04 RPM 448-458 - Recenti Progressi in Medicina

Domani
Vol. 97, N. 9, Settembre 2006
Pagg. 448-458
Distrofia muscolare di Duchenne:
prospettive di trattamento
Beniamino Palmieri, Valeriana Sblendorio
Riassunto. Gli Autori presentano una rassegna delle più significative strategie messe a
punto per la cura della distrofia muscolare di Duchenne. Vengono mostrati i risultati delle ricerche in campo farmacologico; i recenti studi molecolari per riparare/sostituire il gene mutato. Segue una presentazione delle terapie cellulari in atto che utilizzano il trasferimento di mioblasti o di cellule staminali. Infine sono presentate le prospettive di nuove ipotesi terapeutiche.
Parole chiave. Cane GRMD, distrofia muscolare di Duchenne, distrofina, muscolo scheletrico, modelli animali, sopravvivenza delle cellule muscolari, terapia molecolare, topo
mdx.
Summary. Duchenne muscular dystrophy: perspectives of treatment.
Although the cloning of the dystrophin gene has led to major advances in the knowledge of the molecular, genetic basis of Duchenne Muscular Dystrophy (DMD), Becker
Muscular Dystrophy (BMD), and other muscular dystrophies, with mutations of genes encoding the dystrophin-associated glycoprotein complex, an effective therapy is still lacking. This review reports some of the most promising pharmacological, molecular and cellular approaches to DMD/BMD. All together, these exciting developments are just puzzling work hypothesis whose clinical developments is on the way.
Key words. Animal models, dystrophin, Duchenne muscolar dystrophy, GRMD dog, mdx
mouse, molecular therapy, muscle cell survival, skeletal muscle.
Screening diagnostico
DIAGNOSI PRENATALE
Il materiale genetico su cui viene fatta la diagnosi della distrofia muscolare di Duchenne e Becker
nei ragazzi può essere isolato dai globuli bianchi del
sangue. Circa il 65% dei pazienti presenta delle delezioni e circa il 10% delle duplicazioni nel gene per
la distrofina. Il riconoscimento di queste mutazioni
è possibile utilizzando varie metodiche, basate sulla
amplificazione misurata del DNA tramite la tecnica
della PCR (polymerase chain reaction). Sono a
tutt’oggi disponibili vari metodi diagnostici come
PCR multiplex (in grado di amplificare contemporaneamente piu esoni), MLPA (multiple ligation probe
assay) che identifica sia delezioni che duplicazioni ed
altri approcci piu indaginosi. In pazienti che non presentano riarrangiamenti, occorre indagare la presenza di piccole mutazioni tramite sequenziamento
diretto o DHPLC. In quest’ultimo caso, si può compiere una diagnosi definitiva mediante analisi del
tessuto muscolare ottenuto da biopsie.
Escludendo tutte le mutazioni sopra descritte,
un 5% circa di pazienti con distrofinopatia non presenta alcuna mutazione nelle regioni codificanti.
Si pensa fortemente che in questi casi occorrano
mutazioni introniche profonde che alterano il normale processamento del gene, visibili solo all’analisi dell’RNA.
Il piano terapeutico, prima sperimentale e poi
clinico, prevede una tecnica che sia in grado di reintrodurre in ogni singola fibra muscolare almeno
tutte le regioni attive, gli esoni, di un gene per la
distrofina intatto, o il suo cDNA o parte di esso, oppure che in qualche modo tramite una tecnica genetica si possa riparare il danno specifico del gene.
DIAGNOSI DI DISTROFIA MUSCOLARE DI DUCHENNE
IN RAGAZZI
Questa metodica, generalmente, è svolta se in
una famiglia è presente un affetto. Per una diagnosi durante la prima parte della gravidanza, il tessuto fetale può essere ottenuto sia da una biopsia
dei villi coriali alla 10°-12° settimana di gestazione,
oppure dall’amniocentesi alla 13°-16°settimana.
Clinica Chirurgica, Divisione Chirurgia I, Dipartimento Misto di Chirurgia Generale e Specialità Chirurgiche,
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
Pervenuto il 25 maggio 2006.
B, Palmieri, V. Sblendorio: Distrofia muscolare di Duchenne: prospettive di trattamento
Nel primo caso, dopo aspirazione di una piccola quantità di placenta attraverso una canula, si
procede direttamente all’analisi del tessuto. Nel
secondo caso, diminuisce il rischio di aborto al di
sotto dell’1%, ma le poche cellule embrionali del liquido amniotico devono prima esser fatte crescere
in laboratorio e poi analizzate. In entrambi i casi,
il primo passo consiste nell’analisi dei cromosomi
per determinare il sesso del nascituro; nell’individuo di sesso maschile si procede all’analisi genetica, nella maggior parte dei casi.
Terapie: realtà ed ipotesi
TERAPIA FARMACOLOGICA
Finora, la maggior parte dei trattamenti per
questa patologia, di cui riferiremo in ordine cronologico e correlando i risultati sperimentali con
le successive applicazioni cliniche, ha riguardato quattro aree: le risposte infiammatorie derivanti dalla contrazione muscolare, la produzione della distrofina, l’instabilità della membrana
muscolare e la riparazione del danno muscolare.
Il topo mdx rappresenta il modello sperimentale di riferimento per le proiezioni cliniche. Gli studi clinici sono quindi programmati in fasi successive: la Fase I, consiste nella dimostrazione di non
tossicità grave e buona tollerabilità. Solo successivamente, ulteriori studi possono accertare se il
trattamento sia realmente in grado di migliorare o
mantenere la forza muscolare, Fase II, e quali siano le dosi ottimali al confronto con altri farmaci,
Fase III. Per coerenza con le regole della medicina
basata sull’evidenza tutti questi studi devono essere condotti in trial doppio cieco.
Inibitori dell’infiammazione
In questa categoria rientrano gli steroidi ad
azione catabolica, prednisone (PRED) e deflazacort (DFC).
Gli studi effettuati con il prednisone mostrarono che esso migliora la forza muscolare sia nei topi mdx che nei ragazzi con Duchenne e contemporaneamente ritarda la naturale progressione della
debolezza muscolare1-4. Questa molecola agisce in
diversi siti all’interno della cascata infiammatoria
inducendo stabilizzazione della membrana muscolare, modulazione dei mediatori infiammatori e
stimolazione del riparo del danno. Comunque, la
somministrazione giornaliera del prednisone è associata a gravi effetti collaterali e morbilità.
