X Prefazione molti anni, anche alcuni secoli. Il campo che è oggetto di trattazione del nostro lavoro è stato l'ultimo a esserne influenzato. E tuttora permangono posizioni che pur ammantandosi di "scientificità", nascondono spiegazioni che sono in realtà pseudospiegazioni, perché colorate di animismo e intrise di teoria dell'homunculus, anche se opportunamente "upgradata" in forma tecnologica. Se il "comportamento" è un caratteristica inelirninabile di tutti gli esseri viventi, ovviamente a diverso livello di complessità, pensare e parlare sono comportamenti caratteristici, anche se non esclusivi, della specie umana Quali sono le loro caratteristiche? Qual è la relazione tra loro? Come studiarli senza perdere di vista la prospettiva scientifica e senza perdere, allo stesso tempo, la ricchezza e la complessità del fenomeno studiato? Come studiarli senza fare ricorso a piani esplicativi diversi da quello adottato? Noi pensiamo che il metodo scientifico non sia una nuova religione, per un'altra specie di nuovi integralisti, ma solo una scelta pragrnatica sulla base di una valutazione di maggiori vantaggi-minori rischi. Ogniqualvolta studiamo scientificamente un fenomeno, naturale o sociale che sia, compiamo un'operazione artificiale, mettiamo in atto una procedura che implica un isolamento del fenomeno, e una sua semplificazione e riduzione rispetto al modo in cui il fenomeno "esiste" in natura. Ne siamo consapevoli, così come siamo consapevoli che questa scelta non è "l'unica, ma è quella che garantisce il maggior grado di approssimazione al vero e di sicurezza, termine che nel mondo della scienza è solo sinonimo di maggiore o minore probabilità e di garanzia di controllo prima che un qualunque fattore scoperto (farmaco, psicoterapia, ma anche modalità di produzione dell'energia ecc.) sia spacciato come efficace, terapeutico, innovativo e così via. Ci piacerebbe, con questo nostro lavoro, potere riportare il dibattito scientifico all'interno dell'alveo della Scienza, da dove è stato più volte nell'ultima metà dello scorso secolo, come vedremo, allontanato (talvolta per errate interpretazioni, più spesso per voluti malintesi). È all'interno di questo piano che vorremmo fossero condotti e dovrebbero essere condotti i dibattiti scientifici, sul piano del metodo e dei risultati, e non su quello dei postulati. A questo punto i ringraziamenti: il primo va sicuramente alle nostre famiglie per il fatto di amarci ancora (speriamo che non sia solo una finzione), nonostante i sabati, le domeniche e le estati passate con libri e computer (e fax ed e-mail che abbiamo cominciato ad utilizzare quando, nell'era del OOS, era mille volte più complicato di adesso). Il secondo a tutti coloro che con il loro impegno hai:mo reso possibile questo lavoro, di qua e di là dall'Atlantico. Ci riferiamo a chi ha collaborato alle traduzioni e alle correzioni, a coloro che ci hanno dato suggerimenti utili a una miglior comprensibilità di un testo che per sua natura non è certamente facile. Un ringraziamento particolare a Renato Gentile, che oltre a essere co-autore, ha con intelligenza curato la traduzione e l'adattamento dei capitoli di Pauline J. Home e C. Fergus Lowe. Infine, a Donatella e Luciana, con cui abbiamo condiviso lo stress dei tempi e dei modi di lavorazione, questa volta, almeno per uno degli scriventi (PM), in un duplice ruolo, contemporaneamente vittima e carnefice di se stesso. Milano e Morgantown, WV 3 marzo 2002 •. Paolo Moderato, Giovambattista Presti e Philip N. Chase Capitolo l LE RELAZIONI VERBALI: ANALISI E CARATTERISTICHE FUNZIONALI Giovambattista Presti, Paolo Moderato, Renato Gentile, Philip N. Chase INTRODUZIONE Un fenomeno può essere indagato da approcci scientifici diversi, che differiscono per il livello di analisi prescelto e le procedure sperimentali adottate. La respirazione, per esempio, può essere studiata esaminando il ruolo dei meccanismi osteo-muscolari che vi sono implicati (fisiologia), o il contributo dato dalla particolare struttura del pneumocita (biologia cellulare), focalizzando l'attenzione sugli scambi gassosi a livello ematico (biochimica), o sulla pressione negativa esistente nella cavità virtuale pleurica che favorisce l'espansione polmonare (fisica classica) o vedendo nell'atto respiratorio la risposta a un certo stimolo ambientale che ne può accelerare o decelerare la frequenza (psicologia). Questi approcci e, più in generale, tutti quelli che adottano il metodo d'indagine delle scienze naturali, non sono né mutualmente esclusivi né esaustivamente inclusivi al punto che uno di essi possa comprendere gli altri. Essi devono essere considerati paralleli e non gerarchici; ciò non significa che ciascuno sia ugualmente completo o persuasivo, ma implica che ognuno è un'impresa singola non riducibile a un'altra (Reese, 1991). A questa logica non sfugge neanche l'analisi del complesso comportamento umano edchettato come linguaggio. Nell'indagarlo possiamo fermarci, per esempio, allo studio del fonema e dell'emissione del suono, o interessarci di altri aspetti come la pragmatica, la semiotica o la comunicazione. Nessun approccio, tuttavia, né esclude né include gli altri. È, quindi, pienamente ammissibile e comprensibile il motivo per cui ogni disciplina che si occupi dello studio dell'uomo abbia sviluppato una propria visione del linguaggio, uno schema attraverso cui esaminare questo fenomeno, una propria concezione della sua struttura e funzione. Le scienze filosofiche, per esempio, dibattono sull'adeguatezza del linguaggio nel cogliere ed esprimere i rapporti fra realtà materiale e conoscenza, le scienze sociali lo studiano come comunicazione, veicolo d'informazione e persuasione, le neuroscienze analizzano le vie e i centri nervosi, i neurotrasmettitori e i neuromodulatori coinvolti nella propagazione ed elaborazione del segnale neurale. Un'altra disciplina, la linguistica, ha come scopo della sua indagine l'analisi della struttura e dei meccanismi, alcuni ricorrenti, altri invarianti, che nella loro interazione costituiscono l'intero organismo delle lingue (Simone, 1990). 2 Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzioruili Capitolo l ESISTONO MOLTI APPROCCI IN PSICOLOGIA La psicologia, al pari di tutte le altre scienze citate, ha sempre mostrato un vivo interesse per il linguaggio. Tuttavia, al suo interno, si assiste a una replica su scala minore di ciò che avviene a livello delle varie scienze. Regna, infatti, un disaccordo sui fini, sui metodi e sui modelli da adottare per analizzare questo comportamento, tanto che ciascuna corrente di pensiero ha un modo proprio di spiegare il linguaggio e peculiari schemi interpretativi. D'altra parte, lo stesso termine linguaggio è molto ambiguo e non ha un significato univoco: può intendersi, in senso stretto, come abilità tipica dell'uomo che si manifesta sotto forma di lingue e parlate .naturali o, in senso più esteso, possiamo· includere nel suo significato tutte le forme di comunicazione, ogni oggetto, rito o manifestazione in cui sia possibile evidenziare il proposito di comunicare. Si può dire, con un gioco di parole; che iltermine·"linguaggio"·~offre·di tutti i disturbi che Mandler e Kessen (1959) evidenziano nel linguaggio comune contrapposto a quello scientifico: reificazione, vaghezza e ambiguità. Partendo da un'analisi, giocoforza sommaria, dei fondamenti teorici alla base dei principali approcci all'interno della psicologia, al fine di comprendere meglio le differenze che esistono al suo interno e la genesi dei vari modelli interpretativi del linguaggio, questo capitolo traccerà gli elementi salienti che caratterizzano l'analisi comportamentale (behavior analysis) delle interazioni linguistiche e della relazione complessa fra chi parla e chi ascolta. È opinione di molti ricercatori (per es., Chiesa, 1992; Moderato e Ziino, 1995; Palmer e Donahoe, 1992) che la behavior analysis abbia comportato un'evoluzione del paradigma comportamentista, pur mantenendo alcune caratteristiche epistemologiche salienti, al punto da essere oggigiorno in condizione di affrontare, in modo scientificamente valido, con i suoi modelli sperimentali e interpretativi, anche gli aspetti più complessi del comportamento umano come pensiero, linguaggio o comportamento sociale (Guerin, 1994; Presti, 1995). Per tali motivi non ci si soffermerà, in questo capitolo, solo sulla mera descrizione della tassonomia degli eventi verbali tracciata da B.E Skinner (1957) nel suo ormai famoso, e famigerato, libro Verbal Behavior. !:intento è quello di comprendere il carattere seminale dell'opera skinneriana e offrire una panoramica del lavoro sperimentale ed epistemologico che da esso è scaturito e che oggigiorno alimenta uno dei filoni più fiorenti della ricerca di base e applicata all'interno· della behavior analysis. Scopo implicito è di sgomberare la strada dai rrialintesi che da arini agiscono da filtro impediscono un'analisi serena delle posizioni comportamentiste e un confronto scientifico aperto privo di sterili polemiche. Al di là delle puntualizzazioni costituisce un'ulteriore motivo di interesse notare che altre discipline, per esempio la stessa linguistica o la filosofia della scienza, siano recentemente giunte su posizioni che riecheggiano senza alcun dubbio quelle di Skinner e di altri comportamentisti nella sua tradizione. La linguista Julie Andresen ·(1990, 1991), fra gli altri, nella sua analisi della diatriba Skinner vs Chomsky, evidenzia più volte diversi punti di contatto fra il modello interpretativo del linguaggio delineato nel libro Verbal Behavior e quello di altri studiosi, come nel parallelo fra "l'intraverbale" skinneriano e "la co_g~.prensione del discorso" di Foucault. l:episte~ologo Hacking (1975aJ; nel ripercorrerealcunì cap1toll..della storia passata e recente della riflessione filosofica sul linguaggio, dimostra che gli indirizzi più moderni puntano la loro analisi in quella direzione che definisce "apogeo degli enunciati". e 3 Per Hacking (1975a), filosofi come Feyerabend e Davidson, pur partendo da punti di vista diversi, convergono nell'affermare che nulla vi è nel linguaggio oltre e al di là di ciò che viene detto. In altre parole, tutte le.nostre asserzioni, teorie scientifiche incluse, sono essenzialmente contestuali. Come sarà maggiormente evidente nel corso del presente capitolo, vi è una forte analogia fra queste posizioni e quella contestualistica della moderna behavior analysis. Le "metafore radice" In psicologia, e più in generale in tutte le scienze, ogni approccio elabora un universo di osservazioni e inferenze che è solitamente organizzato o è organizzabile in un mo~ello-interpretativo. La molteplicità di approcci e modelli nasce dalle soluzioni-diverse adottate nella scelta del livello e dell'unità di analisi, e nelle procedure sperimentali di cui ci si avvale. Secondo il filosofo Pepper (1942), tutti i modelli interpretatiyi ~I!.o.Ae§cri':'i~il~_da un'analogia che chiama "metafora radice", termmerif'erito alprptotipo che riassume 'ìiria particdlàrnf1S1one epistemologica del mondo. Le ''metafore iadice" ;·cui ])~~scirìO . essere-nconaam r viu:r api?roécr iisicolagi~G0i;:~ fondamentalmente quattro e sono imperniate attorno ad alcuni semplici concetti base: il meccanicismo, attorno alla nozione di macchina, il farm.ismo, attorno a quella di similarità, l'organicismo, attorno al concetto di organismo vivente' e il contestual.ismo, attorno a quello di atto che si presenta all'interno di una relazione fra eventi ambientali. Ciascuno di questi modelli possiede specifici criteri per stabilire la verità degli assunti causali e un insieme di regole per applicarli alla metodologia della ricerca. Le visioni del mondo sono modelli molto generali che forniscono le basi categoriali per la conoscenza della realtà. Da un punto di vista puramente teorico, anche se ciò non è praticamente mai vero, una visione del mondo è così generale che il suo campo prospettico abbraccia tutta la realtà: in altre parole, potrebbe o dovrebbe fornire un'interpretazione o una rappresentazione di ogni fenomeno (anche questo però non avviene). Sempre in termini puramente teorici, ma ancora una volta non in pratica, una visione del mondo è così precisa da generare una e una sola interpretazione di ciascun fenomeno compreso nel suo campo d'azione. Una visione del mondo fornisce alcune categorie, definibili anche come concetti basilari sull'oggetto di studio, e regole che .governano le affei:mazioni su tale oggetto. All'interno di ogni visione del mondo vi sono differenti modi di concettualizzare la sostanza, l'attività, il cambiamento, la verità, la spiegazione, il valore e cosl via. Per esempio, vi sono molti modi per affrontare problemi come la natura della sostanza e del cambiamento, la natura della relazione tra parte e tutto, la natura del rapporto di causalità. Le regole influenzano la scelta dei metodi appropriati per la scoperta dei fatti; per esempio, riguardano la scelta tra un metodo di ricerca analitico o sintetico, o la scelta di priorità per fatti ottenuti per mezzo dell'osservazione verso fatti desunti per inferenza o dedotti razionalmente. Tutte queste differenze hanno almeno due fondamentali implicazioni: in primo luogo i concetti basilari e le regole connesse non possono essere violati nei modelli o nelle teorie derivati dalla visione del mondo o coerenti con essa, in secondo luogo le visioni del mondo e, conseguentemente, i sistemi di conoscenza da esse influenzati, sono indipendenti l'una dall'altra. 4 Capitolo l Secondo Pepper (1942) ogni metafora radice permette una e una sola interpretazione dei fatti e non è riducibile ad altre. l.;eclettismo, inteso come mescolanza di elementi provenienti da approcci che fanno riferimento a metafore diverse, non è ammissibile, né è consentito provare l'attendibilità di un modello mostrando l'esistenza di carenze in altri. Di converso, non è possibile criticare un modello teorico basandosi su presupposti e categorie di un altro modello che viene descritto da una metafora radice diversa. Questa, invece, sembra una prassi assai diffusa all'interno e all'esterno della psicologia: si pensi, per esempio, a quanto accade in politica, quando si paragonano le posizioni di due partiti o di due paesi e si sentono giustificare, non solo dall'uomo della strada, gli errori politici di un partito (o paese) paragonandoli agli errori commessi da un altro partito (o paese). Ciò è, da un punto di vista logico, inaccettabile, ma comprensibile in quanto i partiti hanno l'obiettivo di conquistare voti l'uno a scapito dell'altro. Purtroppo, questa prassi illogica è comune anche nel dibattito scientifico: per esempio, quando si afferma che la teoria alfa non spiega adeguatamente il fenomeno X si assiste spesso alla replica: "Sì, però neanche la teoria beta spiega bene il fenomeno Y". Ciò è più grave perché le teorie scientifiche non hanno (o non dovrebbero avere) voti da conquistare. Il meccanicismo Ritornando alla nozione di "metafora radice", Pepper (1942) include nel meccanicismo gli approcci fondati sulla metafora della macchina, composta da parti discrete correlate ad altre. Tali approcci ipotizzano che l'organismo sia formato, al pari di una macchina, da una serie di elementi, mossi da una "forza" interna e connessi in modo che lo stato di ciascuno si modifichi al modificarsi dello stato dell'elemento cui è concatenato. Il ricercatore che si muove all'interno di un'ottica meccanicistica ha, quale scopo della propria attività, quello di scoprire le parti che costituiscono la "macchina" e le relazioni esistenti tra loro. Per raggiungere questo scopo, lo scienziato si muove all'interno di un impianto metodologico di tipo ipotetico-deduttivo. Egli prospetta ipotesi teoriche a priori, che verifica attraverso la prassi empirica, al fine di convalidare la corrispondenza fra la costruzione teorica formale e i risultati della ricerca (Hayes, Hayes e Reese, 1988). Il criterio di verità che guida lo studioso "meccanicistà'' è basato sul grado di corrispondenza fra ciò che si suppone faccia la macchina (ipotesi) e come essa in realtà si comporta (conferma empirica) (Morris, 1988). Applicando la metafora del meccanicismo ai processi di conoscenza, si può dire che essa viene concepita come uri.a copia interna del mondo esterno, prodotta attraverso una trasformazione meccanica. l.;organismo è essenzialmente passivo e il suo sviluppo è una progressiva elaborazione o concatenazione interna di esperienze. In psicologia, fra le correnti che hanno a fondamento la metafora meccanicistica, vanno annoverate l'associazionismo, la psicologia S-R e il cognitivismo computazionale. Nelle teorie S-R la macchina ipotetica è costituita da una catena di connessioni. Le parti sono collegate fra loro in modo immediato, contiguo ed efficiente. La catena non rappresenta altro che una successione di cause ed effetti, i cui cambiamenti sono riducibili, ed esattamente prevedibili, grazie alle forme primigenie e immutabili degli stimoli e delle risposte. Attraverso la ricostruzione di queste catene stimolo-risposta è possibile descrivere lo sviluppo di abilità molto complesse, derivate dalla somma di più abilità semplici (Morris, 1988). Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali 5 Il cognitivismo computazionale è fondato sull'analogia metafora uomo-computer; pur nelle diverse accezioni che questa metafora assume, l'uomo è concepito come un'unità che elabora delle informazioni. Al pari di un computer che, grazie a un apposito software, opera su un dato che è stato inserito nella sua memoria e lo elabora in maniera opportuna, così la mente umana tratta informazioni che giungono dall'ambiente esterno attraverso un sistema di regole che integra il dato appena acquisito attraverso il sistema percettivo con quelli giacenti in memoria. L'elaborazione dell'input porta alla formazione e all'immagazzinamento di una copia del "mondo" -percezione e memoria - consentendo così all'uomo lo sviluppo della conoscenza. Lo scopo di uno scienziato cognitivista è quello di conoscere come la. mente (hardware) è costruita e quali sono le regole (software) chene permettono il funzionamento (Fodor, 1981). · Anche la psicoanalisi, in modo particolare nella prima formulazione è fondamentalmente una teoria meccanicista. l.;apparato psichico viene concepito come un'unione di tre istanze, l'Io, l'Es e il Super-Io in equilibrio dinamico fra di loro. La sua funzione è quella di mantenere allivello più basso possibile l'energia interna di un individuo attraverso un lavoro, che Freud chiama elaborazione psichica, di trasformazione e integrazione. Lo sviluppo della conoscenza umana è visto come una internalizzazione del mondo esterno che si trasforma in un oggetto interno. Il formismo La seconda metafora radice descritta da Pepper (1942) è il formismo, basato sul concetto di similarità. Chi si muove all'interno di questa visione analizza le caratteristiche formali degli oggetti alla ricerca di corrispondenze che ne consentano l'inserimento in un sistema, in una classificazione. Ciò può essere ottenuto analizzando due aspetti che sono tipici di ogni evento, assolutamente distinti da esso, ma che non possono essere percepiti all'infuori di esso: qualità e specificità. Teoricamente, ciascun evento od oggetto può avere una serie infinita di qualità: questo libro ha la qualità di avere un certo peso, una certa forma ed essere stampato con una certa grafica. Una data qualità può assumere diversi aspetti particolari, teoricamente infiniti anche questi. Tuttavia, questo libro rimane tale: esso è l'attualizzazione di una o più speèifiche qualità. Eventi che hanno qualità in comune possono essere raggruppati in classi. Ogni oggetto che ha le caratteristiche di questo libro, può essere incluso nella classe "libri". Il concetto di causa, in un sistema "formistico", è inteso come "ponte" che collega due o più insiemi di caratteristiche particolari. Il mondo viene conosciuto direttamente e il criterio di verità è, come per il meccanicismo, la corrispondenza che, data l'estrema varietà all'interno delle singole qualità, ha un'accezione molto ampia. Un approccio orientato al formismo è alla base di alcune nosografie psichiatriche come, per esempio, il sistema del Diagnostic and Statistica! Manual of Menta! Disorders, attualmente giunto alla revisione della sua quarta edizione nota come DSM-N-TR (American Psychiatric Association, 2000). In questo sistema la tradizionale nosografia, basata su patologie identificabili attraverso una costellazione di sintomi (sindromi), è stata abbandonata in favore di una classificazione che tenga conto di varie qualità organizzabili in classi di "disturbi". La diagnosi è formulata sulla base della comparsa di sintomi individuali (caratteristiche formali). Dato che le caratteristiche 6 Capitolo l individuali possono essere ascritte a una serie infinita di classi formali, il manuale individua cinque assi, come indispensabili e fondamentali per una corretta diagnosi, che nasce dalla collocazione che i segni formali (sintomi) hanno nei vari assi e dalla loro integrazione in un unico quadro di riferimento. l:organicismo La terza metafora radice è l'organicismo, il cui modello è la crescita dell'organismo. Lo sviluppo di un individuo viene, infatti, inteso come un passaggio continuo e ordinato da uno stadio a un altro. Lo scienziato "organicista" spiega lo stato .attuale di una persona descrivendo gli stadi attraverso i quali è passato e le regole. che hanno operato i cambiamenti. l:organismo è concepito come un insieme, poiché le parti che lo compongono hanno senso solo al suo interno. La conosceriza viene acquisita attraverso l'attiva costruzione del mondo. Il criterio di verità è la coerenza: quando una serie correlata di argomentazioni converge verso una conclusione, la coerenza interna di questa struttura è il criterio che rende le conclusioni vere (Hayes, Hayes e Reese, 1988). La teoria piagetiana dello sviluppo infantile è un tipico esempio di teoria organicista. Per Piaget (1950) il bambino attraversa quattro stadi di sviluppo cognitivo: il periodo sensomotorio in cui la cognizione è strettamente legata alla stimolazione esterna, il periodo preoperatorio, caratterizzato dallo sviluppo del linguaggio e dalla comparsa della capacità di rappresentazione simbolica delle cose, il periodo delle operazioni concrete, in cui compare la capacità di afferrare le più complesse relazioni di causa-effetto, e il periodo delle operazioni formali, in cui si struttura la forma adulta di logica e giudizio critico che conduce alla risoluzione di problemi molto complessi. Il bambino, grazie al contatto continuo con l'ambiente che lo circonda, costruisce la sua conoscenza che, per Piaget, consiste nell'assimilazione di nuovi schemi per superare lo stato di disequilibrio cognitivo che si produce quando un bambino incontra, per la prima volta, una particolare situazione-problema. Il contestualismo Infine la quarta metafora radice, il contestualismo, è basata sull'atto che si presenta seriza soluzione di cÒntinuità in un conÙ$tO. l:organismÒ in un ·sistema contestua- · ·· listico non "è", ma "diviene" attraverso continue interazioni con gli elementi del contesto. Il contesto è analizzato nella sua estensione nel tempo e nello spazio, le cui grandezze sono definibili a piacere, e l'atto che si presenta al suo interno può andare dal più fine movimento muscolare alla più complessa sequenza comportamentale. Chi si muove all'interno di un sistema contestualistico, rischia però di innescare una regressione ad infinitum: l'analisi di elementi di un contesto rimanda ad altri elementi, ad altri contesti e così via. Il criterio per uscire da questo circolo vizioso, che è il criterio per stabilire la "verità dei fatti", è essenzialmente pragmatico. Lo studioso contestualista non ha bisogno di verificare alcuna teoria a priori: il criterio che guida e verifica la sua azione scientifica è "la previsione e il controllo" degli eventi che sono l'oggetto del suo studio (Morris, 1988; Hayes, Hayes e Reese, 1988). Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali 7 Un esempio di approccio contestualista, all'interno d~lla psicologia, è quello noto come "analisi del comportamento" (behavior analysis), definita da Hineline (1990) come la scienza che studia e descrive le proprietà della relazione fra l'organismo e l'ambiente. Secondo Skinner, i cui scritti teorici e ricerche hanno dato notevole impulso a questo indirizzo, i compiti di una scienza del comportamento sono, appunto, la previsione e il controllo (Skinner, 1953). La previsione viene conseguita descrivendo le modificazioni nelle variabili dipendenti a seguito dei cambiamenti in quelle indipendenti; il controllo o post-visione, attraverso la manipolazione di queste ultime. Le variabili indipendenti sono perciò identificate sulla base di una duplice caratteristica: esse devono consentire l'azione predittiva e quella manipolativa. Gli eventi che favoriscono solo l'uno o l'altro aspetto non possono esser~ accolti in un'analisi sperimentale del comportamento (Hayes e Brownstein, 1986, 1987). Tali dichiarazioni di principio relative allo studio di variabili "oggettivabili" hanno creato e continuano ancora a creare fraintendimenti all'interno della comunità scientifica. Skinner (1953) non ha mai negato, come molti ritengono (vedi, per es., Miller, 1988), l'esistenza del pensiero o di eventi "sotto la pelle"; tali eventi esistono e vanno studiati in quanto atti comportamentali, al pari di quelli pubblicamente osservabili. La loro non accessibilità all'osservazione pubblica non è un limite posto al loro studio, anche perché la soglia di osservabilità è funzione di molti fattori (Moderato, 1991; Palmer, 1991). Tuttavia, Skinner e gli "analisti del comportamento" ritengono che ridurre le cause del comportamento pubblicamente osservabile a eventi covert porterebbe a un'analisi causa-effetto di tipo comportamento-comportamento, inefficace dal punto di vista della previsione e del controllo (Hayes e Brownstein, 1986). Marr (1993) offre una differente interpretazione del contestualismo e del meccanicismo e, conseguentemente, della "metafora" alla base dell'analisi sperimentale del comportamento. Secondo Marr (1993), il contestualismo è un concetto "mal rappresentato" e, forse, non è nemmeno ammissibile perché vuoto di significato. Al tempo stesso, il meccanicismo verrebbe erroneamente presentato, dimenticando che nella sua "metafora radice", in realtà, è ampiamente compreso anche il contestualismo, o quanto meno il concetto di contesto che ne rappresenta l'aspetto psicologicamente più rilevante in quanto si contrappone a un concetto, quello di associazione, che risulta sotto molti aspetti psicologicamente inapplicabile. Come abbiamo già illustrato, secondo l'interpretazione epistemologica più accreditata, alla base del meccanicismo vi è la metafora della macchina, un insieme composto di parti discrete, la cui descrizione in relazione alle diverse componenti ne consente la comprensione e conseguentemente l'azione totale del sistema macchina. Tuttavia, osserva Marr (1993), un fulcro è tale solo se fa parte di una leva insieme a una barra. Ovvero un fulcro assume questa funzione solo nel "contesto" di una leva e non potrebbe esistere come "fulcro" indipendentemente dal ruolo svolto in essa. Qualsiasi parte di una macchina non potrebbe svolgere alcuna funzione indipendentemente dalla macchina nel cui "contesto" entra come componente. Non ci sarebbe, continua Marr, alcuna esigenza di inquadrare l'analisi del comportamento all'interno del contestualismo se esso, e soprattutto il concetto di contesto, viene già contenuto nel meccanicismo. D'altra parte, la metafora del contestualismo come "atto in divenire" per Marr risulta priva di significato. Prendiamo, per esempio, una legge tratta dalla fisica 8 Capitolo l classica considerata per antonomasia meccanicista, la legge di Newton, formata dalla relazione fra tre variabili: forza, massa e accelerazione (F = m • a). Nessuno dei termini della legge può essere definito indipendentemente dagli altri due. Ugualmente, nessuno dei termini dell'operante skinneriano, evento antecedente, comportamento e conseguenza, può essere descritto e analizzato senza essere posto in relazione con gli altri due. L'analisi del comportamento attraverso la contingen~ za a tre termini implica la descrizione delle proprietà e delle interrelazioni fra ri~ sposta, conseguenze ed eventi antecedenti. Il contesto, sia in fisica sia nell'analisi del comportamento, definisce i limiti di applicabilità delle leggi in casi specifici, ma nQn I1e pone in discussione la validità. Variabili come lo stato.iniziale, l'attrito, la pendenza del declivio o la presenza di ostacoli possono determinare il punto di arrivo o la velocità finale di una palla che rotola lungo un pendio, ma non minano 'la validità della legge che calcola la forza assunta in un dato punto da un corpo che rotola. Allo stesso modo la specie, la storia di un individuo, il setting possono modulare la rilevanza o l'ampiezza degli eventi stimolo e, conseguentemente, influenzare le caratteristiche della risposta. Il contesto, per Marr (1993 ), non fa parte della legge alla quale si applica, ma fornisce un quadro di riferimento per ve~ rificare la validità di quella stessa legge. Ritornando al concetto di "metafora radice", tutti gli approcci seguiti in psicolo~ gia sono collocabili, più o meno immediatamente, all'interno dell'analisi epistemo~ logica di Pepper (1942). Ed è, per questo, altrettanto comprensibile come sistemi de~ scrivibili in base a "metafore radice" differenti propongano letture divergenti che danno spesso origine a diatribe, per lo più inconciliabili, sullo stesso evento. Il lin~ guaggio è perciò interpretato in modi diversi anche se i vari approcci tendono a obiettivi simili: l'indagine delle sue modalità di acquisizione e mantenimento nel tempo. Ciò che differenzia però le varie posizioni teoriche è il modo in cui tale ap~ prendimento viene sperimentalmente studiato e spiegato. Nel condurre la loro ana~ lisi del linguaggio, le varie correnti psicologiche prendono in considerazione almeno tre punti (Chase, 1986): a. struttura e funzione del linguaggio; b. apprendimento del linguaggio; c. meccanismo di insorgenza delle differenze individuali. A questi punti potremmo aggiungerne un quarto: d. l'identificazione di un'unità d'analisi. Le teorie associazioniste L'associazionismo ha una lunga tradizione all'interno della psicologia che risale ad Aristotele e, attraverso Locke e l'empirismo inglese, arriva fino a Stuart Mill e al po~ sitivismo. Secondo gli associazionisti la conoscenza deriva direttamente dall'espe~ rienza col mondo circostante e consiste nella formazione di associazioni fra eventi stimolo e risposte. L'apprendimento di un'abilità, un contenuto, un comportamento è funzione di una successione lineare, gerarchica e continua di cause ed effetti: i cambiamenti che si osservano nel corredo di risposte di un individuo possono essere Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali 9 previsti perché sono riconducibili a risposte e cause già comparse in passato (Morris, 1988). L'acquisizione di un comportamento o di una nozione yiene descritta in ter~ mini di relazione se~allora, stimol.o~risposta, cioè in termini di rapporti di causa~effetto fra variabili indipendenti e variabili dipendenti. L'azione complessa è un composto associativo di elementi base e delle loro inter~ relazioni, per cui si ammette che identici elementi risposta e identici elementi sti~ molo abbiano identici significati e funzioni. Il linguaggio si svilupperebbe grazie alla · formazione di relazioni esplicite fra stimoli e risposte, verbali e non verbali, organiz~ zate in senso gerarchico dalle più semplici alle più complesse. L'acquisizione dellin~ guaggio viene, in altre parole,· concepita come una catena di risposte condizionate che, dai primi riflessi che controllano l'apparato II,luscolare vocale, porta a quelli che controllerebbero l'acquisizione del significato dei vocaboli (Watson, 1930). Le leggi sottese~ all'apprendimento del comportamento non verbale sono valide anche per quello verbale: il comportamento verbale è rafforzato dall'uso, si estingue se non è messo in pratica e viene influenzato, positivamente o negativamente, da apprendi~ menti precedenti (Chase, 1986). Secondo Watson (1930), un bambino comincerebbe ad acquisire il linguaggio producendo rumori quasi casualmente ed emettendo una serie di suoni. Con le prime lallazioni si verrebbe a determinare una risposta condizionata circolare fra "produrre il suono" e "sentirlo". I genitori, imitando i suoni del figlio, riprodurrebbe~ ro quello stimolo acustico in grado di elicitare le risposte dalle fibre muscolari ·prepo~ ste alla produzione dei suoni. Successivamente, attraverso processi imitativi, il bam~ bino imparerebbe a produrre anche suoni nuovi emessi dagli adulti. Alla fine, l'adul~ to mostrerebbe al bambino un oggetto, invitandolo a ripeterne il nome. La ripetizio~ ne del nome di un oggetto in sua presenza sarebbe, a sua volta, il primo gradino della scala che porta alla formazione del pensiero. In questo modo si svilupperebbero quel~ le associazioni fra stimoli visivi e stimoli acustici per cui, dopo n abbinamenti, la sola presenza della prima classe di stimoli è sufficiente per elicitare nel bambino quelle risposte muscolari che portano alla produzione del suono. Vari tipi di esperienze possono avvalorare un'ipotesi associazionista del linguaggio. Chi si dedica ai giochi di enigmistica conosce certamente quelli in cui bisogna com~ pletare la frase con la parola mancante. Vi è una forte tendenza .a completare la frase ·"Cane e _ _" con la parola "gatto"., perché è l.ina d~lle più frequenti associazioni del linguaggio corrente. Esperimenti sulle assoCiazioni di parole venivano già con~ dotti circa cent'anni orsono. Sir Francis Galton, alla fine dell'800, studiando l'asso~ ciazione fra parole scopri che alcune erano molto comuni e venivano richiamate molto rapidamente, altre di converso lo erano meno e venivano richiamate molto lentamente. Kent e Rosanoff (1910) studiarono come un gruppo di 1000 persone rispondeva associando un termine a 100 nomi e aggettivi inglesi familiari, ricavando una curva della frequenza di comparsa delle associazioni. Altri indici di forza associa~ tiva sono stati sviluppati da altri autori (vedi Moderato, 1989). Anche esperimenti che non hanno apparente relazione con l'apprendimento ver~ bale sembrano sostenere una teoria associazionista del linguaggio. Per esempio, un soggetto sottoposto a condizionamento salivare usando come stimoli parole neutre quali "tavolo" risponde, in un test di generalizzazione, anche a parole a essa semanti~ camente associate, come "sedia", più che a parole graficamente simili (come "cavo~ lo") (Razran, 1949). lO Le re/azioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali Capitolo l Per riassumere, secondo il modello associazionista l'apprendimento di un contenuto e, nel nostro caso, del linguaggio è influenzato: l. dalla somiglianza formale fra gli stimoli antecedenti passati e quelli attuali; 2. dalla frequenza di presentazione delle relazioni S-R in passato; 3. dalla relazione gerarchica fra le relazioni S-R. Le teorie dell'apprendimento, da Thorndike e Watson, via via fino a Guthrie, Hull e Spence, Dollard e Miller, che hanno dominato la scena della psicologia americana fino alla fine degli anni '60, sono teorie prevalentemente associazioniste. Esse sono state, per hmgo ·tempo, genericamente etichettate come "comportamentismo" o "neocomportamentismo". È proprio contro queste scuole, trasformatesi in establishment, che, alla fine degli anni '50, è emersa la reazione cognitiva, sintetizzata paradigmaticamente nella famosa critica di Chomsky (1959) .allibro Verbal Behavior di Skinner (1957). Peccato che le critiche siano state focalizzate esclusivamente sul pensiero e sull'opera di Skirmer, che non appartiene né alla psicologia S-R né a questo "comportamentismo". Questa confusione ha portato molti studiosi (per es., Chomsky, 1967; Miller, 1988) a commettere tre tipi di errori: il primo, come già àetto, quando ravvisano in Skinner il principale esponente di questa corrente; il secondo, quando spostano la critica dal piano scientifico a quello dell'attacco ad personam (Czubaroff, 1988); il terzo, quando pensano di criticare l'approccio operante, riassumibile in una metafora contestualista, confondendolo con l'approccio associazionista, riassumibile in una metafora di tipo meccanicista (Morris, 1988; Hayes, Hayes, e Reese, 1988). Per fortuna, oggi accade anche che autori cognitivisti (per es., Harris e Coltheart, 1986) o neutralmente critici (Reese, 1991) riconoscano che la critica di Chomsky, giustificata come reazione alla psicologia neocomportamentista, è stata inaccettabilmente violenta, più ideologica che scientifica, e oltretutto diretta su un bersaglio clamorosamente errato: giusto il pretesto, ma sbagliato il contesto. Il cognitivismo Nell'interpretazione corrente che le teorie· ~ognitiviste danno dell'apprendimento, il cambiamento nel comportamento osservato {variabile dipendente) è attribuito all'effetto delle attività cognitive che si ipotizza siano influenzate dalle manipolazioni delle situazioni stimolo sperimentali (variabili indipendenti). In altre parole, si presume che fra la variabile ambientale (input) e quella comportamentale (output), intervengano dei processi cognitivi con funzione di mediatori. Processi come pensiero o conoscenza, rivestono questa funzione mediatrice e sono ritenuti essenziali per la spiegazione del comportamento. I.:uso di termini tipici del linguaggio informatico non è casuale: infatti, gli studiosi di orientamento cognitivo, come abbiamo già detto, concepiscono la conoscenza come insieme di informazioni. Essi ritengono che l'organismo umano sia un sistema di elaborazione dell'informazione e descrivono (e alcuni anche spiegano) il comportamento umano attraverso la formulazione di un modello computazionale. Gli stimoli ambientali sono, in sostanza, fissi e immutabili, come le schede perforate dei primi cal- 11 colatori, e il compito di valutarli e decidere di conseguenza è devoluto, in questi modelli, all'organismo. La conoscenza di un individuo è suddivisibile in due piani: l'insieme delle rappresentazioni interne a esso (la conoscenza propriamente detta) e la consapevolezza di quest'insieme (la metaconoscenza) (Hineline e Wanchisen, 1989). Il cognitivismo, come del resto il comportamentismo, da cui (e in reazione a cui) nasce, non è una scuola, per lo meno non nel senso in cui lo è stata la Gestalt o la psicoanalisi freudiana- Attorno a questi assunti epistemologici di base si sviluppano diverse posizioni che possono essere classificate in vari "livelli" a seconda della diversa accezione che assume la metafora del computer. Reese (1989) ne descrive quattro. È una vera e propria emulazione di attività tipicamente umane implementata attraverso un programma in un computer. La macchina viene programmata per generare un'analogia del comportamento umano. livello II. Sono modelli teorici in cui viene utilizzata, in maniera piuttosto letterale, la terminologia informatico-computazionale, ma non sono programmi per computer. La rappresentazione dell'attività cognitiva umana assume la forma di un diagramma di flusso, ma non è un vero e proprio programma per computer. Esempio tipico per questo livello sono i modelli HIP, proposti fra gli altri, nel campo della memoria, da Atkinson e Shiffrin ( 1968). Livello III. Sono modelli in cui il linguaggio informatico viene utilizzato in senso metaforico, come nel caso del classico modello TOTE di Miller, Galanter e Pribram (1960). livello N. Le teorie cognitive incluse in questo livello hanno una portata più vasta, ma una minore precisione dei modelli inclusi nel livello III e non utilizzano il vocabolario informatico. livello I. Indipendentemente dal livello in cui possiamo classificare ciascuna metafora computazionale, l'assunto comune a tutte le teorie cognitive è che l'attività mentale sia ~'causa" del comportamento, verbale o non verbale e, quindi, causa dell'apprendimento del linguaggio (Chomsky, 1959; Fodor, 1981). Esso verrebbe acquisito grazie ai processi di codifica, immagazzinamento e decodifica. Tali processi porterebbero alla formazione di un lessico mentale, che rappresenterebbe l'insieme della parole conosciute da una singola persona. L'utilizzazione effettiva del linguaggio dipenderebbe dalla competenza che l'individuo possiede: la lingua è "qualcosa" che l'individuo "padroneggia". Un sistema di regole consente la corretta utilizzazione di questo lessico. Per riassumere, gli assunti di base del modello cognitivo sono: a. b. c. d. esiste un'attività mentale interna che può essere determinata; che è strutturalmente connessa al sistema percettivo; che non può essere descritta dalle stesse regole del comportamento osservabile; che può essere inferita osservando l'input ambientale e l'output comportamentale; e. che è causa del comportamento osservabile e, quindi, anche del linguaggio, del suo apprendimento e del suo uso. 12 Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funz;ionoli Capitolo l L:intercomportamentismo Fondatore e ispiratore dell'approccio intercomportamentista è stato Jacob Robert Kantor (1888-1984), allievo a Chicago, come J.B. Watson, dei funzionalisti Dewey, Carr e Angeli; quest'ultimo fu anche relatore della sua tesi di dottorato. Kantor, insoddisfatto delle tendenze dominanti a quell'epoca, concepisce la psicologi-a come scienza naturale, diversa dalle scienze fisiche e biologiche, ma sul loro stesso piano di continuità. Inizialmente egli chiama il proprio approccio orga:nismic psychology, termine che cambierà intorno alla metà degli anni '30 in interbehavioral psychology, per distinguerlo da quello di altre psicologie su base organica (Kantor, 1971). . )?er la sua analisi Kantor prende a prestito dai funzionalisti alcuni concetti che ·inserisce nel suo sistema: adattività, funzione e .contesto. Se l'accezione- dei primi due è in parte modificata rispetto a quella che i funzionalisti avevano dato a questi termini, l'ultima è accolta in pieno. Angeli e Carr descrivevano l'adattamento di un organismo all'ambiente in termini strettamente darwiniani, come modificazione che ha il fine di aumentare le probabilità di sopravvivenza di un individuo. Kantor modifica la teleologia implicita nei funzionalisti, affermando che le probabilità possono non solo aumentare, ma anche diminuire, a seguito delle modificazioni portate a un organismo dalla sua attività psicologica. Similmente a Kantor, Angeli e Carr usano il concetto di "funzione", per riferirsi a ciò che un organismo "fa" e, più specificamente, alle azioni che la mente compie nel mediare il contatto dell'organismo col suo ambiente. Kantor è, tuttavia, più vicino a una visione matematica: per lui la funzione rappresenta la relazione commutativa derivata fra un organismo che risponde e un evento che stimola (Parrott, 1984 ). L'organismo di un individuo è visto nella sua progressiva evoluzione determinata dalla continua interazione con l'ambiente che ne influenza, di converso, la struttura e la funzione. Per Kantor il comportamento è "adattamento", modificazione di un organismo nella sua interazione con l'ambiente. Gli adattamenti, in base alla loro funzione, possono essere distinti in manipolativi, affettivi, cognitivi e linguistici (Bijou, Umbreit, Ghezzi e Chao, 1986). Se intendiamo l'adattamento come interazione fra individuo e ambiente, dobbiamo ammettere l'interdipendenza di stimolo e risposta, poiché se esiste una rispost;:t deve· esserci qualcosa cui rispondere e, viceversa, se esiste uno stimolo è perché vi è a esso una risposta (Smith, 1984). Stimolo e· risposta devc;mo, quindi, essere concettualizzati e studiati c6me eventi reciproci di im campo, poiché qualsiasi cambiamento dell'uno modifica profondamente anche l'altro, anche se, per motivi pratici di studio e sperimentazione possiamo enfatizzare per volta solo uno dei due estremi della relazione. Unità fondamentale della costruzione teorica kantoriana è ciò che viene chiamato "segmento comportamentale". Tale unità include i fattori che compongono un evento psicologico e che operano in un campo, riassunti nella formula: PE = f(sf, rf, h, s, m) dove PE = evento psicologìco (psychological event), sf = funzione stimolo (stimulus function), rf =funzione risposta (response function), h= storia intercomportamentale di un individuo (interactionalhistory), s :=ambiente immediatamente circostante (setting), 13 m= mezzo di contatto (medium) come, per esempio, la luce. L'evento psicologico è funzione, per Kantor, di uno stimolo e di una risposta, della storia individuale, della situazione ambientale in cui stimolo e risposta compaiono e del mezzo attraverso cui organismo e ambiente vengono a contatto. La funzione-stimolo di un oggetto varia in rapporto ai contatti che un organismo ha avuto con esso. Nel corso del tempo gli stessi oggetti possono via via assumere funzioni differenti per lo stesso individuo. Analogamente allo stimolo, la risposta non è un evento statico, ma il fattore dinamico in una situazione complessa, uno degli elementi di una interrelazione psicologica. Se lo stimolo e la risposta sono interdipendenti, dovrebbe esistere un meccanismo che renda possibile determinare quale funzione stimolo e quale funzione risposta entrino in gioco in un dato momento. Kantor, individua questo meccanismo in un evento evolutivo che chiama interactional history. Le proprietà funzionali dello stimolo e della risposta sono determinate dalle interazioni che sono avvenute in passato fra organismo e oggetto stimolo. La storia intercomportamentale di un individuo si compone, quindi, di due aspetti: (a) lo sviluppo delle risposte e delle loro funzioni; e (b) lo sviluppo delle funzioni degli stimoli. La storia intercomportamentale è parte integrante di ogni evento psicologico e contribuisce a determinare le caratteristiche funzionali della risposta e dello stimolo, definendo in tal modo il significato degli atti. Per riassumere, una risposta dipende dalla storia di interazioni con lo stimolo e la sua funzione può variare al modificarsi di quest'ultimo, anche se mantiene identiche caratteristiche motorie rispetto alle precedenti. Kantor postula che le interazioni avvengano sempre in un determinato contesto. Gli eventi situazionali, che egli definisce setting event, sono componenti intrinseche all'atto interazionale e comprendono sia le condizioni fisiche dell'ambiente (temperatura, luogo ecc.) sia quelle dell'organismo (fatica, ingestione di alcol, stato di salute ecc.). Tali fattori interessano l'individuo che agisce, lo stimolo e l'interazione nel suo complesso e possono pesantemente determinare quali fra le possibili funzioni dello stimolo e della risposta saranno messe in opera in quella determinata occasione. Kantor, conseguentemente, non può accettare l'idea che il linguaggio sia composto da unità base (fonemi o· allofoni), combinate a livello cerebrale, che ·1e parole siano sostituti simbolici delle· idee e che· il dialogo sia un proC:esso fra una fonte che codifica-trasmette e un· Individuo che riceve-decodifica. Egli lo considera interaiione, una relazione commutativa fra lo stimolo e la risposta, un comportamento adattivo al pari di quello non verbale. Le interazioni linguistiche sono atti che le persone compiono quando si adattano ad altri individui, a oggetti ed eventi, quando chi parla, stimolato da chi ascolta e da un oggetto o situazione, emette quell'atto verbale in un preciso contesto. Esiste però una differenza fra le relazioni linguistiche, formate da situazioni funzionali in cui sono presenti due eventi-stimolo, e quelle non linguistiche in cui, al contrario, esiste un solo stimolo. Chi parla, infatti, interagisce simultaneamente con due eventi-stimolo: l'ascoltatore e la cosa o la situazione di cui si parla. Allo stesso modo, chi ascolta si pone in rapporto con chi parla e con la cosa di cui si parla. Il linguaggio è perciò un atto referenziale che non si basa su alcuna simbolizzazione e non richiede alcun interprete; chi parla mette in relazione qualcuno a qualcosa. 