L’APPROCCIO MINIMALISTA BRITANNICO ALL’INTEGRAZIONE EUROPEA DI FABIO PROVENZANO Se c’è una cosa che la Gran Bretagna dovrebbe imparare dagli ultimi 50 anni, è questa: l’Europa può solo diventare più importante per noi. Tony Blair Introduzione Da molti anni a questa parte, si è consolidata la tendenza fra studiosi e policy makers, a presupporre che l’approccio della Gran Bretagna rispetto al processo di integrazione europea sia “minimalista”, ossia legato prevalentemente alla dimensione economica. Si ritiene che la Gran Bretagna sarebbe europea nella misura in cui le istituzioni di Bruxelles perseguissero la realizzazione di un grande mercato. In generale la posizione britannica è percepita dall’esterno come ostativa rispetto all’approfondimento politico dell’Unione Europea (UE). Questo lavoro propone un breve excursus storico che chiarisca le motivazioni che hanno indotto la Gran Bretagna a non essere fra i membri fondatori delle comunità europee, gli interessi e le ragioni che l’hanno spinta successivamente a presentare la propria domanda di adesione fi no alle cause della richiesta opting-out dalla moneta unica: l’Euro. 43 43 Perché la Gran Bretagna non è stata un membro fondatore delle comunità? Un interpretazione molto diffusa è quella per cui gli stati membri dell’UE avrebbero dovuto fare fronte comune per mostrare a Londra una certa idea di europeismo solidale, di maggiore impegno ed interesse in ambito di politiche comunitarie favorendo un evoluzione della Comunità legato più all’interesse generale (bene collettivo) che non a quello nazionale (principio anarchico), puntando su una reciproca collaborazione UE-Gran Bretagna. In questo modo far sì che il governo britannico diventasse attore protagonista e partecipe, piuttosto che isolarsi dal continente, e cooperasse maggiormente a livello comunitario per lo sviluppo dell’Unione e per il bene del paese e dei suoi cittadini stesso sotto vari aspetti. La Gran Bretagna ha sempre frenato il processo di costruzione europea, volendolo limitare ad una zona di libero scambio. L’Unione, secondo i britannici, deve espandersi soltanto dal punto di vista economico e non politico-istituzionale. Il Paese mostra un peso economico e strategico-cooperativo del tutto insoddisfacenti per i criteri comunitari, inducendo tutt'oggi i governi ad avere un ruolo ancora marginale nelle politiche comunitarie. L'evoluzione UE è percepita dalla Gran Bretagna come una minaccia all’identità nazionale, da qui la strategia britannica volta ad impedire la formazione di un super – Stato europeo tanto che viene definito dagli studiosi come “l’approccio minimalista britannico all’integrazione europea”. Si intende qui brevemente, una volta elencate le ragioni storiche più concrete dei sospetti britannici sull’UE, riassumere i presupposti che hanno caratterizzato l’atteggiamento britannico nel tempo. 1. Origini dell’adesione della Gran Bretagna alla Comunità Senza dubbio tardivamente la Gran Bretagna si è decisa a tentare la via della piena adesione alla Comunità Economica Europea (CEE). La Gran Bretagna è stata un membro della comunità europea dal 1973, ma è soltanto di recente, con l’obbiettivo del mercato unico del 1992 e il progressivo approfondimento di alcune politiche sociali ed ambientali, che molti britannici e soprattutto l’opinione pubblica hanno meglio compreso le implicazioni della membership. Fin dalla costituzione delle comunità europee, la 44 44 Gran Bretagna cercò di controllare dall’interno i movimenti e gli sviluppi della nuova Europa. L’intento, inizialmente, era quello di partecipare alla coalizione europea per controbilanciare il potere degli Stati Uniti, senza condividere totalmente il progetto europeo da un punto di vista “ideologico”, poichè la formazione di una Europa politicamente più coesa avrebbe impedito la conservazione di un’identità nazionale e di abitudini governative “individuali”. Nonostante i governi britannici che si sono succeduti abbiano tentato di bloccare l’evoluzione della comunità europea in una struttura federale europea, il processo di integrazione coinvolge sempre più il Paese. In Gran Bretagna il termine: “Integrazione europea” è solitamente riferito ad un’ integrazione di economie nazionali. Per molti europei non inglesi l’integrazione economica è soltanto uno degli aspetti di un più ampio processo che eventualmente riguarderà l’integrazione di sistemi politici nazionali. Immediatamente dopo la seconda guerra mondiale vi era un forte movimento per la creazione di un’Europa unita, rimuovendo i rischi di un’altra guerra partendo da divisioni nazionali nel continente. Inizialmente furono i gruppi federalisti a chiedere e fare pressioni per una creazione immediata di una costituzione federale nel continente. Le delusioni di queste speranze lasciarono il campo aperto ad altre iniziative, una tra queste consisteva in un processo di integrazione per settori, formando le basi per la costruzione delle Comunità europee che gradualmente divennero il veicolo più importante dell’unità. Nei primi anni della Comunità europea, uno dei problemi politici maggiori fu la mancata partecipazione della Gran Bretagna. Il governo britannico riteneva di avere diversi motivi per rifiutare tale collaborazione. In quegli anni c’era una sostanziale differenza nello stato d’animo e nelle condizioni di vita tra Gran Bretagna e continente. Se nei paesi continentali l’idea della sovranità nazionale era screditata a causa delle grandi limitazioni subite in seguito all’occupazione nazista, al contrario, in Gran Bretagna le vicende della guerra avevano riaffermato la forza dell’idea nazionale e l’orgoglio del nazionalismo, del resto esaltato dalla special relationship con gli USA. Dal punto di vista ideologico, il partito laburista allora al governo non poteva che essere sospettoso delle forze politiche aggressive prevalenti nei governi continentali, perché gli stati 45 45 membri europei miravano a creare un super-Stato europeo, ponendosi da antagonisti a qualunque potenza egemonica. Secondo il governo britannico questo ambizioso progetto rappresentava soltanto una minaccia per le reti di alleanze nella comunità mondiale e, inoltre, senza alcun fine concreto si metteva in discussione l'indipendenza dei membri facenti parte del super-Stato, rendendo più complessi di conseguenza i rapporti con gli altri stati del sistema politico internazionale. La Gran Bretagna, nella sua posizione, sarebbe intervenuta qualora il progetto europeo anti-USA avesse messo in discussione i propri solidi rapporti con gli statunitensi. A ciò si aggiunga la storica ostilità inglese di fronte alla cessione di parte del potere politico nazionale in favore di istituzioni sovranazionali. Un altro fattore di separazione nel fatto che la ricostruzione dell’Europa continentale stava seguendo largamente i tradizionali principi liberistici, ai quali il programma laburista opponeva l’economia organizzata e i principi del welfare state. La maggiore preoccupazione del governo laburista in tema di politica estera riguardava i rapporti con il Commonwealth (simbolo di potere e grandezza internazionale). I rapporti commerciali e politici fra la Gran Bretagna e le sue ex-colonie erano profonde e si strutturavano già nel Commonwealth, cioè l’organismo che lega le ex-colonie inglesi alla madre patrica in uno stretto rapporto di collaborazione, considerato dai britannici un’integrazione riuscita. In effetti già Winston Churchill, nel suo famoso discorso di Zurigo all’indomani della seconda guerra mondiale, aveva visto la Gran Bretagna ed il suo Commonwealth come un modello da seguire per l’Europa. 2. L’importanza della special relationship con USA e del Commonwealth per Londra L’alleanza privilegiata con gli USA garantiva ai britannici la forza necessaria per mantenere la loro supremazia nel Commonwealth e continuare ad affermare una particolare presenza nelle relazioni internazionali con il resto del mondo e, soprattutto, con l’Europa. Le complesse relazioni internazionali già in atto per la Gran Bretagna, (dal Commonwealth all’Impero coloniale, dagli U.S.A. alla N.A.T.O.) evidenziarono il particolare scetticismo dei britannici nei confronti della CE. La Gran Bretagna riteneva che la visione di una Europa continentale 46 46 politicamente unita sarebbe stata meno strategica, irrilevante nelle politiche delle relazioni internazionali, tanto da optare per un