In un lavoro del 1987 di Brooke et al. si valutò
l’effetto, su 33 ragazzi, di una terapia con una dose
più bassa di prednisone; il farmaco era somministrato giornalmente (1,5 mg/kg per peso corporeo fino ad un massimo di 80 mg) per sei mesi. Si misurarono all’inizio e alla fine del trattamento la forza
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muscolare, le contratture delle giunzioni, l’abilità
funzionale e la funzione polmonare e si vide che, durante il trattamento, migliorarono sia la forza muscolare che la funzione polmonare, mentre le contratture seguirono il corso naturale della malattia.3
In uno studio del 1991 di Fenichel e collaboratori si è dimostrato che la dose ottimale di prednisone per incrementare la forza muscolare nei ragazzi con Duchenne era 0,75 mg/kg; le dosi efficaci includevano sia 1,5 che 0,75 mg/kg al giorno e la
durata del miglioramento delle condizioni (significativa riduzione della progressione della debolezza
e della perdita della funzione muscolare) era fino
a tre anni in quei bambini cui erano somministrati 0,5 o 0,6 mg/kg al giorno. Nonostante questo lavoro dimostri che l’80% dei ragazzi con DMD benefici del prednisone preso quotidianamente, molti soggetti non sono trattati se non quando iniziano
a peggiorare. Una ragione di questo rinvio nel trattamento sono i noti effetti collaterali degli steroidi
che includono aumento di peso (20%), visi cushinoidi e cambiamenti del comportamento che si
hanno nel 60-100% dei ragazzi trattati2.
Per minimizzare gli effetti collaterali di questo
farmaco, sono stati intrapresi studi che prevedevano la somministrazione a giorni alterni3.
Sempre allo scopo di ottenere il beneficio degli
steroidi senza gli effetti collaterali, è stato formulato da Sansome, 1993, un trattamento con 0,75
mg/kg al giorno per i primi dieci giorni del mese su
32 ragazzi. Si è riscontrato un incremento della
forza dopo 6 mesi ed un successivo declino dopo
12-18 mesi. L’aumento del peso e gli altri effetti
collaterali erano meno accentuati che non con il
trattamento continuo4.
In uno studio di Connolly et al. del 2002 sono stati utilizzati due differenti dosaggi di prednisone per
rilevare se il beneficio ottenuto potesse essere mantenuto con pochissimi effetti collaterali. Furono trattati 20 ragazzi (7-9 anni) ai quali veniva somministrato il farmaco (5 mg/kg) due volte a settimana, il
venerdì ed il sabato. Il gruppo di controllo era composto da 18 ragazzi non trattati (5-7 anni) e quattro
ragazzi (6-8 anni) trattati giornalmente (0,75
mg/kg). 16 ragazzi furono trattati per più di 12 mesi
e sei ragazzi per più di due anni senza interruzione.
Si vide che la dose bisettimanale incrementava la
forza muscolare con 6-12 mesi di trattamento nella
maggior parte dei ragazzi, ma non ritardava lo sviluppo delle contratture ed era possibile prolungare
gli effetti benefici oltre i 12 mesi con minori effetti
collaterali rispetto alle dosi giornaliere.5
Merlini et al, nel 2003, valutarono se somministrare prednisone (basso dosaggio a giorni alterni)
in bambini di 2-4 anni producesse analoghi effetti
benefici. Dopo 55 mesi di trattamento i pazienti
erano in grado di alzarsi da terra, mentre due dei
tre di controllo avevano perso questa capacità. Visto che gli steroidi sono efficaci nel prolungare una
funzione ma non nel farne recuperare una perduta, questi studiosi proposero che per essere maggiormente efficace il trattamento dovrebbe iniziare non appena si ha la diagnosi definitiva di distrofia di Duchenne6.
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Recenti Progressi in Medicina, 97, 9, 2006
Anche il trattamento giornaliero con uno oxazolone (deflazacort) derivato del prednisone, mostra gli stessi effetti benefici di quest’ultimo ma
con minori effetti collaterali, quali ad esempio lo
sviluppo dell’osteoporosi indotta dai corticosteroidi, ed anche un minore impatto negativo sulla crescita. In uno studio di Angelini del 1994 condotto
su 28 ragazzi trattati con 2 mg/kg a giorni alterni
di deflazacort ed un gruppo di controllo, si vide che
il primo gruppo mostrava un miglioramento significativo nel salire le scale, nell’alzarsi da una sedia, e nel camminare dopo 6 mesi di trattamento,
dopo 1 e dopo 2 anni. I pazienti trattati avevano
smesso di camminare ad un’età media di 11,8 anni contro i 10,5 anni del gruppo cui era stato somministrato placebo. Gli effetti collaterali consistevano in un moderato aumento del peso corporeo e
leggeri cambiamenti del comportamento7.
I meccanismi dell’azione protettiva del deflazacort sono sconosciuti. In vitro, esso aumenta l’espressione extracellulare della laminina (proteina
stabilizzatrice di membrana), l’attività delle cellule dendritiche e delle cellule satellite e la riparazione del muscolo. In vivo, sopprime l’immunità
umorale, cellulo-specifica, e non-specifica (fagociti). Un effetto importante potrebbe essere ottenuto reprimendo i neutrofili ed altre cellule infiammatorie che creano danno alla membrana e fibrosi. Ciò potrebbe stabilizzare la membrana stessa
che è compromessa dall’assenza della distrofina.
Biggar et al. hanno confermato con studi a lungo termine, svolti dal 2001 al 2004, che il deflazacort può preservare le funzioni muscolare, polmonare e cardiaca, ritardare la progressione della
scoliosi con limitati effetti collaterali (cataratta
asintomatica, ipertensione, glicosuria, acne, infezione o fratture non sono molto comuni)8-12.
Non è attualmente nota la ragione per cui il
prednisone o il deflazacort siano in grado di ritardare la degenerazione del muscolo. Mentre una
parte della loro azione certamente coinvolge attività antinfiammatoria, esistono altri meccanismi
possibili.
Muntoni e collaboratori, in uno studio del 2004,
analizzando l’attività di più di un migliaio di geni
in topi mdx trattati con prednisone, da 1-6 settimane, mediante la tecnica dei cDNA microarrays,
videro che circa il 5% dei geni (geni per proteine
strutturali, geni per molecole segnale e geni coinvolti nella risposta immunitaria) mostrava una attività ridotta o aumentata e rilevarono anche che
il livello di espressione tra i topi giovani (7 settimane) rispetto a quelli più grandi (12 settimane)
era significativamente diverso13.
