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SPECIALE SETTIMANA DELLA BUONA SPESA
5 – 12 novembre
Introduzione3
La dieta mediterranea 4
Cina5
India8
Giappone11
Medio Oriente
14
Europa dell’Est
17
La macrobiotica
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2
Come ogni anno, la Settimana della Buona Spesa si propone di contribuire alla missione
di AIRC attraverso i vostri acquisti e grazie alla disponibilità e partecipazione dei supermercati, a finanziare la ricerca contro il cancro. Questa iniziativa offre anche l’opportunità
di riflettere sull’importante ruolo che il cibo gioca nella prevenzione
dei tumori. Si stima infatti che attraverso una sana e corretta
alimentazione, circa il 30 per cento dei casi di neoplasia sia
prevenibile. Nel mondo sempre più globalizzato nel quale
viviamo, la cucina tradizionale di ogni Paese incontra, si
affianca e a volte si mescola con le altre. In Italia, per
esempio, i ristoranti etnici sono ormai molto diffusi,
e i prodotti esotici, un tempo introvabili, fanno oggi
bella mostra di sé sugli scaffali dei supermercati.
In ogni tradizione alimentare c’è del buono non solo
dal punto di vista degli odori e dei sapori, ma spesso
anche da quello della salute. Ad esempio, introdurre
nella dieta alcune spezie, che hanno un dimostrato
effetto protettivo contro lo sviluppo del cancro, è una
scelta favorevole alla salute. Allargare i nostri orizzonti
attraverso la scoperta di sapori di altre culture, vuol dire
anche incrementare gli strumenti che abbiamo a disposizione per prevenire il cancro.
Questa pubblicazione è per te, ti invitiamo a conservarla perché fa parte di una
piccola serie di guide tematiche a tutela della tua salute. La prossima la troverai
con Le Arance della Salute, il 4 febbraio. Sono tutte informazioni preziose da integrare con Fondamentale, la rivista dedicata ai soci AIRC, e con il sito www.airc.
it. Perché informarsi è il primo passo per combattere il cancro.
3
mediterranea
Diversi studi hanno dimostrato che si tratta della
combinazione alimentare più equilibrata, purché
ci si attenga alle regole dei nostri nonni più che alle
attuali abitudini italiane.
La dieta mediterranea, che include la nostra cucina italiana e quella di
tutto il bacino mediterraneo, compreso il Nord Africa e il Medio Oriente, è basata sul
consumo di frutta, ortaggi, legumi e soprattutto cereali. Il grasso più utilizzato è l’olio di oliva. Il pesce occupa uno spazio privilegiato tra le fonti di proteine, così come i latticini (yogurt
e formaggi). Numerosi studi scientifici confermano i benefici apportati da questa dieta. Il
primo a studiare le potenzialità preventive della dieta mediterranea fu il nutrizionista Ancel
Key. Giunto in Italia durante la seconda guerra mondiale, al seguito delle truppe americane,
mise a punto la cosiddetta razione K, che consentì agli alleati di nutrirsi adeguatamente
durante la risalita lungo la nostra penisola. Nel corso delle sue osservazioni, Keys notò anche
che gli abitanti meno abbienti dell’isola di Creta, la cui alimentazione si basava principalmente sul consumo di pane e pomodoro, erano più sani della media degli americani e
persino più sani degli italiani emigrati negli USA.
La prova scientifica del valore dell’alimentazione mediterranea giunse quando Keys condusse lo studio noto come di Seven Countries Study. Iniziato nel 1958, coinvolse quasi 13.000
persone provenienti da Stati Uniti, Finlandia, Olanda, Italia, Jugoslavia, Grecia e Giappone;
tutt’ora questa analisi rappresenta il più ampio studio di confronto tra le abitudini alimentari di Paesi diversi. Da allora sono state compiute molte ricerche epidemiologiche importanti
sulla relazione tra cibo e malattie, e in particolare su cibo e cancro. Tra queste, lo studio EPIC,
cofinanziato da AIRC, ha anche confermato le osservazioni di Keys.
