Valboreca un tuffo nella storia - L`Epica Sulle Tracce di Annibale

Valboreca un tuffo nella storia
Una valle bellissima con un mistero da svelare
La storia di Cartagine e la sua guerra contro i romani sono conosciute in tutto il mondo.
I piacentini in particolare ricordano la famosa battaglia sul Trebbia, la prima che dimostrò il genio
strategico di Annibale.
Spesso si hanno solo pochi ricordi scolastici, tutti hanno studiato a scuola la seconda guerra punica
e forse qualcuno ricorderà le tre T delle prime vittorie di Annibale: Ticino, Trebbia e Trasimeno, ma
chi ha avuto occasione di leggere qualcosa di più approfondito sulla battaglia del Trebbia ed in più
conosce i luoghi dove si svolse: Tuna , Rivalta, Gazzola, Ancarano, ecc; resta meravigliato
dell’imponenza di ciò che qui è accaduto.
Nella battaglia sul Trebbia morirono più di trentamila uomini; eppure se non ci fossero rimasti gli
scritti dell’epoca che cosa ci rimarrebbe oggi a testimoniare ciò che avvenne nel 218 a.C. tra
Rivergaro e Piacenza?
Non si sono rinvenuti reperti che possano essere inerenti alla battaglia o a vicende collegate. Forse
l’unica cosa che resta oggi di tutti quei cadaveri di animali e di uomini e di tutto quel materiale che
sicuramente venne abbandonato e fu disperso nel fiume e nelle campagne, l’unica cosa rimasta,
dicevo, è un nome: Gossolengo; che deriva probabilmente da Oss-leng e cioè osso lungo, forse un
femore di un elefante di Annibale morto in battaglia o per i rigori invernali, che successivamente
rinvenuto diede il nome alla località del ritrovamento, oggi questo “osso lungo” campeggia sullo
stemma del comune di Gossolengo.
I nomi dei luoghi, i cosiddetti toponimi, hanno spesso attraversato indenni la storia, sono passati
attraverso i secoli subendo magari solo leggere trasformazioni.
Molto più severo è stato il tempo con il ferro e col bronzo delle armi e degli oggetti che i soldati
romani e cartaginesi portavano con sé.
Proprio per parlare di “toponimi” che ci ricordano Cartagine, vorrei chiedere a chi mi legge di
seguirmi con pazienza in un viaggio che si svolgerà nello spazio esplorando un territorio montano
della Valtrebbia, insieme ad un viaggio nel tempo sulle orme degli eserciti di Annibale per vedere
se infine questi due distinti percorsi si incontreranno.
In Emilia Romagna, molto prossima alla Liguria e al Piemonte, ma vicina anche alla Lombardia;
c’è una valle, la cui caratteristica principale è di essere quasi completamente isolata ed in gran parte
quasi disabitata, non esiste nemmeno oggi una strada che la risalga interamente ed i paesi che vi
sono ad esclusione di pochi, vengono abitati solo in estate. Questa valle è la Valboreca, scavata
dall’omonimo fiume, che nasce fra i monti Cavalmurone e Chiappo e dopo aver costeggiato
delimitandoli, i monti Alfeo a destra e Lesima a sinistra, sfocia nel Trebbia di fronte agli abitati di
Traschio e di Losso. È una valle che chi ha avuto l’occasione di conoscere non la dimentica tanto
facilmente, l’impressione che si ha visitandola è di essere tornati in un posto dove ancora il bosco, il
fiume, la montagna, la natura sono rimasti come erano quando l’uomo ancora doveva sfidarli e
vincerli per sopravvivere.
Poche sono le strade che la percorrono, la più importante è la provinciale che partendo da Valsigiara
(Valtrebbia) passa a Cerreto, a Zerba, a Pei per raggiungere poi Cappannette di Pei e Capanne di
Cosola da dove è possibile svalicare in Lombardia scendendo nella val Staffora oppure in Piemonte
scendendo in val Borbera. Da questa strada si staccano delle stradine laterali sempre molto tortuose
e piene di tornanti con cui è possibile raggiungere; Artana, Bogli, Belnome, e Tartaro.