atteggiamento isolazionista. Con il ruolo politico ed economico marginale occupato dai britannici nel continente e soprattutto dalle istituzioni sovranazionali europee che meno assecondavano i progetti ed obbiettivi pianificati dal governo di Londra, la Gran Bretagna mirava a mantenere una posizione di rilievo mondiale assieme alle due superpotenze intorno a cui si strutturava il sistema politico internazionale. Si venne così ad evidenziare un’effettiva strategia euro-scetticista britannica, già a partire da alcune estreme sensibilità riguardanti settori in cui inizialmente si sviluppa l’integrazione europea: ovvero si verificarono i presupposti (soprattutto dovuti alle diverse e varie forze politiche esistenti che si confrontavano all’interno del paese al di là delle scelte del governo) che hanno determinato l’atteggiamento scettico britannico nei confronti dell’Europa, quale ad esempio i più eclatanti casi inerenti l'irrinunciabile sovranità nazionale. Va considerato che la Gran Bretagna è una potenza economica nel campo del carbone e dell’acciaio e non ha vantaggi nel cooperare in ambito militare ma vuole tutelare la propria tecnologia nucleare. Il governo britannico nutriva anche forti sospetti circa l’idea di entrare nell’unione doganale europea: la costruzione di una zona di libero commercio era salutata con favore ma, per Londra, ogni singolo stato avrebbe dovuto mantenere il diritto di imporre le proprie tariffe doganali nei confronti di paesi terzi. Ciò spiega la resistenza britannica verso il proposito di fare degli organismi europei nascenti (il consiglio d’Europa e l’OECE) due organizzazioni con istituzioni autonome e poteri delegati. La Gran Bretagna aveva rifiutato l’adesione alla CECA motivando tale scelta con l’impossibilità di sottomettere le industrie del carbone e dell’acciaio, di proprietà statale, al controllo internazionale.1 Scelse così di non partecipare ai negoziati del 1950 che seguirono al Piano Schuman, e che portarono alla nascita della CECA. 1 George STEPHEN, Britain and European integration since 1945, Oxford, Blackwell publishing, 1991. «Se non possiamo essere una potenza mondiale, vogliamo almeno diventare i migliori amici della maggior potenza mondiale». Discorso del primo ministro inglese MacMillan riguardo il rapporto speciale con gli americani. 47 47 3. La riluttanza britannica alla membership fino agli anni ‘70 Alla Conferenza di Messina del 1955, nella quale si abbozzò un primo profilo della CEE, il governo britannico fu presente soltanto attraverso un suo funzionario. Verso la metà degli anni ’50, nel momento in cui iniziarono i negoziati per la creazione del mercato comune, la Gran Bretagna cominciò a rendersi conto che il progetto di creare una grande area di paesi complementari uniti nel medesimo sistema monetario era destinato a non realizzarsi. Ciò non la convinse ad aderire al nascente progetto del mercato comune. Essa avanzò un controproposta nel quadro dell’OECE, considerandola la sola istituzione europea capace di risolvere i problemi dell’organizzazione economica dell’Europa mediante la creazione di una zona europea di libero scambio. Il governo britannico avanzò ufficialmente questa proposta, come alternativa alla CEE, mentre erano già in corso i negoziati tra i sei a Bruxelles. L’iniziativa, che non riuscì a deviare i negoziati, puntava quindi a creare una semplice zona di libero scambio con l’esclusione dei prodotti agricoli. La posizione britannica, sopravalutando la sua forza contrattuale, si scontrò direttamente con gli interessi della Francia i cui legami con gli altri paesi della CECA si erano nel frattempo rafforzati. Dopo il fallimento dei negoziati e delle proposte britanniche per entrare nella Comunità, la Gran Bretagna attraverso il Trattato di Stoccolma del 1959, propose di fondare un’organizzazione parallela alla comunità europea, un’associazione per la liberalizzazione del commercio che fosse tuttavia priva dell’ambizione di creare un’unione federale. Per questo motivo, su iniziativa inglese, è stato fondato l’ European Free Trade Association (EFTA) che comprendeva, oltre alla Gran Bretagna, la Svezia, la Norvegia, la Danimarca, l’Austria ed il Portogallo. L’EFTA, era