Non si pensi, però, che la dieta mediterranea e le attuali abitudini alimentari degli italiani
coincidano. Non è più così: l’italiano di oggi assume molte più calorie dell’italiano del 1950,
e conduce una vita sempre più sedentaria. Inoltre, la dieta prevalentemente vegetariana
di allora (la carne era considerata un lusso e quindi consumata poche volte) ha ceduto il
posto alla grande quantità di proteine di origine animale che compongono i nostri pasti. Gli
accorgimenti da adottare per una dieta più salutare sono semplici: aumentare il consumo di
vegetali, legumi e frutta, scegliere l’olio d’oliva come condimento e grasso principale, privilegiare i cereali integrali e inserire anche il pesce, senza eccedere con i formaggi e la carne.
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I ristoranti
cinesi sono
numerosi e
molto diffusi in
Italia, e la cucina
cinese risulta
la più gradita tra
quelle esotiche. Tradizionalmente
si suddivide in quattro tipi: del Nord, del Sud,
dell’Est e dell’Ovest. La Cina è infatti un continente
a sé e ci sono grandi differenze tra un territorio e
l’altro. Quella che comunemente identifichiamo come
“cucina cinese” è in realtà tipica del Sud del Paese e
predilige le carni bianche, come il pollo e il vitello, a
cui si aggiungono maiale e pesce oltre a riso e verdure
sempre presenti in ogni pasto. La preparazione dei piatti
cinesi è spesso laboriosa, ma le cotture sono molto rapide per
non compromettere il colore e il sapore originale di ogni cibo. Gli
alimenti arrivano in tavola già sminuzzati e, diversamente dalla cucina
italiana, non esiste un vero ordine di servizio delle portate: la suddivisione tra antipasti, primi e secondi che leggiamo sui menù dei ristoranti cinesi
in Italia è stata “inventata” per adattarsi ai nostri costumi. In Cina i piatti
vengono portati in tavola insieme e i commensali assaggiano un po’ di tutto.
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La varietà è la grande forza della
cucina cinese, dal punto di vista
della qualità nutrizionale. A questa si sommano gli effetti benefici della soia, presente
sia in forma di salsa sia in forma di preparati
sostitutivi della carne in molti piatti cinesi.
Diversi studi, effettuati sulle popolazioni
cinesi che abitano la madrepatria, hanno
attribuito proprio alla soia e alla sua capacità di “imitare” gli effetti degli estrogeni (gli
ormoni femminili) sui recettori cellulari un
possibile effetto protettivo sui tumori che
dipendono dagli ormoni.
Quando il recettore è occupato dal fitoestrogeno (cioè dall’estrogeno di origine vegetale) non è infatti disponibile per gli ormoni
prodotti dall’organismo che quindi non possono espletare alcuni dei loro effetti.
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Se la soia è il punto di forza della cucina cinese, è anche il suo
punto debole. In forma di salsa, è
infatti troppo ricca di sale. Alcune ricerche
hanno associato all’eccessivo consumo di
sale e conservanti il gran numero di tumori
dell’apparato digerente che colpisce queste
popolazioni. Gli studi hanno anche dimostrato che quando i cinesi cambiano Paese
(e col tempo anche abitudini, se adottano
lo stile alimentare del luogo dove vivono),
l’incidenza dei diversi tumori si adegua, col
tempo, a quella locale. Ciò significa che il
rischio di ammalarsi (o la possibilità di non
ammalarsi) è legato maggiormente agli stili di vita che a fattori genetici.
Un altro punto critico della cucina cinese
risiede nelle preparazioni: il fritto è ampiamente utilizzato e spesso anche le verdure
al vapore vengono “ripassate” in olio caldo
nel wok (la classica pentola col fondo
a cupola). La componente proteica è molto elevata (con una predilezione per le carni piuttosto
grasse come l’anatra e il maiale).
Infine, attenzione alle calorie:
l’abitudine di piluccare nei diversi
piatti può indurre a consumare molto
più di quanto sia effettivamente necessario.
Spaghetti di riso con carne e verdure
Un grande classico della cucina cinese rivisitato per aumentarne la componente vegetale
e diminuire quella di origine animale. Si tratta di un piatto unico, equilibrato, al quale va
aggiunta solo la frutta alla fine del pasto.