14 Le rela:zjoni verbali: aTUÙ.isi e caratteristiche funziona}i Capitolo I Tabella l . l Per riassumere, nell'approccio intercomportamentista: a. lo sviluppo del comportamento verbale e non verbale di un individuo è visto come frutto della progressiva interazione .fra l'organismo e l'ambiente che lo circonda; b. gli eventi ambientali, identificabili come stimolo e risposta, sono interdipendenti e reciproci, qualsiasi cambiamento nell'uno modifica anche l'altro; c. l'evento psicologico è funzione, oltteché dello stimolo e della risposta, anche della storia intercomportamentale di un individuo, dell'ambiente immediatamente circostante e del mezzo di contatto; d. il linguaggio è un atto referenziale in cui chi parla reagisce contemporaneamente a due situazioni stimolo: l'ascoltatore e la cosa o la situazione di cui si parla; e. chì àscòlta si pone in rapporto con chi parla e l'oggetto l'evento dicùf si parla. o 15 Confronto tra il condizionamento di tipo S e di tipo R TIPO S TIPO R Paradigma: Paradigma: s....... R Elicitazione della risposto - Sostituzione dello stimolo Formazione di un nuovo riflesso + s !rinforzo) Emissione del~a risposta Nessuna sostituzione dello stimolo Rafforzamento di un comportamento già presente I.: analisi del comportamento Vaggettivo/sostantivo operante è un termine fondamentale per l'analisi che Skinner fa del comportamento umano e animale e per quanto riguarda molte diatribe che hanno radicalizzato alcune posizioni all'interno della psicologia, contribuendo a erigere muri di incomprensione. Vuso che del termine si farà in questo lavoro va al di là del particolare preparato sperimentale, per qualificare l'epistemologia che guida l'attuale analisi sperimentale del comportamento e che sarà dettagliatamente illustrata nel corso del capitolo. Il vocabolo o.t?p.ifpU_ trae origine dal nome dato all'unità di analisi elaborata da Skinner (1938fper studiare il comportamento animale e umano, nata in alternativa ai modelli sperim~ntali ~Jl~P..§iç_olggJ.a..riflessologica.basata .sugli esperim~ di Pavlov, Sherrington e Rudolph Magnus. Le loro metodologie mal si adattano allo ~el comport!I!P-$.!!~0 yç>h_çi_yg1.,pJ>jf~1~g~lJ.ip~:aiiTinali,__spesso sottoposti a interventi di ablazione parziale o totale di parti del sistema nervoso centrale o periferico, in situazioni fortemente restrittive. Il riflesso, d'altra parte, non rappresenta per Skinner (1931, 1938) un'unità d'analisi adatta a valutare e giustificare l'estrema variabilità nel comportamento di un organismo che si muove liberamente nel proprio ambiente. La formulazione del riflesso come atto involontario, inconsapevole e non appreso, nel significato tradizionale attribuitogli da Cartesio, non è assolutamente applicabile alla spiegazione del comportamento umano, volontario, cosciente e acquisito attraverso l'apprendimento. Skinner perciò fa una distinzione fra due tipi di riflesso, uno in cui la risposta è strettamente collegata a uno stimolo precedente, elicitante, chiamato riflesso di Tipo S o Tipo II, e un secondo in cui la risposta è apparentemente libera da qualsiasi relazione con un precedente evento ambientale, che viene chiamato riflesso di Tipo R o Tipo I (Skinner, 1935, 1937). Venfasi che Skinner poneva nei primi articoli su una relazione lineare, assimilabile a un riflesso, cederà progressivamente il posto a una visione centrata sulla relazione fra le conseguenze di un atto e gli eventi che lo precedono chiamata contingenza a tre termini, termine usato per etichettare la rela- la risposta produce la conseguenza lo stimolo condizionato prepara l'organismo al rinforzo incondizionato che segue Iii rinforzamento) la risposta non modifica l'ambiente la risposta opera sull'ambiente modificandolo Mediato comunemente dal SN autonomo, mette in gioco muscoli lisci e ghiandole Mediato dal SN somatico mette in gioco i muscoli scheletrici Parametri di misura: ampiezza e latenza Parametri di misura: frequenza dellci risposta, della risposta talvolta latenza IDa: Keller e Schoenlield, 19511 zione fra tre elementi: lo stimolo, la risposta e le conseguenze di essa. Sfortunatamente, questo passaggio sembra essere sfuggito a molti psicologi, se ancora oggi è possibile rinvenire nei testi affermazioni che descrivono l'analisi del comportamento delineata da Skinner come una psicologia di tipo S-R (per es., Weinstein e Mayer, 1986). Skinner, in realtà, sostiene che non solo è assolutamente insufficiente e inadeguato parlare di comportamento in termini di riflesso, ma lo è anche in termini di singole risposte: esse si presentano una volta sola e ognuna non è mai uguale a un'altra, in quanto può variare nella forma, forza, ampiezza e direzione. Due o più risposte possono condividere identiche proprietà strutturali o formali, ma non saranno mai uguali fra di loro. È perciò necessario ricorrere a un criterio, quello delle proprietà "funzionali", che permetta di riunire in una classe risposte che le condividano: tali proprietà risiedono nella relazione che lega le risposte agli eventi antecedenti e a quelli conseguenti. Il livello di analisi che sceglie è quello della classe di risposte: l'operante è una classe di risposte. 16 Capitolo l L'operante ha tutte le caratteristiche che ne consentono lo studio con la metodologia delle scienze naturali (Moderato e Chase, 1994). Esso è l'insieme di atti che si presentano nel tempo in determinate condizioni ambientali. Il concetto di operante come classe di risposte, fatte salve alcune caratteristiche particolari, è simile al concetto di specie come classe di individui. Al pari dell'operante anche la specie è un aggregato di singoli eventi (organismi) che non sono riunibili in uno stesso luogo allo stesso tempo, e ha quindi una dislocazione che si estende nello spazio e nel tempo. Tuttavia, queste qualità non ne impediscono lo studio: anzi rappresentano, assieme al variare delle singole caratteristiche di ciascun individuo, la varietà su cui agiscono i meccanismi selettivi che permettono l'evoluzione di ogni specie (Hineline e Wanchisen, 1989). Parimenti, si può parlare di operante come substrato per l'azione di meccanismi di evoluzione comportamentale sia a livello individuale sia sociale (Catania, 1994; Skinner, 1966a, 1981, 1985, 1990). Una classe operante di risposte viene definita dagli effetti che esse hanno sull'ambiente, se questi alterano le probabilità della loro comparsa al presentarsi della medesima situazione ambientale. In altre parole, un operant~ è una classe di risposte influenzata. c!a.!le çQns.eguenze che le stesse risposte, a essa appartenenti, oétei:ffiinano.Le conseguenze sono, a loro volta, gli eventi ambientali che consentoncn'ì:Clentifkazione e la selezione di una determinata classe di risposte. Questa definizione di classe di risposte è strettamente legata alle loro proprietà comportamentali e non alle loro caratteristiche fisiche o fisiologiche. Gli equivoci e i voluti (o meno) malintesi, fuori e dentro il comportamentismo, sono essenzialmente dovuti, come abbiamo già detto, all'intrinseca difficoltà nel definire in modo chiaro e preciso il concetto di operante. Skinner (1953) definisce operante la classe di risposte, unità di misura di una scienza del comportamento il cui fine è la previsione e il controllo. Il termine indica che il comportamento opera sulle condizioni ambientali generando conseguenze e che queste ultime determinano "... le proprietà con riferimento alle quali certe risposte vengono giudicate simili..." (Skinner, 1953 pag. 91, ed. it.), e che rappresentano, in ultima analisi, i criteri che ne consentono l'inclusione nella classe (Catania, 1973, 1984 ). Tanto per semplificare le cose (apparentemente) l'operante può essere inteso in due modi: in senso funzionale e in senso descrittivo. La comprensione del concetto di operante funzionale è un punto critico per la comprensione della posizione teorica dell'analisi del comportamento. . Catania (1973) ha definito l'operante funzionale come la distribuzione di comportamenti selezionati da una contingenza di rinforzo. Le distribuzioni comportamentali si spostano in funzione delle contingenze che selezionano quali risposte produrranno un rinforzamento. Le risposte che non soddisfano le condizioni stabilite dalle contingenze di rinforzamento non vengono rinforzate. Anche lievi cambiamenti nelle contingenze, tuttavia, modificheranno le distribuzioni di risposte in modo tale che la distribuzione potrà includere risposte che prima non si erano verificate. Per esempio, le procedure di shaping si basano proprio su questi cambiamenti progressivi nelle contingenze (Galbika, 1994; Shahan e Chase, 2001). L'operante funzionale si contrappone all'operante descrittivo. Il termine operante descrittivo si riferisce alla descrizione puramente topografica di una contingenza di rinforzamento. La differenza tra questi due usi del concetto di "operante" si comprende meglio prendendo in considerazione la descrizione di un modello sperimen- Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali 17 tale di rinforzo. L'operante descrittivo si riferisce al programma e ai suoi parametri. Per esempio, un programma a Intervallo Fisso 10 s stabilisce che una risposta che compare dopo che sono passati dieci secondi riceverà un rinforzo. Così, le risposte _che compaiono prima di dieci secondi non sono rinforzate e quelle susseguenti i dieci secondi lo sono. Questo è un esempio di operante descrittivo. Quando, invece, guardiamo alla gamma totale di risposte, incluse quelle che compaiono solo alla fine dell'intervallo di dieci secondi o quelle poche che compaiono giusto prima che scada il periodo, stiamo parlando di un operante funzionale. Da queste definizioni derivano una serie di conseguenze, che non sempre risultano evidenti e su cui vale la pena di soffermarsi. In primo luogo, l'approccio psicolo~ gico di derivazione skinneriana non deve essere confuso né con la psicologia associazionista, né con la psicologia S-R in genere. L'analisi in termini di operante è fondamentalmente legata a una visione olistica e contestualistica del mondo: gli eventi descritti da una prospettiva operante non possono essere analizzati indipendentemente perché la loro natura dipende dalla relazione di cui fanno parte (Hayes, Hayes, e Reese, 1988). Questa definizione si fonda sulle caratteristiche funzionali di una classe di eventi e non su quelle fisiche o fisiologiche di ogni singola risposta. L'inclusione di un comportamento in una determinata classe di operanti non è, infatti, dovuta alla sue caratteristiche formali: due comportamenti topograficamente dissimili possono appartenere alla medesima classe operante, mentre due comportamenti simili possono appartenere a classi diverse. Il criterio per includere due o più risposte nella medesima classe sta nel verificare se esse producono - e sono mantenute da- gli stessi effetti (Skinner, 1953 ). Per tale motivo, l'unità di analisi individuata da Skinner può essere applicata a eventi che si presentano su scala diversa, dall'infinitamente grande all'infinitamente piccolo, dalla pressione esercitata da un dito su un pulsante per giocare con un videogame al pilotaggio di un Jumbo in giro per il mondo. La relazione fra i membri della contingenza a tre termini (antecedente, comportamento e conseguenza), descritta da Skinner, è di tipo funzionale, non causativa: la conseguenza non causa la risposta, così come uno stimolo discriminativo non elicita alcun comportamento, ma altera la probabilità di comparsa di una classe di risposte. La previsione riguardo a tale alterazione non può essere espressa in termini meccanicistici ''se-allora": l'unico modo possibile è quello di definirla in termini probabilistici. Purtroppo, il concetto di probabilità è molto complesso e lo stesso Skinner lo tratta in modo poco chiaro e non sempre coerente in varie parti delle sue opere: sembra che egli tenda a identificare la frequenza con la probabilità, per smentire subito dopo tale affermazione (Ferster e Skinner, 1957; Skinner 1950, 1966b, 1989). Ciò ha offerto il destro anche a Chomsky (1959) di accusare Skinner di fare un uso arbitrario del termine probabilità, ritenendolo privo dei significati usuali e irrilevante nel contesto in cui viene applicato. Al concetto di probabilità, d'altra parte, va riconosciuto un duplice aspetto in relazione alla possibilità che un evento si verifichi. Per utilizzare la terminologia di Hacking ( 1975b), possiamo distinguere fra probabilità de dicto e probabilità de re. La modalità de re riguarda le caratteristiche fisiche delle cose e si riferisce alla probabilità aleatoria, la modalità de dicto riguarda ciò che noi conosciamo e il modo in cui parliamo delle cose, e si riferisce alla probabilità epistemica. La scienza discrimina, 18 Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali Capitolo l perciò, fra la probabilità epistemica che qualche evento si realizzi e la propensità aleatoria o fisica che qualche evento, fra due o più altemativi, possa verificarsi. Da un punto, di vista linguistico le due probabilità sono contraddistinte da espressioni diverse. "E possibile per Mario essere in Duomo alle 7" è un'espressione che riguarda Mario come tale (de re), ~ contraddistingue la probabilità aleatoria connessa alle effettive capacità fisiche. "E possibile che egli si trovi lì adesso" è un'espressione che aggiunge qualcosa alla proposizione "egli si trova lì adesso", in base al nostro stato di conoscenza. Il concetto epistemico di probabilità corrisponde al concetto epistemico di possibilità, mentre il concetto aleatorio di probabilità corrisponde a quello fisico di possibilità. Il primo concetto è in relazione al grado di credenza giustificato dall'evidenza e il secondo è relativo alla tendenza mostrata da alcuni meccanismi casuali a produrre sequenze relativamente stabili. .. Nei suoi scritti, Skinner utilizza il termine probabilità ora in un senso, ora nell'altro, per indicare la probabilità aleatoria che un evento si verifiChi e il modo in cui questa probabilità viene trattata da un punto di vista linguistico. 1 Per certi versi, il suo concetto di probabilità de re non sembra molto diverso da quello di propensione (propensity) di Popper (1962). Secondo quest'ultimo la propensione alla ripetizione di frequenze caratteristiche della variabile dipendente misurata in un meccanismo sperimentale, dipende dalle proprietà contestuali della situazione sperimentale, cioè da come le variabili indipendenti vengono manipolate. La probabilità non viene intesa come una proprietà a priori di una sequenza di eventi, ma viene riferita così all'insieme delle condizioni sperimentali e al metodo utilizzato per misurarla. Le differenze precedentemente discusse tra l'operante descrittivo e funzionale suggeriscono che l'analisi del comportamento distingue tra probabilità di risposta attesa e osservata. La probabilità attesa è strettamente correlata al concetto di operante descrittivo. Dato un programma di rinforzamento a Intervallo Fisso 10 s, ci si aspetta che la frequenza del comportamento si addensi nella parte finale dell'intervallo di 10 secondi, in modo che appena dopo la comparsa di un rinforzatore i comportamenti sono poco probabili e la probabilità di risposta aumenta con l'avvicinarsi della fine dell'intervallo. La probabilità osservata è più strettamente correlata all'operante funzionale. La probabilità osservata è la reale frequenza delle risposte comparse durante l'intervallo. Come "trattare" questa probabilità e come valutaria empiricamente è, per Skinner, il punto centrale di una scienza che abbia per scopo la previsione e il controllo delle variabili che influenzano il comportamento. La previsione viene raggiunta de- 1 "Rate of responding is not a measure of probability, but it is the only appropriate datum in a formulation in these terms... " (Skinner, 1950, pag. 16). La probabilità di risposta è "... the probability that a response will be emitted within a specific interval, inferred from its frequency under comparable conditions... " (Ferster e Skinner, 1957, pag. 731). "Probability of responding is a difficult datum. We may avoid conrroversial issues by turning at once to a practical measure, the frequency, with which a response is emitted... " (Skinner, 1957, pag. 344). "Rate of responding is by no means to be equated with probability of responding ... " (Skinner, 1996, pag. 16). 19 scrivendo le modificazioni nelle variabili dipendenti a seguito dei cambiamenti in quelle indipendenti; il controllo, o post-visione, attraverso la manipolazione delle variabili così identificate. Venfasi posta da Skinner (1945) sul "controllo" e sulla "previsione" ci rimanda, ancora una volta, al criterio pragmatico che guida lo scienziato, descritto da Pepper (1942), all'intemo della "metafora contestualista". Ciò dovrebbe chiarire che i termini stimolo, rinforzo, punizione, antecedente, conseguenze, sono qui usati in un contesto scientifico con un significato scientifico e non possiedono quella connotazione sociale che spesso viene loro attribuita. Vuso di termini come stimolo e risposta è dovuto principalmente alla tradizione filosofica che risale a Cartesio e che la psicologia, funzionalista prima e S-R poi, aveva ereditato. Skinner (1931, 1938) li utilizzò, anche se con significati diversi, perché di uso comune (Skinner, 1953 ). Oggigiomo, proprio per rendere ancora più marcata la differenza rispetto ad altri approcci psicologici, per evitare la confusione che l'uso di termini comuni, anche se con accezioni diverse, potrebbe generare, si preferisce ricorrere a termini come evento antecedente, al posto di stimolo, ed ev~nto conseguente, al posto di rinforzo e punizione. Il termine risposta è, invece, tuttora in uso. In breve, l'approccio oper~t~~S:(?D?·.R9!1~ill~9S().,Verbale e a quello non verbale si basa sui seguenti às"SiìD.ti: ~· ··· ·· · · · ·~""~-·~-~-~~--"·---~." ~T evefin~'flitaliinfluenzano-l'apprendimento.deLcomportamento. verba- ·t:e e n'ohverbale; b. ' ·-' Ttenomeru sono studiati direq:<m1~Qt_e Ji~.I...m_e;zçt clLgs.~~J:Yazioni e misuraz~oni diì"étte;-· "···.·-· ·.. · ··. ·· · · · · · · ·--~··~-~.,~··-·-·--··-·· c. r-~a11g;,~iqne degli eventi ambientali può essere meglio con~ettualizzata :ittravers~· i~ ·;;;r~tòfii't?aailtèC:eCI~iì.u]':ç'QffiPSrtamenfo.•e. càffib1àffienti ~rttalìèllene"r1Sliltan8Tcon:th;:ge~a a tre termini); r cL ~~~fr§":~§~~~~1a~~5~:~~:V:!!~C: - e. la previsione e il controllo dell'apprendimento verbale richiedono un'analisi '5toriCaae1 comportamento mnlVlduaie ner"fempo-:~~-~--~-~~- ..,.,....~. ANALISI FUNZIONALE DELLE RELAZIONI VERBALI Con l'espressione angli_j .iil7]:liooole.._Skinner (1953) intende lo studio della relazione fra [email protected]~f~.ti. compattamçn.tg_e...cons.eg),l."~mGe~re alia prev1Sillne. e arCoittrollo di classi di C9_!!l.PR0:!'!l!lenti. In altri termini, l'analisi fi.IDZ10nareè'7<?J!!Jdio delle variabili ambientali di cui il corp.pQr;:t:EID.~IJ.19 ( ver:pCJ,le..,po.n.,.y~rbaJ.e: cogni-.. . t-iv o, affettiver"'Che-siat:e:~ioné.~Ill gllesta_p~p~ttiva, nello studio del ç.Q..mp.QW.~ . J:Ilellto veroale;"i'un1tà' ili analisi non. è la risposta "Verba:letpàrOl~a o frase) ·rrrrlnetazit~ne~g:~rrti!@fuiaeua ·èòntlngerua:1'ér ·capitolo non si i)iria..di studio defcomporiaffiéiitoverbale, ma di studiodelle relazioni --~-~,--~··-""":-"'_-..... _ verbali. questa ragillnè,'ileipresen:té ---·L'uso di modelli di analisi sperimentale tratti dal laboratorio animale non implica che il comportamento di un ratto o di un piccione possa in alcun modo essere 20 Capitolo l chiamato verbale. I fattori ambientali che controllano il comportamento verbale di un individuo e quello non verbale di un animale di laboratorio sono infatti ben distinti: per esempio, la conseguenza di un atto in una Skinner box è tipicamente il rilascio di una pallina di cibo, mentre quella di un atto linguistico è, generalmente, mediata da un uditorio. Tuttavia, il comportamento verbale umano non pottebbe svilupparsi ed essere efficace in mancanza di relazioni precise tra lo stesso comportamento verbale e gli eventi ambientali. Non è un fattore critico che il controllo del comportamento verbale da parte di uno stimolo venga stabilito nello stesso modo del comportamento non verbale di un animale di laboratorio. Lo scopo è riconoscere e analizzare se questo controllo esiste e identificare eventuali altre proprietà del comportamento verbale che rion siano riconducibili a esempi di controllo dello stimolo (Catania, 1980). D'altro canto, è utile ricorrere allabora. torio animale per rilevare come processi non verbali analizzati in situazioni strettamente controllate e con organismi più semplici possano giocare un ruolo nell'analisi sperimentale del comportamento verbale. Altri hanno compiuto scelte metodologicamente simili se pur in un altro terreno applicativo rifacendosi a modellistiche computazionali. Che cosa distingue una relazione verbale da una non verbale? Skinner (1957), ricorrendo al modello della contingenza a tre termini (antecedente-risposta-conseguenza) identifica tale caratteristica nella topografia con la quale le conseguenze si presentano all'interno di un operante verbale: tali conseguenze sono mediate da un ascoltatore o, comunque, da un uditorio. Nell'ambiente naturale le conseguenze di una relazione non verbale sono quelle provocate dall'atto stesso: si chiude una finestra e il rumore della strada diminuisce si agisce sul pedale del freno e la macchina si ferma. In una situazione sperimentai~ le conseguenze di un atto vengono predisposte dal ricercatore e presentate dall'apparato sperimentale. In una relazione verbal~, invece, chi ascolta media le conseguenze del comportamento verbale di chi parla. E necessario sottolineare che la forma che assume il comportamento verbale e le sue conseguenze non sono una caratteristica rilevante ai fini di un'analisi funzionale come accade, per esempio, nel caso della linguistica o della glottologia. n suono o il gesto sono funzione delle specifiche pratiche di apprendimento che la comunità verbale, cui chi parla e chi ascolta appartengono, predispone, vuoi in maniera formale, vuoi in maniera informale. La comunità verbale anglofona, per esempio, modella la forma che assume la particolare risposta verba- . le red, in presenza del colore rosso, quella francese modella la forma rouge, quella italiana la forma rosso. Lo stesso può dirsi del segno rosso nel linguaggio dei segni dei sordomuti statunitensi (ASL). Per ribadire ancora una volta la definizione di Skinner (1957), la relazione verbale è una classe di eventi definibile sulla base di tre criteri: Q una risposta emessa da un individuo (parlante); (!