Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini Capitolo VI - La Geometria dal XVIII secolo in poi. VI.1. Permanenza della Geometria. La storia della Geometria continua oltre l’epoca greca, senza però poter contare di personalità di spicco paragonabili ai grandi matematici di cui si è fatta menzione nei capitoli precedenti. Alla Geometria non è però accaduto quanto è capitato ad altre discipline che pure avevano avuto un sviluppo nell’antichità. Ad esempio le ‘invenzioni’ meccaniche di Archimede o gli apparecchi idraulici di Erone sono andati irrimediabilmente perduti e sono stati necessari molti secoli per recuperare lo stesso livello tecnologico. Anche l’intuizione chimica di una costituzione atomica della materia ha dovuto attendere quasi duemila anni per ritrovare vigore. Ciò non è avvenuto con la Geometria (e l’Aritmetica). Merito di ciò, oltre alle esigenze pratiche richieste dal problemi di catasto o di edilizia, è stata l’opera di Severino Boezio, che propose una riforma degli studi, forse quella che ha avuto la maggior durata storica. In base alla proposta di Boezio, gli studi superiori comprendevano la ‘Matematica’ intendendo con tale termine quello che si riteneva al suo tempo campo proprio della Matematica nella forma di Aritmetica, Geometria, Musica e Astronomia. Questi quattro ambiti disciplinari dànno origine al cosiddetto Quadrivio, cui si dedicavano coloro che volevano un’istruzione superiore. La riforma di Boezio attraversò l’intero Medioevo e approdò dopo circa un millennio al Rinascimento. Con il sorgere di questo periodo storico nasce un gusto per la conoscenza dei testi originali che fa sì che i vecchi manoscritti vengano ricercati e che si pianga attenzione alla Matematica. E’ anche l’epoca della realizzazione della stampa a caratteri mobili, e così appaiono numerose le copie dei testi greci tradotti prima in Latino e poi in lingua volgare. Dal punto di vista geometrico l’irruzione della prospettiva nell’arte richiede una sistemazione teorica Leon Battista Alberti (1404 – 1472) che inizia con Alberti e Piero della Francesca, ma non si Piero della Francesca (1412 – 1492) tratta più di Geometria classica dovendo gestire l’infinito in atto. - 281 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini In questo periodo non ci sono risultati innovativi in campo della Geometria classica, mentre sono grandi le innovazioni in campo aritmetico e algebrico, tanto da connotare i secoli XVI e XVII con l’approfondimento e la risoluzione delle equazioni. La Geometria ritorna in auge assieme ai primi passi dell’Analisi, abbandonando la Geometria classica e rivolgendosi agli indivisibili, antenati del moderno calcolo integrale, ripercorrendo, senza saperlo, strade aperte da Archimede. Con questo non si vuole dire che la Geometria venga dimenticata. Rafael Bombelli (1530 – 1573) prima, Cartesio e Fermat in seguito, predispongono gli strumenti per giungere alla trattazione algebrica della Geometria, invertendo quanto era avvenuto già a partire da Euclide con la Algebra geometrica. Non si esce però dal contesto della Geometria antica, solo sono diversi i metodi usati per trattare i problemi, introducendo un metodo generale, quello delle coordinate, che è assai vicino alla trattazione di Apollonio di Perge. Sono invece nel solco tracciato da Pappo i lavori di Desargues e Pascal, che iniziano una nuova Geometria riprendendo idee generate dalla prospettiva. Girard Desargues (1591 – 1661) Qualche sintomo di un’indagine più approfondita in Geometria classica nel XVIII secolo con Saccheri (1733) e proseguirà dopo Clairaut, con Lambert (1766). Entrambi si propongono di dimostrare il quinto postulato di Euclide, rimanendo nell’ambito della Geometria classica. Più o meno contemporaneamente, i problemi geometrici del calcolo di aree e volumi e delle tangenti, applicati però ai nuovi enti geometrici dati dai grafici di funzioni, portano all’Analisi matematica. Johannes Heinrich Lambert (1728-1777) Il panorama matematico cambia quindi in modo, si potrebbe dire rivoluzionario. VI.2. L’opera geometrica di Clairaut. VI.2.1. Cenni biografici di Clairaut. Il matematico Alexis Claude Clairaut è stato paragonato a Mozart per la sua precocità. Nasce a Parigi nel 1713 e muore nella stessa città nel 1765. E’ uno dei venti figli di Jean-Baptiste Clairaut, matematico di una certa fama che insegnò a Parigi e che divenne Alexis Claude Clairaut (1713 – 1765) membro dell’allora importante Accademia di Berlino. E’ anche l’unico dei suoi fratelli a superare l’adolescenza. - 282 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini Il padre gli fa da istitutore in casa e gli insegna a leggere con gli Elementi di Euclide. A nove anni il suo libro di lettura diviene un trattato di M. Guisnée, Applicazioni dell’algebra alla geometria, pubblicato in forma privata nel 1705, testo che forniva un’ottima introduzione al calcolo differenziale ed integrale, nonché alla geometria analitica. L’anno successivo cambia libri di lettura in quanto utilizza trattati di de L' Hôpital, in particolare il Trattato analitico delle sezioni coniche ed in seguito il famoso Analisi degli infinitamente piccoli per la comprensione delle linee curve. Con queste premesse non stupisce che nel 1726, a 13 anni, presentasse all’Accademia di Parigi una memoria, Quattro problemi su alcune nuove curve. Doveva essere una prerogativa della famiglia perché pure un suo fratello più giovane, a 14 anni Guillaume François Antoine Marquis de L' Hôpital (1661 – 1704) nel 1730, presentò una memoria matematica all’Accademia di Parigi. Questo fratello morì però a 16 anni. Il nostro Clairaut continuò gli studi matematici ed iniziò ad occuparsi di doppia curvatura, studi che completò nel 1729. Come risultato di queste nuove ricerche venne proposta la sua nomina come membro dell’Accademia di Francia, ma a causa della su giovane età il re non confermò la proposta fino al 1731, quando Clairaut compì i 18 anni, divenendo così il più giovane membro dell’Accademia delle Scienze che sia mai stato eletto. In questo consesso si legò in amicizia a Maupertuis, anch’egli membro giovane dell’Accademia (ma con 15 anni più di Clairaut) Pierre Louis Moreau de Maupertuis (1698 – 1759) e, come l’amico più anziano, divenne sostenitore dei principi di Filosofia naturale di Newton. Gabrielle Émilie Le Tonnelier de Breteuil Marquise du Châtelet (1706 – 1749) Fu in particolare rapporti di amicizia e lavoro con Maupertuis, la Marchesa di Châtelet (la traduttrice in francese di Newton) e Voltaire. Nella traduzione francese di Newton, ultimata nel 1756, comparvero testi aggiunti di Clairaut. Nel 1734 insieme a Maupertuis si reca a Basilea a studiare alcuni mesi sotto la guida di Johann François Marie Arouet detto Voltaire (1694 – 1778) Bernoulli, adottando quindi il punto di vista e il simbolismo leibniziano. - 283 - Johann Bernouilli (1667 – 1748) Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini Il decennio 1733 – 1743 vede la comparsa di opere di Clairaut sul calcolo delle variazioni (1733), sulla equazione che prende il suo nome (1734), di calcolo integrale (1739 e 1740). Nel 1742 pubblica un importante lavoro di dinamica. Si occupa poi di dare una presentazione teorica delle misure effettuate in una spedizione scientifica svolta in Lapponia nel 1737, assieme a Maupertuis per misurare un grado di meridiano terrestre per verificare le teorie sulla forma della Terra. Nel 1743 pubblicò Teoria della figura della Terra in cui confermava la teoria di Newton-Huygens sul fatto che la Terra fosse schiacciata ai poli e, basandosi su lavori di Maclaurin sulle maree, forniva risultati fondamentali in idrostatica. I lavori del periodo successivo si occupavano del problema dei tre corpi giungendo ad affermare la non validità generale della legge di attrazione universale di