2. COX-1 ha una sequenza conservata fra le diverse specie (90% circa di omologia), mentre la sequenza dalla COX2 ha un’omologia del 60% con quella murina. Il gene umano per COX-1 mappa sul locus 9q32-q33.3, quello per COX-2 sul cromosoma 1q25.2-q25.3. Non è chiaro perché siano presenti due isoenzimi distinti della COX. È stata avanzata l’ipotesi che la COX-1 risponda rapidamente agli ormoni mentre, secondo alcuni studi, essa funzionerebbe solo a concentrazioni relativamente elevate di AA, quali si osservano durante l’aggregazione piastrinica o nelle sedi di traumi o di infiammazione acuta. La COX-1 interviene nella regolazione di numerose risposte fisiologiche ed è espressa in modo costitutivo. La COX-2, sebbene sia espressa costitutivamente nel cervello e nel rene umano, è responsabile di molti processi infiammatori, essendo la sua espressione indotta in molti tessuti durante l’infiammazione, la riparazione delle ferite, la proliferazione cellulare e le neoplasie. COX-1 e COX-2 iniziano la formazione di importanti prostanoidi biologicamente attivi che innescano e coordinano con meccanismi autocrini e paracrini i fenomeni infiammatori, legandosi a recettori transmembrana dipendenti da G-proteine. La delucidazione della struttura molecolare delle COX, ha permesso di ottenere per sintesi inibitori “selettivi” della COX-2, collettivamente denominati coxib (cox-inibitori), di cui celecoxib e roferox sono probabilmente i composti più noti. Quest’ultimo composto, tuttavia, è stato ritirato dal commercio in seguito all’osservazione di gravi effetti collaterali cardiaci in soggetti che l’assumevano a lungo proprio per la profilassi della poliposi del colon. L’aspirina, inibitore di entrambe le COX, è efficace sia nel ridurre il rischio di carcinoma del colon sia nel ridurre le recidive di adenoma negli individui in follow-up endoscopico per un pregresso adenoma. L’efficacia in modelli animali dell’aspirina e di altri NSAIDs, in particolare sulindac, piroxicam e celecoxib nell’inibire la formazione di polipi e nell’indurre la regressione di quelli già presenti ha consentito di aprire un nuovo scenario nella chemioprevenzione del cancro del colon. Tutti gli NSAIDs sono in grado di determinare un significativo aumento nel tasso di apoptosi delle cellule epiteliali superficiali I ricercatori del Massachusetts General Hospital e dell’Harvard Medical School a Boston hanno esaminato l’influenza dell’aspirina e di altri NSAIDs nella prevenzione del tumore colorettale in uno studi osservazionali tra i più numerosi mai condotti in sperimentazione clinica. Lo studio infatti è stato eseguito su 82911 donne arruolate nel Nurses’ Health Study. Nell’arco di 20 anni, sono stati documentati 962 casi di carcinoma colorettale. Tra le donne che facevano uso dell’Aspirina (2 o più compresse da 325mg alla settimana) il rischio relativo per il tumore del colon-retto era 0,77 rispetto all’uso non regolare. Tuttavia, una significativa riduzione del rischio si osservava solo dopo più di 10 anni di impiego del farmaco. Inoltre, il beneficio sembrava essere associato alla dose. Il rischio relativo di tumore (rispetto alle donne che non riferivano alcun uso) era di 1,10 per le donne che assumevano 0,5-1,5 compresse di aspirina standard a settimana, 0,89 per 2-5 compresse a settimana, 0,78 per 6-14 compresse a settimana e 0,68 per più di 14 compresse. Le donne che facevano uso per più di 14 compresse di aspirina per più di 10 anni presentavano il rischio relativo più basso (0,47). Una simile relazione dose-risposta è stata trovata anche per gli altri farmaci antinfiammatori. Purtroppo anche l’incidenza di gravi sanguinamenti gastrointestinali per 1000 persone-anno è risultata dose-correlata: 0,77 per le donne che non assumevano l’aspirina, 1.07 per 0,5-1,5 compresse di aspirina a settimana, 1,07 per 2-5 compresse, 1,40 per 6-14 compresse e 1,57 per più di 14 compresse. Questo studio ha dimostrato che il regolare impiego di aspirina per un lungo periodo è in grado di ridurre il rischio di tumore del colon e del retto. Gli altri NSAIDs appaiono avere lo stesso effetto. Tuttavia, il beneficio prodotto dall’aspirina non è evidente prima