STAGIONE 2007-2008
DELIRI
E ARMONIE
Settimane
Martedi
6 novembre 2007
ore 20.30
Sala Verdi
del Conservatorio
London Baroque
4
Consiglieri di turno
Direttore Artistico
Prof. Alberto Conti
Avv. Marco Janni
Dott.
Con il patrocinio
e il contributo di
Con il contributo di
Con il patrocinio
e il contributo di
Con il contributo di
Sponsor istituzionali
Sponsor “Settimane Bach”
Con la partecipazione di
Per assicurare agli artisti la migliore accoglienza e concentrazione
e al pubblico il clima più favorevole all’ascolto, si prega di:
• spegnere i telefoni cellulari e altri apparecchi con dispositivi acustici;
• limitare qualsiasi rumore, anche involontario (fruscio di programmi, tosse ...);
• non lasciare la sala prima del congedo dell’artista.
Si ricorda inoltre che registrazioni e fotografie non sono consentite, e che
l’ingresso in sala a concerto iniziato è possibile solo durante gli applausi, salvo
eccezioni consentite dagli artisti.
London Baroque
Ingrid Seifert violino
Richard Gwilt violino
Charles Medlam viola da gamba
Terence Charlston clavicembalo
Johann Sebastian Bach
(Eisenach 1685 – Lipsia 1750)
Sonata VI in sol maggiore BWV 530
Sonata in re maggiore BWV 1028 per cembalo e viola da gamba
Sonata I in mi bemolle maggiore BWV 525
Intervallo
Sonata III in re minore BWV 527
Johann Christoph Friedrich Bach
(Lipsia 1732 – Bückeburg 1795)
Sonata per due violini e basso continuo in fa maggiore F. VII/3
Carl Philipp Emanuel Bach
(Weimar 1714 – Amburgo 1788)
Sonata a tre in si bemolle maggiore H 584
Johann Sebastian Bach
Sonata VI in sol maggiore BWV 530
Vivace
Lente
Allegro
Sonata in re maggiore BWV 1028
per cembalo e viola da gamba
Adagio
Allegro
Andante
Allegro
Sonata I in mi bemolle maggiore
BWV 525
I movimento
Adagio
Allegro
Sonata III in re minore BWV 527
Andante
Adagio e dolce
Vivace
La musica strumentale di Johann Sebastian Bach scaturisce da una dimensione
fortemente unitaria, ciò nondimeno è frutto di uno spirito aperto e curioso delle
molteplici trasformazioni in atto nella musica del suo tempo. Uno degli aspetti
più notevoli di questo potente cemento linguistico consiste nei processi di metamorfosi musicali, molto frequenti all’interno dell’opera di Bach. Musiche nate in
circostanze del tutto diverse o legate a determinati generi potevano ritrovare
una nuova vita in forme del tutto diverse, senza che il travaso da un ambito all’altro procurasse un danno sostanziale alla loro capacità espressiva. È sorprendente notare come solo pochi decenni dopo la morte di Bach, con lo sviluppo del linguaggio del periodo classico, una simile libertà del pensiero musicale rispetto
alla sua concreta incarnazione in uno specifico corpo strumentale sarebbe stata
semplicemente impossibile. Già nella musica dell’epoca di Haydn e Mozart il
ritorno di temi o motivi precedenti era concepibile soltanto come citazione o al
massimo, in termini negativi, come plagio. Se Bach fosse stato conosciuto e studiato in quei tempi con lo scrupolo e il rigore filologico con i quali lo si avvicina
oggi, sarebbe stato considerato forse alla stregua di un falsario che cercasse di
spacciare dei duplicati al posto degli originali.
Nel mondo di Bach, invece, era normale considerare la musica un materiale duttile, capace di mutare in forme diverse, a seconda delle circostanze concrete del
far musica e degli strumenti a disposizione. Gli antichi studiosi avevano ripreso
dal greco il termine parodia, in senso del tutto diverso dal significato moderno,
per indicare una composizione elaborata a partire da un materiale musicale già
esistente. Questa tecnica musicale, fiorita nella grande polifonia rinascimentale,
era ancora viva al tempo di Bach, che ha impiegato innumerevoli volte nella sua
opera, per esempio, musiche strumentali proprie o altrui nelle Cantate e viceversa. Occorre d’altra parte tener presente che nella prima metà del XVIII secolo la parodia comincia a confondersi con tecniche d’altro genere, come la trascrizione e l’arrangiamento, se non addirittura con la contraffazione pura e semplice, man mano che si sviluppa l’industria dell’editoria musicale e si va configurando il principio del diritto d’autore.
