Identificazione di mutazioni e analisi dei polimorfismi del DNA
L’identificazione delle mutazioni che causano malattie può oggi essere effettuata con metodiche
relativamente semplici e pratiche in un laboratorio di Biologia Molecolare Clinica, mediante l’uso
della reazione PCR; essa ha anche un ruolo importante anche nello studio dei polimorfismi di
restrizione in quanto come abbiamo visto evita il ricorso alla analisi di Southern, tecnica molto più
lunga e complessa.
Le tecniche di identificazione delle mutazioni basate sulla PCR sono numerose: in biologia
molecolare clinica sono particolarmente importanti quelle che consentono di effettuare rapidamente
gli screening di popolazione.
Due sono i metodi principali per rivelare piccole mutazioni all’interno di una sequenza genica a
seconda che si tratti di individuare mutazioni già note oppure sconosciute. Nel primo caso la PCR
permette di amplificare la sequenza di DNA contenente la mutazione bersaglio ed eventualmente
visualizzarla direttamente sottoponendo il prodotto di PCR a separazione elettroforetica, oppure
ricorrendo a trattamenti post-PCR che rivelano la variazione di sequenza nucleotidica. Nel secondo
caso si tratta di tecniche che non presuppongono la conoscenza della mutazione da individuare e
debbono essere in grado di analizzare qualunque tipo di variazione anomala in una sequenza di
DNA.
1. Metodo diretto
Il metodo diretto si basa sulla determinazione delle dimensioni del prodotto di amplificazione: si
utilizza in caso di mutazioni che comportano grosse variazioni di dimensione del gene, come
macro-delezioni o inserzioni che fanno si che l’allele mutato all’elettroforesi presenti bande di
lunghezza anomala rispetto a quella di un allele normale.
2. Metodi post-PCR
Se la mutazione non determina variazioni apprezzabili nella dimensione dell’allele si dovrà
ricorrere a trattamenti post-PCR, il più semplice dei quali è l’analisi con enzimi di restrizione,
specifiche attività enzimatiche con le quali si può “tagliare” e “cucire” il DNA. Gli enzimi di
restrizione occupano un posto importante nella diagnostica molecolare perché consentono di
riconoscere rapidamente variazioni di sequenza come mutazioni, polimorfismi, etc. Gli enzimi di
restrizione sono in pratica delle endonucleasi, ricavate da batteri, che legano il DNA in
corrispondenza di sequenze specifiche originando tagli a doppio filamento all’interno o in
prossimità della sequenza stessa.
Gli enzimi di restrizione vengono indicati con una nomenclatura che si basa sul genere e sulla
specie del batterio dal quale è stato isolato l’enzima stesso: per es. Bam HI deriva da Bacillus
amylofaciens, Eco RI da Escherichia coli, Hind III da Haemophilus influentiae etc. La grande
importanza degli enzimi di restrizione risiede nella loro specificità. Ogni particolare enzima di
restrizione, infatti, riconosce una sequenza specifica di basi all’interno di una catena di DNA.
Le sequenze di DNA riconosciute dagli enzimi di restrizione sono spesso “palindromiche” cioè
possono essere lette in un senso e nell’altro. La maggior parte degli enzimi più comuni riconoscono
da 4 a 6 basi. Il numero di basi riconosciute è di importanza pratica perché determina la frequenza
media di taglio.
Eco RI
GAATTC
CTTAAG
G
AATTC
CTTAA
G
E’ ovvio che un enzima che riconosce una sequenza di 4 basi taglierà più frequentemente di uno che
ne riconosce 6 perché nel genoma le combinazioni di 4 basi sono più numerose delle combinazioni
di 6 basi. Più in dettaglio, assumendo che la distribuzione delle 4 basi che compongono il DNA sia
casuale avremo nel primo caso una frequenza uguale a 44 =256 basi, mentre nel secondo caso 46 =
1024. In altre parole un enzima con una sequenza di riconoscimento di 4 basi, come ad es. Alu I
taglierà, in media ogni 256 bp, mentre uno come ad es. Bgl II ogni 4096 bp. In generale la
frequenza di taglio è sempre uguale a 4n , dove n = alla lunghezza del sito di riconoscimento.