Composti chimici induttori di distrofina
È noto che la gentamicina, un antibiotico amminoglicosidico, è in grado di sopprimere mutazioni non senso che, interrompendo la corretta traduzione della proteina, bloccano la sua produzione
prima che essa sia stata assemblata.
Il topo mdx presenta la distrofia muscolare proprio a causa di un codone di stop prematuro e, in tale modello, Barton-Davis et al. nel 1999 hanno visto
che questo antibiotico, in vitro ed in vivo, consente
un miglioramento della funzione muscolare, perché
si è riusciti ad ottenere fino al 20% della normale
quantità di nuova e funzionale distrofina. Infatti,
l’esposizione dei miotubi dell’mdx alla gentamicina
porta all’espressione e successiva localizzazione
della distrofina sulla membrana cellulare14.
Il reclutamento di pazienti sottoponibili a tale
tipo di trattamento è comunque alquanto problematico, perché solo il 5-13% di essi mostra questo
tipo di mutazione genica, presentando la maggior
parte una delezione del gene; e l’efficienza dell’azione della gentamicina è presente solo in questo
tipo di mutazione.
La gentamicina, tuttavia, può provocare gravi
effetti collaterali, come danni all’orecchio interno e
ai reni. Questi effetti possono essere evitati tramite modifiche della struttura del farmaco e controllando frequentemente i pazienti.
Sono stati provati altri antibiotici simili alla
gentamicina, da Arakawa nel 2003, come ad esempio la negamicina, un dipeptide che ripristina l’espressione della distrofina nei muscoli scheletrici e
cardiaci del topo mdx e nei miotubi in coltura, confermato da studi di immunoistochimica ed immunoblot. Questo farmaco è meno tossico della gentamicina15.
Inibitori di proteasi e di fattori nucleari
L’instabilità della membrana muscolare in Duchenne causa una alterata permeabilità che comporta elevati livelli intracellulari di calcio16 ed extracellulari di creatinina. Le alte concentrazioni di
calcio potrebbero attivare risposte infiammatorie
proteasi-dipendenti17. Una di queste è la calpaina
(enzima presente in maggiore quantità nei pazienti DMD e che svolge un’azione distruttiva nelle cellule muscolari) e Badalamente nel 2000 ha
constatato che un inibitore di questo enzima, la
leupeptina, un tripeptide, può ridurre il danno muscolare in vitro ed in vivo nel topo mdx a cui è stata somministrata intramuscolo per 30 giorni. L’inibizione della degenerazione muscolare è stata
valutata da analisi istologiche ed è addirittura
maggiore collegando la leupeptina con la carnitina18. Gli inibitori della calpaina sono sostanze che
interferiscono con la degradazione delle proteine
muscolari. Uno di questi, attualmente in esame,
l’SNT-MC17/idebenone, potrebbe migliorare la
funzionalità dei muscoli scheletrici e cardiaci
(Meier, comunicazione personale). Come conseguenza della instabilità della membrana cellulare
si ha un flusso incontrollato di calcio, che, a sua
volta, attiva la calpaina, enzima che “taglia” le proteine muscolari. In sperimentazione pre-clinica,
nei topi mdx, dopo un trattamento di 4-8 settimane, questi ricercatori hanno osservato un evidente
miglioramento nell’istologia di diversi muscoli.
B, Palmieri, V. Sblendorio: Distrofia muscolare di Duchenne: prospettive di trattamento
Si è visto che i topi trattati riuscivano a correre
molto meglio rispetto ai non trattati, anche se la
performance non raggiungeva il livello degli animali sani. Questi inibitori della calpaina sono attivi in modo sistemico. Questo gruppo di ricerca ha
iniziato un programma clinico con idebenone per il
trattamento della cardiomiopatie nei ragazzi Duchenne. Nell’ottobre 2005, è iniziato un trial clinico in fase II in Belgio, che intende arruolare 21 ragazzi DMD, con età compresa tra 10-16 anni, di cui
14 riceveranno SNT-MC17 per 1 anno e 7 placebo.
Burdi et al. (2006) hanno valutato l’efficienza di
un nuovo composto chimerico, BN 82270, che agisce
sia come inibitore della calpaina che come antiossidante. La somministrazione di questo composto (30
mg/kg) ai topi mdx per 4-6 settimane ha portato ad
una drastica riduzione dei livelli plasmatici di CK
e della citochina pro-fibrotica TGF-β1 sia nei muscoli degli arti posteriori che nel diaframma19.
Queste scoperte indicano che la modulazione
dell’attività della calpaina contribuisce alle distrofie muscolari interrompendo i normali meccanismi
regolatori influenzati dalle calpaine, piuttosto che
attraverso un incremento non specifico e generale
della proteolisi.
Minetti e collaboratori (2006) hanno individuato
un composto chiamato “inibitore del proteasoma”
(in gergo: MG-132) che ripristina il DGC (distrofina,
β-distroglicano ed α-sarcoglicano) in cellule muscolari provenienti da biopsie di pazienti con distrofia
di Duchenne e Becker. Questi risultati concordano
con quelli ottenuti precedentemente dagli stessi autori (2003) trattando il muscolo scheletrico del topo
mdx, in cui si osservò un recupero dei livelli del complesso glicoproteico della distrofina nelle fibre malate: in 4 casi su 6 la quantità di distrofina e delle
proteine associate risulta aumentata, con effetti positivi sulla resistenza meccanica e sul rallentamento della degenerazione della fibra muscolare21, 22.
Un importante cambiamento metabolico è l’accumulo intracellulare di calcio contro gradiente di
concentrazione; che porta all’attivazione del metabolismo ossidativo per aumentata produzione di
radicali liberi. I radicali liberi con la loro instabilità elettronica possono creare ulteriore danno alla membrana ed infiammazione
Il danno alla membrana è associato anche con
la perdita di sostanze intracellulari: una di queste
è la creatina. Questo amminoacido è un’indispensabile fonte di energia muscolare; la creatina nella sua forma fosforilata, fosfocreatina, fornisce
energia non solo per la contrazione muscolare ma
anche per la rimozione del calcio superfluo, una
delle cause della distruzione delle fibre muscolari. Le quantità intracellulari di creatina sono ridotte nelle fibre muscolari dei ragazzi con DMD.
In uno studio in vitro del 1998, Puliso ha dimostrato che un pre-trattamento dei miotubi di mdx
per 6-12 giorni con creatina (20 nM) portava ad
una diminuzione della concentrazione citosolica
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del calcio stimolando la Ca2+-ATPasi del reticolo
sarcoplasmatico, facendo così aumentare i livelli di
fosfocreatina ma non di ATP. Inoltre, con questo
pre-trattamento era migliorata sia la formazione
dei miotubi che la loro sopravvivenza22.