Newton, con la dipendenza quadratica inversa dalla distanza, Colin Maclaurin (1698 – 1746) ma proporzionale bisognava a 1 r4 . aggiungere A queste un fattore conclusioni Jean Baptiste Le Rond D’Alembert (1717 – 1783) indipendentemente erano giunti Eulero e D’Alembert. D’altra parte Buffon sosteneva la proposta di Newton giustificandola in base al principio metafisico di semplicità. Nel 1748 però Clairaut si accorse che l’errore era dovuto alle approssimazioni dei calcoli e così nel 1749 annunciò all’Accademia Leonhard Euler (1707 – 1783) di Parigi la concordanza dei suoi risultati teorici con Georges Louis Leclerc Comte de Buffon (1707 – 1788) la legge di Newton. Eulero, in quel momento all’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo mise in palio un premio sul problema dell’apogeo della Luna che sembrava in disaccordo con la teoria newtoniana. Clairaut partecipò alla competizione e Eulero disse che si trattava di uno dei più importanti risultati della Matematica. Queste ed altre ricerche nello stesso campo furono comprese nel trattato Teoria della Luna, nel 1752. Nel periodo successivo le ricerche riguardarono le comete, e per questi lavori astronomici a Clairaut venne applicato l’appellativo di ‘nuovo Talete’. Questi studi sulle comete causarono dissapori tra Clairaut e D’Alembert. Si interessò inoltre di problemi di ottica. Nel 1746 pubblicò un testo di Elementi di Algebra, di interesse didattico, in cui si trattano le equazioni algebriche fino al quarto grado compreso. In tale testo Clairaut mostra che la notazione - 284 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini ed il linguaggio algebrico sono strumento indispensabile per ottenere generalizzazione e comprensione delle equazioni. VI.2.2. Gli Éléments de Géométrie. Il libro apparve nel 1741, e l’ispirazione venne da una richiesta della Marchesa di Châtelet di poter apprendere le nozioni fondamentali di Geometria. La copia in possesso della Biblioteca del Dipartimento è una ristampa del 1920 apparsa per i tipi di Gauthier-Villars et C.ie, Paris. A tale testo si farà ricorso in questi appunti. Il testo è suddiviso in quattro parti, precedute da una prefazione assai importante e chiarificatrice delle idee di Clairaut. Il termine usato da Clairaut per indicare i vari capitoletti del suo testo è quello di articolo, non quello di Teorema o Proposizione. Gli articoli sono numerati con i numeri romani. Qui si useranno le cifre arabiche, precedute dalla cifra romana per indicare la parte relativa. Si utilizzerà il carattere in corsivo, così come è presente nel testo originale, perché in taluni punti la presenza o meno del carattere corsivo è rivelatore delle idee di Clairaut. Gli articoli sono a volta delle Proposizioni, a volta delle descrizioni, a volta delle costruzioni, a volta solo frasi di passaggio. Non ci sono dimostrazioni, ma in alcuni casi motivazioni e argomentazioni oppure illustrazioni. Il testo tratta di Geometria, ma come illustra la Prefazione, con uno spirito assai diverso rispetto al testo che era servito come primo libro di lettura all’autore. Comunque il testo ha una destinazione didattica e forse la destinataria del testo stesso, può avere condizionato il livello di approfondimento del trattamento. VI.2.3. La Prefazione. Si presenta qui di seguito la traduzione della Prefazione. «Prefazione. Sebbene la Geometria sia per se stessa astratta, bisogna ammettere tuttavia che le difficoltà che incontrano coloro che iniziano ad applicarsi ad essa, vengono, più spesso, dal modo secondo il quale è insegnata negli Elementi ordinari. In essi si inizia sempre con una gran numero di definizioni, di domande, di assiomi e di principi preliminari, che sembra non promettere al Lettore nient’altro che aridità. Le proposizioni che seguono non fissando l’attenzione su oggetti più interessanti, ed essendo, d’altra parte, difficili da immaginare, capita comunemente che i Principianti si affatichino e si disgustino, prima d’avere qualche idea distinta di ciò che si voleva insegnare loro. E’ vero che, per evitare questa aridità naturalmente appiccicata allo studio della Geometria, alcuni Autori si sono immaginati di mettere dopo ciascuna proposizione essenziale, l’uso che se ne può fare in pratica; ma con ciò essi provano l’utilità della Geometria, senza facilitare in modo apprezzabile i mezzi per apprenderla. Infatti poiché ogni proposizione viene presentata sempre prima della sua utilizzazione, l’intelletto non ritorna ad idee sensibili se non dopo essersi asciugato la fatica di afferrare idee astratte. Alcune riflessioni da me fatte sull’origine della Geometria, mi hanno fatto sperare di evitare questi inconvenienti, riunendo assieme i due vantaggi di interessare e di illuminare i Principianti. Ho pensato che - 285 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini questa Scienza, come tutte le altre, doveva essersi formata passo a passo; che verosimilmente erano state alcune necessità pratiche a suggerire i primi passi, e che questi passi non potevano essere al di fuori della portata dei Principianti, poiché erano dei Principianti coloro che li avevano fatti. Sulla scorta di questa idea, mi sono proposto di risalire a ciò che poteva avere dato origine alla Geometria; e ho cercato di svilupparne i principi con un metodo sufficientemente naturale, tanto da potersi supporre lo stesso metodo di quello dei primi Inventori, ponendo attenzione solamente ad evitare tutti i falsi tentativi che essi necessariamente avranno dovuto fare. La misura dei Terreni mi è parsa ciò che era più adatto a fare sorgere le prime proposizioni di Geometria; ed, infatti, è questa l’origine di questa Scienza, poiché Geometria significa misura dei Terreni. Alcuni autori pretendono che gli Egiziani, vedendo continuamente i limiti dei loro beni immobili distrutti dalle inondazioni del Nilo, gettarono i primi fondamenti della Geometria, cercando i mezzi per assicurarsi in modo preciso dell’estensione e della forma delle loro proprietà. Ma qualora non si facesse riferimento a questi Autori, ugualmente non si saprebbe dubitare che dai primordi, gli uomini non abbiano cercato metodi per misurare e per dividere le loro Terre. Volendo in seguito perfezionare questi metodi, ricerche particolari li condussero poco a poco a ricerche di tipo generale; ed essendosi infine proposti di conoscere il rapporto esatto di ogni sorta di grandezze, essi costituirono una Scienza avente un oggetto molto più ampio da quello che avevano adottato all’inizio, e alla quale, tuttavia, conservarono il nome datole all’origine. Al fine di seguire, in questa Opera sua via simile a quella degli Inventori, mi ricollego, all’inizio a fare scoprire ai Principianti i principi da cui può dipendere la semplice misura dei Terreni, e le distanze accessibili o inaccessibili, ecc. Di qui passo ad altre ricerche che hanno una tale analogia con le prime che la curiosità naturale di tutti gli uomini, li porta a soffermarvisi; e giustificando in seguito questa curiosità per mezzo di alcune applicazioni utili, giungo a far perlustrare tutto ciò che la Geometria elementare ha di più interessante. Non si saprebbe essere in disaccordo , mi sembra, sul fatto che questo metodo non sia adatto ad incoraggiare coloro che potrebbero essere disgustati dall’aridità delle verità geometriche, spogliate di ogni applicazione; ma spero che essa avrà ancora un’utilità più importante, vale a dire, quella di abituare lo spirito a ricercare e a scoprire; infatti io evito con cura di dare alcuna proposizione sotto forma di teorema; vale a dire, di quelle proposizioni, in cui si dimostra che la tale o la talaltra verità sussiste, senza fare vedere come si è giunti a scoprirla. Se i primi Autori di Matematica hanno presentato le loro scoperte sotto forma di teoremi, ciò è avvenuto, senza dubbio, per conferire