Pizzonero e Suzzi sono raggiungibili in automobile solo risalendo la Valtrebbia fino a Gorreto già
in Liguria, da li’ una strada comunale che valica il passo della Maddalena li raggiunge
Per apprezzare però veramente la bellezza e le caratteristiche della valle, la cosa migliore è risalire
il torrente, specialmente in estate, quando la calura si fa sentire, la risalita offre incontri con laghetti
di acqua abbondante e limpidissima inframmezzati a stupende e freschissime cascate.
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Subito all’imbocco della valle, salendo dalla provinciale, proprio nel punto più stretto e quindi più
facilmente difendibile, troviamo Tartago sulla destra idrografica e Zerba sulla sinistra, difficile non
pensare a Kartago ed all’isola di Djerba in Africa situati proprio anch’esse l’una di fronteall’altra.
Non sarà che qualche cartaginese nostalgico nelle notti di guardia abbia pensato di dare a due
accampamenti, magari scherzosamente, il nome dei luoghi che lui ben conosceva, e che desiderava
ricordare? Forse vale la pena di vedere se ci sono altri posti che possono far pensare a qualcosa del
genere. Sulle pendici del monte Alfeo sull’altra strada che porta al Passo della Maddalena, varco di
accesso all’alta Valboreca, vi è un altro posto che ci ricorda i cartaginasi, è Barchi; questo nome ci
rammenta che il cognome della famiglia di Annibale era Barca, suo padre, i suoi fratelli, erano
conosciuti come i Barcidi.
In effetti molti si sono interrogati sull’origine di questi nomi, e sono state fatte anche delle ipotesi,
la più comune è che soldati di Annibale dopo aver combattuto la famosa battaglia del Trebbia,
abbiano disertato, dandosi alla macchia e si siano stabiliti da queste parti magari maritandosi con
donne del luogo e battezzando questi posti con i luoghi di loro provenienza; un’ipotesi come
un’altra, con cui io personalmente non mi trovo molto d’accordo.
Un’altra ipotesi è questa; Annibale dopo la battaglia svernò in Valtrebbia, la risalì poi in primavera
per evitare la Via Emilia, presidiata dai romani, valicò gli appennini in alta Valtrebbia per arrivare
poi in Toscana come è riportato dalle cronache di Polibio e Tito Livio. Questa possibilità potrebbe
essere vera, però se seguiamo le tracce dei nomi “sospetti”, vediamo che questi non portano in
Toscana.
Se proseguiamo infatti (col nostro viaggio nello spazio) dal passo della Maddalena, scendiamo a
Suzzi: uno dei paesi che in inverno si spopolano e rimangono completamente disabitati e isolati dal
resto del mondo, per ripopolarsi poi con la bella stagione ed esplodere in estate con tutte le
numerose case del paese di nuovo abitate da famiglie che ritornano al loro personale piccolo Eden
gelosamente conservato.
Anche qui troviamo nel nome una strana attinenza con i luoghi di origine dei Punici; infatti in
Tunisia nel golfo di Hammamet c’è Sousse, una grande e antica città, che oggi conta
quattrocentotrentamila abitanti è sempre stata un storico porto e i cartaginesi, eredi dei fenici, si sa
erano navigatori; da qui veniva Massinissa uno dei protagonisti della battaglia di Zama.
Per trovare altre tracce dobbiamo invece scendere al fiume, dove possiamo ammirare il vecchio
mulino ora un po’ diroccato con la bella cascata a fianco della costruzione, gli appassionati
(moderni) potranno apprezzare la turbina scavata nel legno che a modo di “Pelton” sfruttava per
muovere le macine, non solo il peso, ma anche la velocità dell’acqua.
Abbandonando il torrente dopo averlo attraversato, un sentiero in salita ci conduce a Bogli, paesone
ancora più grande di Suzzi adagiato con la sua chiesa in un posto dove nessuno si aspetterebbe di
trovare un villaggio così bello con vie, carruggi, voltoni, fasce e muretti di pietra simbolo della
tenacia dei suoi abitanti. Qui nacquero gli antenati di Toscanini ed ancora oggi questo cognome è
uno dei più comuni. Nel dialetto parlato qui il nome del paese è buggi e tornando sulle coste del
nord Africa, in Algeria, c’è Bougie altro porto famoso, fu base navale dei pirati saraceni che da qui
attaccavano le navi e le coste degli europei. Da qui veniva uno fra i migliori capi di Annibale:
Marbale, comandante della cavalleria numidica, egli poteva permettersi, dopo la grande vittoria sul
Trasimeno e la rinuncia ad attaccare Roma, di apostrofare il Condottiero dicendogli: “È ben vero
che gli Dei non concedono tutte le doti ad una stessa persona. Tu Annibale sai vincere, ma non sai
usare la vittoria”.