Ingredienti
(per 6 persone)
Olio vegetale
1 cipolla tagliata
375 g di carne di maiale magra
tritata
4 spicchi d’aglio finemente
tritati
1 cucchiano di zenzero fresco
grattugiato
1 cucchiaio di salsa hoisin (una
salsa a base di soia e spezie
facile da reperire nei negozi
specializzati o biologici)
2 cucchiai di salsa di soia
2 cucchiai di vino bianco
2 cucchiai d’acqua
400 g di spaghetti di riso cinesi
250 g di germogli di soia
1/3 di cetriolo tagliato a
julienne
8 rapanelli tagliati a pezzetti
3 cetrioli sott’aceto tagliati a
pezzetti
4 cipollotti verdi tagliati a
pezzetti
Preparazione
Scaldate l’olio in un wok (tipica pentola cinese con
il fondo a cupola) e fate rosolare la cipolla a fuoco
vivo. Aggiungete il maiale, l’aglio e lo zenzero. Fate
cuocere per 3 minuti quindi incorporate lo zucchero, la salsa hoisin e la salsa di soia.
Aggiungete il vino e l’acqua, lasciate sobbollire per
5 minuti quindi mettete il tutto da parte.
In una pentola di acqua bollente salata cuocete gli
spaghetti di riso come indicato sulla
confezione (il tempo di cottura varia
in base allo spessore). Scolateli
e componete, con
l’aiuto di un forchettone, dei nidi
al centro dei singoli
piatti. Riempite i
nidi al centro con
la carne e distribuite in parti uguali
nei piatti dei diversi
convitati gli altri ingredienti (germogli di soia,
cetrioli, rapanelli, cetrioli sott’aceto e cipollotti verdi).
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A
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IN
Se si pensa all’India – un Paese immenso abitato da più di un miliardo di persone – appare chiaro che non esiste una “cucina indiana”, ma piuttosto molte cucine
regionali che nel corso dei millenni sono state influenzate dalle caratteristiche del
territorio, dalle colonizzazioni e da una spiritualità che va oltre il credo religioso e
detta spesso anche le regole della tavola. Le spezie rappresentano il filo che collega tutte le regioni di questo misterioso e bellissimo Paese: riempiono di sapore e colore tutti i piatti indiani, siano essi composti di
carne, pesce, riso o verdura. La resistenza dei palati indiani ai sapori piccanti è ben nota e coloro
che non sono abituati fin da piccoli a sensazioni
così intense non sempre ne apprezzano l’effetto.
I ristoranti indiani in Italia, in genere, attenuano
il gusto piccante dei piatti per adattarli ai palati
locali. Chi ama i profumi esotici di questi piatti
ma non i sapori pungenti può sperimentare la
cucina dello Sri Lanka, che usa procedimenti simili ma meno peperoncino. In India, di solito, il pasto
è servito in un unico piatto senza distinzioni tra primo,
secondo e contorno, e non è previsto l’uso di posate: non
è maleducazione mangiare con le mani, purché la mano sia la
destra e non la sinistra (considerata impura).
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Pepe, peperoncino, cumino, cardamomo, coriandolo e curcuma:
queste sono solo alcune delle spezie che
non possono mancare nelle cucine indiane
e che rendono gustosi i piatti, contribuendo
a mantenere in buona salute l’organismo.
La curcuma, ricca di una molecola chiamata curcumina che le conferisce il tipico
colore giallo, potrebbe aiutare a combattere le malattie legate all’invecchiamento
del cervello come l’Alzheimer e anche a
tener lontani alcuni tumori. In laboratorio,
la curcuma ha dimostrato di ridurre la produzione di sostanze proinfiammatorie nelle
cellule di coltura favorendo l’apoptosi (cioè
l’autoeliminazione) delle cellule danneggiate e potenzialmente tumorali. Infine
non bisogna dimenticare il tè verde, ricco
di epigallocatechina gallato, un potente
antiossidante. Occorre però ricordare che
tutti gli studi sull’uomo riguardano sempre
un unico alimento, ma i benefici in termini
di salute individuale sono probabilmente
dovuti a combinazioni di più cibi. Infine
molti piatti indiani sono vegetariani: senza
arrivare a eliminare del tutto la carne, un’alimentazione maggiormente orientata al
consumo di vegetali ha un buon effetto preventivo sui tumori, in particolare su quelli
dell’apparato digerente e della mammella.
