commercio internazionale, protezionismo e politiche agrarie

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COMMERCIO INTERNAZIONALE,
PROTEZIONISMO E POLITICHE AGRARIE:
UN’ANALISI GRAFICA
Dispense didattiche a cura di Fabrizio De Filippis
Roma, aprile 1996
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INDICE
1 - Parte Prima: IL COMMERCIO INTERNAZIONALE
1.1 - Richiami teorici
1.2 - Vantaggi del commercio in equilibrio generale
1.2.1 - Un solo paese
1.2.2 - Vantaggi generalizzati del commercio (2 paesi)
1.3 - I vantaggi del commercio in equilibrio parziale
1.3.1 - Il commercio in un mondo a due paesi
1.3.2 - Equilibrio commerciale tra un paese e il resto del mondo
1.3.3 - Elasticità della domanda di importazioni e dell’offerta di esportazioni
2 - Parte seconda: IL PROTEZIONISMO
2.1 - Le cause del protezionismo
2.2 - Il protezionismo “tariffario”
2.2.1 - Analisi degli effetti del dazio in equilibrio economico generale
2.2.2 - Analisi dei dazi in equilibrio parziale
2.2.3 - Sussidi alle importazioni
2.2.4 - Sussidi alle esportazioni
2.2.5 - Tassa sull’esportazione
2.3 - Il protezionismo non tariffario
2.3.1 - Quote di importazione
2.3.2 - Controlli (quote) sull’esportazione
2.3.3 - Sussidi alla produzione
2.3.4 - Sussidi al consumo
2.3.5 - Tasse sulla produzione e sul consumo
2.4 - Tassi di cambio e protezione
3 - Parte terza: LA MISURA DEL PROTEZIONISMO
3.1. La misura del protezionismo in agricoltura
3.2 - Il tasso nominale di protezione
3.3 - Il concetto di protezione effettiva
3.3.1. Mercato del prodotto e mercato dei fattori
3.3.2 Il tasso effettivo di protezione
3.4 - Un indicatore “aggregato”: Il Producer subsidy equivalent (Pse)
3.4.1 - Definizione
3.4.2 - La componente "protezione nominale" del Pse
3.4.3 - La componente "sussidio" del Pse
3.4.4 - Pse e misure di controllo della produzione
3.4.5 - Pse e dintorni
3
4 - Parte quarta: COMMERCIO INTERNAZIONALE, PROTEZIONISMO, AMBIENTE
4.1 - Ambiente, regolamentazione ambientale e vantaggi comparati
4.2 - Effetti del commercio in presenza di esternalità ambientali
4.3 - Effetti del commercio in presenza di esternalità ambientali e “tasse ottime”
5 - Parte quinta: LE POLITICHE AGRARIE DI SOSTEGNO AI MERCATI ED IL LORO
CONTENUTO PROTEZIONISTICO
5.1 - Introduzione: il sostegno dei prezzi nella politica agraria
5.2 - Il sostegno dei prezzi da parte di un paese “piccolo”
5.2.1 - Il caso di un paese importatore
- Prezzo minimo garantito con prelievi variabili all’importazione
- Integrazione di prezzo
- Una valutazione in chiave “gruppi di interesse”
- Quota di importazione e dazio
- Il sostegno del prezzo in un paese esportatore “piccolo"
5.3 - Politiche di prezzo nel caso di un paese “grande”
5.3.1 - Il caso di un paese importatore
- Prezzo minimo garantito con prelievi variabili all’importazione
- Integrazione di prezzo
- Dazio
5.3.2 - Il caso di un paese esportatore.
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Premessa
Con queste dispense si intende fornire uno strumento didattico di supporto allo studio di alcuni
aspetti della teoria standard del commercio internazionale e del protezionismo, con particolare
riferimento alla analisi degli effetti, oltre che delle misure di natura commerciale, anche degli
interventi di politica agraria di sostegno interno in situazioni di mercato aperto.
Più specificamente, l’obiettivo di questo lavoro è quello di aiutare il lettore ad acquisire piena
familiarità con gli strumenti di analisi grafica degli effetti del commercio internazionale e delle
distorsioni ad esso apportate dagli interventi di natura protezionistica, nell’ambito delle ipotesi
consolidate della teoria tradizionale. La cosa ci è sembrata opportuna per almeno due motivi. Il
primo è che, nonostante la inadeguatezza dell’analisi tradizionale a spiegare ciò che accade nel
mondo reale e lo scarso realismo delle sue ipotesi di base, essa è ancora il punto di partenza
irrinunciabile nello studio del commercio internazionale, e comunque rappresenta un “linguaggio”
e un modo di ragionare che, vista la sua grande diffusione, è impossibile ignorare nell’affrontare
tali questioni.
Un buon esempio è fornito, al riguardo, dal copioso dibattito fiorito in margine al negoziato
agricolo dell’Uruguay round del GATT, protrattosi dal 1986 alla fine del 1993: per tutti gli anni
del negoziato, infatti, al di là di quello che poi è stato il risultato finale, studiosi e policy makers si
sono confrontati su temi quali misure aggregate di sostegno e protezione, tariffe e “tarifficazione”,
barriere non tariffarie, sussidi all’esportazione, etc., utilizzando pienamente l’approccio ed il
modo di ragionare della teoria standard. Anche la stragrande maggioranza delle valutazioni circa
le varie ipotesi di liberalizzazione che di volta in volta si profilavano durante il negoziato, sono
state sempre impostate avendo in mente i modelli domanda-offerta che qui si presentano. Non
conoscere questo tipo di modelli, dunque, significherebbe rinunciare a capire la quasi totalità della
letteratura esistente in materia di commercio internazionale e politiche agrarie.
Il secondo motivo è che, nei tantissimi manuali esistenti in materia di economia internazionale
e di teoria pura del commercio lo spazio dedicato ai vari argomenti che qui si presentano soprattutto a quelli applicativi ed alla relativa analisi grafica - è spesso alquanto limitato e
comunque molto diverso a seconda dei casi, per cui chi ricerca una trattazione sufficientemente
completa e relativamente semplice e compatta, rischia di non trovarla in un unico libro.
Queste dispense nascono come un assemblaggio ragionato di tanti appunti presi qua e là, in
passato usati in tutto o in parte in corsi o pezzi di corsi di differente livello. Come tali, soprattutto
sul piano della discussione e dell’approfondimento teorico, esse non intendono comunque
sostituire lo studio di testi più completi e approfonditi, dei quali devono considerarsi solo un
materiale di supporto.
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PARTE PRIMA
Il commercio internazionale
1. 1 - Richiami teorici
La teoria del commercio internazionale, intendendo con essa una teoria tendente a spiegare sia
le cause che gli effetti del commercio tra paesi, incomincia con Adamo Smith e trova la sua prima
formulazione compiuta in Torrens e Ricardo. Prima ancora, nelle dottrine economiche dei
mercantilisti il commercio internazionale aveva occupato un posto centrale, senza tuttavia che si
fosse sviluppata alcuna teoria circa le sue cause ed i suoi effetti: in un epoca dominata dal
protezionismo, infatti, il commercio internazionale veniva analizzato solo come strumento i
arricchimento di un paese a spese del resto del mondo o come veicolo di sfruttamento coloniale.
Il primo ad analizzare il commercio internazionale in un’ottica libero-scambista di vantaggi
reciproci fu, appunto, Smith, nel quadro della sua più generale teoria della divisione del lavoro:
analogamente a quanto avviene tra i produttori all’interno di un paese, per i quali la possibilità di
scambiare i frutti della propria attività di produzione comporta l’incentivo a sfruttare i vantaggi
della divisione del lavoro e della specializzazione che ad essa consegue, i diversi paesi tenderanno
a specializzarsi nei beni il cui costo di produzione interno è minore che altrove, per poi scambiarli
sul mercato internazionale. Questa di Smith, che è solo un primo abbozzo di teoria, è dunque
basata sul concetto di costo o vantaggio assoluto: nell’ambito di un modello che, per semplicità,
prevede solo due paesi e due beni, se nel paese A il costo del bene x è pari a 10 e quello del bene y
è pari a 50, mentre nel paese B tali costi sono, rispettivamente, 30 e 40, A produrrà ed esporterà il
bene x e B produrrà ed esporterà il bene y. In altri termini, la teoria smithiana consente di spiegare
il commercio tra due paesi A e B solo se le condizioni di offerta sono tali che il costo di
produzione di un bene sia minore nel paese A e quello dell’altro sia minore nel paese B in termini
assoluti. Nel caso, non certo infrequente, in cui uno dei due paesi sia più efficiente dell’altro nella
produzione di entrambi i beni, la teoria smithiana non consente di spiegare la presenza di
commercio.
Tale spiegazione è possibile mediante il concetto di costo (o vantaggio) comparato, elaborato
da Ricardo e Torrens, di cui il concetto smithiano di costo o vantaggio assoluto non è che un caso
particolare. Rimanendo in un modello a due beni, due paesi ed un solo fattore produttivo (il
lavoro), la teoria ricardiana dice che la condizione necessaria per l’esistenza di commercio è un
differente livello dei costi comparati nei due paesi: se ciò accade, infatti, ognuno di essi avrà
convenienza a specializzarsi nella produzione e nella esportazione del bene per il quale ha il costo
comparato minore (o, che è lo stesso, il vantaggio comparato maggiore), cioè rispetto al quale sarà
relativamente più efficiente (o meno inefficiente) nei confronti dell’altro paese. La condizione
sufficiente è che la ragione di scambio internazionale, cioè il prezzo relativo di un bene rispetto
all’altro sul mercato internazionale, sia compresa tra i valori delle ragioni di scambio interne ai
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due paesi in economia chiusa. In queste condizioni il commercio avvantaggia entrambi i paesi,
traducendosi per entrambi in un aumento delle possibilità di consumo di tutti e due i beni.
A titolo di esempio, i costi assoluti nei due paesi A e B, in termini di giornate di lavoro
necessarie per produrre ciascuno dei due beni (x e y), siano i seguenti:
Bene x
bene y
Paese A
3
12
Paese B
2
4
Come è facile notare, il paese B risulta più efficiente in entrambe le produzioni: infatti i suoi
costi assoluti, in termini di giornate di lavoro necessarie per unità di prodotto sono minori di
quelli del paese A per entrambi i beni. Ma vediamo come si calcolano i costi comparati.
Ragionando “per colonna”, si vede che la produttività del paese B è pari ai 3/2 di quella del paese
A nella produzione di x (3/2 è, infatti il rapporto tra le ore di lavoro necessarie per produrre il
bene x nei due paesi), mentre essa é ben il triplo nella produzione del bene y (4 giornate di lavoro
contro 12): ciò significa che il paese B, pur avendo costi assoluti minori per entrambi i beni, ha un
vantaggio comparato relativamente maggiore nella produzione di y; e che parallelamente il paese
A, pur avendo costi assoluti maggiori per entrambi i bei, ha un costo comparato (cioè uno
svantaggio relativamente minore) nella produzione del bene x. Converrà, allora, che il paese B si
specializzi nella produzione e nella esportazione del bene y ed il paese A in quella di x.
Questo risultato, sempre in riferimento all’esempio da cui siamo partiti, si può ottenere anche
ragionando “per riga”: confrontando, cioè, i costi relativi dei due beni all’interno di ciascun paese,
vale a dire quelle che sarebbero le ragioni di scambio interne tra i due beni nei due paesi in
assenza di commercio:
paese A
3x = 12y;
y = 4x;
x = (1/4)y
paese B
2x = 4y;
y = 2x;
x = (1/2)y
Nel paese A una unità del bene y, in economia chiusa, si scambierebbe con 4 unità del bene x,
dal momento che il costo di produzione di x è quattro volte inferiore a quello di y. La ragione di
scambio interna è dunque pari a 4. Analogamente, nel paese B, una unità di y si scambierebbe con
2 unità di x: la ragione di scambio interna è pari a 2. Se la ragione di scambio internazionale è
compresa tra le due ragioni di scambio interne (se, per esempio, è pari a 3), entrambi i paesi
avranno convenienza alla specializzazione ed allo scambio, con un risultato del tutto analogo a
quello già ottenuto in precedenza: il paese A si specializzerà nel bene x, che esporterà in cambio
del bene y, nella cui produzione si specializzerà il paese B, che lo esporterà in cambio del bene x.
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Per capire tale affermazione, conviene ragionare in termini di “costo-opportunità”, cioè in
termini della quantità di un bene a cui si deve rinunciare per ottenere una unità dell’altro. In
economia chiusa, nel paese A per produrre una unità di si y devono impiegare 12 giornate di
lavoro e, dunque, si deve rinunciare alle 4 unità di x che con esse si potrebbero produrre.
Importando una unità di y alla ragione di scambio internazionale, il suo “costo” espresso in
termini di quantità di x cui si deve rinunciare sarà pari solo a tre unità di tale bene, ovvero solo a 9
giornate di lavoro, con un risparmio di tre giornate di lavoro. Analogamente, nel paese B, il costo
di x è pari a due giornate di lavoro; ovvero, in assenza di commercio, esso è pari, in termini di
costo-opportunità, a mezza unità di y; se, invece, il paese B importa x alla ragione di scambio
internazionale, il suo costo unitario sarà minore, in quanto pari solo ad 1/3 di y.
Riassumendo, per ogni unità del bene y (importato dal paese A ed esportato da B) che viene
scambiata sul mercato internazionale al prezzo relativo di tre unità del bene x (importato dal paese
B ed esportato da A), i guadagni dei due paesi in termini di giornate di lavoro risparmiate sono i
seguenti:
bene x
bene y
risparmio di lavoro
paese A
esporta 3 unità
(pari a 9 gg di lavoro)
importa 1 unità
(pari a 12 gg di lavoro)
3 gg di lavoro
(12 - 9)
paese B
importa 3 unità
(pari a 6 gg di lavoro)
esporta 1 unità
(pari a 4 gg di lavoro)
2 gg di lavoro
(4 - 2)
Si può notare che i guadagni complessivi derivanti dal commercio saranno tanto maggiori
quanto più differiscono i costi comparati dei paesi che vi partecipano, ovvero quanto più
differiscono le ragioni di scambio interne in economia chiusa. La distribuzione del guadagno
complessivo tra i due paesi dipenderà, invece, dal valore in cui si colloca la ragione di scambio
internazionale: in particolare, la fetta del guadagno complessivo catturata da un paese sarà tanto
maggiore quanto più la ragione di scambio internazionale differisce dalla sua ragione di scambio
interna di economia chiusa. Se, nel nostro esempio, la ragione di scambio internazionale fosse di 4
unità di x per una unità di y, cioè uguale a quella interna del paese A, quest’ultimo non avrebbe
nulla da guadagnare dal commercio, mentre il paese B vedrebbe massimizzato il proprio
guadagno, fino ad un ammontare pari a 4 giornate di lavoro per ogni unità esportata del bene y
contro l’importazione di quattro unità di x.
Come è ovvio, quello appena descritto è un modello molto semplificato, che si basa su una
serie di ipotesi estremamente restrittive (esistenza di un solo fattore produttivo; assenza della
moneta e, dunque, di prezzi, salari, tassi di cambio; proporzionalità tra contenuto di lavoro e
prezzi di offerta, assenza di economie di scala). Inoltre, manca completamente la presa in
considerazioni di variabili relative alla domanda, per cui la ragione di scambio internazionale
risulta indeterminata nel modello appena descritto. Ancora, la teoria spiega, con la esistenza di
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costi comparati diversi tra i diversi paesi, perché esiste il commercio e perché esso genera
vantaggi, ma non spiega quale sia la causa della diversità nei costi comparati.
Gli sviluppi successivi si sono preoccupati, appunto, di rendere più generale la teoria
ricardiana, inglobando la nozione di costi (o vantaggi) comparati nell’ambito del modello
neoclassico di concorrenza perfetta, per cercare di spiegare, insieme ai vantaggi, anche le cause
del commercio.
L’approdo di tali sviluppi, che rappresenta uno dei capisaldi dell’intero edificio teorico
neoclassico, è costituito dal cosiddetto modello di Heckscher-Ohlin-Samuelson, che individua le
cause della diversità dei costi comparati tra i diversi paesi e, dunque, le cause del (e gli incentivi
al) commercio internazionale nella loro diversa dotazione fattoriale. Le ipotesi del modello sono
numerose ed anche molto forti. Più in particolare, in un modello semplificato 2x2x2 (due beni,
due paesi, due fattori) esse si possono dividere in tre gruppi:
A)Ipotesi generali:
- assenza di costi di trasporto;
- concorrenza perfetta nel mercato dei prodotti e dei fattori;
- completa immobilità dei fattori e completa mobilità dei prodotti a livello internazionale;
- piena occupazione dei fattori;
- dotazione data, misurabilità fisica ed uguale qualità dei fattori.
B)Ipotesi sulle condizioni della produzione:
- uguali funzioni di produzione nei due paesi per ciascuno dei due prodotti;
- non reversibilità fattoriale: uno dei due beni è sempre più intensivo di un dato fattore rispetto
all’altro, per qualsiasi livello dei prezzi relativi dei fattori1
- rendimenti costanti di scala.
C)Ipotesi sulle variabili di domanda
- esistenza di gusti uguali nei diversi paesi2;
- elasticità della domanda rispetto al reddito pari ad 1 per entrambi i paesi3.
Sotto queste ipotesi, si può dimostrare che:
1)ciascun paese tenderà a specializzarsi nella produzione del (ed esporterà il) bene che risulta
maggiormente intensivo del fattore detenuto dal paese stesso in quantità relativamente più
abbondante;
2)il prezzo dei fattori nei due paesi, in conseguenza del commercio, tenderà a pareggiarsi;
3)al mutare della propria dotazione di fattori, in un paese aumenterà la produzione (e, dunque
aumenteranno le esportazioni o diminuiranno le importazioni) del bene che risulta intensivo
del fattore la cui quantità è aumentata in termini relativi e diminuirà la produzione dell’altro
bene.
1Con funzioni di produzione omogenee ciò accade se gli isoquanti unitari relativi ai due beni si incrociano una sola
volta
2Ciò implica che, a parità di reddito e di prezzo relativo tra i due beni, il valore dei consumi di ogni bene sarà lo
stesso nei due paesi.
3Ciò implica che, a parità di prezzo relativo tra i due beni, il rapporto tra i loro consumi é lo stesso per diversi livelli
di reddito procapite
9
Non è questa la sede per illustrare in dettaglio i passaggi e le implicazioni della teoria
neoclassica del commercio internazionale, né tantomeno per discutere gli sviluppi delle cosiddette
“nuove teorie”, che ad essa sono seguite, come suoi affinamenti o come conseguenza della
rimozione di una (o più) su cui si regge il modello base4. Più ancora delle cause del commercio,
ciò che qui ci interessa in modo particolare è, infatti, l’analisi dei suoi potenziali vantaggi, sotto la
tradizionale ipotesi di mercati concorrenziali. Ciò, infatti, costituisce il riferimento essenziale per
ciò che rappresenta l’obiettivo principale - certamente meno ambizioso - di questo lavoro: vale a
dire il tentativo di aiutare il lettore a familiarizzarsi pienamente con l’analisi - in particolare, con
l’analisi grafica - degli effetti del protezionismo; cioè di tutte le misure di politica economica
nazionali - particolarmente numerose e pervasive per quanto riguarda l’agricoltura - che hanno
come conseguenza diretta o indiretta quella di ostacolare il libero commercio e, dunque, di alterare
l’ammontare e la distribuzione del benessere ad esso associato.
Nel seguito completeremo questa prima parte dedicata al richiamo di alcuni elementi di teoria
del commercio internazionale, proponendo vari tipi di rappresentazione grafica dei suoi vantaggi.
Inizieremo, nel paragrafo immediatamente successivo, con la rappresentazione degli effetti del
commercio in un contesto di equilibrio economico generale; per poi passare all’approccio di
equilibrio parziale, più semplice e, soprattutto, più maneggevole per i ragionamenti di statica
comparata che proporremo. Quest’ultimo approccio, che è il più comunemente adottato nello
studio degli effetti del protezionismo agricolo e delle politiche agrarie, è appunto quello al quale
faremo ampio ricorso nella trattazione delle parti successive.
4I
testi che contengono una trattazione completa di quella che si definisce la teoria pura del commercio
internazionale e delle sue estensioni sono numerosissimi. Si vedano, tra gli altri, quelli di Salvatore (1992), Gandolfo
(1986), Sodersten (1980), Onida (1984), Shone (1972); per le applicazioni al commercio agricolo, Houck (1986).
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1.2 - Vantaggi del commercio in equilibrio generale
1.2.1 - Un solo paese
Con riferimento alla figura 1, sia TT la curva delle possibilità produttive per un dato paese dei
due beni X e Y: ogni punto che giace su di essa, come è noto, esprime la quantità massima
producibile di uno dei due beni in corrispondenza di ciascun livello di produzione dell’altro, data
la dotazione di fattori produttivi disponibili5. Inoltre, sia I1, ..., In la mappa delle curve di
indifferenza sociale, che esprime le condizioni di domanda esistenti per X e Y nel paese in
questione6.
In una situazione di economia chiusa il paese si dovrebbe collocare nel punto C, cioè in
corrispondenza del punto in cui vi è tangenza tra la curva delle possibilità produttive TT e la
curva di indifferenza sociale il più possibile lontana dall’origine: in tale punto il saggio marginale
di trasformazione (pendenza TT) eguaglia il saggio marginale di sostituzione (pendenza I); a ciò si
adeguerà anche il rapporto tra i prezzi di X e di Y, cioè la ragione di scambio interna (retta R1)
che, dunque, sarà tangente sia alla TT che alla I nel punto C.
In una situazione di economia aperta, il rapporto tra i prezzi di X e di Y che vi è sul mercato
mondiale determina la ragione di scambio internazionale: se questa ha pendenza diversa dalla
ragione di scambio interna, il paese in questione può aumentare il suo benessere, giacche con lo
scambio di prodotti può consumare una combinazione di X e di Y esterna alla sua frontiera delle
possibilità produttive, irraggiungibile in una situazione di economia chiusa.
Ipotizziamo che la ragione di scambio internazionale sia rappresentata dalla pendenza della R2.
Questa è maggiore della R1, e ciò implica che sul mercato internazionale il bene X è
relativamente più caro del bene Y rispetto a quanto avviene sul mercato interno in regime di
autarchia. Ciò renderà conveniente, per il paese che stiamo analizzando, vendere il bene X sul
mercato internazionale ed importare il bene Y, ottenendo, di quest’ultimo, una quantità maggiore
di quella ottenibile in base alla ragione di scambio interna.
Nel breve periodo, essendo il mix produttivo già collocato sulla quantità OA del bene X e sulla
quantità OB del bene Y, le preferenze dei consumatori (espresse dalle I) renderanno conveniente
importare ED di Y in cambio di DC di X. In altri termini, fermo restando la quantità prodotta
internamente dei due beni, il paese, attraverso l’import-export, potrà modificarne le quantità
consumate: in particolare, grazie al commercio il paese potrà consumare OD’ (< OA) di X e OL
(>OB) di Y, collocandosi - è questo il punto importante - sulla curva di indifferenza I2, superiore
alla I1 e, dunque, corrispondente ad un maggior livello di benessere rispetto alla situazione di
autarchia.
5La
TT rappresenta, dunque, le condizioni di ottimo dal lato della produzione: qualunque punto esterno alla frontiera
é irraggiungibile con la dotazione di fattori produttivi disponibile e qualunque punto ad essa interno corrisponde ad
una allocazione non ottimale dei fattori stessi. La forma concava della TT dipende dalla ipotesi di produttività
marginale decrescente dei fattori.
6Il dibattito teorico sulle possibilità di ottenere una funzione del benessere, da cui erivare una mappa di indifferenza
sociale, é amplissimo, e non é certo questa la sede per addentrarvisi, visto che ne faremo uso solo a puro scopo
didattico.
11
Nel lungo periodo, la produzione si aggiusterà al nuovo rapporto tra i prezzi determinato dalla
ragione di scambio internazionale, attestandosi in F. Il paese produrrà OA’ (>OA) di X e OB’
(<OB) di Y; si “specializzerà”, dunque, nella produzione del bene esportato X e ciò, tramite lo
scambio, gli consentirà di consumare OG’ (>OD’) di X e OM (>OL) di Y.
Bene Y
G
M
L
E
I3
T
I2
D
B
C
I1
B'
F
H
R1
R3
R2
O
D' G'
A
A'
T
Bene X
Fig.1 - Vantaggi del commercio (1 paese)
Si può notare che, in termini di benessere, il punto G (che giace sulla curva di indifferenza I3) è
superiore al punto E, che a sua volta era superiore a C. EDC e GHF sono i cosiddetti “triangoli
dello scambio”, la cui area è una misura dei guadagni di benessere ottenibili con il commercio:
12
tanto più grande è il triangolo dello scambio, tanto maggiore è la specializzazione ed il volume di
commercio e, con essi, il guadagno di benessere conseguibili da un paese.
1.2.2 - Vantaggi generalizzati del commercio (2 paesi)
Con un ragionamento analogo a quello condotto nel grafico precedente ed utilizzando gli stessi
ingredienti (curva delle possibilità produttive e curve di indifferenza), è possibile dimostrare che il
commercio genera guadagni per tutti i paesi che vi partecipano. In altri termini, come si è già
ricordato, il commercio internazionale è un “gioco a somma positiva”, che conduce ad un
miglioramento di benessere in senso paretiano: nell’ipotesi di mercati concorrenziali, infatti, i
vantaggi del singolo paese non sono carpiti a scapito di altri, ma sono una fetta del maggior
benessere per tutti che viene creato dal commercio internazionale e dalla più efficiente
allocazione tra paesi dei fattori (nella sfera della produzione) e dei prodotti (nella sfera del
consumo) che ne consegue. Per dimostrare tale affermazione, consideriamo un modello a 2
prodotti e due paesi, rispetto al quale sono possibili tre casi:
1)Nei due paesi vi sono uguali condizioni di offerta dei due beni (la curva delle possibilità
produttive è la stessa) ma diverse condizioni di domanda (le curve di indifferenza sono
diverse) (figura 2).
2)Nei due paesi vi sono diverse condizioni di offerta ma uguali condizioni di domanda: questo
caso (figura 3) è particolarmente rilevante perché corrisponde alle ipotesi del modello di
Heckscher-Ohlin-Samuelson. In esso, pur essendo ipotizzate identiche le funzioni di
produzione di ogni prodotto nei due paesi, le curve delle possibilità produttive sono diverse in
ragione della diversa dotazione fattoriale dei paesi, che genera un diverso vantaggio comparato
nella produzione dei due beni.
3)Nei due paesi vi sono diverse condizioni sia di domanda che di offerta dei due beni (figura 4).
Nella figura 2 è rappresentato il primo caso: il paese 1 ed il paese 2 hanno identiche condizioni
di offerta, rappresentata dalla stessa curva delle possibilità produttive (TT), ma differenti
condizioni di domanda, rappresentate da mappe di indifferenza (I1 e I2) diverse. In una situazione
di autarchia, dunque, in assenza di commercio il paese 1 si collocherebbe in B (producendo e
consumando CX1, di X e CY1 di Y), con una ragione di scambio interna che sarebbe data dalla
R1; il paese 2 si collocherebbe in A (producendo e consumando CX2 di X e CY2 di Y), con una
ragione di scambio interna che sarebbe data dalla R2. In altri termini, in assenza di commercio, il
prezzo del bene X sarebbe relativamente maggiore nel paese 2 che nel paese 1 e viceversa per il
prezzo di Y.
Ipotizziamo ora una apertura delle frontiere, con una ragione di scambio internazionale (RI)
intermedia tra R1 ed R2. Intuitivamente, la modifica dei prezzi relativi dovrebbe rendere
conveniente, per ogni paese, importare il bene il cui prezzo internazionale è minore di quello
interno ed esportare l’altro, il cui prezzo internazionale è invece maggiore. Conseguentemente il
paese 1 (dove Y era relativamente più caro in base alla R1) dovrebbe avere convenienza ad
13
importare Y ed esportare X. In effetti, alle nuove condizioni di equilibrio (consideriamo qui
direttamente l’equilibrio di lungo periodo), ciò è proprio quello che succede.
Bene Y
I "1
CY '1
B'
I '1
T
B
CY1
R1
QY
Q
E
R2
A
CY2
A'
CY '2
F
I "2
I '2
RI
O
CX '1 CX1
QX
CX2 T
CX '2
BeneX
Fig.2 - Caso 1: Specializzazione internazionale con identità delle condizioni di offerta e diversità
nelle condizioni di domanda dei due paesi
Data la nuova ragione di scambio RI, entrambi i paesi si collocheranno nel punto Q (tangenza
tra RI e TT), producendo entrambi Qy di Y e Qx di X. Quindi, scambiando lungo la RI, il paese 1
si collocherà in B’ ed il paese 2 in A’; entrambi, cioè, raggiungeranno curve di indifferenza più
elevate, corrispondenti ad un maggior benessere, cui corrispondono panieri di consumo esterni
alla curva delle possibilità produttive e, dunque, irraggiungibili in economia chiusa. In particolare,
il paese 1 esporterà EQ di X (produzione OQx - consumo CX’1) ed importerà EB’ di Y (consumo
CY’1 - produzione OQy); mentre il paese 2 esporterà QF di Y (produzione QY - consumo CY’2)
ed importerà FA’ di X (consumo CX’2 - produzione Qx)
Venendo al secondo caso, esso è rappresentato nella figura 3, dove TT1 è la curva delle
possibilità produttive del paese 1, TT2 quella del paese e I1, ..., In è la mappa di indifferenza,
uguale nei due paesi. In economia chiusa il paese 1 sarà in equilibrio nel punto B (in cui produce e
consuma CY1 di Y e CX1 di X) ed il paese 2 in A (in cui produce e consuma CY2 di Y e CX2 di
X). Le ragioni di scambio interne saranno rispettivamente R1 ed R2: infatti, a parità di condizioni
di domanda, nel paese 1, la cui vocazione produttiva è più orientata verso il bene Y che verso X,
Y sarà relativamente più a buon mercato di X, e viceversa nel paese 2.
14
All’apertura delle frontiere, ipotizzando una ragione di scambio internazionale intermedia tra
R1 e R2 e pari alla pendenza della RI, i nuovi equilibri sul fronte della produzione si
collocheranno, rispettivamente, in B’ per il paese 1 e in A’ per il paese 2; a partire da qui,
mediante lo scambio, entrambi i paesi potranno pervenire, sul fronte del consumo, al punto C,
appartenente ad una curva di indifferenza superiore a quella raggiungibile in economia chiusa.
Bene Y
RI
R1
B'
QY1
B
CY1
C
CY
D
In
TT2
I'
A
CY2
I
A'
QY2
TT1
O
QX1
CX1
E'
R2
RI
CX
CX2
QX2
Bene X
Fig.3 - Caso 2: specializzazione internazionale con identità delle condizioni di domanda e diversità nelle
condizioni di offerta dei due paesi (caso Eckscher-Ohlin)
Rispetto alla ragione di scambio interna, la ragione di scambio internazionale valorizza, per
entrambi i paesi, il bene relativamente più a buon mercato, quello verso il quale è maggiormente
orientata la vocazione produttiva interna; e fornisce, quindi, un incentivo alla ulteriore
specializzazione verso quel bene (Y per il paese 1 ed X per il paese). In sintesi, il paese 1
esporterà B’D di Y (produzione QY1 - consumo CY) ed importerà DC di X (consumo CX produzione QX1); mentre il paese 2 esporterà A’E di X (produzione QX2 - consumo CX) ed
importerà EC di Y (consumo CY - produzione QY2)
Il terzo caso è rappresentato nella figura 4, dove il ragionamento è del tutto analogo a quello
dei grafici precedenti; l’unica differenza è che qui abbiamo due diverse curve delle possibilità
produttive (TT1 e TT2) e due diverse mappe di indifferenza (I1 e I2). In economia chiusa
l’equilibrio è in B per il paese 1 (che produce e consuma Y1 del bene Y ed X1 del bene X) ed in A
per il paese 2 (che produce e consuma Y2 del bene Y ed X2 del bene X). Le ragioni di scambio
15
interne sono, rispettivamente, R1 ed R2, con il bene Y relativamente più caro nel paese 2 ed il
bene X relativamente più caro nel paese 1.
Se, al solito, ipotizziamo una ragione di scambio internazionale pari alla pendenza della retta
RI, cioè intermedia tra R1 ed R2, il commercio consentirà ad entrambi i paesi di migliorare il
proprio livello di benessere, raggiungendo un punto di consumo esterno alla frontiera delle
possibilità produttive e giacente su una curva di indifferenza più elevata.
Bene Y
R1
RI
B'
QY1
B
Y1
CY1
B"
C
I '1
I1
A"
CY2
TT2
I '2
A
Y2
I2
A'
QY2
R2
D
TT1
O
QX1
X1
RI
CX1
CX2 X2
QX2
Bene X
Fig.4 - Caso 3: specializzazione internazionale con diverse condizioni sia di offerta che di domanda
L’equilibrio finale di economia aperta sarà il seguente:
a)sul fronte della produzione, il paese 1 si collocherà nel punto B’ (tangenza di RI con TT1),
mentre il paese 2 si collocherà in A’ per (tangenza tra RI e TT2);
b) sul fronte del consumo, il paese 1 si collocherà in B” (tangenza RI e I’1) ed il paese 2 in A”
(tangenza tra RI e I’2).
In sintesi, il paese 1 esporterà BC’ di Y (produzione QY1 - consumo CY1) ed importerà CB” di
X (consumo CX1 - Produzione QX1); mentre il paese 2 esporterà DA’ di X (produzione QX2 consumo CX2) ed importerà DA” di Y (consumo CY2- produzione QY2).
16
1.3 - I vantaggi del commercio in equilibrio parziale
L’analisi fin qui condotta ha illustrato i vantaggi del commercio internazionale in un contesto
di equilibrio economico generale. Nelle pagine che seguono, invece, si utilizzerà la statica
comparata secondo un approccio di equilibrio parziale: in altre parole, si prenderà di volta in volta
in considerazione il mercato di un solo prodotto e si confronteranno le situazioni di equilibrio di
partenza e di “arrivo”, ipotizzando irrilevanti gli effetti sul resto del sistema economico delle
modifiche che si producono nel singolo mercato che si analizza. Ciò autorizza a condurre l’analisi
rispettando l’ipotesi del ceteris paribus, ignorando qualunque “effetto di ritorno”.
Più in particolare si ragionerà in termini di curve di domanda e di offerta o di eccesso di
domanda ed eccesso di offerta e gli effetti di benessere saranno ricavati in riferimento ai concetti
di surplus del consumatore (l’area al di sopra della linea del prezzo, compresa tra la curva di
domanda e l’asse delle ordinate) e di surplus del produttore (l’area al di sotto della linea del
prezzo, compresa tra la curva di offerta e l’asse delle ordinate). Le variazioni di tali surplus,
insieme agli effetti di bilancio di eventuali politiche, saranno sommate algebricamente per
ottenere gli effetti complessivi di benessere dei nostri esercizi di statica comparata. La possibilità
di operare una tale “contabilità” riposa su ipotesi molto forti; tuttavia, come si è già avuto modo
di sottolineare, è proprio questo l’approccio maggiormente utilizzato nelle analisi del commercio
internazionale e nello studio degli effetti delle misure protezionistiche.
1.3.1- Il commercio in un mondo a due paesi
Con riferimento alla figura 5, partiamo da una situazione di economia chiusa: l’equilibrio tra
domanda e offerta si ha al prezzo P1 nel paese 1 ed al prezzo P2 nel paese 2. Con l’apertura delle
frontiere, si determinerà un prezzo internazionale (Pw) minore di P1 e maggiore di P2. Nell’ipotesi
semplificatrice di un mondo a 2 soli paesi, Pw si attesterà ad un livello tale che l’eccesso di
domanda, cioè l’importazione del paese 1 (BC), eguaglia l’eccesso di offerta, cioè l’esportazione
del paese 2 (FG).
In entrambi i paesi il commercio determina un guadagno di benessere. Nel paese 1, infatti,
dove il prezzo e la produzione interna diminuiscono ed il consumo aumenta, i consumatori
guadagnano (P1ABPw) ed i produttori perdono (AP1PwC); ma il guadagno dei primi eccede la
perdita dei secondi per un ammontare pari a ABC. Nel paese 2, viceversa, il prezzo e la
produzione interna aumentano, mentre diminuisce il consumo: di conseguenza, i produttori
guadagnano (PwGHP2) e i consumatori perdono (PwFHP2), con un incremento netto di
benessere pari a FGH. Le cause dell’incremento netto di benessere che si ha in conseguenza del
commercio sono le seguenti tre:
1)parte della vecchia produzione nazionale del paese importatore è stata sostituita con
produzione a minor costo del paese esportatore, più efficiente.