un’aria più sorprendente alle loro produzioni, o per evitare lo sforzo di riprendere la successione di idee che li avevano condotti alle loro ricerche. Comunque siano andate le cose, mi è sembrato molto più appropriato di impegnare continuamente i miei Lettori a risolvere problemi: vale a dire, di cercare i mezzi di fare alcune operazioni, oppure di scoprire alcune verità sconosciute, determinando il rapporto che intercorre tra grandezze date e grandezze incognite, che ci si propone di trovare. Seguendo questa via, i Principianti colgono, ad ogni passo che li si conduce a fare, la ragione che determina l’Inventore; e in questo modo possono acquisire più facilmente uno spirito di inventiva. Forse mi si rimprovererà, in qualche passo di questi Elementi, di fare troppo conto della testimonianza degli occhi e di abbandonare troppo l’esattezza rigorosa delle dimostrazioni. Prego coloro che mi potrebbero rivolgere un rimprovero di questo tipo, d’osservare che io non sorvolo alla leggera che proposizioni la cui verità si scopre, se appena vi si pone attenzione. Io ne faccio uso, soprattutto agli inizi in cui si incontrano più spesso proposizioni di questo genere, perché ho osservato che coloro che hanno disposizione per la Geometria, - 286 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini provano piacere ad esercitare la loro intelligenza; e che, al contrario, essi si disgustavano allorché li si sovraccaricava di dimostrazioni, per così dire, inutili. Il fatto che Euclide si prenda la briga di dimostrare che due cerchi che si intersecano non hanno lo stesso centro, che un triangolo rinchiuso in un altro, ha la somma dei suoi lati più piccola di quella dei lati del triangolo che lo comprende, non ci sarà da stupirsi. Questo Geometra doveva convincere dei Sofisti ostinati, che si facevano vanto di rifiutare di accettare le verità più evidenti: era dunque necessario allora che la Geometria, come la Logica, avesse il soccorso del ragionamento formale, per chiudere la bocca alla cagnara. Ma le cose hanno cambiato aspetto, ogni ragionamento che conferma ciò che il buon senso da solo decide a priori, è oggi una pura perdita, e non serve che a oscurare la verità e a disgustare i Lettori. Un altro rimprovero che si potrebbe farmi, sarebbe d’avere omesso varie proposizioni, che trovano il loro posto negli ordinari Elementi, e di accontentarmi, quando tratto le proposizioni, di darne solo i principi fondamentali. A ciò rispondo che in questo trattato si trova tutto ciò che può servire a portare a termine il mio progetto, e che le proposizioni che ho trascurato sono quelle che non possono essere d’alcuna utilità, per se stesse e che, d’altra parte, non saprebbero contribuire a facilitare la comprensione di quelle di cui ci interessa avere conoscenza: che per quanto riguarda le proporzioni, ciò che ne ho detto deve bastare per fare comprendere le proposizioni elementari che le riguardano. E’ un argomento che tratterò in modo più approfondito negli Elementi di Algebra che pubblicherò in seguito. Infine, poiché ho scelto la misura dei Terreni per interessare i principianti, non dovrei preoccuparmi che si confondano questi Elementi con i soliti trattati di Agrimensura? Questo pensiero non può venire che a coloro che non considereranno che la misura dei terreni non è il vero oggetto di questo Libro, ma che mi serve solo come occasione per fare scoprire le principali verità geometriche. Avrei potuto risalire a queste verità, facendo la Storia della Fisica, dell’Astronomia o di ogni altra parte delle Matematiche che avessi voluto scegliere; ma allora la molteplicità delle idee estranee di cui ci sarebbe stato bisogno d’occuparsi, avrebbe come soffocato le idee geometriche, alle quali soltanto io dovevo fissare l’attenzione del Lettore.» Clairaut, sicuramente non digiuno di conoscenza geometrica né incapace di fornire dimostrazioni, esprime in questa prefazione le scelte forti che ha fatto, con l’intento di rendere più appetibile la Geometria al palato nobile della Marchesa di Châtelet, cioè di fare più riferimento all’intuizione che alla deduzione, per offrire la possibilità di apprendere in modo semplice i fondamenti della Geometria. Il suo tentativo è discutibile, ma ad alcune critiche cerca di rispondere in anticipo. L’analisi del testo permetterà di comprendere se effettivamente riesce nel suo intento, oppure l’opera rimane sbilanciata nei confronti dell’intuizione. Da Euclide in poi il testo degli Elementi è servito a fare apprendere due punti importanti della Matematica: da una parte il contenuto geometrico, dall’altra il veicolo logico sotto forma di ragionamento stringente e verificabile. Clairaut accentua l’attenzione sul primo aspetto a discapito del secondo. Un punto abbastanza critico della Prefazione è l’oscillazione sulla natura dell’indagine del matematico, che ha riferimento con la posizione ontologica degli enti e degli oggetti matematici. Infatti l’autore francese oscilla tra la scoperta e l’invenzione. Parla infatti di scoperta quando - 287 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini afferma :«accoutumera l’esprit à chercher et à découvrir », ma anche di invenzione, o meglio di inventori : «la raison qui détermine l’Inventeur». Non è quindi chiaro se le figure geometriche, enti astratti che hanno una loro essenza ideale, siano presenti negli oggetti (i Terreni) o siano il prodotto di uno o più inventori che hanno posto, sulla base dell’osservazione, le fondamenta di quella loro invenzione che si è deciso di chiamare Geometria, perché applicabile ai problemi catastali. Proprio per quanto detto, si tratta di un testo essenzialmente didattico, con anche intenti di pratica applicazione. Il linguaggio usato in esso è piano e scorrevole e non lascia punti di difficile comprensione. VI.2.4. La prima parte. E’ in questa parte che più di ogni altra, appaiono le scelte espositive di Clairaut. La parte ha un titolo. “Sui mezzi che era più naturale impiegare per giungere alla misura dei terreni”. A questo titolo si aggiunge come brevissima introduzione la frase «Ciò che sembra che si sia dovuto misurare all’inizio, questo sono le lunghezze e le distanze.» VI.2.4.1. Definizione di retta e perpendicolarità. Ovviamente da questa brevissima introduzione si può già comprendere che il problema della distanza è legato alla descrizione delle rette e alla perpendicolarità, in connessione con la distanza. «Articolo I.1. Per misurare una lunghezza qualunque, l’espediente che fornisce una sorta di Geometria naturale, è quello di paragonare la lunghezza di una misura comune a quella della lunghezza che si vuole conoscere.» Già qui si vede un distacco dalla geometria euclidea, che non utilizza mai una misura campione, ma parla sempre di rapporto tra due grandezze (omogenee). Il ruolo della misura comune è, a questo punto, assai radicato nella cultura francese (ed europea), a partire da Cartesio in poi. «Articolo I.2. La linea retta è la più corta da un punto a un altro, e, di conseguenza, la misura della distanza tra i due punti. Riguardo alla distanza, si vede che per misurare quella che c’è tra due punti, bisogna tirare una linea retta dall’uno all’altro, e che è su questa linea che bisogna riportare la misura comune, perché tutte le altre fanno una deviazione più o meno grande, sono più lunghe della linea retta che non fa alcuna [deviazione].» Il corsivo del testo mette in evidenza il punto centrale di questo articolo. Non è chiaro (e non lo sarà mai in tutto il testo) se si tratta di una definizione o di una proprietà da assumere come assioma, o ancora una Proposizione da dimostrare. La parte scritta non in corsivo non chiarisce come considerare l’incipit dell’Articolo. Ci sono alcuni aspetti importanti: la retta sembra data come un termine ben noto, così come il concetto di punto. La definizione