L'utilizzo degli enzimi di restrizione é semplice. La maggior parte di essi funziona in semplici
soluzioni tampone tra pH 7 e 8, generalmente a 37°C (le condizioni di utilizzo di sono comunque
sempre specificate dai fornitori). Tutti gli enzimi, in condizioni non ottimali, danno il cossidetto
"effetto star", che consiste nella capacità dell'enzima di "confondersi" riconoscendo e tagliando
sequenze simili, ma non identiche a quella bersaglio. Per evitare tale effetto é opportuno attenersi
alle condizioni specificate dai fornitori, e soprattutto non mettere una quantità di enzima in eccesso.
Alcuni enzimi riconoscono sequenze sino a 10-12 paia di basi che spesso sono siti di
riconoscimento degenerati ( per es. BsiEI riconosce la sequenza 5'-CGPuPyCG-3' dove Pu ePy
rappresentano " qualunque purina" e "qualunque pirimidina"), la maggior parte degli enzimi di
restrizione utilizzati in biologia molecolare riconoscono sequenze specifiche che tagliano in tre
modi diversi:
Generando estremità piatte (blunt)
5'-CCC ↓ GGG-3'
3'GGG ↑ CCC-5’
Es. SmaI
Generando estremità coesive (sticky) sporgenti al 5'
5'-G ↓ AATTC-3'
3'-CTTAA ↑ G-5’
Es. EcoRI
Generando estremità coesive (sticky) sporgenti al 3'
5'-CTGCA ↓ G-3'
3'-G ↑ ACGTC-5'
Es. PstI
Gli enzimi di restrizione sono utili in quanto consentono di distinguere facilmente due sequenze di
DNA che differiscono per uno o più nucleotidi, qualora tale differenza sia in grado di modificare il
sito bersaglio riconosciuto dall’enzima. Esiste una tecnica di laboratorio che sfrutta questa
caratteristica per mettere a confronto le varie molecole di DNA. Tale tecnica viene indicata con la
sigla RFLP (dall'inglese restriction fragment length polymorphism, polimorfismo di lunghezza dei
frammenti di restrizione). Il DNA da analizzare deve essere prima di tutto amplificato mediante
PCR (reazione a catena della polimerasi) e poi sezionato in frammenti di restrizione mediante
opportuni enzimi. Questi enzimi, come abbiamo, visto effettuano il taglio esclusivamente in
corrispondenza di particolari sequenze nucleotidiche, specifiche per ogni enzima. I frammenti di
restrizione vengono quindi separati per lunghezza mediante elettroforesi su gel d'agarosio.
La distanza tra i punti di taglio causate dagli enzimi di restrizione varia tra un individuo e l'altro,
dando quindi luogo a variazioni nella lunghezza dei frammenti. Ciò comporta una diversa posizione
delle bande di DNA sul gel e tale differenza può essere usata per distinguere geneticamente due
individui o per dimostrare la presenza di una mutazione o di un polimorfismo.
Le mutazioni possono introdurre o eliminare un nuovo sito di restrizione nel segmento di DNA che
le contiene: in tal caso basta amplificare tale segmento e sottoporre il prodotto a digestione con
l’appropriato enzima scelto fra i tanti attualmente disponibili in commercio. L’analisi del pattern di
restrizione del campione in cui si sospetta la presenza di una mutazione potrà rivelare analogie o
differenze rispetto ad un campione positivo per quella mutazione o ad un DNA normale.
Naturalmente questo metodo funziona solo quando la mutazione cercata altera la mappa di
restrizione del frammento amplificato, il che non sempre accade: ci sono mutazioni che non
modificano il pattern di restrizione per nessuno degli enzimi disponibili, oppure il numero di siti per
quell’enzima presenti nella sequenza è troppo elevato e non vengono generati frammenti di
dimensioni sufficientemente grandi, l’enzima può presentare un’attività scarsa o richiedere
temperature di lavoro inconsuete, oppure ancora l’enzima è troppo costoso o di difficile reperibilità.
Il metodo ha quindi alcune limitazioni e solo in alcuni casi (per fortuna abbastanza frequenti) si
rivela utile per la ricerca delle mutazioni. Per ovviare a quei casi in cui la mutazione non altera
spontaneamente la mappa di restrizione del segmento di DNA da analizzare, si deve ricorrere ad
altri metodi come quelli basati sull’amplificazione con primer mutagenico (primer mismatch).
