Parte II Introduzione all’epigrafia antica Epigrafe: una definizione • L’epigrafe (gr. grápho, “scrivo” + epì, “su”) è una sintesi inscindibile di testo (in scrittura alfabetica, per quanto attiene al mondo greco-romano) e monumento (il supporto). • L’epigrafe come fonte primaria. Caratteristiche generali dell’epigrafe • Estrema varietà nella tipologia: «La scrittura epigrafica interessa tutti gli aspetti della vita individuale e collettiva, e, proprio perché connessa all’intero campo dell’esperienza umana, sfugge a ogni tentativo di classificazione che abbia ambizione di sistematicità». (E. Culasso Gastaldi) • Committenza e destinazione pubblica (ad es. un’iscrizione politica [decreto] o onorifica) o privata (ad es. un’iscrizione funeraria o votiva). • La differenza tra ‘privato’ e ‘pubblico’ non necessariamente collima con la differenza tra ‘meno visibile’ e ‘più visibile’. Interpretazione dell’epigrafe (identificazione del contenuto e del valore documentario) • Problemi: 1. varietà alfabetica e paleografica (modalità di scrittura) del testo epigrafico; 2. possibile frammentarietà/abrasione superficiale del testo epigrafico; 3. possibile decontestualizzazione dell’epigrafe (rinvenimento entro una struttura diversa, in caso di reimpiego) e/o in un’area diversa da quella originaria. Thuc. I 93, 2: «(…) Ecco come gli Ateniesi munirono la città di mura in breve tempo. Ancora adesso, del resto, si vede chiaramente che la costruzione avvenne in gran fretta. I massi delle fondamenta sono infatti di materiale di ogni genere, in taluni punti si tratta di pietre neanche lavorate in modo da combaciare perfettamente, ma spesso, messe lì com’erano. Vi accumularono molte stele sepolcrali o pietre già lavorate». Iscrizione dell’età di Antonino Pio (138-161 d.C.) reimpiegata nel duomo di Pisa (XI-XII secolo) • Soluzioni: 1. individuare il luogo di provenienza dell’epigrafe; 2. conoscere le eventuali varianti dialettali e paleografiche; 3. datare l’epigrafe (anche grazie al rinvenimento di una segnalazione del magistrato eponimo [ad es. l’arconte ateniese] o di elementi onomastici particolari [nella titolatura imperiale romana, ad es.] o della menzione di un personaggio o un evento noto anche da altre fonti [terminus post quem]); 4. tentare un’integrazione della parte mancante/illeggibile (nel caso di un’epigrafe pubblica, l’epigrafista può ricorrere alla formularità caratteristica del lessico politico). Utilità dell’epigrafe ai fini della ricostruzione storica • Le informazioni tratte dall’interpretazione delle epigrafi possono essere: 1. peculiari; 2. integrative; 3. corroborative. • Oltre ad offrire informazioni, le epigrafi ricevono conferme dalle fonti storiografiche: poiché le epigrafi descrivono, in linea di tendenza, situazioni particolari e puntuali nel tempo, esse sviluppano al massimo il proprio potenziale informativo quando introdotte entro le sequenze cronologiche più ampie del racconto storico. Repertori fondamentali della ricerca epigrafica • Collezioni primarie: - Inscriptiones Graecae (IG). Progetto nato su iniziativa di A. Kirchhoff, consiste in una raccolta delle iscrizioni greche (primo volume pubblicato nel 1860). - Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL). Progetto nato su iniziativa di T. Mommsen, consiste in una raccolta delle iscrizioni latine (primo volume pubblicato nel 1853). • Aggiornamenti: - Année Epigraphique, dal 1888. Nata su iniziativa di R. Cagnat, è una rassegna annuale delle nuove scoperte epigrafiche greche e latine. - Supplementum Epigraphicum Graecum (SEG), dal 1923. Nato su iniziativa di J.J.E. Hondius, è una rassegna annuale delle nuove scoperte epigrafiche greche. L’iscrizione epigrafica nel mondo greco • Nella prima e più antica fase (VIII-VII sec. a.C.) le epigrafi sono varie nella tipologia di scrittura (progressiva, retrograda, bustrofedica) e nella tipologia alfabetica (sono attestati quattro fondamentali alfabeti arcaici). Esse hanno soprattutto carattere privato, e sono finalizzate a segnalare: 1. il possesso di un oggetto, spesso mediante l’espediente di rendere parlante l’oggetto stesso. Es. fig. 1: iscrizione di una kylix (gr. “coppa”) di Rodi (VIII sec. a.C.): «Sono la kylix di Korakos». 