STORIA
V
PÒLIS: CRISI E DECLINO − DI ATENE E DELLA GRECIA
L’apogeo dell’«età classica», il V sec. a. C., coincide con il massimo dispiegamento dell’Atene
democratica 1 . Questa pòlis non è l’unico “polo” di fervente vita culturale, politica ed economica 2 ,
ma ha la preminenza nel periodo − e Pericle ne è alla guida per piú di un trentennio, nella parte centrale del V sec. a. C. (461-429 a. C.), e, con le sue proposte e iniziative conseguenti 3 , promuove e
realizza la potenza, ma anche lo splendore urbanistico, artistico, culturale della città. E l’Atene democratica punta a realizzare forme di unità piú stabili e durature di quelle delle leghe fra città, insieme al consolidamento della sua democrazia, però − come si è detto − lo fa puntando alla crescita
della propria potenza: Atene procede sulla via della traduzione della propria egemonia in egemonismo, donde la formazione del suo impero con annessa politica imperiale.
Il fatto è che, tramite la Lega di Delo, il piano riesce, proprio sotto la guida di Pericle. Perciò, la
via intrapresa appare valida, coronata dal successo. Ma non sono ben avvertiti i grossi risvolti e le
gravi ricadute: il terribile scontro con Sparta, divenuta grande rivale e nemica di Atene, e, piú in
generale, l’urto con l’energia, la vitalità, l’indipendenza di tante città greche. L’«età classica» è una
magnifica stagione, ma di breve durata. E, al suo culmine, si accompagna l’emergere della crisi di
Atene e della Grecia delle pòleis (crisi presentita, quasi annunciata da alcuni pensatori).
A partire dalla vittoria nelle guerre persiane, le città greche, ma in primo luogo Atene, vanno al
di là delle loro condizioni precedenti: si esalta la coscienza dell’eccellenza della loro civiltà; si dilatano attività economiche e traffici marittimi; si ha una rilevante crescita demografica e urbanistica;
è grande lo sviluppo di arte e conoscenza − mentre ad Atene la pòlis si dispiega «secondo il suo
concetto», con la democrazia, e la democrazia si espande nell’Ellade. E proprio perciò si pone,
“nelle cose”, la questione di superare la dispersione delle pòleis, con conflitti frequenti fra loro, per
concentrare la vitalità dell’Ellade ed espanderla nel Mediterraneo e nel Vicino oriente. Il tempo
delle pòleis del indipendenti, ma divise e spesso in urto fra loro, ha cominciato ad andare verso la
fine.
Questo è il senso profondo dell’ascesa dell’Atene democratica − ma la sua traduzione in egemonismo, in impero, invece che in anfizonie capaci di porre tutti gli aderenti su un piano di reciprocità
e tutela degli interessi comuni, è una sorta di “scorciatoia” − che avvita un circolo vizioso, con ricadute infine devastanti. E qui si situa il conflitto con Sparta, la quale assume il ruolo di centro
dell’aggregazione contrapposta all’egemonismo ateniese. È la «guerra del Peloponneso»: prende il
nome dallo scontro iniziale fra Atene e Corinto (situata all’estremo nord del Peloponneso), che
coinvolge la Lega del Peloponneso, ma non investe solo il Peloponneso stesso – anzi, è fra le regioni piú risparmiate –, bensí tutta l’Ellade, per terra e per mare: l’Attica, la Grecia centrale, l’Egeo e
gli altri mari della penisola greca, la Ionia, la Sicilia. Gran parte dei greci vi partecipano − è una
sorta di “guerra mondiale” dell’Ellade.
1
Dove giungono artisti e pensatori da tutto il mondo greco. È in questo periodo che il dialetto attico subentra a quello
ionico come lingua letteraria, specie nell’area della Lega di Delo, in base all’egemonia di Atene, e sarà proprio l’attico
− nella forma detta koinè, «comune», «generale» − che, sotto Filippo e Alessandro di Macedonia diventerà la lingua di
tutti i greci, compresi i macedoni, e delle persone colte di molte altre città, popoli, paesi.
2
Si collocano vicine al livello ateniese le città dell’Istmo, specie Corinto, e anche Egina (fino a quando la città, colpita
da Atene, 457 a. C., non inizia il suo declino); e sono fiorenti l’Eubea, le isole di Taso e Corcira, la Grande Ellade e, in
particolare, in Sicilia, Siracusa, Gela e Agrigento; l’influenza di Atene si estende verso le minori isole egee e le città
delle coste anatoliche, verso la Beozia, la Focide, la Locride, il Peloponneso settentrionale e orientale – altre regioni,
invece (Tessaglia, Arcarnania, Etolia, Epiro, Messina), partecipano poco all’ascesa della civiltà greca.
3
Si badi bene: Pericle non è né un týrannos, né un dittatore, e nemmeno una sorta di “presidente” permanente − opera
nell’ekklesía, conta su un “circolo” di amici e collaboratori, presenta proposte e le pone in votazione, ma, personalmente, viene solo eletto nel «collegio degli strateghi» (però non sempre) e, a volte, ne è il presidente.
Ad Atene si pensa di avere forze adeguate, pur sapendo che Sparta è potente. Al conflitto militare si unisce quello politico e sociale, perché Atene, patria e centro della democrazia, diffonde la
democrazia e si appoggia sui democratici delle altre città. Ma, appunto, Atene non risolve il problema di costituire un’“aggregazione” che abbia anche lo stabile consenso delle pòleis coinvolte,
anzi, con il suo egemonismo, fa il contrario. E il “nodo” della guerra del Peloponneso sta qui: Atene
non riesce a vincere e non accetta di perdere – né lo accetta nessuno dei contendenti. Il che porta,
infine, al crollo della potenza di Atene e alla connessa caduta delle possibilità di superamento della
dispersione delle pòleis, mentre rientra in gioco l’Impero persiano. Le città greche conservano
grande vitalità ed energia, pur affondando nella crisi – che non significa crisi e disgregazione delle
città in quanto tali, le quali resteranno la base del Mondo antico: vanno in crisi progressiva le pòleis
indipendenti, con le loro idee della vita nella pòlis, con i loro valori e la loro visione del mondo.