Primer mutagenico. In questo caso l’amplificazione viene effettuata con um primer costruito in
modo tale da contenere un errore di appaiamento all’estremità 3’, ma che nonostante ciò è tollerato
e permette alla reazione di PCR di avvenire e di produrre un amplificato contente una “mutazione”
artificiale. La reazione PCR infatti è abbastanza tollerante rispetto agli appaiamenti non corretti tra
primer di PCR e DNA stampo. La PCR è inefficiente quando il DNA stampo non si appaia con
l'estremità 3' del primer, ma anche questi primer amplificheranno ugualmente il DNA se le altre
condizioni per la PCR saranno ottimali. Questa mutazione, in aggiunta a quella ‘naturale’ associata
all’allele patologico determina la formazione di un sito di restrizione che distingue l’allele normale
da quello mutato. Tuttavia, questa tattica non è raccomandata per i laboratori clinici a causa dei
rischi di contaminazione crociata con i prodotti della PCR. Una strategia alternativa è
l'amplificazione semi-nested in un solo ciclo della PCR. Due primer esterni non mutagenici
vengono aggiunti alla reazione, ma uno è in quantità limitante. Il primer mutagenico ibridizza con il
prodotto di PCR a valle del primer limitante. Nei primi cicli di PCR i primer esterni amplificano
efficientemente il DNA stampo. Tuttavia il primer limitante viene presto consumato e non può
produrre abbastanza prodotto di PCR da essere visualizzato su gel colorati con bromuro di etidio.
Nei cicli successivi, la temperatura di appaiamento viene abbassata per permettere al primer
mutagenico inefficiente di amplificare il DNA. Grazie al DNA stampo generato nei primi cicli, il
primer mutagenico è in grado di produrre materiale in quantità sufficiente per consentire la
visualizzazione dopo la digestione con l'enzima di restrizione e l'elettroforesi su gel.
L'amplificazione con la PCR è intrinsecamente meno efficiente per i primer mutagenici che per
quelli non mutagenici. Questo può non interessare campioni in cui le altre condizioni di PCR sono
ideali ma impedirà il buon esito per i campioni in condizioni non ottimali, che a volte si incontrano
nella pratica clinica. Un'amplificazione insufficiente può essere superata con la tattica della PCR
semi-nested descritta in precedenza, sebbene questa richieda la sintesi di un primer extra. Lo
svantaggio più grande della tecnica del primer ingegnerizzato è che non è incluso un controllo
positivo per l'efficienza della restrizione. La mancata digestione segnala la presenza di alleli
normali, ma questi potrebbero essere prodotti dalla presenza di inibitori dell'endonucleasi di
restrizione o dalla mancata aggiunta dell'enzima o del tampone appropriato durante la digestione.
Sonde allele-specifiche. Nella strategia con oligonucleotidi allele-specifici (ASO) il DNA viene
amplificato, fissato su una superficie solida, messo a contatto con un oligonucleotide marcato allele
specifico e i risultati rivelati con un rivelatore enzimatico o radioattivo. I prodotti di PCR a doppio
filamento vengono separati in singoli filamenti con un tampone a pH alcalino. Per mezzo di un dot
blot o uno slot blot, mediante applicazione di vuoto, i prodotti di PCR provenienti da numerosi
pazienti e dai controlli possono essere messi su di un singolo filtro di nitrocellulosa o nylon e legati
saldamente al filtro tramite riscaldamento o illuminazione ultravioletta. Alternativamente uno dei
primer può essere marcato con biotina, permettendo alla streptoavidina legata al foglio la cattura
della catena prodotta con la PCR. Le sonde oligonucleotidiche si ibridano con le regioni
complementari dei prodotti della PCR a singolo filamento. L'ibridazione ha tipicamente luogo in
condizioni di alta forza ionica e alta concentrazione colloide per velocizzare l'associazione sondabersaglio. Le superfici vengono lavate in condizioni di bassa forza ionica o di temperature più
elevate per rimuovere la sonda legata in modo aspecifico. La forza ionica e la temperatura della