Questi aspetti della vita musicale ai tempi di Bach riguardano da vicino la raccolta di sei Sonate BWV 525 – 530, che conosciamo in primo luogo grazie a un
autografo contenente varie musiche organistiche, ma anche tramite altre fonti
molto vicine all’autore, in particolare una copia manoscritta in parte dalla seconda moglie Anna Magdalena, in parte dal figlio maggiore Wilhelm Friedemann.
Come accade spesso nella ricerca sulla musica strumentale di Bach, non disponiamo d’informazioni sufficienti per stabilire l’anno esatto della raccolta, anche
se essa risale probabilmente all’epoca in cui Bach, ormai consolidato nella posizione di Thomaskantor a Lipsia, aveva ripreso a occuparsi con passione di musica per organo, tra il 1727 e il 1735. In questo arco di tempo, Bach si dedicò con
nuova energia allo strumento grazie al quale aveva conquistato un prestigio
assoluto nel mondo musicale tedesco. Le numerose e importanti perizie su organi appena costruiti o restaurati, richieste a Bach da più parti nel corso del tempo,
costituiscono la riprova non solo della sua indiscussa abilità come esecutore, ma
anche di una competenza tecnica sulla costruzione e sul funzionamento dello
strumento sbalorditiva. La maggior parte degli studiosi concorda sul fatto che
la raccolta sia stata scritta per l’organo, sebbene qualcuno sarebbe incline a
interpretare la dicitura “à 2 Clav. e Pedal” come un’indicazione per il clavicembalo con pedaliera. In realtà il termine clavier indicava allora soltanto uno strumento con tastiera (dal latino clavis, chiave), lasciando in genere una certa
libertà riguardo allo strumento specifico su cui suonare le musiche. Un clavicembalo a due manuali con tastiera rappresentava tuttavia uno strumento di certo
non comune, essendo estremamente costoso e difficile da procurarsi. Ogni chiesa invece era in pratica dotata di uno strumento con queste caratteristiche,
senza contare inoltre che nell’autografo delle Sonate si trovano anche altre
musiche composte senz’altro per organo. Sembra inevitabile dunque interrogarsi sul perché il London Baroque abbia deciso di eseguire alcune di queste Sonate
in una versione per ensemble da camera. Per affrontare la questione è necessario stabilire in primo luogo che cosa rappresenti in effetti questo testo.
Esaminate da vicino, la maggior parte di queste pagine rivelano un’origine anteriore, in alcuni casi delle vere e proprie trascrizioni da lavori precedenti, come
per esempio il primo movimento della Sonata IV, che viene dalla cantata Die
Himmel erzählen die Ehre Gottes BWV 76. L’unica Sonata del tutto originale e
pensata come tale è l’ultima, la VI in sol maggiore, mentre nel complesso della
raccolta 10 movimenti su 18 risultano avere varie provenienze. Peraltro è avvenuto anche il percorso inverso, dal momento che il tempo lento della Sonata III
trovò una nuova collocazione all’interno del Concerto in la minore BWV 1044.