dei 10 anni e l’effetto massimo si ottiene assumendo più di 14 compresse da 325 mg di aspirina a settimana. I dati di questo studio indicano due concetti importanti: 1. la chemioprevenzione del carcinoma del colonretto con l’impiego dell’aspirina richiede lunghi periodi di trattamento e 2. dosaggi più alti di quelli impiegati nella prevenzione della malattia cardiovascolare. Lo svantaggio dell’aspirina è quello di essere un anticoagulante ed un inibitore della COX-1 e quindi un potenziale induttore di danno della mucosa gastrointestinale. Altri NSAIDs sebbene con una prevalente attività inibitoria sulle COX-2 hanno evidenziato una significativa tossicità cardiovascolare. Altri antinfiammatori, come il celecoxib (Cox-2 inibitore) hanno dimostrato di prevenire i polipi al colon nella poliposi adenomatosa familiare, di ridurre il tasso di recidive nei soggetti già sottoposti a polipectomia per adenoma e nel ridurre l’incidenza di cancro del colon-retto sporadico. La COX-2 è presente in notevoli concentrazioni nel colon ed è ulteriormente iperespressa durante la trasformazione neoplastica. La sua funzione è stata correlata con lo stimolo della neo-angiogenesi e della proliferazione neoplastica. Lo studio APC (Adenoma Prevention with Celecoxib study) ha arruolato 2035 soggetti che sono stati assegnati in modo random al celecoxib o al placebo con l’obiettivo primario di prevenire gli adenomi del colon-retto. I risultati dello studio hanno rivelato che il celecoxib riduce in modo significativo la formazione di adenomi intestinali di grandi dimensioni durante un periodo di 3 anni dopo la rimozione dei polipi nei pazienti ad alto rischio di sviluppare il tumore del colon-retto. Tra i partecipanti, 679 pazienti sono stati trattati con placebo, 685 hanno ricevuto 200 mg di celecoxib e 671 sono stati trattati con 400 mg di celecoxib, due volte al giorno. Il 31% dei partecipanti stava assumendo aspirina a basso dosaggio. La colonscopia durante il follow-up è stata effettuata nell’89% dei partecipanti dopo 1 anno, ed il 76% è stato sottoposto a colonscopia a 3 anni. L’incidenza di uno o più tumori benigni era del 61% in coloro che assumevano placebo, mentre nei pazienti che assumevano celecoxib si riduceva in modo significativo del 45%. Il rischio relativo di tumori in fase avanzata con adenomi di diametro superiore a 1cm, o con adenomi tubulovillosi, o polipi rettali premaligni, grave displasia o tumore invasivo, risultava drasticamente ridotto nei pazienti che assumevano celecoxib. Un altro studio (Prevention of Colorectal Sporadic Adenomatous Polyps) condotto in 1561 pazienti ha valutato l’efficacia del celecoxib 400 mg nel ridurre l’incidenza di adenomi colorettali sporadici escludendo i soggetti con poliposi adenomatosa familiare, tumore colorettale ereditario senza poliposi, oppure una storia di malattia intestinale infiammatoria. Lo studio cominciato nel marzo 2001 ha interessato pazienti sottoposti a rimozione dei polipi colorettali. I pazienti sono stati assegnati in un rapporto 3:2 a celecoxib o placebo, e divisi per l’uso di aspirina al basale (17% nel gruppo placebo; 16,6% celecoxib) o nel non-uso (83% nel gruppo placebo; 83,4% nel gruppo celecoxib). L’88,7% dei pazienti è stato sottoposto a colonscopia con o senza rimozione di polipi ad 1 anno; a 3 anni la percentuale è scesa al 79,2%. La somministrazione di celecoxib purtroppo veniva interrotta dopo aver rivelato a 33 mesi un aumento significativo (2-3 volte) dell’incidenza di gravi eventi avversi cardiovascolari. I dati di un altro studio indicavano un hazard ratio di morte per eventi cardiovascolari e di infarto miocardico non-fatale o di ictus di 1,2 tra coloro che assumevano celecoxib rispetto al placebo. L’incidenza di adenomi a 3 anni è stata del 49,3% nel gruppo placebo, ma significativamente più bassa nel gruppo celecoxib. Nei pazienti ad alto rischio, le recidive sono state ridotte. La prevalenza di eventi avversi risultava simile tra il placebo ed il celecoxib, sebbene i pazienti che assumevano celecoxib presentassero un più alto rischio di eventi cardiovascolari rispetto ai pazienti del gruppo placebo ( 7,5% versus 4,6%). Pertanto, gli