2)Parte del vecchio consumo del paese esportatore è stato sostituito da consumo del paese
importatore, cioè da parte di consumatori che partivano da una situazione di minore
17
soddisfazione relativa, dovendo originariamente pagare un prezzo più alto per una minore
quantità consumata.
3)Rispetto alla situazione di autarchia, nell’insieme dei due paesi si produce (e si consuma)
di più: OL + OE (produzione totale in regime di libero scambio) = OI + OD (consumo
totale in regime di libero scambio) è, infatti, maggiore di AP1 + P2H (produzione e
consumo in regime di autarchia).
D1
S1
PAESE 2
(ESPORTATORE)
PAESE 1
(IMPORTATORE)
A
B
P1
C
Pw
F
P2
G
H
D2
S2
D
IMPORT
E
O
I
EXPORT
L
Fig.5 - Guadagni del commercio: un prodotto e due paesi
La stessa situazione la si può rappresentare, con maggior dettaglio, mediante le curve di
eccesso di domanda (domanda di importazioni) e di eccesso di offerta (offerta di esportazioni)
che i due paesi riversano sul mercato mondiale. Nella parte centrale (B) della figura 6 è
rappresentato tale mercato, sempre nell’ipotesi di un mondo a due soli paesi. In esso SE2 è
l’offerta di esportazioni del paese 2 (eccesso di offerta), mentre DI1 è la domanda di importazioni
del paese 1 (eccesso di domanda).
Le curve DI e SE si derivano dalle curve di offerta e domanda interne dei rispettivi paesi per
somma orizzontale: per ogni livello di prezzo DI1 = D1 - S1 e SE2 = S2 - D2. Ad esempio, il punto
F del grafico (A), relativo al prezzo P1, corrisponde al punto F’ del grafico (B): infatti, in F, D1 =
S1, quindi, in F’, DI1 = 0; analogamente, il punto G (S2 = D2) del grafico (C) corrisponde al punto
G’ (SE2 = 0) del grafico (B). Ancora, in corrispondenza del prezzo Pw, i segmenti (uguali) BC
18
(D1 - S1) e DE (S2 - D2) che leggiamo nei grafici (A) e (C), corrispondono al punto A su SE2 e
DI1 nel grafico B.
F'
F
P1
D2
SE2
S2
B
Pw
C
A
Pw
Pw
P2
G'
D
E
G
DI1
D1
S1
(A)
PAESE 1
(importatore)
(B)
MERCATO MONDIALE
(C)
PAESE 2
(esportatore)
Fig.6 - Derivazione del prezzo internazionale e dei flussi di commercio con curve di eccesso di domanda (DI) ed eccesso
di offerta (SE)
Ovviamente si avrà equilibrio quando la DI1 (che diminuisce al crescere del prezzo) eguaglia la
SE2 (che aumenta all’aumentare del prezzo). Ciò avviene nel punto A, in corrispondenza del
quale PwA = BC (importazioni del paese 1) = DE (esportazioni del paese 2). In termini di
benessere il paese 1 guadagna l’area BCF (differenza tra guadagno dei consumatori e perdita dei
produttori); il paese 2 guadagna l’area DEG (differenza tra guadagno dei produttori e perdita dei
consumatori). Tali guadagni di benessere si possono leggere anche sul grafico relativo al mercato
mondiale, dove essi sono dati, rispettivamente, dai triangoli PwAF’ (= BFC) e PwAG’ (= DEG).
1.3.2 - Equilibrio commerciale tra un paese e il resto del mondo
Rimuoviamo ora l’ipotesi di un mondo a due soli paesi e valutiamo l’equilibrio di un paese
(A), rispetto al resto del mondo. Rappresentiamo quest’ultimo nella parte destra delle Figg.7 ed 8,
dove il prezzo mondiale (Pw) si forma dall’incontro di una domanda mondiale di importazioni
(DI) e di un’offerta mondiale di esportazioni (SE).
Incominciamo dal caso di un paese (A) importatore (figura 7). Finché il paese A rimane in una
situazione di chiusura al commercio, il suo prezzo interno sarà P1, come incontro tra DA e SA,
cioè tra domanda e offerta interne; sul mercato mondiale il prezzo sarà invece Pw1, come incontro
tra la domanda di importazioni DIw e l’offerta di esportazioni SEw presenti sul mercato mondiale,
di cui non fa parte il nostro paese.
Quando si aprono le frontiere, il paese A sarà importatore, poiché P1 è maggiore di Pw1. In
realtà, per prezzi mondiali superiori a P1, il paese A diventerebbe esportatore. Tutto ciò implica
19
che le curve complessive di domanda mondiale di importazione (DIw) e di offerta mondiale di
esportazione (SEw) devono tener conto dell’arrivo sul mercato internazionale del paese A: ciò
significa che, per prezzi inferiori a P1, sul mercato mondiale alla DIw si aggiunge la domanda di
importazioni di A, e quindi la DIw, dal punto F in poi, slitta verso destra, diventando la DI’w
(DI’w = DIw + DI paese A).
P
SA
DA
P
SEw
SEw'
P1
P1
D
E
Pw2
F
G
B
C
Pw1
A
DI 'w
DIw
PAESE A
MERCATO MONDIALE
Fig.7 - Equilibrio commerciale tra un paese e il resto del mondo (caso di paese importatore)
Analogamente, per prezzi mondiali superiori P1, poiché il paese A diventerebbe esportatore, la
SEw slitterebbe verso la SE’w dal punto G in poi, data l’offerta aggiuntiva di esportazioni
proveniente dal paese A. In realtà si tratta solo di una possibilità teorica poiché, nel caso descritto
dal grafico, lo slittamento rilevante per il nuovo equilibrio è soltanto quello della DIw.
Il nuovo equilibrio si avrà in corrispondenza dell’incontro tra la nuova curva di domanda di
importazioni (DI’w) e della vecchia curva di offerta di esportazioni che, ovviamente, rimane
inalterata: ciò avviene nel punto in cui il prezzo mondiale diventa Pw2 (maggiore di Pw1), in
corrispondenza del quale il paese A importerà la quantità DE (= CB). Si può notare che la
variazione del prezzo mondiale che si determina come conseguenza dell’entrata nel commercio
internazionale del paese A sarà, per così dire, direttamente proporzionale alle sue “dimensioni”
rispetto al mercato internazionale; più in particolare, nel caso che stiamo esaminando, la
variazione del prezzo mondiale sarà direttamente proporzionale alla grandezza relativa
dell’eccesso di domanda del paese in questione rispetto alla domanda di importazioni (DIw) totale.
Passando al caso di un paese (B) esportatore, come si vede dalla figura 8, il ragionamento è del
tutto analogo a quello appena svolto per il paese importatore. In economia chiusa P1 è il prezzo
nel paese B, ed esso è minore del prezzo mondiale (Pw1). Di conseguenza, all’apertura delle
frontiere, per prezzi mondiali superiori a P1, il paese B risulterà esportatore e la sua offerta di
esportazione “si aggiungerà” a quella mondiale facendola slittare da SEw a SEw’. Il nuovo prezzo
20
mondiale sarà Pw2 (minore di Pw1), con una esportazione del paese B verso il resto del mondo che
sarà pari a DE (= CB).
DB
SB
SEw
A
Pw1
C
D
E
SE 'w
B
Pw2
F
P1
G
DIw
PAESE B
DI 'w
MERCATO MONDIALE
Fig.8 - Equilibrio commerciale tra un paese e il resto del mondo (caso del paese esportatore)
Si può notare che, rispetto al grafico precedente, la variazione (in questo caso la diminuzione)
del prezzo mondiale è minore. Ciò dipende dal fatto che il paese B è relativamente “più piccolo”
del paese A del grafico precedente: in corrispondenza del prezzo di equilibrio Pw2 la sua offerta di
export (segmento DE) è, infatti, minore della domanda di importazione del paese A (il segmento
DE del grafico precedente).
1.3.3 - Elasticità della domanda di importazioni e dell’offerta di esportazioni
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, le funzioni di domanda di importazioni e di
offerta di esportazioni di un paese non sono altro che le sue funzioni di eccesso di domanda e di
eccesso di offerta, in corrispondenza di ogni livello del prezzo. In questo paragrafo vogliamo
mostrare le relazioni che intercorrono tra la elasticità-prezzo della domanda (D) e dell’offerta (S)
interne e la elasticità-prezzo della domanda di importazioni (DI) e dell’offerta di esportazioni
(SE). In particolare, mostreremo che l’elasticità della domanda di importazioni è comunque
maggiore (o uguale), in valore assoluto, della elasticità della domanda interna e che,
analogamente, l’elasticità dell’offerta di esportazioni è comunque maggiore o uguale della
elasticità dell’offerta interna.
Elasticità della domanda di importazioni di un paese
Siano DI la domanda di importazioni e D e S la domanda e l’offerta interne. Come si è appena
detto, DI non è altro che l’eccesso di domanda:
21
DI = D - S
La elasticità-prezzo della domanda di importazioni (Iµ I), applicando la formula della elasticità,
è data da:
dDI
P
µ I = dP * DI
sostituendo DI = D - S:
µI =
{dD
dP
dS
P
– dP } * DI
moltiplicando e dividendo per D e per S:
dD
P
D
dS
P
S
µ I = dP * D * DI – dP * S * DI
D
S
µ I = µ D * DI – µ S * DI
Dove µ D ed µ S sono l’elasticità-prezzo della domanda e dell’offerta interne. Poiché µ D è
negativa mentre µ S è positiva, in valori assoluti si ha:
D
S
µ I = µ D * DI – µ S * DI
Quindi, non solo l’elasticità della domanda di importazioni è sicuramente maggiore, in valore
assoluto, della elasticità della domanda interna, ma è tanto maggiore di quest’ultima:
a)quanto maggiore è l’elasticità dell’offerta interna (µ S )
b)quanto maggiore è l’offerta interna (S) rispetto alle importazioni (DI)
c)quanto più piccola è la quota delle importazioni (DI) nel soddisfacimento della
domanda interna (D); cioè quanto più alto è il rapporto D/DI
Ovviamente, se per un prodotto non c’è offerta interna (D = DI e µ S = 0), la domanda di
importazioni (e quindi anche la relativa elasticità) coincide con la domanda interna.
Elasticità dell’offerta di esportazioni di un paese
Sia SE l’offerta di esportazioni, espressa come eccesso dell’offerta interna sulla domanda
interna:
SE = S - D
dSE
P
µ E = dP * SE
sostituendo SE = S - D
22
µE =
{dS
dP
dD
P
– dP } * SE
moltiplicando e dividendo per S e per D:
dS
P
S
dD
P
D
µ E = dP * S * SE – dP * D * SE
da cui:
S
D
µ E = µ S * SE – µ D * SE
essendo µ D negativa, si ha:
S
D
µ E = µ S * SE – µ D * SE
Quindi, analogamente a quanto visto per la elasticità della domanda di importazioni, la
elasticità-prezzo dell’offerta di esportazioni (µ E) è sicuramente maggiore di quella dell’offerta
interna (µ S). In particolare, è tanto maggiore:
a)Quanto maggiore è, in valore assoluto, l’elasticità della domanda interna (µ D)
b)Quanto maggiore è la domanda interna rispetto alle esportazioni (D/SE)
c)Quanto minore è la quota esportata (SE) dell’offerta interna (S), cioè quanto più
grande è il rapporto S/SE.
Anche qui, µ E = µ S solo nel caso, non certo molto frequente, di un bene che non ha domanda
interna e che, quindi, viene prodotto solo per l’esportazione.
23
PARTE SECONDA
Il protezionismo
2.1 - Le cause del protezionismo
Come si é visto nelle pagine precedenti, sotto le ipotesi tradizionali di concorrenza perfetta il
(libero) commercio genera vantaggi per tutti i paesi che vi partecipano, siano essi esportatori o
importatori. Come vedremo meglio nelle pagine seguenti, si può anche dimostrare che qualunque
obiettivo di politica economica interna é perseguibile, dal punto di vista del benessere collettivo,
in modo più efficiente con misure che non influenzano - o influenzano il meno possibile l’equilibrio di libero scambio. Eppure, se guardiamo alla realtà ed alla storia del commercio
internazionale é estremamente difficile trovare casi o periodi in cui esso sia o sia stato veramente
libero dall’influenza diretta o indiretta di un ampio spettro di politiche poste in essere, con
maggiore o minore intensità, da tutti i paesi.
Sorge dunque il problema, per l’economista, di spiegare perché esiste il protezionismo; perché,
in altri termini, il mondo reale si discosta, il più delle volte consapevolmente e deliberatamente,
da una situazione che dovrebbe comportare la massimizzazione del benessere collettivo, sia a
livello internazionale che all’interno dei singoli paesi. Al riguardo, per molti anni, questo quesito
non ha trovato alcuna risposta, anche perché è stato sostanzialmente ignorato - meglio si direbbe
“rimosso” - dagli economisti di scuola tradizionale; per lungo tempo, infatti, in tema di
commercio internazionale ci si é accontentati di una teoria estremamente potente sul piano
normativo - capace, cioè, di generare le ricette “giuste” per i policy makers - ma del tutto
inadeguata su quello dell’economia positiva, in quanto incapace di spiegare perché esse fossero
sistematicamente disattese, in un mondo dove il protezionismo ha sempre costituito la regola ed il
libero commercio la rara eccezione.
Riprendiamo brevemente le principali ipotesi su cui si fonda l’approccio tradizionale in tema di
commercio internazionale e protezionismo:
1)Funzione del benessere individualistica, conseguente ad una struttura delle preferenze
dominata dall’egoismo razionale .
2)Forme di mercato concorrenziali e paesi “piccoli”.
3)Funzioni di produzione caratterizzate da rendimenti costanti di scala.
4)Assenza di “fallimenti del mercato” e/o possibilità di porvi rimedio con l’intervento pubblico.
5)Comportamento neutrale dei policy makers rispetto alla scelta degli obiettivi e degli strumenti
della politica economica, comunque guidato da un criterio di efficienza paretiana ed orientato
alla massimizzazione del benessere collettivo.
Sotto queste ipotesi si dimostra facilmente che, in termini di teoria del benessere, il libero
commercio è un ottimo paretiano, sia dal punto di vista del singolo paese che del mondo in
complesso. Infatti:
24
a)sul piano interno, qualunque punto della frontiera del benessere ottenuto con misure
protezionistiche é ottenibile in modo più efficiente con il libero commercio, integrato da
compensazioni (possibilmente lump sum);
b)sul piano internazionale, il commercio é un gioco a somma positiva, in cui per ogni paese la
scelta del libero scambio rappresenta quella che si definisce una strategia dominante, nel senso
che essa é la migliore possibile indipendentemente dal comportamento degli altri.
Di conseguenza, nell’ottica dell'approccio tradizionale la risposta al quesito sul perché il mondo
si discosti dall’equilibrio di libero commercio e sul perché esistano tante misure a contenuto
protezionistico non può che essere estremamente semplicistica: il protezionismo é “bad”
economics in “good” politics; frutto, cioè, di errori o ignoranza (“cattiva economia”) da parte di
una classe politica disinteressata e, dunque, di per sé “buona”. In questo quadro, il ruolo degli
economisti non può che essere quello di insegnare l’economia, e di insegnarla soprattutto ai policy
makers, per indicare gli strumenti più efficienti e meno distorsivi con cui ottenere gli obiettivi
perseguiti con il protezionismo (o, meglio ancora, per convincerli non perseguirli affatto). E’
esattamente questo che gli economisti hanno fatto per lungo tempo - e che nella maggioranza dei
casi continuano ancora a fare - nonostante l’evidente insuccesso del loro impegno e nonostante il
senso di frustrazione che hanno sempre lamentato al riguardo, in quanto consiglieri inascoltati.
Va detto che, anche all’interno del paradigma neoclassico più tradizionale, sono previste
alcune eccezioni alla regola che individua nel liberoscambio un ottimo paretiano. Come si vedrà,
infatti, se si rimuove l’ipotesi forte di paesi “piccoli”, non é detto che il free trade sia la migliore
strategia possibile per un paese. Si può infatti dimostrare che esiste la possibilità che un paese
“grande” possa migliorare il suo livello di benessere ai danni del resto del mondo con misure
protezionistiche (dazio ottimo). Al riguardo, va comunque sottolineato che:
1)In ogni caso il danno subito dai paesi danneggiati é maggiore del beneficio catturato dal
paese che pratica il protezionismo: ciò implica che un “pagamento diretto” a suo favore da parte
dei paesi danneggiati in cambio della sua liberalizzazione sarebbe comunque una soluzione più
efficiente
2)La possibilità di catturare benessere con misure di protezione da parte di un paese “grande”
soggiace all’ipotesi di assenza di misure di ritorsione commerciale da parte di altri paesi,
anch’essi “grandi”.
Di fronte all’evidente fallimento della teoria standard a dar conto del perché la realtà sia tanto
lontana dagli ideali equilibri di libero scambio, negli ultimi dieci o vent’anni hanno preso corpo
una serie di spiegazioni un po’ più convincenti delle cause del protezionismo, che in parte si
muovono al di fuori del paradigma tradizionale, mettendone in discussione alcune ipotesi di
fondo. Tali spiegazioni si possono raggruppare in due grandi filoni: da un lato la cosiddetta New
international economics, dall’altro l’approccio Political economy.
La New international economics si fonda sulla rimozione delle ipotesi relative alla esistenza di
rendimenti di scala costanti, mercati perfettamente concorrenziali e prevalenza di paesi “piccoli:
in un mondo caratterizzato da rendimenti di scala crescenti, strutture di mercato oligopolistiche,
25
imprese multinazionali e paesi “grandi” é molto alta la possibilità di comportamenti strategici da
parte degli attori in gioco. Tali comportamenti rappresentano un fattore importante almeno quanto
i (e forse più dei) vantaggi comparati derivanti dalla diversa dotazione fattoriale dei paesi nello
spiegare il commercio internazionale così come esso si manifesta nel mondo reale. In questo
quadro, inoltre, il commercio non é un gioco a somma positiva, ed in molti casi la situazione che
si crea é quella tipica del dilemma del prigioniero: un “gioco” in cui la strategia dominante da
parte di giocatori perfettamente razionali non é la cooperazione (che, nel caso del commercio,
corrisponde alla liberalizzazione), bensì la defezione (cioè il protezionismo)7.
Venendo al cosiddetto approccio political economy, in esso entrano in gioco i problemi
associati alla cosiddetta public choice theory e, più in generale, alle strategie ed agli effetti
dell’azione collettiva. Di conseguenza diventa rilevante lo studio di aspetti completamente
ignorati dall’analisi tradizionale, quali gli obiettivi e i comportamenti dei policy makers, non più
considerati soggetti neutrali e “disinteressati”; la capacità e le modalità di pressione dei gruppi
favoriti o danneggiati dalle diverse politiche; il livello e le modalità con cui i danni ed i vantaggi
vengono percepiti e valutati; la struttura istituzionale, le regole, e le eventuali imperfezioni
esistenti nel “mercato politico” della protezione. Nell’ambito dell’approccio political economy
possiamo distinguere due filoni principali: da un lato, quello che guarda soprattutto alle
determinanti interne del protezionismo, analizzando il suo emergere nel “mercato politico”
nazionale dei singoli paesi; dall’altro, la cosiddetta International political economy che, invece,
analizza le determinanti del protezionismo riferendosi soprattutto al contesto internazionale, dove
gli attori rilevanti sono i singoli paesi.
7Nel
caso di paesi "piccoli", per ogni paese la strategia dominante è la cooperazione (free trade), indipendentemente da
quella degli altri. Infatti, in tal caso la matrice dei pagamenti nel gioco “commercio” é la seguente
Free trade
Free Trade
Strategia Paese 1
Protezione
Paese 1: 400
Paese 1: 200
Paese 2: 400
Paese 2: 300
Paese 1: 300
Paese 1: 100
Paese 2: 200
Paese 2: 100
Strategia Paese 2
Protezione
In questo caso, la strategia dominante per ognuno dei due paesi, cioé la migliore possibile indipendentemente dalla
strategia scelta dall’altro, é il libero commercio, in corrispondenza del quale il guadagno é massimo. Nel caso di paesi
“grandi” la matrice dei pagamenti è, invece, la seguente:
Strategia Paese 1
Free trade
Protezione
Free Trade
Paese 1: 400
Paese 1: 500
Paese 2: 400
Paese 2: 50
Paese 1: 50
Paese 1: 100
Paese 2: 500
Paese 2: 100
Strategia Paese 2
Protezione
Nel caso di paesi “grandi”, siamo dunque in una situazione che nella teoria dei giochi si definisce del tipo dilemma
del prigioniero: in essa, la mancanza di incentivi alla cooperazione tra i partecipanti al gioco è dovuta all’incertezza
che ciascun giocatore ha circa il comportamento degli altri e, dunque, circa la possibilità di appropriarsi dei benefici
(massimi) che dalla cooperazione deriverebbero. Ciò fa sì che la strategia dominante sia la defezione (protezionismo),
con un risultato sub-ottimale per tutti.
26
Lo studio delle determinanti interne del protezionismo si articola nella costruzione di modelli
in cui emergono in primo piano tre ingredienti principali, del tutto nuovi rispetto a quelli che si
ritrovano nelle analisi basate sulla teoria standard del commercio internazionale:
1)analisi delle condizioni che favoriscono la attività di lobbying;
2)endogenizzazione degli obiettivi e delle strategie dei policy makers;
3)analisi delle relazioni esistenti tra la struttura settoriale ed istituzionale e la scelta degli
strumenti di protezione domandati ed offerti sul “mercato politico”.
In questo quadro il protezionismo non é più semplicisticamente considerato come ”bad”
economics in good politics, ma - semmai - esso diventa good economics in "bad" politics. In ogni
caso, il protezionismo non é più visto come un evento accidentale e paradossale, ma come il
risultato coerente dell’operare di variabili che il paradigma tradizionale non prende in
considerazione. Non c’è dubbio che, sul terreno dell’economia positiva, questo approccio è in
grado di analizzare le cause del protezionismo in modo soddisfacente, fornendo spiegazioni molto
più convincenti di quelle ricavabili dal paradigma tradizionale. La sua debolezza, tuttavia, si
avverte sul terreno dell’analisi normativa, dove esso raramente é in grado di indicare la strada da
seguire.
Maggiormente orientato alla analisi normativa é, invece, l’approccio riconducibile alla
international political economy, cioè il filone che guarda al protezionismo come fenomeno da
studiare soprattutto nel contesto internazionale; esso, enfatizzando i potenziali vantaggi del libero
commercio, lo analizza come bene pubblico, la cui offerta é sottodimensionata per l’esistenza di
comportamenti di free riding e per l’emergere di situazioni tipo dilemma del prigioniero. In
questo quadro, Il problema diventa la ricerca delle condizioni perché si renda possibile la
“produzione” e la “manutenzione” nel tempo di tale bene pubblico, da parte degli attori (i paesi)
che ne godono i mutui vantaggi. Si possono ricordare, a riguardo, due principali teorie:
- la teoria che indica nell’esistenza di un paese egemone e di regimi internazionali - cioè di una
“autorità forte” in grado di dettare e far rispettare le regole a livello internazionale - la condizione
perché il liberoscambio possa affermarsi (infatti, il paese egemone o i regimi assumono, a livello
internazionale, la funzione che lo Stato svolge a livello nazionale nella produzione dei beni
pubblici, assumendosene il costo iniziale di produzione e sanzionando i comportamenti di free
riding);
- la teoria della reciprocità pura, ovvero lo studio delle condizioni in cui é possibile, anche in
assenza di una “autorità” sovranazionale con un forte potere di minaccia, il diffondersi tra i paesi
di comportamenti di tipo cooperativo, basati su meccanismi che assicurano di ricevere dagli altri,
sul terreno commerciale, quanto agli altri si concede. Al riguardo, il GATT può considerarsi un
tentativo in questa direzione e, più in generale, molta parte della teoria degli accordi e delle
negoziazioni internazionali si ispira a questo approccio.
27
2.2 - Il protezionismo “tariffario”
Nelle pagine che seguono si analizzano, mantenendo ferme le consuete ipotesi di piena
concorrenzialità di tutti i mercati, le varie forme di distorsioni rispetto all’equilibrio di libero
scambio conseguenti alle principali misure di intervento sulle importazioni (dazi) e sulle
esportazioni (sussidi o tasse)
Limitatamente al caso dei dazi 8, per i quali si premette, in estrema sintesi, la rappresentazione
dei loro effetti con un approccio di equilibrio economico generale, la trattazione successiva è
compiuta nell’ottica di equilibrio parziale, con esercizi di statica comparata, mediante l’uso di
curve di domanda e offerta interne e di domanda di importazioni ed offerta di esportazioni,
relative ad un singolo mercato.
2.2.1 - Analisi degli effetti del dazio in equilibrio economico generale
Incominciamo dal caso di un paese “piccolo”, cioè di un paese che non è in grado di
modificare, con la sua politica commerciale, il prezzo mondiale del prodotto interessato e per il
quale, dunque, bisogna mantenere fermo il rapporto tra i prezzi internazionali (ragione di
scambio) dei prodotti; ciò è conseguenza, appunto, delle ridotte dimensioni relative del paese che
si esamina, per cui le variazioni che la sua politica commerciale è in grado di produrre sulla sua
domanda di importazioni si possono considerare comunque irrilevanti rispetto al complesso dei
flussi di scambio che transitano sul mercato mondiale e, dunque, ininfluenti rispetto al livello del
prezzo che in esso si determina.
Questa situazione è rappresentata nella figura 9. In essa, come al solito, indichiamo con TT la
curva delle possibilità produttive di due beni (grano e tessuto) da parte del paese esaminato e con
RR la ragione di scambio internazionale, cioè il rapporto tra i loro prezzi mondiali. In tali
condizioni, l’equilibrio di libero commercio si avrà in A (produzione) e C (consumo), con una
esportazione di AF di tessuto contro una importazione pari a FC di grano.
Se il paese in questione decide di imporre un dazio sulle proprie importazioni di grano, ciò fa
aumentare - in misura pari al dazio - il prezzo del grano sul mercato interno, senza però
modificare in alcun modo la ragione di scambio internazionale, che rimane la RR: essendo, infatti,
un paese “piccolo”, esso è un price taker, per cui sul mercato mondiale la sua domanda di
importazione di grano fronteggia una offerta di esportazione infinitamente elastica.
Conseguentemente, il prezzo mondiale non è influenzato dalla variazione della quantità importata
dal paese in questione. Conseguentemente, il prezzo mondiale del grano e del tessuto non
cambiano rispetto al loro livello di free trade, mentre quella che si modifica è solo la ragione di
scambio interna al paese che impone i dazio, che diventa II.
8. Il dazio è una imposta indiretta, prelevata alla frontiera, che grava sulle importazioni. Il dazio è riferito ad un
singolo prodotto, mentre la tariffa doganale è l'elenco delle merci che un paese scambia con l'estero, con l'indicazione
per ognuna dell'eventuale dazio doganale applicabile. Spesso, seguendo la terminologia anglosassone, “dazio” e
“tariffa” sono usati come sinonimi.
28
GRANO
R
C
R
I
D
T
E
B
A
F
R
T
R
I
TESSUTO
Fig.9 - Dazio sull'importazione di grano (paese "piccolo")
In risposta alla modifica della ragione di scambio interna, la produzione passa dal punto A al
punto B, con un aumento della produzione interna di grano, trainato dall’aumento del suo prezzo
conseguente al dazio, ed una diminuzione della produzione di tessuto. In questa nuova situazione,
c’è ancora spazio per il commercio ed il nostro paese, scambiando alla ragione di scambio
internazionale (rimasta inalterata) - e, dunque, muovendosi da B lungo una retta parallela alla RR
- potrà portarsi in D; in questo punto è rispettato il vincolo di tangenza tra curva di indifferenza e
ragione di scambio interna (SMS = SMT), che differisce da quella internazionale in virtù del
dazio. Si deve notare che, poiché D giace su una curva di indifferenza inferiore a quella del punto
C (consumo di libero scambio), l’imposizione di un dazio da parte di un paese “piccolo”
comporta per esso una perdita di benessere, mentre il resto del mondo rimane indifferente.
Veniamo ora al caso della imposizione di un dazio sulle importazioni da parte di un paese
“grande”, rappresentato nella figura 10. Anche qui il punto di partenza è costituito dall’equilibrio
di libero scambio - quindi precedente alla applicazione del dazio - che è collocato in A
(produzione) e C (consumo), con esportazioni di tessuto da parte del paese che esaminiamo pari
ad AF ed importazioni di grano pari a CF.
29
L’imposizione di un dazio sul grano, facendo aumentare il prezzo relativo del grano rispetto al
tessuto - determina una ragione di scambio interna, diversa da RR, e data ora dalla retta II; il
nuovo equilibrio si colloca in B, con maggiore produzione interna (e quindi minor domanda di
importazioni) di grano e minore produzione (e quindi minore offerta di esportazione) di tessuto da
parte del paese in questione. Da ciò, poiché stiamo ipotizzando che tale paese sia “grande”, nel
senso che la sua domanda di importazione è una parte consistente del mercato mondiale, consegue
un aumento del prezzo internazionale del tessuto e una diminuzione di quello del grano sul
mercato mondiale, con conseguente modifica della ragione di scambio internazionale da RR a
R’R’ e spostamento del punto di equilibrio da C (libero scambio) a C’ (situazione conseguente
alla imposizione del dazio).
GRANO
R'
R
I
C'
C
I
T
F'
I
B
A
F
I
R'
R
T
TESSUTO
Fig.10 - Dazio sul grano (paese "grande")
In questo caso C’ giace addirittura su una curva di indifferenza superiore a quella di C, per cui
il paese in questione ha un guadagno netto di benessere in conseguenza dell’imposizione di un
dazio sulle proprie importazioni. Questo risultato deriva dall’aver ipotizzato un paese talmente
“grande” da essere in grado di distorcere a proprio favore la RR internazionale in modo molto
sensibile ma, in generale, non è detto che ciò succeda. E’ comunque vero che un paese “grande”,
30
quand’anche non abbia un guadagno netto, comunque perde meno benessere di un paese
“piccolo” come conseguenza della imposizione di un dazio, poiché comunque distorce in una
qualche misura la ragione di scambio internazionale a proprio favore.
Ovviamente, rispetto a quanto accade nel caso di paese “piccolo”, alla minore perdita o al
guadagno del paese “grande” corrisponde una perdita del resto del mondo, che nel nostro esempio
possiamo considerare come un unico paese esportatore di grano ed importatore di tessuto. Tale
perdita del resto del mondo, come si è visto, non si ha quando ad imporre un dazio è un paese
“piccolo”, poiché in questo caso la ragione di scambio internazionale rimane inalterata e la
riduzione delle esportazioni da parte del resto del mondo è comunque irrilevante.
GRANO
R
R'
A
Far
B
CC
F
F'
C'
A
TESSUTO
R
R'
TESSUTO
TESSUTO
Fig. 11 - Perdita di benessere per il paese esportatore di grano in conseguenza di un dazio da parte di
un paese importatore "grande"
A questo proposito, nella figura 11 analizziamo la situazione di un paese esportatore di grano,
che possiamo assimilare al “resto del mondo” della precedente figura 10. Tale paese, in regime di
libero commercio produce in A e consuma in C, esportando AF di grano contro FC di tessuto. In
conseguenza del dazio imposto dal paese (“grande”) importatore di grano, la domanda di
quest’ultimo sul mercato mondiale si riduce e la ragione di scambio internazionale passa da RR a
R’R’, peggiorando a danno del grano. In conseguenza di ciò, l’equilibrio nel paese che stiamo
analizzando passa da A a B sul fronte della produzione, e da C a C’ sul fronte del consumo, con
una riduzione delle esportazioni ed una perdita di benessere (C’ giace su una curva di indifferenza
inferiore a quella su cui giace C).
31
2.2.2 - Analisi dei dazi in equilibrio parziale
Nelle pagine che seguono analizzeremo gli effetti del dazio con un approccio di equilibrio
parziale - che, come si è detto, è anche quello più frequentemente utilizzato - mediante esercizi di
statica comparata, in riferimento al mercato del solo prodotto su cui il dazio è imposto.
Utilizzeremo grafici domanda - offerta (o anche eccesso di domanda - eccesso di offerta) relativi
al prodotto in questione. In grafici di questo tipo l’imposizione di un dazio da parte di un paese
importatore può rappresentarsi in due modi, a seconda se si ipotizza che il soggetto “attivo” nella
transazione commerciale interessata dal dazio - quello, cioè, che paga il dazio - sia,
rispettivamente, l’esportatore o l’importatore:
a)con uno slittamento verso l’alto della funzione di offerta di esportazioni del
resto del mondo (SEw): in questo caso il ragionamento è fatto dal punto di vista
degli esportatori esteri, il cui prezzo di offerta aumenta in misura pari al dazio
che essi devono pagare per entrare nel mercato del paese importatore.
b)con uno slittamento verso il basso della domanda di importazioni (DI) del paese
che impone il dazio: in questo caso si ragiona dal punto di vista degli importatori
nazionali, il cui prezzo di domanda sui mercati internazionali, per ogni quantità
importata, diminuisce in misura pari al dazio che essi devono pagare.
I risultati, ovviamente, sono del tutto analoghi. Nelle figure 12 e 13 gli effetti di un dazio sono
rappresentati nei due differenti modi appena descritti; in esse si ha:
DI =
funzione di domanda di importazioni (eccesso di domanda)
del paese che impone il dazio sulle proprie importazioni;
SEw =
funzione di offerta di esportazioni del resto del mondo;
Pw =
prezzo mondiale (uguale a prezzo interno) nella situazione di
libero scambio, precedente alla imposizione del dazio;
P =
prezzo interno conseguente al dazio;
P’w =
prezzo internazionale conseguente al dazio;
P - P’w = ammontare assoluto del dazio.
Ovviamente, come si vede dalle figure, lo slittamento della SEw o della DI sarà parallelo nel
caso di una tariffa fissa (per esempio, 10 dollari per unità di prodotto) che si aggiungerà, in
misura assoluta sempre uguale, al prezzo di ciascuna unità importata; mentre lo slittamento sarà
non parallelo nel caso di una tariffa ad valorem (per esempio, 30% del valore unitario, cioè del
prezzo mondiale, del prodotto importato): è chiaro, infatti, che l’ammontare assoluto del dazio
che si deve aggiungere al prezzo mondiale sarà, in questo caso, tanto maggiore quanto maggiore è
il livello del prezzo mondiale stesso.
32
SE 'w
SEw
P
B
P
B
Pw
A
Pw
P'w
P'w
C
SEw
A
C
DI
DI
DI '
Fig.12 - Tariffa fissa
SE 'w
SEw
P
B
Pw
P'w
P
A
B
Pw
P'w
C
DI
DI '
Fig.13 - Tariffa ad valorem (30%)
SEw
A
C
DI
33
Per rappresentare gli effetti di un dazio sull’importazione in modo completo e, soprattutto, per
meglio evidenziarne gli effetti di benessere sul paese che lo impone, si possono utilizzare figure in
cui compaiono sia il mercato interno del paese che impone il dazio che il mercato internazionale:
tali figure, inoltre, rendono più chiaro il meccanismo di trasmissione degli effetti di prezzo
dall’uno all’altro mercato.
Le figure 14 e 15 sono costruite in questo modo, e rappresentano, rispettivamente, il caso di un
paese “piccolo” e quello di un paese “grande”.
D
C
P
S
F
D
P
t
Pw
SE w
E
A
G
H
B
Pw
E'
DI
DI '
Mercato interno
Mercato internazionale
Fig. 14a - Effetti di un dazio (paese "piccolo")
Nella figura 14a, la parte sinistra rappresenta il mercato interno del paese che impone il dazio,
mentre la parte destra rappresenta il mercato internazionale. In esso la funzione di domanda di
importazioni del paese che impone il dazio è la DI, derivata come eccesso di domanda dal
mercato interno; la curva di offerta di esportazioni del “resto del mondo” è la SEw, ed essa risulta
infinitamente elastica, in ragione del fatto che il paese importatore è qui ipotizzato “piccolo”. Ciò,
infatti, implica che il prezzo di offerta di esportazione è costante “dal punto di vista” di tale
paese, poiché la quantità che esso importerà - per quanto grande rispetto al proprio mercato
interno - sarà comunque irrilevante rispetto all’equilibrio del mercato mondiale.
Nella situazione descritta dalla figura, l’applicazione del dazio comporta uno slittamento verso
il basso della DI e, conseguentemente, l’equilibrio passa da E ad E’, con una riduzione della
quantità importata da AB a CD. Il prezzo mondiale rimane inalterato, mentre il prezzo interno
aumenta in misura esattamente uguale all’ammontare del dazio. Il benessere de consumatori
interni si riduce in misura pari a PDBPw, mentre i produttori guadagnano PCAPw. C’è, infine,
34
una entrata di bilancio pari a CDHG (quantità importata per ammontare unitario del dazio) e,
dunque, una perdita di benessere complessivo per il paese che impone il dazio pari alla somma
dei due triangoli AGC e DBH.