Abbiamo dunque un testo che rappresenta in primo luogo una sorta di antologia,
nella quale Bach ha conferito una serie di musiche sparse, con l’intenzione di raccogliere in maniera ordinata varie sensazioni strumentali sperimentate negli
anni. Gli episodi acquistano un carattere più incisivo, disposti in modo tale da
formare una sequenza organica di espressioni musicali. Bach dunque, nel riordinare la raccolta, dimostra quanto a fondo fosse ormai penetrato nella sua musica l’influsso dello stile concertistico italiano, con la sua vivace alternanza di
caratteri e forme strumentali. L’altra fonte primaria di queste musiche consiste
nel tipo di scrittura asciutta e sintetica della sonata a tre, portata al culmine
della potenza espressiva dalle opere violinistiche di Arcangelo Corelli. Lo stile
delle Sonate infatti corrisponde al dialogo contrappuntistico e imitativo tipico
della sonata a tre, nella quale l’impianto prevede il dialogo tra due voci nel registro superiore e il sostegno di una linea di basso. Bach non si allontana mai del
tutto, nel corso della raccolta, da questo stile di scrittura, né tanto meno dallo
schema formale del concerto italiano in tre movimenti, come se intendesse fondere in quest’opera due correnti principali della musica del suo tempo. In questo contesto piuttosto libero e connotato dalla ricerca di una scrittura fresca e
moderna, più che da preoccupazioni di carattere specificamente strumentale, la
scelta del London Baroque non sembra un azzardo, ma piuttosto il tentativo di
lasciar affiorare appieno la purezza del pensiero polifonico di Bach e l’inesauribile fantasia del suo contrappunto. La Sonata I ha una decisa impronta concertante, fin dalla risoluta asserzione del tema iniziale, che si dipana in un ampio
percorso armonico prima di tornare al mi bemolle di partenza. L’“Adagio” è una
struggente siciliana in do minore. La dolcissima espressività cantabile del fraseggio sembra scaturire dal respiro solistico di uno strumento ad arco, tanto più
che la scrittura è chiaramente ricalcata su quella del violino. L’“Allegro” conclusivo manifesta invece un piglio più orchestrale, con robuste spinte ritmiche del
basso e caratteristiche messe di voce nelle parti superiori. La Sonata III ha un
carattere completamente diverso. Musica riflessiva, pensierosa, quasi introversa, l’“Andante” iniziale prende spunto da una lunga frase di stile libero, come se
fosse l’improvvisazione di un ricercare. Su questo virgulto germoglia un contrappunto ricco di figure, ma ordinato in maniera sottile da uno schema formale
ben preciso. Il movimento si sviluppa infatti su un arco tripartito, nel quale si
distinguono l’esposizione, l’elaborazione e la ripresa delle 32 misure che costituiscono il segmento principale del lavoro. Il secondo movimento è indicato, in italiano, “Adagio e dolce”, a ulteriore testimonianza degli influssi del mondo latino.
È una magnifica pastorale in fa maggiore, ma di carattere intellettuale, per così
dire, immediatamente trasformata in palestra di contrappunto, nell’ammirevole gara a imitazione delle due voci superiori. Nel “Vivace” conclusivo gli effetti
dello stile concertante emergono con vigore, nella virtuosistica alternanza di solo
e tutti che anima questa pagina brillantissima.
L’ultima Sonata, in sol maggiore, è l’unica composta per intero con materiale ori-
ginale. È anche l’unica nella quale l’imitazione cede il passo a uno stile concertante più marcato. L’unisono iniziale delle due voci superiori costituisce infatti
una netta cesura con gli analoghi movimenti delle altre Sonate. Qui ritroviamo,
in miniatura, il tutti di un’orchestra barocca, con tanto di pifferi e tamburi. C’è
un po’ di gusto francese in questo siparietto d’inizio, in quel botta e risposta ravvicinato di un frammento ritmico, un lezioso ricciolo interpolato alla preparazione della cadenza che introduce il primo solo. Le parti “solistiche” delle due voci
ricordano il respiro concertante dei Brandeburghesi, con ampie divagazioni virtuosistiche alle quali partecipa ogni tanto anche la voce del basso. Lo stile imitativo rispunta nella parte centrale, con la trasformazione dello squillante motivo
iniziale in idea tematica da elaborare. Lo sviluppo culmina in un episodio di grande forza espressiva, con un lungo pedale sulla nota re, che sostiene la tensione
armonica provocata da tonalità lontane dal luminoso sol maggiore, chiudendo
l’ampio movimento nella ritrovata esultanza del tema iniziale.