Come si può vedere dunque anche Bogli ha un alter-ego punico e se alcune attinenze possono
sembrare un po’ forzate, teniamo presente che i cartaginesi quando conquistano la Spagna e
costruiscono la capitale del nuovo regno, la chiamano Cartagena dandogli il nome della citta da cui
provengono, quindi è normale per loro chiamare una località appena fondata col nome di un posto
che esiste già, forse questo gli serviva a sentirsi a casa propria anche a migliaia di kilometri di
distanza.
Proseguiamo comunque il nostro percorso, perché le sorprese non sono finite.
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Se da Bogli risaliamo un vecchio sentiero di montagna in parte ancora lastricato, ma purtroppo oggi
franato in molti punti, in direzione del monte Poggiorondino, incontriamo una località chiamata “il
Castello” ove oggi rimangono solo pochi ruderi di una torre in pietra circolare molto simile a quella
di Zerba.
La gente di Bogli racconta una strana storia riguardante questa località, ma di questo riparleremo
più avanti.
Risaliamo ancora il nostro sentiero, arriviamo sulla costa spartiacque, ci troviamo fra il
Poggiorondino e il Cavalmurone, da qui scendiamo fino ad un paesino arroccato su una sponda
rocciosa, siamo ora in Piemonte in provincia di Alessandria, il torrente che scorre la giù in fondo si
chiama Borbera ed è un’affluente dello Scrivia.
Il paesino dove siamo arrivati, ancora una volta ha un nome inequivocabilmente punico, si chiama
Cartasegna , nome che ci rimanda a Cartagena Capitale spagnola .
Io personalmente quando mi sono reso conto che questa località, naturale sentinella della val Boreca
verso il savonese e l’alessandrino si chiamava così, ho sentito un brivido lungo la schiena.
Ho cercato allora di capire come sia possibile che questa conca sperduta in mezzo ai monti possa
essere così strettamente collegata alla storia cartaginese.
Cosi ho cercato di leggere tutto quello che ho trovato che parlasse di Cartagine e di Annibalee nello
stesso tempo ho cercato di esaminare tutto quanto poteva essere messo in relazione ad una ipotetica
“occupazione cartaginese “ della zona.
In effetti non sono certo il primo ad aver notato l’origine cartaginese di molti nomi di luogo di
questa zona, sui giornali locali molte volte sono apparsi articoli che parlavano di questi strani nomi,
però pochi conoscono la geografia abbastanza particolare di questa valle, per esempio Cartasegna si
trova in Piemonte, le carte geografiche più particolareggiate spesso si fermano ai confini provinciali
o regionali, bisogna prendere la carta due carte provinciali e unirle per notare che Cartasegna è a
due passi da Bogli.
Quando poi qui da noi si parla di Cartagine o di Annibale si va subito con la mente alla battaglia e si
cerca di mettere in relazione con questo avvenimento tutto ciò che è cartaginese, questa invece
secondo me è un’altra storia che ha come centro di svolgimento proprio la Valboreca.
Torniamo a Cartasegna, di questo paesino parla in un bellissimo libro fotografico dal
titolo”Un’isola fra i monti” Fabrizio Capecchi. L’autore raccoglie la testimonianza di un parroco
che racconta questa strana storia: pare che il paese in passato fosse stato occupato dai saraceni che
vi posero dimora, ma non vi sostarono a lungo non sopportando i rigori invernali, gli stessi abitanti
dei luoghi avevano predetto al loro arrivo “verranno le mosche bianche a cacciarvi via”, indicando
con questa metafora i fiocchi di neve, in effetti questi saraceni, a un certo punto abbandonarono i
luoghi occupati e scomparvero.
Identica storia ho sentito io raccontare a Bogli dove veniva indicata come residenza degli
“stranieri”la località “il Castello” menzionata prima.
Da notare che la qualifica di saraceni è stata data dal prete mentre il racconto verteva in particolare
sul fatto che questi abitanti erano abituati a climi più miti e temevano “le mosche bianche”.
Mi domando. Può una tradizione orale superare duemila e duecento anni? Se si, gli stranieri di
questo racconto potrebbero essere questi cartaginesi di cui troviamo traccia, ma non riusciamo a
raggiungere.
