I buchi neri - Roberto Masella

I buchi neri
1. Modello astronomico
• I buchi neri sono le regioni dello spazio nelle quali l' interazione gravitazionale è così grande
che qualsiasi cosa giunga nelle sue vicinanze, viene attratta e irrimediabilmente catturata e nulla,
dall’interno del suo confine, può più allontanarsene. Poiché dalla zona che attornia un buco nero
nulla sfugge alla fatale attrazione della gravità, nessun segnale può pervenirci da esso: il buco nero
è per sua stessa natura invisibile. Raramente un termine scientifico è stato in grado di esprimere
chiaramente il fenomeno che descrive come in questo caso: un buco nero è semplicemente… un
buco nero. Forse il grande successo popolare di questo termine è da ricercare proprio nella sua
immediatezza. Il merito di avere proposto questa denominazione si deve ad uno dei grandi fisici del
‘900, l’americano John A. Wheeler , che riutilizzò un termine in uso fino alla fine del 1800
nell’esercito inglese per indicare le celle punitive di isolamento assoluto, l’ultima prigione.
Guardando il Sole che sorge nel cielo con tutta la sua potenza non pensiamo mai al momento in cui,
esaurito il suo combustibile nucleare, andrà progressivamente spegnendosi. Ma questo è il destino
di tutte le stelle. Nelle stelle è proprio l’attività nucleare che, mentre mantiene acceso il loro
“fuoco”, si oppone anche alla forza di gravità che tenderebbe a concentrare tutta la materia
dell’astro in un volume piccolissimo. Quando una stella “muore” non c’è più alcuna forza capace
di opporsi alla gravitazione che fa progressivamente addensare tutta la materia dell’astro verso il
suo centro.
• Nel 1796 l’astronomo francese Pierre Simon Laplace immaginò che potessero esistere “corpi
oscuri” la cui tremenda forza di gravità impediva alla loro stessa luce di raggiungerci. Anche lo
studioso inglese John Michtell , qualche anno prima (esattamente nel 1783), aveva ipotizzato un
tale fenomeno, ma a quel tempo si trattava in entrambi i casi solo di ipotesi fantasiose. È Albert
Einstein che con la teoria della relatività generale, ”consente” ai buchi neri di esistere. La
relatività generale ci dice infatti che attorno ad ogni oggetto materiale lo spazio si curva. Facciamo
un esempio considerando uno spazio a due dimensioni: quello di un telo elastico teso ai suoi
estremi. In assenza di oggetti sulla sua superficie il telo è perfettamente piano, le linee tracciate con
una squadra sono rette e formano fra loro angoli di 90 gradi. Supponiamo ora di poggiare su
questo telo elastico una palla pesante. Il telo si curverà e le righe che avevamo tracciato seguiranno
un percorso che sarà tanto più curvo (geometria non euclidea) quanto più le righe stessa saranno
vicine alla palla. Le linee più lontane ci appariranno ancora rette e il telo a grande distanza dalla
palla sarà ancora piano. L’esempio in due dimensioni ci fa intuire come agisca la gravità nello
spazio tridimensionale . La curvatura dello spazio determina il moto dei pianeti attorno al nostro
Sole. Un esempio dell’effetto di una massa (il Sole) sull’orbita un pianeta (Mercurio) può essere
visto cliccando . Immaginiamo di comprimere il corpo che determina la curvatura del foglio,
mantenendo uguale la sua massa: il foglio si curverà in una zona più ristretta, ma la profondità
della deformazione crescerà.
Fonte: http://theory.uwinnipeg.ca/users/gabor
Buchineri
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• A seconda della massa della stella originaria si hanno vari stati finali di evoluzione. Nel caso di
stelle con massa superiore a tre volte la massa del nostro Sole, la gravitazione prevale senza più
arrestarsi, tutto il materiale si comprime e la concentrazione nella regione centrale cresce
enormemente. Le densità che si raggiungono sono per noi inconcepibili: in queste condizioni un
cucchiaio di materia addensata pesa addirittura più di 10 miliardi di tonnellate! Il gas si riscalda
finche’ diventa cosi’ caldo da innescare la reazione di fusione nucleare che converte idrogeno in
elio. Il calore generato dal processo produce una pressione che sostiene la stella contro la sua stessa
gravita’ e le impedisce di contrarsi ancora. La stella resta a lungo in quello stato bruciando
idrogeno e irradiando luce. Entro una certa distanza attorno alla stella originaria ogni cosa, inclusa
la luce, viene attratta e “inghiottita". Si è formato un buco nero! Le stelle massicce convertono
l’idrogeno in elio piu’ in fretta del sole cosi’ esauriscono l’idrogeno in poche centinaia di milioni di
anni e successivamente bruciano l’elio generando elementi piu’ pesanti come il carbonio e
l’ossigeno. Poiche’ tali reazioni nucleari non liberano molta energia perdono sia calore sia la
pressione termica che le sosteneva contro la loro stessa gravita’ diventando progressivamente piu’
piccole.