2. la dedica di un oggetto votivo a una divinità particolare per ottenerne il favore o la protezione: Es. fig. 2: statuetta bronzea di Tebe (VIII-VII sec. a.C.): «Mantiklos mi dedicò al dio che colpisce da lontano, dall’arco d’argento, come decima. Tu però, o Febo, concedi a lui una graziosa ricompensa». Es. fig. 3: statua del santuario di Artemide a Delo (640 a.C. ca.?, 3 esametri lungo il fianco sinistro): «Alla dea che colpisce da lontano e che riversa dardi mi dedicò Nikandre, figlia di Deinodikes di Nasso, eccellente tra le altre, sorella di Deinomenes e o[ra] (?) moglie di Phraxos». 3. la creazione di un oggetto, con la segnalazione, ancora mediante l’espediente dell’ ‘oggetto parlante’, del nome di chi l’ha creato (o anche soltanto decorato): Es. fig. 4: frammento di un cratere di Pitecussa (ultimo quarto dell’VIII sec. a.C.): «[…]inos mi ha fatto». • Dal VII sec. a.C., con il consolidarsi dei legami comunitari e la nascita della polis, l’epigrafia assume la funzione di mezzo privilegiato di comunicazione politica, diventando dunque pubblica. Con il potenziamento dell’uso pubblico, si hanno particolari fenomeni: 1. nascita della stele, blocco di pietra di forma quadrangolare e con superficia resa liscia e regolare per ospitare la scrittura; 2. affermazione in tutta la Grecia, in particolare dal V sec. a.C., della scrittura progressiva; 3. affermazione in tutta la Grecia, in particolare dal IV sec. a.C., della tipologia alfabetica ionica (l’alfabeto milesio, adottato anche da Atene dal 403/2 a.C.); 4. le lettere divengono sempre più regolari nella loro forma e le tecniche di scrittura si affinano. Nell’Atene del V sec. a.C., messa a punto del sistema di impaginazione del testo epigrafico, detto stoichedico. Es. fig. 5: IG II2 141 Acropoli di Atene (ora ad Oxford), 360 a.C. ca. Decreto ateniese in onore di Stratone di Sidone, con segnalate le esenzioni fiscali concesse ai mercanti di Sidone attivi nella città di Atene. • Nell’Atene classica, città tradizionalmente democratica e luogo in assoluto più ricco di documenti epigrafici, la proliferazione delle iscrizioni è proporzionale al grado di democraticizzazione delle istituzioni politiche (la produzione di epigrafi pubbliche aumenta considerevolmente a partire dalla riforma di Efialte del 462 a.C. ca., nascita della democrazia radicale). • Nella storia di Atene, il passaggio dal regime democratico a un regime oligarchico (o timocratico) o, viceversa, il ritorno al regime democratico da un regime oligarchico (o timocratico), sono contrassegnati rispettivamente da espressioni del tipo “abbattere la stele” e “riscrivere la stele abbattuta”, quasi come se la stele non semplicemente ricordasse l’azione politica, ma si identificasse con essa: il patrimonio epigrafico pubblico dell’Atene classica, insomma, incarnava nella sua forma più alta e compiuta l’identità politica stessa della città. L’iscrizione epigrafica nel mondo romano • Molti i tratti comuni tra l’epigrafia romana e l’epigrafia greca, ad es.: 1. l’impiego della scrittura epigrafica in contesto sia pubblico che privato; 2. l’evoluzione dell’orientamento e della tipologia della scrittura (ductus) dall’epoca arcaica all’epoca repubblicana e poi imperiale; 3. l’affinamento progressivo delle tecniche di impaginazione (definizione dello specchio epigrafico e ordinatio, ossia definizione delle linee guida utili al lapicida per la scrittura). • Differenze fondamentali dell’epigrafia romana rispetto all’epigrafia greca. Possiamo a grandi linee notare che 1. le iscrizioni a carattere privato (ad es. votive, funerarie) sono nettamente più attestate rispetto a quelle a carattere pubblico (ad es. atti degli organi dello stato, iscrizioni di magistrati o di imperatori). «In larghissima parte l’epigrafia romana è composta di iscrizioni – sacre, onorarie, ma soprattutto sepolcrali – che raccontano la storia di persone e di famiglie: stando alle iscrizioni la civiltà dei Romani si presenta come la memorizzazione di individui e delle loro genti» (G. Susini). 