Fin ora abbiamo trovato solo nomi e leggende, a dire il vero un reperto è stato trovato, durante i
lavori di scavo e di pulizia a Zerba, nella torre, sono state trovate otto armille di bronzo che sono
oggi conservate al museo del castello Sforzesco di Milano.
Le armille erano degli anelli in bronzo di varie dimensioni che i guerrieri antichi cartaginesi
compresi usavano per proteggere l’avambraccio, venivano infilate numerose a formare come un
tubo che permetteva però all’arto di muoversi.
Prima di abbandonare momentaneamente questa valle permettetemi di elencare altri nomi
interessanti: la strada che da Brallo porta al Lesima passando per Cimacolletta era denominata su
una vecchia carta degli stati sardi “Strada di Annibale”.
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Secondo una leggenda conosciuta da molti e riportata anche in molti testi ed articoli il monte
Lesima prenderebbe il suo nome dal fatto che Annibale salito sulla vetta per rendersi conto della
geografie della zona si sarebbe ferito una mano e quindi da lesa manus-Lesima.
In zona insomma non mancano strane leggende con personaggi sconosciuti e altre con precisi
riferimenti ad Annibale.
Aggiungo ancora due località con nome strano ma non di origine africana: Pian dell’Armà che è un
pascolo oggi pista da sci fra il monte Lesima e il monte Chiappo, Capanne del “romano”è situato
sul costone che unisce il monte Antola al Cavalmurone e quindi la strada più corta verso Genova.
Partiamo ora con il nostro viaggio nel tempo e proviamo a seguire Annibale ed i suoi uomini per
vedere dove questi ci porteranno.
Anzitutto diamo uno sguardo alla situazione mondiale dell’epoca con particolare riguardo alla
nostra Valtrebbia: sappiamo che sono da poco state fondate le colonie romane di Piacenza e
Cremona in piena Gallia innervosendo le tribù galliche della zona.
A Genova si e insediata una guarnigione romana che controlla la strada litoranea ed il porto, il
territorio però è in mano ai liguri che occupano un grande regione che non comprende solo la
Liguria ma arriva alla foce del Rodano e alla lunigiana, essi sono una antica popolazione divisa in
tribù e legata ai cartaginesi con cui hanno sempre commerciato e a cui forniscono basi d’appoggio e
uomini.
I liguri montani anche loro divisi in molti gruppi etnici spesso anche in guerra fra loro occupano le
zone montuose interne sono caratterizzati da un forte spirito d’indipendenza e forniscono
tradizionalmente ai cartaginesi mercenari forti e pugnaci.
Quando nel 218 a.C. Annibale parte da Cartagena in Spagna con un esercito di centomila uomini
conosce bene queste situazioni di conflittualità latente e spera di trarne vantaggio, con la sua
partenza avrà inizio una lunga guerra totale che durerà quindici anni e vedrà coinvolto buona parte
del mondo allora conosciuto.
Questa autentica antica guerra mondiale venne combattuta in Africa la terra dei cartaginesi, in
Spagna regno dei Barcidi, in Sicilia dove Siracusa si schierò con Cartagine, in Sardegna dove si
ribellarono i Sardi, in Italia meridionale dove Annibale combatte ininterrottamente per quindici
anni, in Macedonia che fu alleata di Annibale, in valle padana dove insorsero i Celti, in Piemonte e
sulle Alpi dove Annibale dovette combattere per aprirsi la strada.
Se oggi scoprissimo che oltre alla battaglia sul Trebbia fatto eclatante di cui si conoscono date
luoghi e personaggi perché registrati e descritti dagli storici latini, si fossero svolti anche episodi
minori poco conosciuti e scarsamente registrati dai cronisti dell’epoca non ci sarebbe nulla da
stupirsi.
E’ sempre nel 218 a.C. anno di partenza di Annibale che si svolge sul finire dell’anno la battaglia
del Trebbia, fu questo il primo grande scontro campale fra l’esercito cartaginese al completo contro
quello romano.