Gli eccessi fanno male, in un senso e nell’altro, anche in cucina:
per esempio le spezie, tanto importanti e tanto salutari se utilizzate senza
esagerare, rischiano di provocare problemi
all’organismo se vengono aggiunte in dosi
troppo elevate. In particolare, i problemi
possono sorgere nel caso di infiammazioni
dell’intestino e delle mucose o in persone
con malattie croniche che coinvolgono
l’apparato digerente. Sì, quindi, riscoprire le
spezie in cucina, evitando di eccedere.
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Biryani di verdure
Questo piatto è diffuso in quasi tutto il subcontinente indiano, e per il suo sapore ricco e
la semplicità della preparazione è uno dei più apprezzati anche in Italia. Riso e verdure si
uniscono e si arricchiscono di colore e intensità grazie alle spezie.
Preparazione
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Lavate il riso e mettetelo in
una pentola con i chiodi di
garofano, il cardamomo e il
brodo. Portate a ebollizione e
fate cuocere per 20 minuti. Tritate la cipolla e l’aglio, unendo
i semi di cumino e coriandolo, il peperoncino, il sale, il
pepe e la curcuma.
Cuocete il composto
in una padella per 2
minuti.
Tagliate la patata, i fagiolini e le carote; aggiungete il tutto al composto
di spezie e lasciate cuocere
per una decina di minuti, al
termine dei quali unite il coriandolo tritato.
Una volta pronto il riso, versatelo nel recipiente con le spezie
e le verdure e aggiungete il succo di limone. Infornate il tutto a
180° per 25 minuti.
Ingredienti
170 g di riso
450 ml di brodo vegetale
50 g di fagiolini
2 carote
Chiodi di garofano
2 spicchi di aglio
2 bacche di cardamomo
2 cucchiai di coriandolo
fresco
1 cucchiaino di semi di
cumino
1 cucchiaino di semi di
coriandolo
1 patata
1 cipolla
Mezzo cucchiaino di
peperoncino
Mezzo cucchiaino di
curcuma
Sale, pepe e succo di limone
q.b.
GIAPPO
NE
Il sushi, piccoli involtini
di pesce crudo, riso e alghe,
è la grande passione degli italiani:
i ristoranti che lo servono negli ultimi
anni si sono moltiplicati, mentre piccole
confezioni di sushi pronto al consumo si
trovano ormai in tutti i grandi supermercati. La cucina giapponese, però, va ben oltre il sushi e
merita di essere assaggiata. I caratteristici spiedini di carne e tofu
(formaggio di soia) alla piastra, marinati in una salsa a base di soia,
sono noti col nome di yakitori (termine che indica, in realtà, la speciale piastra su cui vengono cotti). Una delle attrazioni maggiori nei
ristoranti giapponesi di alta gamma è il sukiyaki, una particolare preparazione alla piastra in cui il cuoco affetta davanti ai commensali carni,
pesce e verdure freschissime e le rivolta su una lastra di metallo riscaldato
posta al centro del tavolo. Ampio spazio viene dato anche alle zuppe (specie a quelle a base di miso, una sostanza ottenuta dalla soia fermentata).
Infine, la cucina giapponese è nota per le sue fritture particolarmente
leggere e croccanti, chiamate tempura. Il segreto? Una pastella fatta per
metà di farina di grano e per metà di amido di mais, posta in un recipiente a
contatto con acqua e ghiaccio. Vi si immergono verdure e pezzetti di carne che
vengono poi tuffati nell’olio bollente: il brusco passaggio dal freddo al caldo
“sigilla” la pastella rendendola croccante e impedendole di assorbire olio.
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La cucina giapponese utilizza ingredienti freschi e predilige cotture
brevi e poco elaborate, che conservano intatte le proprietà nutritive degli alimenti.
Il pesce è la principale fonte di proteine di
origine animale, dato che l’allevamento di
bovini è poco diffuso a causa della scarsità
di territori da pascolo. I pesci sono ricchi di
acidi grassi omega-3, detti anche essenziali perché l’organismo non è in grado di
produrli da sé. Diversi studi hanno messo in
relazione un consumo elevato di omega-3
con una riduzione del cancro del seno, della
prostata e del colon. L’uso delle alghe è un
altro punto di forza della cucina giapponese. Diverse ricerche ne hanno dimostrato gli
effetti, che sono per certi versi simili a quelli
della soia, anch’essa molto presente in questa cucina: potrebbero infatti esplicare un’azione favorevole nei confronti dei cosiddetti
tumori ormono-dipendenti, come quelli
del seno e delle ovaie.