In un trial condotto da Louis, nel 2003, la creatina fu somministrata oralmente a 12 ragazzi con
DMD e a 3 ragazzi con BMD (3 gr Cr o di maltodestrina giornalmente per 3 mesi) e si vide che poteva procurare alcuni beneficî sintomatici in questi
pazienti, come ad esempio un incremento della
contrazione volontaria massima (MVC) e resistenza alla fatica23.
Messina et al., 2006, hanno sperimentato due
diversi composti che sono in grado di inibire il fattore nucleare kappa-B (NF-kB), fattore di trascrizione pleiotropico che sembra svolgere un ruolo nella degenerazione e successiva rigenerazione nei pazienti DMD e nei topi mdx. Un primo inibitore
utilizzato è la pirrolidina ditiocarbamato (PDTC)
somministrato (50 mg/kg) a topi mdx di 5 settimane. Questo trattamento ha portato ad un incremento della forza muscolare, rigenerazione e diminuzione della necrosi (lungo estensore delle dita e
bicipite). Un secondo composto sintetico, analogo
della vitamina E, è stato somministrato intraperitoneo, IRFI-042, sempre a topi mdx di 5 settimane,
tre volte a settimane per 5 settimane (20 mg/kg).
L’effetto era di inibire lo stress ossidativo/perossidazione lipidica, bloccando, appunto, NF-kB, portando agli stessi risultati ottenuti in precedenza.
Sia il PDTC che IRFI-042 impediscono il legame di
questo fattore di trascrizione al DNA e dell’espressione del TNF-α, fattore di necrosi tumorale24,25.
Citochine
Gregorevic, nel 2002, ha visto che IGF-1 (1
mg/kg) somministrato per 8 settimane al topo mdx
ha migliorato la resistenza alla fatica del diaframma e questo risultato va valutato nell’ottica che
l’insufficienza respiratoria è la seconda causa di
morte nei pazienti Duchenne26.
De Luca (2003) ha utilizzato su topi mdx questo
fattore di crescita in associazione con la taurina,
composto in grado di ridurre la degenerazione indotta dal calcio (10% rispetto a IGF-I 50 0 500 µg/kg)
somministrato per 4-8 settimane, e ha valutato gli
effetti in vitro (conduttanza elettrofiosologica del cloro) che è un indice degli eventi ciclici di degenerazione e rigenerazione del muscolo, ed in vivo (forza
degli arti anteriori) ed ha visto che questi due composti producono effetti benefici nell’aumentare la
forza muscolare27.
Constatato che l’ormone della crescita (GH) apporta beneficî in caso di attacco di cuore e visto che
la storia naturale di DMD e BMD è spesso complicata dallo sviluppo di cardiomiopatie dilatative,
Cittadini, studio del 2003, ha somministrato GH
per tre mesi a 6 pazienti con DMD e a 10 con BMD
con evidenti problemi cardiaci.
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Dopo questo periodo, l’ormone induceva nei malati una risposta ipertrofica associata ad una forte
riduzione dei livelli plasmatici di IL-6 ed un leggero miglioramento della funzione sistolica, nessun
cambiamento della funzione muscolare scheletrica
e nessun effetto collaterale28.
L’espressione del TGFβ 1 (transforming growth
factor-beta 1) nei primi stadi della DMD potrebbe
essere critica nel condurre a fibrosi muscolare29,
mentre quella del TGFβ 2 è importante per riparare il muscolo30.
La miostatina, un membro della famiglia di
TGF β, è un regolatore negativo della crescita del
muscolo scheletrico e Wagner, lavoro del 2002, ha
visto che la sua mancanza attenua la gravità della distrofia muscolare nel topo mdx31.
Poiché l’infiammazione cronica è una reazione
secondaria della DMD che potrebbe contribuire alla progressione della malattia, De Luca, nel 2005,
ha analizzato gli effetti della ciclosporina A (terapia immunosoppressiva) sui topi mdx. Questi sono
stati trattati con 10 mg/kg di CsA per 4-8 settimane. Si è avuto un miglioramento significativo nel
profilo istologico del muscolo gastrocnemio trattato, con riduzioni dell’area non muscolare (20%),
delle fibre centronucleate (12%) e dell’area degenerata (50%), rispetto ai topi non trattati. Conseguentemente, la percentuale delle fibre normali
era aumentata dal 26 al 35%, con diminuzione di
CK e dei marker della fibrosi. L’elettrofisiologia e
il fura-2 non mostravano alcun miglioramento dell’omeostasi del calcio e non si vide nessun effetto
sui livelli di utrofina nel diaframma.
Questi dati mostrano che il trattamento con CsA
normalizza molte caratteristiche funzionali, istologiche e biochimiche agendo su eventi che sono indipendenti o a valle dell’omeostasi del calcio. L’effetto benefico potrebbe coinvolgere target diversi32.
dro di lettura, allora, nella maggioranza dei casi,
una intera serie di aminoacidi sbagliati viene incorporata nella proteina fino al punto in cui si raggiunge un nuovo e prematuro codone di stop che pone fine alla sintesi. In questo caso, la distrofina incompleta e tronca che ne risulta non riesce a
svolgere la sua funzione, viene quindi degradata e
si sviluppa così la distrofia muscolare di Duchenne.
Senza distrofina, la fibra muscolare degenera: essa
viene continuamente rigenerata ma il meccanismo
di rigenerazione ad un certo punto comincia a rallentare. Le fibre muscolari distrutte vengono rimpiazzate da tessuto adiposo e connettivo.
Esperimenti di trasferimento del gene
per la distrofina
TERAPIE MOLECOLARI
È ragionevole credere che il trasporto di una
quantità sufficiente del gene per la distrofina intatto nel nucleo di una fibra muscolare distrofica
sia in grado di curare la malattia.
La maggior parte degli esperimenti, anche con
questo tipo di approccio, sono realizzati sul topo
mdx, il quale ha una mutazione puntiforme di stop
al nucleotide 3185, nell’esone 23 del suo gene per
la distrofina. Questa mutazione provoca la sostituzione di un codone CAA, cioè l’aminoacido glutamina, con un codone TAA, cioè un codone di stop:
in questo modo la sintesi di distrofina termina prematuramente ed il topo non ha proteina funzionale nei suoi muscoli. Questi topi, però, non perdono
i loro muscoli; infatti non sviluppano la fibrosi, cioè
la proliferazione di tessuto connettivo, tipica dei
ragazzi Duchenne, per cui il processo degenerativo dovuto alla malattia non supera mai la loro capacità rigenerativa.