Esistono molte pubblicazioni che ricostruiscono questo avvenimento, tutte prendono origine dagli
scritti di Polibio e Tito Livio, fra queste mi capitò di leggere quella del generale Roberto Olmi
pubblicata nel 1970sul libro “Bobbio una città”non sto a riportare interamente una cronaca che
ognuno può andarsi a legger da solo vorrei però porre l’attenzione sulla fase finale della battaglia e
su un personaggio che incontriamo per la prima volta: questi è Magone fratello minore di Annibale,
egli viene incaricato di scegliere cento uomini che ritiene i migliori ognuno di loro ne sceglierà
dieci con questi mille uomini scelti Magone si apposta in una zona nascosta nei pressi del fiume e
quando la battaglia che già volge al peggio per i romani che baldanzosamente hanno attraversato il
fiume per affrontare un nemico che essi sottovalutavano e di cui ora invece subiscono gli attacchi
dei fanti rinforzati dagli elefanti e dalla cavalleria sulle ali, si trovano improvvisamente alle spalle
Magone con i suoi che gli da il colpo finale concludendo la giornata con una vittoria cartaginese che
passerà alla storia e che rimarrà fino ad oggi la battaglia più importante combattuta in Valtrebbia.
Dopo questo scontro nelle cronache c’è qualche divergenza, si parla di Annibale che sverna in
Valtrebbia, ma si parla anche della sua presenza a Bologna presso i Galli Boi,
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In ogni caso sul finire dell’inverno o meglio ai primi incerti segni della primavera, Annibale fa due
tentativi di raggiungere l’Etruria, il primo dei quali si traduce in un vero fallimento infatti scoppiò
una bufera così violenta che un insieme di vento, pioggia e neve quasi seppelì l’esercito per due
giorni superando forse gli orrori del passaggio delle alpi.
Molti soldati, molti somieri e moltissime bestie perirono per il freddo, fra questi anche sette degli
elefanti superstiti della battaglia del Trebbia.
Oltre ai morti molti caddero malati, Annibale stesso si buscò un’oftalmia che gli costò la perdita di
un occhio. Ci fu poi un secondo tentativo più fortunato, ma siamo già a maggio quando l’esercito
dopo aver finalmente varcato gli Appennini ed attraversato delle insidiose paludi sbuca nella valle
dell’Arno e giunge a Fiesole.
Di questo episodio parla anche Don Tosi nella sua “Storia di Piacenza” dove sempre sulla base dei
testi di Polibio e Tito Livio e con la conoscenza dei luoghi che egli aveva, cerca di ricostruire il
probabile percorso ipotizzando una risalita della Valtrebbia fino a Rovegno, dove anticamente si
estraeva il rame, per seguire poi un’ antica strada dello stagno (col rame e con lo stagno si
produceva e si produce il bronzo) che attraversava le valli del Ceno, del Taro e poi attraverso il
passo del Bratello portava in Etruria.
Apro qui una breve parentesi perché qualcuno tenderebbe a giustificare i nomi punici della zona
proprio per questo itinerario che l’armata avrebbe forse percorso in alta Valtrebbia, io penso invece
che questo tragitto ovunque si sia svolto non avrebbe mai potuto dare questi nomi che abbiamo
incontrato’ un’esercito che si sposta può dare un nome a una strada, non può dare nomi a località
specialmente se non le attraversa.
Torniamo quindi a seguire Annibale nei suoi spostamenti, ora lo seguiremo solo negli episodi più
importanti, perché egli non tornerà più sui suoi passi e quindi non sarà lui a battezzare le località
della Valboreca.
E’ giugno del 217°A.C. e si svolge la battaglia del Trasimeno, di nuovo una sonora sconfitta dei
romani con il console Flaminio ucciso, 15000 romani morti, 10000 legionari fatti prigionieri. È qui
che Maarbale esorta Annibale ad attaccare subito Roma, in modo che arrivino prima i cartaginesi
che la notizia del loro arrivo. Annibale però decide di non attaccare la città che giudica ancora
troppo forte e difesa da mura che il suo esercito avrebbe potuto a malapena circondare, inizia quindi
un’azione di disturbo, saccheggiando e devastando i territori degli alleati dei romani e cercando di
stringere alleanze con popolazioni disponibili.
Si arriva così al 2 agosto 216 a. C., quando con la battaglia di Canne, Annibale conferma di essere
un vero stratega, infliggendo ai romani, una sconfitta spaventosa; Polibio parla di 70000 morti e
10000 prigionieri, Tito Livio dà invece come caduti 46200 romani e 3000 prigionieri, in ogni caso
la sconfitta è disastrosa.