La democrazia di Pericle e l’impero ateniese
Pericle è di nobile famiglia 4 e riceve un’ottima educazione: fra i suoi maestri vi sono i filosofi
Zenone (di Elea) e Anassagora (di Clazomene), e i coltissimi sofisti 5 , specie Protagora (di Abdera),
che entrano nel suo “circolo”, in cui si trovano anche i grandi tragediografi: dopo il rapporto con il
piú anziano Eschilo, vi partecipa Sofocle. Pericle, poco piú che trentenne, si dà alla politica attiva,
ed è ricordato per le sue capacità oratorie. Ripudia nel 445 a. C. la moglie, da cui ha avuto due figli,
Santippo e Paralo, per convivere con la molto piú giovane Aspasia, l’etera di Mileto, famosa per
bellezza e cultura – che è, e sarà, celebrata come esempio di donna eccezionale –, con la quale ha
un terzo figlio, Pericle il giovane. Non mancano in città maldicenze e attacchi, né i lazzi dei commediografi sulla condotta dei suoi primi due figli, nonché su Aspasia e sul rapporto di Pericle con
lei, e su Pericle stesso − ma ciò non ne scuote mai il prestigio né la posizione politica.
La democrazia periclea. Affinché la democrazia sia effettiva, Pericle comprende che bisogna assicurare il funzionamento della boulè, dell’elièa e dell’ekklesía, per cui occorre una larga partecipazione del popolo, dato che i membri del governo e del tribunale sono sorteggiati, e che l’assemblea,
per operare, deve essere frequentata. Poiché i compiti sono gravosi e richiedono tempo, spesso coloro che accolgono le cariche 6 scarseggiano − a parte i nobili e i possidenti − e l’assemblea rimane
poco “nutrita”. Inoltre, ci vogliono persone che svolgano funzioni continuative – per i cantieri navali, per le esigenze organizzative della città e della Lega di Delo, etc. – e occorre provvedere a impegni militari di piú lunga durata, insomma vanno assicurate incombenze necessarie, tutte svolte fino
allora sempre da cittadini sorteggiati alle funzioni pubbliche 7 , e a spese proprie come soldati.
Perciò, Pericle propone l’introduzione, accolta, delle mistoforài, le «paghe», le «retribuzioni»: 2
oboli al giorno (6 oboli costituiscono una dracma) a testa ai giurati dell’elièa, 5 ai membri della
boulè e una dracma ai pritani 8 . Inoltre, propone l’estensione, accolta, (dal 457 a. C.) del sorteggio
per l’arcontato alla terza classe, retribuendo la carica con 4 oboli al giorno a persona. Cosí tutti i cittadini, e soprattutto i poveri – i teti –, sono non solo spinti, ma anche interessati, a partecipare alle
istituzioni e, di conseguenza, all’assemblea. Pericle fa provvedere, infine, a sviluppare corpi stabili
di funzionari e a sostenere finanziariamente gli impegni militari.
Pare che piú di 20.000 cittadini ricevano sussidi, o siano mantenuti dalla pòlis: in particolare, che
ogni anno ricevano lo stipendio i 6.000 giurati e i 500 buleuti, i 500 sorveglianti dei cantieri navali 9 ,
i 700 funzionari addetti a mansioni varie per la città e i 700 per le aree d’oltremare (cioè per la Lega
di Delo). E vengono pagati i 1.200 cavalieri e i 1.000 arcieri mercenari – si provvede, inoltre, ai
4
Nasce verso il 498 a. C da Santippo e Agariste, la nipote di Clistene, ed è quindi imparentato con gli Alcmeonidi.
I piú noti sono, Gorgia, Prodico, Ippia, Protagora.
6
Occorreva accettare la partecipazione al sorteggio e accogliere l’eventuale estrazione alla carica pubblica.
7
Solo le mansioni di carcerieri e di “poliziotti” non possono essere estratte a sorte, dato che nessun cittadino libero accetterebbe tali mansioni, perché giudicate servili.
8
I 50 membri delle pritanie, sezioni che, a turno, per un decimo dell’anno presiedono la boulè, cioè il governo.
9
Carica istituita allo scopo di rendere efficiente e sicura l’attività di costruzione, allestimento, manutenzione delle navi.
5
1
prima 50, poi 300, “poliziotti” sciti. Risulta anche che Pericle faccia erogare ai cittadini i theorikà,
«denaro per gli spettacoli», ossia sussidi per assistere in primo luogo al teatro, momento civile e
culturale, vera e propria istituzione della democrazia, che riguarda tutta la pòlis. E infine che faccia
distribuire cereali al popolo ed erogare piccole pensioni (1 obolo al giorno) agli inabili al lavoro, oltre ad assicurare il mantenimento a spese pubbliche degli orfani dei caduti in guerra.
Pericle promuove inoltre grandi opere, monumenti e lavori pubblici, che sviluppano grandezza e
bellezza della città: dalla triplice cinta delle Lunghe mura, che uniscono Atene al porto − e la rendono una fortezza quasi imprendibile, aperta sul mare −, alla ristrutturazione del Pireo 10 , fino alla
ricostruzione dell’acropoli, con il porticato dei Propilei e il Partenone, il tempio di Atena parthènos
(«ragazza», «vergine») 11 , e altre opere ancora 12 . Questo fervore costruttivo concorre a fare di Atene
il massimo centro culturale del tempo: architettura, scultura 13 , pittura 14 (non è l’unico centro 15 , ma
tutti questi centri si interconnettono ed è Atene il luogo principale di ricezione e diffusione 16 ), ed è
il centro esclusivo dell’elevatissima creazione teatrale (che poi “gira” nell’Ellade).
Il vasto fervore artistico e culturale, le ampie attività e i grandi lavori connessi servono, nello
stesso tempo, a fornire occupazione ai tanti ateniesi indigenti o di modeste condizioni. Pericle, in
seguito, fa approvare l’installazione di cleruchíai, «cleruchie», ossia «ripartizioni di terra», cioè colonie vere e proprie (nuovi insediamenti di cittadini che restano parte di Atene, e non nuove città)
fuori dell’Attica, certo per garantire il controllo di altri territori, ma anche per dare basi di sussistenza agli ateniesi piú poveri, inviati come coloni.
Insomma, la democrazia ateniese funziona appieno. È potenziata la sola istituzione importante
rimasta elettiva (non a sorteggio): il collegio degli strateghi, di cui Pericle è membro dal 460 a. C. E
tale democrazia “radicale” periclea ottiene una profonda adesione popolare. Comporta, però, anche
immediate conseguenze negative: si diffonde l’accusa privata contro i detentori delle cariche – costoro vengono spesso accusati da privati cittadini per abuso di potere o per corruzione –, il che è
una garanzia di controllo (abbattute le precedenti prerogative dell’Aeropago), ma diventa anche una
piaga sociale, una “professione” svolta da quella che diviene una “figura” sociale, il sycofàntes, «ricattatore» − persone in cerca di lucro e/o di fama. Inoltre, i governanti sorteggiati spesso mancano
di cultura, a volte anche di senso di responsabilità, giungendo talora all’avventatezza. Ancora, si estende l’abitudine di vivere a spese della città, un’attitudine parassitaria. Infine, molti nobili e possidenti si sentono emarginati e, di conseguenza, avversano in modo crescente la democrazia. A ogni
modo, pur di fronte a tali cattive “ricadute”, si può ben affermare che le pòleis rette da oligarchie, o
10
Sul piano urbanistico, a strade ortogonali con piazze, di Ippodamo di Mileto.