Infine, non si può non menzionare l’abitudine tipicamente giapponese di consumare
grandi quantità di tè verde, le cui proprietà
antiossidanti e anticancro sono allo studio
da molti anni.
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È difficile parlar male della cucina giapponese, che predilige
alimenti salubri e cotture leggere. È
gustosa e poco calorica, ma ha un difetto:
non contiene abbastanza prodotti di origine vegetale e di frutta, anche per ragioni
legate al territorio. Inoltre è bene fare attenzione al contenuto di sale nella salsa di
soia: i preparati più comuni ne contengono
davvero troppo, anche perché i giapponesi,
come i cinesi, non utilizzano il sale in cottura sostituendolo appunto con la salsa di
soia. Esistono però in commercio prodotti a
ridotto contenuto di sale che costituiscono
un’ottima scelta alternativa.
Il salmone teriyaki
Il salmone teriyaki (pesce marinato alla griglia) è un grande classico della cucina giapponese. Facile da cucinare, è un successo assicurato, specie se accompagnato da riso bianco
al vapore (basmati o thai). La salsa teriyaki è molto semplice da preparare ma esiste anche
già pronta nel reparto cibi orientali dei grandi supermercati.
Ingredienti
4 tranci di salmone da
almeno 100 g ciascuno
Per la marinata:
1/2 tazza di salsa di soia
1/2 dado vegetale in polvere
1/2 tazza di mirin (vino di
riso giapponese)
1/2 tazza di zucchero
Preparazione
In una grande ciotola mescolate tutti gli ingredienti della marinata, scaldatela per favorire lo
scioglimento dello zucchero. Quando diventa tiepida, mettete il salmone a marinare per 30 minuti
almeno.
Quindi togliete i tranci dalla marinata, asciugateli
e metteteli a cuocere su una griglia ben calda o su
una piastra elettrica antiaderente. Rigiratelo più
volte spennellandolo con il resto della marinata.
Nella ricetta originale, il pesce risulta cotto all’esterno e ancora crudo al centro ma se il sapore del
pesce crudo non vi piace potete prolungare un poco
la cottura. Servitelo con una ciotolina di salsa teriyaki a parte.
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ORIE
Una versione della cucina
mediterranea, la cucina
mediorientale, è diffusa,
con varianti locali, dal Nord
Africa (Libia, Marocco, Tunisia,
Egitto), fino alle più estreme propaggini della penisola arabica. I puristi vi diranno però
che la forma più lieve e raffinata di questa tradizione culinaria
plurimillenaria si trova in Libano e Siria. Se gli ingredienti sono
simili a quelli nostrani, i sapori non lo sono affatto: in primo luogo
perché si fa grande uso di spezie, tra le quali la curcuma, lo zenzero e i chiodi di garofano. In secondo luogo perché pranzi
e cene iniziano con una grande profusione
di antipasti a base di vegetali, legumi e
salse preparate partendo dalla salsa di
sesamo (tahini) e continuano spesso con piatti unici, a base di
riso o couscous con
carne o pesce.
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L’abbondanza di frutta e verdura è
l’elemento più salutare della cucina
mediorientale, ed è anche ciò che la accomuna maggiormente alla cucina mediterranea. Non a caso la frequenza di tumori
legati in qualche modo all’alimentazione
è analoga in Europa e nel Medio Oriente. Il
pomodoro, che può avere effetti favorevoli
nella prevenzione di alcuni tumori (grazie a
una sostanza, il licopene, che sviluppa tutte le sue potenzialità quando il pomodoro
viene cotto), è molto usato anche in questa
cucina che predilige gli stufati e gli intingoli.
Curcuma e zenzero sono spezie dalle note
proprietà antiossidanti: la prima, in particolare, è pressoché onnipresente nei piatti
della cucina del Nord Africa, a cui conferisce
il caratteristico colore giallo che ricorda lo
zafferano. Le proprietà anticancro della curcuma sono state studiate in laboratorio, anche se non è facile quantificare gli eventuali
effetti positivi sull’uomo: poiché si tratta
però di una spezia gustosa e senza effetti
collaterali, un suo consumo frequente può
comunque rientrare tra le indicazioni utili,
ai fini di prevenzione attraverso l’alimentazione, anche per chi segue una dieta rigorosamente mediterranea.