Nuovamente Annibale scarta l’idea di attaccare direttamente Roma, si dirige invece verso il
meridione e manda emissari in ogni parte del mondo conosciuto perché è giunto secondo lui il
momento di rovesciare finalmente la supremazia dell’odiata Roma.
Fra questi emissari vi è Magone che dopo aver attraversato la Calabria e la Sicilia si imbarca per
Cartagine per organizzare rinforzi per Annibale.
All’inizio buona parte del meridione passa dalla parte di Annibale, entrano in campo i Galli
Cisalpini che attaccano e distruggono un esercito consolare, in questo periodo le colonie di
Cremona e Piacenza rimangono isolate, i macedoni armano una flotta per portare rinforzi ad
Annibale, Magone parte da Cartagine con un esercito imbarcato su sessanta navi. Tutto sembra
volgere a favore dei punici, però imprevedibilmente la sorte si capovolge: Magone deve accorrere
in Spagna, dove l’esercito degli Scipioni, sta sbaragliando il regno dei Barcidi, in Grecia una flotta
romana impedisce ai macedoni di passare in Adriatico, in Sicilia, Siracusa dopo varie vicende torna
sotto l’influenza romana; ci si avvia così a una fase di stallo che impedisce ad Annibale, nonostante
le sue strepitose passate vittorie e il suo indubbio genio militare di consolidare un’occupazione
territoriale e lo costringe in pratica a ritirarsi nelle zone montane della Calabria da dove può
facilmente difendersi d il suo esercito, un po’ smagrito, ma sempre temibile e invitto è inattaccabile.
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Abbandoniamo ora Annibale, arroccato nel “Bruzio”, e seguiamo Magone costretto come abbiamo
visto ad approdare in Spagna. Qui alle iniziali vittorie degli Scipioni (si tratta del padre e dello zio
di Publio Cornelio) segue una dolorosa sconfitta che vede anche la morte dei due fratelli
Romani.
Il senato dell’Urbe decide di passare il comando dei due caduti all’erede, si tratta del giovane
Scipione che diverrà in seguito il glorioso “Africano” .
Questo nuovo arrivato ribalta subito la situazione, siamo ora nel 209 a.c. ed egli con un coraggioso
e fortunato colpo di mano conquista Cartagena la capitale del regno barcide di Spagna, sede
operativa degli eserciti punici e importante arsenale colmo di tutti i materiali necessari al tempo per
condurre una guerra.
L’anno successivo nella battaglia del Guadalquivir batte Asdrubale secondo figlio di Bomilcare e
fratello anch’egli di Annibale costringendolo ad uscire col suo esercito dalla Spagna attraversando i
Pirenei.
Asdrubale dopo aver soggiornato in Francia rinforzando il suo esercito entra in Italia con
l’intenzione di congiungersi con suo fratello Annibale, viene però intercettato da un forte esercito
romano che sul fiume Metauro lo circonda e lo sconfigge,
Si dice che la testa decapitata dello sconfitto venga lanciata con la catapulta nell’accampamento di
Annibale che è rimasto sempre trincerato nel Bruzio.
Nel 206 a.c. dopo un’ennesima sconfitta dei cartaginesi ad Ilipa in Spagna ad opera di Scipione, si
imbarca un esercito di punici su una flotta formata da navi da guerra e da trasporto, questa armata è
comandata da Magone che la guida alle isole Baleari dove trascorrerà l’inverno.
Da lì Magone decide di trasferirsi in Italia; se voglia anche lui ricongiungersi con suo fratello non lo
sappiamo, perché le notizie non sono numerose. Sappiamo che giunto inaspettato, occupa e
saccheggia Genova dopodiche àncora parte delle navi a Savona e spedìsce il resto della flotta a
Cartagine a questo punto rimane due anni presso i liguri. Che cosa fa esattamente in questo periodo
di tempo lo sappiamo solo in parte: appoggia i liguri Ingauni contro gli Epanteri ed accresce il suo
esercito perché ci dice Tito Livio che a causa del suo nome famoso affluivano a lui da ogni parte
galli e liguri.
Magone quindi arruolava mercenari locali disposti a combattere contro i romani, per questo noi
pensiamo aveva bisogno di un luogo isolato facilmente controllabile, dove senza sorprese
addestrare e formare queste nuove reclute che dovevano imparare il mestiere del soldato fare
addestramento formale imparando ad obbedire agli ordini eseguendo con prontezza le manovre
richieste (suo fratello Annibale aveva dimostrato quanto importante fosse sul campo di battaglia la
pronta esecuzione dei movimenti per conseguire la vittoria).