=;:) la conseguenza mediata dal comportamento di un altro individuo (ascolta~ tore); \<::Jla comunità verbale cui appartengono parlante e ascoltatore ha modellato il comportamento verbale e non verbale di quest'ultimo perché possa rispondere adeguatamente, cioè fornire le opportune conseguenze, agli stimoli prodotti da colui che parla. Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali 21 Questa definizione focalizza l'attenzione dello studioso su un episodio unico, che include il comportamento di chi parla e di chi ascolta, gli eventi antecedenti e le conseguenze del comportamento di entrambi. La relazione verbale è, perciò, più complessa di quella non verbale; lo stimolo verbale può rappresentare, alternativamente, una risposta per chi parla e un antecedente per chi ascolta. Questa bidirezionalità è tipica solo delle relazioni verbali. Non solo, ma in qualche modo gli stimoli verbali arrivano a sostituire quelli non verbali e viceversa: basta per esempio pensare all'intercambiabilità fra la luce del semaforo rosso, il gesto di alt e la parola ALT. Tutto ciò implica che lo stimolo verbale possa entrare a far parte anche di relazioni arbitrarie complesse del tipo: stimolo verbale ç::} stimolo non verbale ç::} risposta ç::} conseguenza, che vengono mantenute dalla comunità verbale cui chi ascolta e chi parla appartengono . Chase e Danforth (1991) hanno, per questo, aggiunto una quarta caratteristica alla definizione di Skinner (1957): d. l'apprendimento del comportamento di ascolto implica l'apprendimento di relazioni arbitrarie fra stimoli. Questo punto sarà chiarito meglio più avanti (pagg. 43 e seguenti), affrontando l'analisi sperimentale del comportamento di chi ascolta. La definizione di Skinner ha creato, negli anni, non pochi problemi (ma è stata altrettanto foriera di stimoli sperimentali e teorici), sia all'interno dell'analisi sperimentale del comportamento sia fuori (vedi, per es., l'appendice a questo capitolo). Fra le critiche più recenti, Hayes e coll. (2001) giudicano la definizione di Skinner di comportamento verbale in conflitto con le altre definizioni funzionali di comportamento. Essi affermano che per la prima e forse unica volta nella storia dell'analisi funzionale del comportamento, un ricercatore definisce una classe di comportamenti non in base alla storia del comportamento stesso, ma in base alla storia della sua origine, la mediazione "sociale" del rinforzo da parte dell'ascoltatore. Questo conduce, secondo gli autori, a bizzarre somiglianze e differenze fra comportamenti. Se si considerasse, per esempio, il comportamento di un ratto rinforzato da un programma di rinforzamento predisposto da uno sperimentatore, dovremmo ammettere che sia in qualche misura diverso dal comportamento di un ratto controllato dallo stesso programma predisposto però dall'ambiente fisico, dal momento che i rinforzi del primo caso sono "mediati" dallo sperimentatore che ha stabilito le contingenze sperimentali. Quindi, il. primo caso si adatterebbe alla definizione di comportamento verbale data da Skinner (1957) e il secondo no. La posizione di Hayes verrà ripresa e analizzata più approfonditamente nel capitolo 2, di Lowe e Home e nel capitolo 3 di Presti e Scaffidi. Una classificazione degli. operanti verbali Affrontiamo, ora, l'analisi del comportamento di chi parla. Gli episodi verbali non sono tutti uguali: le relazioni possono essere distinte in base alle precise caratteristiche degli elementi che le compongono e che consentono di organizzare una tassonomia degli operanti verbali. Pensiamo, per esempio, a un bambino che pronunci la parola mela. Ciò può avvenire in presenza di una figura che rappresenti il frut- 22 Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali Capitolo l to, in presenza della parola scritta o del frutto stesso. Ma la parola mela può essere anche scritta. La si può scrivere sotto dettatura, può essere scritta da una persona muta per richiedere il frutto, può essere scritta da un bambino che fa il riassunto della favola di Biancaneve, può essere scritta all'interno di un tema sulla natura. Inoltre, pronunciare la parola mela può generare conseguenze diverse mediate da chi ascolta. Questi potrebbe, a seconda dei casi, dare il frutto al bambino, approvare con un cenno o con un "Bene!" la corretta pronuncia della parola, disegnarla per stupire il bambino, generare un pensiero (ricordarsi di comprarle), o un'immagine (la qualità Stark piuttosto che la Golden) e così via. Benché la risposta verbale, negli episodi sopra descritti, assuma la stessa forma, le variabili che la controllano e le relazioni che fra esse intercorrono sono diverse. La risposta mela, orale o scritta che sia, è una risposta che va analizzata in uno spec:ifico contesto e in funzione degli eventi ambientali che l'hanno preceduta di quelli che l'hanno seguita. Utilizzando la terminologia tipica dell'analisi funzionale, diremmo che gli operanti descritti in questi esempi sono differenti, anche se molti di loro hanno in comune risposte identiche. L'analisi funzionale di una relazione verbale è centrata sull'insieme di elementi che costituiscono l'operante verbale e, __§ull~_~ase degli eventi ambientali ch~o da antecedenti e c1aconsèguenti, è possibileèçiiiilìi:n~ lJI}a tassonomiaTa classificazio'iìeéhe-"Skinner "(T957}ta degli operantl-;erbali è perciÒliasat:a.--sul:l' identificazione di queste occasioni, distinte in eventi antecedenti e conseguenti, fisici o fisiologici, pubblicamente osservabili o "privati": Questi eventi sono collocabili in tre classi principali: e 23 NON VERBALE TACT SENZA EVENTO CORRISPONDENZA A (ORALE) R (ORALE) FRAAER ECOICA INTRAVERBALE ANTECEDENTE FoRMALMENTE SIMIU VERBALE A (SCRITTO) R (SCRITTA) COPIATO RELAZIONE VERBALE CONTROLLATA coN DA CORRISPONDENZA FRAAER A (scRmo) R (oRALE) TESTUALE VARIABILE MOTIVAZIONALE MANO FORMALMENTE DIFFERENTI A (ORALE) R (scRmA) a. eventi che sono essi stessi comportamento verbale; b. eventi non verbali che risiedono nell'ambiente fisico o avversivi; c. eventi che derivano dalla interazione tra a. e b. Sulla base del tipo di evento antecedente e della corrispondenza formale fra antecedente e risposta è altresì possibile trarre ulteriori distinzioni fino a ipotizzare la tassonomia degli operanti verbali (Skinner, 1957) riportata nella figura l. L Vargas (1982, 1986), ridefinendo la tassonornia di Skinner sulla base degli eventi che esercitano un controllo sul comportamento verbale, suddivide le relazioni in intraverbali (controllate solamente da altro comportamento verbale), extraverbali (controllate da eventi ambientali) e autoverbali (controllate da eventi verbali e non verbali contemporaneamente presenti nello stesso individuo, da cui il prefisso auto). Per chiarire questa classificazione, Vargas si rifà a un modello molto semplice. Consideriamo per un attimo gli eventi che controllano il comportamento verbale e poniamoli lungo un continuum i cui estremi siano costituiti dagli eventi non verbali da un lato, da quelli verbali dall'altro (vedi fig. 1.2). Al centro del continuum inseriamo gli eventi autoverbali. Noteremo che ciascuna classe di variabili occupa un certo settore del continuum e che le classi, in alcuni punti, si possono sovrapporre, a dimostrazione del fatto che le sorgenti di una risposta verbale possono essere più di una allo stesso tempo. Ciò non deve suonare strano: Non sempre le risposte verbali sono determinate in maniera univoca; Skinner (1953, 1957) sottolinea sempre che le fonti di controllo del comportamento umano, sia verbale sia non verbale, possono essere molteplici e combinarsi fra di loro. Skinner introduce a questo riguardo il concetto di causazione multipla, intesa come DETTATO Figura 1.1 Tassonomia degli operanti verbali (Skinner, 1957). Abbreviazioni: A = evènto antecedente; R = risposta. INTRAVERBAU AUTOVERBAU ExTRAVERBAU Figura 1.2 Continuum degli eventi che controllano il comportamento verbale (Da: Vargas, 1986). Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali Capitolo l la possibilità che un comportamento sia funzione di molte variabili operanti contemporaneamente. Il concetto è stato poi esteso da Sidman (1980) e dimostrato sperimentalmente in molteplici occasioni (Moderato, Gentile, Presti, 1991). Le relazioni descritte da Skinner (1957) sono conseguentemente classificate da Vargas (1986) in tre classi (vedi tab. 1.2). Analizziamo ora, più dettagliatamente, quali distinti aspetti delle relazioni fra eventi ambientali e risposte verbali caratterizzano i vari operanti verbali. Considereremo, in primo luogo, le relazioni controllate da eventi antecedenti non verbali, per continuare con quelle controllate da variabili motivazionali e finire con l'illustrazione delle relazioni verbali controllate dagli stessi eventi verbali. Tact Consideriamo alcuni esempi. Un individuo ronuncia la parola palla in presenza di quell'o_gg~tte. Un altro dà un riOiii.e"a relazione esistente a ue ogge · · iversa grandezza identificandola con l'espressione più grande; un altro ancora descrive al ,medico i suoi stati interni dicendo: "Ho mal di panda":" Benehé la forma verbale delle risposte assuma in questi esempt aspettt ~gli operanti sono accomunati dalla presenza di uno stimolo non verbale come antecedente e un ririfotzo ~eralizzato ~9.me ~v~ruo_c~~g}!~ Blèinner ( I9TIJc1iiama tact questo tipo di relazioneVefbale. · Il tact ha molti punti di contatto con quello che, nel linguaggio comune, viene definito chiamare, nominare o etichet~..!:~E._~ché la tisp_osta.siaeme~_ip_p~ aa ~~l fr~~!e~~~o~~!o·:f~-~~~~o,_~~~~.l'~~~~~are la parol~ !lle~ iil p come m sua assenza, ma soio nel pnmo caso parleremo d11act. La L cru;atte~ti~a che contraddistingué'cp:ìesto-o[?erarite _rur~d~ r:r?i'ili>·l~_eJ!~~Ilk3- di ~~l~.EQ..~~bal~.. ~~he ~ da strmolo d1Scrrmmatlv<;2 aa occas1on~, per l'~.m..i!'sione di--w:).a risposta verbale. __ ~~--...__ __ .~--~ ... ____ ...- -···-·-------- -~ ·- ,.,-· Un~num~ stiillolo può entrare a far parte di questa relazione verbale come antecedente: oggetti, persone e animali, condizioni del tempo, azioni ecc. Alcuni tact sono generali e hanno antecedenti appartenenti a classi molço estese di eventi stimolo (per es., uomini, animali; piante), altri tact hanno antecedenti appartenenti a classi più circoscritte (per es., il nome proprio di una persona). Lo stimolo discriminativo che controlla l'emissione di un tact può essere rappresentato sia da una caratteristica fisica di un oggetto o evento ambientale (la forma, il colore, la · 25 situazione meteorologica ecc.), sia dalla relazione che esiste fra tali eventi. La parola di un vino o del sole al tramonto. La collocazione di due oggetti posti uno sull'altro controlla la risposta verbale so~sottQ i.n.)ID,g __r_e._~iQ.ll.e...Qi.,ti.RJ2.J~lff· Le differenti dimensioni tra oggetti, per altri aspetti identici, possono controllare la risposta verbale più grande, medio o più piccolo. ~na risposta irt un operante tact può essere controllata da caratteristiche dello stimolo meno evidenti dal punto di vista percettivo e culturalmente più elaborate, come nel caso in cui riconosciamo uno scrittore sulla base del suo stile letterario, o riconosciamo un chitarrista dall'espressione esecutiva (Jimi Hendrix), dal "tocco" che adopera sullo strumento (EricClapton) o dal timbro sonoro che usa (Pat Metheny). Allo stesso modo, possiaD?-o identificare un brano musicale di Mozart distinguendolo da uno di Haydin. E evidente che ciò che - Skinner (1957) {;hiama tact, è un operante verbale fondrup.~f!:,t;_~~-E-~-_l'a~q~-~_!~e di quei processi defmiti-co~az~~,9:~.P.J.!~Tii,i!itQ:~Q,Cc_S!uç$tti· .. ~ G rispos-fa:laCtJmtr'e.§~~~@P:~Ql~i!,~_fW_çJt~Ja._v:~~lFc~~e_ ~o~o. c~_P_~~-~uò avvertire, cgme_ I.lt;Lc;~:!So.,9J.n~el!s.~J9~k çli dolor~"'Q-.f{~J~!~S~~J:;lit ti)OmJdno tmtyara a descrivere ciÒ che avverte. e in presenza di una .J?recisa senSazione (stimolo discrimii'iatl.vO},pì:iOPfònùD.crareresptessfoii.e~''Hò·m.ar· dTi)aìlélà'i'o11M1sento-15ene"·'tHSi30sreclìtipo-tact). ·La comunitàverbaleZ·irtsegna e marttiene-·la"'corrispondenza fra· gli ·eventCP.rfvab ·e·le espressioni che li descrivono. Anche in mancanza di accesso diretto a ciò che un individuo avverte, la corrispondenza fra eventi privati e linguaggio viene modellata sulla base di altri eventi pubblicamente osservabili (Skinner, 1989). Non è un caso che tutte le metafore che descrivono stati interni si rifacciano ad avvenimenti di cui tutti possano avere avuto esperienza o siano di comune osservazione: i medici, per esempio, distinguono il dolore riferito dal paziente in puntorio (come il dolore da puntura) o urente (come il dolore conseguente a una bruciatura), e i sommelier fanno riferimento al profumo di fiori, piante o cibi per descrivere la sensazione al gusto e trasmettere le caratteristiche organolettiche di un vino. Allo stesso modo, gli audiofili descrivono la sensazione uditiva indicando le caratteristiche di un diffusore acustico con termini come "generosi, dettagliati, selettivi, equilibrati ecc.". rosso può essere pronunciata in presenza di un semaforo rosso, di un rubino, Mand Non ser_n re. · ~te,..v.er....b..ali.sono..~controllate .dirè.tt.!!m~.t~. l!!UID<c~ve.ntQ.1!P.-l~e- · te non verbale.._çQ.ro.e nelcaso.dell'operante..che .è _sta(:P. c:P..!~~~~~S · Pensiamo a un bambino assetato che pronuncia la parola acqua, magari aècompa- ~-~~e~pless!?.r~ cott~l:y~~--g_e~siJ~!.rls~e~ta; :o.PP~~~fu~~~'!~ ~ Tabella 1.2 Classificazione delle relazioni verbali descrifle da Skinner 11957) secondo Vargas 11986} lntraverbali Autoverbali Extraverbali Autoclitica Ma nd Ecoico Testuale Trascrizione lntroverbale pa._ttugua Òi soldati che...d!!!..li!lJ~ una lunga marcta, ordma l alt;_g_i.lp_:g.gt~.9.f.hltt#..&2. che iniziando un intervento, cli.ièaè~1";--m:y:rt:andòè0Sìlin mer_nbrq_ 9-ella, sua _.,_..._._..,._.:-."~ !"<~ ·~} J~ ..-----~::.--.--~ ,~.- .....-.-.:=-- ·-·o;;-·-~_::.-....,.._.~-~~~ ..--.. .!:...:.J"o;,:::;'!~..,..,._-:;'l!-_,.::r-r...=-!'",.r.~ èqUi.pé a passargli lo strumento. In tutti questi· esempt non estSte un uruco evento nonv1!f!5"alécné·l:>ossa ·e5sei:.;~raér1rffi(~:é.2@tt~~ç.~~6t~:çtt:gl!~'JlSP.Qii.Vér­ ~Vià;re...tiSPost'è"aiJ'Pait~'On:(;·~niilii.éa:esima classe, poiché è funzionalmente identica la relazione che le lega agli eventi antecedenti e conseguenti: le ' ...... ,__.,..,_ ·-·· - - .. •• ...,....,.. .. . . . . ._..,.............. .... Taci Si intende con tale termine l'insieme degli individui che parlano la stessa lingua e dei comportamenti rebitivi al suo uso. [NdA] 2 26 , J. ~ f [' 'E··- j' ' .. Le rela.zioni verbali: analisi e caratteristiche funzicmali Capitolo I risposte verbali sono controllate da uno stato di deprivazione (sete, ne~essità di uno strumento) o di stimolazione avversiva 3 (stanchezza) e non sono seguite da conseguenze di ordine generale. Skinner (1957) ha chiamato mand l'operante in cui la risposta è controllata da condizioni antecedenti come quelle descritte. L'ascoltatore media la conseguenza per il comportamento verbale del parlante e, negli esempi citati, gli fornisce l'acqua, un bisturi, un po' di riposo. I11 altri termini, nella relazione verbale chiamata mand ciò che viene detto, scp.ttg~,..min.!.l!~_deteim_Iiial:òJii..~Ori:::aana:vafial}'i.lfl:moti­ vaziomile in gioco in quel momento. In una relazione verbale di tipo mand la conseguèrurè·in·relazionTCon la-fOima verbale presente nella risposta (cioè non è un rinforzatore generalizzato, comep.cl caso del tact). · · ... _ . Nel linguaggio comune,_ H;~!ld)viene chiamato più semplicemente(f;;""~\ ·richie~ta, sollecitaz~qile, preghier~écc.: questa risposta consen~e a chi parlatamaru::-' polaiione dell'àriibiente- _esterno {!Jbr.i;!.Y.erso l'espressione- (letle. p~g_piìe vo1ò'nta,aei propri desideri e delle proprie esigenze. /' c: --- - ·-~~. ......:-.,;:::~----------~ il PE.9~~.R~Lf4L'!!P-.i ~j:J;J,l~ÌQ:ne,d(deprivazi~ (avversiva '29ntrolla una da,~nspqsta Y~Ral~l Sfin?e~ Q957) fa riferimentOiilla stori"adi:Tinfò[email protected]~4che giustifica l'origine dellè-~ità funzion~li (antecèdente, comportamento e con§e_.~_e_ nza), all'in_terno di coiltirigéiiZà~-a._:tte termini. Tuttavia, il rlferifuentcnilla storià indivìdualè di appr~dimenti aiuta a çomprendere, solo in parte; pefclie·-una da~.r~posta- còmp~ili_ in_ll!lCI.~J.>~!!~isa occasione. Michael ( 1982a, 1988) fffiel'i:e·perciò che-la desctiziònè fattà da Skiimer--(1957) delle condizioni di deprivazione e stimolazione avversiva che controllano la risposta in questo operante sia vaga e imprecisa, che limiti le possibilità euristiche del concetto di mand e che offra il fianco a facili critiche (vedi, per es., Chomsky, 1959). ~atti, se si considerano ever1~ come il dolore o la sete, si incorre nell'impossibilit'à]I~~ffiill-lreventfani:ecedentCo stiffinlidìsctìtirinat:i'vì;·f>oiChé ·la loro prese-nza: ·a assenza non è' correlatli"'coìf la proòabilita di. éoiriparsa::di Uri.a detemiiii.ata cOilSèguen:z~rdata una ·certa _nsp~sta: provare dolore o sete non implica la possibilitadiélim~lt Michael_ (1982à; 1982b, 1988) introduce il concetto di estab~àperalìOn (?Q~utuandolo da Keller e Schoenfeld (1950), ~§.i (~~vari~ trasforma mo~?ltaneamente in rinforzE,tor.e un eggett0"0"\In evento alinuren:ti·-neutro. La sete, per e5eirì1)ìo~~puo·"rendeìi momentaneamente l'acqua un effica~e rlnforzat()n!. Il termine può essere esteso a tutte le operazioni che hanno tale effetto, anche se l'atto non assume la forma di deprivazione o stimolazione avversiva. Per Michael (1988), il valore motivaZionale delle operazioni compiute a monte della risposta verbale viene definito da due effetti sul comportamento del soggetto: la manipolazione di variabili ambientali a) trasforma alcuni eventi in rinforzatori e h) modifica, incrementando o diminuendo, la frequenza di risposte che sono state rinforzate da questi eventi. Rito~ando al nostro esempio, l~~canz~~ua.-pr.oduc-a.-una~ce-tta.tend~.a p~~~<:t.~~~!~:paro._~ acqua, ma ql:l(!Sta rispq~~non si .presenta.in circostanz~ in cui non è stata iirifociata in-passato. D;àlt:ri parte, anche in presenza di circostanzein ·-- - . . .. .... ·>· una cui la parola acqua sia stata rinforzata in passato, ess.a _n()_p,yi pr~sep~_ li. r_ne~o .s:~e,____ uriaEO--oofretata alPacqua come ·rinforzatore-rion- sia in_aq:q, cioè se_l'indlviòuo non ao.misètè o bisogno d'acq:Ui~i"pet'altri motivi{MiCnael, 1988). . ----- .. "" ·---·~,--~ ..,._, "'"La d~TiÌÙiìofie di maruf èhe offre Mkhael (1988) è, perciò, la seguente: ~--~ . ~~yerb_el~in cui una particolare forma_~,!~. ~h~ ~o~_b._!t_e.l~:!:!!-1~-t~ ztone C0!1 un precedente Stlmo1oruscnmmatlVO, è !:tt:if()rzata a_a una...cop.se_,gg~_pza s~c:~~;--quiridl., sotto~ controllo~~~!lifE'? -relativa a ql:l~Qli~~9,21i.~~~~~lntraverbale, ecoica, dettato, copiato, lettura Gli eventi ambientali extraverbali che abbiamo finora considerato, stimolo discriminativo non verbale e variabile motivazionale, non sono gli unici antecedenti di una risposta verbale. Come abbiamo già visto nella tassonomia descritta in precedenza, lo stesso comportamento verbale, emesso dal soggetto che parla a se stesso, in maniera overt o covert, o da altri membri della comunità linguistica cui appartengono chi parla e chi ascolta, può essere l'antecedente che controlla l'emissione di risposte verbali. Consideriamo, per un attimo, i seguenti esempi. La mamma di un neonato che emette le prime lallazioni dice, rivolgendosi al figlio, "ma-ma-ma" e il neonato ripete "ma-ma-ma". L'ordine del capitano di marina "Su il periscopio", "Avanti tutta" viene passato (ripetuto) da altri militari secondo la scala gerarchica. Un giornalista prende nota del discorso del Presidente durante una conferenza stampa. Uno studen; te legge un libro e trascrive, mentre un altro prova a ripetere un brano in modo discorsivo. Una segretaria scrive una lettera di convocazione su dettatura del direttore. Un altro studente, in classe, copia la traduzione di un brano dal greco che il suo vicino di banco gli ha consegnato di nascosto. In tutti questi esempi, una risposta verbale è preceduta da altro materiale verbale. Benché stimoli e risposte possano differire sia nella forma che assumono. sia nel mezzo utilizzato per esprimerle, possiamo accomunarle usando come criterio il gtado di corrispondenza che esiste fra l'antecedente e la risposta verbale. In altre parole, è possibile distinguere le relazioni verbali in cui l'evento antecedente è anch'esso verbale sulla base della rassomiglianza che esiste fra le forme dello stimolo e quelle della risposta. Per far ciò bisogna considerare che tale rassomiglianza può variare lungo un continuum che va dalla completa identità di forma e variare di grado fino a sfociare nella completa differenza e includere nella classificazione anche le forme della risposta. Per Skinner (1957) vi possono essere tre forme di relazioni fra un antecedente verbale e una risposta véroaie: . - _____ ___.. ~.,.._.,_., a. l'antecedente e la risposta sono entrambi orali e sono uguali dal punto di vis_tg ·della forma {ecmca); ~-~-· ___.. b. l'lffiteceaemee irìTo!'fiiascri~,nm.k.tis.pos~.~..Q.t:alel!§.~-,c. l'antecedente è m forma orale, come la risposta, ma non vi è corrispondenza fra le IOròtorffie (inti=aveaìatèY:-~.--.,...,____·m···-------.-----~-~----- ------ Stimolazione avversiva: stimolazione che l'organismo tende a evitare o eliminare. . ......... -..~ ..--.-...._~~--~ .......~---- .. ~··~-~ 3 27 Inoltre, Skinner (1957) descrive brevemente altri due operanti: nel_prj.n].g,.,..che viene chiamato trascnzzone {transcnption), antecedente-erlsposta-sono-~trambi scrtttt,-n"èlsecondo:-2he':Vie-D:{;"èhiamatoaetfà.liirèilu.Janglliefiition)~-1'antecederite"è . o~ruee la risp~sta è scrìttà.." ~-- -~ ~- ~ .: . -~, --~ - - -- ---- . o------~ -~ . - -"'' .;_'- __..,. -.. . .. ·- --- 30 Capitolo l Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali SENZA CORRISPONDENZA FRAAER SEQUEUC f A (o~o~c(ORAL.E) RELAZIONE VERBALE CONTROu.ATA DA FORMALMENTE SIMILE ANTECEDENTE VERBALE DUPLIC A (SCRITTO) R (SCRITTA) IDENTIGRAPHIC A (MIMATO) R (MIMATA) MIMETIC CoN CORRISPONDENZA FRAAER CODIC t ~evento che controlla l'emissione di a.JJ!