Nel caso di un paese “piccolo”, spesso si ritrova una rappresentazione semplificata degli effetti
del dazio, limitata al mercato interno, come quella della figura 14b.
S
C
P2
P1
O
D
A
F
S1
SE 'w = ST '
D
S2
E
D2
B
SEw = ST
D1
Fig.14b - Effetti del dazio sul mercato del paese importatore ("piccolo")
In questo caso l’offerta di esportazioni (SEw) viene “portata” sul mercato interno ed essa viene
fatta slittare verso l’alto in misura pari al dazio (SE’w). L’offerta totale sul mercato interno è pari,
in conseguenza del dazio, alla spezzata ACSE’w (infatti, fino al livello del prezzo P, sarà
competitiva l’offerta interna S), per cui l’importazione si riduce da AB a CD. Gli effetti di
benessere sono del tutto analoghi a quelli visti con il grafico precedente: i consumatori perdono
l’area di surplus pari a P1P2DB; i produttori guadagnano P1ACP2; vi è un guadagno per l’erario
pari a CDEF e, dunque, una perdita complessiva misurata dai triangoli ACF e DBE.
Nella figura 15 è rappresentato il caso del paese grande, in modo simile a quanto fatto nella
figura 14a, con l’unica differenza che in questo caso, sul mercato internazionale, la curva di
offerta di esportazioni del resto del mondo (SEw) ha una inclinazione positiva: poiché, infatti,
stiamo analizzando un paese importatore “grande”, la quantità che esso importa è rilevante
35
rispetto alle dimensioni del mercato mondiale, per cui all’aumentare delle sue importazioni il
prezzo mondiale aumenterà e viceversa.
D
S
SEw
C
P
Pw
P'w
A
G
D
F
M
L
B
E
Pw
I
H
P'w
E'
DI
DI'
Mercato interno
Mercato internazionale
Fig. 15 - Effetti del dazio (paese "grande")
L’equilibrio di partenza, corrispondente ad una situazione di free trade, si colloca in E (come
incontro tra la DI e la SEw), con un prezzo mondiale pari a Pw ed una importazione pari ad AB.
L’imposizione del dazio fa slittare verso il basso la funzione di domanda di importazioni, da DI a
DI’, in misura pari all’ammontare del dazio stesso ed il nuovo equilibrio sul mercato
internazionale si ha in E’; il prezzo mondiale si riduce a P’w e con esso si riducono le
importazioni (da AB a P’wE’=CD), mentre sul mercato interno il prezzo sarà P, pari al nuovo
prezzo mondiale - P’w - più il dazio.
Al contrario, dunque, di quanto accadeva nel caso del paese “piccolo”, dove il prezzo interno
aumentava in misura esattamente uguale al dazio ed il prezzo mondiale rimaneva inalterato, qui il
prezzo interno aumenta in misura minore, giacche una parte del dazio si “scarica” in una
riduzione del prezzo mondiale (da Pw a P’w). In questo caso, infatti, la riduzione delle
importazioni del paese che impone il dazio - essendo esso un paese “grande” - è rilevante sul
mercato mondiale e, come tale, determina una riduzione di prezzo che si traduce in un
miglioramento della ragione di scambio del paese in questione: questo, in altri termini, rispetto
alla situazione di free trade, importa di meno e ad un prezzo più basso.
Venendo alla consueta contabilità del benessere conseguente alla imposizione del dazio rispetto
ad una situazione di free trade, i consumatori interni perderanno in misura pari a PDBPw; i
produttori guadagneranno PCAPw ed il guadagno per l’erario sarà CDHI (quantità importata per
dazio unitario). Nel caso di paese “grande”, quindi, l’effetto netto di benessere per il paese che
impone il dazio è indeterminato a priori: vi sarà un guadagno (o una perdita) se il rettangolo
GFHI è maggiore (o minore) della somma dei due triangoli DBF e ACG. Va comunque notato
36
che, a fronte dell’eventuale guadagno del paese importatore, vi sarà comunque una perdita
(maggiore di esso) inflitta al resto del mondo, pari al trapezio PwEE’P’w, nel grafico relativo al
mercato internazionale. Poiché, inoltre, il rettangolo PwLE’P’w è uguale per costruzione al
rettangolo GFHI, e poiché il triangolo MLE è pari alla somma dei triangoli ACG e FDB9, il
triangolo MEE’ che si forma nel grafico relativo al mercato internazionale rappresenta la perdita
netta di benessere del mondo nel suo insieme, derivante dalla applicazione del dazio.
Nella figura 16 sono sintetizzati gli effetti di un dazio limitandosi a rappresentare solo il
mercato internazionale. In ognuno dei quattro grafici in essa rappresentati si ha:
- PBCP’w = guadagni per l’erario del paese che impone il dazio (dati dalla
quantità importata in presenza del dazio moltiplicata per l’ammontare
del dazio stesso)
PBAPw = perdita netta del complesso dei consumatori e dei produttori interni (si
ricorda che le DI sono curve di eccesso di domanda: quindi, l’area
compresa tra esse e le linee del prezzo prima e dopo il dazio
rappresenta un saldo netto di benessere; tale saldo è dato dalla
differenza tra la perdita dei consumatori ed il guadagno dei produttori
interni derivante dall’aumento del prezzo conseguente al dazio)
- PwACP’w = perdita netta del complesso dei produttori e dei consumatori dei
paesi esteri: anche qui, trattandosi di un’area sottostante una curva di
eccesso di offerta (SEw) del resto del mondo, essa è un saldo netto di
benessere; tale saldo è pari in tal caso alla differenza tra la perdita dei
produttori ed il guadagno dei consumatori esteri associato alla
riduzione del prezzo mondiale conseguente al dazio.
- BAC =
perdita netta di benessere del mondo preso nel suo insieme
Come si vede, per il paese che impone il dazio vi sarà un guadagno se l’area PwACP’w (effetto
del “miglioramento della ragione di scambio”) è maggiore del triangolo BAD (perdita dei
consumatori non compensata dal guadagno dei produttori e dell’erario). Ciò sarà tanto più
probabile quanto più è rigida l’offerta di esportazioni del resto del mondo (SEw) e quanto più è
elastica la domanda di importazioni del paese che impone il dazio (DI). Cioè, in altri termini,
quanto quest’ultimo è “grande” rispetto al resto del mondo.
In ogni caso, come si era già visto sia nell’analisi di equilibrio economico generale che nella
della fig. 15, la perdita del resto del mondo è sempre maggiore dell’eventuale guadagno del paese
che impone il dazio. Di conseguenza, per il mondo preso nel suo insieme, vi sarà in ogni caso una
perdita netta di benessere, pari BAC.
9Il triangolo MLE, infatti, ha la stessa altezza dei due triangoli ACG e FDB e la base pari, per costruzione, alla
somma delle loro basi.
37
SE 'w
B
P
SE 'w
SEw
Pw
P'w
D
A
C
P
Pw
B
SEw
A
D
DI
P'w
C
DI
I'
I
I'
Q
P
Pw
P'w
Q
(b) SEw e DI elastiche
(a) SEw elastica; DI rigida
SE 'w
I
SE 'w
SEw
SEw
B
D
P
Pw
A
B
A
D
C
DI
P'w
C
DI
I' I
Q
(c) SEw e DI rigide
I'
I
(d) SEw rigida; DI elastica
Fig.16 - Effetti di un dazio: sintesi
Q
38
2.2.3 - Sussidi alle importazioni
I sussidi alle importazioni possono essere considerati a tutti gli effetti come dazi negativi.
Conseguentemente, i loro effetti saranno esattamente simmetrici a quelli del dazio in quanto a
gruppi di beneficiari e perdenti e, come vedremo, trattandosi comunque di una distorsione
apportata alla situazione di ottimo paretiano costituita dal regime di libero scambio, il saldo netto
di benessere per il mondo preso nel suo insieme sarà comunque negativo. Si tratta, in ogni caso, di
una politica assai poco diffusa, che qui trattiamo per completezza di esposizione: come vedremo,
infatti, nel caso di un paese “grande”, la concessione di un sussidio all’importazione si traduce in
un trasferimento di benessere dal paese che lo concede a vantaggio del resto del mondo.
Nella figura 17 è rappresentato il caso di un paese importatore “piccolo”, che concede un
sussidio fisso - di ammontare pari ad “s”, indipendente dalla quantità importata e dal prezzo
mondiale - sulle sue importazioni. Ciò comporta una traslazione parallela verso l’alto della
funzione di domanda di importazione del paese in questione, da DI a DI’, dal momento che gli
importatori, sapendo di poter contare sul sussidio, saranno ora disposti a pagare per la stessa
quantità un prezzo pari a quello di free trade aumentato del sussidio stesso. Ciò comporterà lo
spostamento dell’equilibrio da F ad E ed un aumento di importazioni da PwL = AB a PF = CD.
D
Pw
G
A
S
B
H
Pw
SEw
E
L
s
P
C
P
D
F
DI '
DI
Mercato interno
Mercato internazionale
Fig. 17 - Sussidio all'importazione (paese "piccolo")
Sul mercato interno, il prezzo scenderà dal livello di libero scambio Pw a P; in misura, cioè,
esattamente pari all’ammontare del sussidio all’importazione. In conseguenza di tale diminuzione
del prezzo interno, i consumatori guadagneranno tutta l’area PwBDP, i produttori perderanno
PwACP, mentre lo Stato dovrà sostenere una spesa pari al rettangolo GHDC, dato dalla quantità
importata per l’ammontare unitario del sussidio. Il saldo netto di benessere sarà, dunque, negativo,
con una perdita del paese che concede il sussidio misurata dalla somma dei due triangoli GAC e
BHD. Il benessere del resto del mondo non risulta toccato da tale politica, dato che, essendo il
39
paese importatore che impone il sussidio “piccolo”, l’aumento delle sue importazioni è comunque
irrilevante ed il prezzo mondiale rimane inalterato al suo livello Pw di free trade.
Nella successiva figura 18 è rappresentato il sussidio alle importazioni concesso da un paese
“grande”. Come di consueto, la differenza rispetto al caso del paese “piccolo” è data dalla
funzione di offerta di esportazioni del resto del mondo (SEw): questa, infatti, risulta ora inclinata
positivamente, per gli stessi motivi già esposti in occasione dell’analisi dei dazi.
D
S
SEw
P'w
G
Pw
P
M
A
N
H
Pw
B
C
L
P'w
E
s
F
D
DI '
DI
Mercato interno
Mercato internazionale
Fig. 18 - Sussidio all'importazione (paese "grande")
Come prima, il sussidio fa traslare verso l’alto la funzione di domanda di importazioni del
paese che lo concede da DI a DI’, con conseguente spostamento dell’equilibrio da E ad L. Ma in
questo caso l’inclinazione positiva della SEw comporta un aumento del prezzo mondiale, dal suo
livello di free trade Pw, al livello P’w. Le importazioni del paese che concede il sussidio
aumentano da PwE = AB a P’wL = CD, mentre il prezzo sul mercato interno è ora P, cioè pari al
nuovo prezzo mondiale P’w meno l’ammontare del sussidio: come si noterà, il fatto che stiamo
trattando il caso di un paese “grande” fa diminuire il prezzo interno in misura inferiore
all’ammontare del sussidio, a differenza di quanto avveniva nel caso del paese “piccolo”: in modo
esattamente speculare a quanto abbiamo visto parlando dei dazi, ciò avviene perché solo una parte
del sussidio si traduce in una diminuzione del prezzo interno, mentre il resto si “scarica” in un
aumento del prezzo mondiale.
Venendo agli effetti di benessere, il paese che concede il sussidio registra un guadagno dei
propri consumatori pari all’area PwBDP, abbondantemente compensato dall’insieme costituito
dalla perdita dei produttori (area PwACP) e, soprattutto, dalla spesa di bilancio, pari al rettangolo
GHDC, dato dalla quantità importata CD per il sussidio unitario (s = P’w - P). La perdita netta
derivante dalla concessione di un sussidio all’importazione da parte di un paese “grande” è,
dunque, assai maggiore che nel caso del paese “piccolo”, essendo data dai triangoli GMC e NHD
40
più tutto il trapezio MNBA. Tuttavia, a fronte di tale maggiore perdita del paese concedente, c’è
un guadagno per il resto del mondo, che nel nostro caso è dato dall’area PwELP’w. In ogni caso
tale guadagno è inferiore alla perdita che il paese che concede il sussidio si autoinfligge, in misura
pari al triangolo LEF: questo, dunque, rappresenta il costo per il mondo nel suo insieme
conseguente all’allontanamento dall’equilibrio di libero mercato.
2.2.4 - Sussidi alle esportazioni
Venendo ora a discutere le misure “tariffarie” di un paese esportatore, introduciamo il discorso
sui sussidi all’esportazione. Come vedremo anche questo intervento, oltre a registrare le consuete
perdite di benessere associate all’allontanamento dall’equilibrio di libero mercato, può comportare
un trasferimento da parte del paese che lo applica a favore del resto del mondo. Nonostante,
tuttavia, questo suo carattere apparentemente “autolesionista”, si tratta di una misura molto
diffusa. La circostanza, che a prima vista può sembrare paradossale, si può spiegare con almeno
tre ordini di motivazioni:
a)internamente al paese che applica il sussidio alle esportazioni, i beneficiari sono i produttori:
cioè una categoria bene organizzata, in grado di esercitare pressione sui policy makers in modo
sicuramente più efficiente di quanto non riescano normalmente a fare i consumatori (che sono almeno nel paese che la applica - i perdenti di una politica di sussidio all’esportazione).
b)il sussidio alle esportazioni, soprattutto da parte di paesi “grandi” viene spesso utilizzato
come esplicito strumento di penetrazione commerciale, che come tale sconta la perdita di breve
periodo con i guadagni strategici di lungo periodo che possono derivare dalla conquista di nuovi
mercati per la produzione nazionale.
c)I sussidi alle esportazione sono stati talvolta giustificati come strumento di compensazione
dei dazi che i paesi importatori impongono, o come misure di ritorsione e di pressione nell’ambito
di situazioni di “guerra commerciale”10
La figura 19 rappresenta il caso del sussidio alle esportazioni concesso da un paese “piccolo”.
Si parte da un equilibrio iniziale di libero scambio in E, dove la funzione di offerta di esportazioni
del paese in questione (SE) si incontra con la funzione di domanda di importazioni del resto del
mondo (DIw), disegnata qui infinitamente elastica, in ossequio alla ipotesi di paese “piccolo”. Il
sussidio alle esportazioni fa slittare verso il basso la SE, che diventa SE’, dato che gli esportatori
nazionali saranno disposti a diminuire il loro prezzo di offerta in misura pari al sussidio11; le
esportazioni aumentano da PwE = AB a PwE’ = CD, il prezzo mondiale rimane immutato, mentre
il prezzo interno aumenta fino al livello P, pari al prezzo mondiale più l’ammontare del sussidio.
I produttori interni guadagnano una fetta di surplus misurata dall’area PDBPw; i consumatori
ne perdono un ammontare pari a PCAPw e la spesa di bilancio è misurata dal rettangolo CDHG,
dato dalla quantità esportata per il sussidio unitario. Ferma restando, dunque, la situazione del
10E’
questo ad esempio, il caso dell’Export Enhancemente Program, che gli Stati Uniti hanno attivato a partire dalla
seconda metà degli anni ottanta, come ritorsione ai sussidi all’esportazioni della Unione Europea.
11Si noti che lo slittamento non é parallelo: ciò implica che stiamo ipotizzando un sussidio ad valorem, definito
come una data percentuale del prezzo mondiale.
41
resto del mondo, il cui benessere non viene toccato, il paese che concede il sussidio patisce una
perdita netta pari alla somma dei due triangoli AGC e BDH. Come si vede, gli effetti di benessere
e la loro distribuzione all’interno del paese che applica il sussidio alle esportazioni sono del tutto
analoghi a quelli che si hanno con la imposizione di un dazio sulle importazioni.
SE
P
C
F
D
SE '
s
Pw
G
A
S
B
H
Pw
E'
E
DIw
D
Mercato interno
Mercato mondiale
Fig. 19 - Sussidio all'esportazione (paese "piccolo")
Veniamo ora al caso del paese “grande”, rappresentato nella figura 20, dove l’offerta di
esportazioni SE si incontra, stavolta, con una domanda di importazioni (DIw) che ha una
inclinazione negativa: essendo, infatti, il paese esportatore “grande”, la sua quota del mercato
mondiale è rilevante; per conseguenza, un aumento (o una diminuzione) della sua capacità di
esportare può essere assorbito solo a prezzi decrescenti (crescenti) dal mercato internazionale.
L’equilibrio iniziale di libero scambio si ha nel punto E, incontro tra la SE e la DIw, con un
prezzo mondiale Pw ed una esportazione del paese in questione pari a PwE = AB. La concessione
del sussidio fa slittare la funzione di offerta di esportazioni verso il basso, da SE a SE’ ed il nuovo
equilibrio si ha in K, cui corrisponde un prezzo mondiale più basso (P’w), un prezzo interno pari a
P, dato dal nuovo prezzo mondiale più il sussidio, ed una maggiore esportazione, pari a P’wK =
CD.
Poiché stiamo ora trattando il caso un paese esportatore “grande”, l’effetto del sussidio non si
scarica tutto sul mercato del paese che lo concede, come avveniva nel caso del paese esportatore
“piccolo”, ma si divide tra un aumento del prezzo interno ed una diminuzione del prezzo
mondiale. E ciò in modo del tutto analogo a quanto avevamo visto nel caso di dazi (o sussidi)
sulle importazioni.
42
SE
C
P
Pw
F
D
L
A
B
M
Pw
SE '
E
P'w
s
P'w
G
H
S
K
DIw
D
Mercato interno
Mercato mondiale
Fig. 20 - Sussidio all'esportazione (paese "grande")
Nel paese che concede il sussidio alle esportazioni i consumatori perdono, rispetto alla
situazione di libero scambio, una fetta di surlpus misurata dall’area PCAPw, mentre i produttori
ne guadagnano in misura pari a PDBPw. Inoltre si registra una ingente spesa di bilancio, pari a
tutta la quantità esportata in conseguenza del sussidio moltiplicata per l’ammontare unitario del
sussidio stesso, misurata dal rettangolo CDHG.
Il saldo netto, dunque, pesantemente negativo, è dato dal rettangolo LMHG più i due triangoli
BDM e LCA. A fronte di ciò, il complesso dei produttori e dei consumatori del resto del mondo
registrano un guadagno netto, dato dal trapezio PwEKP’w; ma tale guadagno non può che
risultare minore della perdita patita dal paese che concede il sussidio: anche in questo caso,
dunque, la distorsione apportata al libero mercato si traduce in una riduzione del benessere del
mondo preso nel suo insieme, riduzione che nella parte destra della nostra figura è misurata dal
triangolo EFK.
2.2.5- Tassa sull’esportazione
Anche la tassa sull’esportazione, come il sussidio, è assimilabile alla categoria di interventi
“tariffari”. L’unica differenza è che, dal punto di vista dei produttori interni, mentre sia il dazio
all’importazione che il sussidio alla esportazione sono forme di protezione positiva del mercato
interno, la tassa sulle esportazioni - come il sussidio alle importazioni - è una protezione negativa,
nel senso che essa fa diminuire il prezzo interno.
Iniziamo dal caso del paese “piccolo”, rappresentato nella figura 21. In essa S e D sono offerta
e domanda interne, per cui SE sarà l’offerta di esportazioni del paese in questione. Se DIw è la
domanda di importazioni del resto del mondo (infinitamente elastica, data l’ipotesi di paese
“piccolo”), il paese esporterà AB (= PwE) al prezzo mondiale Pw, che sarà pari anche al prezzo
interno.
43
SE '
D
Pw
S
A
H
L
B
SE
Pw
F
E
DIw
P
C
D
G
Mercato interno
Mercato internazionale
Fig. 21 - Tassa sulle esportazioni (paese "piccolo")
L’imposizione di una tassa sull’esportazione fa slittare la SE, che diventa SE’, giacche al
prezzo di offerta descritto dalla SE va aggiunta la tassa (qui supposta fissa) che devono pagare gli
esportatori. Il nuovo equilibrio si avrà in corrispondenza di una minore esportazione (CD), con
prezzo mondiale inalterato (Pw) e prezzo interno più basso (P). In termini di benessere, i
produttori perdono PwBDP, i consumatori guadagnano PwACP, lo stato incassa HLDC come
gettito della tassa. Conseguentemente, c’è una perdita pari ai soliti due triangoli AHC e LBD.
Venendo al caso del paese “grande”, rappresentato nella figura 22, la differenza rispetto al
grafico precedente è data dalla forma della funzione di domanda di importazioni del resto del
mondo (DIw), non più perfettamente elastica come nel caso di paese piccolo, ma inclinata
negativamente; in tal caso lo slittamento della SE a SE’, conseguente all’applicazione di una tassa
all’esportazione, modifica sia il prezzo mondiale (che sale da Pw a P’w) sia quello interno (che
scende da Pw a P), di modo che la differenza P’w - P sia pari all’ammontare unitario della tassa.
Le esportazioni diminuiscono un po’ meno rispetto al caso del paese piccolo ma, soprattutto,
variano gli effetti del benessere: questi sono più favorevoli (o meno sfavorevoli) in quanto la
distorsione apportata dalla tassa imposta dal paese “grande” fa migliorare la sua ragione di
scambio.
44
SE '
D
S
SE
P'w
H
L
P'w
Pw
E
Pw
A
P
F
B
C
D
G
DIw
Mercato internazionale
Mercato interno
Fig. 22 - Tassa sulle esportazioni (paese "grande")
In particolare, i consumatori guadagnano PPwAC, i produttori perdono PwBDP, mentre lo
Stato guadagna HLDC come gettito della tassa. Di conseguenza, non solo c’è una minore perdita
di benessere rispetto al caso del paese “piccolo”, ma vi può addirittura essere un guadagno netto,
se l’area del rettangolo HLDC è superiore a quella del trapezio ABDC. Ovviamente, tale
eventuale guadagno avviene a danno del resto del mondo, che paga un prezzo più alto per una
minore quantità importata, con una perdita misurata dall’area PwEFP’w. Come si può facilmente
verificare dalla figura, tale perdita del resto del mondo è certamente maggiore dell’eventuale
guadagno del paese che impone la tassa sulle proprie esportazioni; la differenza é data dal
triangolo FEG, che rappresenta la perdita netta del mondo nel suo insieme.
45
2.3 - Il protezionismo non tariffario
Il protezionismo non tariffario comprende tutte le misure - sia commerciali che interne, che
hanno effetti sui flussi di commercio e che non sono assimilabili a tariffe o sussidi
all’importazione ed a tasse o sussidi all’esportazione. Rientrano in questa definizione,
innanzitutto, tutte le misure doganali che si traducono in restrizioni quantitative all’import-export,
quali le quote, siano esse imposte all’importazione o all’esportazione. Inoltre, vi rientrano anche
le misure di mantenimento di prezzi minimi garantiti alla produzione, quali prelievi (o
restituzioni) variabili all’importazione (all’esportazione) e sistemi di integrazione di prezzo, ma di
questi tratteremo più avanti, in relazione alle misure di politica agraria di sostegno ai mercati. Vi
rientrano, infine, sia pure indirettamente, le politiche di sussidio o di tassazione della produzione e
del consumo, in quanto misure che, anche quando nascono da esigenze interne, hanno effetti
distorsivi sul commercio internazionale.
2.3.1 - Quote di importazione
Partiamo dal caso di un paese “piccolo”, rappresentato nella figura 23. In essa, come al solito,
D ed S sono le sue curve di domanda e di offerta interne e DI è la sua funzione di domanda di
importazioni. In regime free trade, al prezzo mondiale Pw, dato esogenamente da una offerta di
esportazioni del resto del mondo completamente elastica (SEw), il paese importerà AB = PwL.
D
D
C
P
Pw
S
P
G
H
A
E
F
B
SEw
L
Pw
DI '
Mercato interno
DI
Mercato mondiale
Fig. 23 - Quota di importazione (paese "piccolo")
Poniamo che il paese imponga una quota di importazione pari a CD = GP: ciò modificherà la
sua DI, rendendola perfettamente rigida (DI’) in corrispondenza del punto G: essendovi una quota,
cioè una restrizione quantitativa, qualunque sia il prezzo internazionale il paese non potrà
comunque importare più della quantità PG. La conseguenza è un aumento del prezzo interno a P e
46
l’insorgere di una “rendita” pari a CDFE per i possessori delle quote (licenze di importazione).
Nel caso in cui lo stato venda le quote o tassi i possessori, tale rendita va all’erario, e l’effetto è
del tutto simile all’imposizione di un dazio pari a P - Pw. La perdita di benessere, tutta concentrata
nel paese che impone la quota, è pari alla somma dei due triangoli AEC e DFB, che rappresentano
la perdita dei consumatori non compensata da guadagni dei produttori e dell’erario.
D
S
SEw
C
P
P 'w
M
A
G
K
E
Pw
J
L
Pw
P
D
N
F
B
P 'w
H
DI '
Mercato interno
DI
Mercato internazionale
Fig. 24 - Quota di importazione (paese "grande")
Venendo al caso del paese “grande” (figura 24), come al solito ciò che cambia è l’offerta di
esportazioni proveniente dal resto del mondo (SEw), che non è più perfettamente elastica, bensì
inclinata positivamente. In tal caso, la imposizione della quota CD = PK, oltre a far aumentare il
prezzo interno a P, fa anche diminuire il prezzo mondiale da Pw a P’w, per cui la rendita della
quota diventa CDFG = PKHP’w. Come nel caso del dazio, anche con una quota sulle
importazioni un paese “grande” può accrescere il proprio benessere a danno dei produttori esteri:
In particolare, nel nostro grafico, se l’area MNFG è superiore alla somma dei due triangoli ACG e
BFD il paese guadagna in termini di benessere, mentre i produttori esteri subiscono una perdita
pari all’area PwP’wHE. Il mondo nel suo insieme subirà comunque una perdita netta, pari al
triangolo KEH.
2.3.2 - Controlli (quote) sull’esportazione
Il problema è analogo a quello delle quote sull’importazione: esattamente come queste ultime
equivalgono ad una tariffa sull’importazione, la quota di esportazione ha effetti simili a quelli di
una tassa (protezione negativa).
In riferimento alla figura 25 (paese “piccolo”), si parte da un equilibrio di free trade in E, con
prezzo mondiale pari a Pw ed esportazioni del paese che si esamina, rappresentato nella parte
sinistra della figura pari ad AB = PwE. Se il paese in questione impone una quota di ammontare
47
pari a CD = PF, la sua offerta di esportazione (SE) diviene completamente rigida (SE’) in
corrispondenza della quota; poiché il paese è “piccolo”, la domanda di importazioni del resto del
mondo (DIw) è completamente elastica, per cui il prezzo mondiale rimane inalterato al suo livello
di free trade (Pw) e la maggiore offerta disponibile per il mercato interno fa scendere il prezzo
interno a P.
In conseguenza di questa politica, insorge una “rendita” pari a LHDC = PwGFP a vantaggio
dei possessori delle licenze di esportazione; tale rendita, nel caso che le licenze siano vendute o
tassate, può essere catturata dall’erario. Considerando il guadagno dei consumatori (PwACP) e la
perdita dei produttori (PwBDP) conseguente alla diminuzione del prezzo interno, il paese che
impone la quota subisce una perdita di benessere misurata dai triangoli ALC e HBD.
D
Pw
P
SE '
S
A
L
H
B
SE
Pw
G
E
DIw
C
D
P
F
Mercato interno
Mercato mondiale
Fig 25 - Quota sull'esportazione (paese "piccolo")
Per analizzare il caso del paese “grande” facciamo riferimento alla figura 26. In essa avremo
una domanda di importazioni del resto del mondo (DIw) che, a differenza di quanto avveniva nel
caso del paese “piccolo”, non è più infinitamente elastica, bensì inclinata negativamente; in
conseguenza di ciò, l’imposizione di una quota di esportazione pari a CD = PF comporterà, oltre
ad una riduzione delle esportazioni e del prezzo interno (da Pw a P), anche un aumento del prezzo
mondiale da Pw a P’w.
La “rendita” della quota è pari in questo caso a LMDC = P’wGFP, ed al solito essa può
considerarsi comunque un guadagno del paese che l’impone, sia che rimanga nelle mani degli
esportatori, sia che vada all’erario, qualora le licenze di esportazione fossero vendute al miglior
offerente.
48
D
P'w
Pw
P
SE '
S
A
L
M
H
I
C
D
SE
P'w
B
G
E
Pw
P
F
DIw
Mercato interno
Mercato mondiale
Fig 26 - Quota sull'esportazione (paese "grande")
In termini di benessere, i produttori interni subiscono una perdita misurata dall’area PwPDB,
mentre i consumatori guadagnano un’area di surplus pari al trapezio PwACP. Di conseguenza, il
paese che impone la quota potrebbe anche registrare un guadagno netto, se l’area LMIH fosse
maggiore della somma dei due triangoli AHC e IBD. Tale eventuale guadagno avverrebbe
comunque a spese del resto del mondo, la cui perdita di benessere è pari al trapezio P’wGEPw.
Come al solito, quindi, vi è una perdita netta di benessere per il mondo preso nel suo insieme,
misurata dal triangolo GEF.
2.3.3 - I sussidi alla produzione
Analizziamo il caso di sussidi alla produzione concessi in misura fissa per ogni livello di
quantità prodotta ed indipendenti al prezzo. Tale tipo di sussidio non è legato ad un livello di
ricavo prefissato, come avviene nel caso di schemi di prezzo minimo garantito basati su
integrazioni di prezzo (deficiency payments), di cui tratteremo nel seguito. Distingueremo, come
di consueto, tra paese importatore ed esportatore e tra paese “grande” e “piccolo”.
Incominciamo dal caso di paesi “piccoli”, analizzando la figura 27, che rappresenta il mercato
interno sia di un paese importatore (parte sinistra) che esportatore (parte destra). In entrambi i
casi, il prezzo interno è allineato, nella situazione iniziale, cioè in assenza di qualunque misura, al
livello del prezzo mondiale di free trade Pw.
Il sussidio alla produzione si può rappresentare, in entrambi i casi, come uno slittamento verso
il basso della funzione di offerta (da S a S’), in misura uguale al sussidio stesso (che, nella figura,
è appunto pari alla distanza verticale tra S ed S’). Infatti, la presenza di un sussidio si può
assimilare ad una riduzione dei costi di produzione, ovvero - a parità di costi - ad un aumento del
prezzo ricevuto dai produttori (da Pw a Pp) per ogni livello di produzione. La conseguenza è un
49
aumento della produzione interna da PwA a PwC cui corrisponde, nel paese importatore, una
diminuzione delle importazioni da AB a CB e, nel paese esportatore, un aumento delle
esportazioni da AB ad AC; fermi restando, in entrambi i casi, il prezzo mondiale ed il prezzo di
mercato interno al loro livello iniziale Pw.
D
S
D
S
S'
D
Pp
Pw
S'
A
D
Pp
C
B
Paese importatore
Pw
A
B
C
paese esportatore
Fig. 27 - Sussidio fisso alla produzione (paesi "piccoli")
Gli effetti in termini di benessere, nel paese importatore, sono un guadagno dei produttori
misurato dall’area PwPpDA, a fronte di una spesa di bilancio pari a PpDCPw (produzione interna
per sussidio unitario), con una perdita pari al triangolo ADC. Analogamente, nel paese
esportatore, un guadagno dei produttori pari a PpDBPw si associa ad una spesa di bilancio pari a
PpDCPw, con una perdita misurata dal triangolo DBC. Ovviamente, trattandosi di paesi “piccoli”,
il benessere del resto del mondo non viene influenzato in misura significativa.
Venendo ora alla applicazione di un sussidio fisso alla produzione da parte di un paese
“grande”, incominciamo dal caso di un paese importatore, rappresentato nella figura 28. Anche
qui il sussidio alla produzione fa slittare verso il basso l’offerta interna da S a S’ e, con essa, la
domanda di importazioni del paese in questione che, sul mercato mondiale, passa da DI a DI’. La
conseguenza è una riduzione delle importazioni da AB=PwE a CD=P’wF, una riduzione del
prezzo mondiale sa Pw a P’w, con una produzione interna che si colloca a livello PwL = P’wC =
PpH.
I produttori interni del paese che applica il sussidio alla produzione guadagneranno in misura
pari a PwAHPp, a fronte di una spesa di bilancio pari a PpHCP’w (produzione interna per
sussidio unitario). Poiché, tuttavia, il paese è “grande”, stavolta vi è anche da considerare l’effetto
sul prezzo di mercato (mondiale ed interno), che si riduce da Pw a P’w, con conseguente
guadagno dei consumatori interni, misurato dall’area PwBDP’w. L’effetto netto sul benessere
complessivo del paese che applica il sussidio è, dunque, indeterminato, ed è positivo se il
triangolo ALH risulta minore del trapezio LCDB.
50
D
S
S'
SEw
H
Pp
Pw
A
P'w
L
B
D
C
E
Pw
P'w
F
DI
DI '
Mercato interno
Mercato mondiale
Fig. 28 - Sussidio fisso alla produzione (paese importatore "grande")
Tale eventuale guadagno è comunque fatto a spese del resto del mondo che, in considerazione
della riduzione del prezzo mondiale da Pw a P’w e della quantità esportata, patisce una perdita
pari a PwEFP’w. Si deve notare, inoltre, che tale perdita è comunque maggiore dell’eventuale
guadagno del paese che impone il sussidio e che, dunque, vi è una perdita netta di benessere del
mondo nel suo insieme. Poiché il trapezio PwEFP’W (perdita del resto del mondo) è equivalente
al trapezio ABDC12, tale perdita netta si può quantificare nel triangolo ACH nel grafico di destra
della figura 28.
Il caso dell’applicazione di un sussidio fisso alla produzione da parte di un paese esportatore
“grande” è rappresentato nella figura 29. Anche in questo caso, il sussidio fa slittare l’offerta
interna da S ad S’ e, con essa, l’offerta di esportazioni del paese in questione da SE ad SE’. La
conseguenza è un aumento delle sue esportazioni da AB = PwE a CD = P’wF ed una riduzione del
prezzo mondiale dal suo livello iniziale di free trade, Pw, a P’w.
La produzione interna sale a P’wD = PpG, con un guadagno dei produttori pari a PwPpGB ed
una spesa di bilancio PpGDP’w.
Essendo il guadagno dei consumatori interni pari all’area PwACP’w, il paese che impone il
sussidio patirà sicuramente una perdita, misurata da tutta l’area ABGDC. Il resto del mondo, che
in tal caso è importatore netto, al contrario, registra guadagna, in conseguenza della riduzione del
prezzo mondiale conseguente alla politica che stiamo esaminando, tutta l’area PwEFP’w. Essendo
12I due
trapezi in questione, infatti, avendo per costruzione uguali basi ed uguale altezza, hanno anche la stessa area.
51
tale trapezio equivalente al trapezio ABDC su grafico di sinistra (uguali altezze ed uguale base),
la perdita netta del mondo nel suo insieme è misurata dal triangolo BDG.
S
D
SE
Pp
G
S'
SE '
Pw
P'w
A
Pw
B
C
L
D
P'w
E
F
DIw
Mercato interno
Mercato mondiale
Fig. 29 - Sussidio fisso alla produzione (paese esportatore "grande")
Prima di concludere questo paragrafo si può mostrare come, nell’ipotesi di mercati
concorrenziali un sussidio alla produzione generi, a parità di sostegno assicurato agli agricoltori,
una perdita di benessere inferiore a quella conseguente alla imposizione di un dazio o di un
prelievo variabile. Ciò dipende dal fatto che con un sussidio alla produzione, al contrario di
quanto accade nel caso del dazio, ci si limita a distorcere il funzionamento del mercato solo dal
lato dell’offerta, mentre il prezzo al consumo e, quindi, la domanda, sono influenzati solo in via
indiretta.
Limitandosi al caso del paese “piccolo” la cosa si può verificare osservando le Figg.30 e 31
che, rispettivamente, trattano l’argomento con un approccio di equilibrio economico parziale e
generale. Iniziando dalla figura 30, la perdita di benessere conseguente ad un dazio pari a P - Pw
è, come si è visto, data dalla somma dei due triangoli ACE e DBF (perdita consumatori PDBPw,
meno guadagno produttori PCAPw, meno entrate per l’erario pari a CDFE).