Alcuni esperimenti sono stati effettuati anche
sui cani GRMD, il cui gene per la distrofina ha una
mutazione puntiforme nel sito accettore di splicing
dell’introne 6, che provoca una delezione dell’esone 7 nell’mRNA, un frame-shift ed un codone di
stop prematuro.
Terapia genica in funzione della fisiopatologia
genomica
Trasferimento genico mediante i virus
Come già precedentemente descritto, la distrofia muscolare di Duchenne è causata da due diversi tipi di mutazioni del gene: riarrangiamenti (delezioni e duplicazioni) che portano alla perdita o
duplicazioni di larghe regioni genomiche e piccole
mutazioni che comprendono mutazioni puntiformi
dissenso (cambio di un amino acido), nonsenso
(creazione di un codone di stop) frameshift (delezioni, inserzioni, inserzioni-duplicazioni, che spostano la cornice di lettura) e di splicing (che alterano il normale processamento del gene distrofina).
Se mutazioni di vario genere portano alla perdita di
alcune regioni non strettamente essenziali, quale
ad esempio la parte centrale rod, la proteina può
ancora essere parzialmente funzionale, come nel
caso della forma più benigna, la distrofia muscolare di Becker. Se invece la mutazione sposta il qua-
Per trasferire un gene, occorre un trasportatore,
ad esempio un vettore virale. Nella ricerca sulla
DMD sono principalmente due i virus che vengono
studiati: l’adenovirus ed il virus adeno-associato
(AAV), dieci volte più piccolo del precedente; quest’ultimo non può più riprodursi all’interno della
cellula ospite, perché è stato privato della maggior
parte dei geni endogeni. I virus si ancorano ad alcune strutture specifiche sulla membrana cellulare,
come, ad esempio, i recettori per gli adenovirus, tramite i quali riescono a penetrare all’interno della
cellula. Questi recettori, tuttavia, sono più numerosi sulle fibre muscolari in via di sviluppo e di rigenerazione, mentre sono inibiti e meno numerosi nelle cellule differenziate, che non sono più in grado di
dividersi: per questo motivo il trasferimento genetico è meno efficace nel muscolo maturo.
B, Palmieri, V. Sblendorio: Distrofia muscolare di Duchenne: prospettive di trattamento
Per superare questo ostacolo, sono stati prodotti topi transgenici che esprimevano questi recettori in grande quantità sulla superficie delle cellule
muscolari mature. Kochanek et al., 1996, in alcuni
esperimenti preliminari tramite adenovirus, che
contenevano il complesso dei geni per la proteina
marker β-galattosidasi, iniettati a livello intramuscolare, osservarono che il trasferimento genico era
50 volte maggiore rispetto al gruppo di controllo.
Per elevare, in modo altrettanto incredibile, il livello di distrofina prodotta, si potrebbe cominciare
a pensare ad un trattamento terapeutico in due
stadi: una prima fase in cui venga trasferito il gene per il recettore ed una seconda fase in cui sia
trasferito il gene per la distrofina, oppure ad una
separata modulazione del gene per il recettore prima del trasferimento di quello della distrofina33.
I piccoli AAV possono trasportare solo materiale genetico che sia inferiore a 5000 nucleotidi, un
terzo del cDNA dell’intera distrofina: il vantaggio
è che essi riescono a trasferire il gene in modo più
efficace rispetto al normale adenovirus. Lo svantaggio è che il cDNA di questa proteina, per poter
essere trasportato, deve essere accorciato in modo
considerevole.
O’Hara e collaboratori (200134) hanno iniettato
direttamente nel muscolo tibiale anteriore sinistro
di 7 cuccioli GRMD di appena 2 giorni soluzioni
contenenti l’adenovirus che trasportava il mini gene per la distrofina e l’adenovirus con il costrutto
della β-galattosidasi, in un rapporto di 2: 1. È stata valutata la diffusione del transgene dopo 5-7
giorni dall’iniezione sulle biopsie muscolari e si è
visto che l’espressione era localizzata solo intorno
al sito di iniezione.
Scott, 2002, ha messo a punto una particolare
distrofina abbreviata, che era circa la metà di quella originale e mostrava praticamente le stesse proprietà della proteina inalterata. Il rilascio di questa e di alcune delle altre tramite AAV nel muscolo di topi mdx, ha prevenuto e parzialmente
recuperato i danni tipici della DMD. Questi risultati dimostrano che alcune modifiche specifiche
della distrofina possono generare nuove proteine,
che sono significativamente più corte ma funzionali35.
La nuova distrofina introdotta, probabilmente,
non sarà riconosciuta dal sistema immunitario come propria, quindi potrebbero verificarsi dei problemi di rigetto. Per evitare questi rischi, Gilchrist e il suo gruppo di ricerca (2002) hanno studiato
quello che potesse essere il trasferimento ottimale.
Dopo aver utilizzato adenovirus per trasferire un
gene marker, quello della β-galattosidasi oltre al
gene per la distrofina completa, in topi che erano
sia deficienti di distrofina che transgenici per
LacZ, si è visto che l’espressione della proteina ricombinante era stabile per 5 mesi in topi trattati
da neonati e 4 settimane in quelli adulti, ma, allo
stesso tempo, si aveva la neutralizzazione degli anticorpi contro gli antigeni adenovirali solo nei topi
adulti e non nei neonati. Questo suggerisce che gli
antigeni venivano presentati solo nel momento
della somministrazione del vettore quando il si-
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stema immunitario neonatale non era ancora maturo. Invece, gli anticorpi contro la distrofina si
avevano in tutti i topi. Rilievo interessante, una risposta anticorpale contro la β-galattosidasi si sviluppava più tardi nei topi neonati, mostrando una
mancanza di tolleranza a questo enzima, un antigene self in questi topi transgenici36.
Il virus più promettente sembra essere quello
definito “gutted”, un adenovirus praticamente vuoto, che non contiene alcun gene endogeno del virus,
quindi ha abbastanza spazio per i 14.000 nucleotidi del cDNA della distrofina. Con questi virus gutted, Lochmuller prima (1996) e Blankinship poi
(2006) sono riusciti ad ottenere nuova distrofina in
una quantità pari al 30% delle fibre muscolari di
un topo distrofico, seguita da un miglioramento
della funzione muscolare sia in topi giovani che
adulti37,38.