Opera di Ictino e Callicrate, ordine dorico e marmo bianco, il piú grande tempio dell’Ellade, dove si erge la statua
crisoelefantina (d’oro e d’avorio) di Atena, opera di Fidia, sovrintendente ai lavori, che scolpisce anche i fregi del tempio.
12
Le aree per gli esercizi atletici nei parchi dell’Accademia e del Liceo; la costruzione del tempio di Atena Nike («vittoria»), opera di Callicrate, e dell’Eretteo, opera di Filocle, sull’acropoli; sulle pendici orientali dell’Odeion, teatro per
l’ascolto di musica e canto, e, ai piedi, il tempio di Efesto (o Theseion); poi, il tempio di Poseidon a Capo Sunio.
13
Per portare un esempio di rilievo, con Fidia si manifesta una scultura padrona dello spazio e della rappresentazione
del corpo umano, “olimpica” − ne ricordiamo solo i citati fregi a rilievo del Partenone e la statua di Atena, nonché quella di Apollo; ci si può fare un’idea, pur attraverso scadenti riproduzioni, delle sue perdute statue crisoelefantine di Atena Parthenos e di Zeus (quest’ultima per il tempio di Zeus a Olimpia).
14
Se già Cimone di Cleone è tramandato per l’abilità con cui rende scorci, anatomia, panneggio, è suo continuatore,
ricordato come ancora piú grande, Polignoto di Taso, celebrato come primo che ha tolto nei ritratti l’antica fissità allo
sguardo, infuso emozioni e sentimenti nelle figure, realizzato la prospettiva nei dipinti, ed è ammirato per i suoi affreschi, fino a 100 m2 di superficie – come quelli nella Stoà poikìle, il «portico dipinto» ad Atene. E sulla metà del V sec.
ad Atene sono attivi Agatargo di Samo e Apollodoro di Atene, a cui è attribuita l’introduzione del «chiaroscuro».
15
A Sicione e a Egina – da dove proviene il famoso bronzo noto come l’Autiga di Delfi – è vigorosa la scultura in bronzo; ad Argo fiorisce la scultura di figure atletiche, che culmina con Policleto, maestro delle proporzioni e del corpo in
movimento, come vediamo dalle copie di alcune sue opere, quali il Diadùmeno, il Dorìforo, il Discòforo, l’Amazzone; e
c’è Mirone di Eleutere, maestro delle figure colte nel momento forte e drammatico, come vediamo dalle copie del discòbolo e del gruppo di Atena e di Marsia.
16
Nel campo della scultura, Fidia, Policleto e Mirone fanno scuola − seguace di Mirone è Cresila, autore del noto busto
di Pericle.
11
2
da tirannidi, non hanno poi avuto, nel complesso, condizioni interne piú floride ed esiti migliori.
La difficile formazione dell’impero. La democrazia ateniese, interconnessa con la grandezza di Atene, necessita dunque di grossi fondi e la modalità scelta diviene quella dell’impero. E Pericle procede alla sua formazione, utilizzando le forze ateniesi e le risorse e i fondi della Lega di Delo in operazioni rivolte, nel primo periodo, contemporaneamente contro gli spartani e l’Impero persiano.
Lo sforzo è grande, ma inizialmente ha successo 17 . Intanto, vengono portate a termine le fortificazioni della città e le doppie Lunghe mura con il Pireo 18 .
Nel 456 a. C. Atene è al culmine, tanto che si permette di inviare 50 triremi con 4.000 opliti ad
attaccare le coste del Peloponneso, e ottiene altre alleanze 19 . Nel 454 a. C. la flotta ateniese giunge
in Occidente, ottenendo altre alleanze ancora 20 . Ma Atene comincia a risentire dello sforzo – solo
nel 458 a. C. si contano 1.800 caduti sul totale di 30.000 ateniesi atti alle armi – e nell’autunno del
456 a. C. la situazione va a rotoli in Egitto, a favore dell’Impero persiano 21 , tanto che la stessa sicurezza nell’Egeo è minacciata, per cui i fondi della Lega vengono trasferiti da Delo ad Atene.
La supremazia delle politica periclea è scossa. Cimone, il capo dei “conservatori” ostracizzato
nel 461 a. C., torna dall’esilio 22 e il suo prestigio riprende quota. Forse per opera sua, su trattative
già avviate, fra il 453 e il 451 a. C. Atene ottiene una tregua di cinque anni con Sparta 23 . Pericle
accetta il rinnovato ruolo di Cimone, ma se ne serve per allontanarlo dalla città, concordando, infatti, sull’assegnazione a lui, nel 450 a. C., del comando della flotta che muove alla volta di Cipro (ripresa dall’Impero persiano) − dove Cimone muore, anche se poi la flotta è vittoriosa 24 .
L’assestamento. Pericle assume la necessità di chiudere almeno il fronte con l’Impero persiano e,
nel 449 a. C., è stipulata la pace di Callia (dal nome dell’inviato ateniese), forse un “concordato”,
piú che un vero trattato, ma in vigore per trent’anni: Atene rinuncia a ogni intervento a Cipro e in
Egitto; il «gran re» non manda navi da guerra nell’Egeo, non attacca le città egee e anatoliche alleate di Atene, né a richiede tributi, pur conservando su di esse una sovranità formale. Cosí si chiude,
per piú di un secolo, la controffensiva greca – con la connessa espansione – verso il Vicino oriente.
Continua però la tensione fra Atene e Sparta, che riattizza i conflitti in Grecia, finché i beoti si
sollevano, ricostituiscono la lega intorno a Tebe e battono gli ateniesi a Coronea (447 a. C.); segue
il distacco da Atene di focesi e locresi, e la perdita del predominio nella Grecia centrale. Insorge
anche l’Eubea (446 a. C.), seguita da Megara; e un esercito spartano, guidato dal re Pleistonatte e
dal generale Cleandrida, giunge fino a Eleusi. Pericle, sbarcato in Eubea alla testa delle forze ateniesi, rientra e si attesta di fronte agli spartani, ma riesce a concordare i preliminari di pace: gli
spartani riprendono la via del Peloponneso, e Pericle riporta le truppe in Eubea e la sottomette.