ricalca una posizione di Archimede a riguardo delle rette. La retta sembra però quella ‘terminata’ di Euclide, dato che si afferma che la retta è la misura della - 288 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini distanza tra i due punti. Se si pensasse alla retta illimitata bisognerebbe introdurre la nozione di segmento, che qui non appare. È ovvio che l’impostazione presenta un circolo vizioso: la retta è la più breve ed è la distanza, ma per trovare la distanza si opera sulla retta. Assunto il testo di questo articolo come una definizione-postulato, si potrebbe costruire un modello diverso in cui al posto delle rette intuitive si considerano archi di curva e dire che questi sono i più brevi, misurando la distanza su essi. la ‘retta’ vera e propria presenterebbe allora delle ‘deviazioni’, per cui sarebbe più lunga. Questa non è ‘fantascienza’, ma quello che avviene sulla superficie della Terra, ovviamente se non la si considera piatta, come tra l’altro doveva essere ben noto a Clairaut che cinque anni prima della pubblicazione del testo di Geometria, era andato in Lapponia per provarlo! Insomma in questo Articolo non è chiaro se la nozione di retta sia una conseguenza di quella di distanza o sia viceversa. La stessa critica sarà applicabile alla definizione di retta che Legendre adotterà. «Articolo I.3. Una linea che cade su un’altra senza pendere su di essa da nessun lato, è perpendicolare a tale linea. Oltre alla necessità di misurare la distanza di un punto dall’altro, capita spesso che si è, inoltre, obbligati a misurare la distanza di un punto da una linea. Un uomo, per esempio, posto in D sul bordo di un fiume (fig. 1), si propone di sapere quanto c’è dal luogo in cui lui è posto all’altro bordo AB. E’ chiaro che, in questo caso, per misurare la distanza cercata, bisogna prendere la più corta di tutte le linee rette DA, DB, ecc. che si possa tirare dal punto D alla retta AB. Ora è facile vedere che questa linea più corta di cui si ha bisogno, è la linea DC, che si suppone non pendere né verso A, né verso B. E’ dunque su questa linea, alla quale è stato dato il nome di perpendicolare, che bisogna riportare la misura nota, per avere la distanza DC, dal punto D, alla retta AB. Ma si vede altresì, che per ‘portare’ questa misura sulla linea DC, bisogna che questa misura sia stata precedentemente tirata. Era dunque necessario avere un metodo per tracciare delle perpendicolari. » In questo articolo sono dati per scontati vari fatti: che si possano tracciare le infinite rette che si ottengono congiungendo D con i punti di AB e non considerare solo DA e DB, ma ciò fa pensare ad una retta (segmento) costituita di punti. Clairaut non si sbilancia su quanti siano questi punti, nascondendo l’infinito sotto un eccetera. Poi dà per scontato che sia possibile realizzare il confronto sugli infiniti enti così trovati e che esista e sia unica la ‘retta’ più breve. Un’ulteriore osservazione è relativa alla frase «à la quelle on a donneé le nom de perpendiculaire» in cui sembra scaricarsi della responsabilità di avere utilizzato un termine colto, dandone ‘la colpa’ all’impersonale autore di tale decisione, da cui pare quasi dissentire. Compare inoltre una nozione di tipo angolare, la pendenza, non definita, su cui si basa la teoria della perpendicolarità. Ma ciò significa che i suoi Éléments non possono prescindere dalla tradizione geometrica accademica, si tratta solo di una rivisitazione in linguaggio piano, con intenti didattici. - 289 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini E’ assai importante l’uso dei verbi di visione: «il est aisé de voir […] on voit aussi» che stanno ad indicare il ruolo fondamentale del disegno; anche le affermazioni di chiarezza o ovvietà «Il est clair» hanno, in questa presentazione un ruolo didattico importante, richiamando un principio di autorità che è un po’ in opposizione su una delle finalità riconosciute all’insegnamento della geometria, vale a dire l’educazione allo spirito critico. Si può riscontrare, inoltre, un uso del Principio di ragione sufficiente di Leibniz nel fatto che la perpendicolare non penda né da una parte né dall’altra. VI.2.4.2. Rettangoli e alcune costruzioni. Il testo continua presentando i rettangoli ed alcune costruzioni basate sulla perpendicolarità. «Articolo I.4. Il rettangolo è una figura di quattro lati perpendicolari gli uni agli altri, e il quadrato è un rettangolo i cui quattro lati sono uguali. C’era ancora bisogno di tracciarne in un’infinità di altre occasioni. Si sa, per esempio, che la regolarità delle figure quali ABCD, FGHI (fig. 2 e 3), chiamate rettangoli e composte di quattro lati perpendicolari, gli uni agli altri, costringe a dare le loro forme alle case, ai loro interni, ai giardini, alle camere, ai pezzi di muri, ecc. La prima di queste figure ABCD, di cui i quattro lati sono uguali, si chiama comunemente quadrato. L’altra, FGHI, che ha solo i lati opposti uguali, ha nome di rettangolo.» Non è che in questo Articolo Clairaut dia la risposta alla richiesta con cui terminava l’articolo precedente, vale a dire di come fare per costruire una perpendicolare, ma qui presenta due figure fondamentali, con una sorta di definizione. La definizione è diversa da quella di Euclide in quanto si considerano i quadrati come particolari rettangoli. Si noti però che l’esistenza di un rettangolo è equivalente alla accettazione del postulato della parallele che quindi implicitamente viene assunto dall’autore francese senza particolari remore. «Articolo I.5. Modo di elevare una perpendicolare. In operazioni diverse che richiedono che si conduca delle perpendicolari, si tratta, o di abbassarne una su una linea, da un punto preso fuori, o di elevarne una da un punto situato sulla linea stessa. Infatti, se dal punto C (fig. 4), preso sulla linea AB, si voglia elevare la linea CD perpendicolare ad AB, sarà necessario che questa linea non penda né verso A né verso B. Supponendo dapprima che C sia a uguale distanza da A e da B, e che la retta CD non penda da nessun lato, è chiaro che ciascuno dei punti di questa linea sarà ugualmente distante da A e da B; non si tratterà quindi che di trovare un punto D, tale che la sua distanza dal punto A, sia uguale alla distanza dal punto B: poiché in tale caso congiungendo C e questo punto mediante un linea retta CD, questa linea sarà la perpendicolare richiesta. Infatti poiché il punto D apparterrà ugualmente ai due archi PDM, QDN descritti per mezzo di una misura comune, la sua distanza dal punto A uguaglierà la sua distanza dal punto B. Dunque CD non penderà né verso A, né verso B. Dunque questa linea sarà perpendicolare su AB. - 290 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini Se il punto C non si trova ad uguale distanza da A e da B (fig. 5), bisogna prendere altri due punti a e b , ugualmente distanti da C, e servirsene al posto di A e B, per descrivere gli archi PDM, QDN. » In questo articolo è da segnalare il fatto che lo spazio di Clairaut non è uno spazio isotropo, dato che sono frequenti i termini ‘innalzare’ ed ‘abbassare’, che trovano riscontro nelle figure allegate, sottintendendo quindi un ‘alto’ e un ‘basso’ sulla base di una nozione di verticalità non esplicitata. Non specifica l’apertura del compasso che, a priori può non essere nota e quindi i due archi potrebbero non intersecarsi in un punto D. Il fatto che ciò accada nella figura allegata, non è una garanzia, se il fatto non viene opportunamente commentato ed integrato. Sono poi utilizzati implicitamente i Criteri di congruenza dei triangoli, che saranno introdotti ben dopo. «Articolo I.6. Il cerchio è la traccia intera che descrive la punta mobile di un compasso mentre essa ruota intorno ad un’altra punta. - Il centro è il luogo della punta fissa. Il raggio è l’intervallo di cui il compasso è