_oclitiche descrittive P.UÒ far parte o coincid~re con quello che ~;;ntrollal' emissione d~lla ·risposta primaria, come per laparola "Sento,.nellafrase-"Sérij6J1àP.famY.'iii~..,=Qq origin~e dalla sfera privata del soggetto_ o. ç!al SJ.ISJ__stat.o....~!!l.9f'IT9~~ome_ "SongJhl,Jç~-~~a risposta primarii:i"pòtrebb-eéssere anche emessa come un intraverbale, ma essere stata acquisita come tact, come . do ... ", "M·1 sovv1ene... · " o "E' prob abile... ". Le -- 1 '~'-t.. d · .. nel caso di· ''Ricor ___3!!t.l,ll..W.IU.l~--~s~_gtgv~9J!9_4~,U~_qtsc_!_ii!!_ig~i.():U~...~:! p!_op~~o-"c_?.~PC>rt~.':~t.O.. Y~[~:al~ . _e,_p~~ .ta!~ ragione, sOBai'r-obabilmente.implicate ip. ql,l~!_C:O!llpo~.e.l:l~ c]:t~ ~~l~aiilo consapevolezza" o "coscienza di sé" (Catania, 1984). · -----~~ -·te-a ·ditiéhe· · ·cative modificano il tact in man,_ier11, .da. fll.t.~!are l'intensità o la irezione e com~ì ciìi-a5co1tii."E~e-sFcfiffereruiano -dalle._aui:oa~r.~­ c&bdescrittive propno perche questetittliiie non1il:terarrd i1 tomporiamèntéi-ae1I'a:-~ sGOitatqr~!'l~:que_Stà:c~gona'Skmtier~fìtermini--cheindicano-a:ffermazione-e A(SCR=~ORALE) FORMALMENTE DIFFERENTE 31 A (SCRITTO) R (NON VERBALE) NON·TEXTUAL A (ORALE) R (SCRITTA) DICTATION Figura 1 .3 Rappresentazione schemalica delle relazioni verbali controllate da antecedenti verbali proposta da Michael(1982b) e Vargas (1982, 1986). ' ferisce all'operazione di variazione dell'aspetto formale di un'espressione verbale che a ~ vol~ infl~~e su?a probabilità di risposta di chi ascolta. Consideriamo, per ese:.Opio, fr~I come Dubito che il pranzo sia pronto", "Penso che il pranzo sia pronto" e "Sono sicuro che il pranzo è pronto". Chi parla emette un tact che è controllato da un lato da una serie di variabili ambientali (ora del giorno, odori, abitudini familiari) in relazion~ all'emissione della frase "Il pranzo è pronto", dall'altro dalla relazione fra quella n_spos~ verbale e le condizioni reali o percepite del pranzo stesso. ~effetto è quello di ~o~care la prob~ilità che a questo stimolo verbale segua una data azione da P:nte di chi asco_lta che SI comporta in marriera diversa a seconda della frase udita. B_as_n pensar: alle differenze che esistono nel comportamento di un individuo che ubbidisce a frasi del tipo "Danuiti un libro", ''Dammi il libro" o "Dammi tutti i libri''. . Questo p~colare processo di trasformazione e organizzazione dell'evento verbale vie~e da Sk~~r (1957) definito autoclitico. Se qualcuno pronuncia la frase"~ ~a, che .ar;}':a. , p~rché sta sentend~ de~ passi che identificà con quelli del padre, -~-~~!_)a ~~asta ,;erb~e pnmarta, ~che descrive la scena del padre ~e. ~v~. L'a~~och_Dca è ~emg: la variabilec:necòntrolla l'emissione di un'autocl~nca _e Identificabile negli ~tessi eventi che controllano l'emissione della risposta pnmarta ma, dato che non esiStono le condizioni per l'emissione di quest'ultima chi parla "descrive" (tact) il fa~_che la sua risposta primaria è sotto il controllo di, una ~Io@~.w~--------~-~---·-· -·.· ····"··"·=·c~d ____ L'aut~c~itica no~ è~ ~l~se unica di relazioni verbali. Skinner (1957) illustra le caratt~ns?che ~10n~1 d1 cmque sottoclassi che chiama: descrittive, qualificative, quant1tat1ve, marupolat1ve e relazionali. negaiione,/'?\" e ''N~:;..~ il_ term~e ·"(:o.me~ ~as~~~-~ca .c::'~e-~: n:~:"·. Fra le autoclitiche qilanrttanve Skinner mclude l:l!rmmt come gli art1co1l, o prononii come "alcuni';, "tU.t:tl" o ''iìessuno''~· · · · - ···· ·· ...... ·· ·· -·~ I:è "iiuiOClfflclie possono adempiere alla loro funzione di modificare l' atteggiamento di chi ascolta in funzione di una certa risposta primaria, poiché offrono a chi parla la possibilità di manipolare la frase in modo da porre in relazione fra di loro gli elementi che la compongono. Skinner (1957) identifica nelle autoclitiche manipolative e in quelle relazionali tali elementi verbali. Nelle autoclitiche relazionali rientrano la maggior parte dei meccanismi grammaticali, mentre quelle manipolative includono le espressioni che ci consentono di correlare fra di loro parti di risposte verbali, come "se... allora... " o "viceversa". ~analisi di Skinner pone le basi per indagare oggettivamente gli eventi implicati nell'acquisizione di comportamenti noti col termine di "logica" e "ragionamento" (Terrell e Johnston, 1989). Vautoclitica è, infatti, uno dei processi che differenzia il comportamento non-verbale da quello verbale (Catania, 1986). Ciò che c'è di realmente peculiare del comportamento verbale risiede proprio nella fine capacità discriminativa che l'autoclitica consente del comportamento umano, sia verbale sia non (Catania, 1980). Peterson (1978) ha proposto di riunire le autoclitiche descrittive, qualificative, quantitative e manipolative in due calfogorie: tact autoclitici e mand autoclitici. Per Peterson la caratteristica che definisce il tqct autoclitico è l'evento non verbale che controlla la relazione verbale primaria. Un mand autoclitico è controllato dalla establishing operation che fa sì che sia rinforzante, per chi parla, il cambiamento che l'ascoltatore dimostra nel suo comportamento a seguito della comparsa della risposta verbale primaria. CARATTERISTICHE FUNZIONALI DELLE RELAZIONI VERBALI ~analisi funzionale, presentata in questo capitolo e applicata agli eventi linguistici, enfatizza, come abbiamo più volte ribadito, le proprietà comportamentali del linguaggio anziché gli aspetti strutturali (fonema, parola, frase, periodo ecc.). ~unità d'analisi utilizzata è il contesto in cui la risposta verbale si presenta -la relazione fra il comportamento di chi parla, quello di chi ascolta e la situazione ambientale in cui 32 Capitolo l l'episodio si verifica. Dei due versanti della relazione verbale- il comportamento di chi parla e quello di chi ascolta - abbiamo fin ora considerato solamente il primo, prospettando una tassonomia del comportamento di chi parla sulla base delle varia, bili che lo controllano. Parlando dell'autoclitica si è fatto continuo riferimento agli effetti che questa risposta verbale ha sull'ascoltatore, introducendo in tal modo l'altro versante della relazione. Per completare il quadro è opportuno, perciò, considerare anche il com, portamento di chi ascolta. Questi non è solamente il mediatore delle conseguenze per chi parla, ma è anch'esso un agente il cui comportamento è opportuno studiare (Skinner, 1989). La domanda cui lo studioso di analisi del comportamento deve rispondere in questo caso è: che funzione esercita il comportamento verbale di chi parla su chi ascolta?_La_~ione cui pensiamo è quella linguistica/comunicativa, per "esprime,_ re", "trasmettere", "comunicare" emozioni, sentimenti e pensieri, ma non è petti- nente al nostro studio. Inoltre, non è completa né definita. Se pensiamo alle espres, sioni poetiche certamente la funzione comunicativa è fondamentale, nel senso che se abbiamo bisogno di comunicare uno stato d'animo, un'emozione, o anche una sensazione o una percezione, abbiamo bisogno di parole. Ma non possiamo trovare solo in questa spiegazione la risposta. Dobbiamo pensare, invece, alla "nascita" del linguaggio: i nostri antenati certamente non avevano questa esigenza un milione di anni fa. Dobbiamo pensare all'atto verbale come a uno stimolo discriminativo per il comportamento di chi ascolta, il quale fornisce le opportune conseguenze a chi parla. Il comportamento verbale consente a un individuo di operare attraverso la mediazione di altre persone: la sua natura è, quindi, essenzialmente sociale. Se do, vessimo ricercare le condizioni, sia filogenetiche sia ontogenetiche, prerequisite al, lo sviluppo del comportamento verbale, dovremmo considerare tutti quegli appren, dimenti che consentono l'insorgenza di una sensibilità alle contingenze sociali. In altre parole, quando un individuo ha appreso a rispondere a stimoli discriminativi di tipo sociale, egli è pronto a diventare un buon ascoltatore e sviluppa, di conse, guenza, il comportamento verbale. Che la funzione principale del comportamento verbale sia quella di comunicare emozioni o stati d'animo è, tuttavia, un'ipotesi da scartare per ragioni filogenetiche e ontogenetiche (Catania, 1986; Catania, Matthews e Shimoff, 1989; Jaynes, 1976). Che ragione avrebbe, infatti, la natura di rendere ridondanti i sistemi di segnalazio, ne? Pensiamo, per esempio, a un gorilla arrabbiato o a un gorilla che corteggia la sua compagna: abbiamo forse bisogno di parole per distinguere i due atteggiamenti? Abbiamo bisogno di ulteriori espressioni verbali per riconoscere un individuo triste o uno allegro? È probabile, perciò, che la funzione centrale del comportamento verbale sia quella di modificare il comportamento di chi ascolta, agendo .sulla sua probabilità di com, parsa e che le altre funzioni - la comunicazione in primo luogo - derivino da questa (Catania, 1986). Una lezione, o questo stesso scritto, alterano la probabilità che chi ascolta o chi legge parli di questo argomento in un certo modo al presentarsi di pre, cisi eventi ambientali. Altre volte l'atto verbale assume proprio l'aspetto di un'istruzione. Essa è una via ~tremamente economica e molto efficace per influenzare la probabilità di comparsa dt un comportamento in un individuo verbalmente competente. Chi dà ordini, Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali 33 istruzioni, consigli può raggiungere questo obiettivo saltando una lunga fase di inse, gnamento costituita da progressive piccole acquisizioni, modellate dalle contingen, ze. Attraverso massime, leggi, prescrizioni, i membri di una comunità verbale tra, smettono la cultura del gruppo ai nuovi membri, insegnando comportamenti ade, guati in quei casi in cui non è possibile modellare singolarmente il repertorio di un gruppo di individui (Skinner, 1953, 1985). Il comportamento verbale di chi parla, come più volte sottolineato, funge da stimolo discriminativo per il comportamento di chi ascolta, indipendentemente dalla contiguità spaziale o temporale dei due eventi. L'espressione "Al fuoco!" può avere determinate conseguenze, in termini di probabilità di emissione di un dato comportamento da parte di chi ascolta, anche se quest'ultimo non ha visto né udito alcuna esplosione o avvertito odore di fumo (Catania, 1998). Se diciamo a qualcuno in procinto di uscire che sta per piovere, agiamo sulla probabilità che chi ci ascolta prenda con sé l'ombrello, anche se non ha constatato di persona le con, dizioni del tempo. Quando invece l'istruzione assume la forma di regola, essa diventa uno strumento estremamente economico anche per chi apprende, perché permette di collegare quelle situazioni stimolo che mantengono caratteristiche simili o funzionalmente simili e di rispondere adeguatamente a esse. Infatti, è molto più vantaggioso per una persona apprendere una regola che gli consenta di confrontarsi con i differenti aspetti dell'ambiente, piuttosto che apprendere singole unità di risposta a -tutte le possibili configurazioni di un evento stimolo. Un bambino che si trova impegnato nella costruzione di una torre composta da anelli di grandezza decrescente, può ese, guire il compito seguendo strategie diverse, provando la sequenza o cercando di ricordare l'ordine dei colori o imitando i movimenti del padre che gli ha mostrato come fare. Una regola verbale del tipo "Scegli sempre l'anello più grande, inseriscilo e vai avanti così" certamente diventa una strategia più economica ma soprattutto autocontrollabile. In questo caso, la regola può essere formulata dallo stesso individuo, che parla a se stesso ripetendo quanto gli è stato detto o ricavandola dalla situa, zione in cui si trova, o da altri, in modo da consentirgli di rispondere adeguatamente anche in quelle situazioni in cui le contingenze sono complesse o, in un certo modo, meno efficaci (Skinner, 1969, 1985). Nel parlare di istruzioni o, più in generale, di_ regole è importante distinguere le componenti che sono coinvolte. Dato che il comportamento controllat<;> da un'istruzione rientra all'interno di una relazione verbale, vi sono due tipi di comporta, mento cui, come sempre, bisogna prestare la dovuta attenzione: il comportamento di chi parla e quello di chi ascolta. Il comportamento di chi parla è sotto il con, trollo di precisi eventi ambientali, che implicano anche il comportamento di chi ascolta, e prende il nome di "enunciare una regola". Il comportamento di chi ascolta è sotto il controllo di un antecedente in forma verbale e le conseguenze possono rientrare in due tipi di classi diverse: la diretta conseguenza dell'atto istruito e le conseguenze sociali che derivano dal seguire un'istruzione (Cerotti, 1989; Zettle e Hayes, 1982). Lo studio del comportamento umano controllato da un'istruzione gioca un ruolo di primo piano nella ricerca sperimentale dei processi di base e riveste un'enorme importanza applicativa non solo in psicologia, ma anche nel campo sociale. Basti pensare al comportamento di problem solving, all'interazione verbale durante una psi, Capitolo I coterapia (Moderato, Presti, Gentile, 1989), all'acquisizione di corretti comportamenti per prevenire e debellare problemi assillanti come l'inquinamento, il traffico, malattie a carattere epidemico e così via (vedi Cone e Hayes, 1980; Zettle e Hayes, 1982). Comportamento governato da regole ~ri~a di_ inoltrarci nella descrizione dello studio sperimentale del comportamento 1s~1to, e opp?rtuno formulare una distinzione. Descrivendo i principi dell'analisi funzw?-ale abbtamo affermato che due comportamenti, non importa se verbali 0 non verbah, _an_che se identici da un punto di vista morfologico, appartengono a due classi operano dtverse se le variabili ambientali che li controllano (eventi antecedenti e/o conseguenze) sono differenti. Il comportamento verbale e non verbale di un individuo verbalmente competente può essere fondamentalmente controllato da due classi di variabili: a) le conseguenze che il comportamento stesso produce, che agiscono inc_rementando o diminuendo la probabilità d'emissione di una risposta, e b) la descrizwne verbale delle contingenze ambientali in forma di istruzione o regola. Questa distinzione non è nuova e ricorre varie volte nella storia del pensiero occidentale. Probabilmente è a questa differenza che si riferiva Democrito, alla fine del V sec. a.C., parlando di "conoscenza oscura" (crKoTt'Tj), che si fonda sui cinque sensi . " ( )'VTJCTLT) ' ) , rwndata sulla ragione. In tempi più recenti,' e " conoscenza genuma Bertr~d R~sell_ ( 1961) distingue fra "conoscenza per contiguità" e "conoscenza per descnzwne e Gtlbert Ryle (1949) fra "conoscere qualcosa" e "conoscere come fare qualcosa". La distinzione fra i due tipi di comportamento e le classi di variabili che li controllano vengono distinti e illustrati per la prima volta da Skinner anche se in forma ~pli~ita, in ~cience and Human Beha.vior (1953) e in Verbal Behavior (1957). Nel pnmo hbro, egh traccia sommariamente un elenco delle "agenzie" sociali che in qualc~e. m?do co?trollano il comportamento umano attraverso leggi, regolamenti, prescr~wm e cost vta. Nel secondo, esamina gli effetti del comportamento di chi parla, m forma di istruzioni, su quello di chi ascolta. Tuttavia, è solo alla fine degli armi '60 che Skinner (1969), analizzando il comportamento di problem solving, specifica in maniera più dettagliata le caratteristiche dei due tipi di comportamento e le loro implicazioni per la comprensione del comportamento umano. Egli chiama le due diverse classi comportamento modellato dalle contingenze (cor:tingency-sha.ped beha.vior) e comportamento governato da regole (rulegove~ed beha.vwr). I comportamenti che sono controllati da queste due classi di event~ harmo proprietà funzionali diverse, perché entrano a far parte di operanti differenti, anche se possono avere identiche caratteristiche motorie. I term~i istruzione e regola verrarmo utilizzati come sinonimi in questo contesto, anch~ _se il vocabolo r~g~la si riferisce a una fonte di controllo che può entrare in una pm vasta gamma dt crrcostanze rispetto all'istruzione (Cerutti, 1989). Il termine rego~ v_i~ne, pe~ò, utilizzato anche da altri approcci psicologici e, pertanto, assume un stgn~t~ato dtverso a seconda del contesto in cui compare. Gli autori di ispirazione co~mttv~ (per es., Boume, 1970) identificano con questo termine, e con altri, ~ome rp~tesz_ (per es.~ Levine, 1959) o strategie (per es., Bowman, 1963 ), processi mtervemenn, non drrettamente osservabili, ma deducibili, che controllerebbero il Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali 35 comportamento cognitivo dei soggetti impegnati in compiti di categorizzazione o di problem solving. Gli studiosi di orientamento cognitivista ritengono che le regole siano utilizzate dall'organismo per elaborare gli input e agire di conseguenza (Hineline e Wanchisen, 1989). In termini cognitivi, un problema di apprendimene~ di una regola è un compito nel quale un soggetto, tramite istruzioni, conosce gh attributi rilevanti del concetto e deve determinare, attraverso gli stimoli presentati e il feedback ricevuto, le regole che integrano questi attributi rilevanti. In altre parole, i soggetti in questo genere di esperimenti verificherebbero ipotesi che, confrontate con la nuova informazione in ingresso, consentirebbero loro di definire il principio · . .. . regolatore. . Un prototipo di tali ricerche in campo cognitivo è esemphftcato m Bourne (1970) che studiò, attraverso un paradigma di tipo win-stay, lose-shift, la generazione da parte di studenti universitari di regole concernenti l'organizzazione di stimoli bidimensionali. I..:esperimento era costruito in modo che dalle risposte dei soggetti fosse possibile dedurre il tipo di regola da essi applicato. I..:autore concluse che, oltre a regole congiuntive, disgiuntive, condizionali e bicondizionali, gli studenti del college apprendevano una meta-regola matriciale del tipo "costruisci una tavola della verità", che aveva due scopi: consentire di dedurre la regola dalle caratteristiche dello stimolo e di classificare lo stimolo secondo una di queste caratteristiche. I risultati furono replicati e furono identificati altri fattori, fra cui: esperienze presperimentali, istruzioni specifiche,_ materiale stimolo e ordine di presentazione.- Un simile paradigma sperimentale è stato utilizzato anche per studiare l'acquisizione di regole in bambini di età prescolare e scolare, replicando i risultati ottenuti con gli adulti (per es., vedi Cantor e Spiker, 1978; Moderato, Gentile, Larcan, Presti, 1987; Schuepfer e Gholson, 1983 ). È possibile, per individui verbalmente competenti, fornire una descrizione dei criteri che sono stati seguiti per organizzare il materiale sperimentale. Quando questi criteri sono espressi, in maniera overt o covert, da un soggetto posto in una condizione sperimentale, essi possono trasformarsi nelle "regole" che guidano il suo comportamento; ma non è facile dimostrarlo, e ancor meno inferirlo. Secondo Reese (1989) il termine "regola" può riferirsi alla descrizione di una generalità o di una prescrizione. Una generalità, nella sua forma verbale, è l'enunciazione di una regolarità che si presenta nell'ambiente; definisce la relazione che esiste fra due o più eventi. Nella sua forina non verbale è la regolarità in se stessa. Questo tipo di regola prende il nome di descrittiva o normale. La legge di Newton, per esempio, è una regola di questo tipo. Una regola che descrive cosa dovrebbe accadere viene definita, invece, normativa o prescrittiva. Una regola di questo tipo potrebbe essere: "Se finisci bene i compiti, andiamo a prendere un gelato". Per un organismo, non importa se verbalmente competente, seguire una regola di tipo normale non è una questione di scelta: la sua attuazione dipende esclusivamente dalla presenza degli attributi fisici e l'evento avverrà indipendentemente dall'accuratezza della loro descrizione. Cadere dal letto o da una sedia, cioè da un punto più alto verso il basso, per esempio, dipende esclusivamente dagli eventi fisici che sono descritti nella "legge di gravità". Questo comportamento è però interamente indipendente dall'accuratezza della descrizione che Newton dà, di tali even~i fi~i~i, nel~ l'enunciazione della sua legge o addirittura dal fatto che le teorie pre-sctentiftche dt tipo animistico spiegassero il fenomeno invocando la vis cadendi. 