Se lo stesso ammontare di sostegno, al livello del prezzo alla produzione P, è assicurato ai
produttori lasciando il prezzo del mercato interno al livello Pw di free trade e concedendo un
sussidio alla produzione pari a CE, tale da fare slittare l’offerta interna da S a S’, la perdita si
riduce al solo triangolo AEC. Tale perdita è dovuta alla spesa necessaria per il sussidio (PCEPw)
meno l’incremento di rendita dei produttori (PCAPw); il prezzo per i consumatori rimane Pw, la
quantità domandata OI e le importazioni si riducono solo dell’ammontare LG, dovuto
all’incremento di offerta interna conseguente alla concessione del sussidio alla produzione.
52
D
S
S'
C
P
Pw
O
D
B
A
E
L
G
F
H
I
Fig.30 - Confronto tra dazio e integrazione di prezzo (equilibrio parziale)
Più in generale, sempre nell’ambito delle ipotesi neoclassiche di mercati perfettamente
concorrenziali, anche in un contesto di equilibrio economico generale si dimostra che la perdita di
benessere associata a un sussidio alla produzione - a parità di sostegno assicurato ai produttori - è
sempre inferiore a quella associata all’imposizione di un dazio.
Nella figura 31 utilizziamo la curva delle possibilità produttive e le curve di indifferenza
sociali (ragioniamo, quindi, di nuovo in termini di due prodotti) e consideriamo il caso di un
paese “piccolo”; non in grado, cioè, di influenzare la ragione di scambio internazionale. Come si
ricorderà, l’equilibrio di free trade, data la ragione di scambio internazionale RR, è in A sul fronte
della produzione e in C sul fronte del consumo, con esportazione di FA di tessuto ed importazione
di FC di grano. Poniamo che, per sostenere il reddito dei propri produttori, il paese voglia
aumentare da OL a OM la produzione interna di grano.
Una possibilità è fornita dall’imposizione di un dazio sull’importazione di grano, che distorce
la ragione di scambio interna (II), generando un nuovo equilibrio in B. Da questo punto il paese
potrà ancora scambiare tessuto contro grano, ovviamente alla ragione di scambio internazionale
(RR), muovendosi lungo le proprie curve di indifferenza, ma dovrà rispettare il vincolo
dell’uguaglianza tra saggio marginale di sostituzione tra grano e tessuto e rapporto tra i prezzi
interni dei due beni: la pendenza della curva di indifferenza dovrà dunque eguagliare la pendenza
della II, per cui il massimo raggiungibile è il punto E, giacente sulla I1.
53
C
Una alternativa al dazio è costituita dalla concessione di un sussidio alla produzione di grano:
ciò consente di raggiungere il punto B lasciando inalterato il rapporto tra i prezzi interni di grano e
tessuto al suo valore internazionale di free trade (pari alla pendenza della RR) ed evitando,
dunque, di apportare distorsioni anche nella sfera del consumo. Ciò significa che, una volta che la
produzione abbia raggiunto il punto B, il paese in questione potrà scambiare sul mercato
internazionale tessuto contro grano lungo la RR, fino alla sua tangenza con una curva di
indifferenza (I2) più lontana dall’origine, collocandosi nel punto D.
Questo risultato, essendo comunque il frutto di una distorsione, rimane comunque inferiore al
punto C, corrispondente all’equilibrio di free trade, ma ciò che qui interessa sottolineare è che
esso è nettamente superiore al punto E, che rappresentava il massimo ottenibile nella situazione
conseguente alla applicazione dazio.
2.3.4 - Sussidi al consumo
Gli effetti dei sussidi al consumo sono esattamente speculari a quelli derivanti dai sussidi alla
produzione.
54
Nella figura 32 è rappresentato il caso di paesi “piccoli”, sia importatori (grafico di sinistra)
che esportatori (grafico di destra). La concessione di un sussidio al consumo si può rappresentare
con un aumento della quantità domandata in corrispondenza di ogni livello del prezzo di mercato
e, dunque, in uno slittamento verso l’alto della funzione di domanda interna, da a D a D’; tale
slittamento, nel nostro caso, sarà parallelo, poiché stiamo qui ipotizzando che il sussidio sia di
ammontare unitario fisso, cioè indipendente dalla quantità complessivamente consumata e dal
prezzo di mercato. Ciò corrisponde ad una diminuzione del prezzo al consumo da Pw a Pc e ad un
aumento del consumo interno da PwB a PwC = PcE, che si traduce a sua volta in un aumento
delle importazioni da AB ad AC. Ovviamente, essendo il paese “piccolo”, tale aumento di
importazioni può essere soddisfatto a prezzo mondiale costante.
D
D'
S
D
Pw
A
B
Pc
C
E
Pw
D'
A
Pc
S
C
B
E
Paese esportatore
Paese importatore
Fig. 32 - Sussidi al consumo (paesi "piccoli")
In conseguenza di questi spostamenti, i consumatori interni guadagnano un’area di benessere
pari a PwBEPc, a fronte di una spesa del bilancio pubblico di PwCEPc (quantità consumata per
sussidio unitario) e, dunque, con una perdita netta del paese che impone il sussidio pari al
triangolo BCE. Analogamente, nel caso del paese esportatore, all’aumento del consumo interno
corrisponderà una riduzione delle esportazioni (da AB a CB), nonché un guadagno dei
consumatori interni (PwAEPc) più che compensato dalla spesa di bilancio (PwCEPc), con una
perdita netta pari al triangolo ACE. In entrambi i casi, non mutando il prezzo mondiale, il
benessere del resto del mondo rimarrà inalterato.
Passando alla rappresentazione degli effetti di un sussidio al consumo da parte di paesi
“grandi”, incominciamo dal caso del paese importatore (figura 33).
Qui l’aumento della domanda interna dovuto al sussidio ed il conseguente slittamento della
domanda di importazioni (da DI a DI’), in presenza di una offerta di esportazioni del resto del
mondo non più perfettamente elastica, comporta un aumento del prezzo mondiale, da Pw a P’w.
55
Sul mercato interno il prezzo al consumo (Pc) sarà ora pari al nuovo prezzo mondiale, P’w, meno
il sussidio, con un aumento del consumo da PwB a PcG ed un guadagno di benessere dei
consumatori interni misurato dall’area PwBGPc. La spesa conseguente al sussidio è pari a
P’wDGPc, mentre vi è un guadagno dei produttori interni (conseguente all’aumento del prezzo di
mercato da Pw a P’w) equivalente al trapezio P’wCAPw.
Il paese che applica il sussidio, dunque, patisce un perdita netta di benessere pari all’area
CDGBA, mentre il resto del mondo registra un guadagno (comunque minore), pari a P’wFEPw.
Ricordando che i trapezi P’wFEPw e CABD sono equivalenti, la perdita netta di benessere del
mondo nel suo insieme è misurata, nel grafico di sinistra, dal triangolo BDG.
S
SEw
P'w
Pw
C
A
B
Pc
F
P'w
D
Pw
E
G
DI '
D
Mercato interno
D'
DI
Mercato mondiale
Fig. 33 - Sussidio fisso al consumo (paese importatore "grande")
Nel caso del paese “grande” esportatore - rappresentato nella figura 34 - il ragionamento è del
tutto analogo. Il sussidio al consumo fa slittare verso l’alto la domanda interna del paese in
questione e, con essa, la sua offerta di esportazioni (da SE a SE’); essendo la domanda di
importazioni del resto del mondo non perfettamente elastica, ciò produrrà un aumento del prezzo
mondiale da Pw a P’w ed una diminuzione delle esportazioni del paese che impone il sussidio, da
AB = PwE a CD = P’wF.
I consumatori interni guadagnano PwAGPc, a fronte di una spesa di bilancio pari a P’wCGPc.
Il guadagno dei produttori interni (misurato dall’area P’wDBPw) è maggiore rispetto a quello che
si aveva nel caso precedente, per cui il saldo netto di benessere è indeterminato: esso, infatti,
potrebbe anche essere positivo, se il trapezio CDBH fosse maggiore del triangolo AHG.
56
SE '
D
D'
C
P'w
Pw
Pc
A
SE
S
H
D
B
P'w
Pw
F
E
G
DIw
Mercato interno
Mercato mondiale
Fig. 34 - Sussidio al consumo (paese esportatore "grande")
A fronte di tale potenziale guadagno del paese che impone il sussidio vi è comunque una
(maggiore) perdita del resto del mondo, misurata dal trapezio P’wFEPw. Poiché, inoltre,
quest’ultimo trapezio è equivalente al trapezio ACDB (avendo essi uguali basi ed uguale altezza),
la perdita netta di benessere per il mondo nel suo insieme è misurata dal triangolo ACG.
2.3.5 - Tasse alla produzione e al consumo
Gli effetti di una tassa sulla produzione (sul consumo) sono esattamente equivalenti a quelli di
un sussidio al consumo (alla produzione), per cui omettiamo la loro rappresentazione grafica.
Nel caso di tasse alla produzione, c’è uno slittamento verso l’alto dell’offerta interna (gravata
dalla tassa). Se il paese è importatore, vi sarà un aumento della domanda di importazioni; se il
paese è esportatore vi sarà una diminuzione della sua offerta di esportazioni. In entrambi i casi, se
il paese è “grande”, il prezzo mondiale aumenterà: nel caso del paese importatore vi sarà un
trasferimento di benessere dal paese che impone la tassa a favore del resto del mondo, mentre nel
caso di paese esportatore l’imposizione di una tassa può far aumentare il suo benessere a danno
del resto del mondo. In ogni caso, il mondo nel suo insieme subirà una perdita netta di benessere.
L’imposizione di una tassa sul consumo comporta una riduzione della domanda interna, con
effetti esattamente opposti: se il paese è importatore vi sarà una riduzione della sua domanda di
importazioni, mentre se il paese è esportatore vi sarà un aumento della sua offerta di esportazioni.
In entrambi i casi, se il paese che impone la tassa al consumo è “grande”, il prezzo mondiale
diminuirà: nel caso del paese importatore, la tassa sul consumo può tradursi in un aumento del suo
benessere a danno del resto del mondo; nel caso di paese esportatore, invece, la tassa sul consumo
si traduce in un trasferimento di benessere dal paese che impone la tassa a favore del resto del
mondo. In ogni caso, il mondo nel suo insieme subirà una perdita netta di benessere.
57
2.4. - Tassi di cambio e protezione
Nella determinazione dell’equilibrio commerciale di un paese una variabile cruciale è costituita
dal tasso di cambio. Essendo, infatti, il tasso di cambio il prezzo della valuta estera espresso in
moneta nazionale, è evidente come esso influisca in modo diretto sul livello del prezzo
internazionale rilevante per il commercio: sul prezzo delle importazioni, espresso nella valuta del
paese che importa e sul prezzo delle esportazioni, espresso nella valuta del paese che esporta.
Il tasso di cambio è una variabile macroeconomica che risente, come tale, del comportamento
di altre macro-variabili quali l’inflazione, il tasso di interesse, le aspettative sull’andamento
dell’economia, etc. Tuttavia, esso è in qualche misura manovrabile dalle autorità di politica
economica di un paese, che possono praticare politiche di sopra o sotto-valutazione del tasso di
cambio e/o possono favorire od ostacolare fenomeni di svalutazione o rivalutazione, per
influenzare gli andamenti reali dell’economia.
Più in particolare, ciò che qui ci interessa è l’effetto che la variazione del tasso di cambio
produce sui flussi commerciali, in termini di incentivo, o disincentivo, alle importazioni o alle
esportazioni del paese interessato. Per analizzare il problema ci serviremo di una rappresentazione
grafica in grado di far variare, al variare del tasso di cambio, le funzioni di domanda di
importazioni o di offerta di esportazioni rilevanti per la determinazione degli equilibri
commerciali.
Nella figura 35 incominciamo con il caso di un paese esportatore “piccolo”. Relativamente ad
un dato prodotto, nel grafico che compare in alto a sinistra della figura rappresentiamo la funzione
di offerta di esportazioni (SEn) in valuta nazionale, vale a dire l’eccesso di offerta sulla domanda
che vi è, sul mercato interno, in corrispondenza ad ogni livello di prezzo. Nel grafico in alto a
destra rappresentiamo, con una serie di semirette uscenti dall’origine, il tasso di cambio tra la
valuta nazionale (N) ed il dollaro ($), che ipotizziamo sia la valuta in cui si effettuano gli scambi
internazionali del prodotto in questione; poiché su tale grafico vi sono unità di N sull’asse y ed
unità di dollari sull’asse x, il tasso di cambio N/$ è dato dall’angolo formato dalle semirette con
l’asse delle ascisse: maggiore tale angolo, maggiore l’ammontare di N che si scambia con un
dollaro e, dunque, maggiore la svalutazione della valuta nazionale rispetto al dollaro.
Il grafico in basso a destra è un grafico di passaggio, con una bisettrice a 45°, il cui unico
scopo è riportare i dollari misurati sull’asse x del grafico in alto a destra, sull’asse y del grafico in
basso a sinistra. In quest’ultimo grafico, che rappresenta il mercato internazionale, possiamo
costruire per punti la funzione di offerta di esportazioni del nostro paese - la SEn del primo
grafico - esprimendola in funzione non più del prezzo interno, ma del prezzo internazionale,
denominato, appunto, in dollari. Per fare questo, “passiamo” attraverso i quattro grafici della
figura 35 procedendo in senso orario: ad ogni punto della SEn corrisponde una quantità di eccesso
di offerta ed un prezzo P, espresso in valuta nazionale; attraverso il tasso di cambio, otteniamo il
contro-valore in dollari del prezzo P che, operando attraverso il grafico di collegamento in basso a
destra, proiettiamo sull’asse delle ordinate del grafico in basso a sinistra, relativo al mercato
internazionale; a tale livello di prezzo espresso in dollari possiamo associare l’eccesso di offerta
58
corrispondente al punto della SEn da cui siamo partiti, ottenendo in tal modo un punto della
SEwo. Immaginando di ripetere l’operazione per un numero sufficiente di volte, siamo in grado di
disegnare la funzione di offerta di esportazioni del nostro paese, così come essa si presenta sul
mercato internazionale.
mercato interno
Cambio N/$
P
N
1 (sval.)
0
SEn
P1
F'
2 (rival.)
P0
E'
P2
G'
Q2
Pw
Q0
$
Q
Q1
$
SEw2
SEwo
SEw1
Pw
G
E
F
Q2
Q0
Q1
45°
Q
$
mercato mondiale
Fig. 35 - Tasso di cambio e commercio (paese esportatore "piccolo")
Nella situazione di partenza, con un tasso di cambio N/$ rappresentato dalla semiretta “0”,
abbiamo che la SEn del grafico in alto a destra corrisponde alla SEwo nel grafico che rappresenta
il mercato internazionale. Essendo il paese “piccolo”, il prezzo mondiale (Pw) è dato; l’equilibrio
si avrà nel punto E e l’esportazione sarà pari alla quantità Qo. Tale equilibrio, sul mercato interno
del nostro paese, si collocherà in E’, con una identica quantità esportata ed un prezzo in valuta
nazionale pari a Po. Naturalmente, la nostra costruzione grafica ci assicura che Po = rPw, dove “r”
59
è il tasso di cambio, espresso come ammontare di unità di moneta nazionale (N) necessarie ad
acquistare un dollaro.
Introduciamo ora una svalutazione del tasso di cambio rispetto al dollaro, che rappresentiamo
con uno slittamento verso l’alto, da “0” ad “1”, della semiretta nel grafico in alto a destra. In
corrispondenza del nuovo tasso di cambio, ferma restando la SEn, cioè la funzione di offerta di
esportazioni del nostro paese rispetto al prezzo in valuta nazionale, cambia la SEw - cioè il modo
in cui tale funzione si presenta sul mercato internazionale, quando espressa rispetto al prezzo in
dollari - slittando a SEw1. Infatti, a seguito della svalutazione, il prezzo mondiale espresso in
valuta nazionale corrisponde ad un prezzo interno più alto (P1) e, dunque, ad una maggiore
quantità esportata (Q1), in corrispondenza del punto F.
In modo del tutto analogo, la figura 35 consente di verificare gli effetti di una rivalutazione del
tasso di cambio: questa fa slittare verso il basso la semiretta che rappresenta il cambio N/$ (per
esempio, da “0” a “2”) e, di conseguenza, fa slittare verso l’alto la SEw. Ciò, fermo restando il
prezzo mondiale (ricordiamo che stiamo analizzando il caso del paese “piccolo”), determina una
riduzione del prezzo interno in valuta nazionale (P2) e della quantità esportata (Q2), in
corrispondenza del punto G.
Concettualmente identico e solo leggermente più complicato è il ragionamento da fare
nell’ipotesi di paese “grande”.
In tal caso, così come rappresentato nella figura 36, sul mercato mondiale il prezzo non sarà
indipendente dalla quantità esportata dal nostro paese e, dunque, la domanda di importazioni del
resto del mondo (DIw) non sarà più una retta orizzontale, come avveniva nel caso di paese
“piccolo”, ma avrà una inclinazione negativa. Nella situazione di partenza, il prezzo mondiale
(Pwo) sarà dato dall’incontro tra la DIw e la SEwo, derivando quest’ultima dalla SEn, sulla base
del tasso di cambio “0”, con il procedimento prima descritto. In corrispondenza del punto E, la
quantità esportata sarà pari a Qo al prezzo mondiale Pwo equivalente, sul mercato interno, al
prezzo P0 espresso in valuta nazionale.
Per il resto, si ragiona in modo del tutto analogo a quanto abbiamo fatto nel caso del paese
“piccolo”: una svalutazione farà slittare verso il basso la funzione di offerta di esportazioni SEw,
determinando un aumento della quantità esportata, mentre una rivalutazione farà slittare la SEw
verso l’alto, con una diminuzione della quantità esportata.
La differenza rispetto al ragionamento fatto in precedenza è che, poiché il paese è “grande”,
insieme al prezzo interno espresso in valuta nazionale varia anche il prezzo mondiale espresso in
dollari: quest’ultimo, infatti, come si vede dalla figura 36, diminuisce nel caso della svalutazione
ed aumenta nel caso della rivalutazione in conseguenza, rispettivamente, dell’aumento o della
diminuzione della quantità esportata indotta dalla variazione del tasso di cambio. Da ciò deriva
anche che le variazioni del prezzo interno conseguenti ad una svalutazione o ad una rivalutazione
del tasso di cambio saranno minori, nel caso di paesi “grandi”, di quelle che si verificano nel caso
di paesi “piccoli”: esse, infatti, sconteranno una variazione di segno opposto del prezzo mondiale,
60
la cui misura sarà inversamente proporzionale al valore assoluto della elasticità della domanda di
importazioni del resto del mondo.
mercato interno
Cambio N/$
P
N
1 (sval.)
0
SEn
F'
P1
P0
P2
2 (rival.)
E'
G'
Q2
Q0
SEw2
Pw
$
Q
Q1
$
SEwo
SEw1
Pw2
G
Pw0
E
Pw1
F
DI
Q2
Q0
Q1
45°
Q
$
mercato mondiale
Fig. 36 - Tasso di cambio e commercio (paese esportatore "grande")
Nella figura 36 abbiamo “portato” sul mercato mondiale la funzione di offerta di esportazioni
del paese che stiamo esaminando, esprimendola rispetto al prezzo in dollari ed ottenendo
l’equilibrio attraverso il suo incontro con la domanda di importazioni proveniente dal resto del
mondo, anch’essa espressa in dollari. Ad un risultato del tutto analogo si perviene “portando” sul
mercato interno - e, dunque, esprimendola rispetto al prezzo in valuta nazionale - la domanda di
importazioni del resto del mondo.
Tale modo di procedere è rappresentato nella figura 37. In essa si parte dal mercato mondiale e,
“passando” in senso antiorario per i due grafici a destra della figura, si esprime la domanda di
61
importazioni DIw rispetto al prezzo in valuta nazionale, trasformandola nelle DI disegnate nel
grafico in alto a sinistra.
mercato interno
Cambio N/$
P
N
1 (sval)
0
SEn
DI1
P1
DI0
F
2 (rival.)
P0
E
P2
DI2
G
Q2
Qo
$
Q
Q1
$
Pw
SEwo
Pw2
G'
Pw0
E'
Pw1
F'
DIw
Q2
Q0
Q1
45°
Q
$
Mercato mondiale
Fig. 37 - Tasso di cambio e commercio (paese esportatore "grande" II)
Una svalutazione, rendendo le merci prodotte nel paese in questione più competitive, farà
slittare verso l’alto (DI1) la domanda di importazioni proveniente dal resto del mondo e, con essa,
farà aumentare (a Q1) le esportazioni ed il prezzo interno (P1), mentre il contrario accadrà nel
caso di una rivalutazione. E’ facile verificare che gli effetti sono del tutto identici a quelli
analizzati nella figura 36.
Venendo al caso del paese importatore ci si limita, per brevità, alla ipotesi di paese “grande” ed
a un solo tipo di rappresentazione. Nel grafico in alto a destra della figura 38 vi è il mercato
interno del paese in questione, dove si determina la sua domanda di importazioni (DI), cioè
l’eccesso della domanda sull’offerta in corrispondenza a ciascun livello del prezzo interno. Al
62
tasso di cambio “0”, esprimendola rispetto al prezzo in dollari, la DI diventa la DIwo; essa, sul
mercato mondiale (grafico in basso a sinistra) incontra la funzione di offerta di esportazioni del
resto del mondo (SEw) nel punto E. Il paese, dunque, importerà la quantità Q0 al prezzo in dollari
pari a Pwo, corrispondente al prezzo Po in valuta nazionale.
mercato interno
Cambio N/$
P
N
1 (sval.)
0
G'
P1
E'
P0
2 (rival.)
F'
P2
DI
Q1
Q2
Q0
DIw2
Pw
$
Q
$
SEw
DIw0
F
Pw0
Pw1
E
DIw1
G
45°
Q1
Q0
Q2
Q
mercato mondiale
Fig. 38 - Tasso di cambio e commercio (paese importatore "grande")
Una svalutazione, rendendo più care le merci provenienti dall’estero, comporterà uno
slittamento verso il basso della domanda di importazioni del nostro paese rispetto al prezzo in
dollari (DIw1), una riduzione della quantità importata (Q1) e, con essa, del prezzo mondiale
(Pw1). Ovviamente, il prezzo interno, espresso in valuta nazionale, invece, aumenterà, portandosi
a P1. Al contrario, una rivalutazione, facendo slittare verso l’alto (DIw2) la domanda di
$
63
importazioni, farà aumentare sia le importazioni (Q2) che il prezzo mondiale (Pw2), mentre il
prezzo interno in valuta nazionale diminuirà.
Sintetizzando quanto abbiamo visto nei grafici più sopra commentati, gli effetti commerciali
delle variazioni dei tassi di cambio si possono individuare nei seguenti punti.
1) Una rivalutazione (ovvero una sopravvalutazione) del tasso di cambio, nel caso di un paese
esportatore, corrisponde alla imposizione di una tassa sulle esportazioni. Essa, infatti, si può
rappresentare, sul mercato mondiale, come uno slittamento verso l’alto della funzione di offerta di
esportazioni (misurata rispetto al prezzo mondiale, espresso in valuta estera) del paese che
rivaluta; analogamente, essa si può rappresentare, sul mercato interno, come uno slittamento verso
il basso della domanda di importazioni proveniente dal resto del mondo (misurata rispetto al
prezzo interno, espresso in valuta nazionale). In entrambi i casi:
- se il paese è “piccolo” vi sarà una riduzione del prezzo interno e delle quantità esportate;
- se il paese è “grande” alla riduzione (minore) del prezzo interno e delle quantità
esportate si aggiungerà un aumento del prezzo mondiale espresso in valuta estera.
2) Una rivalutazione (ovvero una sopravvalutazione) del tasso di cambio, nel caso di un paese
importatore, corrisponde alla concessione di un sussidio alle importazioni. Essa, infatti, si può
rappresentare, sul mercato mondiale, come uno slittamento verso l’alto della funzione di domanda
di importazioni (misurata rispetto al prezzo mondiale, espresso in valuta estera) del paese che
rivaluta; analogamente, essa si può rappresentare, sul mercato interno, come uno slittamento verso
il basso della offerta di esportazioni proveniente dal resto del mondo (misurata rispetto al prezzo
interno, espresso in valuta nazionale). In entrambi i casi:
- se il paese è “piccolo” vi sarà una riduzione del prezzo interno ed un aumento delle
quantità importate;
- se il paese è “grande” alla riduzione (minore) del prezzo interno ed all’aumento delle
quantità importate si aggiungerà un aumento del prezzo mondiale espresso in valuta
estera.
3) Una svalutazione (ovvero una sottovalutazione del tasso di cambio), nel caso di un paese
esportatore, corrisponde alla concessione di un sussidio alle esportazioni. Essa, infatti, si può
rappresentare, sul mercato mondiale, come uno slittamento verso il basso della funzione di offerta
di esportazioni (misurata rispetto al prezzo mondiale, espresso in valuta estera) del paese che
svaluta; analogamente, essa si può rappresentare, sul mercato interno, come uno slittamento verso
l’alto della domanda di importazioni proveniente dal resto del mondo (misurata rispetto al prezzo
interno, espresso in valuta nazionale). In entrambi i casi:
- se il paese è “piccolo” vi sarà un aumento del prezzo interno e delle quantità esportate;
- se il paese è “grande” all’aumento (minore) del prezzo interno e delle quantità esportate
si aggiungerà una riduzione del prezzo mondiale espresso in valuta estera.
4) Una svalutazione (ovvero una sottovalutazione del tasso di cambio), nel caso di un paese
importatore, corrisponde alla imposizione di una tassa sulle importazioni. Essa, infatti, si può
64
rappresentare, sul mercato mondiale, come uno slittamento verso il basso della funzione di
domanda di importazioni (misurata rispetto al prezzo mondiale, espresso in valuta estera) del
paese che svaluta; analogamente, essa si può rappresentare, sul mercato interno, come uno
slittamento verso l’alto della offerta di esportazioni proveniente dal resto del mondo (misurata
rispetto al prezzo interno, espresso in valuta nazionale). In entrambi i casi:
- se il paese è “piccolo” vi sarà un aumento del prezzo interno ed una riduzione delle
quantità importate;
- se il paese è “grande” all’aumento (minore) del prezzo interno ed alla riduzione delle
quantità omportate si aggiungerà una riduzione del prezzo mondiale espresso in valuta
estera.
65
PARTE TERZA
La misura del protezionismo
3.1. La misura del protezionismo in agricoltura: una riscoperta recente
La rilevanza assunta negli anni ottanta dai problemi connessi al cattivo funzionamento dei
mercati internazionali dei prodotti agricoli ha conferito grande importanza al tema della
misurazione del protezionismo in agricoltura. Questo rinnovato interesse è condiviso da almeno
due punti di vista rispetto ai quali una tale misurazione risulta indispensabile.
In primo luogo, nell’ambito scientifico, alla fine degli anni ottanta vi è stato un ritorno al tema
classico della valutazione degli effetti economici del protezionismo e/o della liberalizzazione: chi
ci guadagna, chi ci perde, quale è il grado di distorsione rispetto ad una ipotetica situazione di free
trade. In secondo luogo, con riferimento più esplicito ai negoziati Gatt dell’Uruguay round che,
come è noto, hanno posto la trattativa agricola in una posizione di primissimo piano, vi è stata la
necessità di misurare l’intensità del protezionismo in agricoltura: in particolare, si è avvertita
l’esigenza di poter disporre di indicatori utilizzabili sia come base di partenza di un accordo di
riduzione “per formule” del protezionismo, sia come strumenti di “monitoraggio” del rispetto
dell’accordo stesso, per confronti tra prodotti, tra paesi, nel tempo. Sotto quest’ultimo profilo, un
indicatore da utilizzare per la misura del protezionismo in agricoltura dovrebbe possedere
contemporaneamente tre fondamentali requisiti:
a)Relativa semplicità, sia in riferimento all’ammontare di dati ed ai problemi di stima
legati al calcolo dell’indicatore che, sul piano concettuale, in riferimento alle ipotesi
necessarie ad interpretarne il significato in modo non ambiguo.
b)Sufficiente globalità, cioè capacità di catturare gli effetti protezionistici di tutte le
misure che si ritengono distorsive del commercio, o di cui comunque si vogliono
misurare gli effetti, comprendendo anche quelle che non si traducono in espliciti
interventi di carattere tariffario o doganale.
c)flessibilità dell’indicatore utilizzato, in relazione al ventaglio di misure da prendere in
considerazione (il cosiddetto policy coverage): in altri termini dovrebbe essere possibile
includere o meno nel calcolo alcuni tipi di interventi, a seconda della maggiore o minore
ampiezza che si intende dare alla definizione di “protezione commerciale” a cui ci si
riferisce.
c)Il quarto requisito è la sensibilità dell’indicatore prescelto, cioè la capacità di riflettere
effettivamente le variazioni delle politiche di distorsione del commercio da parte di un
paese per il quale è misurato, al netto delle altre variabili che possono influenzarne il
valore.
66
Gli indicatori tradizionali con cui si misura il protezionismo, vale a dire il tasso nominale di
protezione (Tnp) ed il tasso effettivo di protezione (Tep), come vedremo nelle pagine che
seguono, posseggono solo in parte i requisiti appena descritti.
3.2 Il tasso nominale di protezione
Il tasso nominale di protezione (Tnp) si definisce, per ogni prodotto, nel modo seguente:
Pn - Pw
Tnp = --------------------Pw
(I)
dove Pn è il prezzo interno e Pw è il prezzo mondiale.
Il Tnp certamente possiede il requisito di semplicità, non presentando grossi problemi né sul
fronte concettuale, né su quello del calcolo, se si eccettuano quelli relativi alla individuazione di
un prezzo mondiale di riferimento. Esiste, al riguardo, una duplice difficoltà: la prima, che è
soprattutto di ordine pratico, è la materiale difficoltà di identificare correttamente il prezzo
mondiale da utilizzare, spesso associata alla non facile specificazione del “prodotto” che si
esamina o del punto della catena produttivo-distributiva a cui si opera. Tale problema in campo
agricolo esiste di frequente per prodotti differenziati - sotto il profilo qualitativo e/o in relazione al
diverso ammontare di servizi commerciali in essi inglobati13 - o per prodotti che, per
caratteristiche intrinseche (deperibilità, stagionalità, etc.), hanno un mercato internazionale molto
ristretto o fortemente segmentato. In casi del genere la scelta del prezzo mondiale da inserire nella
(I) risulta caratterizzata da un notevole grado di arbitrarietà.
La seconda difficoltà riguarda la circostanza che il prezzo mondiale corrente, cioè quello
osservato sui mercati internazionali, è esso stesso un prezzo distorto dalle misure protezionistiche
dei vari paesi, compreso il paese - se esso è sufficientemente “grande” in termini di quota di
commercio - di cui si sta misurando il Tnp. Entrambe queste difficoltà non sono certo irrilevanti,
ma va sottolineato che esse si ritrovano, oltre che nel Tnp, in qualunque indicatore di protezione
basato sul differenziale tra prezzo interno e prezzo mondiale.
Tornando alla definizione del Tnp si può aggiungere la possibilità di distinguere tra un Tnp
alla produzione (Tnpp) ed un Tnp al consumo (Tnpc), definendoli nel modo seguente:
Pnp - Pw
Tnpp = ----------------------Pw
e
Pnc - Pw
Tnpc = --------------------Pw
dove Pnp è il prezzo interno alla produzione, Pnc quello al consumo e Pw il prezzo mondiale,
tutti considerati al netto dei margini distributivi. Il Tnpp è una misura della distorsione indotta dal
lato della produzione e il Tnpc di quella indotta dal lato del consumo: ovviamente, l’effetto sul
13Nel caso dei prodotti agricoli un esempio tipico è fornito dal vino che, oltre ad essere differenziato dal punto di
vista qualitativo, è anche commercializzato in forme e canali molto diversi: si va, infatti, dalla sua esportazione
"anonima" in navi-cisterna a quella in bottiglie direttamente destinate alla tavola dei consumatori, a loro volta
fortemente differenziate in quanto a confezione, marchio, pubblicità.
67
commercio di tali distorsioni, in termini di scostamento della domanda di importazioni o
dell’offerta di esportazioni del paese e del prodotto esaminato dai loro valori di free trade, sarà
direttamente correlato, rispettivamente, alla elasticità-prezzo dell’offerta e della domanda interne.
I Tnpp e Tnpc coincideranno o differiranno a seconda del mix di interventi adottato, che
influenza diversamente i prezzi alla produzione e al consumo: tasse o sussidi al consumo
influenzano soprattutto il Tnpc, programmi tipo deficiency payments influenzano soprattutto il
Tnpp, mentre le misure alla frontiera, quali tariffe o quote, influenzano entrambi in misura
identica14.
Nel caso più semplice, di un paese “piccolo”, in cui l’unico intervento sia una tariffa ad
valorem, Tnpp e Tnpc sono uguali, e coincidono con l’aliquota (t) della tariffa. In tal caso, infatti,
non vi sarà differenza, al netto dei margini distributivi, tra prezzo alla produzione e prezzo al
consumo, ed il prezzo interno sarà pari al prezzo mondiale aumentato proporzionalmente
all’aliquota del dazio:
Pn = Pw + t x Pw
da cui:
Pn - Pw
t = ---------------------- = Tnp
Pw
Anche in questo semplice caso, le cose si complicano un po’ quando si rimuove l’ipotesi di
paese “piccolo” e quando si considera la possibilità che il protezionismo di un paese “grande”
(tale, cioè, da detenere quote significative delle importazioni o delle esportazioni mondiali)
influenzi non solo il prezzo interno, facendolo aumentare, ma anche il prezzo internazionale,
facendolo diminuire. In tal caso il Tnp continua a misurare correttamente la protezione in termini
di differenziale tra Pn e Pw, ma non coglie le implicazioni, diverse, in termini di misura della
distorsione interna ed internazionale che tale protezione comporta.
La figura 39 illustra questo punto. In esso la parte sinistra rappresenta il mercato interno, con
curve di domanda (D) ed offerta (S) interne, mentre nella parte destra viene rappresentata la
formazione del prezzo sul mercato mondiale, come incontro tra domanda di importazioni del
paese che impone la tariffa (DI) ed offerta di esportazioni del resto del mondo (SE). Quest’ultima
sarà infinitamente elastica (SE1) se il paese in questione è “piccolo” e quindi tale da essere price
taker, mentre avrà una inclinazione positiva (SE2) se esso è “grande”: in quest’ultimo caso,
infatti, un aumento delle sue importazioni, rappresentando queste una quota significativa del
mercato mondiale, sarà soddisfatto solo a prezzi crescenti da parte degli esportatori15.
14 Nel caso di paese "grande" un sussidio o una tassa al consumo (alla produzione) influenzerà - sia pure in misura
minore - anche il Tnpp (Tnpc): infatti la variazione di consumo (di produzione) interno che ne deriva comporta una
variazione della domanda di importazioni del paese, con conseguente variazione del prezzo mondiale che entra nel
calcolo del Tnpp (Tnpc).
15 Abbiamo qui ipotizzato un paese importatore, ma nulla cambia, concettualmente, nel caso di un paese esportatore
(il cui protezionismo potrebbe essere un sussidio all'esportazione): in tal caso si avrebbe una SE del paese in questione
68
In una situazione di free trade il prezzo mondiale è Pw1 e tale è, ovviamente, anche il prezzo
interno, per una quantità importata pari ad AB. L’imposizione di una tariffa fa slittare verso il
basso la DI, per un ammontare pari alla tariffa. Nel caso del paese “piccolo”, ciò fa salire il prezzo
interno a Pn1, in misura pari all’intero ammontare della tariffa, e fa diminuire le importazioni a
CD; nel caso del paese “grande” il prezzo interno sale solo a Pn2 perché una parte del dazio si
scarica sul prezzo internazionale, che scende a Pw2, mentre le importazioni saranno EF.
Pn1
D
C
Pn1
S
SE2
F
E
Pn2
Z
Pn2
A
Pw1
B
P
Pw2
I
G
H
Q
Pw1
L
Pw2
S
R
SE1
V
D
Mercato interno
DI '
DI
Mercato mondiale
Fig. 39 - Tasso nominale di protezione in presenza di una tariffa
Come è facile verificare, il Tnp è lo stesso in entrambi i casi, infatti:
Pn1 - Pw1
Pn2 - Pw2
Tnp1 = ------------------------- = Tnp2 = ------------------------Pw1
Pw2
Molto diverse sono, tuttavia, le implicazioni sotto il profilo delle variazioni di benessere: nel
caso del paese “piccolo” vi è un trasferimento dai consumatori ai produttori interni e al bilancio,
con una perdita netta pari ai due triangoli ACG e BHD; mentre, nel caso di paese “grande”, il
trasferimento è in parte anche a carico dei produttori esteri, con un saldo netto di benessere che,
per il paese che applica la tariffa, può anche essere positivo (ciò accade se l’area del rettangolo
IPQL è maggiore di quella dei due triangoli APE + BQF).