17
Atene, che si è alleata con Argo e ha inserito nell’alleanza la Tessaglia (già dal 462 a. C.), accoglie come alleata anche Megara, e si affaccia sul golfo di Corinto. Batte, insieme ad Argo, gli alleati di Sparta a Enoe, nel Peloponneso (460
a. C.), e sconfigge per terra le forze di Corinto, per mare quelle di Egina e l’assedia (458 a. C.). Affronta in campo aperto le forze di Sparta a Tanagra (Beozia, 457 a. C.) e, se l’esercito ateniese deve ripiegare, costringe gli spartani a rientrare nel Peloponneso, mentre ottiene l’adesione delle minori città beote, della Focide e della Locride; intanto, Egina
capitola e accetta l’alleanza con Atene (abbatte le mura, consegna la flotta e versa 30 talenti l’anno).
18
Nel frattempo, la flotta stanziata a Cipro (dal 462 a. C.) ha inviato una grossa squadra (nel 459 a. C.) a sostegno
dell’Egitto insorto contro il dominio persiano.
19
La città di Mentone è espugnata e il porto spartano di Ghiteon incendiato; Atene riceve adesione dell’Acaia, e delle
isole di Zacinto e di Cefalonia.
20
Quella di Segesta, in Sicilia, mentre una squadra inviata fino a Napoli vi viene accolta con grandi festeggiamenti.
21
Le triremi ateniesi sono schiacciate da una flotta persiana di 300 navi, gli equipaggi vengono assediati nel delta del
Nilo e resistono per diciotto mesi, ma poi vengono annientati; nel 454 a. C. le 50 triremi di rinforzo, ignare
dell’accaduto, sono distrutte dai persiani, che, nel 453 a. C., riconquistano l’Egitto e riprendono Cipro.
22
Cimone, probabilmente, può permettersi di rientrare in città con un certo anticipo rispetto alla scadenza dei dieci anni
di esilio.
23
Deve rinunciare all’alleanza con Argo, la quale è costretta, nel 451 a. C., a stipulare una pace trentennale con Sparta.
24
Sono 200 le triremi che salpano per Cipro − 60 dirottano verso l’Egitto per prelevare Amirteo, capo superstite della
rivolta antipersiana, e i suoi stretti seguaci. In un’estensione di malattie insorte durante l’assedio della città cipriota,
muore Cimone e gli ateniesi rientrano, sgominando, però, per terra e per mare a Salamina di Cipro i persiani, che cercavano di bloccare la loro ritirata (449 a. C.). Tuttavia Cipro non aderisce alla Lega di Delo.
3
Nell’inverno 446-445 a. C. è infine conclusa fra Atene e Sparta una pace di trent’anni: Atene rinuncia a ogni ingerenza nel Peloponneso e nel Golfo di Corinto, dove mantiene solo il porto di
Naupatto; Sparta riconosce l’appartenenza di Egina alla lega di Delo e conferma l’egemonia marittima di Atene. Sono stabiliti il commercio fra la Lega di Delo e la Lega del Peloponneso, il diritto
delle città neutrali a coalizzarsi fra loro per la reciproca sicurezza, l’istituzione di “corti di giustizia”
in sedi da definire, come “arbitrato” panellenico per risolvere future controversie.
La pace è un compromesso, ma nel complesso è un successo per Atene e per Pericle, stabilizzando i pur ridimensionati domini ateniesi. La pace non è, tuttavia, ben accolta a Sparta, dove Pleistonatte e Cleandrida sono accusati di essersi fatti corrompere da Pericle, condannati ed esiliati; né lo è
ad Atene, dove si leva contro Pericle l’opposizione dei “conservatori” riorganizzati da Tucidide 25 .
Ma la questione piú grave è la crescente insofferenza nella Lega contro il predominio di Atene: se
già Atene vietava a ogni alleato di uscire dalla Lega 26 , la «pace di Callia» fa cadere la ragione ufficiale di esistenza della Lega, la guerra antipersiana, e rende evidente che il costoso apparato militare della Lega serve solo alla potenza di Atene. Nello stesso tempo l’elièa ha arrogato a sé i processi
per i reati piú gravi commessi nelle città alleate – per difendervi da eventuali attacchi i sostenitori di
Atene (e tali processi sono piú equi, fuorché se sono in gioco gli interessi ateniesi) –, ma ciò è umiliante per le pòleis della Lega, oltre a comportare spese e disagi per i processati (tenuti a presentarsi
ad Atene). Infine, i fondi della Lega trasferiti ad Atene sono adesso apertamente gestiti sulle decisioni di boulè ed ekklesía, non piú dagli organi collegiali dell’alleanza.
Le contraddizioni dell’impero e la fine di Pericle
Se la Lega di Delo assicura l’indipendenza di tutto il territorio della Lega stessa e la libertà
dell’Egeo, Pericle afferma che, detratte le spese per l’indipendenza e la sicurezza, il resto dei fondi
è disponibile per Atene; perciò dal 443-442 a. C. le città della Lega, con i loro territori, vengono
suddivise per la riscossione dei tributi in quattro distretti: ionico, insulare, tracico, ellespontico.
Pericle riconquista la maggioranza fra gli ateniesi 27 e, conclusa la pace con l’Impero persiano e
con Sparta, stabilizzati la Lega di Delo e i domini di Atene, può contare sulle finanze occorrenti per
il dispiegamento della democrazia cittadina e per i grandiosi lavori pubblici − e si riesce anche ad
accumulare una riserva finanziaria, custodita nel tempio di Atena (6.000 talenti nel 431 a. C.).
Le contraddizioni aperte e le nuove vie. Permangono comunque contraddizioni e problemi. In primo luogo, la democrazia ateniese tende a chiudersi in sé: solo gli ateniesi vogliono privilegi e ricchezze, e trovano eccessiva la liberalità verso gli stranieri; già dal 450 a. C. sono richiesti padre e
madre ateniesi per avere la cittadinanza, su proposta dello stesso Pericle 28 . Perciò, benché gli ateniesi tendano a favorire, o anche a imporre, costituzioni democratiche nella Lega, le democrazie
delle altre città non si fondono mai con quella ateniese, ma vi restano esterne e subordinate, quando
non solo comandate: viene cosí impedita una possibile via di maggiore e piú profonda coesione, che
sarebbe tanto piú utile, quanto piú le pòleis della Lega non si abituano alla perdita della propria
piena indipendenza. E scoppiano nuove rivolte − la piú grave è quella di Samo, repressa, ma al governo restano gli oligarchi locali e non i democratici 29 .
Pericle pensa, allora, di non premere oltre sulla Lega, ma di sviluppare l’Impero ateniese in modo diretto e nel contempo basato sulla costruzione di una piú vasta rete commerciale: a est, tramite
le conquiste in Tracia 30 , e a ovest, nella Grande Ellade, tramite la fondazione in Calabria (su appel25
Non l’omonimo autore storico, ma un nobile, genero di Cimone.