36 Capitolo l Le regole normali possono funzionare, a loro volta, come regole normative, quando la loro formulazione verbale controlla il comportamento attuale di un organismo verbalmente competente, per esempio: "Se ti dondoli sulla sedia rischi di cadere". Così, le regole geometriche sono regole che descrivono delle regolarità nel loro dominio. Esse hanno funzione normativa quando controllano il comportamento di problem solrving di uno studente che cerca la superficie di un triangolo. La formula s = 1/ 2 gt2 non controlla la caduta di un uomo, ma può controllare il suo comportamento verbale quando si riferisce alla velocità di un corpo nello spazio in un determinato momento (Skinner, 1969). Nella sua analisi del comportamento di problem solving, parlando di comportamento governato da regole, Skinner (1966c, 1969) si riferisce proprio a regole di tipo normativa. Egli definisce questo tipo di regole come un'istruzione nella forma "se... allora", che descrive una contingenza a tre termini: gli eventi antecedenti, il comportamento e le conseguenze. Dato un particolare evento antecedente verbale, l'emissionè del comportamento descritto sarà seguito dalle conseguenze precisate dalla regola. Molto spesso, la situazione antecedente o le conseguenze, o entrambi, sono implicite nella formulazione, ma il comportamento di un organismo verbalmente competente potrà essere ugualmente posto sotto il controllo della descrizione. Zettle e Hayes (1982) hanno definito il comportamento governato da regole come un comportamento a contatto con due tipi di contingenze, in almeno una delle quali è presente un antecedente verbale. Questo tipo di definizione sembra escludere quelle situazioni in cui il solo antecedente verbale è in grado di controllare il comportamento di chi ascolta, come la frase indirizzata a un bambino: "Se non smetti di mangiare ciliegie ti verrà il mal di pancia". Chase e Danforth (1991) hanno per questo proposto di definire il comportamento governato da regole come una relazione fra l'attività di chi ascolta e il comportamento verbale o il prodotto del comportamento verbale nel quale la relazione fra due o più eventi è specificata da chi parla. Questa definizione include le situazioni in cui un antecedente verbale è sufficiente a esercitare il controllo sul comportamento di chi ascolta. Essa è più in linea con quella di operante inteso come relazione fra eventi non limitati al tempo e allo spazio attuale. Il comportamento del bambino, nel caso dell'esempio, può far parte di una classe operante più vasta, in cui la mancanza di conseguenze immediate sembrerebbe far pensare a una loro assenza. Questo non si verifica se consideriamo l'operante come una classe più estesa. La relazione fra la descrizione della regola e la sua attualizzazione dipende da variabili che non sono specificate dalla regola stessa (Reese, 1989). Diverse ricerche sperimentali hanno analizzato le variabili che entrano in gioco nel comportamento istruito. Il miglior modo per studiare la relazione tra comportamento verbale e comportamento non verbale è di manipolarne uno e osservare come vari l'altro o stabilire delle corrispondenze fra comportamento verbale e comportamento non verbale e verificare se avviene un transfer a nuovi setting o a nuove classi di risposte (Catania, Matthews e Shimoff, 1982). I soggetti utilizzati in questi esperimenti sono stati in genere studenti universitari. La metodologia sperimentale adottata in questo tipo di ricerche, anche se non in maniera esclusiva (Etzel, 1987; Vaughan, 1989), è di solito volta a verificare gli effetti che un'istruzione verbale ha su un compito molto semplice: premere su un pulsante per ottenere punti che possono essere scambiati successivamente con denaro. Questo tipo di metodologia è stata scelta perché è in linea con Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali 37 i principi dell'analisi sperimentale del comportam~nto (Skinner, 1938) e perch~ consente un più facile raffronto fra la performance d1 un soggetto umano e quella d1 un animale, sottoposto alle stesse condizioni, e trarre eventuali conclusioni. La procedura sperimentale adottata rappresenta, tuttavia, anche un limite degli esperimenti: il comportamento dei soggetti verbalmente competenti non è univoco ai diversi programmi di rinforzo, come invece accade per le specie animali e per i sogg~tt~ non verbalmente competenti. Inoltre, l'uso esclusivo di queste procedure presta il Ùanco a critiche, soprattutto da parte cognitivista, basate sull'irrilevanza di queste condizioni sperimentali per la comprensione delle variabili che sono all'origine del comportamento umano. Il comportamento dei soggetti in questi esperimenti può essere controllato potenzialmente da due fonti: dalla relazione che esiste fra frequenza di pressione .e punteggio ottenuto o dalle istruzioni che il soggetto può riceve~e .C Cata~ia, Shimoff e Matthews, 1989). Le due variabili possono assumere carattensuche d1verse ed essere variamente combinate fra di loro, ciascuna può agire singolarmente o assieme all'altra. Le istruzioni possono variare dalle più semplici, che indicano genericamente con quali modalità è necessario rispondere alla situazione stimolo per incrementare il punteggio (per es., vedi Catania, Matthews e Shimoff, 1982), alle più complesse che descrivono con precisione il nesso fra frequenza di pressione e incremento del punteggio (per es., vedi Barone Galizia, 1983). Secondo Barone Galizia (1983), infatti, assumono particolare valore quegli esperimenti in cui le istruzioni non corrispondono alle espressioni delle contingenze, perché possono rivelare l'effetto delle rispettive variabili, istruzioni e contingenze, sulla performance del soggetto. Quando vengono applicati analoghi modelli di rinforzo il comportamento governato da regole sembra mostrare alcune differenze rispetto ai comportamenti osservati nel laboratorio animale. Negli studi con animali, il pattem di risposta a un modello a intervallo fisso (FI), in cui una risposta produce conseguenze solo se viene emessa dopo un preciso e costante periodo di tempo dalla comparsa della risposta precedente, presenta generalmente un tipico aspetto dentato (scalopped pattem). Bisogna considerare, tuttavia, che anche in questi studi è presente un'ampia variabilità. Negli esseri umani, nelle stesse condizioni sperimentali, possiamo osservare pattem di risposte ad alta frequenza, con·o senza una breve pausa post-rinforzo, oppure a bassa frequenza, con un'acceleraZione nell'emiss"ione di risposte che seguono il rinforzo (Harzem, Lowe e Bagshaw, 1978). D'altra parte, queste modalità di risposta non si osservano in individui che non hanno sviluppato il linguaggio (Bentall e Lowe, 1987; Bentall, Lowe e Beasty, 1985; Lowe, Beasty e Bentall, 1983; Vaughan, 1985) per cui esse sembrerebbero tipiche di esseri umani verbalmente competenti. Queste differenze, che harmo dato impulso a un ampio e importante filone di ricerca negli anni '80 e '90, con rilevanti riverberi sull'analisi del comportamento verbale e cognitivo umano, non sono sempre così radicali come sembrerebbe a prima vista. Anche negli animali è sufficiente variare alcune caratteristiche della situazione sperimentale per ottenere un'ampia variabilità all'interno delle risposte osservate al modello di rinforzo applicato. N elle succitate condizioni sperimentali il comportamento umano non sembrerebbe direttamente correlato agli effetti delle proprie conseguenze, mostrando invece una tendenza a uniformarsi a quanto descritto da una regola derivata dallo stesso soggetto dell'esperimento (Lowe, 1979) o fornita dallo sperimentatore (Catania, 38 r~ Capitolo l Matthews e Shimoff, 1982). Il soggetto continuerebbe a comportarsi come descritto nella regola, anche se tale comportamento non gli consente di massimizzare gli effetti delle conseguenze. In letteratura questa proprietà del comportamento istruito è stata definita insensibilità alle contingenze di rinforzo: il comportamento istruito sarebbe insensibile alle proprie conseguenze o sensibile indirettamente, attraverso la mediazione del comportamento verbale (Matthews, Catania e Shimoff, 1985; Shimoff, Catania, Matthews, 1981). Vuso del termine insensibilità è, in questo contesto, improprio anche se consolidato. Infatti, affermare che il comportamento sia insensibile alle proprie conseguenze contraddice lo strumento fondamentale dell'analisi funzionale del comportamento umano: la contingenza a tre termini. Le ragioni di queste modalità di risposta vanno ricercate in contesti e contingenze più ampie. D'altra parte, la proprietà del linguaggio di far diventare insensibile un comporta.rrle11to i§truito non deve stupire, perché rende possibile un certo numero di abilità tipicamente umane. Per esempio, un soldato chiamato a combattere in trincea, nonostante le condizioni avverse cui viene esposto, rimane ll dove una persona "normale" cercherebbe di fuggire, rispettando la consegna datagli dai superiori. Un ragazzo innamorato rimane sotto la pioggia, senza l'ombrello, ad aspettare la ragazza che gli aveva dato appuntamento, anche se è trascorso parecchio tempo dall'orario stabilito. Per incrementare la sensibilità alle contingenze sono state identificate almeno due procedure (Catania, Matthews, e Shimoff, 1982): l. omettere le istruzioni e modellare la risposta con procedure di shaping; 2. fornire istruzioni più elaborate che non specifichino soltanto il tipo di risposta da dare, ma offrano anche indicazioni sulle conseguenze sperimentali programmate (Catania, Matthews e Shimoff 1990). Catania (1985) ritiene che tale proprietà sia emersa nel corso dell'evoluzione, per consentire la sopravvivenza del gruppo e il superamento delle condizioni più avverse. Sono state formulate cinque ipotesi per spiegare l'insensibilità del comportamento istruito alle contingenze di rinforzo: l. l'insensibilità è una proprietà caratteristica e fondamentale del rule-govemed behavior (Catania, Matthews e Shimoff, 1982); 2. l'istruzione aggiungerebbe qualcosa (ancora da definire) che funziona da bypass delle ·contingenze. di rendendo il comportamento insensibile ·a esse (Hayes, 1986; Haye5, Brownstein, Haas e Greenway, 1986); 3. il comportamento verbale e non verbale dell'uomo è a tal punto sotto il controllo di programmi di rinforzo del tipo RI (random interval- intervallo casuale), da essere difficilmente controllabile dall'ambito sperimentale del laboratorio, per cui non esisterebbe una insensibilità di per sé, ma un effetto di abitudine ai progra~mi che ritardano il momento di erogazione del rinforzo (Weiner, 1983 ). I programmi utilizzati negli studi sperimentali favorirebbero la persistenza di comportamenti storia-correlati; 4. "seguire un'istruzione" è una classe di risposte che rindividuo apprende durante la sua storia di interazioni ambientali, per cui quando il comportamento non verbale dell'individuo è sotto il controllo di questa classe di operanti si evidenzierebbero i classici effetti di insensibilità (Barone Galizio, 1983 ); rinforzo i . ti.• ··~. ~ Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali 39 5. il comportamento governato da regole entra a far parte di una classe di risposte gerarchicamente superiori a quella del comportamento governato dalle contingenze. Le proprietà di operanti interconnessi sono ancora poco note, ma potrebbe esserci quella di trasferire il controllo del comportamento a operanti più ampi nel tempo e nello spazio (Catania, 1995). Riprendendo Zettle e Hayes (1982), Cerutti (1989) ha ipotizzàto che il comportamento governato da regole sia sotto il controllo di due contingenze: le conseguenze dirette che derivano dal mettere o dal non mettere in ai:to il comportamento istruito ~le conseguenze di natura sociale mediate da chi ha dato l'istruzione. Egli ha introdotto il termine di conseguem;e collaterali per indicare quegli eventi che accompagnano le conseguenze di tipo socialee il cui effetto nel determinare la forma che assume la risJ:lOSta è minimo, Vagonismo o l'antagonismo fra queste due forme di conseguenze. potrebbe giustificare alcuni degli effetti che rientrano sotto il termine improprio di insensibilità. Per riassumere, i risultati degli studi sul "comportamento governato da regole" condotti nelle più svariate condizioni sperimentali dimostrano che le istruzioni hanno almeno la stessa capacità delle conseguenze di controllare la performance di un individuo. Le istruzioni che riguardano la modalità di emissione di una risposta avviano prontamente tale comportamento ma, a meno che le conseguenze non siano particolarmente rilevanti (per es., la punizione), producono una persistente tendenza a rispondere che non viene influenzata dalle conseguenze. Se l'istruzione descrive accuratamente la relazione fra comportamento e conseguenze, l'andamento della frequenza delle risposte è in linea con ciò che è stato previsto dalla condizione sperimentale. Al contrario, false istruzioni hanno il potere di interferire .con il controllo esercitato dalle contingenze sperimentali in atto, al punto che la risposta segue più la struttura prescritta che quella programmata. Questa linea di ricerca ha notevoli implicazioni. Innanzitutto, estende all'uomo l'analisi sperimentale del comportamento condotta in laboratorio con soggetti non umani e viene ampliata fino a includere quegli aspetti tipicamente umani cui contribuisce il comportamento verbale. Si sa che l'uomo parla a se stesso e che questo parlare può determinare qualche volta la forma della risposta o influenzare la sua probabilità di comparsa (Slqnner, 1969).:Rievocare un'ist:nizione o parlare a se stessi sono variabili sperimentali che non possono essere ignorate: è necessario, tuttàvia, analizzare le modalità e le condizioni che fanno sl che in certe occasioni una regola venga seguita e in altre no; quali siano, cioè, i presupposti della corrispondenza fra dire e fare (Matthews, Shimoff e Catania, 1987). La scoperta delle variabili implicate può chiarire alcuni aspetti sulle strategie di risoluzione di problemi, sulla memorizzazione, sull'organizzazione, sulla categorizzazione e potrà aprire nuove strade ad applicazioni in campo educativo o clinico. Benché in letteratura siano stati, almeno fino a oggi, considerati antinomici, il comportamento governato da regole non deve essere inteso in contrapposizione al comportamento governato dalle contingenze: la prima espressione si riferisce a un tipo di comportamento sotto controllo di uno stimolo discriminativo, in questo caso verbale, la seconda si riferisce a un processo graduale di modificazione del comportamento attraverso le proprie conseguenze. Per evitare questa confusione, recentemen- Capitolo I 40 te Catania e coli. (1998) hanno abbandonato l'uso della distinzione fra comportamento governato da regole o modificato dalle contingenze, in favore di una distinzione fra comportamento verbalmente e non-verbalmente governato. Questo non deve suonare come mera e sterile disquisizione accademica in cui un'espressione ne sostituisce un'altra. Dove la distinzione tra comportamento governato da regole e modellato dalle contingenze assume importanza è nella prima istanza di comportamento. Quando il comportamento si verifica per la prima volta ed è "causato" da una regola, allora possiamo chiamarlo comportamento governato da regole. Quando la prima istanza del comportamento compare a seguito di graduali e progressive modifiche nelle contingenze di rinforzo, allora viene definito modellato dalle contingenze. Dopo le prime istanze, tuttavia, le contingenze per continuare a rispondere in un caso o nell'altro possono provenire dalla comunità verbale o dall'ambiente fisico o da entrambi. problema; per anni, è stato affrontato come un aspetto distintivo e caratterizzante il comportamento complesso. In realtà, c'è da chiedersi quanto sia utile e necessario introdurre nuovi "costrutti" esplicativi. Un modo per evitare questo dualismo è considerare il comportamento governato da regole non come un concetto tecnico dell'analisi del comportamento, ma come una descrizione dell'insieme di osservazioni sperimentali condotte secondo quel tipo di metodologia di ricerca. n Processi autocliti.ci Per consentire lo sviluppo e il mantenimento di comportamenti verbali complessi è necessario l'intervento di processi che plasmino il "materiale verbale grezzo", cioè le singole risposte verbali primarie, e che permettano la loro discriminazione e organizzazione nelle forme più opportune. Questi processi di organizzazione e trasformazione prendono il nome di autoclitici, termine derivato dal greco "rivolto a se stesso". Alcuni di questi processi corrispondono, senza alcun dubbio, a quello che certi autori definiscono livello "cognitivo" e "metacognitivo". Come abbiamo più ampiamente illustrato all'inizio di questo capitolo, l'approccio cognitivista postula l'esistenza di questi processi covert e assegna a essi un ruolo causale, ritenendo che siano in grado di spiegare il comportamento umano osservato. L'analisi del comportamento non assegna, invece, ai comportamenti covert alcun ruolo specifico e li tratta al pari di quelli overt: non è la differente possibilità di accesso a essi che favorisce o impedisce l'indagine scientifica né, tanto meno, un tipo di fenomeno deve necessariamente determinare le caratteristiche specifiche della propria interpretazione (Skinner, 1953, 1957). In ultima analisi, è sempre l'ambiente in cui vive un individuo che causa i cambiamenti negli eventi covert ed è a essi che bisogna rifarsi per la comprensione del loro sviluppo e della loro funzione (Hayes e Brownstein, 1986; Skinner, 1989). I cosiddetti termini "mentali" sono dei tact che vengono emessi sotto il controllo di determinate condizioni ambientali. Compito di un'analisi sperimentale del comportamento è lo studio delle circostanze che portano all'emissione di questi termini e dei fenomeni che essi etichettano. Traiamo due esempi dal laboratorio animale che ci consentono di chiarire meglio questo punto evitando di cadere nella tentazione, che sorge osservando il comporta- Le re/azioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali 41 mento umano, di insinuare l'esistenza di processi di mediazione. Lattai (1975) ha ideato una procedura sperimentale in cui lo stimolo discriminativo cui un piccione doveva rispondere era il proprio comportamento. Su una parete della Skinner box tre stimoli in linea potevano essere illuminati. Quello centrale era sempre giallo, quelli laterali, alternativamente, rosso e verde. Il primo a illuminarsi era quello giallo. La procedura sperimentale prevedeva due condizioni, presentate con uguale frequenza, in cui due distinti tipi di comportamento venivano rinforzati. Nella prima condizione veniva rinforzato il comportamento di beccare il tasto giallo dopo almeno 10 s dalla precedente beccata. Nella seconda condizione veniva rinforzato qualsiasi comportamento che compariva dopo un periodo di l O s senza emissione di alcun comportamento di beccare. Nella fase successiva, entrava in gioco la discriminazione condizionale: veniva spento il tasto giallo e venivano accesi quello rosso e quello verde. Se il rinforzo era stato precedentemente ottenuto nella prima condizione (beccare il tasto giallo dopo almeno lO s), veniva rinforzata la scelta del tasto rosso, se il comportamento seguiva la seconda condizione veniva invece rinforzata la scelta del tasto verde. Alla fine di una fase di adeguato apprendimento, il comportamento dell'animale divenne lo stimolo discriminativo per la risposta nella fase di discriminazione condizionale. Shimp (1983) utilizzò una procedura molto simile, variando l'intervallo di tempo che intercorreva fra due risposte sul tasto centrale. Due erano le condizioni sperimentali: intervallo breve- il rinforzo seguiva due risposte separate da 3-4 s- intervallo lungo - il rinforzo seguiva due risposte separate da 9-12 s. Di tanto in tanto, una risposta sul tasto centrale ne produceva l'oscuramento e l'accensione dei due laterali, dando inizio alla procedura di discriminazione condizionale. Se la risposta immediatamente precedente era caduta nell'intervallo breve, veniva rinforzata la scelta del tasto verde; se la risposta era caduta nell'intervallo lungo, veniva rinforzata la scelta del tasto rosso. Alla fine del training le risposte del piccione superavano largamente la casualità: la pausa fra due risposte era diventata uno stimolo discriminativo per la risposta successiva. . Questi due esperimenti dimostrano come sia possibile che alcuni elementi del comportamento di un individuo siano sotto il controllo discriminativo di altri elementi del comportamento dello· stesso individuo. Gli aspetti che gli studiosi di analisi del comportamento chiamano "autoclitici'' sono basati proprio sulle discriminazioni che ciascun individuo fa del proprio comportamento. La discriminazione del proprio comportamento è alla base di verbalizzazioni che riguardano stati interni, sensazioni, e tutte quelle condizioni che vengono mcluse nel termine "èonsapevolezza". Dato che il significato delle parole risiede nelle relazioni che esistono fra le circostanze che portano alla loro emissione, possiamo pensare che l'esperimento di Shimp (1983) dimostri una sorta di linguaggio rudimentale: il beccare il pulsante verde può essere tradotto come "Ho appena beccato con una frequenza elevata", il rosso come "Ho appena beccato con una bassa frequenza". Questo non vuol dire che l'animale abbia appreso a parlare. L'esempio dimostra come sia possibile studiare sperimentalmente, anche con animali, le relazioni funzionali che legano le condizioni ambientali e l'emissione di determinate verbalizzazioni (Catania, 1981; Skinner, 1957). Per riprendere la classificazione degli operanti verbali elaborata da Skinner (1957), diremmo che la consapevolezza è un tact emesso sotto il controllo del comportamento overt o covert di un individuo (Hineline e Wanchisen, 1989). 42 Capitolo l Ritomando, per un attimo, al comportamento govemato da regole, vediamo come l'approccio cognitivista e quello operante divergano completamente su questo punto. Ribadiamo, infatti, che la "consapevolezza" di una regola non porta necessariamente un individuo alla sua applicazione. Un individuo può descrivere la relazione che lega due o più eventi in forma di regola - emette un tact sotto il controllo discriminativo di questa relazione- e, per definizione, ne è "consapevole". Tuttavia il suo comportamento può essere sotto il controllo di altri eventi e, non necessariamente, della sua verbalizzazione. La verbalizzazione di una regola può essere sotto il controllo di alcuni eventi e il comportamento non verbale sotto il controllo di altri che possono essere diver:si dai primi (Hineline e Wanchisen, 1989). Esplicitare una regola può essere un paradossale effetto collaterale delle reali condizioni ambientali che controllano il comportamento individuale. Un esempio sperimentale lo troviamo in Bruner e Revusky (1961) che studiarono il comportamento di un gruppo di soggetti adulti. Essi venivano posti davanti a una tastiera con quattro pulsanti, uno solo dei quali, se premuto con una data frequenza, portava all'incremento di un contatore, dove ogni punto conquistato equivaleva a 5 cent. Alla fine dell'esperimento i soggetti rispondevano in maniera adeguata alle richieste del compito: due risposte consecutive allo stesso tasto entro un determinato limite di tempo, che variava nelle diverse fasi dell'esperimento. Tuttavia, il comportamento dei soggetti era diverso per quanto riguardava i tasti non funzionanti. I soggetti pigiavano i rimanenti tasti, che non avevano alcuna conseguenza, secondo una regola che erano in grado di verbalizzare alla fine dell'esperimento: vi era una dissociazione fra ciò che i soggetti dicevano e facevano e ciò che, in realtà, produceva le conseguenze. Il comportamento verbale e non verbale può essere, quindi, un effetto collaterale di una determinata classe di comportamenti a esso congiunta. Se la regola autogenerata o dettata da altri govema il comportamento di un individuo essa è parte di ciò che Hineline e Wanchisen (1989) definiscono operante descrittivo; se invece è un effetto collaterale, essa entra a far parte dell'operante funzionale. La distinzione fra queste due classi può essere sottoposta a indagine empirica. Lo studio sperimentale dei processi autoclitici si presenta perciò arduo e non permette, allo stato attuale delle conoscenze, una definizione precisa degli eventi coinvolti; di conseguenza, l'uso generalizzato e a volte generico del termine risente della conoscenza parziale attualmente posseduta. L'aggettivo può essere applicato, come abbiamo già visto in precedenza, per distinguere particolari classi di comportamento verbale in cui il controllo discriminativo è esercitato da talune condizioni relative' alla risposta verbale primaria, come nel caso in cui si emettono frasi come "Penso che... ", "Mi pare che... " e così via. La frase "Mi pare che il pranzo sia pronto" non potrebbe essere emessa a meno che chi parla non sia in grado di discriminare le condizioni in atto rispetto a quelle che portano all'emissione della frase "Il pranzo è pronto". Altre volte, i processi autoclitici generano comportamenti verbali così complessi che è impossibile identificare nelle varie parti singole risposte autoclitiche. Processi autoclitici sono alla base delle relazioni grammaticali, definibili non tanto in base alle risposte, ma alle caratteristiche strutturali che emergono dalla combinazione delle risposte. Stemmer (1990) ha prospettato un'analisi dello sviluppo delle relazioni grammaticali, della produttività e del passaggio dalla forma attiva del verbo alla passiva, utiliz- Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali 43 zando il paradigma della contingenza a tre termini. Egli ha dimostrato che il bambino apprende le strutture grammaticali con l'aiuto di tre contingenze che possono sovrapporsi: 1. le contingenze in cui si apprendono le espressioni che indicano relazione e le modalità in cui esse si presentano; 2. le contingenze in cui si apprende in che modo queste espressioni diventano relazionali, cioè il modo in cui acquisiscono le loro proprietà funzionali; 3. le contingenze che danno origine alle generalizzazioni grammaticali che permettono le trasformazioni di strutture determinate dalle espressioni relazionali in altre strutture. I processi autoclitici sono alla base della comprensione. Il comportamento di chi ascolta può essere controllato da un'istruzione verbale, sia esplicitata da qualcun altro sia dallo stesso individuo. Dal punto di vista dell'analisi funzionale, dato che le sorgenti di controllo sono diverse, diverse sono pure le relazioni e le classi cui appartengono le risposte. La discriminazione (autoclitica) delle fonti di controllo può essere alla base del comportamento che viene comunemente definito coi termini di coscienza o consapevolezza. Allo stesso modo può essere intesa la discriminazione del proprio comportamento, verbale o non verbale, rispetto ad alcune condizioni ambientali che portano ad affermazioni sulla sua intenzionalità (Catania, 1988). Processi autoclitici sono evidenziabili anche nel comportamento verbale che assume una forma sequenziale, come quando si possono raccontare storie o episodi che ci hanno visti coinvolti. Emerge in questi comportamenti una corrispondenza arbitraria fra le caratteristiche degli eventi stimolo (l'episodio accaduto) e la forma che assume la risposta (per es., l'enfatizzazione di alcuni particolari o di stati d'animo). La struttura della risposta dipende dal modo in cui l'organizzazione degli stimoli si sovrappone a quella delle risposte (Catania, 1980). In esperimenti di comprensione di storie, per esempio, notiamo come l'enfatizzazione di certi aspetti, come l'organizzazione delle sequenze, portano alla produzione di diverse risposte verbali. Allo stesso modo, esperimenti sulla lettura dimostrano che l'organizzazione del testo in particolari segmenti controlla in maniera più appropriata il comportamento di "comprensione" (vedi, per es., Kirby e Gordon, 1988). La struttura profonda è perciò da ricercarsi nel modo in cui è organizzato l'ambiente e non nell'organismo. Catania (1980) ritiene che siano le autoclitiche, iprocessi che conducono alle più sottili discriminazioni sul proprio comportamento, e non la struttura grammaticale, l'aspetto caratteristico del linguaggio. Se due organismi sono verbalmente competenti, uno dei due può dare istruzioni per modificare il comportamento verbale e non verbale dell'altro. Lo scambio dei ruoli rientra nelle relazioni di equivalenza. Seguire le istruzioni rientra anche nello studio dei processi autoclitici. RIFLESSIONI CRITICHE FINALI L'analisi del comportameQ!