Una conseguenza importante delle considerazioni appena fatte è che l’interpretazione del Tnp
risulta univoca solo se con esso ci si accontenta di misurare il protezionismo come differenziale
tra prezzo interno e prezzo mondiale corrente. Risulta, invece, ambigua e distorta, se si è
interessati a misurare, più correttamente, il differenziale tra il prezzo interno ed il prezzo mondiale
e una DI del resto del mondo, più o meno elastica a seconda che, rispetto ad esso, il paese esaminato sia più o meno
"grande".
69
che si avrebbe in assenza delle misure di protezione16: in quest’ultimo caso, il Tnp di un paese
“grande”, se utilizza il Pw corrente (il Pw2 del nostro esempio grafico), sovrastima i costi per i
produttori ed i benefici per i consumatori che si avrebbero in conseguenza di uno smantellamento
unilaterale della protezione. Questo ragionamento vale anche per paesi “piccoli”, in una ipotesi di
liberalizzazione multilaterale: anche in un mondo concorrenziale, fatto di tutti paesi “piccoli”, se
tutti riducono contemporaneamente i loro Tnp in misura pari ad “x”, i loro prezzi interni
diminuiranno solo in misura pari ad “x - y”, dove “y” rappresenta l’aumento del prezzo
internazionale che deriva da questa riduzione multilaterale della protezione.
Con questa avvertenza, in un mondo in cui il protezionismo fosse tutto tariffario, o comunque
riconducibile ad un “equivalente tariffario” in termini di differenziali tra prezzo interno e prezzo
mondiale, il Tnp funzionerebbe abbastanza bene: certamente avrebbe il requisito della semplicità,
essendo un indicatore in certo senso “naturale”, trasparente e negoziabile (Josling-Tangermann,
1987) cui potersi riferire nelle trattative commerciali, almeno come base di partenza17.
3.3 Il concetto di “protezione effettiva”
Come si è visto nelle pagine precedenti, il tasso nominale di protezione è una misura molto
utile nella sua semplicità ed immediatezza e molto usata negli studi di commercio internazionale.
Tuttavia, se con il concetto di protezione si vuole intendere qualcosa in più del differenziale tra
prezzo interno ed internazionale, e ci si riferisce invece al vantaggio (o svantaggio) che la intera
struttura protezionistica di un paese accorda ad un determinato prodotto, allora è necessario
ragionare in termini di protezione effettiva.
E’ questo un concetto più ampio di quello della protezione nominale, poiché tiene conto degli
effetti che sul mercato di un certo bene provengono dalla protezione accordata, oltre che al bene
stesso, ai fattori produttivi necessari alla sua produzione.
E’ possibile, ad esempio, che ad una alta protezione nominale di un certo bene (per esempio,
carne), faccia riscontro una protezione effettiva molto minore, se non addirittura negativa, se i
fattori produttivi necessari a produrre il bene in questione (ad esempio, i prodotti usati come
mangimi per gli allevamenti zootecnici) godono anch’essi di una protezione consistente. La
protezione sul prodotto finito ne fa salire il prezzo, ma questo effetto può essere in tutto o in parte
neutralizzato dalla protezione commerciale sui fattori produttivi e dal conseguente aumento del
loro prezzo sul mercato interno, che innalza i costi di produzione del prodotto finito: il risultato
netto dell’intervento sul mercato del prodotto e dei fattori è, appunto la protezione effettiva, che
dipenderà dai coefficienti tecnici che esprimono la quantità di fattori necessaria per unità di
prodotto, e dai tassi nominali di protezione esistenti per il prodotto finito e per i fattori. In altri
16 Il Tnp calcolato riferendosi al prezzo mondiale di free trade anziché al prezzo corrente (che implica la possibilità
di stimare la DI e la SE del grafico 1) può definirsi come Tnp netto (Cuffaro, 1989).
17 Una misura aggregata del protezionismo di ogni paese potrebbe, in tal caso, calcolarsi come media dei Tnp dei
diversi prodotti ponderata con il loro peso sulla Plv (o sul volume di commercio) del paese stesso. Va qui sottolineato
che il Tnp cattura anche l'effetto delle barriere non tariffarie, nella misura in cui questo si manifesta come
differenziale tra prezzo interno e prezzo mondiale.
70
termini, si può anche affermare che il concetto di protezione effettiva sposta l’attenzione, come si
vedrà, dalla protezione esistente sulla produzione lorda di un certo prodotto finito, a quella
esistente sul valore aggiunto in esso contenuto, cogliendo, probabilmente, assai meglio la natura
dei suoi effetti
3.3.1. Mercato del prodotto e mercato dei fattori
Prima di discutere i vari effetti associati all’utilizzo del concetto di protezione effettiva, è
opportuno richiamare una rappresentazione grafica delle relazioni esistenti tra offerta di prodotto
finito, offerta di input e offerta di valore aggiunto, nonché tra mercato del prodotto finito e
mercato dei fattori produttivi.
Nella figura 40 sia SI l’offerta di input, crescente al crescere del prezzo (PI) dell’input stesso.
Ipotizzando, per semplicità, che il coefficiente tecnico sia pari a 1, cioè che per ogni unità fisica di
prodotto finito sia necessaria una unità fisica di input, e misurandole entrambe sull’asse x, il
prodotto finito lo si può rappresentare come la somma dell’input e del valore aggiunto nella
attività produttiva; per cui la sua offerta (SF) si può pensare come somma verticale di SI + SVAF,
dove SVAF è la “offerta di valore aggiunto”. Per ogni quantità prodotta (ad esempio OD) vi sarà
allora un “prezzo nominale” del prodotto finito (PF) ed un “prezzo effettivo” (PE), che remunera il
valore aggiunto e che è pari alla differenza tra prezzo nominale e prezzo dell’input (PI).
71
Prezzi
SF
PF
A
S'F
PF '
SVAF
B'
PE
B
SI
PI
C
PwI
O
C'
D
S'I
Offerta di carne e mangime
Fig.40 - Relazione tra offerta di prodotto finito, input e "offerta di valore aggiunto"
E’ ovvio che il produttore del prodotto finito è interessato al valore aggiunto e, dunque, al PE
più che al PF. Ed è altrettanto ovvio che un qualunque slittamento dell’offerta di input farà slittare
in modo analogo l’offerta di prodotto finito: nel grafico, se la SI diviene S’I, perché ad esempio si
rende disponibile sul mercato internazionale una offerta dell’input infinitamente elastica al prezzo
PwI, la SF - fermo restando la SVAF - diventa S’F. Il prezzo di offerta del prodotto finito scende a
P’F in corrispondenza della quantità OD, ma non varia il prezzo effettivo PE: ciò che ha fatto
diminuire PF a P’F è solo la riduzione di prezzo dell’input.
Per analizzare più compiutamente il meccanismo di formazione del prezzo, passiamo alla
figura 41. In essa siano SC e DC l’offerta e la domanda interne del prodotto finito “carne”, e sia
SM l’offerta interna dell’input “mangimi”, ipotizzando anche qui un coefficiente tecnico pari a 1.
Ovviamente, come nel grafico precedente, SC è la somma verticale di SM e SVAC.
72
Prezzi
SC
DC
A
PC
S 'C
B
P 'C
N
PwC
SM
D
PM
R
PE '"
PE
PE "
P 'M
SEC
H
F
PE '
C
SVAC
A"
SC
PwM
N"
L
SEM
M
E
SM
O
E'
N'
D'
A'
B'
C'
Carne e
mangimi
Fig. 41 - Mercato del prodotto finito e mercato dell'input
In economia chiusa SC e DC si incontrano in A, per cui OA’ sarà la quantità prodotta e
consumata di carne al prezzo Pc. Per tale produzione di carne si impiega la quantità PMH (= OA’)
di mangimi per cui, data la loro curva di offerta SM, il loro prezzo sarà PM; Il “prezzo effettivo”
sarà pari a PE = PC - PM, e ad esso corrisponderà una offerta di valore aggiunto di carne (SVAC)
pari anch’essa a OA’ (= PE A").
In economia aperta, ipotizzando che il paese sia “piccolo”, esso fronteggerà una offerta
internazionale di carne (SEC) ed una offerta internazionale di mangimi (SEM) entrambe
infinitamente elastiche.
La nuova curva di offerta totale di mangimi sarà ora la spezzata SM - E - SEM e quindi, così
come si è visto nel grafico precedente, ferma restando la offerta di valore aggiunto (SVAC), la
riduzione di costo dovuta alla riduzione del prezzo di offerta di mangimi fa slittare la offerta
interna, che diventa SC - F - S’C.
L’offerta totale è ora la spezzata SC-F-D-SEC per cui, in regime di free trade, l’equilibrio del
mercato della carne si avrà in corrispondenza del prezzo PwC, con un consumo pari a OC’, una
produzione interna pari a OD’ ed una importazione pari a D’C’. Riguardo ai mangimi, la quantità
utilizzata dai produttori interni di carne sarà OD’, di cui OE’ prodotta internamente e E’D’
importata al prezzo PwM. Il prezzo effettivo ricevuto dai produttori di carne si riduce da PE a P’E
73
Rispetto alla situazione di economia chiusa c’è un guadagno di benessere per i consumatori
pari al trapezio PCACPwC, che eccede largamente la perdita del complesso dei produttori interni
(di carne e di mangimi) pari al trapezio PwCNAPC. si noti che questa perdita complessiva (che
leggiamo sulla Sc) è pari alla perdita dei produttori di carne pari a PEA"LP’E (che leggiamo sulla
SVAC) più quella dei produttori interni di mangimi, paria a PMHEPwM.
Ovviamente col grafico che stiamo esaminando è possibile rappresentare le due situazioni
intermedie:
a) Esiste un mercato internazionale della carne ma non dei mangimi. In questo caso la SM
(offerta mangimi) rimane inalterata, mentre la offerta totale di carne diventa la spezzata SC-NSEC. Si avrà, allora:
-Nel mercato della carne: prezzo PwC, consumo OC’, produzione interna ON’,
importazioni N’C’.
-Nel mercato dei mangimi, prezzo P’M, utilizzazione (e produzione) interna ON’
(P’MV)
-Riduzione da PE a PE" del prezzo effettivo ricevuto dai produttori di carne
-In termini di benessere, rispetto alla situazione di economia chiusa, i consumatori
guadagnano PCACPwC, i produttori perdono PCANPwC, di cui PMHVP’M è la perdita
dei produttori interni di mangime e PEA"N"P"E è quella dei produttori di carne.
b) Esiste un mercato internazionale dei mangimi ma non della carne. In questo caso l’offerta
interna di mangimi diventa la spezzata SM - E - SEM, e quella di carne diventa SC-F-S’C. Si
avrà, allora
-Nel mercato della carne: prezzo P’C, consumo e produzione interna OB’, importazioni
nulle
-Nel mercato dei mangimi, prezzo PwM, utilizzazione interna OB’, produzione interna
OE’, importazioni pari a E’B’.
-Aumento del prezzo effettivo ricevuto dai produttori di carne da PE a P"E
-In termini di benessere, rispetto alla situazione di economia chiusa, i consumatori
guadagnano PCABP’C, i produttori di carne guadagnano PEA"RP"‘E, i produttori
interni di mangime perdono PMHEPwM.
Nella figura 42, si parte da una situazione di free trade, con equilibrio nel punto C: il paese
consumerà OC’ di carne, di cui OD’ prodotto internamente e D’C’ importata. utilizzerà OD’ di
mangime, di cui OL prodotto internamente e LD’ importato al prezzo PwM.
74
Prezzi
Dc
Sc
S "c
S 'c
G
Pc
B
A
SE 'c
T1
D"
Pwc
D
C
N'
N
H
SVAC
F'
P'E
SEc
Dc
J
T2
P"E
T1
K
PE
Y
SM
PM
T2
PwM
O
E
L
E'
R
Q
V
M
SE'M
SEM
D'
G'
B'
A'
C'
Fig.42 - La protezione effettiva
Introduciamo ora una tariffa pari a T1 sull’importazione di carne: la SEC diventerà SE’C, il
prezzo interno salirà a PC (=PwC + T1), il consumo si ridurrà a OA’ (=PCA), la produzione
aumenterà a OB’ (=PCB) e le importazioni di carne si ridurranno a B’A’. Aumenterà anche la
utilizzazione interna di mangime, da OD’ a OB’ e con essa la relativa importazione, da LD’ a
LB’. Il prezzo effettivo ricevuto dai produttori sale anch’esso in misura pari all’ammontare della
tariffa: prima era PE = PwC - PwM, ora diventa PE’ = Pc (= Pwc + T1) - PwM.
In questo caso, i produttori di carne guadagnano PCBDPwC (= P’EJYPE), i consumatori
perdono PCACPwC, lo stato incassa BAHN. La perdita netta, al solito, è data dai triangoli ACH e
DBN.
Se ora ipotizziamo anche l’esistenza di una tariffa pari a T2 sull’importazione di mangime che
ne aumenta il prezzo interno a PM, le cose cambiano: l’offerta interna di carne slitta da SCFS’C a
SCF’S"C, per cui la produzione interna di carne diminuirà a OG’ (=PCG) e le relative importazioni
75
aumenteranno a G’A’. L’utilizzazione interna di mangime pure si ridurrà a OG’, ma la produzione
interna aumenterà a OM (=PME’) e le importazioni si ridurranno a MG’.
In termini di benessere, rispetto alla situazione precedente, in cui vi era solo la tariffa T1 sulla
carne, i consumatori non subiscono variazioni. I produttori di carne, che vedono ridurre il loro
prezzo effettivo da P’E a P”E perdono PE’JKP”E; i produttori interni di mangime guadagnano
PwMEE’PM; l’erario aumenta le proprie entrate in misura pari a GBNN’ (aumento entrate
tariffarie della carne, la cui importazione è aumentata) + E’RVQ (entrate tariffarie
sull’importazione di mangime, prima assenti).
3.3.2 Il tasso effettivo di protezione
Come si è visto, il tasso nominale di protezione per un dato prodotto J è espresso in termini di
scostamento percentuale del prezzo interno, in presenza di protezione, dal prezzo mondiale, cioè
in termini di tariffa ad valorem:
TNj =
P – Pw
Pw
Il tasso effettivo di protezione (Tep) è un TN definito in termini di prezzo effettivo o, che è lo
stesso, in termini di valore aggiunto relativo al prodotto in questione:
V’j – Vj
PE’j
Tepj = PEj =
Vj
(1)
dove PEj = V’j è il prezzo effettivo (ovvero il valore aggiunto) del prodotto finito J in assenza
di dazi e PE’j = V’J è la stessa cosa in presenza di dazi (qui si parla di “dazi”, ma ci si riferisce a
qualunque misura protettiva di cui sia ricavabile un equivalente in tariffa).
Siano:
qij
= coefficiente tecnico, ovvero quantità dell’input i necessaria per la produzione di
una unità del prodotto finito j
Pj
= prezzo del prodotto finito j
Pi
= prezzo dell’input i
aij
= quota del valore dell’input i nel valore del prodotto finito j in assenza di dazi;
ovviamente aij = qij . Pi/Pj
ti
= aliquota del dazio sull’input i (tasso nominale di protezione sull’input i)
t’j
= aliquota del dazio sul prodotto finito j (tasso nominale di protezione sul prodotto j)
In regime di free trade, si ha:
VJ = Pj - q ij Pi
76
cioè, poiché qij = Pj . aij/Pi
VJ = Pj - aij Pj = Pj (1 - aij ) (2)
invece, in presenza di dazi, si ha:
V’J = (1 + tj ) Pj - (1 + ti) qijPi = (1 + tj )Pj - (1 + ti) aij.Pj
da cui:
V’J = Pj {(1 + tj) - (1 + ti) aij }
(3)
Sostituendo la (2) e la (3) nella (1),
Tepj =
Pj {(1 + tj) – (1 + ti) aij} – Pj (1 – aij)
Pj (1 – aij)
da cui, sviluppando:
tj – aijti
Tepj = 1 – aij
(4)
da questa formula si vede che:
a) Se tj = ti , allora Tepj = tj = ti. Cioè il tasso effettivo di protezione coincide con i tassi
nominali di protezione del prodotto e dell’input, quando questi sono uguali.
b) Se tj > ti, allora Tepj > tj> ti
c) Se tj < ti, allora Tepj < tj < ti
d) Se tj < aij ti , allora Tepj < 0
Ritornando alla rappresentazione dei nostri grafici precedenti, in essa era bij = 1, per cui:
aij = Pj/Pi (= PwM / Pwc)
inoltre, le tariffe T1 (sulla carne) e T2 (sui mangimi) erano espresse come cifre assolute, e non
percentuali. Quindi:
tj = T1/Pwc
e
applicando la (4) :
T1
PwM
T2
–
*
Pwc
Pwc
PwM
Tepc =
PwM
1 – Pwc
dopo alcuni passaggi,
ti = T2/PwM
77
T1 – T2
T1 – T2
Tepc = Pwc – PwM =
PE
ma in termini di prezzo effettivo
Tepc =
PE" – PE
T1 – T2
=
PE
PE
da cui
PE" – PE = T1 – T2
che è, appunto, il semplice risultato cui eravamo pervenuti con i nostri grafici.
Tornando alla formula del tasso effettivo di protezione
tj – aijti
Tepj = 1 – aij
essa può essere generalizzata al caso di n input:
tj – ∑iaijti
Tepj = 1 – ∑iaij
indicando con
∑iaijti
ti = ∑iaij
la media ponderata delle tariffe esistenti sugli input, dove i pesi sono gli aij, cioè le quote di
ciascun input sul prodotto finito, si può scrivere:
tj – ti∑iaij
Tepj = 1 – ∑iaij
(5)
La (5) ha esattamente lo stesso significato della (4), in termini di relazione esistente tra tasso
effettivo (Tepj) e tasso nominale (tj) di protezione per il prodotto finito J : Tepj sarà maggiore,
uguale o minore di tj , a seconda che questo sia maggiore, uguale o minore della media ponderata
dei tassi nominali di protezione (ti) esistenti sugli n input.
In conclusione, si può senz’altro affermare che, rispetto al Tasso nominale di protezione, il Tep
è una misura molto più completa; ma se esso ha meriti maggiori sul fronte della globalità degli
effetti catturati, non si può certo dire che risponda altrettanto bene al requisito della semplicità.
Non solo, infatti, il Tep è più complesso sul piano concettuale ma, soprattutto, è enorme
l’ammontare di dati necessari al suo calcolo: anche ipotizzando assenza di sostituibilità tra gli
input, è infatti necessario conoscere i Tnp esistenti su ciascuno di essi, nonché i coefficienti
tecnici che li legano al prodotto finito. Forse anche per questa ragione il Tep, a differenza del Tnp,
è stato scarsamente utilizzato come misura empirica del protezionismo in agricoltura. Tra i pochi
78
lavori esistenti sull’argomento va segnalato il contributo di Strak (Strak, 1982), contenente anche
un’ampia discussione teorica18.
Riguardo al requisito della sensibilità si può dire che il Tep ne ha fin troppa e che uno dei suoi
difetti è proprio quello di essere un indicatore eccessivamente instabile: ciò accade soprattutto per
prodotti o settori ad alta protezione nominale, per i quali può succedere che, valutando il prodotto
finito a prezzo mondiale, il loro valore di mercato risulterebbe quasi uguale, o addirittura
inferiore, ai costi per l’acquisto degli input. In un caso del genere, non certo infrequente in campo
agricolo, il denominatore della (II), cioè il valore aggiunto calcolato a prezzi mondiali, può
risultare molto vicino a zero o addirittura negativo, facendo perdere significato al calcolo del Tep.
C’è, infine, un altro ordine di considerazioni da fare riguardo al possibile uso del Tep come
indicatore di riferimento e monitoraggio di trattative commerciali multilaterali, legato al requisito
della globalità: anche in questo caso, come in quello della sensibilità, si può affermare che il Tep
risponde a tale requisito in misura nel contempo eccessiva e carente. Da un lato, infatti, esso tiene
conto, nel calcolo della protezione del settore agricolo, di tutta o quasi tutta la struttura tariffaria
di un paese, giacche sono innumerevoli i prodotti o i servizi che entrano in gioco, direttamente o
indirettamente, in quanto fattori produttivi. E’ ovvio che se ciò è un vantaggio, giacche consente
di cogliere in pieno i legami ed i trade off intersettoriali che sono comunque sempre presenti in
una trattativa, rende anche quest’ultima estremamente complicata, se non altro perché costringe a
negoziare troppe cose insieme. D’altro canto, se si trattassero i soli prodotti agricoli usando un
indicatore di protezione effettiva, si potrebbero verificare situazioni paradossali: si pensi al caso di
due paesi A e B, con protezione nominale uguale sui prodotti agricoli e diversa sui fattori
produttivi nel senso che, su di essi, il paese A pratica Tnp maggiori di B. In questa situazione, il
Tep agricolo di A risulta inferiore a quello di B, per cui un eventuale accordo in termini di sua
riduzione su base multilaterale comporterebbe uno “sforzo” minore proprio per il paese che, nel
complesso, è più protezionista: al limite, un obiettivo di riduzione del Tep sui prodotti agricoli
potrebbe raggiungersi aumentando, anziché diminuendo, il grado di protezione (sui fattori).
3. 4 - Un indicatore “aggregato”: Il Producer subsidy equivalent (Pse)
3.4.1 - Definizione
Nel corso delle trattative commerciali dell’Uruguay round del GATT la inadeguatezza degli
indicatori tradizionali tipo tasso nominale e tasso effettivo di protezione a misurare il
protezionismo agricolo è risultata subito evidente. Nel caso dell’agricoltura, infatti, il
protezionismo è solo in parte esercitato con misure di tipo commerciale - quali tariffe o interventi
alla dogana - mentre il problema risiede soprattutto nel contenuto protezionistico delle misure di
politica agrarie di sostegno interno. Non è un caso, infatti, che la peculiarità della trattativa GATT
sull’agricoltura, e la sua particolare difficoltà, risiedeva proprio nella circostanza che la
18A
dimostrazione della profonda differenza tra Tep e Tnp si può ricordare come, riguardo al settore zootecnico
inglese, nello studio citato Strak calcoli una protezione effettiva negativa (e vicina o superiore al 100% in valore
assoluto) per tutti i prodotti considerati, a fronte di Tnp tutti positivi (e superiori al 30%) per gli stessi prodotti.
79
liberalizzazione commerciale in campo agricolo non poteva prescindere da una revisione profonda
degli strumenti di politica agraria interna adottati dai principali paesi. Ed è ovvio come negoziare
la revisione delle politiche di sostegno interno sia cosa assai più difficile che negoziare una
riduzione delle tariffe doganali, considerando la ben diversa importanza ed articolazione degli
interessi coinvolti.
Fin dall’inizio dell’Uruguay round, dunque, si è posta l’esigenza di disporre di una misura
aggregata del sostegno e della protezione, che fosse in grado di cogliere gli effetti di tutti gli
interventi, commerciali e non, che influenzano la competitività di un paese e che in qualche modo
distorcono la allocazione delle risorse rispetto a quella di libero mercato. Tale esigenza ha
riportato alla ribalta il cosiddetto Pse (Producer subsidy equivalent), un indicatore proposto a suo
tempo da Josling in uno studio della FAO (FAO, 1973 e 1975), ripreso dall’Ocse (Oecd, 1987) e
poi ampiamente discusso, in numerose varianti, sia in sedi scientifiche che politiche19
Molto semplicemente, il Pse cerca di catturare, in un’unica misura sintetica, l’effetto di tutti gli
interventi di sostegno accordati agli agricoltori, esprimendoli in termini di “equivalente in
sussidio”, in genere espresso come percentuale della Plv o del valore aggiunto. Più precisamente,
il Pse si chiede a quanto ammonta la quota di prodotto lordo agricolo attribuibile all’intervento
pubblico di sostegno e protezione o, che è quasi lo stesso, di quanto bisognerebbe ricompensare i
beneficiari dell’intervento pubblico in agricoltura20 perché essi fossero disposti ad accettare un
ipotetico smantellamento di tutte le misure di sostegno e protezione considerate.
Si tratta, dunque, di un indicatore di sostegno interno più che di protezione commerciale e ciò,
come vedremo, costituisce nel contempo un limite ed un vantaggio del Pse: il limite è la sua
ambiguità e la sua scarsa attitudine a catturare in modo univoco gli effetti del protezionismo; il
vantaggio è che, nel voler misurare il protezionismo “attraverso” il più generale intervento di
sostegno, il Pse coglie un tratto peculiare della attuale realtà agricola, in cui i problemi
commerciali sono in gran parte conseguenza delle politiche agrarie interne.
Sia sul piano concettuale che su quello pratico del suo calcolo, nel Pse si possono distinguere
due componenti:
a)La prima componente, di gran lunga la più rilevante, è quella dovuta al differenziale tra
prezzi interni e prezzi mondiali dei prodotti per i quali è calcolato, frutto di tutti gli interventi
(tariffari e non tariffari) che hanno per effetto il mantenimento di un tale differenziale. Possiamo
chiamare questa la componente-prezzo del protezionismo che, come vedremo di qui a poco, è
concettualmente non dissimile dal tasso nominale di protezione, di cui condivide limiti e
problemi.
19 La letteratura sul PSE é ormai assai abbondante. Si vedano, tra gli altri, i contributi di Mac Clatchy 1987, Josling
e Tangermann 1987, Ballenger 1988, Josling 1988, Peters 1988, Legg 1988, Schwartz e Parker 1988, Usda 1987 e
1988, De Filippis 1990.
20 Si è qui usato il termine “beneficiari dell'intervento pubblico”, volendo comprendervi oltre agli agricoltori, anche
altri soggetti ad essi legati. In particolare, i proprietari dei fattori produttivi, la cui domanda aumenta in conseguenza
del sostegno accordato agli agricoltori, nell'ipotesi che la risposta di questi ultimi al sostegno stesso sia un aumento
della produzione. La precisazione non è inutile poiché serve a sottolineare il fatto che il Pse è una misura del sostegno
al prodotto lordo agricolo e non al reddito netto degli agricoltori.
80
b)La seconda è quella che si può definire la componente-sussidio del protezionismo, vale a
dire l’insieme dei pagamenti effettuati in favore degli agricoltori e non completamente
“disaccoppiati”, cioè in qualche modo capaci di influenzare, aumentandola, la quantità da essi
prodotta e quindi tali da distorcere, pur senza manipolare direttamente i prezzi, il sistema di
convenienze di libero mercato. Rientrano in questa categoria misure quali le indennità
compensative, gli aiuti al reddito non legati alla quantità prodotta, gli sgravi fiscali, il set-aside, i
sussidi ai fattori e via discorrendo. Questa componente-sussidio del Pse viene calcolata
semplicemente sommando la spesa pubblica per tali misure; è ovvio, quindi, che, per evitare
duplicazioni, nel suo calcolo non si dovranno includere le spese per quegli interventi (per
esempio, restituzioni all’esportazione, deficiency payments, ammasso, etc) che hanno come
obiettivo il sostegno del prezzo interno ricevuto dagli agricoltori, giacche il loro effetto è già
inglobato nella prima componente del Pse.
Per comprendere meglio il significato delle due componenti del Pse, è utile ricostruirle
partendo dalla formula con cui esso è stato riproposto dall’Ocse e con cui è stato utilizzato (Legg,
1988; Oecd, 1987). Per ogni prodotto il Pse è definito come:
Pse totale (Pset) = (Pn - Pw) Q + D - L + B (1)
dove Q è la quantità prodotta, D sono i pagamenti diretti (per esempio deficiency payments o
aiuti legati alla quantità prodotta), L sono tasse imposte ai produttori (per esempio prelievi di
corresponsabilità), mentre B ingloba tutto il resto della spesa pubblica indirizzata al settore o al
prodotto esaminato, in via indiretta o implicita (per esempio, sussidi ai fattori produttivi, servizi
reali). E’ ovvio che la parte maggiore di B è fatta di spese che sono genericamente finalizzate al
sostegno dell’intero settore agricolo piuttosto che a quello di singoli prodotti specifici
(irrigazione, infrastrutture, credito agrario, ricerca, assistenza tecnica, ecc..), per cui la sua
attribuzione per prodotto può creare problemi seri. Tali problemi, ovviamente, svaniscono in
buona parte quando si calcola il Pse complessivo dell’intero settore agricolo di un paese.
Il Pse totale è, come si vede dalla (1), una cifra assoluta, in miliardi di lire o in milioni di
dollari. Per confronti tra paesi o prodotti è dunque più utile calcolare un Pse unitario di qualche
tipo o, meglio ancora, un indicatore esprimibile in forma percentuale. Il Pse unitario (Pseu) in
genere (Oecd, 1987; Peters, 1988; Legg, 1988) viene definito rispetto alla quantità prodotta (Q):
Pset
Pseu = -------------Q
(2)
ma nulla vieta di pensare, in relazione agli scopi per cui è calcolato, ad un Pseu definito in
termini di Pse per ettaro di Sau o per unità di lavoro.
Il Pse percentuale, che d’ora in avanti indicheremo semplicemente come “Pse”, si definisce
come:
Pset
Q (Pn - Pw) +D - L + B
81
Pse = -------------------------- = ---------------------------------------------------QPn + D - L
QPn +D - L
(3)
Sviluppando la (3), si ha:
QPn - QPw +D - L
B
Pse = --------------------------------------------- + --------------------------QPn + D - L
QPn +D - L
(4)
3.4.2. La componente “protezione nominale” del Pse
Si vuole ora dimostrare che, dei due termini della (4), il primo somiglia molto ad un tasso
nominale di protezione alla produzione (Tnpp), cioè ad un Tnp “arricchito” dei pagamenti
integrativi (D) e dei prelievi (-L) direttamente legati alla quantità prodotta i quali, di fatto, fanno
variare (in genere in aumento nel caso dei paesi sviluppati, spesso in diminuzione nei Pvs) il
prezzo ricevuto dai produttori. Usando la simbologia del Pse, il Tnpp si può definire nel modo
seguente:
(Pn +D/Q - L/Q) - Pw
Tnpp = --------------------------------------------------Pw
dove D/Q e L/Q sono, rispettivamente, integrazioni o prelievi che incidono sul prezzo ricevuto
dagli agricoltori per unità prodotta.
Moltiplicando tutto per Q si ottiene:
QPn - QPw +D - L
Tnpp = -------------------------------------------QPw
(5)
La differenza di tale versione del Tnpp con quella che compare quale primo termine nella
formula del Pse (4) sta, dunque, solo nel denominatore: il Tnpp rapporta il differenziale tra prezzo
interno ricevuto dagli agricoltori e prezzo mondiale, al prezzo mondiale stesso; il Pse, invece, lo
rapporta al prezzo interno ricevuto dagli agricoltori.
Prescindendo da questa differenza puramente convenzionale, risulta dunque confermato che un
“pezzo” del Pse coincide, in pratica, con il tasso nominale di protezione (più precisamente con il
Tnpp, cioè con il Tnp alla produzione) di cui, ovviamente, condivide i pregi e i difetti. Come si è
accennato nelle pagine precedenti, in tal caso il principale limite è costituito dal fatto che il Pw di
riferimento è esso stesso un prezzo distorto dalle misure protezionistiche i cui effetti si vogliono
misurare: sia che si abbia a che fare con paesi “grandi”, sia che si ragioni in termini di
comportamenti multilaterali di tanti paesi “piccoli”. A questo si può aggiungere qui un’altra
considerazione importante, in particolare se si pensa al ruolo di monitoraggio che il Pse è
chiamato a svolgere.
82
Abbiamo prima discusso il Tnp nel caso semplice in cui la protezione consista in una tariffa ad
valorem, ma le cose si complicano in presenza di altre misure meno “pure”, se così si può dire,
sotto il profilo tariffario, anche se facilmente esprimibili in termini di equivalente in tariffa. Si
tratta di misure molto diffuse, quali ad esempio le restrizioni quantitative alle importazioni o i
sistemi di protezione del mercato interno basati su prezzi soglia che, per differenza con il prezzo
mondiale, fanno scattare prelievi variabili all’importazione e/o sussidi (restituzioni)
all’esportazione. In casi come questi, ciò che viene fissato dal paese che applica la misura non è il
livello di protezione, ma il livello del prezzo interno : il differenziale tra quest’ultimo e il prezzo
mondiale, cioè quello che viene misurato dalla componente del Pse assimilabile al Tnp, è,
dunque, fuori del controllo - in certo senso anche dell’interesse - del paese che pratica tali tipi di
interventi. La conseguenza è che un paese che, ad esempio, si impegni per una riduzione del 30%
del suo Pse non può sapere, se non a posteriori, di quanto deve ridurre il livello dei propri prezzi
soglia per rispettare l’impegno: con essi, infatti, possono variare prezzi mondiali e/o tassi di
cambio - variabili in larga parte fuori del controllo del singolo paese - annullando o ampliando la
riduzione del differenziale tra prezzi interni e prezzi mondiali, che rimane la variabile cruciale21.
3.4.3. La componente “sussidio” del Pse
Venendo alla seconda componente del Pse - il “B” delle formule precedenti - come si è detto
essa è calcolata facendo riferimento alla spesa pubblica indirizzata al settore agricolo per quelle
misure di sostegno i cui effetti non siano già inglobati nella componente-prezzo del Pse. E’ questa
una zona “grigia”, che può significare tutto e niente, certamente destinata a creare grossi problemi
al ricercatore che voglia calcolare il Pse di un certo prodotto o di un certo paese, circa le scelte in
merito alle voci di spesa da inserire o meno nel calcolo. Bisogna tuttavia riconoscere che proprio
tale caratteristica è uno dei punti di forza del Pse, che forse spiega il grande successo che la sua
riscoperta ha riscosso nell’ambiente politico negoziale, dove questo indubbio “vizio” di ambiguità
dell’indicatore finisce col confondersi con la ricercatissima “virtù” della flessibilità e della
globalità.
Il problema di cosa mettere e cosa non mettere nella componente “B” è, del resto, cruciale
sotto diversi aspetti:
a)sotto il profilo scientifico, perché da esso dipende il reale significato dell’indicatore ed in
particolare la sua differenza dal Tnp e dal Tep discussi nel paragrafo precedente;
b)sotto il profilo tecnico, perché si determina l’ammontare di dati e di stime necessari al suo
calcolo;
c)sotto il profilo politico, in termini di quali sono gli interventi nazionali giudicati
“negoziabili” in sede di trattative commerciali.
Ma i problemi della componente “B” del Pse vanno ben oltre quelli connessi alla sua
definizione. Si è già accennato alla questione della difficoltà di attribuire per prodotto molte spese
21 E' facile notare che ciò non accade nel caso della tariffa, che incide direttamente sulla differenza tra prezzi interni
e prezzi mondiali, cioè sulla componente di protezione nominale catturata dal Pse.
83
che sono genericamente indirizzate al settore, ma non è questo il punto più grave. Un’ipotesi
“forte” che va fatta rispetto alla componente “B” è connessa alla circostanza che essa è tutta ed in
egual modo misurata dalla spesa erogata per le misure che comprende: ciò implica dover
ipotizzare che l’efficacia di ogni dollaro speso in termini di sostegno e di protezione agli
agricoltori sia analoga per qualunque forma di intervento essa assume. Inoltre, il fatto che la
componente prezzo (protezione nominale) e la componente sussidio siano sommate con uguali
pesi nel calcolo del Pse equivale ad ipotizzare che per gli agricoltori sia indifferente ricevere il
sostegno in una qualunque delle due forme. Come vedremo, invece, da un lato, per gli agricoltori
e per le loro organizzazioni professionali è molto più appetibile un sostegno ricevuto attraverso i
prezzi (in parte invisibile in quanto a carico soprattutto dei consumatori) piuttosto che attraverso i
sussidi diretti (visibili poiché del tutto a carico della spesa pubblica); dall’altro, gli effetti
produttivi e la distribuzione dei benefici del sostegno dei prezzi possono differire notevolmente da
quelli dei sussidi, per loro natura più selettivi.
Un altro punto è strettamente connesso alla natura delle misure comprese nella componente
“B”, per grandissima parte assimilabili ad interventi sul mercato dei fattori: misure strutturali,
credito agrario, capitale umano, miglioramenti fondiari, sussidi o prezzi politici all’acquisto di
determinati mezzi tecnici e via discorrendo. Il fatto di prendere in considerazione anche gli
interventi sui fattori produttivi indubbiamente arricchisce il Pse e, secondo alcuni (Josling e
Tangermann, 1987; Schwartz e Parker, 1988), ciò ne assimilerebbe i connotati a quelli di un
indicatore di protezione effettiva. Tuttavia, almeno nelle versioni del Pse che sono state utilizzate,
questo è vero in misura del tutto parziale e per molti versi distorcente. Il Pse, infatti, ingloba solo i
sussidi che pervengono agli agricoltori attraverso il mercato dei fattori, ma non considera le
misure di protezione e le tasse esistenti sui fattori stessi22 che, invece, gravano sugli agricoltori in
quanto acquirenti di tali beni. In questo senso, più che misurare, sia pur parzialmente, una vera
protezione effettiva, il Pse semplicemente aggiunge alla protezione nominale sui prodotti il
sostegno indiretto accordato per il tramite dei fattori produttivi.