stata concepita come rivale della CEE a sei e come moneta di scambio per un’ulteriore ripresa di negoziati per la grande zona. La mancanza di qualsiasi enfasi politica e la carente omogeneità geografica rendevano tuttavia l’EFTA un mezzo di pressione molto debole per costringere i sei a un riesame dell’integrazione economica comunitaria. Nel 1960, con l’avvio della CEE, cambia la sensibilità politicostrategica del governo britannico: da un lato si ha una perdita di centralità della Gran Bretagna a livello internazionale (dalla guerra fredda al declino 48 48 coloniale); dall’altro si crea una stagnazione economica interna, a dispetto della crescita dei paesi comunitari. Solo nel 1961, con il governo conservatore di MacMillan, si decise di avanzare domanda di adesione. Tale decisione fu probabilmente determinata dal fatto che i sei Stati membri della Comunità avevano ormai raggiunto una serie di intese giudicate proficue dal governo britannico, sia sul piano della stabilità politica che della prosperità economica, e a tali benefici il paese non poteva e non voleva rimanere estraneo. Non va dimenticato inoltre che gli Stati Uniti, da tempo in ottime relazioni con la Gran Bretagna, ne esortavano l’ingresso nella comunità. Dal 1961 al 1967 la Francia, con Charles de Gaulle alla guida del governo, si oppose all’adesione della Gran Bretagna, motivata dal timore di uno spostamento delle relazioni strategiche in favore della Gran Bretagna, come di eccessivi cambiamenti sul funzionamento di alcune politiche comunitarie (agricoltura, libera circolazione), a discapito della Francia. Sia la domanda d’adesione di MacMillan del 1963 che quella avanzata dal governo laburista nel 1967, perciò, incontrarono il veto di de Gaulle preoccupato delle relazioni troppo strette con gli Stati Uniti, della propensione liberoscambista della Gran Bretagna ed anche di perdere la leadership conquistata all’interno della Comunità europea. La membership britannica, era l’ultima cosa che il Presidente francese avrebbe voluto2. Con la Gran Bretagna nelle comunità europea ci sarebbe stato per la Francia un potenziale rivale leader, che avrebbe potuto opporsi agli obbiettivi francesi. Questi episodi illustravano chiaramente la disputa Anglo-francese riguardo il futuro dell’Europa. Nella visione di de Gaulle i britannici non erano sufficientemente seri e motivati riguardo l’entrata nella comunità, accettando i termini rigidi imposti nelle negoziazioni dai sei paesi. Il veto unilaterale francese sulla membership britannica fu la peggiore e grave crisi che la comunità europea dovette affrontare fino a quel momento. 2 Geddes A NDREW, The European Union and British politics, United Kingdom, Palgrave Macmillan, 2004. Il Primo Ministro inglese Macmillan durante il suo mandato affermò che era nell’interesse del mondo occidentale di creare una vera e propria Europa unita. Se vi era un prezzo economico da pagare nel breve termine aderendo alla CE, ciò nonostante un più alto forfeit sarebbe stato pagato nel lungo termine da parte della Gran Bretagna restandone fuori. 49 49 4. L’adesione britannica Agli inizi degli anni ’70, il nuovo presidente francese Pompidou, era pronto a riaprire i negoziati per l'entrata della Gran Bretagna nella Comunità europea. Infatti solo a partire dal 1973, sotto la guidata dal neo-Premier Heath, la Gran Bretagna divenne finalmente membro della Comunità. La Gran Bretagna è da sempre considerata dai paesi continentali un awkward partner, un membro scomodo. Questa definizione nasce dalla convinzione che il processo d’integrazione europea necessitasse anche del contributo dei paesi meno propensi al suo sviluppo, come appunto fu per la Gran Bretagna negli anni in cui hanno avuto origine le prime istituzioni comunitarie europee, alle quali il paese non aderì. Questo motivo, oltre a quelli legati alle diverse vicende storiche e allo scetticismo dei suoi cittadini nei confronti della democraticità delle istituzioni di Bruxelles, spiega l’attitudine critica del paese verso molti degli sviluppi comunitari (come la non partecipazione all'unione monetaria) e l’alto tasso di astensionismo che caratterizza le votazioni per il Parlamento europeo. 50 50