Reprime le rivolte, impone ai ribelli vinti forti tributi e, a volte, deduce proprie colonie nei loro territori.
27
Il nuovo capo dei conservatori, Tucidide, viene ostracizzato in questi anni.
28
Per riconoscere come cittadino ateniese lo stesso figlio di Pericle e Aspasia occorrerà una speciale delibera.
29
La ribellione ha avuto gli aiuti del satrapo persiano di Sardi e l’adesione di Bisanzio e di alcune città della Caria; la
repressione è conclusa dopo nove mesi d’assedio nell’isola: Samo perde l’autonomia, abbatte la mura e versa 1.200 talenti, però la democrazia non vi afferma, e se anche Bisanzio si sottomette, tuttavia la Caria va perduta per Atene.
30
Dove nel 437 a. C. è fondata la cleruchia di Anfipoli, sulla strada del Pangeo (monti allora ricchi d’oro e d’argento).
26
4
lo dei sibariti superstiti 31 ) di Turi 32 , e in Sicilia, tramite le alleanze (rinnovate nel 433-432 a. C.)
che si allargano da Segesta a Leontini (fino a Reggio, in Calabria). I commerci ateniesi, grazie
all’apertura dello stretto (alleanza con Reggio), arrivano per mare nel Tirreno fino nell’Italia centrale e in Etruria, nell’Adriatico arrivano fino a Spina (presso l’odierna Comacchio) e da qui, per via di
fiume e di terra, nell’Italia settentrionale e, forse, al di là delle Alpi, nell’area che era “riserva” di
Marsiglia.
Pericle rafforza cosí la potenza e l’economia ateniesi, però invade in Occidente gran parte
dell’area commerciale di Corinto, che, colpita nei propri interessi, diventa accanita nemica di Atene, insieme a Siracusa, legata a Corinto (propria “città madre”) e ostile alla penetrazione commerciale e alle alleanze ateniesi in Sicilia e in Calabria, perché dannose per la propria supremazia.
Le opposizioni interne e la morte di Pericle. La preminenza di Pericle proviene dal consenso che
riscuotono la sua politica e le iniziative da lui condotte. Ha, certo, molte ambizioni, ma queste sono
virtú per i greci, purché non vi sia eccesso tracotante (l’hýbris) − né Pericle eccede, perché si attiene
alle regole della democrazia ateniese. Del resto, cura gli interessi degli strati inferiori, di coloro che
vivono delle cariche pubbliche e della flotta, e di coloro che operano nell’artigianato e nel commercio. Ma si accosta anche ai ceti superiori, incontrando simpatie soprattutto fra gli elementi piú colti.
Tuttavia, negli ultimi anni la posizione di Pericle è meno solida. Gli si oppongono i proprietari
terrieri, simpatizzanti per Sparta e ostili alla democrazia “radicale” – gli si oppone, cioè, la tendenza
politica “conservatrice”. Gli si oppongono anche i ceti piú poveri, che non lo sentono piú come loro
“esclusivo” rappresentante. Gli si oppongono quei comparti di membri delle cariche pubbliche e
quei settori di mercanti che vorrebbero azioni ancora piú decise e fruttuose – cioè gli si oppone la
tendenza politica alla democrazia “estrema”, capeggiata da Cleone. E gli si oppongono anche i piccoli contadini danneggiati dalle guerre, che in parte si accostano alla tendenza “conservatrice”, ma,
in parte, rivendicano maggior sostegno da parte della città, accostandosi alla tendenza “estrema”.
Se i commediografi gli sono politicamente contrari, gli scherni a Pericle nelle commedie vanno
interpretati come della libertà di satira, per cui si dice ciò che il pubblico – compresi i suoi sostenitori – ama sentire, per riportare a “misura umana” colui che è stato soprannominato l’«Olimpico»
per la sua calma distaccata (dopo la sua morte, saranno proprio i commediografi ad esaltarlo).
Però corrono altre voci, di coloro che gli sono effettivamente ostili, che lo accusano di tirannide e
che, nel 433-432 a. C., passano all’azione, giungendo a intentare processi contro suoi amici e la sua
donna: Anassagora è portato in giudizio da Cleone, e Aspasia lo è dal commediografo Ermippo,
ambedue sotto la stessa accusa di asèbeia, «empietà» 33 . Pericle salva il filosofo 34 e difende personalmente Aspasia, che è prosciolta. E Fidia, l’artista che sovrintende ai lavori del tempio di Atena,
il Partenone, è accusato di appropriazione indebita (di oro impiegato per la statua della dea), accusa
che tocca anche Pericle, membro della commissione che presiede i lavori − pare che Fidia venga
condannato, pur non pesantemente. In parte l’autorità di Pericle è colpita da questi processi, ma solo
in parte, perché resta alla guida di Atene, né muta politica, manifestando un olimpico disprezzo per
gli avversari 35 . Ma tutto è troncato dallo scoppio, nel 431 a. C., del grande conflitto con Sparta.
La guerra del Peloponneso
Atene ha colpito gli interessi commerciali di Corinto in Occidente. Lo scontro fra le due città si
sposta poi nell’Adriatico: nel 433 a. C. una squadra ateniese e la flotta dell’alleata Corcira battono
la flotta corinzia nelle acque dell’isola di Corcira, costringendo Corinto ad abbandonare l’Adriatico.
31
Sibari era stata distrutta dalla nemica Crotone.
Una città panellenica, con cittadini provenienti da varie pòleis – fra cui lo storico Erodoto, il sofista Protagora, il filosofo Empedocle – e su progetto urbanistico di Ippodamo (ma Turi si troverà presto in dura lotta con i lucani e con Taranto, e vi si imporrà l’esule spartano Cleandrida).
33
È l’accusa di negare gli dèi, o essere scettici o indifferenti nei loro confronti, e di sostenere nuove teorie sui fenomeni
celesti − in sostanza, di porsi fuori e contro la “visione delle cose” della città.
34
Dalla condanna a morte, però non dal pagamento di una forte multa.
35
«Corvi gracchianti», è tramandato che dica Pericle, e anche: «i ragli degli asini non arrivano all’aquila di Zeus».
32
5
Lo scontro continua nell’Egeo settentrionale: nel 432 a. C. con Potidea, colonia corinzia della Calcidica 36 , uscita dalla Lega di Delo insieme ad altre città della Calcidica e della Tracia, con il sostegno di Sparta e della Macedonia, e l’aiuto di Corinto. Nello stesso anno Atene, per piegare ai suoi
voleri Megara, le chiude i mercati (ateniesi e della Lega). Su pressione di Corinto e di Megara,
Sparta denuncia la violazione della pace di trent’anni (dal 446-445 a. C.) e la Lega del Peloponneso
decide di entrare in guerra: è il 432 a. C., e Delfi assicura l’appoggio di Apollo e la vittoria.