3.4.4 - Pse e misure di controllo della produzione
Uno dei problemi maggiori posti dall’utilizzo del Pse è costituito dall’esistenza di misure di
controllo della produzione e/o di incentivi rivolti ad un meno intenso uso in agricoltura di fattori
produttivi quali terra, lavoro, mezzi tecnici (set-aside, prepensionamento, estensificazione
produttiva). Il problema sorge dal fatto che si tratta di misure che, pur riducendo il potenziale
effetto di distorsione commerciale della politica agraria di un paese, lasciano inalterato (o
addirittura fanno aumentare) il valore del Pse.
La fig. 43 illustra il caso della quota di produzione. In essa Pw è il prezzo mondiale e P il
prezzo di sostegno interno. In assenza di quote il paese produrrà OQ1, consumerà OQ2 e, dunque,
scaricherà sul mercato mondiale una esportazione pari ad AB (si tratterà, ovviamente, di una
22 In questa linea bisognerebbe anche distinguere tra fattori traded e non-traded, sostituibili e non sostituibili, in
relazione ai coefficienti tecnici con cui essi entrano nelle varie produzioni.
84
esportazione sussidiata, attraverso un sussidio unitario pari a P-Pw). In assenza di altre misure il
Pse del paese in questione sarà dato da:
OQ1 (P - Pw)
P - Pw
Pse= --------------------------------- = -----------------------OQ1 x P
P
Se il paese impone una quota di produzione pari a OQ3 lasciando inalterato il livello (P) del
prezzo di sostegno interno, l’eccedenza che esso scarica sul mercato mondiale in conseguenza
della sua politica interna si riduce ad AE e, dunque, si riduce la distorsione commerciale indotta
dalla politica in questione.
P
A
E
A'
P1
B
E'
P2
D
Pw
C
S
Q2
D
Q3
Q1
Fig. 43 - Pse in presenza di misure di controllo della produzione
Il problema sta, appunto, nel fatto che il Pse non riflette questo cambiamento, giacche rimane
inalterato23. Esso, infatti, in presenza della quota di produzione, sarà pari a:
23
La figura illustra il caso di un paese piccolo, in cui Pw è un prezzo non distorto, ma le cose non cambiano anche
se il paese è grande: in tal caso il Pw corrente è distorto dalla protezione del paese stesso e, come tale, aumenta per
effetto della quota da esso imposta, giacché con essa si riduce l'offerta di esportazioni che il paese scarica sul mercato
85
OQ3 (P - Pw)
P - Pw
Pse= --------------------------------- = ---------------------OQ3 x P
P
In questa situazione, a parte l’incentivo interno, dato dal risparmio di spesa per sussidi
all’esportazione associato all’introduzione della quota, il paese in questione non vede
“riconosciuto”, dentro il Pse, il suo “sforzo” verso la riduzione del sostegno e delle distorsioni
commerciali. Un modo di superare il problema potrebbe essere quello di trovare un prezzo-ombra,
ovviamente minore di P, che sostituirebbe quest’ultimo nel calcolo del Pse, riducendone il valore
in misura adeguata. Il livello di tale prezzo-ombra dipenderà, ovviamente, da quali sono gli effetti
della quota che si vogliono inglobare nel premio: se si ha in mente la riduzione delle esportazioni
sussidiate che essa comporta, il prezzo-ombra sarà, con riferimento alla fig. 43, P1; cioè quel
prezzo di sostegno che, in assenza di quota, comporterebbe una esportazione (A’E’) pari a quella
(AE) che si ha in conseguenza della quota. Se invece si volesse “premiare” l’intero effetto sulla
produzione interna, allora il prezzo ombra - da ricercare lungo la funzione di offerta in
corrispondenza della quota (punto D) - sarebbe P2.
Date le difficoltà connesse alla stima di quella che sarebbe la funzione di offerta in assenza di
quota - cosa indispensabile per la ricerca di un prezzo-ombra comunque definito - un modo più
snello di affrontare il problema potrebbe essere quello di ragionare direttamente in termini di Pse
totale (Pset), cioè di un indicatore che cattura sia gli effetti di manovre di prezzo che di controllo
della produzione; è ovvio tuttavia che, essendo il Pset una cifra assoluta, il suo uso non rende
possibile i confronti spaziali, tra paesi e tra prodotti, che una misura aggregata di protezione
dovrebbe poter assicurare.
Le cose sono ancora più complicate nel caso di programmi tipo set-aside, prepensionamento,
estensificazione: il loro costo di bilancio, infatti, aumenta il numeratore del Pse (nella sua
componente “B”), mentre il loro effetto dovrebbe ridurre la produzione (Q) e, dunque, il
denominatore del rapporto, con la conseguenza che il Pse addirittura aumenta. Inoltre in questi
casi è meno agevole, anche sul piano strettamente teorico, il calcolo di “premi” adeguati per tener
conto degli effetti di tali politiche.
3.4.5. Pse e dintorni
Alcuni dei problemi di cui prima si è discusso intaccano il valore del Pse quale misura corretta
dei livelli di protezione e/o della distorsione commerciale in assoluto, ma non sono questi
necessariamente i più gravi, considerando che ad esso si chiede una funzione di monitoraggio
negoziale e, dunque, una capacità di misurazione relativa del sostegno accordato all’agricoltura:
ciò che più dovrebbe contare, nell’uso pratico del Pse, sono i confronti tra prodotti e tra paesi e le
sue variazioni nel tempo (per esempio, la sua progressiva riduzione verso un certo valore
eventualmente concordato in sede Gatt).
mondiale. Tuttavia, se il Pse è correttamente misurato, il suo valore non cambia: in tal caso, infatti, esso non utilizza
il Pw corrente, bensì quello non distorto, che si avrebbe in assenza di protezione e che, ovviamente, rimane inalterato.
86
Limitandosi, dunque, alle questioni più direttamente legate a tale ipotetica funzione di
monitoraggio, sulla base di quanto detto vanno sottolineati i seguenti punti: sul fronte dei “meriti”
che il Pse si è guadagnato, più che sul piano teorico metodologico, su quello politico-negoziale,
essi possono così sintetizzarsi:
a)Sinteticità e globalità della misura, ma nel contempo possibilità di distinguere tra le due
componenti prezzo e sussidio.
b)Semplicità relativa rispetto ad altre misure, per esempio rispetto al Tep, sia nel calcolo e
nell’ammontare e precisione dei dati necessari, sia nel significato, facilmente comprensibile anche
per i non addetti ai lavori.
c)Approccio multilaterale: un “Pse bilaterale” non ha senso per definizione, giacche il valore
del Pse di un paese è comunque calcolato rispetto al resto del mondo nel suo insieme.
d)Grande flessibilità nella scelta (e quindi nelle possibilità di accordo a riguardo) delle misure
da non inserire (considerandole “disaccoppiate”) nel suo calcolo.
e)Possibilità che la sua riduzione eventualmente concordata sia perseguita dai vari Paesi con
strategie e mix di interventi diversi, in relazione alle diverse esigenze nazionali, con riduzioni
differenziate delle componenti prezzo o sussidio e delle diverse voci che le compongono.
Accanto a questi meriti, la trattazione delle pagine precedenti dovrebbe aver chiarito che il Pse
presenta anche svantaggi notevoli sintetizzabili nei seguenti tre:
1)Pur dando per risolti i problemi connessi alla scelta di un prezzo mondiale di riferimento, la
protezione misurata dalla componente prezzo del Pse è solo in parte sotto il controllo del paese
che la attua, poiché essa dipende anche da variabili esogene alle politiche agrarie nazionali, quali
l’andamento dei prezzi mondiali e dei tassi di cambio.
2)Il Pse non è pienamente comparabile tra diversi paesi e diversi prodotti, giacche la
protezione da esso misurata è poco più che semplicemente nominale: pur tenendo conto della
componente sussidio, infatti, non è una protezione effettiva (non cattura infatti la protezione
esistente sui fattori produttivi, né distingue tra beni traded e non traded). Di conseguenza,
differenze in queste variabili possono attribuire significati diversi a Pse uguali, tra prodotti o tra
paesi24.
3)Anche a parità di protezione effettiva, due paesi con uguale Pse possono stare distorcendo il
commercio mondiale in misura molto diversa; o, anche, uno stesso paese può ridurre il proprio
Pse senza necessariamente ridurre il grado di distorsione commerciale che ne deriva. In altri
termini, il Pse è una misura approssimata del sostegno assicurato al prodotto lordo agricolo e non
è una misura della distorsione commerciale che ne consegue; questa, a parità di sostegno dipende,
oltre che dalla elasticità della domanda e dell’offerta, dalle singole voci del Pse (e delle sue due
24 Ciò può comportare in molti casi una sovrastima della protezione ed un ingiustificato aumento del Pse, che può
inficiarne l'uso per confronti tra paesi. Ad esempio, ipotizziamo che in un paese A vi sia un sussidio per gli agricoltori
all'acquisto di carburanti pari a 100 lire al litro, in presenza di un regime fiscale che tassa i carburanti stessi in misura
pari a 200 lire. Gli agricoltori di A sono avvantaggiati rispetto agli altri operatori nazionali, ma rispetto agli agricoltori
di un paese B, dove ipotizziamo non esista né sussidio né tassa, essi pagano ogni litro di carburante 100 lire in più.
Nonostante ciò il Pse agricolo di A ingloberà la spesa per il sussidio in oggetto e risulterà, ceteris paribus, maggiore di
quello del paese B.
87
componenti, prezzo e sussidio) di cui, per così dire, esso è una media ponderata più che una
somma: l’effetto distorsivo di uno stesso Pse dipenderà da variabili quali i diversi effetti sul
consumo delle varie misure, l’esistenza o meno di misure di controllo della produzione o dei
fattori produttivi, la diversa percezione e la diversa risposta degli agricoltori alla componente
sussidio delle varie politiche.
A ben guardare, i problemi del Pse, prescindendo dalle sue specificità, riflettono la generale
difficoltà di costruire un indicatore sintetico del protezionismo agricolo, così strettamente
intrecciato alle politiche agrarie nazionali. Leggendo la copiosa letteratura fiorita recentemente in
materia, è possibile rintracciare numerosi indicatori simili al Pse, talvolta ad esso contrapposti,
talaltra esplicitamente proposti quali sue varianti, per migliorarne la significatività teoricometodologica o la utilizzabilità pratica. Ma tutti gli indicatori aggregati di protezionismo, se
analizzati in dettaglio, o presentano problemi e limiti assai simili al Pse in termini di ambiguità,
oppure risultano, a seconda dei casi e dei punti di vista, troppo semplicistici, troppo complicati,
troppo parziali.
A conclusione di questa breve rassegna ci si limita a dare qualche cenno sul Cse (Consumer
subsidy equivalent), un indicatore parente stretto del Pse, di cui rappresenta l’applicazione alla
sfera del consumo anziché a quella della produzione. Il Cse si può infatti definire come
l’equivalente in tassa o sussidio per i consumatori di un dato insieme di misure di politica agraria,
e può esprimersi nel modo seguente:
Cse (totale) = - C (Pn - Pw) + G
C è la quantità consumata, preceduta dal segno meno per indicare che il differenziale tra
prezzo interno e mondiale rappresenta un costo e, dunque, una tassa implicita sul consumo
imposta dalle politiche agrarie. Nel Cse non compaiono D, B ed L, che sono voci riguardanti i soli
produttori, mentre compare G, cioè la spesa per (eventuali) sussidi al consumo.
Anche il Cse si può esprimere come Cse unitario (rapportandolo alla quantità consumata, o
anche al numero dei consumatori) o come Cse percentuale, rapportandolo alla spesa per consumo:
Cse tot
Cse % = ---------------------C Pc
dove Pc è il prezzo al consumo, comprendente i margini distributivi.
Il Cse, che ovviamente risulta negativo per i paesi che proteggono la propria agricoltura tramite
il sostegno dei prezzi, in questi stessi casi è in genere minore, in valore assoluto, del Pse. In
pratica esso corrisponde concettualmente a quello che si è prima definito come tasso nominale di
protezione al consumo (Tnpc); in questo senso, quindi, il Cse può considerarsi un indicatore
complementare più che alternativo al Pse.
Tra gli indicatori che costituiscono un adattamento del Pse allo scopo di renderlo meglio
utilizzabile a fini negoziali, vale la pena di ricordare l’Smu (Support measurement unit), che è
88
importante in quanto è l’indicatore a suo tempo proposto dalla Cee nell’ambito delle trattative
Gatt dell’Uruguay round. Le differenze con il Pse sono sostanzialmente due: a) l’utilizzo, al posto
del prezzo mondiale corrente, di un prezzo di riferimento fisso; b) la non considerazione degli
interventi di sostegno di natura strutturale (in pratica, la scomparsa della componente “B” del
Pse). Si tratta di modifiche importanti che, in pratica, riducono anche questo indicatore ad un
tasso nominale di protezione alla produzione, con in più il fatto che esso è calcolato rispetto ad un
prezzo di riferimento fisso anziché rispetto al prezzo mondiale corrente.
Lo scopo dell’Smu è quello di concentrare l’attenzione sulle misure che maggiormente
distorcono il commercio: vale a dire sulla sola componente prezzo del Pse e, di questa, sulla sola
componente, per così dire, “strutturale”, eliminandone la parte dovuta a fluttuazioni congiunturali
dei prezzi mondiali e dei tassi di cambio. Un problema serio dell’Smu è che esso si adatta bene
solo a situazioni - tipo, appunto, quella della Cee che lo aveva proposto - in cui la protezione si
traduceva nell’isolamento del mercato nazionale e nel mantenimento di un prezzo interno ad un
livello prefissato, totalmente scollegato da quello del prezzo mondiale corrente. Al contrario, nelle
situazioni in cui il protezionismo sia assicurato da misure tariffarie, che come tali innalzano il
prezzo interno (in misura pari alla tariffa) ma non ne isolano l’andamento da quello del prezzo
mondiale corrente, l’uso di un prezzo di riferimento fisso può portare a distorsioni notevoli25.
A conclusione di questo paragrafo è opportuno ricordare quale sia stato l’indicatore aggregato
concretamente scelto in sede Gatt con l’accordo siglato nell’aprile 1994 al termine dell’Uruguay
round, quale strumento di monitoraggio degli impegni di riduzione del sostegno interno26.
Sintetizzando e semplificando al massimo, l’accordo agricolo Gatt prevede un impegno di
riduzione del sostegno interno nella misura del 20% in sei anni, rispetto al suo livello esistente nel
periodo 1986-88. La riduzione é calcolata mediante la cosiddetta “Misura Aggregata del Sostegno
Complessivo” (Masc)27, che é definita come la somma di tre componenti:
a)la somma dei sostegni direttamente attribuibili ad ogni singolo prodotto, misurati tramite
Masc specifiche per prodotto;
b)il sostegno derivante da politiche i cui benefici non sono attribuibili prodotto per prodotto,
misurate con una Masc non specifica per prodotto;
c)per i casi in cui il calcolo di una Masc non sia praticamente possibile, il sostegno misurato
attraverso non meglio specificate “misure equivalenti del sostegno”.
25 Si pensi ad una situazione in cui i prezzi mondiali nei tre anni precedenti siano stati pari, rispettivamente, a 90,
100 e 110 e che il prezzo di riferimento (Pr) nell'Smu sia posto, ad esempio, pari alla loro media, cioè a 100.
Immaginiamo ora di dover misurare la protezione derivante da una tariffa fissa pari a 30; in tal caso, il prezzo interno
corrente (Pn) sarà pari al prezzo mondiale corrente (Pw) più la tariffa, e quindi dipenderà criticamente dalla
congiuntura internazionale più che dalla politica effettuata: se Pw salisse a 120, si avrebbe un Pn pari a 150 e, quindi,
un Smu (Smu = Pn - Pr) pari a 50; se Pw scendesse a 70, si avrebbe un Pn pari a 100 e un Smu pari a zero, senza che
nulla sia cambiato nella politica tariffaria del paese in questione.
26Per una analisi molto più approfondita dell’accordo Gatt relativo all’agricoltura, si veda Anania e De Filippis
(1996) ed Anania (1995).
27L’acronimo inglese è AMS, che sta per Agrregate Measure of Support.
89
La Masc usata in sede Gatt è concettualmente simile al Pse, nel senso che contiene sia una
componente-prezzo che una componente-sussidio, anche se ne costituisce un adattamento che
sacrifica molto del suo rigore scientifico alle esigenze pratiche e, per così dire, politiche derivanti
dall’applicazione dell’accordo Gatt. In particolare, la sua definizione risulta estremamente
generica e confusa e lascia, di fatto, margini di flessibilità assai ampi ai paesi che devono
applicarla, rendendo gli impegni presi in materia di riduzione del sostegno interno assai poco
vincolanti.
Per quanto riguarda la componente prezzo, la Masc è data dalla differenza tra il prezzo interno
ed un prezzo esterno di riferimento, moltiplicata per la quantità prodotta che beneficia del
sostegno via prezzo. In questo, essa recepisce l’idea dell’Smu, giacché prevede di utilizzare, quale
prezzo di riferimento esterno, un prezzo fisso, calcolato come media del periodo 1986-88 dei
prezzi mondiali rilevanti (f.o.b. per i paesi esportatori, c.i.f. per i paesi importatori). Per le
politiche di sostegno diretto - cioè per la componente sussidio della Masc - viene considerata la
spesa di bilancio ad esse relativa o il mancato introito da parte dello Stato (nel caso, ad esempio,
di sgravi fiscali); se si tratta di sussidi in natura, si considera il valore dei beni distribuiti; nel caso
di sussidi ai fattori produttivi, se la relativa spesa di bilancio non fosse in grado di cogliere
l’effetto in termini di sostegno, questo si può ottenere come differenza tra un prezzo medio ed il
prezzo sussidiato del fattore produttivo, moltiplicata per la quantità sussidiata.
Un punto rilevante dell’accordo Gatt in materia di sostegno agricolo riguarda i limiti imposti al
policy coverage della Masc, vale a dire l’indicazione di una serie di misure, inserite nella
cosiddetta “scatola verde”, che non vanno considerate nel suo calcolo. Tali misure sono le
seguenti:
a)servizi generali per l’agricoltura, quali ricerca, divulgazione, formazione professionale,
promozione commerciale, servizi di sviluppo, sempre che tali politiche non prevedano
pagamenti diretti agli agricoltori;
b)politiche di ammasso pubblico costituiti per garantire la sicurezza alimentare del paese;
c)aiuto alimentare a favore dei consumatori poveri;
d)pagamenti a sostegno del reddito degli agricoltori, purché “disaccoppiati”, cioè
sganciati dal livello della quantità prodotta, o che abbiano come obiettivo la garanzia di
redditi minimi, il sostegno in occasione di calamità naturali, l’aggiustamento strutturale
orientato alla riduzione dei fattori il cui impiego risulta sovrabbondante in agricoltura
(prepensionamento), la salvaguardia dell’ambiente, il sostegno in favore di aree
svantaggiate.
e)pagamenti diretti alle aziende, purché concessi nell’ambito di politiche che hanno
l’obiettivo di ridurre la produzione e purché legati a superfici e rese fisse o relativi a non
più dell’85% della produzione.
La giustificazione dell’esclusione delle misure in questione dal calcolo della Masc starebbe
nello loro scarso effetto distorsivo. Tuttavia nella “scatola verde” del Gatt, oltre a misure che
effettivamente hanno queste caratteristiche - quasi tutte quelle comprese nell’elenco da a) a d) -
90
sono state inserite alcuni interventi - in particolare quelli previsti nel punto e) - che, di fatto,
coincidono con i principali strumenti di sostegno interno utilizzati dalle politiche agrarie
dell’Unione Europea e degli Stati Uniti: il che, dunque, alleggerisce ulteriormente l’impegno
sottoscritto in sede Gatt dalle due superpotenze (Anania 1995; Anania, De Filippis, 1996).
91
PARTE QUARTA
Commercio internazionale, protezionismo e ambiente
4.1 - Ambiente, regolamentazione ambientale e vantaggi comparati
Come si è accennato, in base alla teoria standard del commercio internazionale, i “vantaggi
comparati” di un paese vengono definiti in ragione della quantità e della qualità dei fattori
produttivi in esso disponibili: terra, capitale, lavoro, conoscenze tecniche. Sarebbe, infatti, proprio
la relativa abbondanza o scarsità di tali fattori, necessari in modo più o meno intensivo nella
produzione dei diversi beni, che determinerebbe la matrice dei costi comparati di un paese e, con
essa, la sua specializzazione produttiva e commerciale.
Tradizionalmente l’ambiente e la sua capacità di assimilazione non facevano parte dei “fattori”
che venivano tirati in ballo per spiegare la specializzazione di un paese; semplicemente perché
essi non erano percepiti come risorse “scarse” e perché il costo del loro sfruttamento non trova
posto, come quelli del capitale, della terra, del lavoro, nel sistema dei prezzi di una economia di
mercato. Come è noto, negli ultimi anni è rapidamente cresciuta la percezione dell’ambiente
come risorsa scarsa e dell’inquinamento come “esternalità” da prendere in considerazione nella
valutazione dell’attività economica. Per conseguenza, di fronte alla incapacità del mercato di
tenere conto della gran parte degli effetti sull’ambiente nel proprio meccanismo regolatore
costituito dal sistema dei prezzi, è cresciuto l’intervento pubblico volto ad “internalizzare” il
costo esterno associato allo sfruttamento dell’ambiente stesso. In questo contesto, è interessante
inglobare nella nostra analisi, con la consueta rappresentazione grafica, l’influenza sui vantaggi
comparati e, dunque, sulla specializzazione commerciale di un paese, dei seguenti due aspetti:
a) la diversa capacità di assimilazione dell’ambiente e, dunque, il diverso livello di
inquinamento generato nei diversi paesi da una stessa produzione;
b) la presenza (o l’assenza) di una politica di regolamentazione volta ad internalizzare
il costo esterno dell’inquinamento.
Il primo aspetto è analizzato nella fig. 44, dove - in un mondo a due soli paesi - è rappresentata
la situazione del loro mercato interno relativamente ad un dato bene la cui produzione comporta
un effetto negativo sull’ambiente. Quando tale effetto non viene considerato, e si ragiona in
termini di curve di domanda e offerta “private”, entrambi i paesi si trovano in una posizione di
equilibrio di autarchia, cioè senza commercio internazionale. In altre parole, il grafico è disegnato
in modo che il prezzo di autarchia (incontro tra domanda ed offerta interne) sia lo stesso sia nel
paese 1 che nel paese 2: non vi è quindi alcun incentivo all’intraprendere il commercio.
Introduciamo ora il costo esterno ambientale ed ipotizziamo che esso sia nullo per il paese 1
(in conseguenza, ad esempio, di una maggiore capacità di assimilazione) e molto alto nel paese 2.
Questo significa che, mentre la funzione di offerta privata del paese 1 riflette tutti i costi sociali,
quella del paese 2 li sottostima, poiché non ingloba l’(alto) costo associato al danno ambientale:
una curva di offerta che riflettesse tale costo dovrebbe essere disegnata come la S*, la cui distanza
verticale dalla S2 corrisponde, appunto, al costo esterno ambientale associato ad ogni livello di
92
produzione interna. Questo significa anche che, se il costo ambientale fosse “internalizzato”, il
prezzo di autarchia nel paese 2 dovrebbe essere P*; molto più alto, dunque, di P. E’ chiaro, allora,
che in una tale situazione vi sarebbe spazio per il commercio, ed in particolare per un flusso di
esportazioni (AB) del paese 1 e di corrispondenti importazioni (A’B’ = AB) del paese 2.
S*
D1
S1
D2
S2
P*
Pw
Pw
A
E*
A'
B'
B
P
P
E2
E
Paese 1 (produzione senza danni ambientali)
Paese 2 (produzione con danni ambientali)
Fig. 44 - Ambiente e vantaggi comparati
La presa in considerazione dei danni ambientali, differenziati tra paesi, ha dunque fatto
emergere un vantaggio comparato nella produzione del bene in questione a favore del paese 1 ed
un flusso di commercio che avvantaggia entrambi i paesi, giacche la produzione si sposta dove
essa genera un costo (comprensivo del danno ambientale) minore.
Per analizzare il secondo aspetto, relativo alla influenza sul commercio della regolamentazione
ambientale eventualmente presente nei diversi paesi, facciamo riferimento alla figura 45. In essa è
rappresentato il mercato interno di due paesi relativamente allo stesso prodotto e, come nel grafico
precedente, le curve di domanda ed offerta sono disegnate in modo che il prezzo di autarchia in
assenza di regolamentazione ambientale (P2) sia lo stesso in entrambi i paesi e, dunque, non vi sia
spazio per alcun flusso di commercio. Inoltre, si ipotizza che in entrambi i paesi la produzione in
questione generi un notevole costo ambientale esterno, per cui le curve di offerta “sociali”, che
inglobano tale costo, sono molto più alte di quelle private e pari, rispettivamente ad S1* ed S2*.
Se, dunque, in entrambi i paesi vi fosse una regolamentazione ambientale “ottima” (tale, cioè, da
“internalizzare” perfettamente il costo sociale dell’inquinamento), S1* ed S2* sarebbero le curve
rilevanti: l’equilibrio passerebbe in entrambi i paesi da E ad E*, con una diminuzione sia della
produzione che del consumo ed un aumento del prezzo di autarchia da P2 P1, ma senza alcuna
modifica dei vantaggi comparati e, dunque, senza alcun incentivo al commercio.
93
Le cose cambiano se si ipotizza una diversa intensità della regolazione ambientale nei due
paesi. Limitandosi ai due casi estremi, possiamo verificare cosa accade:
a) quando il paese 1 applica una regolamentazione “ottima” ed il paese 2 non interviene;
b) quando il paese 2 applica una regolamentazione “ottima” ed il paese 1 non interviene;
D1
D2
S1 *
S2 *
S1
E*
P1
P1
P3
S2
E*
P3
A
B
C
C'
P2
P2
A'
B'
E
E
Paese 2
Paese 1
Fig. 45 - Effetti sul commercio della regolamentazione ambientale
Nel caso a), le curve di offerta rilevanti sono la S1* per il paese 1 (dal momento che esso
interviene per internalizzare il costo ambientale) e la S2 per il paese 2 (che, non intervenendo,
lascia operare la sola componente “privata” dei costi di produzione, inglobata nella S2). La
conseguenza è l’emergere di un vantaggio comparato “a favore” del paese 2, il cui prezzo di
autarchia (P2) risulterà molto più baso di quello del paese 1 (P1): di qui il formarsi di un prezzo
“mondiale” a livello P3, con un flusso di esportazioni dal paese 2 al paese 1 pari ad AB = A’B’.
Nel caso b), avviene il contrario: il paese 2 applica la regolamentazione ottima e, dunque, la
sua curva di offerta trasla sulla S2*, mentre il paese 1 non interviene, lasciando la propria curva di
offerta ad S1. La conseguenza è un vantaggio comparato “a favore” del paese 1, con un flusso di
esportazioni pari a BC = B’C’.
Rinviando ai paragrafi successivi l’analisi degli effetti sul benessere associati al commercio in
presenza di esternalità ambientale, va comunque notato che, nei due casi esaminati, il maggior
guadagno di benessere è sicuramente in favore del paese che diventa importatore in conseguenza
del suo intervento di regolamentazione: infatti, al consueto guadagno di benessere associato al
commercio, si aggiunge la riduzione del danno ambientale, che viene scaricato sul paese che non
interviene e che, dunque, diventando esportatore, produce (ed inquina) di più.
94
4.2 - Effetti del commercio in presenza di esternalità ambientali
Per analizzare l’effetto del commercio internazionale sull’ambiente, facciamo riferimento alla
figura 46. In essa è riportata la situazione del mercato interno di un paese “piccolo”, relativamente
ad un bene che presenta una esternalità negativa ambientale dal lato della produzione28. Se S è la
curva di offerta “privata”, S* sarà quella “sociale”, che ingloba anche i costi esterni conseguenti
all’inquinamento.
S*
B
D
S
C
E
P
H
F
Pw
G
A
D
Qm
Q
Cm
Fig. 46 - Effetti del commercio sull'ambiente: paese importatore "piccolo"
Nell’ipotesi in cui non vi sia alcuna regolamentazione ambientale da parte del paese in
questione, l’equilibrio di autarchia si otterrebbe come incontro tra la domanda e l’offerta
“private”, e si collocherebbe nel punto E, con produzione pari a Q e prezzo P. In tale situazione, il
benessere sociale complessivo sarebbe dato dalla differenza tra il benessere privato (WP) ed il
costo sociale (CW) e sarebbe, quindi, misurato dalle aree ABE - AED. Infatti:
WP = ABE (surplus dei consumatori PBE + surplus dei produttori PEA, in
corrispondenza del prezzo P);
CW = AED (area compresa tra S* ed S, in corrispondenza della produzione Q)
Introduciamo ora il commercio internazionale, ipotizzando che il prezzo mondiale si collochi
ad un livello pari a Pw: ciò comporta, ovviamente, la convenienza per il paese che stiamo
28Si ipotizza, invece, la inesistenza di esternalità ambientali dal lato del consumo, anche se queste possono essere
presenti nella realtà.
95
esaminando a diminuire la produzione interna da E a G e ad aumentare il proprio consumo da E
ad F, per importare dal resto del mondo una quantità pari a GF al prezzo Pw. Questo spostamento
dall’autarchia ad una situazione di totale apertura al commercio internazionale provoca una
variazione nel livello di benessere: il surplus dei consumatori aumenta di PEFPw e quello dei
produttori diminuisce di PEGPw, per cui la componente privata del benessere, WP, aumenta di un
ammontare misurato dall’area GEF. Inoltre, in conseguenza della diminuzione della produzione
interna, il costo esterno ambientale si riduce in misura pari a GHDE, per cui il guadagno di
benessere complessivo associato al commercio è pari a GEF + GHDE.
Una prima conclusione a cui ci ha condotto la nostra analisi è, dunque, la seguente: per prodotti
che comportano un costo esterno ambientale, in assenza di regolamentazione, un paese
importatore avrà un guadagno di benessere derivante dal commercio maggiore di quello che si
avrebbe in assenza di esternalità negative di produzione; tale guadagno sarà tanto maggiore
quanto maggiore è il livello del costo esterno ambientale. Infatti, al normale guadagno associato
al commercio (area GEF) si aggiunge la riduzione del costo esterno ambientale conseguente alla
diminuzione della produzione interna resa possibile dalle importazioni.
Ovviamente, la conclusione che qui abbiamo ricavato confrontando una situazione di autarchia
con una situazione di libero commercio, vale anche nel caso di una liberalizzazione: se, cioè, si
pone a confronto una situazione di commercio meno libero, ostacolato da misure protezionistiche,
con una di commercio più libero.
Ma veniamo ora al caso di un paese esportatore, con l’aiuto della figura 47. In essa è
rappresenta una situazione di partenza del tutto analoga a quella descritta nel grafico precedente:
anche qui vi è un equilibrio iniziale di autarchia in E, a cui è associato un benessere complessivo
che ammonta ad ABC meno CDE, come differenza tra la componente privata AEB (somma del
surplus dei produttori e dei consumatori) meno ADE (costo esterno ambientale). L’unica
differenza è che ora le possibilità di commercio sono offerte ad un prezzo mondiale (Pw) che è
più alto di quello di autarchia (P) del paese che stiamo esaminando. La ovvia conseguenza è che il
paese in questione diventerà esportatore sul mercato mondiale, per un ammontare pari ad FG:
infatti, in corrispondenza del prezzo Pw, la domanda interna si ridurrà da E ad F e la produzione
aumenterà da E a G.
Le implicazioni di benessere sono, in questo caso, tutte da verificare. Infatti, dal consueto
guadagno “privato” associato al commercio, misurato nella figura 47 dal triangolo GEF (PwGEP,
guadagno produttori, meno PwFEP, perdita consumatori), va in questo caso sottratto l’incremento
del costo esterno ambientale, conseguente all’aumento della produzione interna rispetto alla
situazione di autarchia: tale costo è dato dall’area EDHG, per cui la variazione del benessere
complessivo conseguente al commercio potrebbe addirittura risultare negativa, se il triangolo JHG
fosse maggiore del triangolo FJC.
96
S*
H
B
Pw
S
F
J
G
D
C
P
E
D
A
Cx
Q
Qx
Fig. 47 - Effetti del commercio sull'ambiente: paese esportatore "piccolo"
Siamo dunque pervenuti ad una seconda conclusione importante: per prodotti che comportano
un costo esterno ambientale, in assenza di regolamentazione, un paese esportatore riceve dal
commercio un effetto sul benessere complessivo il cui segno non è determinabile a priori ma che
è in ogni caso minore di quello che si avrebbe in assenza di esternalità negative di produzione: in
particolare, il guadagno di benessere derivante dal commercio è, per il paese esportatore, tanto
inferiore quanto maggiore è il costo esterno ambientale della produzione interessata; e ciò come nel caso precedente - vale sia che si tratti del passaggio da una situazione di autarchia ad
una situazione di libero commercio, come nel nostro grafico, sia che si tratti di una
liberalizzazione commerciale. Più in particolare, se l’esternalità negativa ambientale è molto alta,
il commercio internazionale può addirittura tradursi in una perdita di benessere per i paesi
esportatori, nella misura in cui il danno ambientale della maggior produzione interna supera i
maggiori profitti lordi privati ad essa associati.
4.3 - Effetti del commercio in presenza di esternalità ambientali e tasse “ottime”
Vediamo ora cosa accade se, in presenza di una esternalità ambientale di produzione, vi è
anche una politica rivolta ad internalizzarla; ipotizziamo che tale politica sia una “tassa ottima”
sulla produzione, pari esattamente al costo esterno ambientale per unità prodotta e, quindi, tale da
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portare la curva di offerta “privata” a coincidere con la curva di offerta “sociale”. Incominciando
dal paese importatore, guardiamo alla figura 48, del tutto analoga alla precedente figura 46.
S*
B
M
S
P*
C
E
P
N
Pw
D
F
J
G
K
D
A
Q*m
Qm
Q*
Q
Qc
Fig. 48 - Effetti del commercio sull'ambiente in presenza di tassa ottima (paese importatore "piccolo")
In autarchia la tassa ottima è pari a CD, per cui il prezzo interno sale, rispetto alla situazione
non regolamentata, a da P a P* e la produzione diminuisce da Q a Q*. In questo caso, non
essendovi più divergenza tra costi privati e costi sociali, il benessere privato e quello sociale
coincidono e sono misurati dal triangolo ABC (surplus dei consumatori BCP*, più surplus dei
produttori P*CA). Introducendo la possibilità di commercio ad un prezzo Pw, inferiore a P*, la
produzione interna diminuisce lungo la S* fino a Q*m e, con essa, diminuisce anche l’ammontare
della tassa ottima, che si attesta al livello JK. Il consumo aumenta fino a Qc ed il paese importa la
quantità Qc-Q*m. In questa situazione, il guadagno di benessere è pari al triangolo JCF (guadagno
dei consumatori P*CFPw, meno perdita dei produttori P*CJPw).
Si può notare che tale guadagno di benessere è diverso da quello che si aveva nella situazione
prima analizzata, quando ipotizzavamo assenza di regolamentazione ambientale: rispetto a quella
situazione, infatti, viene a mancare il guadagno pari al triangolo CME, in quanto il costo esterno
da esso rappresentato era già stato internalizzato dalla tassa ottima; si aggiunge, invece, il trapezio
JNGK, connesso alla riduzione del costo ambientale associata alla ulteriore riduzione della
produzione conseguente alla presenza della tassa. E’ assai probabile che l’area di tale trapezio sia
minore di quella del suddetto triangolo e che, dunque, il guadagno di benessere derivante dal
commercio per un paese importatore sia maggiore in assenza di regolamentazione ambientale:
98
tuttavia ciò dipenderà dalla elasticità della domanda e dell’offerta e dal tipo di divergenza tra
offerta privata ed offerta sociale29.
Il caso del paese esportatore è descritto nella figura 49, del tutto analoga alla precedente figura
47 salvo che adesso la curva di offerta rilevante diventa quella che incorpora anche i costi esterni
ambientali - la S* - in quanto ipotizziamo l’imposizione di una tassa ottima.