soluzione di lavaggio possono essere adattate per rimuovere quasi completamente un singolo
nucleotide appaiato erroneamente, pur tuttavia permettendo una considerevole ibridazione di un
oligonucleotide perfettamente appaiato. Questa differenziazione richiede oligonucleotidi corti (20
nt) ed è facilitata da soluzioni di lavaggio contenenti cloruro di tetrametilammonio per incrementare
la differenza nelle temperature di fusione tra sonde perfettamente appaiate e sonde con un singolo
appaiamento errato. Qualche volta viene incluso un solvente organico, quale la formamide, per
destabilizzare l'appaiamento delle basi fra sonda e prodotto di PCR legato e, quindi, per ridurre la
temperatura di lavaggio. Le condizioni ottimali di lavaggio e la temperatura devono essere stabilite
empiricamente per ogni sonda ASO. Nella pratica tradizionale, le sonde oligonucleotidiche sono
state marcate con fosforo radioattivo e i risultati della ibridazione rivelati con l'esposizione dei filtri
lavati a lastre per raggi X. Tuttavia, le sonde possono essere marcate con altri marcatori e possono
essere rivelate in piastre di plastica o su altre superfici con dosaggi quali l'ELISA. I marcatori
comprendono la biotina o altre piccole molecole, apteni, che consentono di legare enzimi per mezzo
della streptoavidina, di anticorpi anti-aptene o in altri modi. Dopo l'ulteriore lavaggio, viene
aggiunto il substrato enzimatico per produrre un prodotto colorato o luminescente che viene rivelato
in uno spettrofotometro, un luminometro o con lastre per raggi X.
Ibridazione ASO inversa: Una variante dell'ibridazione ASO è il dot blot inverso. Questa analisi
funziona esattamente come l'analisi ASO su descritta, eccetto che per il fatto che i componenti della
fase di ibridazione sono invertiti. Gli oligonucleotidi allele-specifici sono legati ad una superficie
solida e sono ibridizzati a prodotti di PCR, a singolo filamento, marcati.
Amplificazione allele-specifica. Nel metodo noto come Amplification-Refractory Mutation System
(ARMS) si utilizzano primer allele-specifici che amplificano solo se complementari alla sequenza
bersaglio. Questa strategia ha solo due fasi: l'amplificazione con la PCR e la rivelazione. Le
condizioni della reazione PCR e i primers vengono messi a punto in modo tale che viene
amplificato con successo solo l'allele desiderato. Come abbiamo visto in precedenza,
l'amplificazione con la PCR è inefficiente quando lo stampo non appaia il nucleotide in posizione 3'
del primer. Nonostante il primer in 3' non si appai con il DNA stampo, qualche volta c'è
un'amplificazione rivelabile. Questo problema viene attenuato in parte prestando particolare
attenzione allo stampo e alla concentrazione di Mg++ e all'aggiunta di solventi organici come la
formamide per ridurre la forza di appaiamento delle basi. Un mancato appaiamento al penultimo
nucleotide del primer o al terzultimo nucleotide riduce un po' l'efficienza della PCR, ma
disappaiamenti in tutte e due queste posizioni e a livello del nucleotide in 3' praticamente eliminano
l'innesco. I prodotti della reazione della PCR vengono visualizzati in genere mediante
un'elettroforesi su gel di agarosio a bassa risoluzione. La marcatura fluorescente dei primer
sequenza-specifici permette l'esame di entrambi gli alleli, normale e mutato, in una singola PCR.
Questo permette analisi rapide con un analizzatore per fluorescenza. PCR con primer sequenzaspecifici vengono comunemente eseguite in provette di reazione separate e un risultato negativo in
una provetta indica l'assenza di un particolare allele. Tuttavia, un risultato negativo in una provetta
potrebbe anche esser causato dalla presenza di un inibitore della PCR o dall'omissione nell'aggiunta
di un reagente. Perciò, è essenziale preparare PCR multiple, usando entrambe le batterie di primer
d'esame e di controllo, in ciascuna provetta di reazione. Il prodotto della PCR di controllo dovrebbe
avere un'analoga composizione in basi, ma un peso molecolare più grande del frammento del gene
bersaglio.
