L’Islam
La Teologia
L’Islàm è non a caso definito dīn, parola solitamente resa con “religione”, ma che più propriamente
indica uno “stile di vita”, ma è in sostanza un sistema allo stesso tempo politico, religioso, militare,
economico, sociale, giuridico, oltre che uno stile di vita caratterizzato dalla sottomissione
dell'individuo a una divinità (Allāh) associata ad un profeta o messaggero (Muḥammad). Se l’Islam
è regola di vita, legge, d’altra parte è privo delle connotazioni sacerdotali-ritualistiche essenziali
nella nostra nozione di “religione”. Si spiegano così alcuni casi apparentemente paradossali, come
quello di coloro che, pur essendo scarsamente religiosi nel nostro senso e anzi quasi atei, quando
l’India fu divisa nel 1947 nei due stati di Unione Indiana a maggioranza indù e Pakistan
musulmano, hanno scelto il secondo1. Ma uno “stato islamico” non è per nulla paragonabile allo
“Stato della Chiesa” finito nel 1870, non avendo come detto né riti né sacerdoti. L’Islam che
prenderemo a modello, fra le numerose sette in cui si divise fin dai primordi, è quello sunnita, cui
aderiscono circa il 90% dei musulmani nel mondo2.
È stata spesso notata come caratteristica dell’Islam quella di un “assorbimento della teologia nella
legge”. Infatti chiamare la leggere religiosa dell’Islam, la šarī‘a, “diritto musulmano” o “diritto
canonico”, è piuttosto equivoco3. La ragione di ciò sta nell’impossibilità di ragionare su un dio
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Il nome (nella forma Pakstan) appare la prima volta nell'opuscolo “Now or Never. Are we to live or perish forever?”,
pubblicato da Choudhary Rahmat Ali (noto anche come Rehmat Ali Khan) il 28 gennaio 1933 mentre studiava a
Cambridge. Nelle primissime righe dichiarava di parlare a nome di “our thirty million Muslim brethren who live in
PAKSTAN, by which we mean the five Northern Units of (British) India — Punjab, North-West Frontier Province
(Afghania), Kashmir, Sindh, and Baluchistan”. La nazione che oggi è il Pakistan, è stata parte dell'India fino al 14
agosto 1947. I primi proponenti l'indipendenza di una nazione musulmana iniziarono ad apparire al tempo dell'India
coloniale britannica. Tra essi vi era lo scrittore e filosofo Allāma Muhammad Iqbal, che argomentava che una nazione
separata per i musulmani era essenziale in un subcontinente altrimenti dominato dagli Indù. La causa trovò una guida in
Mohammad Ali Jinnah, che divenne noto come Padre della nazione e riuscì a convincere i britannici a dividere la
regione in due parti: il Pakistan, a maggioranza musulmana, e l'India, a maggioranza indù. Dal 14 agosto 1947 fino al
1971, la nazione fu costituita dal Pakistan occidentale e dal Pakistan orientale, essenzialmente bengalino, i cui territori
erano però separati dal Bengala indiano. Nel 1971 il Pakistan orientale si ribellò e, con l'aiuto di truppe indiane, divenne
lo stato indipendente del Bangladesh, anche se l'India non concesse mai al suo Stato del Bengala di riunificarsi col
Bangladesh. Dall'indipendenza, il Pakistan è anche sempre stato in disputa con l'India sul territorio del Kashmir, portato
“in dote” dal suo sovrano hindu all'Unione Indiana, al momento della divisione del sub-continente, malgrado la netta
prevalenza musulmana della popolazione che teoricamente avrebbe dovuto comportare l'adesione al Pakistan della
regione. Nel frattempo (1956) venne proclamata la repubblica facendo decadere i Windsor nella persona di Elisabetta II.