_Q.Yerb~le di Skinner si basa s~91).Cetto diP.Q(!tante, che sfòrtUìlatamefireestato spesso fraiÌltesoancne-perd:lefo stesso Skinner (1953;-1:95?;-1989) lo ha usato in modi diversi. Vi sono tre caratteristiche critiche che definiscono un operante: 44 · Capitolo l L un operante è una relazione bidirezionale che i,mpl~orn_porramento e l~ -'-§..u.e-c; 0 nsegu.eme: il sg.mp_ortan:ten.t:Q....h~ un effetto sull ambtente che, a sua ·- ··----~---·--·-····-·· -·--·- - = volta lo influenza· · 2. uilo~erairt;;è"un; classe di risposte. Anche se gli scienziati desiderano predire un singolo evento a dimostrazione che le variabili responsabili sono state correttamente identificate, essi ne misurano sempre ripetuti esempi poiché raramente uno solo è una sufficiente dimostrazione di previsione o controllo (post-visione). Quando questi esempi sono raggruppati irlsieme sulla base dei loro effetti sull'ambiente, formano una classe chiamata operante. Inoltre, gli scienziati basano le proprie previsioni su un'analisi di una classe di eventi simili che si sono verificati m precedenza. È praticamente impossibile costruire un'analisi sulla base di singoli esempi; 3. la classe di risposte può essere compresa solo irl termini di probabilità. La probabilità descrive la forza di una classe di risposte rispetto ad altre classi: nell'accezione di Skirmer, essa consiste nella probabilità osservata di una classe di risposte. Così, unendo la proprietà della probabilità alla proprietà della classe, possiamo vedere che l'operante descrive una relazione osservata; la relazione fra comportamento y e conseguenza x è la probabilità osservata di una classe di comportamenti rispetto ad altre classi misurate. Questa relazione osservata è usata per fare previsioni e per misurare l'adeguatezza di queste ultime. Le difficoltà che irlsorgono quando si esamirla l'elaborazione del concetto di operante nei lavori di Skirmer sta nell'ambiguità delle tre caratteristiche menzionate. Per esempio, la descrizione della bidirezionalità nella relazione fra comportamento e conseguenze è olistica e trova le sue radici nella teoria del campo, m particolare negli scritti di Kantor (1959). La maggior parte delle procedure sperimentali m cui le relazioni operanti sono state mdagate, tuttavia, sono unidirezionali. Il comportamento è considerato la variabile dipendente e le conseguenze o eventi ambientali antecedenti sono manipolati come variabili indipendenti. Gli analisti del comportamento harmo manipolato qualche volta i comportamenti per osservare i cambiamenti nell'ambiente, per esempio quando harmo considerato il comportamento verbale e quello sociale i cui ambienti rilevanti sono rappresentati dal comportamento di un altro individuo. Ma anche in questo caso, il comportamento è stato considerato come un evento ambientale (che è una variabile mdipendente) rispetto al comportamento di un altro mdividuo (la variabile dipendente): m altre parole, una relazione mversa ma irl ogni caso unidirezionale. Questa discrepartza fra le descrizioni teoriche bidirezionali o listiche dell'oggetto e le descrizioni sperimentali unidirezionali crea un'mcongruenza che dà adito a fraintendimenti. Tuttavia, questo non è un problema solo per l'artalisi del comportamento e per la psicologia in generale perché esistono esempi in altre discipline (per es., la medicina) che si rifarmo a una visione olistica e .procedono attraverso manipolazioni sperimentali meccaniche. Nel tentativo di chiarire il concetto di operante, alcuni analisti del comportamento harmo ampliato l'analisi di Skirmer. Catania (1973) e Hmeline e Wanchisen (1989) harmo identificato un numero di relazioni che harmo defirllto operanti. Catania ( 1973) ha descritto tre modi m cui il termirle operante è stato usato: per descrivere una contmgenza, una distribuzione di risposta, e la relazione di probabilità tra distribuzione di risposta e conseguenze. Il termme contingenza si riferisce a una Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali 45 classe di risposte definita dalla produzione di una conseguenza Se una risposta produce una conseguenza allora essa fa parte di una classe di operanti. Per distribuzione della risposta si irltende la classe di risposte prodotta da una conseguenza. Quando una conseguenza compare naturalmente o è presentata dallo sperimentatore, l'irlsieme delle risposte osservate è considerato un operante. La relazione di probabilità tra distribuzione di risposta e conseguenze si riferisce alla correlazione fra la contingenza e le relazioni della distribuzione di risposta: per esempio, quando si mostra che un irlsieme di comportamenti è correlato a un dato irlsieme di conseguenze. Hineline e Wanchisen (1989) hanno dato un altro nome alla relazione di contingenza e alla distribuzione di risposta chiamandole, rispettivamente, operante descrittivo e operante funzionale. Il concetto di operante descrittivo è usato sia teoreticamente - per descrivere specifici effetti ambientali - sia sperimentalmente - per descrivere come viene defirlita la variabile dipendente (comportamento di interesse). Il concetto di operante funzionale è riservato ai risultati di quelle manipolazioni sperimentali irl cui è stato dimostrato che una classe di comportamenti è modificabile da una conseguenza. Tali chiarimenti non harmo tuttavia eliminato le discrepartze o i problemi che rendono difficile la comprensione dell'operante. Al di fuori dell'ambito comportamentale, i framtendimenti sul termine harmo condotto a critiche semplicistiche. Per esempio Anderson (1980), nelle sue affermazioni critiche nei confronti del comportamentismo, dipinge l'analisi del comportamento come una scienza che trascura gli eventi interrli e il controllo contestuale, e non prende irl considerazione unità di analisi più ampie di un singolo stimolo. Secondo Reese (1989), tale caratterizzazione palesemente errata nasce da un totale fraintendimento del concetto di operante. Anderson (1980) non ha considerato l'operante come una classe di risposte che può variare per ampiezza e generalità e, quindi, non ha compreso che un operante può contenere una sequenza di irlterazioni comportamento-ambiente e che non è usato per descrivere risposte unitarie. Ipersemplificando l'oggetto dell'analisi del comportamento, Anderson ha posto dei limiti alle classi di comportamento che la visione comportamentale può invece spiegare. Il medesimo errore viene evidenziato da MacCorquodale (1970) nella critica di Chomsky (1959) a Verbal behavior, dove vengono addirittura confusi i concetti di condizionamento operante e rispondente e il modo in cui Skinner usa il termme probabilità. Alcune confusioni possono essere ritrovate anche all'irlterno dell'ambito comportamentale, per esempio esammando la letteratura ·sulle differenze fra· comportamento governato da regole e comportamento modellato dalle contmgenze. Molti dei confronti che sono stati fatti irl questa letteratura harmo riguardato una classe di operanti - il rule foUowing - e un gruppo di casi che non formano Un.a classe - il comportamento modellato dalle contingenze 0oyce e Chase, 1990). Specificamente, molti studi harmo confrontato attività di risposta ancora irl transizione (comportamento modellato dalle contirlgenze) con un comportamento ormai stabile (comportamento governato da regole). Tuttavia, Joyce e Chase harmo sottolmeato che se si confrontano una risposta stabile e un comportamento in transizione, si possono facilmente fraintendere i risultati (vedi anche Sidman, 1960): quel che è peggio è che si può confrontare una classe di risposte che è stata già stabilita con una che non lo è ancora stata. Un altro problema è l'ampiezza della classe: il rule foUowing è una classe molto ampia di comportamenti ed è concettualizzata come una classe di livello superiore 46 Capitolo l (Catania, 1991). Se tutto va bene, si viene a confrontare un livello di classe di risposta, come semplici esempi di pressione di un pulsante (comportamento modellato dalle contingenze), con una classe più ampia, più generale, di rispondenti (comportamento governato da regole). Come evidenziano le tipiche curve di acquisizione, il comportamento descritto come modellato dalle contingenze abitualmente tarda a stabilizzarsi, il che indica che il soggetto apprende la classe di risposte durante l'esperimento. Invece, i dati relativi all'acquisizione di un comportamento governato da regole, spesso, si stabilizzano molto velocemente indicando che esso è un comportamento che fa parte di una classe precedentemente acquisita (Joyce, 1990). Cosl, ogni esempio misurato di pressione di un pulsante nelle condizioni di modellaggio da parte della contingenza fa parte dell'operante specifico "premere il pulsante", mentre ogni esempio di pressione nelle condizioni con regola è un membro di una classe generale di rule following. Come avrebbe poco senso per uno zoologo sottolineare che ci sono fondamentali differenze fra uno scricciolo e un uccello, ha poco senso per un'analista del comportamento affermare che esistono differenze fondamentali fra la pressione di un pulsante come classe di risposte e la pressione di un pulsante come esempio di rule following. Un altro modo di affrontare tale questione è quello di chiamare in causa la differenza fra l'acquisizione o selezione di nuove classi di risposta e il mantenimento delle classi esistenti. Poniamo, per esempio, che uno studente di college acquisisca la risposta di premere un pulsante quaranta volte all'interno di un esperimento in cui gli viene chiesto di fare ciò per guadagnare punti. Sembra ragionevole considerare nuova l'acquisizione di questa risposta dal momento che pochi studenti di college hanno schiacciato pulsanti quaranta volte per ricevere punti. Di fatto, questo è un esempio di una classe di risposte "seguire esplicite istruzioni da parte di un'autorità" per guadagnare rinforzatori generalizzati. Noi inferiamo che questo sia un esempio di una classe esistente di comportamenti, poiché abitualmente non c'è alcuna curva di acquisizione (Joyce e Chase, 1990). Reese (1989) sostiene che la distinzione fra comportamento governato da regole e comportamento modellato dalle contingenze non è una distinzione pura, poiché il comportamento governato da regole è acquisito attraverso il modellaggio da parte di contingenze e per questo motivo, a livello di éJ.Cquisizione, non c'è alcuna differenza. Inoltre, Reese invita allo studio ontogenetico del controllo da parte delle regole (rule govemance) e sottolinea l'importanza di studiarne l'acquisizione e lo sviluppo. Tornando al concetto di operante, riteniamo che esso rivesta un'importanza centrale per il problema. La letteratura sul rule govemance ha stimolato molto l'interesse sul comportamento verbale; la sua base empirica permette di sottolineare che il comportamento governato da regole deve essere attentamente studiato per comprendere il comportamento umano e che il concetto di operante non è stato applicato sistematicamente per una definizione delle sue variabili dipendenti. Questa critica va anche più in profondità. La letteratura sul comportamento governato da regole viene usata per sostenere che questo comportamento e il comportamento dell'ascoltatore sono comportamenti verbali. Tale affermazione comporta comunque due problemi. Innanzitutto, non si può includere tutto il comporta- Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali 47 mento dell'ascoltatore nella categoria generale degli operanti verbali. Quando lo si fa, il modello operante di base e la definizione di comportamento verbale diventano confusi e richiedono una completa riorganizzazione teorica. Forse tale riesame è necessario, ma prima di tutto dovremmo stabilire se il concetto di operante - inten· diamo un corretto concetto di operante ....: possa essere ancora utile. In secondo luogo, l'affermazione che il comportamento governato da regole debba essere studiato per comprendere il comportamento umano si basa sui risultati di studi che sembrano essere viziati dalla confusione relativa alla definizione di operante. Nell'analisi delle relazioni verbàli ~che consistono nel comportamento simultaneo del parlante e dell'ascbltatore- ci sono due differenti punti di vista. Il primo è quello di Skinner. L'analisi skinneriana si focalizza sul comportamento del parlante in quanto ritenuto sempre verbale, al contrario di quello dell'ascoltatore. Inoltre, anche quei comportamenti dell'ascoltatore che sono verbali (pensiero) possono essere analizzati come comportamenti del parlante, cioè possono essere considerati sotto il controllo delle stesse variabili che controllano il comportamento del parlante. Secondo l'analisi di Skinner uno stimolo verbale è il risultato del comportamento di un individuo mediato da quello di un altro; questo comportamento costituisce una risposta esplicitamente condizionata a tal fine dalla comunità verbale. Si può aggiungere alla definizione di Skinner che anche l'ascoltatore è stato condizionato a questi stimoli dai cambiamenti dell'ambiente non sociale. Un punto di vista alternativo è quello di Hayes e Hayes (1989). Secondo gli autori il comportamento dell'ascoltatore è verbale e, quindi, se gli analisti del comportamento vogliono comprendere il comportamento verbale, deve essere attentamente studiato. Infatti, Hayes e Hayes sottolineano che è meglio studiare il linguaggio attraverso il comportamento dell'ascoltatore e che è più facile formulare unità funzionali di comportamento di quest'ultimo, poiché si può vedere ciò che l'ascoltatore stesso fa quando viene data un'istruzione. Ciò, comunque, può essere realizzato anche prendendo in considerazione il comportamento del parlante. Per esempio, si può vedere ciò che il parlante dice quando sono programmate specifiche conseguenze per il suo comportamento. In ogni caso, non siamo ancora in grado di stabilire se le interazioni verbali possano essere meglio comprese attraverso ,lo studio delle variabili che influenzano il comportamento del parlante o, piuttosto, dell'ascoltatore. f'er questo occorrono infatti ulteriori indagini sugli operanti, relativi sia al parlante sia all'ascoltatore. Inoltre, poiché l'operante descrive un'interazione bidirezionale ed entrambe le componenti delle interazioni nell'ambito degli operanti verbali sono comportamenti, il comportamento del parlante e quello dell'ascoltatore devono essere entrambi oggetto di studio. Il problema maggiore è rappresentato, comunque, dalle confusioni che si creano quando si tenta di definire il comportamento dell'ascoltatore come un operante verbale. Tuttavia, le relazioni verbali non sempre rientrano nella categoria dell'operante verbale. Definire l'oggetto dell'analisi del còmportamento come lo studio degli operanti implica la possibilità di classificare il comportamento secondo i differenti tipi di effetti sull'ambiente. In riferimento a ciò, Catania (1973) e Hineline e Wanchisen (1989) parlano appunto di operante descrittivo contrapposto a operante funzionale, come elemento di analisi di ciò che viene osservato nell'ambito di esperimenti o applicazioni. 48 Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali Capitolo l Una classificazione incompleta degli operanti descrittivi è riportata nello schema della figura 1.4. Non tenteremo di definire ognuna di queste classi ma solo di distinguere fra operanti sociali e non sociali, e fra operanti sociali verbali e sociali non verbali. La caratteristica definiente gli operanti sociali è che essi producono una conseguenza da parte di un altro individuo (Keller e Schoenfeld, 1950; Skinner, 1953). Le caratteristiche definienti gli operanti verbali sono quelle su cui si è meno concordi, sebbene quasi tutti riconoscano che un operante verbale è l'esempio principale di operante sociale per il fatto che produce conseguenze da parte di altri individui. Forse, la caratteristica che distingue gli operanti verbali è che i membri di ogni classe sono arbitrariamente interrelati l'un l'altro, cioè la loro relazione non può essere definita nei termini di dimensioni fisiche come ampiezza, intensità o forma. Come si può nòtare da questa tipologia, il comportamento del parlante e il comportamento dell'ascoltatore sono stati inseriti nella categoria degli operanti verbali. Mentre il comportamento del parlante è sempre definito in base al suo effetto su un altro individuo, lo stesso non accade per il comportamento dell'ascoltatore. Alcuni OPERANTI OPERANTI SOCIAU OPERANTI SOCIALI NON VERBALI OPERANTI VERBALI OPERANTI DEL PARLANTE CONSEGUENZE GENERALIZZATE INTRAVERBALI DUPLICI CODICI TACT ESTESI ASTRATTI TACT AUTOCLITICI CONSEGUENZE SPECIFICHE MANO MANO AUTOCUTICI OPERANTI DEU'ASCOLTATORE COMPORTAMENTO SEMPLICE DELLASCOLTATORE COMPORTAMENTO GOVERNATO DA REGOLE COME DEFINITO DALLE CONSEGUENZE PRODOTTE 49 comportamenti dell'ascoltatore - come, per esempio, il tipo di comportamento governato da regole che Zettle e Hayes (1982) hanno definito track 4 - sono definiti in base al cambiamento nell'ambiente non verbale o fisico. Per il comportamento dell'ascoltatore che ha le caratteristiche del track, non sono critici i cambiamenti nel comportamento dei parlanti o di qualsiasi altro membro della società, ma i cambiamenti che si verificano nell'ambiente fisico. Quindi, questi tipi di comportamento dell'ascoltatore non sono operanti verbali, infatti non sono operanti sociali. Essi sono implicati nelle interazioni sociali e verbali, ma non hanno come conseguenza critica quella di produrre cambiamenti nel comportamento di altri individui. Ciò corrobora quanto afferma Skinner (1957), quando sottolinea che la sua analisi non riguarda l'ascoltatore poiché il comportamento di quest'ultimo non è sempre verbale. . . . Skinner (1957), inoltre, sostiene che quando il comportamento dell'ascoltatore è verbale, può essere compreso ricorrendo al comportamento del parlante. Quindi, se studiamo le variabili che influenzano gli operanti del parlante, comprenderemo gli aspetti verbali del comportamento dell'ascoltatore. Ciò porta a considerare i processi di comprensione, significato e referenza in base alle variabili che influenzano le classi del comportamento del parlante e alcuni tipi di comportamento dell'ascoltatore. Infatti, Skinner sostiene esplicitamente che il comportamento dell'ascoltatore somiglia al comportamento del parlante per il fatto che l'ascoltatore "capisce" ciò che il parlante dice. Per comprendere come Skinner possa spiegare il comportamento verbale dell'ascoltatore ci si deve riferire alla tipologia degli operanti verbali da lui proposta. Skinner (1957) discute su differenti tipi di comportamento intraverbale- in seguito ulteriormente chiariti da altri - in cui lo stimolo è verbale e il comportamento produce cambiamenti nel comportamento di un altro individuo. Se comprendiamo le variabili che producono il comportamento intraverbale, allora comprenderemo le variabili responsabili del comportamento verbale dell'ascoltatore. Il problema che si pone con l'analisi proposta da Skinner, e in questo concordiamo con Hayes e Hayes, è che Skinner considera le variabili discriminative che influenzano il comportamento dell'ascoltatore come non differenti da quelle che influenzano gli altri tipi di comportamento. Non è ancora chiaro se gli stimoli prodotti da un parlante (stimoli verbali) siano di fatto simili o differenti da quelli prodotti dall'ambiente fisico. Le caratteristiche di arbitrarietà degli stimoli verbali, e probabilmente altre come la bidirezionalità della stimolazione verbale, suggeriscono che sono necessari ulteriori studi prima di poter giungere a una conclusione. Infine, lo studio del comportamento dell'ascoltatore, che è un operante verbale, può non essere sufficiente per comprendere il comportamento dell'ascoltatore, che invece non è un operante verbale. DAL COMPORTAMENTO DELLASCOLTATORE CAMBIAMENTI NEL COMPORTAMENTO DI ALTRI INDIVIDUI (PL\') CAMBIAMENTI NELLAMBIENTE NON SOCIALE ( TRAC/<) OPERANTI NON SOCIALI NON OPERANTI Figura 1.4 Una classificazione incompleta degli operanti. Zettle e Hayes parlano di regole come descrizioni di relazioni fra eventi. Essi distinguono due tipi di operanti in cui il comportamento di seguire una regola viene mantenuto da due diverse conseguenze: nel primo ·caso, chiamato tracking, le conseguenze sono quelle direttamente prodotte dall'azione (seguire le istruzioni per il funzionamento di un elettrodomestico o seguire un itinerario sulla base di un'indicazione verbale); nel secondo caso, denominato pliance, la conseguenza si sposta sul piano sociale e il seguire la regola può essere indipendente dalle conseguenze dirette dell'azione (non accettare inviti o regali da sconosciuti). 