Proviamo a pensare ora alla Valboreca, vicina a dove gli storici collocano Magone in questi due
anni è plausibile che egli cercasse un posto ben difendibile e nascosto in mezzo alle montagne
(anche Annibale si difendeva così nel Bruzio), inoltre la fine di suo fratello Asdrubale sul Metauro
tre anni prima gli consigliava sicuramente la massima prudenza, i romani erano sempre molto
pericolosi. Qualcuno dei suoi alleati liguri gli propose di visitare questa valle che poteva fare al caso
suo per meglio visionarla (naturalmente qui stiamo solo immaginando), salì sulla cima del monte
Lesima (lesa-mano) dove poté in lontananza rivedere anche i luoghi dove aveva combattuto sedici
anni prima la vittoriosa battaglia sul Trebbia. Decise quindi di farne la base per il suo esercito o
comunque la usò come centro di addestramento delle nuove reclute che affluivano numerose; per
difenderla e vigilare, evitando sorprese dall’esterno e diserzioni dall’interno, pose dei posti di
guardia nei punti più importanti. Da Djerba si poteva controllare tutta la Valtrebbia e con Kartago
chiudere l’imbocco della valle.
Sulla strada che portava verso le navi lasciate ancorate a Savona, il posto di guardia si chiamava
Cartagena e forse ne indicava anche l’orientamento geografico, posti di guardia erano posti anche a
Barchi e sull’importante costone che portava al monte Antola e quindi a Genova il posto di guardia
si chiamava stranamente Casa del romano. Altri accampamenti ove si svolgevano attività differenti
erano Bouge e Sousse.
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Le manovre campali di esercitazione si svolgevano sui pratoni di Pian dell’Armà.
Questa fu probabilmente la situazione della Valboreca nei due anni in cui Magone si fermò presso
i Liguri e furono con ogni probabilità i soldati cartaginesi che vi costruirono i loro accampamenti
fortificati spianando aree, alzando muri, tagiando piante e aprendo strade che univano i vari siti,
così posti che prima erano solo boschi o costoni disabitati divennero luoghi con un proprio nome.
Riguardo ai numerosi riferimenti ad Annibale che si trovano in zona, essi vanno rapportati a
Magone, il quale seppure meno famoso del’ invincibile fratello era anch’esso un grande generale
figlio e fratello di generali che portava con sé una flotta di navi da guerra, un’esercito di fanti e di
cavalieri, che di disponeva addirittura di elefanti da guerra che gli erano giunti da Cartagine con una
spedizione di rinforzo approdata in Liguria e che quindi poteva essere identificato dalle popolazioni
locali come Annibale paladino depositario delle speranze di tutti i nemici di Roma.
Lasciamo ora la Valboreca e le nostre ipotesi e riprendiamo la storia che ormai volge al termine e si
avvicina oramai la definitiva sconfitta di Cartagine.
La guerra proseguì in Spagna che ormai in mano ai romani vide la ribellione di popolazioni
celtibere, Scipione predispose una flotta e sbarcò in Sicilia, ci fu un’incursione romana in terra
d’Africa. Magone come già detto ricevette aiuti da Cartagine con una flotta che approdò fra Genova
ed Albenga, convocò poi un congresso di galli e di liguri, disse loro di essere venuto per dargli la
libertà, ma aveva bisogno del loro aiuto; i galli risposero che questa era la loro volontà, ma poiché
avevano i romani accampati presso di loro avrebbero aiutato Magone solo nascostamente. I liguri
invece, più liberi sulle loro terre domandarono due mesi di tempo per gli arruolamenti in questo
modo dunque, Magone si preparava per dar battaglia ai romani, questi però lo tenevano d’occhio e
anch’essi ammassavano mezzi e uomini per affrontarlo.
Questa situazione sfociò in una grande battaglia campale che si svolse nel territorio dei galli insubri.