Chi non è abituato a trovare il
tavolo imbandito di antipasti,
come è usanza nei pasti mediorientali, rischia di mangiare troppo: e anche se il
grasso più utilizzato rimane l’olio d’oliva, se
ne fa un impiego davvero abbondante, che
non aiuta certo a mantenere l’alimentazione equilibrata. Anche le carni predilette
da questo tipo di cucina sono mediamente
grasse, ma possono essere facilmente sostituite, in preparazioni casalinghe, con tagli
più magri: il sapore non sarà esattamente
lo stesso ma ci si guadagnerà in salute. Infine attenzione ai dolci: come accade anche
in alcune regioni del Sud dell’Italia, dove la
dominazione araba ha lasciato tracce anche
nei piatti, la maggior parte dei dolci mediorientali è molto dolce. E poiché per confezionarli si usa soprattutto zucchero bianco
raffinato, hanno un elevato indice glicemico, cioè sono prodotti che inducono una
rapida e notevole produzione di insulina.
Diversi studi sulla relazione tra alimentazione e cancro (ma anche altre malattie come
il diabete) hanno dimostrato che bisogna
invece prediligere i carboidrati e gli zuccheri
a basso indice glicemico per proteggere al
meglio la salute.
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Couscous vegetariano
Tutto il meglio di questa cucina in una versione strettamente vegetariana: spezie, verdure
fresche, pomodoro, olio d’oliva. E per migliorare la qualità nutrizionale si può scegliere un
couscous integrale, che aumenterà l’apporto di fibre.
Preparazione
Fate bollire il brodo, aggiungete la curcuma e toglietelo dal fuoco. Aggiungete il couscous e 3 cucchiai di olio d’oliva, mescolate e lasciate gonfiare
per circa 10 minuti.
Separate i granelli di couscous con
una forchetta e metteteli in
una ciotola. Aggiungete tutti
gli ingredienti,
condite con limone,
sale, pepe e il resto
dell’olio. Mescolate e
servite fresco.
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Ingredienti
250 g di brodo vegetale
un pizzico di curcuma
400 g di couscous
9 cucchiai di olio d’oliva
succo di 2 o 3 limoni o lime
1 pomodoro
1 rametto di sedano tritato
2 peperoni verdi tagliati
sottili
1 o 2 carote grattugiate
20 g di prezzemolo, menta,
coriandolo e basilico fresco,
tritati
90 g di noci, datteri e uvetta
tritati
1 o 2 arance in pezzi
sale e pepe q.b.
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Nella cucina dell’Europa
dell’Est – dai Balcani fino
alla Russia – sono ancora oggi
presenti influenze turche, austriache e di tutti i popoli che hanno
abitato l’immenso territorio sovietico. Malgrado ciò, le difficili condizioni
climatiche la rendono a volte poco varia. La carne, e in
alcune regioni il pesce affumicato e lavorato, la fanno
da padroni. La prima soprattutto sotto forma di arrosti
e stufati, i secondi come antipasto o complemento dei
pranzi, come nel caso delle acciughe. I salumi vengono consumati con frequenza, accompagnati da patate
e cereali. Bacche, funghi e altri prodotti delle ampie
aree boschive costituiscono una costante della cucina
russa. Le zuppe – declinate in infinite varianti a base
di verdura, carne o pesce – sono le vere protagoniste di
questa cucina, seguite da secondi piatti di carne spesso
arricchiti con salse e panna acida e insaporiti con aglio,
cipolla e spezie come aneto, cumino, peperoncino o paprika. Il pane è presente in mille forme su tutte le tavole
dell’Europa dell’Est e non mancano neppure i dolci, spesso
preparati con frutta secca e uvetta.