aperto. - Il diametro è il doppio del raggio. Se una delle tracce, quale ad esempio PDM (fig. 4), era continuata in O, in E, in R, ecc., finché quella [la punta] ritorna allo stesso punto P, la traccia intera si chiamerà circonferenza del cerchio, o semplicemente il cerchio. Il punto fisso A, il suo centro o quello del cerchio. E l’intervallo AD, il suo raggio. Ogni linea, come DAE, che passa per il centro A, e che finisce sulla circonferenza, è chiamata diametro; è evidente che questa linea è doppia del raggio e talvolta è chiamata semidiametro. » Si tratta di una costruzione – definizione dell’oggetto geometrico. La parte in corsivo confonde tra circonferenza e cerchio. Nella parte non in corsivo, viene specificato cosa si debba intendere per circonferenza (del cerchio) e cerchio, per poi, di nuovo confondere i due concetti. Il compasso di Clairaut non è quello teorico che traspare da Euclide, ma quello meccanico che ha una punta fissa ed una punta scrivente, il compasso meccanico di cui ci si serve anche oggi. La sua rigidità strutturale è garanzia che tutti i punti della circonferenza siano equidistanti dal centro. Spesso nel testo si parla di linea sottintendendo retta, ma talvolta non è così chiaro che si parli proprio della retta, dato che, ad esempio nell’Art. I.13. parla di linee curve, dunque non si può ritenere che linea per antonomasia sia quella retta. «Articolo I.7. Modo di abbassare una perpendicolare. Il modo di innalzare una perpendicolare su una linea AB (fig. 6), fornisce quella d’abbassarne una da un punto qualunque E, preso al di fuori di questa linea; poiché, piazzando in E, o l’estremità di un filo, o la punta del compasso e con uno stesso intervallo [raggio] Eb, marcando due punti a e b sulla linea AB, si cercherà, come nell’articolo precedente, un altro punto D, la cui distanza , dal punto a e al punto b sia la stessa, e mediante questo punto e attraverso E, si condurrà la retta DE, che avendo ciascuna delle sue estremità ugualmente - 291 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini distanti da a e da b, e non pendendo verso l’uno o l’altro di questi punti, sarà perpendicolare su AB. » Anche in questo testo, che è poi quello da cui si è preso il nome di ‘Articolo’, non si pone attenzione che la corda sia abbastanza lunga, o che il compasso sia sufficientemente aperto perché effettivamente esistano intersezioni con AB e neppure troppo lunga oppure con il compasso troppo aperto perché sia necessario prolungare AB. Condizioni e discussioni di questo tipo (diorismi, secondo l’antica definizione) compaiono assai raramente nell’opera in esame. «Articolo I.8. Tagliare una linea in due parti uguali. Dall’operazione precedente segue la soluzione di un nuovo problema. Se si trattasse di dividere una linea retta AB in due parti uguali (fig. 7); i punti A, B, presi come centri, e con un’apertura di compasso qualunque, si descriveranno gli archi REI, GEF, poi con gli stessi centri, e con la stessa, oppure di una altra apertura che si vorrà, si descriveranno gli archi PDM, QDN, allora la linea ED che congiungerà i punti di intersezione E e D, taglierà AB in due parti uguali, nel punto C. » I due articoli precedenti hanno in comune il fatto che sono esplicite costruzioni che troverebbero posto in un trattato di Disegno tecnico, più che in uno di Geometria, sia per la mancanza di attenzione alla problematica esistenziale (per le aperture arbitrarie del compasso) sia perché dal testo senza la figura non si potrebbe escludere che la ‘retta’ ED non prolungata, potrebbe non tagliare la ‘retta’ AB se i punti E e D non fossero in semipiani diversi, cosa che appare chiara nel disegno, ma non si evince dal testo. Il fatto di considerare implicitamente i semipiani porta con sé l’intuizione dell’ordine e della continuità, di cui non si fa menzione. Altre due costruzioni sono date nei due seguenti Articoli: «Articolo I.9. Fare un quadrato avendone il suo lato. Avendo trovato il modo di tracciare delle perpendicolari, niente sarebbe più facile che servirsene per fare queste figure che si chiamano rettangoli o quadrati di cui si è parlato nell’Articolo I.4. Si vede che per fare un quadrato ABCD (fig. 2), di cui i lati siano uguali alla linea data K, bisogna prendere sulla retta GE, un intervallo AB, uguale a K, poi elevare (Articolo I.5.) dai punti A e B delle rette perpendicolari AD, BC, ciascuna uguale a K, e poi tirare DC. Articolo I.10. Fare un rettangolo, di cui la lunghezza e la larghezza sono date. Se si vuole tracciare un rettangolo FGHI (fig.3), di cui la lunghezza fosse K, e la larghezza L, si farà FG uguale a K, poi si eleveranno le perpendicolari FI e GH, ciascuna uguale a L, poi si tirerà HL. » Si sono raggruppati questi due articoli per la somiglianza delle costruzioni descritte. Di fatto si tratta delle costruzioni del quadrilatero birettangolo isoscele di Saccheri (apparso nel testo Euclides ab omni nævo vindicatus, del 1733) e il fatto che si ottenga un quadrato o un rettangolo, vale a dire che anche i due altri angoli siano retti (e che DC nel primo caso, HL nel secondo, siano uguali a K) è equivalente al postulato delle parallele. Nelle costruzioni presentate si adopera il trasporto rigido, eventualmente realizzato mediante il compasso (meccanico). - 292 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini «Articolo I.11. Le parallele sono linee sempre ugualmente distanti le une dalle altre. – Condurre una parallela ad una linea data da un punto assegnato. Nella costruzione di opere, come bastioni, canali, strade, ecc., si ha bisogno di condurre linee parallele, vale a dire, linee di cui la posizione sia tale che i loro intervalli abbiano ovunque per misura perpendicolari della stessa lunghezza. Ora per condurre queste parallele, nulla, ci sembra, è più naturale di ricorrere ai metodi per tracciare i rettangoli. Infatti, sia AB (fig. 8), per esempio, uno delle rive di un qualche canale, o di qualche bastione, ecc., al quale si voglia dare la larghezza CA; o, per enunciare il quesito in modo più geometrico e più generale, si suppone che si voglia condurre da C, la parallela CD a AB, si prenderà a piacere un punto B nella linea, e si opererà nella stessa maniera di quanto visto se avendo la base AB, si volesse fare un rettangolo ABCD, che avesse AC per altezza. Allora le linee CD, AB, essendo prolungate all’infinito, sarebbero sempre parallele, o, ciò che consegue ugualmente, esse non si incontrerebbero mai.» L’Articolo si apre con una definizione di rette parallele basate sulla distanza e promette una costruzione di rette parallele. Poi si rifà ad un Articolo precedente (I.4.). Compare il fatto di dovere prolungare all’infinito le linee (rette). VI.2.4.2. Misura dell’estensione di Rettangoli. Dopo questi primi Articoli che trattano alcune figure elementari, Clairaut passa a introdurre la misura dell’area e, si può dire, che lo faccia come i maestri d’oggi. Non è facile sapere se egli incorpori una tradizione didattica o la stia creando. Nelle Geometria greca le argomentazioni dell’Autore francese sono solo suggerite implicitamente dai risultati sulla proporzionalità tra lati e area del rettangolo. «Articolo I.12. La misura di un rettangolo è il prodotto della sua altezza per la sua base. La regolarità delle figure rettangolari, facendole utilizzare spesso, come si è già detto, fa sì che si presentino molti casi in cui si ha bisogno di conoscere la loro estensione. Si tratterà, per esempio, di determinare quanta tappezzeria serve per una camera, o la recinzione di una casa, avente una forma rettangolare, quanti arpenti comprenda, ecc. Ci si accorge che per giungere a questi tipi di determinazioni, i mezzi più semplici e più naturali sono quelli di servirsi d’una ordinaria forma di misura, che applicata più volte sulla superficie da misurare, la copra