Sparta e la Lega del Peloponneso hanno 40.000 opliti e le forze degli alleati: in Grecia, focesi e
locresi, e la Lega beotica; in Occidente, Siracusa, altre città doriche, altre città ancora d’origine corinzia, e Taranto e Locri. Ma la loro flotta – 200 triremi di Corinto, Megara, Sicione – è inferiore a
quella ateniese, né vi sono riserve finanziarie per una lunga conduzione del conflitto. E Atene è cosí
fortificata da essere imprendibile. Sparta punta su una guerra di dissolvimento: invadere e devastare
l’Attica, stringendo Atene e mirando al crollo della Lega di Delo.
Atene conta sul suo impero – la Lega di Delo e le proprie colonie – e sugli alleati: in Grecia,
l’Acarnania, Naupatto; in Occidente, Corcira e Zacinto (poi anche Cefalonia), e Leontini, Segesta,
Reggio, Napoli. Le sue 300 triremi non temono rivali e ha riserve finanziarie di 6.000 talenti. Ha
però un esercito inadeguato: 13.000 soldati (oltre ai 10.000 a difesa delle cleruchie), sparsi nei territori delle Lega di Delo, piú altri 16.000 di leve piú anziane e piú giovani, adatti solo a usi difensivi.
Perciò Atene punta su una guerra di logoramento: difesa per terra e attacco per mare, colpendo le
città marittime nemiche e facendo incursioni sulle coste del Peloponneso: Sparta dovrà venire a patti.
La prima fase (431-421 a. C.): un incerto equilibrio. Le ostilità iniziano nel 431 a. C., dopo il rifiuto ateniese di accogliere le richieste spartane (fine del “blocco commerciale” a Megara e della guerra a Potidea, indipendenza di Egina). I tebani, fallito un colpo di mano su Platea, sempre legata ad
Atene, assediano la città, che ha accolto una guarnigione ateniese; gli spartani devastano l’Attica, la
cui popolazione si ammassa ad Atene, poi si ritirano. Intanto, 100 triremi ateniesi compiono attacchi sulle coste del Peloponneso. In seguito, squadre di Atene compaiono nello Ionio, ottenendo
l’alleanza di Cefalonia, e Pericle guida l’esercito a devastare il territorio di Megara e mette in atto
l’espulsione da Egina dei suoi abitanti, per prevenirne possibili attacchi. Nel 430 a. C. gli spartani
tornano nell’Attica e la popolazione ripara ancora in Atene, in particolare nello spazio compreso
nelle Lunghe mura, ma, stavolta, nell’Atene colma di persone terrificate insorge quella passata alla
storia come «pestilenza» − tremenda, che fa strage per due anni. Gli spartani rientrano in fretta e
“preservano” il Peloponneso dall’«epidemia», uccidendo subito ogni nemico catturato.
Atene è in difficoltà e la posizione di Pericle vacilla: è destituito dalla carica di stratega e condannato a una multa di 50 talenti. Le sorti militari di Atene procedono fra alti e bassi: nel 429 a. C.
gli ateniesi riescono a prendere Potidea, ma poco dopo sono battuti a Spartolo dalle forze delle città
calcidiche; le squadre navali ateniesi, partendo dal porto di Naupatto, vincono piú volte quelle nemiche, ma, intanto, l’assedio tebano si stringe su Platea.
In una situazione fattasi tanto incerta, Pericle viene rieletto stratega. Torna a tenere le redini del
potere, ma è un uomo ormai troppo provato: è colpito dagli eventi sfuggiti a ogni controllo, ha perso due figli nella «pestilenza», si sente finito. E muore poco dopo, nel 429 a. C., sui settant’anni. Ed
è un disastro nel disastro: non c’è nessun successore, né un qualche politico alla sua altezza, capace
di trovare una qualche conclusione del conflitto già rovinoso, prima che sia del tutto incontrollabile.
La guerra continua, terribile e inconcludente 37 . Solo nel 425 a. C. si ha una svolta: una squadra
navale ateniese occupa la baia di Pilo, batte le navi spartane e blocca sull’antistante isola di Sfacte36
Atene intima alla città di non accogliere piú i magistrati inviati annualmente da Corinto e di abbattere le mura dalla
parte del mare.
37
Nel 427 a. C. Atene reprime le rivolte di Samo e di Corcira, e una spedizione navale riesce a portare nell’alleanza
Messina, ottenendo il controllo dello stretto, ma i tebani raggiungono l’obbiettivo di radere al suolo Platea. Nel 426 a.
C. gli spartani si insediano sul monte Eta in Tessaglia, benché contrastati dai tessali, e gli ateniesi vincono forze peloponnesiache in Etolia, ma la Grecia centrale si stringe in un’alleanza autonoma, per salvaguardare la propria indipendenza contro la supremazia di Atene.
6
ria 420 opliti nemici, fra cui 180 spartiati, insostituibili per Sparta, data la costante riduzione del
numero degli spartiati stessi. Infatti, Sparta conclude subito un armistizio e avvia trattative di pace.
Ma Cleone, il capo della democrazia “estrema” che si è imposto ad Atene, invece di cogliere
l’occasione per por termine alla guerra, respinge le trattative e conduce grosse forze ateniesi a catturare gli spartiati bloccati a Sfacteria, minacciando Sparta di metterli a morte se l’Attica verrà di
nuovo invasa. Impone, inoltre, agli alleati di versare ben 1.460 talenti annui, e cosí rilancia la guerra, che continua, ancora terribile e inconcludente 38 . Nel frattempo il comandante spartano Brasida,
anch’egli deciso fautore della guerra, impostosi a Sparta, prende Anfipoli in Tracia 39 , e molte città
traciche e calcidiche abbandonano la Lega di Delo. Finalmente, nel 423 a. C., Atene e Sparta, logorate, arrivano a stipulare un armistizio − che si dimostra inconsistente: Brasida impedisce che le città traciche e calcidiche, distaccatesi dalla Lega di Delo, tornino sotto il potere di Atene, com’era
stato pattuito, e Cleone guida contro di lui un esercito ateniese. Nel 422 a. C., nella battaglia presso
Anfipoli, Cleone viene sconfitto e ucciso, e anche Brasida resta sul campo. Caduti i due sostenitori
irriducibili della guerra a oltranza, nel 421 a. C. è conclusa la pace, detta pace di Nicia, dal nome
del capo dei “conservatori” ateniesi, che conduce le trattative con Sparta.