NSAIDs, anche se efficaci, non possono essere considerati come agenti chemiopreventivi nei soggetti ad alto rischio in attesa di nuove molecole o nuove strategie che ne rendano più tollerabile l’utilizzo a lungo termine. Cancro del colon-retto e dieta E’ stata descritta una notevole variabilità tra l’incidenza del cancro del colon-retto in diversi Paesi con una variazione sino a 25 volte. Gli studi di migrazione di diverse popolazioni hanno suggerito che questa variabilità possa dipendere da fattori ambientali in particolare connessi con la dieta. Secondo questa ipotesi fino all’80% dei carcinomi sporadici del colon-retto potrebbero quindi essere prevenuti. Fibre, grassi, vegetali. Nel 1971 il Dr. Denis Burkitt osservò che la dieta e le caratteristiche delle feci dei nativi del Sud Africa erano profondamente diverse dalle popolazioni Occidentali e che l’incidenza di cancro del colon era drammaticamente più bassa. Egli propose che il contenuto di fibre della dieta proteggesse dal cancro del colon. Il meccanismo d’azione ipotizzato consisterebbe sia in un legame e neutralizzazione endoluminale di potenziali agenti cancerogeni esogeni o endogeni (es. acidi biliari secondari) che in una riduzione del tempo di contatto di tali agenti con la mucosa colica promuovendone il transito intestinale e riducendo la stipsi. Questa osservazione è stata poi verificata in successivi studi in associazione al contenuto in grassi animali (in particolare correlando la riduzione dell’introito di fibre con un elevato consumo di carni rosse). Purtroppo, i risultati positivi ma contraddittori emersi in piccoli studi osservazionali sono stati poi disconfermati da studi più ampi e da metanalisi degli studi caso-controllo in cui non vi è differenza significativa in termini di rischio di recidiva degli adenomi o di sviluppo di cancro colorettale tra i pazienti che assumono diverse quantità di fibre. La letteratura epidemiologica è ricchissima di fattori ambientali legati alla dieta associati con aumento o riduzione del rischio di sviluppare un carcinoma del colon-retto (selenio, vitamina C, A, ecc.). Molti di questi sono studi osservazionali, rari sono gli studi randomizzati di prevenzione in doppio cieco, e sono viziati da bias legati alla numerosità del campione, alla metodologia di raccolta dei dati ed all’eterogeneità della popolazione. Solo l’assunzione di vegetali ed in particolare di alcuni di essi (crucifere: cavolfiori, broccoli, cavoli) è stato associato con una riduzione significativa del rischio di carcinoma dal 15 al 25%. È stato proposto che una dieta ricca di acidi grassi poli-insaturi omega-3 (polyunsaturated fatty acids, PUFAs o n-3 PUFAs) possa prevenire la cancerogenesi colorettale attraverso una riduzione degli addotti del DNA, migliorando i meccanismi di riparo ed aumentando l’apoptosi delle cellule epiteliali superificali. Infatti, nella mucosa normale di soggetti in follow-up per polipi adenomatosi che assumevano olio di pesce (ricco di PUFAs) nella loro dieta si osserva un aumento di apoptosi che potrebbe essere il substrato biologico per una riduzione del rischio di recidiva degli adenomi. Tuttavia, nella gran parte degli studi gli autori prescrivevano anche una riduzione dell’introito energetico almeno del 10% ed una riduzione dell’assunzione degli n-6 PUFAs. Anche questi studi sono eterogenei e non vi è un consenso sulle dosi di PUFAs e sui tempi di assunzione (variabili tra i 3 mesi e i 2 anni). Antiossidanti. Vi è una forte evidenza che lo stress ossidativo contribuisca all’insorgenza di numerose forme tumorali. Per questo è stato ipotizzato che alcuni anti-ossidanti come la vitamina-C, E e i beta-carotenoidi potessero avere un ruolo nella chemioprevenzione. Purtroppo gli studi, nonostante un’eccellente compliance nell’assunzione dei farmaci, non hanno dimostrato alcuna efficacia nel ridurre il rischio di recidiva di adenomi. Calcio e Vitamina D. Studi epidemiologici hanno evidenziato che il calcio e la vitamina D proteggono dal carcinoma del colonretto. Uno studio randomizzato di Baron e colleghi ha fornito un’evidenza molto forte in favore del calcio. Il rischio relativo di recidiva dell’adenoma