interamente.: Metodo che riprende, in modo analogo, quello di cui ci si è già serviti per misurare la lunghezza delle linee. Ora è evidente che la misura ordinaria delle superficie deve essere essa stessa una superficie, per esempio, quella di una tesa quadrata, d’un piede quadrato, ecc. Così, misurare un rettangolo è determinare il numero di tese quadrate, o di piedi quadrati, ecc. che contiene la sua superficie. Prendiamo un esempio, per rinfrancare un poco lo spirito. Supponiamo che il rettangolo dato ABCD (fig. 9), abbia 7 piedi di altezza su una base di 8 piedi, si potrà guardare questo rettangolo come suddiviso in 7 fasce a, b, c, d, e, f, g che conterranno ciascuna 8 piedi quadrati; il valore del rettangolo sarà dunque 7 volte 8 piedi quadrati, vale a dire, 56 piedi quadrati. - 293 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini Ora, se ci si ricorda dei primi elementi di calcolo aritmetico, e che torni alla mente che moltiplicare due numeri è prendere l’uno tante volte quante l’unità è contenuta nell’altro, si troverà un’analogia perfetta tra la moltiplicazione ordinaria e l’operazione mediante la quale si misura un rettangolo. Si vedrà che moltiplicando il numero delle tese o dei piedi, ecc., che dà l’altezza, per il numero di tese o piedi, ecc. che dà la sua base, si determinerà la quantità di tese quadrate, o di piedi quadrati, ecc. che contiene la sua superficie.» In questa determinazione dell’area è evidente che si presenti un’argomentazione basata sulla figura e su conoscenze aritmetiche. Potrebbe sembrare che Clairaut abbia scelto la presentazione di un esempio generalizzabile, ma la generalizzazione (introdotta da verbi di visione: «On verra […]») può essere applicabile solo a rettangoli con i lati tra loro commensurabili, ciò che costituisce una restrizione effettiva molto particolare. L’accenno a misure ‘ordinarie’ di lunghezze e di estensioni agrarie (gli arpenti) permette di dire che qui più che Geometria si tratti di Estimo catastale. «Articolo I.13. Le figure rettilinee sono quelle che terminano con linee rette. – Il triangolo è una figura terminata [delimitata] da tre linee rette. Le figure che si devono misurare, non sono sempre regolari, come i rettangoli, tuttavia c’è spesso bisogno della loro misura; talvolta si tratterà di determinare l’estensione di un’opera costruita su un terreno che mancherà di regolarità, talvolta si vorrà sapere quanti arpenti costituiscono una terra con un contorno irregolare: c’era dunque bisogno che al metodo di determinazione l’estensione dei rettangoli si aggiungesse quella di misurare le figure che non sono rettangolari. Si vede dapprima che, per la pratica, la difficoltà non è altro che quella di determinare la misura di figure rettilinee quale ABCDE (fig. 10), vale a dire [la misura] delle figure terminate da linee rette; infatti se nel contorno di un terreno, si trova qualche linea curva, come nella figura ABCDEFG (fig. 11), è evidente che queste linee, suddivise in tante parti quante sarà necessario per evitare ogni errore sensibili, potranno sempre essere prese per una assemblaggio di linee rette. Posto ciò, si vede che, malgrado l’infinita varietà di figure rettilinee, si possono misurarle tutte nello stesso modo, suddividendole il figure di tre lati, chiamate comunemente triangoli; ciò che si farà nel modo più semplice e più comodo, se, da un punto qualunque A del contorno della figura ABCDE (fig. 10), si conducono le rette AC, AD, ecc., ai punti C, D, ecc.» L’impressione dell’utilizzazione di strumenti per l’Estimo si conferma nel fatto che ci si avvale di approssimazioni che rendano percorribili, in pratica le misure dei terreni. Ovviamente Clairaut non si pone i problemi generati dalla Geometria frattale, per cui una linea potrebbe essere tale da non poter essere suddivisa «in tante parti quante sarà necessario per evitare ogni errore sensibile». C’è sotto anche un’intuizione di limite: fissato l’errore sensibile trovare una scomposizione della linea in modo che l’errore commesso sia minore di quello fissato, una tipica affermazione dl tipo ∀-∃ . - 294 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini In questo articolo compaiono, senza alcuna definizione, le linee curve. Ci sarebbe stata la possibilità di parlarne anche prima, ad esempio nell’Art. I.6. in cui si introduce il cerchio e la circonferenza, ma le uniche linee di cui si parla in detto articolo sono i diametri. Quando utilizza delle circonferenze parla di archi, Artt. I.5, I.8. Compare qui dunque per la prima volta la nozione di linea curva, ovviamente senza una definizione appropriata, al di là del disegno. Compare anche la nozione di triangolo come poligono a tre lati. Il problema delle determinazione dell’estensione di una figura poligonale, o quasi, è quindi ridotta a quella dei triangoli. Inizia qui una serie di Articoli volti a mostrare, con una certa ‘pesantezza’ espositiva, che è possibile ricondurre lo studio dei triangoli a quello dei rettangoli. Tale ‘pesantezza’ deriva dall’avere evitato di introdurre i parallelogrammi. «Articolo I.14. La Diagonale d’un rettangolo è la linea che divide in due triangoli uguali. – I triangoli rettangoli sono quelli che hanno due dei loro lati perpendicolari l’uno all’altro. – Un triangolo è la metà del rettangolo che ha la stessa base, e la stessa altezza; dunque la sua misura è la metà del prodotto della sua altezza per la sua base. Non si tratterà dunque che d’avere la misura dei triangoli che si saranno formati. Ora si sa che per trovare ciò che si ignora, il mezzo più sicuro è quello di cercare se in ciò che si conosce, ci sia qualcosa che si riferisca a ciò che si voglia conoscere; ma si è già visto che per ogni rettangolo ABCD (fig. 12), è uguale al prodotto della sua base AB per la su altezza CB. D’altra parte è facile scorgere che questa figura tagliata trasversalmente dalla linea AC, chiamata diagonale, si trovi divisa in due triangoli uguali, e da ciò si inferisce che ciascuno dei due triangoli uguaglierà la metà del prodotto della loro base AB o DC, per le loro altezze CB o DA. E’ vero che non capita spesso che i triangoli da misurare, abbiano lati rispettivamente perpendicolari, come nei triangoli ABC, ADC, che si chiamano triangoli rettangoli; ma nulla impedisce di ridurre tutti i triangoli a questa specie. Infatti, se dal punto A, vertice d’un triangolo qualunque ABC (fig. 13), si abbassa la perpendicolare AD, sulla base BC, il triangolo ABC si troverò suddiviso in due triangoli rettangoli ABD, ADC. Riprendendo dunque ciò che si è appena detto, è evidente che come i due triangoli ABD, ADC saranno la metà dei rettangoli AEBD, ADCF, il triangolo proposto ABC, sarà, ugualmente, la metà del rettangolo EBCF, che avrà BC per base, e AD per altezza: ma poiché la superficie del rettangolo ABCF uguaglierà il prodotto dell’altezza EB o AD per la base BC, il triangolo ABC avrà per misura la metà del prodotto della base BC per la perpendicolare AD, altezza del triangolo. Si ha quindi un modo per misurare tutti i terreni terminati da linee rette, poiché non se ne trova alcuno che non possa ridursi a questi triangoli e poiché si sa abbassare dai vertici delle perpendicolari alle loro basi. » In questo articolo vi sono vari motivi di interesse. La ‘definizione’ di diagonale così come viene formulata, viene ripresa da Gergonne nel 1818 come esempio specifico di definizione implicita. L’argomentazione di Clairaut sottintende, come cosa ovvia, l’additività della misura, ma questa - 295 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini solitamente è parte integrante della nozione di misura. Poi quando afferma «Infatti, se dal punto A, vertice d’un triangolo qualunque ABC (fig. 13), si abbassa la perpendicolare AD, sulla base BC, il triangolo ABC si troverò suddiviso in due triangoli rettangoli ABD, ADC.» sa