2. le iscrizioni pubbliche sono, quanto al supporto, casisticamente più varie (ad es. i graffiti [dipinti in nero o rosso] sui muri imbiancati di Pompei, con i contenuti più vari: confessioni amorose, dichiarazioni di sostegno politico, cartelloni degli spettacoli, avvisi di locali da affittare, tifo gladiatorio ecc.) e contraddistinte da novità in materia di tipologia del supporto (ad es. arco di trionfo) e tecnica delle iscrizioni (ad es. litterae caelatae); 3. uso, nelle iscrizioni di tipo sia pubblico che privato, di sigle e abbreviazioni per le formule d’uso più comune e dunque, per gli antichi, di immediata comprensione (praenomina [es. L(ucius)] e patronimico [L(uci) f(ilius)], tribù [es. Lem(onia)], magistrature [es. co(n)s(ul)], cariche militari e civili); 4. uso di segni di interpunzione tra una parola e l’altra, e di nessi (giustapposizione di due lettere che utilizzano uno stesso segno, lettere incluse l’una nell’altra ecc.). • Importanza del sistema onomastico nel mondo romano: - a differenza di quanto accade nel mondo greco (dove troviamo nome proprio, patronimico e, nel caso del cittadino ateniese, demotico), esso è molto articolato e rappresenta l’elemento che si riscontra più spesso nelle iscrizioni di qualsiasi tipologia, pubbliche o private; - consente di identificare non soltanto l’individuo, ma anche il suo domicilio, la sua posizione giuridica e sociale, la sua collocazione all’interno della famiglia. 1. Onomastica del cittadino: dal simplex nomen ai tria nomina. - Originariamente l’individuo era identificato con un solo nome (simplex nomen). Successivamente, nel corso dell’età repubblicana, l’individuo patrizio fu correntemente identificato con i tria nomina, nell’ordine: praenomen, nomen (gentis), cognomen. Es.: M(arcus) Tullius Cicero - Il cognomen poteva essere suggerito anche da atti di valore o da grandi vittorie (ex virtute) e, in quanto tale, cumulabile a un cognomen già esistente. Es. 1: P(ublius) Cornelius Scipio Africanus (vincitore a Zama, in Africa, nel 202 a.C.) Es. 2: L(ucius) Cornelius Scipio Asiaticus (vincitore a Magnesia, in Asia Minore, nel 190 a.C.) - In caso di adozione, l’adottato prendeva i tria nomina dell’adottante, mentre il nomen d’origine si aggiungeva come secondo cognomen con il suffisso -anus: Es.: il figlio di L(ucius) Aemilius Paulus (vincitore a Pidna, in Macedonia, nel 168 a.C.) fu adottato da P(ublius) Cornelius Scipio (figlio dell’Africanus) e si chiamò: P(ublius) Cornelius Scipio Aemilianus. - Alla fine dell’età repubblicana, lex Iulia municipalis (45 a.C.): il sistema dei tria nomina entra in vigore per tutti i cittadini maschi e liberi di nascita (non soltanto per i patrizi) ed è arricchito di nuovi elementi stabili (patronimico e indicazione della tribù, entrambi abbreviati). Questa la sequenza: praenomen, nomen, patronimico (anche più di uno), tribus, cognomen (anche più di uno). Es.: Q(uintus) Octavius L(uci) f(ilius) C(ai) n(epos) L(uci) p(ronepos) Ser(gia tribu) Sagitta Es.: CIL VI 28021. Epigrafe sepolcrale della via Appia. 1a riga: L(ucius) Valerius M(arci) f(ilius) Ouf(entina) Giddo 2. Onomastica dell’imperatore e dei magistrati. - Entro il sistema onomastico degli ufficiali della politica romana troviamo indicazioni relative alla loro carriera politica (cursus honorum) e/o ai titoli fondanti il loro potere. Ciò accade soprattutto nelle iscrizioni pubbliche di tipo onorifico e celebrativo (dal basamento delle statue agli archi di trionfo imperiali). - La titolatura onomastica dell’imperatore Il nome dell’imperatore osserva il sistema fondamentale dei tria nomina, ma con qualche fondamentale variante: Es.: CIL X 1634. Iscrizione di Napoli per l’imperatore Marco Ulpio