Figura: Spazio-tempo intorno a una stella che non collassa. I raggi di luce possono sfuggire dalla
sua superficie (linee rosse). Lontano dalla stella le radiazioni luminose formano un angolo di 45º
rispetto alla verticale mentre vicino alla stella a causa della distorsione spazio temporale prodotta
dalla sua massa formano un angolo minore.
Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking
Buchineri
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Figura: Se la stella collassa la distorsione diventa cosi’ grande che i raggi di luce vicino alla
supeficie si incurvano verso l’interno. Si forma allora un buco nero una regione dello spazio-tempo
in cui la luce non puo’ uscire
Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking
Buchineri
cap-pag 1-3/14
2. Orizzonte degli eventi
• Se la pressione non ferma la contrazioni collassano a dimensioni nulle e densita’ infinita
generando una singolarita’ e le traiettorie dei raggi luminosi provenienti dalla superficie formano
angoli sempre piu’ piccoli rispetto alla verticale. Si definisce orizzonte degli eventi il confine esterno
di un buco nero costituito da radiazioni luminose che non riescono a sfuggire dal buco ma restano
sospese ad una distanza costante dal centro.
Figura: Orizzonte degli eventi di un buco nero
Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking
Buchineri
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3. Entropia di un buco nero
• Secondo Hawking il tempo ordinario si ferma sull’orizzonte di un buco nero e quando si ha un
arresto del tempo reale e del tempo immaginario (o stanno fermi entrambi o si muovono
entrambi), lo spazio-tempo ha una temperatura e si comporta come se avesse un’entropia.
L’entropia di un buco nero ha la seguente formula S= Akc 3 /4ħG dove A=area dell’orizzonte
degli eventi del buco nero (dove non e’ possibile sfuggire verso l’infinito) , ħ= costante di Planck,
K= costante di Boltzmann, G= costante gravitazionale di Newton, c=velocita’ luce, S=entropia.
Esiste cioe’ una stretta correlazione tra gravita’ quantistica e termodinamica. Si puo’ cosi’
ipotizzare che l’entropia massima di qualsiasi regione chiusa dello spazio non supera l’area della
superficie che la circoscrive. Tutte le informazioni associate ai fenomeni del mondo tridimensionale
sono immagazzinate come ologrammi sui suoi confini bidimensionali. Un buco nero emette
radiazione come fosse un corpo caldo con una temperatura T dipendente dalla sua massa:
T=ħc3/8πkGM dove ħ= costante di Planck, K= costante di Boltzmann, G= costante gravitazionale
di Newton, c=velocita’ luce, M=massa . Piu’ piccola e’ la massa piu’elevata e’ la temperatura La
presenza della massa concentrata influenzerà meno gli oggetti lontani poiché il raggio della
depressione si è ridotto, ma ogni oggetto posto in vicinanza sarà irrimediabilmente “catturato”. Se
in una piccola regione di spazio la concentrazione di massa cresce molto, lo spazio si curva su se
stesso tanto da isolare questa zona dalle zone continue. Questo accade quando una stella di massa
relativamente grande (quelle di massa inferiore a tre masse solari non diventano infatti buchi neri)
esaurisce il suo carburante nucleare. Tutta la sua massa si contrae entro un raggio critico R=
2GM/c2 dove G=costante Newton, M=massa buco nero. All’interno del raggio critico il campo
gravitazionale diventa così intenso che la luce emessa viene piegata all’interno e non può evadere.
Attorno alla posizione occupata una volta dalla stella c’è ora una zona di non-ritorno, chiamata
orizzonte degli eventi, dalla quale nulla può uscire. Ogni corpuscolo materiale, ogni forma di
energia (ricordiamo la famosa relazione E=mc2; per cui materia ed energia sono equivalenti) che
penetrano nella regione delimitata dall’orizzonte degli eventi sono catturati da questo famelico
oggetto. Un ipotetico pianeta che si trovasse vicino ad un buco nero di massa simile a quella del
Sole, ad una distanza di sicurezza, gli orbiterebbe intorno proprio come fa la Terra con il Sole. Se
però la distanza di sicurezza dovesse diminuire fino all’ orizzonte degli eventi allora il pianeta
sarebbe risucchiato dal buco nero e noi non potremmo più sapere che fine abbia fatto, perché non
potremmo più osservarlo. Nessun segnale ci può provenire dai buchi neri. Incapaci di comunicare
con l’esterno, sembrerebbero quindi destinati a restare per sempre affascinanti ipotesi di una
teoria, inaccessibili ad ogni conferma sperimentale. Ma non è così. I buchi neri sono uno dei quei
casi in cui la teoria è stata sviluppata in dettaglio prima che le osservazioni abbiano fornito una
prova certa della sua correttezza.