S*
M
B
Pw
S
F
H
N
K
C
P*
G
P
E
D
D
A
Cx
Q*
Q
Q*x
Qx
Fig. 49 - Effetti del commercio sull'ambiente in presenza di tassa "ottima" (paese esportatore "piccolo")
In autarchia la tassa ottima ammonta a CD, per cui il prezzo di mercato diventa P* e la
produzione scende da Q (livello che si aveva in assenza della tassa) a Q*. Benessere privato e
sociale coincidono e sono misurati dall’area del triangolo ABC. In presenza di un prezzo
internazionale Pw, più alto di quello di autarchia, la produzione aumenta lungo la S* fino a livello
Q*x (dunque, meno di quanto accadeva in assenza della tassa ambientale) e le esportazioni si
attestano sul livello Cx-Q*x. Il guadagno di benessere è stavolta sicuramente positivo anche per il
paese esportatore ed è pari a FCH; tale aumento di benessere si ha nonostante l’inquinamento
aumenti - proporzionalmente all’aumento della produzione interna, incentivato dalla possibilità di
esportazione - rispetto al livello che esso aveva in autarchia. In questo caso, tuttavia, il guadagno
29Nella
figura abbiamo ipotizzato un costo marginale esterno crescente al crescere della produzione; ed é questa
l’ipotesi più plausibile. Tuttavia, non si può escludere che per produzioni particolari esso potrebbe essere costante (in
tal caso S ed S* sarebbero parallele) o addirittura decrescente.
99
derivante dal commercio eccede il maggior costo sociale dell’accresciuto inquinamento, poiché la
presenza della tassa ottima comunque limita l’aumento della produzione interna, evitando il
prodursi dell’extra-costo HMN che si aveva nella situazione senza tassa.
In sintesi, dunque, la contabilità di benessere relativa al commercio internazionale, in presenza
di tassa ottima, torna ad essere quella classica, con tutti i paesi che guadagnano, siano essi
importatori o esportatori. E, del resto, la cosa non può sorprendere, se si pensa che il ruolo di una
tassa ottima è proprio quella di “internalizzare” l’esternalità ambientale, restituendo al mercato la
capacità allocativa che gli è propria.
10
0
PARTE QUINTA
Le politiche agrarie di sostegno ai mercati
ed il loro contenuto protezionistico
5.1 - Introduzione: il sostegno dei prezzi nella politica agraria
Il modello di politica agraria che è stato dominante nel mondo industrializzato dal secondo
dopoguerra alla fine di questo secolo, ha avuto come principale caratteristica la netta prevalenza
degli interventi a sostegno del mercato (ed in particolare dei prezzi) dei prodotti rispetto a quelli
rivolti alla trasformazione delle strutture aziendali. Questa prevalenza è stata particolarmente
accentuata nell’ambito della politica agricola comune (Pac) dell’Unione Europea, alla quale
faremo più volte riferimento nella esposizione che segue, come “caso di studio” esemplificativo.
Se la Pac è un esempio particolarmente illuminante di politica agraria in cui l’intervento a
sostegno del prezzo ricevuto dagli agricoltori ha finito con il dominare la scena, almeno fino
all’inizio degli anni novanta, essa lo è anche - e soprattutto - per la consistenza e la rilevanza
assunta del suo intervento sui prezzi agricoli e per l’evoluzione che lo ha caratterizzato. Ci si
riferisce in special modo agli effetti a dir poco grandiosi che tale politica ha generato in termini di
aumento della produzione e del grado di autoapprovvigionamento, al conseguente progressivo
accumulo di eccedenze, alla crescita incontrollata della spesa di bilancio necessaria per smaltire le
eccedenze stesse con esportazioni sussidiate, alle tensioni commerciali che queste ultime
innescano sui mercati internazionali.
Nella gestione delle politiche di mercato problemi molto simili sono sorti anche in altri paesi
industrializzati - Stati Uniti e Giappone in particolare - a dimostrazione che gli obiettivi, gli
strumenti, la evoluzione e le difficoltà della Pac sono ampiamente esemplificative di un intero
modello di politica agraria che ha prevalso negli ultimi 50 anni. Tale modello affonda le sue
radici nella crisi agraria della fine del secolo scorso, ma trova piena realizzazione negli anni
trenta, quando l’intervento pubblico assume negli Stati Uniti una funzione determinante nella
gestione dell’assetto e del ruolo dell’agricoltura in una economia avanzata ed in costante crescita.
Vi sono almeno due caratteristiche di tale modello che meritano di essere sottolineate: da un lato
l’idea di giustificare l’intervento pubblico in agricoltura con la necessità di sostegno dei redditi
agricoli; più in particolare, con l’obiettivo di avvicinarli o addirittura renderli pari a quelli
esistenti negli altri settori; dall’altro la scelta di perseguire tale obiettivo soprattutto attraverso lo
strumento dei prezzi. L’ipotesi tradizionale su cui politica agraria fonda la giustificazione di un
tale obiettivo e la scelta di un tale strumento è che, in sistemi economici avanzati, si determini
uno squilibrio strutturale ai danni dell’agricoltura, attribuibile a due ordini di motivazioni: in
primo luogo, l’operare ferreo della cosiddetta legge di Engel, in base alla quale, oltre certi livelli
di reddito pro capite, la domanda di prodotti agricoli tende ad aumentare a ritmi progressivamente
più lenti di quelli con cui tende ad aumentare il reddito stesso ed il prodotto nazionale lordo, e
comunque minori di quelli con cui aumenta l’offerta potenziale di prodotti agricoli. Ciò implica
che, nel quadro dinamico di un processo di crescita economica, l’agricoltura si trovi condannata,
10
1
da un lato, ad essere un “settore in declino” relativamente alle altre attività economiche;
dall’altro, ad operare in una situazione di perenne “eccesso di capacità produttiva”, intesa come
cronica sovrabbondanza di risorse (soprattutto lavoro) che sono in essa impiegate rispetto a
quell’ammontare “di equilibrio” che ne consentirebbe una valorizzazione e, dunque, una
remunerazione paragonabile a quella ricevuta negli altri settori.
In secondo luogo, si sottolinea la circostanza che l’agricoltura si trova ad essere una delle
poche attività economiche caratterizzate da un regime di mercato di tipo concorrenziale, in un
mondo sempre più dominato da oligopoli o comunque da forme di concorrenza imperfetta: ciò
implica una sorta di “strozzamento” dell’agricoltura, la cui capacità di produrre reddito
risulterebbe irrimediabilmente compressa dal maggior potere contrattuale dei settori a monte e a
valle, caratterizzati da meccanismi di determinazione dei prezzi di tipo oligopolistico, a tutto
danno dell’agricoltura stessa sia in quanto acquirente di inputs che venditrice di prodotti. Di qui,
dunque, l’esigenza di sostenere i redditi del settore e l’opportunità di farlo soprattutto fornendo un
supporto al suo (altrimenti scarso) potere di mercato, vale a dire attraverso la stabilizzazione ed il
sostegno dei prezzi ricevuti dagli agricoltori per la vendita dei propri prodotti.
In questo quadro dominato dagli interventi sui prezzi, gli agricoltori ricevono un sostegno che
oggi potremmo definire fortemente accoppiato, cioè direttamente proporzionale alla loro
capacità di produrre beni agricolo-alimentari; il che risulta coerente con un altro obiettivo
tradizionale dell’intervento pubblico in agricoltura negli ultimi decenni che, insieme a quello
della parità intersettoriale dei redditi, ha giustificato il sostegno “accoppiato”: vale a dire
l’obiettivo della sicurezza alimentare, intesa soprattutto in termini quantitativi di autosufficienza o
di miglioramento del grado di autoapprovvigionamento. Questa impostazione delle politiche
agrarie ha trovato ampia diffusione nei sistemi economici più avanzati e non è mai stata messa
seriamente in discussione, almeno a livello politico, fino agli anni ‘80. A parte le già richiamate
giustificazioni di ordine generale, le ragioni più specifiche che in concreto hanno portato a
privilegiare, tra tutti i possibili strumenti, l’intervento sui prezzi e a mantenerlo per un così lungo
periodo di tempo, possono essere così schematizzate.
Innanzitutto, l’intervento sui prezzi consente di favorire la sopravvivenza delle piccole aziende
familiari, fornendo nel contempo un sostegno nettamente superiore a soggetti numericamente
inferiori ma politicamente più forti, quali le aziende più grandi ed efficienti ed i percettori di
rendita fondiaria. In altri termini, con esso si riesce ad accontentare - sia pure in modo
differenziato in relazione alla diversa capacità di pressione - un ampio ventaglio di interessi
presenti nel mondo agricolo.
In secondo luogo, in sistemi economici che si ispirano ai principi del mercato, il fatto che il
sostegno passi attraverso i prezzi30 rende in gran parte invisibile il trasferimento di reddito che
esso comporta, con un duplice effetto rilevante: dal punto di vista dei beneficiari, cioè gli
agricoltori, essi lo percepiscono come un giusto (anzi, ai loro occhi, spesso insufficiente)
30.
Ci si riferisce qui, in particolare, a sistemi di prezzo minimo garantito, o comunque a sistemi che mantengono il
prezzo del mercato interno ben al di sopra del prezzo mondiale e, comunque, ad un livello più elevato di quanto
sarebbe in assenza di intervento.
10
2
compenso per il loro duro impegno aziendale e non come una forma di assistenza pubblica; per
quanto riguarda chi ne paga il costo - i consumatori - l’esistenza e l’ammontare del sostegno è
difficile da percepire, in quanto reso invisibile dal fatto di essere incorporato nel prezzo del
prodotto finale.
Infine, l’intervento sui mercati garantisce un notevole livello di stabilità interna dei prezzi e dei
ricavi. Ciò rappresenta un notevole stimolo agli investimenti e questi, unitamente ad un flusso
costante di innovazioni tecnologiche orientate alla intensificazione, a loro volta incentivate da un
sistema di convenienze certo e garantito, porta a grandi risultati in termini di produttività; d’altro
canto, l’aumento degli investimenti e le innovazioni tecnologiche aumentano la domanda di beni
intermedi nel processo produttivo agricolo, creando una significativa convergenza di interessi tra
agricoltura ed industria fornitrice di mezzi tecnici, le quali entrambe traggono notevoli vantaggi
dall’intensificazione dei processi produttivi a livello aziendale.
Sebbene un simile elenco dei punti di forza del modello “accoppiato” di politica agraria non sia
certamente esauriente, esso evidenzia con chiarezza due principali forze trainanti per la scelta
delle politiche di prezzo come strumento privilegiato. Da una parte vi è una valutazione di tipo
economico, in base alla quale occorre riconoscere che questo tipo di intervento, se effettuato in un
contesto sviluppato ed in grado di fornire input tecnici adeguati, dimostra una efficacia
straordinaria, sia in termini produttivi, sia nel gestire ed ammortizzare i processi di aggiustamento
del settore e nel settore. Dall’altra - come si vedrà meglio nel seguito - va sottolineata la sua
notevole appetibilità per il policy maker, in termini di massimizzazione del consenso e
minimizzazione del dissenso, in considerazione della grande capacità dell’intervento sui prezzi di
soddisfare le condizioni per una risposta efficiente ed efficace all’azione dei gruppi di interesse
sul “mercato politico” della protezione e del sostegno.
A fronte di questi elementi che spiegano il favore di cui hanno goduto le attuali politiche sono
emersi, soprattutto negli anni più recenti, una serie di inconvenienti e di effetti indesiderati che le
hanno messe in crisi da diversi punti di vista: le ragioni di una tale crisi possono essere riassunte
nei seguenti punti.
1)L’obiettivo della parità intersettoriale dei redditi non è stato raggiunto ma il problema della
povertà delle zone rurali, almeno in termini assoluti, si è notevolmente ridotto. Ciò è stato il
risultato del miglioramento delle strutture agricole che comunque è andato avanti, della maggiore
integrazione intersettoriale sul territorio, con i connessi fenomeni di pluriattività, nonché della
notevole diffusione delle politiche di welfare che si è avuta a partire dal dopoguerra. Il
miglioramento delle condizioni di vita nelle zone rurali ha conseguenze importanti anche nella
percezione dell’opinione pubblica e si traduce in un ribaltamento della tradizionale retorica cittàcampagna: in contesti sviluppati non è più scontato considerare gli abitanti delle città come
soggetti privilegiati rispetto agli agricoltori in termini di reddito e qualità della vita, ed anzi
sempre più spesso si incomincia a pensare - e probabilmente non a torto - che sia vero il contrario.
2)In quasi tutti i paesi industrializzati il ruolo dell’agricoltura nell’economia risulta
profondamente modificato, in quanto il settore primario non rappresenta più unicamente un
10
3
fornitore di beni alimentari e di manodopera per i settori extragricoli. Il grande esodo di forza
lavoro dall’agricoltura è già avvenuto e va sottolineato che le attuali forme di fuoriuscita dal
settore spesso non coincidono, come in passato, con l’abbandono dell’ambito rurale.
Conseguentemente le nuove modalità dello sviluppo, non più necessariamente trainato dalla
grande industria metropolitana e spesso legato ad attività economiche diffuse sul territorio, hanno
profonde conseguenze sulle forme di conduzione aziendale e sui rapporti dell’agricoltura con il
contesto economico circostante, imponendo una revisione dei tradizionali modelli basati sulla
classica “azienda familiare a tempo pieno” come soggetto principale dell’analisi economicoagraria ed oggetto privilegiato dell’intervento pubblico nel settore.
3)Le politiche di prezzo hanno finito con l’essere, in un certo senso, vittime del loro stesso
successo, in quanto lo spettacolare aumento delle produzioni da esse indotto ha generato un
eccesso di offerta crescente, con la conseguente formazione di eccedenze strutturali. La spesa per
lo smaltimento di tali eccedenze, per lo più esportate all’estero mediante robusti sussidi pubblici,
ha fatto esplodere i costi di bilancio di tali politiche ed ha contribuito a rendere i mercati
internazionali - riferimento di cui una politica di prezzo ha per definizione bisogno - sempre più
instabili e disarticolati.
4)Il raggiungimento degli obiettivi quantitativi in termini di produzione e l’impatto negativo
sull’ambiente di pratiche produttive sempre più intensive - come si è detto in gran parte esse
stesse incentivate da un sostegno “accoppiato” alla quantità prodotta quale quello assicurato
dall’intervento sui prezzi - hanno contribuito a far emergere o ad amplificare nuovi obiettivi e
nuovi vincoli in termini di qualità dei prodotti e dell’ambiente stesso e, più in generale, in termini
di uso “sostenibile” delle risorse agricole.
5)Le innovazioni biotecnologiche - speranza e minaccia di un futuro più o meno prossimo prefigurano la possibilità di indirizzare i prodotti agricoli ad una vastissima serie di nuove
utilizzazioni. Di conseguenza una componente sempre più ampia dell’industria a valle del
l’agricoltura guarda con favore ad una liberalizzazione del settore tale da consentire un
riorientamento delle scelte produttive sulla base delle forze del mercato.
6)Il prevalere negli anni ottanta dell’ideologia liberista ha fatto passare in secondo piano o ha
addirittura avversato obiettivi redistributivi, come quello della parità intersettoriale dei redditi,
mentre ha enfatizzato i meriti dei meccanismi autoregolativi, tipici del mercato, rispetto alle
distorsioni indotte dall’intervento pubblico.
Ma vediamo ora quali sono gli strumenti a cui ancor oggi in gran parte si affidano, nonostante i
problemi sopra richiamati, le politiche di sostegno dei prezzi agricoli. Analizzeremo innanzitutto
gli strumenti classici delle politiche di prezzo per un dato prodotto, in riferimento al caso di paese
importatore (prezzo minimo con prelievi variabili sulle importazioni; integrazione di prezzo;
dazio o quota sulle importazioni) e di paese esportatore (prezzo minimo garantito con restituzioni
variabili all’esportazione), nella ipotesi di paesi “piccoli”, tali cioè da non influenzare con il loro
flusso di import-export l’equilibrio del mercato mondiale. Successivamente complicheremo
l’analisi rimuovendo l’ipotesi di paese “piccolo”, sia per valutare gli effetti delle misure
10
4
analizzate sul resto del mondo, sia per cogliere alcune significative differenze che i diversi
strumenti hanno in relazione al tipo ed alla intensità di tali effetti.
5.2 - Il sostegno dei prezzi da parte di un paese “piccolo”
5.2.1 - Il caso di un paese importatore
In riferimento alla Figura 50, siano D ed S le schede di domanda e offerta interne del prodotto
che consideriamo e sia Pw il suo prezzo mondiale. Come si è già detto nelle pagine precedenti, il
fatto che il paese di cui parliamo è “piccolo” rispetto al mercato mondiale, sta a significare che
esso è a tutti gli effetti un price taker, che “subisce” il prezzo senza poterlo influenzare. Ciò
implica che nei suoi confronti la curva di offerta di esportazioni proveniente dal resto del mondo
risulta infinitamente elastica in corrispondenza di Pw e, quindi, qualunque quantità di
importazioni richiesta dal paese in questione (o qualunque variazione di tale quantità) è
comunque irrilevante rispetto ai flussi di scambio complessivi, che determinano il prezzo sul
mercato internazionale.
D
S
C
P
D
G
P'
D
C
P
H
S
1
2
P'w
B
A
Pw
E
Pw
A
E
F
B
T
R
I
M
N
L
Prezzo minimo con prelievi variabili; dazio;
Quota di importazione
3
Integrazione di prezzo
Figura 50 - Strumenti di sostegno e protezione (paese importatore "piccolo")
In assenza di politiche di sostegno interno e di restrizioni commerciali, il prezzo Pw si
trasmetterà31 al mercato interno, per cui vi sarà una importazione pari ad AB. Caliamo su questa
ipotetica situazione di free trade una politica che voglia sostenere il reddito dei produttori
nazionali mediante un innalzamento del prezzo (da Pw a P) da essi ricevuto. Ciò può ottenersi
mediante quattro tipi di misure:
31.Ovviamente, tale trasmissione va intesa al netto dei costi di trasporto che per semplicità - in questo come in tutti i
casi che seguono - ipotizziamo nulli o comunque irrilevanti. Un'altra ipotesi semplificatrice, che sempre si fa in questo
tipo di analisi, è la perfetta omogeneità qualitativa e, dunque, la totale sostituibilità tra prodotto estero e prodotto
interno.
10
5
1)Mediante un sistema basato sul mantenimento di un prezzo di mercato interno ad un livello
minimo garantito e sostenuto sia da interventi di acquisto delle eventuali eccedenze da parte di
agenzie pubbliche, sia da un sistema di prelievi variabili sulle importazioni legati ad un prezzo
minimo di entrata (prezzo soglia).
2)Mediante una quota sulle importazioni, che limita l’offerta complessiva presente sul mercato
interno fino a quell’ammontare necessario perché, data la domanda interna, l’equilibrio si
raggiunga ad un livello di prezzo P.
3)Mediante un dazio che, aggiungendosi al prezzo (Pw) di importazione, innalza il prezzo di
offerta sul mercato interno.
4)Mediante un sistema di integrazione di prezzo (deficiency payments), con cui si lascia libero
il commercio con l’estero ed il prezzo del mercato interno, ma lo si integra con pagamenti diretti
agli agricoltori per ogni unità prodotta, fino a raggiungimento di un prefissato livello di prezzoobiettivo (P).
5.2.1.1 - Prezzo minimo garantito con prelievi variabili all’importazione
Sempre in riferimento alla Figura 50, in una ipotetica situazione di partenza caratterizzata da
totale assenza di politiche e, dunque, in regime di libero scambio al prezzo Pw, le importazioni
sarebbero pari alla quantità AB. Con il sistema basato su di un prezzo minimo garantito con
prelievi variabili all’importazione si fissa un livello di prezzo di intervento (P) superiore a Pw, al
quale l’autorità pubblica si impegna comunque ad acquistare il prodotto dagli agricoltori, qualora
questi non riuscissero a venderlo sul mercato ad un prezzo superiore.
Per evitare operazioni commerciali di arbitraggio speculativo (flussi di prodotto importato al
prezzo Pw e poi venduto alle agenzie di intervento al prezzo P) è necessario istituire un
meccanismo di protezione alla frontiera. Questo consiste nella fissazione di un prezzo soglia o di
entrata (di norma leggermente superiore al prezzo di intervento ma che qui, per semplicità,
supponiamo anch’esso uguale a P) che regola l’ammontare unitario del prelievo variabile, cioè di
una tassa che viene imposta sulle importazioni e che è pari, appunto, alla differenza tra prezzo
soglia (P) e prezzo di importazione (Pw). Il prelievo è variabile, giacche dipende dalla variabilità
del prezzo mondiale: se Pw aumenta, essendo fisso P, il prelievo diminuisce e viceversa. Ciò che
conta per il funzionamento del sistema descritto non è l’ammontare del prelievo, ovvero la
differenza tra prezzo interno e prezzo mondiale, bensì unicamente il fatto che il prodotto
importato entri nel mercato interno ad un prezzo non inferiore a P.
In questa situazione il prezzo del mercato interno si assesta su un livello pari (almeno) a P, la
produzione interna aumenta fino a PC, la domanda diminuisce a PD e, conseguentemente,
l’importazione si riduce da AB a CD. In termini di surplus, i consumatori, che in conseguenza di
tale sistema pagano un prezzo maggiore (P anziché Pw) e consumano una quantità minore (PD
anziché PwB), perdono l’area PDBPw. Una parte di questa perdita è compensata dal guadagno
dei produttori interni (che producono di più e ricevono un prezzo maggiore di prima), che è pari
al trapezio PCAPw; un’altra parte si traduce in un guadagno del bilancio pubblico, sotto forma di
10
6
entrate doganali, misurate dal rettangolo CDFE (pari alle importazioni, CD, per il prelievo
variabile unitario, P-Pw).
Sommando algebricamente queste variazioni di benessere, rimane una perdita secca per il
paese che pratica la politica descritta, rappresentata nella figura dai due triangoli ACE e FDB.
Tale perdita è dovuta alla distorsione che viene imposta rispetto all’equilibrio di libero scambio:
più in particolare, alla riduzione delle possibilità di consumo (FDB) ed alla sostituzione di
importazioni competitive acquistabili a basso prezzo sul mercato mondiale, con merce prodotta
internamente, a costi più alti, da produttori non competitivi (ACE).
5.2.1.2 - Integrazione di prezzo
Gli stessi obiettivi di sostegno del reddito dei produttori possono essere raggiunti in modo
meno inefficiente (in termini di perdita di benessere) mediante un sistema di integrazione del
prezzo ricevuto dagli agricoltori con pagamenti diretti erogati dal bilancio pubblico.
In riferimento alla parte destra della Figura 50 (identica alla parte sinistra in termini sia di
livello del prezzo mondiale - Pw - che di forma delle schede di domanda e offerta) sia ancora P il
prezzo che si vuole garantire agli agricoltori. In tal caso, lasciando libero il commercio ed
inalterato l’equilibrio del mercato al prezzo Pw, lo Stato si impegna con gli agricoltori ad
integrare tale prezzo, fino al livello P, con pagamenti diretti per ogni unità da essi prodotta. I
consumatori non sono toccati, e continuano a consumare in B al prezzo Pw, mentre i produttori
“rispondono” alla politica muovendosi lungo la curva di offerta fino al punto C, cioè facendo i
propri conti sulla base del “prezzo” P (pari a Pw, ottenuto dalla vendita sul mercato, più P-Pw,
ottenuto come erogazione dal bilancio pubblico). La produzione aumenta da PwA a PC, ma il
consumo rimane inalterato, per cui le importazioni si riducono meno che nel caso precedente,
passando da AB ad EB.
In termini di benessere, la politica si risolve in un trasferimento diretto dal bilancio pubblico
agli agricoltori, misurato dalle aree 1+2, pari alla quantità prodotta (PC) per l’integrazione
unitaria di prezzo (P-Pw). Ciò comporta una perdita di benessere pari al triangolo 2, uguale
all’area ACE che avevamo individuato nel caso del prelievo variabile all’importazione, giacche
l’aumento di surplus degli agricoltori è limitato all’area 1. Tale perdita deriva dal fatto che la
quantità misurata dal segmento AE, in precedenza importata al prezzo Pw, con un costo per la
collettività nazionale pari all’area 3 (prezzo mondiale per quantità importata), viene ora prodotta
internamente a costi più elevati, misurati dal segmento AC della curva di offerta. Infatti, per
aumentare la quantità prodotta i produttori interni si muovono lungo la curva di offerta da A a C
e, dunque, sostengono un aumento di costi, misurato appunto dall’area (2+3) sotto la curva di
offerta. A riguardo c’è tuttavia da osservare - e ciò, come vedremo meglio in seguito vale in
generale, per tutte le misure che influenzano il prezzo ricevuto dagli agricoltori e la quantità da
essi prodotta - che tale aumento di costi, essendo conseguenza dell’aumento della capacità
produttiva dell’agricoltura nazionale, va in gran parte a remunerare il reddito di soggetti
(lavoratori agricoli, industrie a monte dell’agricoltura, altre aziende agricole produttrici di inputs)
10
7
il cui sostegno, in modo più o meno esplicito, fa parte degli obiettivi o delle giustificazioni di tali
tipi di misure. Da questo punto di vista tale aumento di costi potrebbe essere considerato
irrilevante o addirittura desiderabile dai policy makers, ma con tali considerazioni si apre un
fronte di ragionamento - che svilupperemo nel paragrafo successivo - diverso da quello della
efficienza e della massimizzazione del benessere collettivo32.
Anche nel caso dell’integrazione di prezzo, dunque, sul terreno della pura efficienza
l’intervento pubblico allontana il sistema dall’equilibrio concorrenziale e comporta una
“distruzione” di ricchezza sociale, sia pure minore di quella imposta dal sistema di prezzo
minimo garantito. Prima di continuare con la valutazione in termini di efficienza e di benessere
delle altre possibili misure di sostegno del prezzo, soffermiamoci a riflettere su questo punto.
5.2.1.3 - Una valutazione in chiave “gruppi di interesse”
Siamo finora pervenuti a due conclusioni importanti:
a)le politiche di prezzo minimo garantito, sia quella basata sul sistema del prezzo soglia e dei
prelievi variabili all’importazione che quelli che si affidano alla integrazione diretta del prezzo,
comportano una perdita secca in termini di efficienza e, dunque, riducono il benessere collettivo;
b)la politica di prezzo minimo garantito basata sui prelievi variabili alle importazioni comporta
una perdita di efficienza e di benessere relativamente maggiore.
Sulla base di tali conclusioni, sorgono spontanei due quesiti:
1)Perché entrambe le politiche sono così diffuse, nonostante la perdita di benessere che esse
comportano?
2)Perché le politiche di prezzo minimo garantito - che come si è visto comportano un maggior
grado di inefficienza in termini di variazioni del benessere - è stata per lungo tempo relativamente
più diffusa rispetto a quelle basate sull’integrazione di prezzo?
Le risposte possibili a questi quesiti sono sostanzialmente tre:
1)I policy makers non conoscono l’economia o si affidano a consulenti economici stupidi o
ignoranti: in altri termini, come si diceva all’inizio della seconda parte, il protezionismo è bad
economics.
2)La variazione di benessere collettivo indotta da una politica non è correttamente misurata
dalla variazione delle aree di surplus dei produttori e dei consumatori né, tanto meno, dalla loro
somma algebrica.
3)Il benessere collettivo è effettivamente dato dalla somma del surplus dei produttori e di
quello dei consumatori, meno (più) le eventuali spese (entrate) di bilancio, ma la
massimizzazione del benessere collettivo non è il vero obiettivo perseguito dai policy makers:.
Essi, in modo più o meno avveduto o efficiente, perseguono altri obiettivi quali, ad esempio, la
32
Se si rimane sul fronte dell'efficienza e del benessere collettivo, va ricordato che, data l'ipotesi dell'esistenza di
un equilibrio piena occupazione che questo tipo di valutazione impone, le maggiori risorse impiegate in agricoltura in
conseguenza dell'intervento di sostegno sono per definizione distolte da impieghi potenzialmente più produttivi;
conseguentemente, da questo punto di vista l'area 2 sotto la curva di offerta rappresenta comunque un costo netto per
la società, indipendentemente dai soggetti che va a remunerare, poiché certamente riduce la capacità di produrre
ricchezza dell'economia nel suo insieme.
10
8
massimizzazione del consenso e del sostegno politico-elettorale dei vari gruppi di pressione;
oppure si comportano da puri mediatori delle istanze che arrivano sul “mercato politico”,
predisponendo una “offerta” di sostegno pubblico adeguata alla relativa “domanda” che in tale
mercato si materializza con modalità ed intensità che dipendono dal tipo e dalla forza
organizzativa dei diversi gruppi di interesse in esso operanti.
La risposta 1, probabilmente valida in casi particolari, è tuttavia troppo semplicistica e,
dunque, da scartare come motivazione generale. La risposta 2, pur richiamando critiche fondate,
non coglie il nocciolo della questione giacche sottolinea la relativa inaffidabilità delle misurazioni
di benessere sotto il profilo teorico, ma non necessariamente ne ribalta il risultato.
La risposta più convincente è, dunque, la terza: i policy makers non massimizzano il benessere
collettivo, ma privilegiano gli interessi dei gruppi (nel nostro caso la lobby agricola)
maggiormente in grado di esercitare una pressione organizzata, a danno di quello dei soggetti (nel
nostro caso i consumatori) meno “attenti” agli effetti della politica in questione o che, sia pure (o
forse proprio perché) più numerosi sono meno organizzati nella difesa dei propri interessi o non
lo sono affatto. Un tale comportamento è perfettamente razionale, se l’obiettivo del policy maker
- così come è forse più ragionevole supporre - piuttosto che un astratto concetto di benessere
collettivo riguarda la massimizzazione o la gestione del consenso che egli riscuote tra i potenziali
elettori; o, alternativamente, è perfettamente efficiente se il suo ruolo è quello di mediazione tra
interessi divergenti sul mercato politico. Va qui ricordato che in una realtà sviluppata - quale ad
esempio quella della Unione Europea - gli agricoltori sono pochi ed i consumatori sono molti e
relativamente ricchi, per cui il peso della spesa per alimenti sulla loro spesa totale è modesto e
decrescente (legge di Engel). Ciò implica che il guadagno complessivo degli agricoltori, pur
essendo minore della perdita imposta al complesso dei consumatori, è molto più concentrato ed
“evidente”: il guadagno del singolo agricoltore è molto più elevato della perdita del singolo
consumatore. Questi, dunque, ha minori incentivi, ed anche meno occasioni o sedi istituzionali, a
“darsi da fare” per ostacolare le politiche descritte, di quanti ne ha l’agricoltore per promuoverle e
difenderle.
Volendo inglobare queste considerazioni nel tipo di analisi condotta precedentemente, lo si
potrebbe fare in molti modi, a seconda del modello con cui si rappresenta la realtà del “mercato
politico”; intuitivamente, e in generale, si può qui affermare che, comunque, andrebbe
drasticamente modificato il sistema di ponderazione delle varie voci di costo e beneficio che
entrano nel calcolo della variazione di benessere indotta da una politica. Nei nostri precedenti
conti, fatti in riferimento ad un approccio tradizionale che implicitamente assume un obiettivo di
massimizzazione del benessere collettivo da parte di policy makers neutrali e disinteressati, per
definizione la lira guadagnata o persa dai consumatori valeva esattamente quanto quella
guadagnata o persa dagli agricoltori; o, ancora, quanto quella aggiunta o tolta al bilancio
pubblico. Si è già accennato a come ciò rappresenti una ipotesi forte anche dal punto di vista
dell’analisi economica tradizionale, ma il punto che si vuole qui sottolineare è un altro. Si tratta
del fatto che, sul “mercato politico” della protezione e del sostegno pubblici, le cose stanno in
10
9
modo radicalmente diverso. I “pesi” da attribuire (o che i policy makers di fatto attribuiscono) ai
costi e ai benefici indotti da una politica non possono per definizione essere assunti tutti uguali a
1, giacche sul “mercato” in questione il valore dei guadagni e delle perdite dipende sia dalla
capacità di pressione politica dei beneficiari e dei danneggiati che dalla loro effettiva percezione
del danno o del vantaggio. Sotto questo profilo è chiaro che la variazione di benessere dei
produttori, nel caso della politica agraria di un paese sviluppato, conta molto di più di quella dei
consumatori; ed è altrettanto chiaro che, forse più di ogni altra cosa, conta la variazione nel
bilancio pubblico: un aumento delle entrate pubbliche è una specie di manna per il policy maker,
giacche con esse egli potrà attivare ulteriori politiche, mentre un aumento della spesa va
finanziato con un aumento della imposizione fiscale, che finisce con l’essere molto più “costosa”
in termini di consenso, giacche in genere gli individui sono molto più attenti e sensibili, al costo
sopportato in veste di contribuenti di quanto non lo siano in veste di consumatori di prodotti
agricoli. Il discorso che qui si è fatto sui rapporti di forza e sui “pesi” che il mercato politico
attribuisce a costi e benefici di una politica di prezzo è quasi esattamente ribaltabile nel caso di un
paese arretrato, dove gli agricoltori sono molti, dispersi e poco organizzati e, all’opposto, i
consumatori dell’area urbana sono relativamente pochi, molto più organizzati e attenti
all’andamento dei prezzi agricoli, in quanto beni salario. E non sorprende, dunque, che nei paesi
in via di sviluppo, a differenza di quanto accade in quelli sviluppati, le politiche di prezzo
tendono a tassare l’agricoltura, a vantaggio degli altri settori dell’economia di cui si vuole
promuovere o proteggere la crescita e che, inoltre, spesso sono molto più forti ed organizzati
nell’esercitare la propria “domanda” di sostegno.
Tornando, allora, ai nostri grafici e ad i nostri quesiti, la diffusione delle politiche di sostegno
dei prezzi agricoli è molto meno paradossale di quanto appare sulla base di una analisi di
economia del benessere tradizionale. Non è possibile attribuire un valore numerico valido una
volta per tutte ai pesi che i policy makers implicitamente associano alle varie voci di benessere,
giacche tali pesi variano in contesti geografici o temporali diversi, in connessione alla struttura
del “mercato politico” ed al ruolo che in esso giocano i vari gruppi di pressione. Tuttavia, in
riferimento al contesto dei paesi sviluppati, la diffusione di una politica di prezzo minimo
garantito è perfettamente spiegabile: infatti il suo costo per i consumatori (l’area PDBPw nella
Figura 50) conta poco perché colpisce soggetti che, nelle realtà sviluppate, sono relativamente
ricchi e, dunque, disattenti al livello del prezzo dei prodotti agricoli e fortemente avversi ai rischi
associati alla totale dipendenza dai mercati internazionali, in termini di variabilità dei prezzi
stessi e sicurezza degli approvvigionamenti33. Al contrario il beneficio di una politica di prezzo
minimo garantito - sia pure inferiore nel complesso al suo costo sociale - premia il gruppo (molto
più piccolo e organizzato) degli agricoltori (area PCAPw) ed addirittura aumenta le entrate di
bilancio (area CDFE). Al contrario, l’intervento di integrazione del prezzo è molto meno
efficiente sul “mercato politico” giacche, pur beneficiando gli agricoltori (area 1 nella parte destra
33.
C'è da osservare, al riguardo, che il costo dell'intervento di sostegno basato sul prezzo minimo, calcolato come
perdita del surplus dei consumatori, non tiene conto della parziale “compensazione” che essi ricevono in termini di
riduzione della dipendenza dal mercato mondiale e stabilizzazione del mercato interno indotte da tale intervento.
11
0
della Figura 50) scarica l’intero costo della politica, compresa la perdita netta che essa comporta,
sul bilancio pubblico (area 1+2); inoltre, pur salvaguardando il benessere dei consumatori dal
punto di vista del livello (basso) dei prezzi agricoli, non li mette al riparo dal rischio della loro
variabilità che, come si è detto, potrebbe risultare molto accentuata, qualora i prezzi interni
fossero completamente allineati a quelli mondiali.
5.2.1.4 - Quota di importazione e dazio
Tornando alle altre due misure di sostegno del prezzo richiamate all’inizio, la Figura 50 ci
consente anche di richiamare gli effetti della imposizione di un dazio o di una quota sulle
importazioni, già analizzati in dettaglio nelle pagine precedenti. Guardando la parte sinistra della
figura, gli effetti indicati per una politica di prezzo minimo garantito a livello P sono del tutto
identici alla imposizione di una quota di importazione pari alla quantità CD. In tal caso, infatti,
l’equilibrio si stabilirà in corrispondenza di quel prezzo che genera un eccesso di domanda
esattamente pari all’ammontare della quota: tale prezzo è, appunto, P, giacche in corrispondenza
di P la produzione interna sale a PC, il consumo si riduce a PD, con un eccesso di domanda pari
proprio a CD. Guadagni e perdite di produttori e consumatori sono identici a quelli del prezzo
minimo, mentre l’unica differenza è il rettangolo CDFE: anziché una entrata doganale per il
bilancio pubblico, esso rappresenta il guadagno dei possessori delle licenze di importazione, che
comprano a Pw sul mercato mondiale e rivendono a P sul mercato interno. Se, tuttavia, lo Stato
vendesse le licenze di importazione al migliore offerente, tale area tornerebbe ad essere - come
nel caso precedente - una entrata di bilancio.