17
Il clima di questi Paesi non permette la coltivazione di molte varietà di verdura e frutta e di conseguenza
la cucina si è sviluppata attorno a prodotti
come cavolo, barbabietola e patate. E proprio i cavoli rappresentano il punto di forza
di questa cucina: le crucifere (famiglia alla
quale appartengono cavoli, verze, cavolini
di Bruxelles eccetera) potrebbero avere un
effetto protettivo nei confronti di numerose
malattie, incluso il cancro, grazie ai polifenoli (antiossidanti) e ai glucosinolati (favoriscono l’eliminazione delle sostanze tossiche dannose per cellule e DNA) di cui sono
estremamente ricche. Questi ultimi sono
presenti solo nelle crucifere e hanno una
dimostrata azione (in laboratorio) detossinante nei confronti dell’accumulo, all’interno dei tessuti, di sostanze potenzialmente
carcinogene. I dati sui loro effetti nell’uomo
sono però ancora oggetto di studio, anche
se i risultati fanno ben sperare.
Come per qualsiasi alimento benefico, perché la dieta possa davvero essere d’impatto
sul rischio di ammalarsi è necessario consumarne regolarmente. La cucina italiana
è ricca di ricette a base di crucifere ma introdurre, di tanto in tanto, una variante più
“esotica” può essere un buon metodo per
aumentarne il consumo.
18
Dal punto di vista della salute, il
principale “difetto” della cucina
dell’Est europeo è la presenza di numerosi piatti a base di carne e l’abbondante
utilizzo di grassi animali come panna e burro, molto utili per insaporire, ma piuttosto
dannosi per l’organismo, se consumati in
eccesso. Nel decalogo pubblicato nel 2007
dal Fondo mondiale per la ricerca sul cancro
(WCRF-World Cancer Research Fund) dopo
una revisione di tutti gli studi disponibili
sull’argomento, si legge infatti che per prevenire la comparsa di questa malattia è importante limitare il consumo di carni rosse
ed evitare quello di carni conservate come
i salumi, lasciando più spazio a cereali non
raffinati, legumi, frutta e verdura.
Borsh
Questa zuppa rappresenta uno dei piatti principali della cucina dell’Europa dell’Est e ne esistono numerose varianti a seconda del Paese in cui ci si trova (per esempio può prevedere anche
l’aggiunta di pomodoro o patate). La panna acida (oggi disponibile anche nei supermercati
italiani, ma facilmente preparabile aggiungendo qualche goccia di succo di limone alla comune panna fresca liquida) è il tocco finale che contribuisce al caratteristico sapore, ma può anche
essere omessa se si desidera un piatto meno calorico.
Ingredienti
(per 4 persone)
500 g di carne di manzo
1 foglia di alloro
Sale q.b.
Pepe in grani q.b.
2 carote
1 cipolla
500 g di cavolo
2 cucchiai di aceto di vino
rosso
1 mazzetto di prezzemolo
4 cucchiai di panna acida
500 g di barbabietole
Preparazione
Mettete la carne in pentola assieme ad alloro, pepe
e un cucchiaino di sale. Aggiungete 1 litro di acqua e
portate a ebollizione. Lavate le verdure e tagliatele finemente. Trascorsi 40 minuti dall’ebollizione unite le verdure, aggiustate di sale e pepe, aggiungete
l’aceto e continuate la
cottura per altri 30
minuti. Al termine,
togliete la carne,
tagliatela a cubetti, tagliate il
prezzemolo, mettete
il tutto nei piatti da
portata e aggiungete la verdura cotta.
Servite con la panna acida.
Esiste una variante vegetariana di
questa zuppa che prevede l’uso di
brodo vegetale. In questo caso
i cubetti di carne possono
essere sostituiti da cubetti di patata o di rapa.
19
La Macrobiotica (dal greco makros = grande e bios = vita) è
un termine adottato per la prima volta nel 1797, in Germania,
ma è nel Novecento che un giapponese, Nyioti Sakurazawa,
lo applica a una teoria filosofico-mistica che unisce elementi di diverse religioni orientali. Obiettivo della “nuova” macrobiotica è il raggiungimento di una lunga vita soprattutto
attraverso l’alimentazione, considerata uno degli elementi
fondamentali per mantenere l’armonia tra corpo e mente.
Nonostante le basi teoriche della macrobiotica non abbiano nulla di scientifico, alcuni principi alimentari si
sono dimostrati utili in chiave di prevenzione, specie
per il cancro del colon e del seno. Secondo i principi
della macrobiotica, la scelta degli alimenti deve
essere accurata, così come le combinazioni. I
cibi vanno masticati a lungo (il che è un
consiglio corretto, visto che i primi
enzimi digestivi agiscono già
nella bocca attraverso
la saliva).