nei pazienti assegnati a una dieta ricca di calcio è 0,85. È molto dibattuto se tale lieve ma significativa riduzione del rischio giustifichi come raccomandazione generale una supplementazione di calcio nella dieta. Acido folico. Evidenze in vitro e in vivo suggeriscono che l’acido folico potrebbe essere un agente chemiopreventivo nel cancro del colon-retto. Baron e colleghi hanno evidenziato in un ampio studio di coorte che l’assunzione di acido folico riduce il rischio di recidiva dell’adenoma. Tuttavia, correggendo quest’effetto per l’introito calorico e di fibre, il vantaggio viene annullato. Gli studi sono contraddittori, tuttavia molti autori hanno ipotizzato che l’assunzione di alcool potrebbe aumentare il rischio di cancro del colon proprio attraverso una riduzione dei livelli di acido folico. Poliammine. Russell and Snyder, negli anni 60’, per primi hanno documentato elevati livelli di ornitina decarbossilasi (ODC) nelle cellule tumorali. L’enzima è coinvolto nella sintesi delle poliammide a partire dagli aminoacidi arginina ed ornitina. Le poliammine sono composti organici aventi due o più gruppi amminici e possono essere presenti anche come contaminanti della dieta. Le più comuni sono putrescina, cadaverina, spermidina e spermina. Le poliammine sono sintetizzate solo da cellule eucariotiche attraverso una via biochimica altamente regolata. Inoltre sia APC che K-Ras sono induttori della sintesi delle poliammide. Le loro funzioni non sono ancora del tutto chiare, anche se sembrano avere funzioni stimolanti la proliferazione cellulare e certamente giocano un ruolo fondamentale nel superavvolgimento della catene del DNA nel nucleo. Le poliammine sono a pH fisiologico dei policationi, ed è proprio questa caratteristica chimica che conferisce ad esse grande affinità per il DNA, che è un polianione. Diversi studi hanno dimostrato che una dieta ricca di poliammine può aumentare il rischio di cancro del grosso intestino. La somministrazione di inibitori dell’ODC, in particolare D,L-α-difluorometilornitina (DFMO) con o senza NSAIDs in vivo si è dimostrata efficace nell’inibire sia l’insorgenza di polipi che di carcinomi. Le poliammine contribuiscono anche ad aumentare la risposta infiammatoria della mucosa colica, inoltre sono ossidate da numerose amminossidasi con produzione di radicali liberi ed aldeidi che agirebbero direttamente danneggiando la mucosa colica. Le poliammide, inoltre, influenzano l’espressione di alcune proteine pro-infiammatorie come le COX-2. Approcci di polichemioprevenzione. Sebbene gli inibitori della COX-2 risultino efficaci farmaci chemiopreventivi nella carcinogenesi del colon, la somministrazione di alte dosi di questi farmaci nel tempo può indurre effetti indesiderati gravi (tossicità cardiovascolare e gastroenterica). Ricercatori della Rutgers State University del New Jersey e dell’Università dell’Oklahoma Health Science Center hanno confrontato l’efficacia di bassi dosaggi, o dosaggi moderatamente alti, di celecoxib, somministrato assieme ad una dieta ad alto contenuto di lipidi misti od olio di pesce in ratti maschi F344, la cui carcinogenesi del colon era stata indotta da azossimetano. Il giorno dopo l’ultima somministrazione di azossimetano (15mg/kg di peso corporeo, una volta a settimana per 2 settimane), i ratti sono stati nutriti con diete a base di olio di pesce, contenenti 0, 250, 500 e 1000 ppm (parti per milione) di celecoxib. I ratti nutriti con dieta con olio di pesce hanno mostrato una minore incidenza di tumore al colon rispetto ai topi sottoposti a dieta con olio misto. Il celecoxib ai dosaggi di 250, 500 e 1000 ppm ha soppresso in modo significativo la carcinogenesi a livello del colon. L’inibizione dell’adenocarcinoma del colon è risultata più pronunciata negli animali ai quali era stato somministrato celecoxib 250 ppm assieme alla dieta con olio di pesce rispetto a celecoxib 250 ppm associato alla dieta con olio misto, indicando un effetto sinergico tra gli acidi grassi polinsaturi omega-3 (PUFA) e celecoxib. Dr. Massimiliano Berretta, Dir. Medico ad Alta Specializzazione, Dipartimento di Oncologia Medica, CRO IRCCS Aviano (PN) - [email protected]