Gilbert, 2002, ha addirittura introdotto due cDNA all’interno di questi virus gutted, e con l’aiuto di un promotore, sequenza genetica che attiva
un gene, quasi il 100% delle fibre in alcuni muscoli del topo ha prodotto nuova distrofina che è rimasta visibile per almeno 30 giorni39.
CELLULE STAMINALI
Le cellule staminali sono presenti in diversi tessuti, anche nel muscolo scheletrico e nel midollo.
Esse sono cellule non-differenziate che possono dare origine a molti tipi di cellule specializzate. Queste cellule pluri-potenti sono cellule somatiche o
cellule staminali adulte, diversamente da quelle
embrionali che sono invece totipotenti e quindi
possono dare origine a tutti i tipi di cellule.
Per la DMD sono state utilizzate solo staminali adulte provenienti da animali da esperimento,
questo a causa dei problemi etici connessi all’uso di
staminali embrionali umane.
Sperimentazioni con cellule staminali dal midollo
Ferrari e collaboratori, 2002, hanno studiato l’ipotesi che un trapianto di midollo da topi normali
potesse produrre, in topi distrofici “mdx4cv” nuove
cellule muscolari contenenti distrofina. Questi topi
hanno uno stop-codon nell’esone 53 e, a differenza
dei topi mdx con la mutazione nell’esone 23, riescono a rigenerare spontaneamente solo pochissime fibre muscolari, le fibre revertanti, che contengono
distrofina normale. Dieci mesi dopo l’iniezione di 15
milioni di cellule non purificate provenienti da midollo in questi topi, il cui midollo era stato distrutto per mezzo di radiazioni, non più dell’1% delle fibre muscolari mostrava nuova distrofina. Le conclusioni furono che un trapianto totale di midollo
non riesce ad alleviare una distrofia muscolare nei
topi. I ricercatori hanno sottolineato, tuttavia, che
i loro risultati non necessariamente dimostrano che
la stessa tecnica sarebbe inefficace nei ragazzi, dal
momento che la malattia è differente nei topi e nell’uomo40.
454
Recenti Progressi in Medicina, 97, 9, 2006
Sperimentazioni con cellule staminali
dal muscolo scheletrico
Huard et al. (2002) hanno isolato alcune cellule
staminali dal muscolo scheletrico dei topi mdx, trattate al di fuori dell’animale con un vettore virale
che trasportava un mini-gene per la distrofina e,
successivamente re-iniettate nella vena caudale del
topo. Dopo 7 giorni è stata evidenziata una piccola
percentuale di distrofina nei muscoli degli arti posteriori: questo significava che alcune delle cellule
staminali trattate geneticamente erano riuscite in
qualche modo ad arrivare nel tessuto muscolare. Alcune cellule erano anche migrate, attraverso il flusso ematico, in altri organi, incluso il midollo. Etichettando con un gene reporter alcune cellule staminali muscolari purificate, provenienti da topi
sani, e re-iniettandole nel topo mdx, il cui midollo
era stato distrutto, esse erano in grado di differenziare e di cominciare a produrre distrofina nel muscolo scheletrico. Esse, inoltre, riuscivano a trasformarsi anche in vasi sanguigni e tessuto nervoso.
Quindi, tali cellule contribuiscono in vari modi alla
rigenerazione di muscolo funzionale e di altri tessuti che normalmente contengono la distrofina41.
Trapianto di mioblasti
In uno studio di Karpati (1993), mioblasti, provenienti da un donatore sano e quindi contenenti
il normale gene per la distrofina, sono stati iniettati direttamente in vari punti del muscolo distrofico. Questi primi esperimenti non hanno avuto
successo perché i mioblasti non migravano in
quantità sufficiente dal sito di iniezione; oltre a
questo, si verificavano gravissimi problemi immunitari ma, soprattutto, quasi tutti i mioblasti iniettati morivano dopo breve tempo42.
Gli studi hanno poi tentato di interpretare il
dato di uno scarso attecchimento (inferiore all’1%)
dei mioblasti iniettati, che si comportavano come
cellule staminali, e Partridge (2002) ha mostrato
che nel muscolo, in cui il gene era espresso, la proteina risultante apportava alcuni beneficî funzionali nel proteggere le fibre dalla necrosi. Comunque, questi effetti erano sempre limitati ad una
piccola regione intorno al sito di iniezione e con notevoli problemi immunologici: per questo poco efficaci in trial clinici43.
TERAPIA GENICA ex-vivo TRAMITE I MIOBLASTI
Cossu e coll. (1998) hanno considerato la possibilità di utilizzare il gene MyoD per indurre la conversione miogenica di cellule non muscolari allo
scopo di aumentare la sopravvivenza dei mioblasti
e identificare ed isolare cellule staminali miogeniche. I fibroblasti umani e murini della pelle, del
muscolo e del midollo osseo sono stati trasfettati
con un vettore adenovirale, non infettivo, contenente il promotore del gene MyoD. L’espressione di
MyoD causava il blocco del ciclo cellulare e la con-
seguente differenziazione miogenica nella maggior
parte dei fibroblasti in coltura (60-90%), determinato dall’attivazione di geni muscolo-specifici e fusione in miotubi (un altro stadio dello sviluppo muscolare) contrattili. Dopo 24 ore di esposizione all’adenovirus, le colture contenenti MyoD furono
iniettate nei muscoli di topi immunodeficienti, dove risultarono positivi alla β-galattosidasi, e le fibre con nucleo centrale presentavano le catene pesanti della miosina umana.
Questi dati mostrano la possibilità di un approccio alternativo di terapia genica, basata sull’impianto di un gran numero di fibroblasti primari, modificati geneticamente, che si convertono in
mioblasti44.
In alcuni esperimenti preliminari di CudreMauroux, 2003, è stata usata l’elettroporazione
per trasportare plasmidi contenenti geni per GFP
(green fluorescent protein), proteina fluorescente,
attraverso la membrana cellulare di mioblasti
umani in coltura resa permeabile tramite erogazione di corrente di medio voltaggio (400V). In condizioni ottimali, fino al 70% dei mioblasti vengono
trasferiti con il gene ed esprimono la proteina
marker. L’abilità dei mioblasti a fondersi in miotubi non viene compromessa. Quindi, le terapie geniche basate sulla correzione del gene e sul trapianto di mioblasti umani potrebbero trarre qualche beneficio da questa metodica45.