Mutazioni sconosciute. Nel caso si tratti di identificare mutazioni sconosciute si devono utilizzare
metodiche meno specifiche, capaci cioè di riconoscere una sequenza mutata qualunque sia la
localizzazione della variante all’interno del segmento di DNA analizzato. È superfluo osservare che
queste metodiche devono possedere una elevata sensibilità, cioè essere in grado possibilmente di
scoprire sempre la presenza di mutazioni. La metodica più semplice, rapida, maneggevole ed
universalmente utilizzata per l’identificazione di sequenze di DNA mutate è ancora l’analisi
mediante Single Strand Conformational Polymorphism (SSCP). Essa si basa sul principio che la
mobilità elettroforetica di una singola elica di DNA non dipende solo dalle dimensioni della
molecola, ma anche dalla conformazione assunta in base alla sua sequenza nucleotidica. Nell’analisi
SSCP il DNA viene amplificato, denaturato ad alta temperatura in presenza di formammide per
ottenere filamenti singoli, quindi, sottoposto ad elettroforesi non denaturante. I singoli filamenti
assumono conformazioni uniche in base alla sequenza nucleotidica e migrano con velocità diversa
all’interno del gel: eventuali variazioni nella migrazione elettroforetica indicano la presenza di
varianti nella sequenza in esame. Per la visualizzazione delle bande di DNA a filamento singolo si
ricorre molto spesso alla colorazione argentica, molto sensibile. L’analisi mediante SSCP consente
di identificare l’80% circa delle mutazioni ma il suo potere risolvente diminuisce progressivamente
per frammenti di DNA più lunghi di 300 bp.
Un campo in cui la Biologia Molecolare si è rivelata di notevole ausilio è quello della diagnosi di
Infertilità di coppia mediante la determinazione delle microdelezioni del cromosoma Y (AZF), nei
casi di infertilità maschile.
Infine, un notevole vantaggio apportato dall'introduzione di tecniche di Biologia Molecolare nel
laboratorio di medicina legale, è nel campo delle analisi di accertamento di paternità: i DNA in
esame vengono analizzati in PCR per loci specifici ripetitivi altamente polimorfici (microsatelliti).
L'analisi degli amplificati viene eseguita con un analizzatore automatico ed uno specifico software
matematico permette di attribuire una percentuale statistica di probabilità per l'esclusione o
l'attribuzione della paternità.
Cenni sull’analisi mutazionale mediante HPLC denaturante.
L’HPLC denaturante è una tecnica relativamente recente, sensibile, rapida e completamente
automatizzabile che facilita lo screening di mutazioni e/o polimorfismi del DNA. I campioni sono
amplificati normalmente secondo protocolli standard di PCR. L’amplificato di un DNA normale
(controllo) viene miscelato col campione, riscaldato e lasciato ricombinare con un raffreddamento
lento (da 95 a 65°C in 30 minuti). Si formano in tal modo le coppie di omoduplex e di eteroduplex
che vengono iniettate dentro una colonna di cromatografia denaturante (DHPLC). Mentre la
molecola di omoduplex è intatta, la coppia eteroduplex mostra una parziale denaturazione nel sito di
non perfetto appaiamento dovuto alla presenza della mutazione e viene solitamente eluita prima
della coppia omoduplex. La separazione avviene ad una temperatura molto stabilizzata. Esistono
degli “algoritmi” computerizzati che calcolano la temperatura alla quale si effettua la separazione.
Tale temperatura potrebbe richiedere piccoli aggiustamenti (di un paio di gradi) attorno a quella
calcolata per trovare sperimentalmente quella più corretta. Una volta stabilita la temperatura ideale,
che è specifica per la sequenza in esame, si procede ad analizzare tutti i campioni alle stesse
condizioni. La separazione si ottiene in meno di 5 minuti e il risultato viene registrato dal PC e
riportato sotto forma grafica dal cromatogramma; si riconosce la presenza di una mutazione quando
il tracciato cromatografico riporta più di una singola banda (picco). Per rivelare le separazioni
ottenute in colonna si utilizza uno spettrofotometro munito di microcella a flusso e lettura
nell’ultravioletto a 260 nm. I vantaggi del DHPLC sono la precisione, la riproducibilità e la rapidità.
Naturalmente eventuali errori di amplificazione portano inevitabilmente a scarsi risultati in DHPLC.