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L'Islam (in arabo: ‫ )إسالم‬da pronunciare "Islàm", traducibile con "sottomissione [a Dio ]", che deriva dalla radice "slm"
ovvero "essere salvato", è una religione monoteista, osservata dai musulmani. L'Islam si è manifestato per la prima
volta nella cittadina higiazena della Mecca (Penisola Araba) nel VII secolo. Suo artefice è stato Maometto (in arabo:
‫محمد‬, Muḥammad=”grandemente lodato”, 570-632 d.C.; inizio dell’egira [fuga] e quindi del primo stato islamico nel
622). Quanto a numero di fedeli l'Islam (con tutte le sue varianti) segue soltanto il Cristianesimo, anch'esso da
intendersi in un'accezione globale. I numeri sono peraltro oggetto di disputa, variando tra il miliardo e 200 milioni e il
miliardo e mezzo di devoti.
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Il diritto canonico è costituito dall’insieme delle norme giuridiche formulate dalla Chiesa cattolica, che regolano
l’attività dei fedeli nel mondo nonché le relazioni inter-ecclesiastiche e quelle con la società esterna. Non va confuso
con il diritto ecclesiastico, che è il diritto con cui gli stati temporali (o secolari) regolano i loro rapporti con le varie
confessioni religiose. In sostanza è costituito da quell’insieme di norme che: creano i rapporti giuridici canonici, i quali
riguardano la situazione giuridica dei fedeli all’interno del corpo sociale della Chiesa; regolano tali rapporti;
organizzano la gerarchia degli organi componenti la Chiesa e ne regolano l’attività; valutano e regolano i
comportamenti dei fedeli.
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Estratto da A. Bausani, L’Islam. Una religione, un’etica, una prassi politica
come quello islamico, per la sua estrema personalità arbitraria, per la sua estrema mobilità. Le
fonti della teologia islamica, come quelle del diritto, sono soprattutto tre. Il Corano, innanzitutto,
libro dettato dall’arcangelo Gabriele al profeta Muḥammad in un periodo che va dal 610 al 632;
l’ispirazione del Corano, secondo la teologia islamica, è nettamente “letterale”, una vera e propria
dettatura poiché il profeta non ha alcuna qualità intrinseca, se non il fatto di essere stato eletto da
Dio suo messaggero (rāsul). La seconda fonte della dottrina è perciò la imitatio Muḥammadis, che
si persegue tramite i numerosi ḥadīṭ (“tradizioni”): l’insieme del “contegno del Profeta” espresso
con detti e fatti tramandati dalla tradizione si chiama sunna (letteralmente “modo di fare/vita”).
Terza fonte, in ordine di importanza, è il cosiddetto “consenso” (in arabo iǧmāʽ) dei teologi o, per la
legge, dei giurisperiti, intesi come rappresentanti della comunità musulmana. Secondo un ḥadīṭ
infatti Muḥammad avrebbe detto: “La mia comunità non si accorderà mai su un errore”.
L’attuale credo del musulmano ortodosso è stato codificato, già nel XII secolo, dal principe dei
teologi al-Ġazzālī (1058-1111). Dio esiste, è insostanziale e incorporeo, uno e unico.
L’onnipotenza divina è intesa nell’Islam in senso, se possibile, ancor più totalitario e ampio che
nelle altre religioni monoteistiche. La potenza divina ha per oggetto la totalità degli esseri viventi
possibili: in certo modo è anche possibile a Dio fare il contrario di ciò che la sua prescienza
conosce. Quando un uomo muove una mano, Dio, oltre ad aver creato precedentemente l’uomo
stesso e la sua mano, crea anche il movimento nella mano e crea il potere dell’uomo sul suo stesso
movimento. L’uomo è quinti “potente” solo in senso riflesso e comunque non è mai “creatore” dei
propri atti; egli è proprietario, non creatore dei suoi stessi atti (si parla perciò di iktisāb,
“acquisizione”). Viene perciò esclusa ogni idea di causae secundae: l’idea che un effetto sia
generato da una casa è legata a un’illusione ottica dovuta all’abitudine; Ġazzālī sostiene che quando
un uomo taglia il collo a un altro la morte dell’assassinato è un atto prodotto per creazione esclusiva
di Dio nello stesso istante del taglio del collo. L’illusione deriva dal fatto che questa connessione di
mera simultaneità si ripete sistematicamente e abitualmente, il che ci porta a parlare di “causa”.