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La cucina macrobiotica, pur non
escludendo del tutto la carne e i
prodotti di origine animale, si basa fondamentalmente sul consumo di cereali
rigorosamente integrali, legumi, frutta e
verdura possibilmente di stagione, proprio come raccomandano le linee guida
internazionali per un’alimentazione
corretta e che porti benefici alla salute.
Inoltre, questo tipo di cucina mostra una
grande attenzione alla cottura dei cibi
privilegiando le preparazioni al vapore e
al forno, riduce drasticamente il consumo
di sale (che deve essere comunque consumato sotto forma di sale marino integrale) ed elimina i condimenti di origine
animale come il burro, introducendo oli
e grassi derivati da numerosi tipi di semi
(anche se, in questo caso, è sempre meglio utilizzare l’olio d’oliva piuttosto che
quello di sesamo o di arachidi).
Il principale rischio di chi si
avvicina per la prima volta
alla cucina macrobiotica e decide
di seguirne i principi e le regole è quello
di ridurre troppo la quantità di proteine
ingerite o di limitarsi a una tavola con
poco sapore, fatta di verdure al vapore
e qualche seme o cereale. In realtà, la
conoscenza approfondita dei cibi e delle
loro caratteristiche permette di superare
piuttosto facilmente questi problemi: per
esempio, alcuni tipi di legumi e cereali
sono molto ricchi in proteine e calcio, le
alghe sono ottime per insaporire e salare
i cibi ed è possibile ottenere dolci deliziosi
sostituendo il burro con altri tipi di grasso
come la pasta di sesamo (tahin), molto
utilizzata anche nella cucina mediorientale e disponibile oramai in tutti i grandi
supermercati. Inoltre è facile aggiungere
qualche piatto macrobiotico alla comune
cucina mediterranea, dato che i sapori si
armonizzano perfettamente.
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Couscous di kamut con aggiughe in crema verde
Sesamo e soia, ma con il tocco mediterraneo dell’olio di oliva e delle acciughe per un piatto
che contiene molti elementi della cosiddetta dieta anticancro: il pesce azzurro, ricco di
omega-3, l’olio d’oliva, la soia, dagli effetti protettivi nei confronti dei tumori sensibili agli
ormoni e, infine, i cereali integrali. Il kamut è un tipo di grano coltivato in Egitto, oggi
molto diffuso in tutti i negozi di cibi biologici.
Preparazione
In una pentola con due cucchiai di olio d’oliva mescolate e fate tostare il couscous a secco. Aggiungete acqua bollente e mescolate per 4 minuti con una
forchetta finché sarà tutto cotto e sgranato. Tenete
in caldo, mantecando con un cucchiaino di burro di
soia.
Preparate la salsa verde macinando le acciughe o
pestandole in un mortaio e unite i cipollotti precedentemente tagliuzzati finemente, il tofu già passato allo schiacciapatate e sbollentato, unite l’aglio,
u n po’ di panna di riso, shoyu e prezzemolo.
Spolverate di semi di sesamo bianco
tostati in precedenza. Condite il
couscous caldo con la salsa
ricca e servite.
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Ingredienti
(per 4 persone)
200 g di couscous di kamut
200 g di acciughe
2 cucchiai di shoyu (salsa di
soia giapponese)
2 cucchiai di olio di oliva
prezzemolo tritato secondo
il gusto
2 teste di aglio tritato
un pizzico di sale
2 cipollotti freschi
100 g di tofu ("formaggio"
di soia) passato nello
schiacciapatate
Rendiamo il cancro sempre più curabile
Oggi i tassi di guarigione, soprattutto per alcuni tumori, sono aumentati clamorosamente grazie al progresso della ricerca scientifica. La guaribilità media dei tumori
è più che raddoppiata in soli 30 anni. Di questo progresso sono promotrici AIRC e la
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sua Fondazione FIRC, cheSPECIALE
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e progetti innovativi e diffon30 ottobre – 7 novembre 2010
dono una corretta informazione sulle novità terapeutiche e diagnostiche e sugli stili
di vita da adottare per una buona prevenzione.
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e la cura del cancro
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settembre 2011
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