di mentire, come provano alcuni articoli successivi e non ne avrà più abbastanza di accettare strettamente solo l’additività della misura, ma gli servirà fare la differenza tra misure. Ciò perché se dal vertice A si conduce la perpendicolare alla retta BC, può darsi che tale perpendicolare non incontri il segmento BC perché il triangolo è ottusangolo. C’è poi un brano che riveste importanza come preannuncio delle idee di Pólya sul problem-solving: «Ora si sa che per trovare ciò che si ignora, il mezzo più sicuro è quello di cercare se in ciò che si conosce, ci sia qualcosa che si riferisca a ciò che si voglia conoscere» e ciò è in piena sintonia con una parte importante della prefazione: «mi è sembrato molto più appropriato di impegnare continuamente i miei Lettori a risolvere problemi: vale a dire, George Pólya (1887 – 1985) di cercare i mezzi di fare alcune operazioni, oppure di scoprire alcune verità sconosciute, determinando il rapporto che intercorre tra grandezze date e grandezze incognite, che ci si propone di trovare. Seguendo questa via, i Principianti colgono, ad ogni passo che li si conduce a fare, la ragione che determina l’Inventore; e in questo modo possono acquisire più facilmente uno spirito di inventiva.» Inizia di qui ad emergere l’idea che l’apprendimento avvenga mediante problemi e che di fronte ad un problema bisogna cercare di rielaborare le informazioni note per risolvere problemi incogniti, proprio secondo una di quelle regole che verranno poste alla base dell’attività di risoluzione dei problemi da Polya. VI.2.4.3. Area dei triangoli. A completamento di quanto visto nell’Articolo precedente «Articolo I.15. I triangoli che hanno la stessa altezza e la stessa base, hanno delle superficie uguali. Da ciò che era presente nel metodo che abbiamo appena dato, per misurare l’area o la superficie dei triangoli, non si adopera altro che le loro basi e le loro altezze, senza porre attenzione alla lunghezza de[gli altri] lati, si ottiene questa proposizione, o questo teorema, che tutti i triangoli come ECB, ACB (fig. 14), che hanno una base comune CB, e di cui le altezze EF, AD, sono uguali, hanno la stessa superficie. Articolo I.16. Per facilitare la comprensione del principio che fornisce la misura dei triangoli, abbiamo creduto che bastasse scegliere per base un lato sul quale poteva cadere la perpendicolare abbassata dal vertice opposto, ciò che si ha sempre la libertà di fare, quando si tratta della misura dei terreni. Ma nel paragone tra triangoli che hanno la stessa base, le perpendicolari abbassate dai loro vertici possono cadere fuori del triangolo, come nella figura 15, sembra che sia necessario vedere se i triangoli quali BCG sono nel caso rientra negli altri casi; vale a dire, se sono sempre la metà dei rettangoli ECBF, che hanno la perpendicolare GH per altezza. Ma è ciò di cui è facile assicurarsi, osservando che il triangolo CGH, somma dei due triangoli CGB, GBH, è la metà del rettangolo ECHG, somma dei due rettangoli ECBF, FBHG, e, che così i due triangoli CGB, GBH, presi assieme, valgono la metà del rettangolo ECHG: ora il triangolo GBH, è la metà del rettangolo FBHG; dunque il triangolo proposto BCG, è la metà dell’altro rettangolo ECBF, che ha BC per base, e GH per altezza. - 296 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini Articolo I.17. I triangoli che hanno la stessa base, e che sono rinchiusi entro le stesse parallele, sono uguali in superficie. La proposizione dimostrata nei tre articoli precedenti, può enunciarsi ancora generalmente in questi termini: i triangoli EBC, ABC, GBC, (fig. 16), sono uguali, qualora abbiano una base comune BC e che sono tra le stesse parallele EAG, CBH; vale a dire allorché i loro vertici E, A, G, si trovano in una stessa linea retta EAG, parallela alla retta CB. Poiché allora (Art. I.11.) le loro altezze, misurate mediante le perpendicolari EF, AD, GH, sono le stesse.» Si conclude con questi due ultimi tre articoli il problema dell’area dei triangoli. Quello che Clairaut non prova è che se si cambia di ‘base’ e di ‘altezza’ in un triangolo, l’area non cambia, anche se sembra accennarvi quando afferma «abbiamo creduto che bastasse scegliere per base un lato sul quale poteva cadere la perpendicolare abbassata dal vertice opposto, ciò che si ha sempre la libertà di fare». Dà inoltre per scontato che se due triangoli sono la metà di due rettangoli, assemblando e disassemblando i due rettangoli i si conservi il rapporto di metà. Sotto c’è l’intuizione algebrica, cui tra l’altro fa riferimento nell’Art. I.12, che era assai più sviluppata al tempo di Clairaut di quanto non fosse ai tempi di Euclide. E’ interessante osservare che al complesso degli Artt. I.15 – I.16, attribuisce il valore di dimostrazione di una Proposizione o Teorema. Si tratta certamente di un’argomentazione abbastanza elaborata, ma troppo basata sulla rappresentazione grafica per annetterle il valore di dimostrazione. I due articoli successivi introducono e studiano i parallelogrammi, e si riportano solo le parti in corsivo dei testi di tali articoli. «Articolo I.18. I Parallelogrammi sono figure di quattro lati, di cui i due lati opposti sono paralleli. Si misurano moltiplicando la loro altezza per la loro base.» «Articolo I.19. I Parallelogrammi che hanno una base comune e sono entro le stesse parallele, sono uguali in superficie.» Per queste figure si applica la tecnica proposta nell’Art. I.14 di suddividere la figura in triangoli e di lavorare sulle aree dei triangoli per risalire a quella dei parallelogrammi che ne sono il doppio. VI.2.4.4. Area dei poligoni regolari. Clairaut passa poi ai poligoni. «Articolo I.20. I Poligoni regolari sono figure che terminano con lati uguali, ed ugualmente inclinati gli uni sugli altri. Ci sono ancora altra figure rettilinee che è facile misurare, e che si chiamano poligoni regolari, figure che terminano con lati uguali, ce hanno tutti la medesima inclinazione gli uni sugli altri. Tali sono le figure ABDEF, ABDEFG, ABDEFGH (fig. 20, 21 e 22). Dato che si ha l’abitudine di dare la forma simmetrica di queste figure a bacini, fontane, piazze pubbliche, ecc., credo che prima di apprendere a misurarle, bisogni vedere come si tracciano. - 297 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini Articolo I.21. Maniera di descrivere un poligono con un numero determinato di lati. – Il Pentagono ha 5 lati, l’Esagono 6, l’Ettagono 7, l’Ottagono 8, l’Ennagono 9, il Decagono 10, ecc. Si descriva una circonferenza di cerchio; la si divida in tante parti uguali quanti si vorranno dare lati al poligono; poi si conducano le linee AB, BD, DE, ecc. dai punti A, B, D, E, ecc. che suddivideranno la circonferenza, si avrà il poligono cercato, che si chiamerà o pentagono, o esagono, o ettagono, o ottagono, o ennagono, o decagono, ecc., a secondo che avrà o cinque, o 6, o 7, o 8, o 9, o 10, ecc. lati.» Nel primo Articolo i poligoni regolari vengono dati con le condizione di uguaglianza dei lati e con l’inclinazione, invece che la condizione di isogonia. La nozione di angolo verrà presentata solo nel successivo Art. 27. Questi due Articoli sono presentati assieme perché il primo dei due si conclude con la promessa di indicare come tracciare i poligoni regolari. Nel secondo Articolo ciò non avviene in modo effettivo, per cui sembra che l’attenzione sia più sul piano linguistico di precisazione dei termini da utilizzare per individuare i poligoni, termini colti di origine greca. C’è, è vero, la connessione tra il problema della costruzione dei poligoni regolari e quello della ciclotomia, ma non è affrontato, dato che non ci sono indicazioni su come ottenere la suddivisione della circonferenza in parti uguali. Il problema ai tempi di Clairaut era assai dibattuto. De Moivre aveva ottenuto una soluzione in termini trigonometrici, Gauss