Terapia cellulare di trasferimento
per via ematica
Cossu e collaboratori (2004) hanno individuato
una sottopopolazione di cellule circolanti che esprimono un marker di cellule staminali ematopoietiche, AC133. Cellule AC133(+) sono state indotte a
miogenesi, mediante coltivazione in vitro con cellule miogeniche e poi trasportate, in vivo, attraverso il circolo sanguigno o iniettate direttamente
nei muscoli di topi transgenici scid/mdx (che permettono la sopravvivenza di cellule umane). Si è
visto che le cellule iniettate erano localizzate sotto
la lamina basale delle fibre muscolari dell’ospite
ed esprimevano marker delle cellule satellite come
la caderina-M e MYF5, fattore di trascrizione muscolo-specifico regolatore della biogenesi. I test
funzionali rivelarono un notevole recupero della
forza muscolare dopo il trattamento. Visto che queste cellule sono isolate dal sangue, manipolate in
vitro, trasportate attraverso la circolazione sanguigna, ciò suggerisce che queste strategie – sperimentate, per il momento, solo nei modelli murini – possano in futuro essere trasferite nell’uomo46.
Riparazione del gene
Tentativi per riparare le mutazioni puntiformi
a livello del gene sono stati fatti usando gli oligonucleotidi, brevi sequenze specifiche di DNA, formati da pochi nucleotidi e che possono essere crea-
B, Palmieri, V. Sblendorio: Distrofia muscolare di Duchenne: prospettive di trattamento
ti in modo automatico. Tre tipi di strategie sono
state applicate finora:
1. ignorare un prematuro “stop codon”.
2. Riparare mutazioni a livello del gene stesso.
3. Modificare l’informazione genetica durante
la trascrizione nell’RNA tramite la tecnica di “exon
skipping”.
In un esperimento in vitro, di Rando (2000), è
stata riparata la mutazione puntiforme nell’esone
23 di mioblasti provenienti dal topo mdx; questi
mioblasti, inoltre, si erano fusi in miotubi che avevano prodotto la distrofina completa a distanza di
due settimane dopo una sola iniezione intramuscolare di oligonucleotidi. L’1,2% delle fibre intorno al sito di iniezione contenevano nuova proteina
che non era distrofina delle fibre revertanti, come
ad esempio la normale distrofina dopo una spontanea soppressione della mutazione. Questa quantità di nuova proteina è rimasta stabile per almeno 10 settimane47.
Exon skipping tramite AONs
(oligonucleotidi antisenso)
Con questa tecnica si cerca di rimuovere dal
trascritto distrofina (RNA) uno o più esoni (salto
dell’esone) contenente una mutazione frameshit o
esoni fiancheggianti delezioni note frameshift, in
modo tale di ripristinare la cornice di lettura. Questo approccio consente di convertire una mutazione grave responsabile di DMD in una più lieve legata ad un fenotipo non severo. Dato che l’mRNA
è più corto del normale, anche la distrofina sarà
più corta: se gli aa mancanti appartengono alla regione centrale ROD della distrofina, essi possono
non essere fondamentali, e la proteina risultante
sarà funzionale.
Questo approccio è stato usato da Mann (2001),
per bypassare la mutazione puntiforme nell’esone
23 del topo mdx. Un nucleotide antisenso, di 25 nt
complementari alla sequenza del pre-mRNA in una
delle regioni di confine dell’esone 23, è riuscito ad
indurre lo skipping di quell’esone contenente la
mutazione durante il processo di splicing. L’informazione genetica dell’esone 23 del gene, che codifica per 71 aminoacidi nel dominio rod, è stata quindi saltata durante il processo di lettura. I nucleotidi antisenso sono stati impacchettati in liposomi,
cioè circondati da un involucro di lipidi, ed iniettati nel muscoli di topi vivi. Dopo 2/4 iniezioni ad intervalli di una settimana, questi esperimenti in vivo hanno condotto alla produzione di distrofina che,
insieme ad altri componenti del complesso della distrofina, si sono localizzati correttamente a livello
della membrana48.
van Deutekom (2001) ha compiuto esperimenti,
in vitro, per provocare una delezione specifica dell’esone 46 dal pre-mRNA della distrofina di miotubi di topi mdx. Lo studio ha avuto successo utilizzando 4 differenti oligo-RNA antisenso specifici per
una sequenza regolatoria di splicing all’interno
dell’esone 46. Su cellule muscolari umane in coltura è stato possibile in seguito determinare una de-
455
lezione dell’esone 46 in circa il 15% del pre-mRNA
della distrofina di miotubi ottenuti da due pazienti che avevano una delezione isolata dell’esone 45.
Questa percentuale di m-RNA senza l’esone 45 e
46, ha prodotto una quantità normale di distrofina
piu corta in almeno il 75% dei miotubi. Dopo 24
ore, la nuova distrofina era distribuita omogeneamente all’interno dei miotubi, ma dopo 48 ore essa
si era spostata verso la membrana ed è rimasta in
loco per molti giorni. Questa tecnica è molto specifica: provoca, infatti, la rimozione del solo esone
46. Con la stessa tecnica, è stata indotto exon skipping di nove esoni (2, 19, 29, 41, 43, 44, 47, 50 e 51)
in cellule muscolari in coltura. Quindi questa strategia molto promettente, testata in vitro, potrebbe
in seguito convertire una Duchenne in una Becker
in più del 75% dei pazienti con delezioni49.
L’esone 45 del gene della distrofina è quello con
la più alta percentuale di frequenza di mutazioni
nei ragazzi affetti da Duchenne. Questo causa uno
spostamento del frame di lettura nell’mRNA ed un
codice di stop prematuro con formazione di distrofina troncata e non funzionale che viene quindi degradata. Tuttavia, se entrambi gli esoni 45 e 46 sono eliminati dal trascritto, il frame di lettura non
viene cambiato e provoca la formazione di una distrofina più corta del normale, cui manca un blocco di 108 aa non essenziali appartenenti alla regione mediana della proteina mancante. I pazienti che hanno questo tipo di delezione presentano i
sintomi più deboli di una distrofia di Becker.
Per fare aumentare sempre di più questa percentuale, Aartsma-Rus et al., nel 2004, hanno studiato lo skipping di due o più esoni contemporaneamente. Utilizzando una combinazione di
AONs, hanno indotto lo skipping dell’esone 43 e 44
e così è stata ripristinata la sintesi di distrofina nei
miotubi di un paziente che aveva una mutazione
non senso nell’esone 43. Per un altro, con delezione dall’esone 46-50, si è ottenuto il doppio salto
dell’esone 45 e 51.
Questi risultati sono incoraggianti per un gran
numero di pazienti che hanno più di una delezione
o mutazione in vari esoni50.