Il successivo “Lente”, alla francese, rappresenta uno dei più drammatici contrasti espressivi rintracciabili nell’opera di Bach. D’improvviso, nella tenebrosa
penombra della tonalità di mi minore, la musica volta pagina in maniera radicale e scava negli abissi della malinconia. Il movimento lento e incessante del basso
pare raffigurare i cupi vagabondaggi del Petrarca “nei più deserti campi”, mentre di sopra i pensieri affollano la mente del compositore raggiungendo aspre
dissonanze e manifestano con un incessante cromatismo la massima inquietudine spirituale. In certi punti risulta impossibile raccapezzare il senso dei percorsi armonici e capire in che tonalità si sta svolgendo il discorso. Da questa pagina
di tetra bellezza scaturisce un movimento conclusivo di taglio squisitamente
barocco, di una serenità un po’ pensosa e forse pervasa da un certo senso di rassegnazione. Nel complesso quest’ultima Sonata sembra connotata da una forte
impronta spirituale, che conferisce a queste opere una posizione particolare
all’interno del vasto arcipelago della musica strumentale di Bach.
Abbiamo già avuto modo di accennare, un paio di concerti fa, al carattere episodico del gruppo di Sonate per cembalo e viola da gamba di Bach. Le tre Sonate,
di cui solo la prima in sol maggiore è pervenuta sino a noi tramite un manoscritto autografo, hanno origini disparate e manifestano a loro volta quel trasformismo congenito di cui si parlava a proposito degli Orgeltrios. Nel solco di questa
tendenza a sperimentare metamorfosi musicali, Jordi Savall per esempio ha
seguito l’esempio di Bach, trascrivendo per viola da gamba e cembalo una delle
Sonate per organo di cui sopra. Tutto questo gioioso disordine filologico lascia
trapelare come alla fonte di gran parte della scrittura non vocale di Bach vi fosse
lo stile della sonata a tre, che aveva dominato la musica strumentale del primo
Settecento. Del resto la Prima Sonata per viola da gamba non è altro per l’appunto che la trascrizione di una Sonata per due flauti traversi e basso continuo
BWV 1039, la cui fuga finale fu poi trasformata, forse non da Bach, in una versione per organo. La presenza di una sonata per viola da gamba nel mezzo di un
gruppo di sonate a tre non desta dunque sorpresa, tanto meno nel caso della
Seconda Sonata in re maggiore, che conserva più delle altre l’impronta originaria della cosiddetta sonata da chiesa, con due introduzioni lente a precedere i
movimenti veloci.
Johann Christoph Friedrich Bach
Sonata per due violini e basso continuo
in fa maggiore F. VII/3
Allegro
Andante
Tempo di Minuetto
Carl Philipp Emanuel Bach
Sonata a tre in si bemolle maggiore H 584
Allegretto
Largo con sordini
Allegro
La vita di Johann Christoph Friedrich, il meno illustre dei figli musicisti di Bach,
si svolse per intero nella ristretta cerchia della corte del Conte di Bückeburg,
una piccola cittadina nei pressi di Hannover. Friedrich, figlio della seconda
moglie Anna Magdalena, aveva ricevuto dal padre, come gli altri fratelli, un’ottima educazione musicale, grazie alla quale fu in condizione di entrare al servizio del conte Wilhelm di Schaumburg-Lippe giovanissimo, prima ancora di compiere i diciotto anni. In previsione dell’imminente scomparsa del vecchio
Sebastian, ormai cieco e in cattiva salute, la rete familiare si era mossa per
tempo per procurare qualche buona occasione ai più giovani, cercando di metterli al riparo dalle conseguenze. Fu probabilmente Carl Philipp Emanuel, da
tempo in servizio alla corte del Re di Prussia, a raccomandare il fratello minore
al Conte, che condivideva con re Federico la passione per la musica. Friedrich
dunque rinunciò all’Università di Lipsia e si trasferì nella piccola corte di
Bückeburg, circondata da un’immensa foresta di faggi e querce, che il grande
poeta Herder sentiva come «il paesaggio più bello, più tedesco, più fresco, più
romantico che ci sia al mondo». Non si mosse più dalla tranquilla e forse noiosa
vita di questa corte di provincia, dove in breve tempo arrivò al vertice della carriera professionale. La Sonata per due violini e basso continuo in fa maggiore
è un’opera probabilmente giovanile, scritta nei primi anni dopo l’arrivo di
Friedrich a Bückeburg. La musica è pervenuta a noi grazie a una copia manoscritta degli anni 1768/1769, portata assieme ad altri lavori in America da un
musicista tedesco, Johann Friedrich Peter. Il manoscritto, contenente anche
un’altra Sonata a tre di Friedrich, è conservato negli archivi della Moravian
Church di Bethlehem, in Pennsylvania. Del giovane Friedrich, la Sonata restituisce l’immagine di un musicista sensibile e gradevole, istruito in maniera eccellente da Bach, ma pronto ad assorbire gli influssi del gusto italiano in voga nella
cappella musicale del conte Wilhelm. Una malinconica eleganza melodica conferisce in particolare al movimento centrale, “Andante”, una grazia d’accento teatrale, che si diffonde anche negli altri movimenti con la gentilezza propria al carattere dolce di questo figlio di Bach, rimasto un po’ in ombra rispetto ai più illustri fratelli. Maggiore del fratello di quasi vent’anni, Carl Philipp Emanuel non ebbe né
l’indole pacata, né la carriera lineare e ordinata di Friedrich. Il distacco di
Emanuel dalla casa paterna avvenne in maniera diversa, seguendo strade che
manifestavano lo spirito indipendente e anche l’intraprendenza del suo carattere.