Analoghi sono anche gli effetti di un dazio sulle importazioni, che per semplicità ipotizziamo
sia costituito da un valore fisso pari, nella Figura 50, alla distanza tra P e Pw: il prezzo di
importazione, gravato del dazio, sale a P, dato che a Pw - prezzo al quale gli esportatori esteri
sono in grado di “arrivare” alla frontiera del paese che pratica la politica in questione - va
aggiunto l’ammontare del dazio che le merci devono pagare per accedere al mercato interno.
Conseguentemente il prezzo interno del paese che impone il dazio, protetto dalla concorrenza
internazionale, si attesta anch’esso al livello P, con conseguenze del tutto analoghe a quelle viste
in precedenza: in risposta ad un prezzo maggiore, la produzione interna sale da PwA a PC; il
consumo si riduce da PwB a PD; le importazioni scendono da AB a CD. L’area CDFE sarà
un’entrata doganale (pari alla quantità importata, CD, per l’ammontare unitario del dazio, P-Pw);
PCAPw è il guadagno di surplus dei produttori e PDBPw la perdita dei consumatori. Esattamente
come nel caso del prezzo minimo garantito con prelievi variabili all’importazione, anche nel caso
del dazio vi sarà una perdita netta di benessere pari alla somma dei due triangoli ACE e BDF.
L’analogia però cessa - è questo un punto importante - nel caso di una modifica dello scenario
in cui si calano le politiche analizzate, in termini di una variazione del prezzo mondiale Pw. Se
questo, ad esempio, per motivi esogeni dovuti a modifiche degli equilibri del mercato mondiale,
scende da Pw a P’w, nel caso del dazio anche il prezzo interno scende, in misura analoga al
prezzo internazionale, da P a P’ (ovviamente, nel caso di un dazio di ammontare fisso, P’-P’w =
11
1
P-Pw = ammontare del dazio); conseguentemente, il quadro degli effetti indotti dalla politica
cambia del tutto rispetto al caso prima descritto: le importazioni passano a GH; il surplus dei
produttori derivante dal mantenimento del dazio, diventa l’area P’GRP’w; la perdita dei
consumatori diventa l’area P’HTP’w; l’introito doganale passa da CDFE a GHLI.
Gli effetti di una variazione del prezzo mondiale sono completamente diversi se il prezzo
interno è sostenuto da un sistema di prelievi variabili o da una restrizione quantitativa (quota)
all’importazione, da misure - cioè - “non tariffarie”. In tal caso, infatti, una riduzione del prezzo
mondiale da Pw a P’w non si trasmette al mercato interno, in cui il prezzo rimane attestato a
livello P. L’unica cosa che cambia è l’ammontare del prelievo variabile, che aumenta da P-Pw a
P-P’w e, con esso, l’ammontare delle entrate doganali che passano da CDFE a CDNM34.
Ciò significa che, rispetto al dazio, il sistema basato su misure quali i prelievi variabili o la
quota di importazione assicura un sostegno molto più sicuro e robusto: esso, infatti, oltre a
sostenere il prezzo interno ad un livello superiore a quello mondiale (cosa che fa anche il dazio),
lo mantiene stabile, isolandolo completamente dagli andamenti del mercato mondiale (cosa che,
invece, non fa il dazio). Nel breve periodo è questo, ovviamente, un pregio della politica di
prezzo minimo garantito, giacche essa mette al riparo il mercato interno dall’incertezza di
fluttuazioni congiunturali - che talvolta possono essere anche molto rilevanti - dovute ad eventi
del tutto esogeni. In un orizzonte temporale più ampio, al contrario, questo è un grave difetto
della politica in questione; essa, infatti, isolando il mercato interno, da un lato non consente ai
“segnali” di prezzo provenienti dai mercati internazionali di raggiungerlo, per orientare
l’aggiustamento di lungo periodo; dall’altro blocca e distorce completamente quei processi di
specializzazione ed integrazione commerciale che il dazio si limita, per così dire, ad attenuare. La
conseguenza, a lungo andare, può essere - come è accaduto nella Unione Europea per alcuni
prodotti - il mantenimento di un mercato interno del tutto artificiale, sempre più sganciato dalle
leggi della domanda e dell’offerta.
Come si è accennato nell’introduzione e come vedremo nel seguito, le conseguenze di una tale
situazione diventano particolarmente gravi quando - anche in conseguenza di una tale politica di
prezzi interni alti e sganciati dagli andamenti dei mercati internazionali - si passa da una
situazione di importazione netta ad una situazione di eccesso di offerta, il cui smaltimento diviene
difficile e costoso, sia in termini finanziari che in termini di “costo” politico.
5.2.2 - Il sostegno del prezzo in un paese esportatore “piccolo”
In riferimento alla Figura 51, siano D e S le curve di domanda e offerta interne del prodotto
che consideriamo e sia Pw il suo prezzo mondiale. Iniziando dalla parte sinistra della figura, in
essa è rappresentato, per semplicità, un caso in cui Pw coincide con l’equilibrio tra domanda e
offerta sul mercato interno (punto A) ed in cui, quindi, in assenza di politiche da parte del paese
che stiamo esaminando, non vi sarebbe alcun flusso di commercio con l’estero. Nulla
34. Analogamente, nel caso della quota, l'unica cosa che cambia è il guadagno dei possessori delle licenze di
importazioni, che ora lucrano un differenziale di prezzo pari a P-P'w.
11
2
cambierebbe, nel ragionamento che segue, se il paese di cui si parla fosse esportatore puro del
prodotto esaminato, se cioè lo fosse anche in assenza di politiche di sostegno. Il caso qui
discusso, non certo infrequente nella realtà comunitaria, è quello di un prodotto la cui
competitività è, per così dire, artificiale; il cui eccesso di offerta sulla domanda interna, cioè, non
deriva da un vantaggio comparato ma è piuttosto conseguenza dell’operare di meccanismi di
sostegno interno.
B
P
C
3
2
S
P
B
3
E
F
4
1
4
Pw
A
T
A
R
8
9
P'w
L
Prezzo minimo con sussidi (variabili) all'esportazione
C
2
P'
1
Pw
D
S
D
G
7
6
5
H
M
Sussidio (fisso) alle esportazioni
Fig. 51 - Strumenti di sostegno e protezione (paese esportatore "piccolo")
Sia P il livello del prezzo minimo garantito, sostenuto al solito da un meccanismo di prelievi
variabili sulle importazioni pari (almeno) a P-Pw. Al prezzo P la produzione aumenta, lungo la
curva di offerta, fino a PC, mentre la domanda diminuisce a PB. Conseguentemente si genera un
eccesso di offerta pari a BC che non trova acquirenti sul mercato privato e che, dunque, sarà
acquistato (al prezzo P) dalle agenzie pubbliche di intervento. Ipotizzando che tali agenzie
smaltiscano le eccedenze, acquistate al prezzo P, esportandole al prezzo Pw, la spesa minima di
bilancio necessaria per il mantenimento di questa politica è pari alla eccedenza BC per il
differenziale di prezzo (P-Pw), ammontare che nella parte sinistra della Figura 51 è rappresentato
dal rettangolo 2+3+4, più il costo amministrativo delle operazioni di controllo, immagazzinaggio,
trasporto. Ovviamente è per semplicità che qui consideriamo l’esportazione come l’unica
destinazione delle eccedenze accumulate presso le agenzie di intervento. Nella realtà si cercano
molti altri modi di smaltirle (vendita sotto costo a comunità, aiuti alimentari, trasformazione del
prodotto per usi industriali o non convenzionali, etc.), ma tali alternative comportano in genere un
costo maggiore. Nella figura che stiamo esaminando il costo amministrativo della politica non
compare, ma esso può essere tutt’altro che trascurabile, come accade per molti dei prodotti di cui
la Unione Europea è strutturalmente eccedentaria, caratterizzati da tempi medi di giacenza molto
lunghi. Per evitare parte dei costi amministrativi, accanto al sistema di intervento pubblico di
11
3
acquisto è attivato un sistema di restituzioni (sussidi) variabili all’esportazione, rivolti a coprire
la differenza (P-Pw) tra il prezzo interno ed il prezzo mondiale: ciò rende possibili vendite dirette
all’estero da parte dei privati e riduce il flusso di eccedenze che passa per le agenzie di
intervento35. In ogni caso, dunque, il costo di bilancio della politica descritta è almeno pari al
rettangolo 2+3+4.
Il guadagno dei produttori è pari al surplus misurato dalle aree 1+2+3, la perdita dei
consumatori è 1+2, per cui c’è una complessiva perdita di benessere derivante da tale politica,
misurata dall’area dei triangoli 2 e 4. Sotto il profilo concettuale tale perdita - e, dunque, il grado
di inefficienza della misura descritta - è del tutto analoga a quella che abbiamo trovato nel caso di
paese importatore. Tuttavia, mentre in quel caso una contabilità in chiave gruppi di interesse
ribaltava, in positivo, la valutazione della politica, giacche tutto il costo gravava sui consumatori,
qui le cose stanno diversamente, giacche una parte consistente del beneficio che arriva ai
produttori è finanziato da una spesa che grava sul bilancio pubblico. E questa, come si è detto,
conta molto - in negativo - nella valutazione in chiave di “mercato politico”.
Su questo punto, del resto, la vicenda della Pac è esemplare: i meccanismi di prezzo minimo
garantito, nati nella prima metà degli anni sessanta, nonostante la loro inefficienza sotto il profilo
del benessere hanno operato sostanzialmente indisturbati per quasi un ventennio; finche, cioè, la
Unione Europea è stata importatrice netta, a meno di eccedenze congiunturali, di tutti i prodotti
cui essi erano applicati. A partire, invece, dall’inizio degli anni ottanta, quando - anche in virtù
del sostegno generosamente erogato - la Unione Europea è diventata esportatrice netta in molti
comparti, nel “mercato politico” è maturata la percezione dell’inefficienza di questi meccanismi,
parallelamente alla crescita del loro costo di bilancio.
Sempre in riferimento alla Figura 51, effetti del tutto analoghi al sistema di prezzo minimo
garantito fondato su prelievi all’importazione e restituzioni variabili all’esportazione si hanno con
l’imposizione di un sistema di dazi all’importazione e di sussidi all’esportazione di ammontare
fisso, pari a P-Pw36: in tal caso, infatti, il prezzo interno sale a P e le esportazioni a BC, con
guadagni e perdite di produttori e consumatori identici al caso precedente e con una analoga spesa
di bilancio (area 2+3+4), data dalla quantità esportata (BC) per il sussidio unitario (P-Pw).
Anche in questo caso, le analogie tra il sistema prelievi/restituzioni ed il sistema dazio/sussidi
cessano in caso di variazione del prezzo mondiale. Come si osserva nella parte destra della Figura
51, infatti, se questo scende da Pw a P’w, nel caso del sussidio all’esportazione - analogamente a
quanto accadeva con il dazio sull’importazione - il prezzo interno “segue” questa discesa,
attestandosi al livello P’ e generando un minor flusso di eccedenza da esportare (EF) ed una
minore spesa di bilancio, pari ora al rettangolo EFHG anziché al rettangolo BCRT. Rispetto alla
situazione precedente la spesa di bilancio si riduce, giacche, nella parte destra della Figura 51,
l’area 6+7+8 (che rappresenta la maggiore spesa del sussidio rispetto alla situazione di partenza)
35.
Nella realtà, se P è il prezzo minimo garantito all'intervento, la restituzione unitaria sarà pari a qualcosa in più
della differenza P-Pw, per rendere ai privati l'esportazione più appetibile della vendita alle agenzie pubbliche.
36. Dal punto di vista della nostra analisi il sussidio all'esportazione è perfettamente assimilabile al dazio
all'importazione: più precisamente, ad esso si può pensare come ad un dazio negativo.
11
4
è per costruzione minore dell’area 1+2+3+4 (appartenente al rettangolo BCRT, e rappresentante
la minore spesa del sussidio rispetto alla situazione di partenza). Al contrario, nel caso del
mantenimento di un sistema di prezzo minimo garantito, questo rimane insensibile alle variazioni
del prezzo mondiale, giacche il mercato interno è isolato da quello internazionale dal meccanismo
di prelievi e restituzioni variabili sull’import e sull’export. Se Pw diminuisce a P’w non variano,
in tal caso, né il prezzo interno, né l’ammontare di eccedenza da esportare, bensì cambia solo il
valore unitario delle restituzioni all’esportazione (che diviene P-P’w); con esso, senza che sul
mercato interno accada nulla, aumenta notevolmente il costo di bilancio della politica. Questo,
misurato nella parte destra della Figura 51 dal rettangolo BCML, cresce in misura pari a tutta
l’area 5+6+7+8+9 rispetto alla situazione in cui il prezzo mondiale era attestato al livello Pw.
Ovviamente ad un risultato opposto si perverrebbe nel caso di aumento, anziché di
diminuzione del prezzo mondiale: con il sussidio all’esportazione, infatti, tale aumento si
trasmetterebbe al prezzo interno, mentre con il sistema prezzo minimo/restituzioni semplicemente
diminuirebbe l’ammontare unitario di queste ultime e, con esso, la relativa spesa di bilancio. Si
può affermare, in altri termini, che con il sistema prezzo minimo/prelievi/restituzioni gli effetti
della variabilità dei prezzi mondiali, traducendosi solo in una variazione delle entrate doganali o
delle spese per restituzioni, sono tutti a carico (o a vantaggio) del bilancio pubblico; al contrario
con il sistema dazio/sussidio tale variabilità dei prezzi mondiali si scarica anche sul livello del
prezzo interno e, dunque, interessa direttamente produttori e consumatori.
5.3 - Politiche di prezzo nel caso di un paese “grande”
5.3.1 - Il caso di un paese importatore
5.3.1.1 - Prezzo minimo garantito con prelievi variabili all’importazione
Nella Figura 52 è rappresentata la situazione di un paese importatore “grande”; tale, cioè, da
generare un flusso di importazioni non irrilevante rispetto all’equilibrio del mercato mondiale e
da essere dunque, in certa misura, un price maker. Nel grafico di sinistra sono disegnate le curve
di domanda (D) e offerta (S) interne del paese in questione, mentre nella parte destra vi è la
situazione del mercato mondiale, con la funzione di domanda di importazioni (DI) del paese che
stiamo esaminando e la funzione di offerta di esportazioni nette (SEw) proveniente dal resto del
mondo.
In assenza di politiche il prezzo mondiale, come equilibrio tra SEw e DI, si attesta a livello Pw
e si trasmette inalterato al mercato interno: il paese, quindi, a tale prezzo importerà la quantità
AB=PwC. Se caliamo su questa situazione un sistema di prelievi variabili con prezzo minimo
garantito fissato a livello P, le importazioni si ridurranno da AB ad EF e, ricordando come il
sistema di prelievi variabili isoli il mercato interno, la domanda di importazioni diventerà
completamente rigida in corrispondenza della quantità PG=EF, diventando la spezzata RG-DI’.
Come si è già avuto modo di osservare, infatti, con una politica di prezzo minimo, qualunque sia
il livello del prezzo mondiale e per qualunque sua variazione, il prezzo interno con cui si
confrontano produttori e consumatori rimarrà comunque attestato al livello P e, dunque, inalterate
11
5
rimarranno le quantità prodotte, consumate ed importate, mentre l’unica cosa che varierà sarà
l’ammontare unitario dei prelievi variabili sulle importazioni
D
S
R
E
P
1
Pw
2
F
P
SEw
G
4
3
A
B
C
Pw
7
6
55
SE1w
P'w
P'w
L
_
P1 w
DI
DI '
Mercato interno
Mercato mondiale
Fig. 52 - Paese importatore "grande" - prezzo minimo con prelievi variabili
Tornando alla figura, il nuovo punto di equilibrio del mercato mondiale, in corrispondenza alla
riduzione della domanda di importazione del paese che pratica la politica in questione, si avrà ad
un livello più basso del prezzo mondiale: esattamente al livello P’w, ottenuto come incontro tra
SEw e DI’.
Ciò che cambia rispetto al caso del paese “piccolo” è, dunque, l’influenza che la politica
interna del paese stesso ha sul mercato mondiale e ciò, ovviamente, ne modifica gli effetti. I
consumatori perdono un ammontare di surplus pari alle aree 1+2+3+4; i produttori guadagnano
un ammontare pari a 1, mentre riguardo al flusso di prelievi variabili, esso aumenta rispetto al
caso di paese “piccolo”: all’area 3, infatti, va ora aggiunta anche l’area 5, dovuta al
miglioramento della ragione di scambio (riduzione del prezzo di importazione da Pw a P’w)
ottenuto ai danni del resto del mondo. Essendo analoga la variazione di surplus per i consumatori
e i produttori, l’effetto netto di benessere per il paese in questione migliora rispetto al caso del
paese piccolo: alla perdita misurata dai triangoli 2 e 4, va ora aggiunto il guadagno misurato
dall’area 5: tale guadagno, nel caso di paesi molto “grandi”, capaci di indurre un forte effetto sul
prezzo mondiale può anche essere tale da eccedere la perdita di efficienza misurata dai triangolini
e da capovolgere gli effetti in termini di benessere complessivo per il paese che attua la politica.
E’ chiaro che, in termini di gruppi di interesse, tale circostanza rafforza la appetibilità della
politica descritta: il maggior guadagno doganale, misurato dall’area 5, è infatti sottratto, in
termini di minor prezzo pagato per le loro esportazioni, ai produttori esteri, cioè a soggetti che
contano molto poco sul “mercato politico” del paese che impone il sostegno. A questo proposito
si può notare per inciso che la perdita imposta ai paesi esteri è misurata, nel grafico a destra della
11
6
Figura 52, dall’area 6+7, ed è data - nell’ipotesi che il resto del mondo non adotti alcuna politica
di distorsione del commercio - dalla perdita di surplus che la riduzione del prezzo mondiale
impone ai loro produttori, meno il guadagno (minore) che deriva ai loro consumatori. Va
sottolineato che tale perdita è comunque maggiore dell’eventuale guadagno del paese
importatore, in virtù della perdita di efficienza (area 7) che tale trasferimento comporta nella
specializzazione internazionale.
5.3.1.2 - Integrazione di prezzo
Nella Figura 53 sono rappresentati gli effetti di una politica di integrazione di prezzo nel caso
di un paese importatore “grande”. La situazione di partenza, in assenza di politiche, è identica a
quella che abbiamo visto in precedenza, nella Figura 52: il prezzo mondiale è pari a Pw, ottenuto
come incontro tra l’offerta netta di esportazioni proveniente dal resto del mondo (SEw) e la
domanda di importazioni (DI) derivata dalle D ed S interne del paese in questione; il è prezzo
interno anch’esso pari a Pw; le importazioni, in regime di free trade, ammontano ad AB.
D
S
R
P
C
L
P
SEw
1
2
A
Pw
3
P' w
8
M
B
Pw
5
4
E
G
7
6
F
P 'w
H
DI
S'
DI '
Mercato interno
Mercato mondiale
Fig. 53 - Paese importatore "grande": integrazione di prezzo
Sia P il livello di ricavo unitario che si vuole assicurare agli agricoltori mediante un sistema di
pagamenti diretti, erogati ad integrazione del prezzo di mercato. In questa situazione la
produzione interna, qualunque sia il prezzo di mercato al di sotto di P, si attesterà comunque sul
livello PC, corrispondente al livello di “prezzo” ricevuto dagli agricoltori grazie alla integrazione.
In altri termini, la curva di offerta interna diventa la spezzata SCS’, completamente rigida per
prezzi di mercato inferiori a P; e ciò perché il livello PC di produzione interna sarà comunque
assicurato dal fatto che - qualunque sia il prezzo di mercato - gli agricoltori si comporteranno
come se esso fosse P, che è quanto essi comunque ricevono per ogni unità prodotta grazie
all’integrazione. Ciò modifica anche la curva di domanda di importazioni del paese - data ora
11
7
dalla differenza orizzontale tra la D e la SCS’ - la quale subisce una rotazione in L, in
corrispondenza del prezzo P, diventando la spezzata R-L-DI’. Conseguentemente a questa
riduzione della domanda di importazione, essendo il paese “grande”, il prezzo mondiale si riduce
da Pw a P’w e tale riduzione di prezzo si trasmette anche al mercato interno, dato che la politica
in questione non prevede meccanismi di protezione commerciale. Il risultato è un aumento della
domanda interna da PwB ad P’wF ed una importazione pari ad EF (un po’ maggiore, quindi, di
quella che si aveva nel caso di paese piccolo in cui, data l’invarianza del prezzo mondiale Pw,
l’importazione si sarebbe attestata in MB). I produttori guadagnano, come nel caso di paese
piccolo, l’area 1; ma la spesa per integrazioni erogata dallo Stato - essendo diminuito il prezzo di
mercato da Pw a P’w - cresce, ed è ora misurata dal rettangolo 1+2+3+4. I consumatori interni
sono ora toccati dalla politica, nel senso che essi guadagnano l’area 3+4+5, mentre la variazione
del prezzo mondiale fa emergere anche una perdita netta imposta ai paesi esteri (perdita
produttori meno guadagno consumatori), che risulta pari all’area 6+7. In termini di benessere
collettivo del paese che pratica la politica, vi è una perdita (o un guadagno) se il triangolo 2 è
maggiore (o minore) dell’area 5. In termini variazioni di benessere su scala planetaria vi è
sicuramente una perdita; essa è pari 7+8, essendo l’area 6 uguale all’area 5 per costruzione, ed
essendo uguali i triangoli 2 ed 8 (hanno la stessa base e la stessa altezza).
Dal punto di vista dei “gruppi di interesse” la politica di integrazione del prezzo di un paese
grande può risultare, a seconda delle circostanze, più o meno appetibile rispetto al caso di paese
piccolo. Lo svantaggio è costituito dall’aumento delle spese di bilancio; il vantaggio è dato dal
fatto che vi è un guadagno dei consumatori nazionali a spese dei produttori esteri.. Questo può
essere un punto importante giacche per alcuni prodotti agricoli oggetto di trasformazione
industriale - si pensi al caso dei semi oleosi nella Unione Europea - i “consumatori” che
direttamente comprano il prodotto (sia sul mercato interno che su quello mondiale) ad un prezzo
più basso sono gruppi industriali talvolta molto potenti, e comunque in grado di esercitare una
pressione notevole sul mercato politico.
5.3.1.3 - Dazio
In riferimento alla Figura 54 partiamo, come al solito, da una ipotetica situazione di assenza di
politiche di distorsione del commercio.
Date la domanda (D) e l’offerta (S) interne, queste generano una domanda di importazioni
(DI), come prima ricavata quale differenza orizzontale tra D ed S. Essa incontra, sul mercato
mondiale, l’offerta di esportazioni proveniente dal resto del mondo (SEw) nel punto A, in
corrispondenza del prezzo mondiale Pw. A tale prezzo le importazioni del nostro paese saranno
pari a BC (=PwA). Come abbiamo già visto nella seconda parte, l’imposizione del dazio farà
ruotare verso il basso la DI che diventerà DIt e modificherà l’equilibrio sul mercato mondiale, che
si avrà in corrispondenza di un prezzo (Pdw) più basso di quello iniziale.
Il prezzo interno si stabilirà a livello P, dato dal nuovo prezzo mondiale più il dazio (P =
Pdw+FG) e le importazioni scenderanno da BC (= PwA) ad HI (= PG). In termini statici, gli
11
8
effetti sul benessere sono del tutto analoghi alla imposizione di un sistema di prelievi variabili
con prezzo minimo garantito a livello P: i consumatori interni perdono le aree di surplus
1+2+3+4; i produttori guadagnano l’area 1; lo Stato incassa entrate doganali in misura pari
all’area 3+5. Anche in questo caso, se l’area 5 è superiore alla somma dei due triangolini 2 e 4, vi
è addirittura un guadagno di benessere per il paese nel suo complesso37.
D
S
P
H
1
B
Pw=P1
2
6
I
3
5
P
4
C
7
Pdw
SEw
G
A
Pw
SE1 w
Pdw
F
8
P1 dw
1
P dw
E
2
P dw
L
DI
DI t
DI '
Mercato interno
Mercato mondiale
Figura 54 - Paese importatore "grande" - Tariffa (Dazio ad valorem)
Anche in questo caso le differenze tra un sistema di prelievi variabili all’importazione con
prezzo minimo garantito e l’imposizione di un dazio si manifestano in corrispondenza di
modifiche esogene negli equilibri del mercato mondiale ed hanno a che fare col diverso grado di
protezione assicurato dai due sistemi: come si ricorderà, infatti, i prelievi variabili
all’importazione, assicurando che il prezzo con cui la merce di provenienza estera può entrare nel
paese non cada comunque al di sotto del livello minimo garantito, isolano completamente il
mercato (ed il prezzo) interno da quello mondiale; mentre il dazio si limita a mantenere fisso il
differenziale relativo tra prezzo interno ed internazionale, ma comunque consente che le
variazioni assolute di prezzo vengano trasmesse dall’uno all’altro mercato. Per verificare questo
punto, ipotizziamo che, per motivi esogeni, vi sia un aumento dell’offerta di esportazioni su scala
mondiale, rappresentata da uno slittamento della SEw a SE1w. Nel caso del dazio, il nuovo
prezzo di equilibrio sul mercato mondiale sarà Pd1w, in corrispondenza del punto E, come
incontro tra la SE1w con la curva di domanda di importazioni distorta dal dazio (DIt). Il prezzo
37.
Va ricordato che anche qui vi è una perdita netta di benessere imposta ai paesi esteri - i quali nel complesso
esportano meno ad un prezzo più basso - pari al trapezio PwAFPdw e comunque, al solito, superiore all'eventuale
guadagno del paese che impone il dazio.
11
9
interno, che sarà pari al nuovo prezzo mondiale più il dazio e che, dunque, leggiamo sulla DI, si
attesterà a livello P1 (dove P1 = Pw = Pd1w + AE).
Rispetto alla situazione precedente allo slittamento della SEw il prezzo interno si riduce, e con
esso si riduce la produzione interna (da PH a P1B) ed aumenta il consumo (da PI a P1C). Le
importazioni aumentano, e variano le entrate doganali, che sono pari ora al rettangolo dato dalla
somma delle aeree 5+6+7+8.
Nel caso, invece, in cui il prezzo P fosse assicurato da un sistema di prelievi variabili
all’importazione, pur essendo, rispetto al dazio, identica la situazione di partenza (prezzo
mondiale Pw, importazioni pari ad HI, effetti statici di benessere identici), uno slittamento della
offerta di esportazioni da SEw a SE1w ha conseguenze molto diverse. In tal caso, infatti, abbiamo
visto che il mercato interno è isolato, nel senso che la curva di domanda di importazioni è resa
completamente rigida in corrispondenza del prezzo di sostegno interno: essa è, dunque, pari a
GDI’ nella parte destra della Figura 54, per cui l’incontro con la SE1w avviene ad un livello di
prezzo mondiale (Pd2w) molto più basso. Il risultato è che il prezzo interno rimane inalterato al
suo livello P e tutto l’effetto dell’aumento di offerta di esportazioni si scarica in termini di
diminuzione del prezzo mondiale: l’aggiustamento alla nuova situazione, in altre parole, rimane
tutto confinato al mercato estero, e “non valica le frontiere” del paese importatore che pratica la
politica L’equilibrio interno di quest’ultimo resta del tutto inalterato e l’unica cosa che si
modifica sono le entrate doganali dei prelievi variabili; esse aumentano fino a raggiungere tutta
l’area PGLPd2w, in virtù dell’aumento dell’ammontare unitario del prelievo variabile che ora è
pari a (P-Pd2w) anziché (P-Pdw).
Un effetto del tutto analogo a quello ora analizzato per il sistema di prezzo minimo garantito
con prelievi variabili si ha quando il sostegno è assicurato mediante restrizioni quantitative
(quote) all’importazione (nel caso della Figura 54 la quota in oggetto sarebbe pari a PG = HI). La
forte carica distorsiva sui mercati internazionali di tali misure di protezione non daziaria spiega le
lamentele che, nei confronti della Unione Europea, sono state tradizionalmente rivolte dai paesi
esportatori di prodotti agricoli: questi ultimi infatti, in virtù dei sistemi di prezzo minimo
garantito attivati dalla Pac, non solo hanno visto ridotto l’accesso alle proprie esportazioni sul
mercato Unione Europea, ma pure ne hanno patito le conseguenze in termini di riduzione del
prezzo internazionale e, dunque, dei loro ricavi di esportazione (in riferimento alla Figura 54, la
maggiore perdita imposta a tali paesi dalla protezione non tariffaria rispetto al dazio è
rappresentata, nel caso di uno slittamento della loro curva di offerta di esportazioni da SEw a
SE1w, dal trapezio P1dwELP2dw. Inoltre, sulla base dell’analisi che abbiamo svolto si
comprende perché, in sede Gatt, il dazio è il sistema di protezione commerciale considerato meno
dannoso rispetto agli altri. Con esso, infatti, a prescindere dal suo ammontare assoluto, la
protezione è ben visibile e quantificata (e dunque più facilmente “negoziabile”) ma, soprattutto,
essa è tale da consentire una certa trasmissione tra prezzi internazionali e prezzi interni che - sia
pure a livelli diversi - almeno variano nello stesso senso, dando segnali coerenti ai produttori.
Come si è visto, invece, tale trasmissione è completamente interrotta nel caso di sistemi di
12
0
protezione basati sul prezzo minimo garantito o sulle restrizioni quantitative all’esportazione e,
più in generale, sulle cosiddette misure non tariffarie.
5.3.2 - Il caso di un paese esportatore.
Nella Figura 55 siano, al solito, D ed S domanda ed offerta interne e sia SE, nella parte destra
del grafico, la curva di offerta di esportazioni da esse derivata. In assenza di politiche, la SE del
paese in questione fronteggia sul mercato mondiale una domanda netta di importazioni
proveniente dal resto del mondo e rappresentata con la DIw. L’equilibrio si ha nel punto G, per
cui Pw sarà il prezzo mondiale, PwF e PwE le quantità rispettivamente prodotta e consumata
internamente, per cui EF sarà la quantità esportata dal nostro paese in una situazione di libero
scambio.
SE
D
S
A
P
B'
B
C
P
C'
3
1
4
2
E
Pw
G
I
F
6
5
P 'w
SE1
S1
Pw
Pw1
7
G
G'
M
H
P 'w
L
P 'w1
DIw
SE'
Mercato interno
SE'1
Mercato mondiale
Figura 55 - Paese esportatore "grande" - Prezzo minimo con restituzioni variabili all'esportazione
Se viene imposta una politica di prezzo minimo garantito fissato a livello P, sostenuta
dall’intervento pubblico di acquisto e da un sistema di prelievi variabili all’importazione e
restituzioni all’esportazione, il prezzo interno sarà, appunto, P a prescindere dal livello del prezzo
mondiale. E’ ovvio che in un caso come quello che stiamo esaminando, in cui vi è un eccesso di
offerta sulla domanda interna, entrano in gioco le restituzioni all’esportazione, mentre i prelievi
variabili non entreranno in funzione; e ciò perché, in teoria, nell’ipotesi di perfetta omogeneità e
sostituibilità tra prodotto interno e prodotto estero, non vi è alcuna ragione perché si attivi un
flusso di importazione. La loro presenza nel sistema è tuttavia indispensabile, per evitare che si
generi una corrente di importazioni speculative, volta ad acquistare merce al prezzo mondiale per
poi rivenderla sul mercato interno al (più alto) prezzo di sostegno P. Conseguentemente la
12
1
produzione aumenta da PwF a PB, il consumo scende da PwE a PA e sul mercato interno si
forma un eccesso di offerta pari ad AB. Ipotizzando che tale eccedenza sia smaltita con
esportazione (o con esportazione sussidiata dei privati o con vendite all’estero degli stock
accumulati dalle agenzie pubbliche), la SE del nostro paese sul mercato mondiale diverrà
completamente rigida per prezzi inferiori a P, diventando la spezzata SE-C-SE’: in altri termini,
qualunque sia il prezzo internazionale, l’eccedenza esportata su tale mercato sarà pari ad AB (=
PC). Il prezzo mondiale, in conseguenza di ciò, crollerà a P’w, giacche si determinerà ora come
incontro tra DIw ed SE’.
Rispetto alla situazione di libero scambio, i produttori interni guadagnano un surplus misurato
dalle aree di 1+2+3, mentre i consumatori ne perdono in misura pari alle aree 1+2. A ciò va
aggiunto il costo di bilancio, che in tal caso è particolarmente alto: esso, infatti, è misurato da
tutto il rettangolo ABHG, pari all’ammontare dell’eccedenza AB, moltiplicata per il costo
unitario della restituzione (P-P’w) necessaria a smaltirla attraverso esportazioni all’estero. In
termini di benessere la perdita complessiva del paese che applica la politica in questione è,
dunque, estremamente elevata, essendo pari a tutta l’area punteggiata (2+4+5+6+7) nella parte
sinistra della Figura 5538; del resto, tale politica risulta particolarmente inefficiente, anche dal
punto di vista dei gruppi di interesse, proprio in considerazione del suo eccessivo costo di
bilancio e, soprattutto, in relazione alla tendenza di tale costo a crescere in modo incontrollato.
Per verificare quest’ultimo aspetto - ed avendo in mente quanto è accaduto nella Unione
Europea per molti prodotti a partire dall’inizio degli anni ottanta - ragioniamo come segue. Nella
situazione prima descritta, la presenza di un sostegno erogato mediante un sistema di prezzo
minimo garantito e sbocchi illimitati offre ampi incentivi - in assenza di misure di controllo della
produzione - ad inglobare progresso tecnico tendente ad aumentare le rese e ad intensificare
l’attività produttiva. Conseguentemente, la curva di offerta interna tende a slittare verso destra,
per esempio da S a S1, mentre la domanda tende a rimanere sostanzialmente statica, data la sua
bassa elasticità rispetto al reddito39. L’aumento della capacità produttiva, dunque, in presenza di
sbocchi inalterati sul mercato interno, si traduce nello slittamento da SE a SE1 della curva di
offerta di esportazioni. In una situazione di libero scambio ciò comporterebbe, ceteris paribus,
una riduzione (modesta) del prezzo internazionale (ed interno) da Pw a Pw1 - quale modifica del
punto di equilibrio, da G a G’, tra domanda di importazioni ed offerta di esportazioni sul mercato
38
Va notato che nel caso che abbiamo descritto vi é un guadagno netto per il resto del mondo, pari all'area
PwGMP'w nella parte destra della figura 6. Tale guadagno netto - comunque inferiore al costo interno della politica é dovuto alla riduzione del prezzo mondiale ed al conseguente guadagno dei paesi terzi importatori, che eccede le
perdite di quelli esportatori. Un esempio in tal senso é dato dalla situazione di alcuni paesi in via di sviluppo
importatori netti di alimenti, che traggono benefici dal regime di bassi prezzi sul mercato mondiale dovuto agli effetti
di politiche di sostegno interno da parte di paesi esportatori quali Unione Europea e USA. C'é tuttavia da dire, nel caso
specifico, che si tratta di benefici di breve periodo che possono rivelarsi nel lungo termine come danni irrimediabili nel
quadro delle strategie di aggiustamento strutturale: la stessa specializzazione dei paesi in questione risulta, infatti,
distorta dalla convenienza, per così dire, artificiale, ad importare alimenti a buon mercato, e può risolversi in una
ulteriore penalizzazione delle possibilità di crescita e modernizzazione delle agricolture nazionali, già ampiamente
penalizzate, in tali paesi, da politiche economiche tutte rivolte allo sviluppo dei settori industriali.
39. Ricordiamo che stiamo parlando di domanda di prodotti agricoli in contesti sviluppati; per essi, quindi, è
ragionevole ipotizzare una piena applicazione della legge di Engel.
12
2
mondiale - ed un aumento (anch’esso relativamente modesto) delle esportazioni del nostro paese,
da PwG a Pw1G’. Al contrario, in una situazione dominata da un sistema di prezzo minimo
garantito, lo slittamento dell’offerta interna da S a S1 si traduce tutto in aumento dell’eccedenza
(da AB ad AB’=PC’) ed il ramo rigido della curva di offerta di esportazioni slitta in eguale
misura, da SE’ ad SE’1. Conseguentemente, con un prezzo interno che rimane ancorato a P, il
prezzo mondiale scende a P’w1. I produttori vedono aumentare il loro surplus in misura pari
all’area misurata dal parallelogramma BB’IF; ma ciò che soprattutto aumenta è la spesa di
bilancio necessaria per finanziare la politica in questione40: questa passa, infatti, dall’area ABHG
(che è uguale a PCMP’w) all’area PC’LP’w1, che leggiamo nel grafico a destra della Figura 55.
40. Essa, infatti, aumenta sia perché aumenta l'eccedenza da smaltire all'estero (da AB ad AB'), sia perché aumenta il
suo costo unitario di smaltimento (da P-Pw a P-P'w1).
12
3
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