Traiano (98-117 d.C.), figlio adottivo dell’imperatore Marco Cocceio Nerva (96-98 d.C.) e pertanto denominato Nerva Traiano. Anno 116 d.C.: Imp(eratori) Caesari divi Nervae [f(ilio) Nervae] Traian(o) Optimo Aug(usto) Germ(anico) Dacic(o) Parthic(o), pont(ifici) max(imo), trib(unicia) pot(estate) XX, imp(eratori) XII, co(n)s(uli) VI, patri patr(iae), cultores Iovis Heliopolitani Berytenses qui Puteolis consistunt. «Gli abitanti di Berytus [attuale Beirut] che risiedono a Pozzuoli e sono riuniti in un collegio che venera Giove di Heliopolis [località non lontana da Beirut] [dedicano] all’Imperatore Cesare e figlio del divino Nerva, Nerva Traiano, Ottimo Augusto Germanico Dacico Partico, nel ventesimo anno della sua potestà tribunizia [116 d.C.], acclamato comandante vittorioso dodici volte, quando era stato console per sei volte». Miliare di Cerignola, lungo la Via Traiana (Benevento-Brindisi) Anno 109 d.C. Imp(erator) Caesar Divi Nervae f(ilius) Nerva Traianus Aug(ustus) Germ(anicus) Dacic(us) pont(ifex) max(imus) tr(ibunicia) pot(estate) XIII imp(erator) VI co(n)s(ul) V p(ater) p(atriae) viam a Benevento Brundisium pecun(ia) sua fecit Parte III Esempi di uso storiografico della fonte epigrafica e confronto tra fonte epigrafica e fonte storiografica ai fini della ricostruzione storica. • Il tempo dei Pisistratidi in Tucidide (I 20, 1-2; VI 54-59) e in alcuni esempi epigrafici (R. Meiggs – D. Lewis [edd.], A Selection of Greek Historical Inscriptions to the End of the Fifth Century B.C., Revised Edition, Oxford 1989, nn. 6, 11). - Thuc. I 20, 1-2 (trad. L. Canfora): Acriticamente infatti gli uomini si trasmettono le tradizioni avite, anche quando si tratta delle loro tradizioni locali. E’ il caso, per esempio, degli Ateniesi. Ad Atene la massa crede che Ipparco fosse tiranno quando fu ucciso da Armodio e Aristogitone [514 a.C.], e non sanno che investito del potere era Ippia, in quanto maggiore dei figli di Pisistrato (Ipparco e Tessalo erano suoi fratelli); (…). - Thuc. VI 54, 2 (dall’excursus sui Pisistratidi, 54-59, trad. A. Corcella): Quando Pisistrato morì, vecchio, nella posizione di tiranno [527 a.C.], non fu Ipparco, come credono i più, ma Ippia, in quanto figlio maggiore, ad avere il potere. 1. Thuc. VI 54, 5-7 (trad. A. Corcella): (5) Questi tiranni [i Pisistratidi] si attennero in sommo grado a un comportamento virtuoso e saggio e, imponendo agli Ateniesi un’imposta pari solo alla ventesima parte dei prodotti, con questa seppero adornare la città, portarono a termine le varie guerre e curavano i sacrifici ai templi. (6) Per il resto la città continuava ad osservare in piena indipendenza le leggi precedentemente in vigore, tranne per il fatto che essi [i Pisistratidi] facevano in modo che ci fosse sempre uno di loro tra i magistrati: e così tra gli altri Pisistratidi che detennero la carica di arconte eponimo vi fu anche Pisistrato [522/1 a.C.], figlio di quell’Ippia che fu tiranno, e che portava il nome del nonno [Pisistrato, primo tiranno di Atene], il quale, durante la sua carica, dedicò l’altare dei dodici dèi nell’agorà e l’altare di Apollo nel santuario del Pizio. (7) Per quanto riguarda l’altare nell’agorà, in seguito il popolo ateniese vi aggiunse un ulteriore ampliamento, e così fece scomparire l’iscrizione sopra incisavi; mentre l’iscrizione sull’altare nel Pizio è ancor oggi visibile, e riporta, in una scrittura oscurata, le seguenti parole: «Questo ricordo del suo arcontato Pisistrato figlio di Ippia pose, nel recinto di Apollo Pizio». - Meiggs-Lewis n. 11 = IG I3 948. Dedica di Pisistrato, figlio di Ippia. (2 frammenti in marmo, lettere attiche tardoarcaiche) «Questo ricordo del suo arcontato Pisistrato figlio di Ippia pose, nel recinto di Apollo Pizio» (cf. Thuc. VI 54, 7). - Meiggs-Lewis n. 6. Lista degli arconti ateniesi (4 frammenti [a-d] in marmo pentelico ritrovati nell’agorà di Atene; scrittura attica, sistema stoichedico). Frammento c, linea 6: […..]strat[os] spazio di 5 lettere; dunque, con