Dopo gli studi di legge a Lipsia e a Francoforte, Emanuel decise nel 1738 di lasciare l’Università e di tentare la fortuna come musicista a Berlino. La fortuna in effetti sembrò baciare subito il giovane musicista, già conosciuto per la sua eccellente
mano sulla tastiera, sotto forma di una chiamata del principe ereditario Federico
a Rheinsberg. Qui il futuro Re di Prussia, in attesa di succedere all’arcigno padre
e avviare il radicale progetto di riforma dello Stato che occupava costantemente i
suoi pensieri, godeva dei piaceri della vita e soprattutto della musica, di cui era un
avido consumatore. Emanuel rimase a servizio di Sua Maestà per quasi trent’anni, un periodo ricco di stimoli culturali e grandi avvenimenti artistici, ma anche
offuscato da non pochi dispiaceri professionali a corte e da una logorante attività
come accompagnatore preferito del regio flautista. La musica da camera non rappresenta forse la parte più interessante e innovatrice di questo grande figlio di
Bach, ma non si può dimenticare che una sua Sonata a tre del 1749, detta “Il
Sanguineus e il Melancholicus”, aprì di fatto le porte all’ingresso del programma
letterario nella musica strumentale. La Sonata per due violini e basso continuo
in si bemolle maggiore risale al 1754 e fu pubblicata a Berlino nel 1763, “Alle spese
di Giorgio Ludovico Winter”. Una copia manoscritta della Sonata si trova nella
biblioteca della Singakademie di Berlino, che era in possesso, prima dei disastri
provocati dall’ultima guerra, di molte musiche di Emanuel e del geniale quanto
scorbutico fratello Wilhelm Friedemann, grazie al lascito di una prozia di
Mendelssohn, Sara Itzig, allieva d’eccezionale talento di quest’ultimo. La scrittura
della Sonata in si bemolle ricalca il modello caratteristico della musica strumentale di vecchio stampo barocco, in particolare per quanto riguarda i processi imitativi delle due voci superiori. Malgrado questi aspetti tradizionali, tuttavia, la
musica di Emanuel è animata da una vitalità autentica e da un temperamento
ardente. Il magnifico “Largo con sordini”, concepito come luogo privilegiato della
poesia degli affetti, spiana la strada a una nuova sensibilità espressiva, già in
agguato nella generazione di musicisti più giovani. Spesso Emanuel è stato
descritto come una sorta di liquidatore della tradizione familiare, imputando alla
sua musica di aver intascato l’eredità paterna in cambio di una musica di facile consumo. È un giudizio profondamente ingiusto, che non tiene conto delle trasformazioni radicali del linguaggio musicale dell’epoca. L’“Allegro” finale costituisce un
esempio eloquente delle solide basi di Emanuel nel mondo di Bach senior. La
struttura del movimento è impiantata sullo stile imitativo della tradizionale sonata a tre, ma l’effervescenza ritmica e il nerbo del carattere costituiscono il marchio
indelebile della personalità originale dell’autore.