4 50 Capitolo l In sintesi, Skinner suggerisce che lo studio dell'ascoltatore non è necessario perché il suo comportamento non è sempre verbale e quando lo è può essere spiegato mediante le stesse variabili usate per spiegare il comportamento del parlante. Il comportamento dell'ascoltatore non è sempre verbale poiché le sue conseguenze critiche non sono necessariamente rappresentate da cambiamenti nel comportamento di un altro individuo. Quando il comportamento dell'ascoltatore è verbale, può essere incluso in un'analisi degli intraverbali. L'intraverbale, tuttavia, richiede ulteriori analisi empiriche che potrebbero essere condotte studiando il comportamento dell'ascoltatore con le metodologie che sono state usate nella letteratura sul comportamento governato da regole. Se il concetto di operante viene considerato di base nel definire il comportamento, allora è importante sviluppare altri concetti in relazione all'operante. Nella letteratura sul comportamento verbale ciò o non è stato fatto del tutto o l'operante è stato sottovalutato in modo da concentrare que~to aspetto del modello analitico comportamentale esclusivamente sulla descrizione degli antecedenti di controllo. Questo accade sia nell'analisi di Skinner sia nelle spiegazioni contemporanee. All'interno del sistema di Skinner e di molte sue estensioni, l'enfasi è stata posta sui tipi di variabili antecedenti che controllano differenti tipi di operanti verbali. Quando distingue vari tipi di operanti verbali, Skinner discute le differenze fra conseguenze generalizzate e specifiche e poi passa a descrivere le variabili antecedenti di controllo usate per classificare la risposta verbale. Questo porta alla classificazione presentata nello schema precedente in cui i termini "generalizzato" e "specifico" vengono usati per definire differenti operanti verbali, senza precisare come questi concetti differiscano e se i tipi di conseguenze generalizzate che selezionano i tacts siano in effetti uguali ai tipi di conseguenze generalizzate che selezionano gli intraverbali (quale tipo di operante è definito dal rinforzo generalizzato?). Questa mancanza di enfasi sui differenti tipi di conseguenze comporta due tipi di fraintendimenti. Il primo è di spingere gli altri analisti del comportamento al tentativo di capire, classificare e chiarire il comportamento verbale in base alle sorgenti del controllo antecedente. Ciò è evidente nelle tipologie del comportamento verbale fomite da Michael (1982) in cui non si fa riferimento alle conseguenze che controllano queste classi di risposta. Recentemente, altri autori hanno cominciato a prestare attenzione alle conseguenze del comportamento verbaJ.e. Inoltre, è stato condotto un crescente numero di studi sul comportamento governato da regole che,. quando viene considerato nella prospettiva dell'operante verbale, diventa un tentativo di studiare diversi tipi di conseguenze per almeno un tipo di comportamento verbale: quello di stabilire regole. Ma per molti anni lo studio delle conseguenze che controllano il comportamento verbale non è andato molto al di là del tentativo generale di mostrare che il comportamento del parlante può essere modificato manipolando le conseguenze (Greenspoon, 1963 ). Ciò ha contribuito all'altro fraintendimento, la confusione dell'analisi del comportamento con la psicologia S-R. Gli studiosi cognitivisti hanno criticato l'analisi del comportamento perché ritengono che gli eventi ambientali siano insufficienti a spiegare il comportamento umano complesso: ma il tipo di ambiente (classi di variabili) descritto dai critici cognitivi non è certo il tipo di ambiente cui l'analista del comportamento fa riferimento. Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali Post Scriptum Metarassegna, ovvero rassegna critica della rassegna critica di Noam Chomsky su Verbal Behavior 11 concetto di operante è uno dei più fraintesi sia all'interno sia all'esterno del campo dell'Analisi Sperimentale del Comportamento. L'equivoco è alla base di molte delle accese dispute sugli scritti di Skinner negli anni '60 e '70 (Czubaroff, 1988). A questo punto, parlando proprio di comportamento verbale, è inevitabile riprendere in considerazione l'annosa polemica di Chomsky nei confronti di Skinner, su cui val la pena soffermarsi per alcune considerazioni di ordine generale che da essa è possibile trarre. L'articolo di Chomsky, apparso per la prima volta, nel 1959, sulla rivista Language e ristampato senza alcuna modifica per altre tre volte, è suddiviso in tre parti. La prima, che comprende le sezioni da 2 a 5, illustra l:an~li~i del c~mportame~to non verbale realizzata in laboratorio e descrive i concetti d1 st1molo, nsposta e nnforzo. La seconda parte, che va dal paragrafo 6 al l O, espone come i concetti descritti nella prima parte verrebbero applicati da Skinner all'analisi del linguaggio. L'ultimo paragrafo, l'undicesimo, esamina le potenzialità offerte dagli studi _linguistici per chiarire alcuni problemi che Skinner, secondo Chomsky, lascerebbe 1n sospeso: la conoscenza delle strutture interne dell'organismo, il modo in cui esse tratterebbero le informazioni e, di conseguenza, organizzerebbero il comportamento. l rilievi che Chomsky muove a Skinner sono imperniati attorno a tre argomentazioni fondamentali: l . il lavoro di Skinner è fondamentalmente teorico. Nessun dato sperimentale dimostra che i processi che egli descrive siano effettivamente coinvolti nella genesi del linguaggio e nella comparsa di una risposta verbale, qualunque sia la situazione in cui essa compaia; 2. i termini che vengono utilizzati in laboratorio (per es., stimolo, deprivazione, risposta, probabilità) sono ambigui e perdono quel minimo di significato tecnico che possiedono quando vengono applicati all'analisi del linguaggio. Essi sarebbero parafrasi di termini utilizzati nelle teorie tradizionali sul linguaggio; 3. il linguaggio è un comportamento talmente com·plesso che, per la sua comprensione, è necessaria u·na teoria ugualmente complessa che tenga conto di variabili mediazionali intervenienti e della struttura neurologica che ne fornisce il substrato biologico. In breve, Chomsky sostiene che Verbo/ Behavior è solamente una congettura non sottoposta a verifica sperimentale, una sorta di metafora in cui le affermazioni sono espresse attraverso ipotesi basate su analogie che creano l'illusione di un'analisi condotta in maniera rigorosamente scientifica. l termini tecnici utilizzati sono vaghi e imprecisi, vuote parafrasi di vocaboli più tradizionali come significato, intenzione, scopo, credenze e così via. Chomsky, inoltre, sostiene che anche il concetto di stimolo perde il suo valore se applicato al di fuori del contesto del laboratorio; non 51 52 Capitolo l solo, ma afferma che non è possibile identificare per tutte le risposte verbali gli stimoli che ne controllano (altro termine sotto accusa) l'emissione, affermazione che, per inciso, non è assolutamente in contrasto con l'analisi di Skinner, dato che non tutte le risposte verbali sono istanze di stimulus contro/. In definitiva, Chomsky attacca la costruzione teorico-sperimentale di Skinner per dimostrarne l'infondatezza e derivarne, di conseguenza, quella dell'analisi condotta sul comportamento verbale, nella seconda parte dell'articolo. la critica prosegue, infatti, sui binari tracciati nella prima parte, con vocaboli che sottolineano vacuità della trattazione, irrilevanza dell'approccio nei confronti del problema trattato, stupore per la sua eccessiva semplicità. l'opposizione di Chomsky è basata sui seguenti argomenti, tra l'altro ripetuti più volte in varie parti del testo: a) la materia del linguaggio è vasta e complessa; b) non abbiamo almomento una metodologia per indagarla appieno; c) è probabile che i meccanismi di sviluppo del linguaggio siano innati nell'!-lomo e compaiano per maturazione biologica; d) perciò Skinner ha sbagliato. E evidente che i limiti dell'affermazione b) e la non ancora dimostrata affermazione c) rendono l'affermazione d) nient'altro che un'opinione basata su convinzioni personali, sur genere delle opinioni di natura estetica. Nella stesura dell'articolo, inoltre, vi sono anche grossolani errori: Chomsky interpreta in maniera errata e sembra confondere volutamente la visione skinneriana con quella di altri autori, per contestarne la posizione sulla base di argomentazioni contro questi ultimi. Il caso più clamoroso è la critica mossa al concetto di rinforzo, descritto nei termini di riduzione della pulsione, pur avendo awertito il lettore che Skinner esplicitamente rifiuta questo modo di intendere il rinforzo. Confutando "que~ la" teoria egli conclude che Skinner non può analizzare il comportamento verbale come dipendente dal rinforzo sociale. Chi abbia anche solo una conoscenza scolastica dell'argomento sa bene puntualizzare che Skinner non ha mai inteso né in Verbo/ Behavior, né altrove, il rinforzo come drive reduction. Pertanto, l'osservazione di Chomsky è impertinente e non applicabile al testo in esame. Alcuni errori da parte di Chomsky sono tali da rasentare l'incredibile: valga per tutti la sconcertante confusione fra chi parla e chi ascolta nel caso del mand, quando afferma che chi parla non potrà mai rispondere al mand: "O la borsa o la vita", se non è stato ucciso almeno una volta in passato. A parte il fatto che possono essere ipotizzati diversi meccanismi che controllano il comportamento che segue all'intimazione di un ladro, Chomsky dimostra di non aver compreso il significato di mand, poiché è chi parla (in questo caso un malvivente) che emette il mand e perciò non può, owiamente, reagire alla propria minaccia. Incomprensibilmente, di fronte al violento attacco di Chomsky, Skinner è rimasto silente senza fare, per molti anni, alcun cenno a quell'articolo. Questa condotta è stata da mòlti interpretata come una sconfitta per carenza di argomenti che contrastassero le tesi di Chomsky. E, per anni, non ci sono state repliche neanche da parte di altri autori vicini alle tesi di Skinner. In verità, da parte di Skinner vi fu un aristocratico atteggiamento di distacco nei confronti di chi, per farsi pubblicità, aveva travisato il contenuto del suo lavoro. Egli ritenne, un po' altezzosamente, che Le relazioni verbali: analisi e caratteristiche funzionali la critica di Chomsky non riguardasse i contenuti del suo lavoro e perciò non reputò necessario rispondergli 5 D'altra parte, come Czubaroff (1988) e Reese (1993) hanno rilevato, il linguaggio utilizzato da Chomsky esula certamente da un corretto dibattito scientifico e si awicina a un attacco ad persona m e talvolta all'insulto. C'è da chiedersi se Chomsky abbia letto con superficialità i contributi di Skinner e abbia dato voce, in modo esagerato, al comprensibile desiderio di rinnovamento nei confronti dell'establishment. Paradossàlmente, dal punto di vista dell'Analisi del Comportamento, il suo comportamento è stato seguito da conseguenze altamente rinforzanti: grazie a una sola recensione !_tra l'altro più ideologica che scientifica) ha ottenuto grande attenzione dal pubblico specializzato e hon, ha ottenuto una posizione accademica influente, ha contribuito in modo determinante alla creazione del nuovo establishment cognitivista. Alla luce dei fatti accaduti successivamente, c'è anche da chiedersi se abbia realmente letto Verbo/ Behavior che, detto per inciso, non è esattamente una lettura amena. Alcuni lettori certo ricorderanno che nei primi anni '80 Chomsky, ebreo e liberai, fu coinvolto in un'imbarazzante vicenda: fu l'autore, infatti, della presentazione a un libro di un autore francese di estrema destra, il quale negava l'esistenza dell'olocausto, definendolo null'altro che un'ulteriore invenzione della plutocrazia giudaica. Davanti alla reazione sdegnata della comunità ebraica intemazionale, Chomsky ammise con imbarazzo di averla scritta di routine, senza approfondire il contenuto del libro. Il sarcastico commento di molti fu "ed è già la seconda volta". la prima risposta esaustiva alla recensione di Chomsky è l'articolo di MacCorquodale (1970), che controbatte a tutte le osservazioni espresse sull'opera di Skinner, sottolineando, fra l'altro, come lo stesso Chomsky non riporti alcun dato sperimentale e come il suo sistema sia ugualmente teorico, ma meno parsimonioso e non direttamente collegato o collegabile alla ricerca empirica. MacCorquodale (1970) conclude che l'articolo di Chomsky, che presenta uno strano amalgama di concetti derivati da un comportamentismo obsoleto che non ha alcuna attinenza con il sistema teorico skinneriano, non è né un'analisi critica del suo pensiero, né del suo lavoro. Egli non ha compreso l'opera di Skinner, ritenendola erroneamente una spiegazione esaustiva del comportamento verbale, mentre nell'intento del suo autore rappresentava semplicemente un'ipotesi di ricerca, una base, definita ogg-ettivamente, per il suo studio empirico. · · · · Altre risposte sono seguite a quelle di MacCorquodale (1970), alcune piuttosto recenti (Knapp, 1992), che affrontano problemi di ordine più generale anche in riferimento ai sistemi teorici proposti da Skinner e da Chomsky. 5 In una lettera indirizzata da Skinner a Stephen Murray, si legge: " ... l have never been able to understand why Chomsky becomes almost pathologically angry when writing about me but l do not see why l should submit myself to such a verbal treatment. Il l thought l could learn something which might lead to uselul revisions ol my positions l would ol course be willing to take the punishment, but Chomsky simply does not understand what l a m talking about and l see no reason to listen to him ... • ]Andresen, 1991, pag. 57). Cfr. anche l'introduzione all'articolo •A lecture on having a poem· in Skinner 11972). 53 54 Richelle ( 1971) critica il sistema teorico di Chomsky, ritenendolo ancorato a un mentalismo anacronistico, che ritiene di poter distinguere ciò che è innato e ciò che è appreso. Questo approccio non gli consentirebbe di analizzare il contributo che i due insiemi di variabili, l'organismo geneticamente predeterminato e l'ambiente, danno allo sviluppo umano. Inoltre, il considerare solo la struttura formale del linguaggio impedisce di analizzare l'impatto che ogni espressione linguistica ha sull'ambiente e che è, invece, fondamentale per un'analisi psicologica del linguaggio. In termini di analisi funzionale, una cosa è il comportamento sottoposto al controllo di certe variabili che si prestano eventualmente a essere tradotte come regole grammaticali, altro è l'applicazione di queste regole in una determinata situazione. Ciò è ancora più valido in quelle forme di comportamento che sono strutturate e/o struttura bili secondo particolari regole, come le regole grammaticali di una lingua. Palmer (1986) ritiene che la scelta della frase, come unità d'analisi del linguaggio, conduce necessariamente a ritenere che la grammatica rivesta un ruolo centrale ne~ la genesi del comportamento verbale. Chomsky afferma che la struttura grammaticale è innata e determinata geneticamente, poiché a) è possibile verificare la sua universalità osservando l'esistenza di strutture grammaticali comuni fra lingue differenti; b) è comune riscontro che talj strutture siano presenti in bambini di appena tre anni che hanno avuto, quindi, una storia di apprendimenti molto breve; c) gli studi dei linguisti non hanno ancora evidenziato processi di apprendimento specifici che facciano giungere l'individuo alla sua acquisizione. Palmer ( 1986) osserva che questi assunti sono errati, poiché è impossibile, a live~ lo del gene, dimostrare l'esistenza di qualcosa che giustifichi, sia pur lontanamente, lo sviluppo di una "struttura grammaticale". Inoltre Chomsky, nel descrivere il meccanismo trasformazionale, presume che le proprietà formali del suo sistema corrispondano a precise caratteristiche biologiche degli esseri umani, confondendo i due piani di analisi senza peraltro dimostrare la veridicità di tale affermazione. Pur ammettendo che questo meccanismo esista e sia innato, esso deve comunque rispondere a stimoli esterni e ciò non è previsto dal sistema delineato da Chomsky. l'età, inoltre, non è un limite all'apprendimento. lpotizziamo che un bambino, che stia sveglio all'incirca sedici ore al giorno, apprenda una parola nuova ogni due ore. Alla fine dell'anno il numero di parole nuove che avrà imparato é integrato in vari modi nel suo eloquio ammonteranno a qualche migliaio. Ciò non è lontano dal vocabolario che qualsiasi studioso attribuisce a bambini in età prescolastica. Eppure, molti linguisti sostengono ancora che i processi di apprendimento sono irrilevanti per l'acquisizione del linguaggio. l'analisi "operante" consente perciò di evitare molti dei problemi che sorgono con un'analisi formale del linguaggio; inoltre, i termini impiegati sono empiricamente definiti e perciò passibili di verifica sperimentale. Per Andresen (1990, 1991) vi furono diverse ragioni che, singolarmente o collettivamente, condussero alla fine degli anni '50 e durante gli anni '60 a ciò che definisce la "repressione" del comportamentismo e il successo della grammatica generativa. Le re/a:Ooni verbali: analisi e caratteristiche funzionali 55 1. Preferenza per lo" stile cognitivista". Con tale espressione, Andresen ha voluto etichettare una precisa scelta di tipo estetico che, se può apparire irrilevante per un ambiente scientifico, è tuttavia ampiamente giustificata. Basti confrontare l'eleganza dell'esposizione e della costruzione teorica di Chomsky con lo stile poco flue~ te e ostico di Skinner. 2. Le vicende storiche degli anni '60 e le conseguenti scelte politiche e finanziarie. l'impulso dato dalla finanza pubblica statunitense alla ricerca sugli elaboratori elettronici, durante la Guerra Fredda, era rivolto soprattutto ai gruppi, come que~ lo di Minsky e Papert, che avevano costruito sistemi formoli seriali di intelligenza artificiale descrivendo i principi decisionali che ne regolano il funzionamento. Il sistema formale di Chomsky aveva tutte le caratteristiche di serialità che ne foce. vano· intravedere una potenziale utilizzazione per l'analisi computerizzata del lin-· guaggio. Questa scelta andò a discapito di quegli approcci che, trent'anni dopo, contribuirono alla formulazione del"connessionismo" e alla costruzione dei calcolatori paralleli, macchine che apprendono dalle proprie esperienze. Va precisato che in quegli anni la tecnica non era a uno stadio di sviluppo tale da poter costruire calcolatori paralleli, e il modello di calcolo seriale rappresentava quello più facilmente implementabile su una macchina costrUita utilizzando le tecnologie dell'epoca. Dato che le forze armate statunitensi avevano un bisogno immediato di potenza di calcolo, è stato giocoforza scelto di finanziare quelle ricerche che· potessero avere un'immediata applicazione militare. . 3. La radicata presenza nel pensiero scientifico di motivi legati all'umanesimo. la trattazione che Skinner aveva elaborato sembra, di primo acchito, non lasciare spazio all'autonomia dell'uomo, all'individuo agente, visto piuttosto come un "locus" anziché un "attore". Al contrario, la teoria di Chomsky, çhe egli ha recentemente integrato nella sua personale Weltanschauung (vedi, per es., la difesa dei diritti umani in Chomsky, 1988), dimostra uno stretto legame con la tradizione del pensiero occidentale, anche se le argomentazioni addotte si spostano in tal modo dal terreno scientifico ed epistemologico a quello etico e morale. 4. Il distacco dal corpus di conoscenze della linguistica prodotto dall'introduzione di una nuova terminologia tecnica. Skinner utilizza, nella sua opera, il vocabolario tecnico difficile e artificiale (lontano dal linguaggio comune) dell'analisi sperimentale del comportamento. Chornsky dedica· così buona parte del suo articolo a riportare la terminologia skinneriana all'interno di uno schema più tradizionale e immediatamente comprensibile, ottenendo l'effetto di allontanare il probabile interesse dei linguisti nei confronti del libro. 5. L'assenza nell'analisi di Skinner di una dimensione sociale del comportamento verbale umano, come suggerito da Tikhomirov ( 1959). la trattazione di Skinner è freddamente scientifica, dove quella di Chomsky, al di là delle opinioni etiche e morali espresse, con cui si può concordare o meno, tende a investire grandi temi universali dell'umanità. Knapp (1990) ritiene che la teoria della grammatica trasformazionale lasciava soddisfatti sia i linguistici sia gli psicologi: i primi venivano posti nelle condizioni di "seri- 56 Capitolo l vere grammatiche", i secondi incominciarono a utilizzare altre strutture come variabili indipendenti dei loro studi sperimentali. Al contrario, nessuno, anche fra gli stessi studiosi dell'analisi del comportamento, sapeva cosa farsene del libro di Skinner; ci vo~ lero circa vent'anni perché fossero individuate metodologie di ricerca adeguate e apparissero i primi studi sperimentali la cui origine può essere rintracciata in Verbo/ Capitolo 2 lL NAMING E ALTRI COMPORTAMENTI SIMBOLICI Pauline J. Home, C. Fergus Lowe Behavior. INTRODUZIONE Negli ultimi anni, la psicologia del comportamento si è rivolta con rinnovato interesse allo studio del comportamento umano, e in particolare di quei fenomeni comportamentali complessi che in precedenza erano domini esclusivi della psicologia cognitiva: ci riferiamo al linguaggio, o comportamento verbale, e alle sue relazioni con altri comportamenti come il pensiero. Concetti quali "significato della parola", "relazioni semantiche" e "comportamento simbolico" sono diventati termini familiari per i ricercatori che si riconoscono nell'approccio definito come analisi del comportamento. Certo è che specificare termini di questo tipo non è né facile né immediato: la psicologia ha sempre trovato difficoltà nel definire la "parola" o il "nome", chiarendo che cosa la differenzi dalle altre forme di comportamento. Questo capitolo ha due obiettivi principali: a) specificare l'unità di base del linguaggio, rappresentata dalla relazione "nome"; b) analizzare come questa unità comportamentale emerga e giunga a simbolizzare oggetti ed eventi del mondo reale. Vi sono alcuni problemi inerenti l'uso del termine naming, che da discipline come la psicolinguistica, la psicologia evolutiva, la psicologia cognitiva - e naturalmente dall'uso quotidiano - è stato caricato di connotazioni diverse da quelle attribuite invece dall'analisi del comportamento. Malgrado ciò, deve essere chiaro che il termine naming, per noi, sta a indicare l'unità verbale di base. Attraverso il nostro contributo vorremmo non solo fornire una specificazione comportamentale che ci aiuti a standardizzare l'uso del termine in letteratura, ma presentare un'analisi funzionale di come il naming si sviluppa nella prima infanzia, e quindi come influenzi e sia influenzato da altri comportamenti. Molte idee innovative sul comportamento verbale provengono da quei ricercatori che hanno lavorato nell'area nota come "equivalenza dello stimolo". Nei capitoli 3 e 4 del presente volume, verrà esposta un'analisi critica e dettagliata di questo fenomeno. In termini generali il nostro approccio deve molto all'opera Verbal Behavi.or di Skinner (1957), anche se il tentativo è comunque quello di ampliare la sua spiegazione in più direzioni.