ogni probabilità, [Peisi]strat[os] 2. Thuc. VI 55, 1-4 (trad. A. Corcella. Cf. I 20, 1-2): (1) Quanto al fatto che fosse Ippia, nella sua qualità di figlio più grande, a detenere il potere, lo posso affermare già solo perché ho potuto attingere a una tradizione più precisa di quella nota ad altri, ma lo si potrebbe anche capire da un fatto: lui solo risulta, tra i fratelli legittimi, aver avuto dei figli, come indicano l’altare e la stele con l’iscrizione sui torti dei tiranni eretta sull’acropoli, nella quale non è riportato nessun figlio di Tessalo, né di Ipparco, e invece ne compaiono cinque per Ippia, che gli nacquero da Mirrina, figlia di Callia di Iperochide; era infatti naturale che fosse il più grande a sposarsi per primo. (2) Nella stessa stele, del resto, il suo nome è scritto per primo dopo quello del padre, e neanche questo fatto è strano, dato che egli era il figlio più grande e fu quindi tiranno. (3) Né, certo, mi pare possibile che Ippia potesse mai conquistare subito e facilmente la tirannide, se Ipparco fosse morto mentre era al potere e Ippia avesse dovuto stabilirla quello stesso giorno: ma, al contrario, grazie al fatto che già da prima i cittadini erano abituati a temerlo, e le sue guardie mercenarie erano abituate ad osservare una rigorosa disciplina, potè dominare con un grande margine di sicurezza; e non ebbe le difficoltà che avrebbe avuto come fratello più giovane – per il fatto cioè di non avere in precedenza avuto una continua consuetudine con il potere. (4) Successe però che, a forza di nominare Ipparco per il suo triste caso [la sua morte per assassinio nel 514 a.C.], egli usurpasse in seguito anche la fama di essere stato tiranno. - La verifica di questi dati ci permette di far luce su alcuni aspetti fondamentali del metodo di Tucidide nella ricerca antichistica: 1) Le iscrizioni non sono esornative (elementi di abbellimento), ma funzionali alla ricerca; esse sono parte integrante del racconto storiografico e, quindi, della ricostruzione storica. 2) Le iscrizioni sono indicate nell’esatto luogo di collocazione (e dunque di visibilità), riportate o parafrasate nel loro contenuto, osservate con cognizione paleografica (cf. VI 54, 7: …e riporta, in una scrittura oscurata, le seguenti parole…). 3) Le iscrizioni, in quanto visibili, servono da elementi di verifica delle tradizioni orali (cf. VI 55, 1). 4) Le iscrizioni sono strumenti funzionali ad accertare realtà storiche esterne al testo epigrafico (cf. VI 54, 5-7; 55, 1-4). 5) Tucidide impiega simultaneamente gli strumenti autentici dell’inchiesta storica: confronta le tradizioni orali stabilendo quali siano le più attendibili (VI 55, 1), le pone sotto il controllo del dato visibile (il monumento e il testo epigrafico, attentamente scrutinato: VI 55, 1-2); formula riflessioni secondo verosimiglianza e probabilità (VI 55, 2-3). In tal modo, Tucidide spiega anche l’origine delle vulgate scorrette (VI 55, 4). - Conclusione: fonte storiografica e fonte epigrafica collaborano alla definizione del passato, nella misura in cui insieme ci permettono di conoscerlo in un’immagine più completa e più comprensibile rispetto a quella che avremmo se potessimo usufruire o soltanto del dato storiografico o soltanto del dato epigrafico. Infatti: 1) la fonte epigrafica conferma il dato storiografico e, quanto a ciò, conferma l’attendibilità della fonte storiografica (vd. identità tra il testo epigrafico riportato da Thuc. VI 54, 7 e Meiggs-Lewis n. 11); 2) La fonte epigrafica permette di integrare le informazioni note dalla fonte storiografica (vd. datazione dell’arcontato di Pisistrato figlio di Ippia); 3) La fonte storiografica permette di integrare la fonte epigrafica nelle parti mancanti (cf. [Peisi]strat[os] in Meiggs-Lewis n. 6); 4) La fonte storiografica ci dà un insieme di conoscenze più ampio rispetto alla fonte epigrafica, entro cui la stessa fonte epigrafica, contestualizzata, acquisisce un valore documentario ulteriore, più completo.