Oreste Bossini
LONDON BAROQUE
Fondato nel 1978 da Charles Medlam, il complesso London Baroque è uno dei
più rinomati ensemble di musica da camera barocca in ambito internazionale. È composto da musicisti che dedicano la loro vita professionale al gruppo
(circa 50 concerti l’anno) raggiungendo una fusione tra le voci dei loro strumenti simile a quella di un quartetto d’archi stabile. Il loro repertorio spazia
dalla fine del XVI secolo fino a Mozart e Haydn, accostando ai capolavori del
periodo barocco e dei primi classici opere di autori poco conosciuti. Ospiti
regolari di importanti festival quali Salisburgo, Bath, York, Beaune,
Innsbruck, Utrecht, Ansbach e Stoccarda, sono stati protagonisti di tournée in
tutta Europa, negli Stati Uniti, in Sud America e in Giappone e di concerti
con Michael Chance, Emma Kirkby, Lynne Dawson, Julia Gooding,
Catherine Bott e Lorna Anderson. Tra le loro numerose incisioni ricordiamo
la serie completa dei trii di Corelli, Händel, Lawes, Purcell, Leclair e C.Ph.E.
Bach. I nuovi progetti comprendono le Trio sonate di Vivaldi op. 1, i Mottetti
di Händel con Emma Kirkby, le Fantasie di Purcell, le Apoteosi di Couperin e
le Trio sonate di Bach. Numerosi i passaggi televisivi in Inghilterra, Francia,
Germania, Belgio, Austria, Olanda, Spagna, Ungheria, Svezia, Polonia,
Estonia e Giappone.
Ingrid Seifert suona un violino Jacobus Stainer del 1661, Richard Gwilt un
Gioffredo Cappa del 1685 e Charles Medlam una viola da gamba costruita da
Jane Julier nel 2000 su modello di uno strumento Bertrand del 1704.
L’ensemble è stato ospite della nostra Società per le Settimane Bach nel 1998
(9° ciclo) e per Musica e poesia a San Maurizio nel 2003.
CONSEGNA DEI NUOVI PORTATESSERA AI SOCI
Questa sera e in occasione dei prossimi concerti verranno distribuite prima del
concerto e durante l’intervallo le nuove custodie della tessera associativa e dell’abbonamento che uno dei nostri due sponsor istituzionali ha voluto offrire a
tutti i nostri Soci.
I nuovi Soci, e coloro che l’hanno smarrita, troveranno la tessera associativa
all’interno della custodia.
Prossimi concerti:
martedì 20 novembre 2007, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Quartetto Belcea
Il Quartetto Belcea si è formato al Royal College di Londra nei primi anni
Novanta, affermandosi a livello internazionale con la vittoria ai concorsi di Osaka
e Bordeaux. Una delle caratteristiche del Belcea consiste nel coniugare
tradizione e ricerca di nuove strade, anche nella scelta del repertorio e delle
collaborazioni con altri artisti. In questo caso la giovane formazione inglese ha
deciso di presentare un programma nel solco della grande tradizione dei loro
maestri, il Quartetto Amadeus prima e il Quartetto Alban Berg poi. Mozart,
Schubert e Ravel rappresentano una parabola completa del linguaggio della
musica da camera e costituiscono un eccellente banco di prova per ammirare le
qualità di suono e di concentrazione di nuovi interpreti, che desiderano
raggiungere i vertici della scena musicale di oggi.
Programma (Discografia minima)
W.A. Mozart
Quartetto in re maggiore
"Hoffmeister" K 499
(The Chilingirian Quartet, CRD3427)
F. Schubert
Quartetto n. 14 in re minore
"La morte e la fanciulla" D 810
(Alban Berg Quartett, Emi 556470)
M. Ravel
Quartetto in fa maggiore
(Britten Quartet, Emi 754346)
martedì 27 novembre 2007, ore 20.30
Sala Verdi del Conservatorio
Alfred Brendel pianoforte
Haydn, Beethoven, Schubert, Mozart
Società del Quartetto di Milano, via Durini 24 - 20122 Milano
tel. 02.795.393 – fax 02.7601.4281
www.quartettomilano.it – e-mail: [email protected]