La seconda fase (418-413 a. C.): il disastro in Sicilia. Il trattato di pace sancisce un equilibrio fra
le due potenze 40 , ma non è applicabile: è respinto da Corinto, da Megara, dall’Elide 41 , mentre nel
Peloponneso si costituisce un’alleanza antispartana, capeggiata da Argo; d’altra parte, le città della
Tracia si rifiutano di rientrare sotto il predominio ateniese, e cosí Sicione, nella Calcidica. Atene ne
attribuisce la responsabilità a Sparta, perciò non restituisce le zone peloponnesiache occupate, né i
prigionieri di Sfacteria 42 . Nel 420 a. C. Sparta rinnova l’alleanza con la Lega beotica; nel 419 a. C.
Atene lo fa con Argo e l’alleanza antispartana. Nel 418 a. C. la guerra riprende nel Peloponneso:
Sparta vi ristabilisce l’egemonia vincendo a Mantinea gli avversari coalizzati.
Nel frattempo ad Atene si è affermato fra i democratici Alcibiade, nipote di Pericle, allievo di
Socrate e dei sofisti. È un uomo politico di grande fascino e di notevole abilità, ed è un valente comandante. Ma non ha la tempra di Pericle: per lui la democrazia è solo uno dei mezzi per raggiungere il potere, e non esita a ricorrere a tutti i mezzi possibili. Nello sbandamento che coglie Atene
dopo la sconfitta subita nel Peloponneso, viene indetto l’ostracismo per liberare la città da uno dei
due capi politici rivali, Alcibiade o Nicia. Ma Alcibiade, per evitare ogni rischio, si allea con Nicia,
e i due fanno confluire i voti dei propri seguaci contro Iperbolo, altra figura di spicco fra i democratici.
Con l’insensato ostracismo di Iperbolo, però, è lo stesso istituto dell’ostracismo come “valvola di
sicurezza” della democrazia a perdere di senso: la sua funzione si smarrisce e l’istituto va in crisi. E
va in crisi anche la democrazia ateniese, sotto il dominio della scena politica da parte di Alcibiade e
Nicia, capi delle due tendenze contrapposte − e la loro supremazia dura fino al 415 a. C. Ambedue
legano il proprio potere all’espansione della potenza di Atene; di conseguenza, la politica ateniese
si avvita su se stessa, come “impazzita” alla ricerca della potenza, evitando però lo scontro con
Sparta, come vuole Nicia. Iniziano cosí le operazioni per riprendere Anfipoli, che hanno, però, come solo esito quello di portare a uno stato di guerra con la Macedonia. Poi Atene si scaglia (416 a.
C.) contro l’isola di Melo – neutrale, rifiuta di sottomettersi –, con estrema ferocia, uccidendo tutti
gli uomini e vendendo schiavi donne e bambini. Segue l’intervento in Caria (415 a. C.), che comporta la violazione della «pace di Callia» con l’Impero persiano. Infine, viene apprestata una grande
38
Gli ateniesi prendono la penisola di Metana, presso Trezene, e nel 424 a. C. occupano l’isola di Citera e il porto megarese di Nisea, ma un esercito di Atene è vinto dai beoti presso il santuario di Apollo delio, vicino a Tanagra, mentre
le pòleis di Sicilia concludono fra di loro la pace nell’isola, tagliando fuori l’egemonia ateniese.
39
Lo stratega Tucidide − adesso si tratta proprio dello storico − non riesce a portare in tempo le forze affidategli in soccorso della città ed è, perciò, costretto all’esilio.
40
Tornano ad Atene le città traciche − ma restano autonome, benché tributarie, quelle calcidiche − e restano Nisea e il
territorio di Platea, mentre tornano a Sparta le zone del Peloponneso occupate dagli ateniesi: Atene è indebolita, ma non
per questo Sparta si è rafforzata.
41
Sparta, per farsi valere, si trova addirittura costretta a stringere un’alleanza – pur del tutto effimera – con Atene.
42
Mentre espugna la ribelle Sicione e ne massacra molti abitanti.
7
spedizione per la conquista della Sicilia, dove è svanito lo stato di pace stabilito nel 424 a. C.
Ad Atene si pensa di piegare Siracusa, di passare poi a dominare tutta l’isola e di spostarsi successivamente su Cartagine, per imporsi, in tal modo, su tutto il Mediterraneo occidentale. A questo
punto, Nicia trova la prospettiva troppo esagerata, ma ormai l’entusiasmo è irrefrenabile nella città
(escluso Socrate e pochi altri “scettici”). Parte la spedizione: 134 triremi con 20.000 marinai, 5.100
opliti e 1.300 cavalieri, sotto il comando di Alcibiade e Nicia. Ad Atene, però, gli odi, anche personali, non sono sopiti e Alcibiade è inseguito dalle accuse – pretestuose – di aver profanato i misteri
eleusini e di aver mutilato le erme 43 . E, per non rientrare ad Atene ad affrontare i rischi del processo, Alcibiade si rifugia presso i nemici, a Sparta.
Si avvia, intanto, la guerra contro Siracusa, che non va per niente secondo le aspettative, anche
perché le forze di terra inviate con le navi sono insufficienti. E Siracusa, con l’aiuto del capace comandante spartano Gilippo, giunto pur con pochi soldati, mette in difficoltà gli ateniesi. Né bastano
i rinforzi da Atene: prima un’altra decina di navi; poi 73, con 20.000 uomini di equipaggio e 5.000
opliti, agli ordini di Demostene. Nel 413 a. C. gli ateniesi sono battuti per terra e per mare. Perdono
un mese di tempo prezioso, in quanto, per un’eclissi di luna (27 agosto), su consiglio degli indovini
il superstizioso Nicia ferma ogni operazione. Dopo, tentano di forzare il blocco navale nel Porto
grande di Siracusa, ma sono ancora sconfitti. Smarriti, perdono altro tempo ancora e, successivamente, provano a ritirarsi per via di terra, ma le strade sono ormai bloccate, e i siracusani li stringono e li sopraffanno presso il torrente Assinaros. Nicia e Demostene sono giustiziati; i superstiti sono
gettati nelle latomie (cave di pietra) di Siracusa, dove moriranno quasi tutti di fame e di stenti.
Il disastro è completo. Atene perde in questa impresa mal pensata, mal organizzata e mal diretta
piú di 50.000 uomini e 220 triremi, gran parte della flotta che l’aveva resa potente e temuta.
La terza e ultima fase (412-404 a. C.): la caduta di Atene. Dando fondo a tutte le riserve e imponendo una tassa del 5% sui mercati della Lega di Delo, Atene allestisce una nuova flotta (inverno
413-412 a. C.). Ma, intanto, l’Impero persiano ha potuto rientrare in gioco: il «gran re» Dario II (sul
trono dal 424 a. C.) pretende i tributi arretrati dalle pòleis ioniche, considerandole città suddite a
tutti gli effetti, e conclude un trattato con Sparta: sosterrà gli spartani con l’oro, in cambio della restituzione delle terre appartenute a suo tempo all’impero.