Attivazione dell’utrofina
Ci sono due vantaggi nel sovraregolare il gene
dell’utrofina:
1. le piccole quantità di utrofina, già presenti
anche nei ragazzi Duchenne, eviterebbero problemi di rigetto;
2. un farmaco, in grado di sovraregolare il gene, potrebbe raggiungere tutti i muscoli e non solo
quelli raggiungibili tramite un’iniezione intramuscolare; ma questo attivatore dovrebbe assicurare
che in una futura applicazione terapeutica non
produca effetti collaterali indesiderabili.
Davies et al. (2002) hanno creato topi mdx transgenici che esprimono utrofina solo se ricevono tetraciclina nell’acqua che bevono. L’espressione del
transgene è stata “accesa” in utero, alla nascita,
dopo 10 e 30 giorni.
456
Recenti Progressi in Medicina, 97, 9, 2006
Si sono visti moderati livelli di espressione, variabile da fibra a fibra (mosaicismo), ma sufficiente
ad indurre un corretta localizzazione del complesso
distro-sarcoglicano. L’istologia ha mostrato una riduzione dei foci necrotici e della percentuale delle fibre centronucleate, che sono ampiamente al di sotto
del livello normale. Quando l’espressione del transgene era attivata a 30 giorni dalla nascita, i miglioramenti erano marginali, e quindi è importante l’età
alla quale si inizia la terapia con l’utrofina51.
Ricerche in sviluppo
Escolar et al., nel settembre 2005, hanno iniziato
un trial doppio-cieco, randomizzato (fase I-II) su 64
pazienti DMD a cui viene somministrato giornalmente pentoxifylline (Trental). Lo scopo di questo
trattamento è quello di vedere se l’aggiunta di pentoxifylline alla terapia steroidea possa essere efficace nel contrastare la diminuzione della forza muscolare, misurando i valori di forza muscolare, funzione
polmonare, TNF-α e TGF-β dopo 1, 3, 6, 9, 12 mesi.
Hankard e coll., febbraio 2006, hanno intrapreso un trial doppio-cieco randomizzato su 30 pazienti DMD per valutare l’efficacia dell’L-glutamina (L-glu) sulla massa muscolare, perché questo aa
inibisce la degradazione proteica. L’effetto si manifesta 5 ore dopo la somministrazione orale ed anche
quando è somministrata per 10 giorni. Lo studio include due periodi di 4 mesi ciascuno intervallati da
1 mese di pausa in cui nel primo periodo è somministrata L-glu e nel successivo periodo placebo.
Zimmerman et al. stanno valutando con un
trial clinico in fase III se un alto dosaggio settimanale di prednisone possa essere più sicuro del dosaggio giornaliero. I ragazzi arruolati (4-10 anni di
età) in questo studio non devono avere preso nei 3
mesi precedenti carnitina, creatina, glutamina,
coenzima Q10 o altri aa e qualsiasi altra erba medicinale.
Sweeney ed il suo gruppo di ricerca stanno sperimentando piccole molecole che agiscono a livello
dei meccanismi di controllo post-trascrizionali, e
dopo uno studio in fase 1 completatosi nel dicembre 2005, è iniziata la fase 2 con PTC 124 in pazienti Duchenne con mutazione nonsenso. PTC
124 è un nuovo farmaco, somministrato per via
orale, che è stato studiato per la DMD e la fibrosi
cistica.
Muntoni et al., con un trial in fase I-II in ragazzi Duchenne (14-18 anni), stanno valutando
la sicurezza e l’efficacia della terapia di trasferimento genico mediante oligonucleotidi antisenso per ripristinare la produzione di distrofina. I pazienti sono 9 in tutto divisi in 3 gruppi
ciascuno:
1. Tre ragazzi riceveranno iniezioni intramuscolari di AON a bassa concentrazione, sottoposti
a biopsia dopo 4 settimane.
2. Tre ragazzi saranno sottoposti alla stessa procedura ma riceveranno una dose più alta di AON.
3. Tre ragazzi, con delezioni nel gene della distrofina, riceveranno in seguito la concentrazione
ottimale di AON valutata sul gruppo 1 e 2, con biopsia dopo 8 settimane di trattamento.
Conclusioni
1. Questa rassegna sintetizza la situazione attuale e le possibili prospettive nella conoscenza dei multiformi approcci terapeutici alla distrofia di Duchenne che sul piano biotecnologico (genetico molecolare e cellulare), da un lato, e farmacologico, dall’altro, vengono esperiti per risolvere il complesso
quadro nosologico od attenuarne l’evoluzione, migliorando la qualità di vita e la sopravvivenza.
2. Mentre le propettive ed il controllo genetico o correzione della disregolazione della sindrome
paiono le più seducenti, ma di non immediata utilizzazione epidemiologica, ci pare che la ricerca farmacologica classica, inclusa quella preposta alle terapie palliative e di supporto, non abbia compiuto sostanziali passi avanti; del resto, il ruolo degli steroidi, l’unica strategia ufficialmente accreditata nel trattamento della sindrome, si esplica su diversi meccanismi, ognuno dei
quali andrebbe approfondito con molecole dedicate: in particolare il controllo del danno da citochine pro-infiammatorie e dei processi che inducono precocemente all’apoptosi delle fibrocellule
muscolari, potrebbero costituire ulteriori strategie terapeutiche che ci riproponiamo di valutare adeguatamente nel prossimo futuro con modelli sperimentali il più aderenti possibile alla clinica umana.
3. La “magic bullet” che si prospetta in un futuro non imminente è gravata da ulteriori, complessi dilemmi relativi alla possibile posologia, ma soprattutto al “drug delivery”, poiché correggere o indirizzare una informazione genica, o reintegrare nella propria funzione le fibrocellule muscolari individualmente, o sostituirle con nuove popolazioni di provenienza staminale e differenziativa è tuttora materia di approfondimento e di ricerca. Anche su tale tema, la farmacologia classica può
fornire adeguato supporto di molecole e biotecnologie, rendendo possibile il raggiungimento di questo ambizioso obiettivo.
B, Palmieri, V. Sblendorio: Distrofia muscolare di Duchenne: prospettive di trattamento
Ringraziamenti
Gli Autori ringraziano la dottoressa Alessandra Ferlini
(Università di Ferrara) per la revisione della parte geneticoclinica.
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Indirizzo per la corrispondenza:
Prof. Beniamino Palmieri
Università di Modena e Reggio Emilia
Ospedale Policlinico
Dipartimento Misto di Chirurgia Generale
e Specialità Chirurgiche
Divisione di Chirurgia I
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41100 Modena
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