Ogni dottrina contraria annullerebbe l’onnipotenza di Dio. La teologia ortodossa, volta a salvare la
assoluta libertà creatrice e potente di Dio, è giunta fino a costruire un sistema di occasionalismo
atomistico, secondo il quale i corpi sono composti di atomi; l’atomo è l’unica realtà stabile e
potrebbe sopravvivere solo qualche momento alla cessazione del concorso divino. In altre parole è
come osservare un film, fatto di una rapidissima successione di fotogrammi staccati, che solo per
un’illusione dell’uomo sembra continuo. Il mondo è creato, annientato e ricreato attimo per attimo
da Dio.
A Dio vengono attribuiti 99 nove nomi (sarebbe più corretto parlare di aggettivi, però) che ne
definiscono potenza e grandezza. Su questi 99 nomi di Dio è basato il taṣbīh, specie di rosario (da
esso deriverebbe il rosario dei cristiani importato in occidente dopo le Crociate) spesso usato dai
musulmani anche come passatempo, oltre che per recitare i 99 nomi. Ne è un esempio il Takbīr, che
è il nome dell'espressione Allāh(u) Akbar (arabo: ‫)ﷲ أَ ْكبَر‬, ovvero: "Dio è il più grande";
un'espressione che, nella religione musulmana, è spesso usata nel richiamo da parte del muezzin per
ricordare ai fedeli l'inizio del periodo d'elezione utile ad assolvere l'obbligo della preghiera canonica
(Ṣalāt). L'espressione è impiegata anche prima dell'effettiva esecuzione della Ṣalāt, oltre che in altre
occasioni non religiose in cui si voglia ostentare la propria fede islamica in Dio. Dalla radice araba
<k-b-r>, che significa "essere grande", deriva una forma intensiva (kabbara), che vuol dire "essere
più grande". Da questa, a sua volta, si può costruire il nome d'azione (takbīr - arabo: ‫ )تَ ْكبِير‬che, in sé
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Estratto da A. Bausani, L’Islam. Una religione, un’etica, una prassi politica
e per sé, indicherebbe "il fatto d'essere più grande"; akbar è invece l’elativo (corrispondente al
superlativo) dell’aggettivo kabīr (“grande”). Di fatto però essa coinvolge l'intera espressione
'Allāh(u) Akbar', così come la basmala identifica la frase Bi-sm(i) llāh(i) al-Rahman(i) al-Rahīm(i),
cioè "In nome di Dio Clemente Misericordioso"). Il takbīr è una forma abbreviata della frase Allāhu
Akbar min kulli shay' ("Allah è più grande di ogni cosa") e fu usata dal profeta Muḥammad in
occasione delle cerimonie funebri in cui si ricordavano le qualità religiose del defunto. Ancor oggi
quattro takbīr accompagnano l'inumazione di ogni fedele musulmano sunnita, mentre gli sciiti
ne pronunciano cinque. Dio ha diritto a imporre agli uomini obblighi la cui esecuzione sia loro
possibile e obblighi la cui esecuzione sia per loro impossibile. Inoltre Dio è libero di far soffrire gli
animali esenti da colpa e non è obbligato a ricompensarli. All’obiezione che in questo modo Dio
sarebbe ingiusto si risponde, in maniera tipicamente islamica, che l’ingiustizia è di colui che compi
atti che possano recar danno alla proprietà altrui, ma siccome tutto è proprietà di Dio e Dio non è
sottoposto ad alcuna legge superiore, il problema non si pone nemmeno. Muḥammad, il sigillo dei
profeti (perché è l’ultimo e il più importante di loro), oltre ad aver indicato le leggi di Dio, nel suo
messaggio ha veicolato verità accettabili solo per fede su questioni escatologiche. Tra queste le più
importanti, che il musulmano ortodosso è tenuto ad ammettere, sono: 1) la resurrezione della
carne; il tormento della tomba (credenza di ascendenza mazdaica4), che sarà inflitto a ogni uomo
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Zoroastrismo è il nome dato ad una delle più antiche religioni e la più importante e meglio nota dell'Iran antico o
preislamico. Prende il nome da quello del suo fondatore Zoroastro (Zarathustra) vissuto in Persia approssimativamente