pochi anni dopo risolverà il problema generale della ciclotomia con riga e compasso. Abraham de Moivre (1667 – 1754) E’ da notare la presenza di una ipostatizzazione ‘fantasma’: nel primo Articolo vengono indicati i vertici dei poligoni evitando la lettera C, iniziale di centro, che invece compare nella figura 22. Una diversa interpretazione di questa scelta è quella poi di leggere il successivo Art. I.22, come una possibile generalizzazione anche ad altri poligoni. «Articolo I.22. Misura della superficie d’un Poligono regolare. – L’apotema è la retta perpendicolare abbassata dal centro della figura su uno dei suoi lati. Per avere la misura d’un poligono regolare, si potrebbe impiegare il metodo che si è già dato (Art. I.13.) per ogni figura rettilinea; ma ci si avvede facilmente che è più breve di suddividere il poligono in triangoli uguali, che abbiano tutti il centro C per vertice. Infatti, prendendo uno di questi triangoli, CBD per esempio (fig. 22), e tirando sulla base BD la perpendicolare CK, che d’ora in poi, sarà chiamato l’apotema del poligono, come l’area del triangolo varrà il prodotto della base BD, per la metà di CK, questo prodotto, preso tante volte quanti lati ha il poligono, darà l’area della figura intera.» Segue un Articolo sulla costruzione del triangolo equilatero di cui si accenna alla possibilità di suddividere la circonferenza in tre parti uguali. Mostra poi come costruire un triangolo equilatero così come fa Euclide nella Eucl. Prop. I.1. (cfr. II.4.6). Di un certo rilievo geometrico è il successivo Articolo. - 298 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini «Al metodo di descrivere geometricamente il triangolo equilatero e il quadrato, i primi di tutti i poligoni, potrò aggiungere quello di tracciare geometricamente un pentagono, come hanno fatto più Autori negli Elementi che ci hanno dato; ma dato che i Principianti, per i quali solo noi lavoriamo qui, non scorgeranno che con molta fatica la strada che ha dovuto seguire l’intelletto, cercando il modo di tracciare questa figura, strada che l’Algebra ci ha messo alla portata di scoprirla, noi ci crediamo obbligati di rinviare la descrizione del pentagono al Trattato [di Algebra] che seguirà questo, e nel quale si aggiungerà questa descrizione a quella di tutti gli altri poligoni che avranno un numero più grande di lati, e che senza il soccorso dell’Algebra, non potrebbero essere descritti geometricamente. Dei poligoni che hanno più di cinque lati, e che ha detto non poter essere descritti che per mezzo del calcolo algebrico, ne fanno eccezione quelli di 6, di 12, di 24, di 48, ecc., e quelli di 8, di 16, di 32, di 64, ecc. lati, che si possono facilmente descrivere mediante i metodi che fornisce la Geometria elementare, come si vedrà alla fine di questa prima Parte.» Come si vede, una delle prime volte che sono indispensabili le grandezze incommensurabili, per realizzare una costruzione, tra l’altro ben nota e stabilita in ambito geometrico, Clairaut evita il problema rimandando ad un trattato di Algebra, che apparirà nel 1746. La giustificazione è quella che il suo trattato è riservato ai principianti. Si comprende così perché l’autore francese abbia limitato la considerazione dei rettangoli con i lati commensurabili. VI.2.4.5. I Criteri di congruenza dei triangoli – Gli angoli. Clairaut mostra ora come sia necessario, per esigenze pratiche, introdurre i Criteri di congruenza dei triangoli, ma utilizza anche una nozione assai ‘strana’ di similitudine. Ciò inizia nell’Articolo I.25 in cui introduce, si fa per dire, l’uguaglianza simile: «Articolo I.25. Ritorno alla misura dei Terreni e vedo che quelli che si vogliono misurare, sono spesso tali che si ‘oppongono’ alle operazioni che seguono le prescrizioni dei metodi precedenti. Suppongo che ABCDE (fig. 24) sia la figura c’un campo, di un terreno recintato, eccetera, di cui si voglia avere la misura. Seguendo ciò che si è visto, bisognerà suddividere ABCDE in triangoli come ABC, ACD, ADE; poi misurare questi triangoli, dopo avere abbassato le perpendicolari EF, CF, BG: ma nello spazio ABCDE, si trovano alcuni ostacoli, un rilievo, per esempio, un bosco, uno stagno, ecc. che impediscono che si mandino linee di cui si avrebbe bisogno; cosa bisognerà fare allora? Quale metodo si dovrà seguire per rimediare agli inconvenienti del terreno. Quello che per primo viene in mente è di scegliere qualche terreno piano, sul quale si possa operare, e di descrivere su questo [nuovo] terreno dei triangoli uguali e simili ai triangoli ABC, ACD, ecc. Vediamo come ce la caveremo per formare dei nuovi triangoli. » Pertanto l’uguaglianza simile ha il compito di ricondurre a casi più abbordabili, casi difficili. Da notare che cosa sia ‘simile’ non è stato definito e che nel testo parla di «uguali e simili», relazione - 299 - Appunti di Geometria classica A.A. 2005-2006 Capitolo VI – La Geometria dal XVIII secolo in poi. Carlo Marchini ancora meno definita, che potrebbe far venire in mente e figure uguali e similmente poste (o descritte) di Euclide (cfr. Eucl. Prop. VI.31. in III.6.3.4.). Ed ecco il (terzo) Criterio di congruenza «Articolo I.26. Conoscendo i tre lati di un triangolo, fare un altro triangolo che sia a lui uguale. Cominciamo col supporre che l’ostacolo si trovi all’interno del triangolo ABC (fig. 25), i cui lati siano noti e che si voglia tracciare un triangolo uguale e simile sul terreno scelto: come prima cosa si descriverà una linea DE uguale ad AB (fig. 25 e 26), poi prendendo una corda della lunghezza BC, e fissando una delle sue estremità in E si descriverà l’arco IFG, che avrà la corda per raggio; e per mezzo di un’altra corda, presa uguale ad AC e di cui si attaccherà similmente uno dei capi in D, si traccerà l’arco KFH, che taglierà il primo nel punto F; allora conducendo le linee DF e FE, si avrà un triangolo DEF, uguale e simile al triangolo proposto ABC; ciò che è evidente essendo i lati DF e EF, che si uniranno nel punto F, rispettivamente uguali ai lati AC e BC, uniti nel punto C, ed avendo preso la base DE uguale a AB, non sarà possibile che la posizione delle linee DF e EF su DE sia differente della posizione delle linee AC e BC su AB. E’ vero che si potrebbero prendere le linee Df, Ef, al disotto di DE; ma il triangolo si ritroverebbe ancora lo stesso, sarebbe semplicemente rovesciato.» Come si vede lo spazio di Clairaut è uno spazio anisotropo, in cui ci sono delle direzioni privilegiate, un sopra ed un sotto. Per questi motivi i triangoli ABC, DEF e DEf sono uguali, ma solo ABC e DEF sono anche simili, mentre DEf è rovesciato. A ben guardare l’argomentazione dell’articolo I.26 ricopia l’enunciato e la dimostrazione di Eucl. Prop. I.8, il cosiddetto terzo Criterio di congruenza dei triangoli (cfr. II.4.6.). Per passare ad altri Criteri di congruenza c’è bisogno dell’angolo che viene dato con una ‘definizione’ assai discutibile dal punto di vista logico ed anche della chiarezza. «Articolo I.27. Un angolo è l’inclinazione di una linea su un'altra. Se non si possono misurare che due dei tre lati di un triangolo ABC, i due lati AB, BC (fig. 27), per esempio, è chiaro che con ciò soltanto, non si potrebbe determinare un secondo triangolo uguale e simile a ABC. Infatti, comunque si sia preso DE uguale a BC e DF uguale a BA (fig. 27 e 28), non si saprebbe quale posizione dare a questo rispetto a quello. Per eliminare tale difficoltà, la risorsa che si presenta è semplice: si fa pendere DF nella stessa maniera su DE, come AB pende su BC; o, per esprimersi come i Geometri, si dà all’angolo FDE la stessa apertura dell’angolo ABC. » Come si vede, in questa versione del primo Criterio di congruenza dei triangoli, si è nelle stesse condizioni della Eucl. Prop. I.4. Come si è commentato in II.4.6. per il testo euclideo, il Criterio è - 300 -