I cartaginesi rinforzati da galli e liguri che schieravano anche elefanti da guerra, combatterono
contro i romani guidati da pretore Quintillio Varo e dal proconsole Mario Cornellio. La battaglia si
mantenne a lungo in parità successivamente però lo schieramento punico cominciò a cedere, finché
Magone restò davanti in prima linea gli uomini si ritiravano combattendo, ma quando questi cadde
con una coscia trafitta, la ritirata si trasformò in rotta. Il generale ferito venne portato fuori dalla
mischia e l’esercito si ritirò fino al mare, qui giunsero a lui messaggeri cartaginesi che gli portarono
l’ordine di tornare in Africa con l’esercito al più presto possibile, idem stava per fare suo fratello
Annibale partendo da Crotone, in Africa era sbarcato Pubblio Cornellio Scippione, guadagnandosi
l’appellativo di “africano”.
Magone ferito e incalzato dai romani raccolse l’esercito e parti’ con le navi per Cartagine, ma
quando aveva appena superato la Sardegna mori’ della ferita,
Segui’ la famosa battaglia di Zama con la definitiva sconfitta di Cartagine e la conferma della
supremazia di Roma che non aveva più alcun avversario in grado di ostacolarla.
Annibale sopravvisse alla rovinosa battaglia e fuggì per tutto il seguito della sua vita sempre
braccato dai romani, finì suicida nell’odierna Turchia quando seppe che Prusia Re di Bitinia che lo
ospitava era pronto a consegnarlo ai suoi nemici, allora prese il veleno che sempre portava con sé
nel castone dell’anello e si uccise,
Moriva così a 63 anni il condottiero che era stato ad un passo dal rovesciare le sorti del mondo,
anche i romani gli riconoscevano grande valore, infatti Cornelio Nepote scrive “se è vero come
nessuno può dubitare , che il popolo romano supera ogni altro popolo per la sua virtù, non si può
negare che Annibale ha superato col suo genio tutti gli altri condottieri così come il popolo romano
ha superato tutte le genti per il coraggio.
Di Magone, invece dopo la sua partenza e la sua probabile morte in alto mare non sappiamo più
nulla, il resto del suo esercito con le navi giunse probabilmente a Cartagine e partecipò agli ordini di
Annibale alla battaglia finale di Zama.
Probabilmente fra i molti Galli e Liguri che lo seguirono ci furono anche abitanti di queste
montagne nostri antenati, purtroppo essi si imbarcarono in un impresa che li avrebbe perduti e ben
difficilmente qualcuno potè far ritorno a casa
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Torniamo ora alla nostra Valboreca,che è ancora lì intatta, da dove se non le mosche bianche
qualcuno aveva scacciato un’esercito di uomini che con una permanenza seppur breve vi aveva
lasciato tracce che a 2200 anni di distanza sono ancora lì a sfidare la nostra ragione.
Col tempo gli oggetti lasciati si rovinarono, i racconti tramandati si confusero, l’oblio coprì questa
spedizione sconfitta, ma fortunatamente l’isolamento che ha sempre caratterizzato questa piccola
valle, gli insediamenti scarsissimi e sempre improntati al essenziale hanno conservato questi nomi
che sono inequivocabilmente testimoni di qualche cosa che qui deve essere accaduto, qualcosa che
con questo mio lavoro ho tentato di ricostruire, ma che resta ancora tutto da scoprire, e forse è
proprio questo il bello, perché se solamente esaminando i nomi dei luoghi e ripercorrendo
grossolanamente la storia vengono fuori queste sorprese, penso che impegnando risorse e
competenze maggiori delle mie, le soddisfazioni non mancherebbero.
Vi sono altri circostanze su cui si potrebbe lavorare, per esempio dalle parti di Zerba nella costa
esposta al sole qualcuno ha parlato di sepolture ritrovate, Capecchi Fabrizio nel suo libro “un’isola
fra i monti “ parla di ritrovamenti di zanne di elefante, nella località denominata” il Castello” fra
Bogli e Cartasegna di cui abbiamo già parlato, ci sono delle rovine di una torre circolare
somigliante a quella di Zerba che potrebbe essere meglio studiata con scavi che la ripuliscano da
vegetazione e detriti, ci sono stradine completamente lastricate che sono state costruite con molta
cura e con impiego di risorse sproporzionate riguardo alla loro posizione.
Insomma questa valle è un po’ uno scrigno intatto che ha custodito testimonianze antichissime, ora
sta a noi cercare di svelarne i misteri e nello stesso tempo valorizzarla proteggendo e rispettando i
luoghi e la storia.
Leoni Colombano
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