Nel 411 a. C. nella Lega di Delo restano solo poche isole e alcune basi anatoliche, mentre Alcibiade si fa risentire, da lontano, sulla scena politica ateniese e si accorda con gli oligarchi, che hanno rialzato la testa in città, promettendo la realizzazione di un accordo con i persiani, se richiamato.
Nello stesso anno, gli oligarchi fanno cadere la democrazia ad Atene e impongono il loro regime,
riconoscendo solo 5.000 cittadini di pieno diritto e instaurando un nuovo organo di governo, il Consiglio dei 400. Ma gli equipaggi della flotta ancorata a Samo reprimono la rivolta filoligarchica
nell’isola ed eleggono strateghi Trasibulo e Trasillo, e lo stesso Alcibiade – che, nonostante le sue
“giravolte”, mantiene evidentemente fascino e seguito popolare. In Atene scoppiano tumulti contro
gli oligarchi, che, per mantenersi al potere, cercano di concludere la pace con Sparta, ma l’accordo
è difficile. E Alcibiade, installatosi a Samo, giunge a un’intesa con l’ala piú moderata degli oligarchi, guidata da Teramene. La guerra contro Sparta continua, mentre i cittadini ateniesi di pieno diritto sono portati a 9.000. Nel frattempo vanno perduti, per Atene, l’Ellesponto, Taso e l’Eubea.
Atene si getta, però, con rinnovato slancio nella guerra: dal 411 al 410 a. C. la sua flotta distrugge quella spartana e recupera l’Ellesponto – l’imposizione su tutte le merci in transito di una tassa
del 10% rinsangua le casse ateniesi – e le Cicladi. E nel 410 a. C. torna ad Atene la democrazia, capeggiata da Cleofonte, il quale respinge un’ultima occasione di concludere la guerra, rifiutando la
pace offerta da Sparta. Nel 409 a. C., la flotta riporta altri successi nell’Ellesponto e, nel 408 a. C.,
Alcibiade rientra trionfante ad Atene, nominato comandante supremo. Sono gli ultimi fuochi.
Sparta trova un valido comandante in Lisandro, e il «gran re» persiano accentua il suo sostegno
finanziario. Nel 407 a. C. la flotta ateniese è sconfitta e Alcibiade deposto 44 . Nel 406 a. C., Atene,
43
I pilastri con la testa di Ermes posti ai crocevia delle strade.
Andrà in esilio nelle terre del «gran re», dove, condannato ad Atene dopo la fine della guerra, nel 404 a. C. sarà ucciso dai persiani, istigati dagli spartani.
44
8
compiendo uno sforzo incredibile – date le condizioni in cui è ridotta la città –, arma una nuova
flotta, che riesce a distruggere alle isole Arginuse quella spartana. È l’ultima vittoria ateniese, seguita dall’ultimo errore, la condanna a morte degli strateghi 45 , a causa del presunto insufficiente soccorso prestato ai naufraghi ateniesi dopo la battaglia (peraltro, in un mare che andava in tempesta).
Da parte sua, Sparta, grazie all’oro persiano, allestisce 200 navi. E, sotto il comando di Lisandro,
nel 405 a. C. la flotta spartana annienta a Egospotami (in Anatolia) quella ateniese. È la catastrofe
finale per Atene: la città è bloccata per terra e per mare. Cleofonte, che, ad Atene, vuole resistere a
oltranza, è condannato a morte. Nell’aprile del 404 a. C., la città capitola: Teramene ne tratta la resa.
Contro la volontà di Tebe, che vuole di raderla al suolo, Sparta la salva 46 . Le condizioni di resa
sono però dure: Lisandro entra nella città, mentre le Lunghe mura vengono abbattute al suono dei
flauti; Atene rinuncia a ogni possedimento ed entra nella Lega del Peloponneso. Anche la democrazia cade: Teramene, appoggiato da Lisandro, fa eleggere il Collegio dei trenta, organismo che dovrebbe redigere una nuova Costituzione – oligarchica, come vogliono molti “conservatori” ateniesi
e gli spartani –, ma è tale «collegio» che assume il potere e impone un regime di terrore 47 .
All’egemonia ateniese subentra sulla Grecia, per una trentina di anni, quella di Sparta, che impone regimi oligarchici e propri presidi. Il che si traduce in un altro seguito di guerre e, sostanzialmente, procede secondo gli interessi del «gran re» dell’Impero persiano. Ad Atene torna presto la democrazia: le città vicine si riempiono di fuoriusciti ateniesi, che, guidati da Trasibulo e Anito, nel
403 a. C. occupano il Pireo e accendono l’insurrezione contro il «Collegio dei trenta» – detti i trenta tiranni –, capeggiati da Crizia (zio del filosofo Platone); cadono dei soldati del presidio spartano
e lo stesso Crizia, ma «tiranni» e sostenitori si apprestano a dar battaglia. Sopraggiunge l’esercito
spartano, guidato dal re Pausania, che è personalmente contrario alla dittatura dell’egemonia spartana e opera per la pacificazione. Torna cosí la democrazia nella città 48 − ma la potenza e preminenza di Atene sono tramontate.
Seguiranno altre guerre ancora e poi l’egemonia di Tebe, per una decina di anni, senza altro risultato che l’abbattimento della potenza di Sparta. Né altri tentativi di superare la situazione con la
costituzione di leghe locali delle pòleis avrà risultati efficaci. Sulla Grecia delle pòleis si apre un
“vuoto di potere”, che verrà presto occupato: l’occasione storica, costituita da Atene e dalla democrazia è andata perduta.
Firenze, 6 maggio 2011
MARIO MONFORTE
45
Fra cui Pericle il giovane, figlio di Pericle e Aspasia.
Sparta compie questo gran gesto non soltanto per ammirazione nei confronti della vinta rivale, ma anche per non dare
troppo spazio in futuro proprio a Tebe, che sarebbe troppo avvantaggiata dalla scomparsa di Atene – senza contare il
fatto che gli ateniesi, prima o poi, ricostruirebbero la città e porterebbero avanti un’ostilità insanabile contro i distruttori.
47
Riducendo a soli 3.000 i cittadini di pieno diritto e uccidendo molti ateniesi − fra cui anche lo stesso Teramene, che
diventa sospetto perché “moderato”.
48
I «tiranni» superstiti e i loro seguaci si arroccano a Eleusi, ma nel 401 a. C. Atene la riprende.
46
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