tra il VII ed il VI secolo a.C. Lo Zoroastrismo si presenta come una versione riformata di una precedente tradizione
religiosa persiana, caratterizzata da numerosi elementi in comune con la religione vedica indiana. L'altro nome con il
quale lo Zoroastrismo è conosciuto, Mazdeismo, deriva dal nome della principale figura divina, Ahura Mazda. Lo
Zoroastrismo è stato per secoli la religione dominante in quasi tutta l'Asia centrale, dal Pakistan all'Arabia Saudita, fino
alla rapida affermazione della religione islamica nel VII secolo. Il costante declino nei secoli successivi vide un brusco
cambiamento di direzione negli anni Novanta, caratterizzati da un'inaspettata e repentina crescita della religione
zoroastriana. Negli ultimi anni le tendenze hanno tuttavia nuovamente cambiato marcia: le ultime statistiche presentano
un numero di 200.000 fedeli in continua discesa, ed è diffusa l'opinione secondo cui lo Zoroastrismo potrebbe
estinguersi nel giro di pochi anni. Lo Zoroastrismo combina elementi di monoteismo e dualismo. Molti studiosi
moderni ritengono che questa religione abbia avuto una larga influenza sulle religioni abramitiche e su Mitraismo,
Manicheismo e Mandeismo. Il libro sacro dello Zoroastrismo è l'Avesta. Di questo testo solamente i Gatha (gli inni)
sono attribuiti a Zoroastro. Nodo centrale della religione è la costante lotta tra Bene e Male. Agli inizi della
creazione, il Dio Supremo ("Ahura Mazda") (che significa "Signore saggio" ed è caratterizzato da luce infinita,
onniscienza e bontà) è opposto ad Angra Mainyu (o Ahriman) uno spirito malvagio delle tenebre, violenza e morte. Il
conflitto cosmico risultante interessa l'intero universo, inclusa l'umanità, alla quale è richiesto di scegliere quali delle
due vie seguire. La via del bene e della giustizia ("Asha") porterà alla felicità ("Ushta"), mentre la via del male
apporterà infelicità, inimicizia e guerra. Sono legati alla dualità di bene e male anche i concetti di Paradiso, Inferno e
giorno del giudizio. Dopo la morte l'anima della persona attraversa un ponte del giudizio (Cinvatô Peretûm) sul
quale le sue buone azioni sono pesate con quelle cattive. Il risultato decreta la destinazione dell'anima nel
paradiso o nell'inferno. Quando alla fine dei giorni il male sarà definitivamente sconfitto, il cosmo verrà purificato in
un bagno di metallo fuso e le anime dei peccatori saranno riscattate dall'inferno, per vivere in eterno, entro corpi
incorruttibili, alla presenza di Ahura Mazda Alcuni fra i concetti maggiori zoroastriani: la filosofia zoroastriana è
simbolizzata da uno dei principali motti della religione: "Buoni pensieri, buone parole, buone opere". Parità
sessuale. Uomini e donne hanno uguali diritti all'interno della società. Attenzione per l'ambiente. La natura svolge un
ruolo centrale nella pratica dello Zoroastrismo. Le più importanti feste annuali zoroastriane riguardano celebrazioni
della natura: il nuovo anno nel primo giorno di primavera, la festa dell'acqua in estate, la festa d'autunno alla fine della
stagione, la festa del fuoco in mezzo all'inverno. Lavoro e carità. Pigrizia e lentezza sono malviste. La carità è vista
come opera buona. Condanna dell'oppressione tra esseri umani, della crudeltà verso gli animali e del sacrificio degli
animali. Punti nodali della religione sono l'eguaglianza di tutti gli esseri senza distinzione di razza o credo religioso e
rispetto totale verso ogni cosa. Liturgia. Nello Zoroastrismo l'energia del creatore è rappresentata dal fuoco. I devoti
del culto solitamente pregano alla presenza di qualche forma di fuoco (o davanti a fonti di luce). Il fuoco comunque non
è oggetto di venerazione, ma è utilizzato semplicemente come simbolo e punto centrale del culto zoroastriano.
Anticamente la funzione principale del culto era lo 'Yasna', il sacrificio dell'haoma, pozione a base di erba, bevuta come
liquido sacrificale mentre veniva compiuta una serie complessa di rituali. Tale pratica fu osteggiata da Zarathustra. I
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Estratto da A. Bausani, L’Islam. Una religione, un’etica, una prassi politica
defunto da due angeli a ciò preposti se il fedele non sarà stato in grado di rispondere correttamente a
una specie di interrogatorio religioso; 3) interrogatorio degli angeli Munkar e Nakīr; 4) la
Bilancia, ovvero la bilancia escatologica sulla quale saranno pesati i fogli su cui sono state
registrate le azioni umane dagli angeli preposti; 5) il Ponte (ṣirāṭ), anche questa concezione
escatologica iranica indicante il ponte, sospeso sopra l’inferno, più sottile di un capello e di un filo
di spada, che i resuscitati dovranno attraversare e che vedrà cadere i malvagi nella geenna. Tutte
queste verità escatologiche sono accolte secondo il principio di esegesi teologica ortodossa noto
come balkafīya (“senza come”), secondo il quale si accettano i dati della rivelazione come reali,
senza chiedersene il modo e pur negandone la totale somiglianza con stati terreni.
Infine l’imām, letteralmente praepositus, conosciuto anche come califfo (ḫalīfa, vicereggente,
vicario del Profeta), sarà il successore del Profeta solo in quanto esecutore pratico della sua legge,
già data, quindi in nessun modo suo successore in qualità di profeta. Kāfir, “infedele”, è invece
chiunque smentisca o dichiari mentitore il Profeta.
seguaci dello Zoroastrismo pregano cinque volte al giorno. Altri concetti: Matrimonio interreligioso e proselitismo.
Gli Zoroastriani non hanno attività missionaria e i Parsi conservatori non accettano le conversioni, mentre i Parsi
"liberali" e molti Zoroastriani della diaspora europea e americana le ammettono. In India, i Parsi hanno l'abitudine di
sposarsi tra consanguinei. In Iran, a causa della discriminazione tuttora esistente, il matrimonio tra devoti di religioni
diverse non è ufficialmente incoraggiato dalle autorità. Morte e sepoltura. I rituali religiosi connessi con la morte sono
concentrate sull'anima della persona e non sul corpo, considerato impuro. Alla morte, l'anima lascia il corpo dopo tre
giorni. Nei tempi antichi il cadavere veniva esposto in luoghi aperti e sopraelevati, chiamati torri del Silenzio, dove
l'avrebbero mangiato gli avvoltoi. Anche gli imperatori persiani quali Dario, Ciro, Serse e Artaserse, in quanto
zoroastriani, sono stati spolpati dagli avvoltoi prima di essere sepolti nei rispettivi sepolcri a Persepoli e a Naqs-iRustam. La tradizione dell'esposizione dei cadaveri è attualmente seguita solamente dai Parsi. Gli Zoroastriani dell'Iran
ricorrono alla cremazione elettrica o all'inumazione (in tal caso la bara è posta nel cemento per proteggere la purezza
della terra).
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Estratto da A. Bausani, L’Islam. Una religione, un’etica, una prassi politica