Fonte: http://www.scienzapertutti.it
Buchineri
cap-pag 3-5/14
4. Osservazione di un buco nero
• Ma come è stato possibile osservare sperimentalmente i buchi neri se questi oggetti non
emettono alcun tipo di luce o radiazione? Quando un buco nero ruota attorno ad un astro visibile,
l’orbita della stella visibile risente della presenza del compagno oscuro (già Laplace lo aveva
pensato quando ipotizzava i suoi “corpi oscuri”). Astronomi e astrofisici negli ultimi decenni hanno
identificato molti sistemi binari nei quali uno dei componenti non è visibile; questo però non basta
ad assicurarci che si tratti di veri buchi neri. Nel caso di un buco nero la teoria prevede che
materia gassosa della stella visibile sia “risucchiata“ dal corpo celeste invisibile. Questo gas
accelerato forma una grande spirale che termina nel buco nero come l’acqua di un lavandino che si
vuota finisce, ruotando, nel buco di scarico. In questo processo il gas si riscalda a migliaia di gradi
e, prima di scomparire oltre la linea dell’orizzonte, emette raggi X. Fu l’astronomo canadese C.T.
Bolt dell’Università di Toronto che, studiando la compagna invisibile della stella denominata
HDE226868 nella costellazione del Cigno , trovò per primo una emissione di raggi X con le
caratteristiche previste dalla teoria dei buchi neri. Il diametro dell’orizzonte degli eventi era di
circa 30 chilometri: questo valore indica una massa del buco nero di circa 5 volte quella del nostro
Sole. Alcuni teorici fecero notare però che altri fenomeni meno drammatici (stelle di neutroni,
quasar) avrebbero potuto essere all’origine di quanto osservato. Ma altre osservazioni si sono
succedute e consolidate. Nel 1988 il grande astrofisico Hawking scriveva: “.. nel 1975 eravamo certi
all’80% che la sorgente di raggi X del Cigno fosse un buco nero. Ora nel 1988 direi che siamo
sicuri al 95%”. Oggi (nel 2003) l’esistenza di buchi neri ha accumulato ormai molti dati a favore.
Nuove analisi hanno confermato che le osservazioni sono in accordo perfetto con le previsioni della
teoria. Si sono aggiunti molti altri corpi celesti nella lista dei buchi neri grazie anche alle
osservazioni rese possibili del telescopio spaziale Hubble . La domanda non è più se i buchi neri
esistono o meno; la domanda è “quanti buchi neri ci sono nell’universo?”. Gli astrofisici ritengono
ormai che il loro numero possa anche essere superiore a quello delle stelle visibili!
Fonte: http://www.scienzapertutti.it
Buchineri
cap-pag 4-6/14
5. Buchi neri primordiali
• Nel 1975 Stephen Hawking si domandò se potesse esistere un buco nero di massa molto
piccola, tanto piccola da essere contenuto in dimensioni sub-nucleari. Cosa succede se un buco nero
ha le dimensioni di un protone o di un neutrone? In questo caso oltre alle leggi della gravitazione
entrano in gioco anche quelle della meccanica quantistica con effetti -come vedremo- sorprendenti.
Il diametro dell’orizzonte degli eventi di un buco nero è proporzionale alla sua massa. Un buco nero
di massa 5 volte la massa del nostro Sole ha un diametro di circa 30 km, quello di 10 volte la massa
del Sole ha 60 km di diametro, quello di 100 volte ha 600 km di diametro. Non c’è limite superiore
all' estensione di un buco nero. Stelle con massa 100 milioni di volte quella del nostro Sole possono
dare origine a buchi neri con orizzonte degli eventi uguale a quelle del nostro intero sistema solare
cioè con orizzonte degli eventi di circa un miliardo di chilometri. Esiste invece un limite inferiore
alla massa di una stella che può evolvere in un buco nero ed è quello di 3 masse solari. Un buco
nero delle dimensioni di un protone
(10-15 metri) corrisponderebbe ad una massa molto più
piccola: circa un miliardo di tonnellate, la massa cioè di una montagna sulla terra o quella di un
piccolo asteroide. Questo tipo di buchi neri non potrebbe quindi formarsi dal collasso di una stella.
Hawking ha però dimostrato che buchi neri di così piccola massa e dimensioni avrebbero potuto
formarsi in condizioni particolari nella primissima fase della evoluzione dell’universo. Se
realmente esistessero, sarebbe possibile identificare questi buchi neri primordiali? Strano a dirsi,
diversamente dai buchi neri originati dalle stelle morenti, questi buchi neri, sviluppatisi quando
l’universo era bambino, emetterebbero radiazione. Come è possibile se sappiamo che nulla può
evadere dall’orizzonte degli eventi? La risposta viene dalla meccanica quantistica: le particelle
emesse non provengono dall’interno del buco nero ma dal vuoto quantico. Il vuoto quantico e’
presente nell’effetto Casimir e può essere immaginato come un mare composto da tutte le
particelle elementari e dalle loro antiparticelle. Coppie virtuali di particella-antiparticella
(elettrone-positrone, quark-antiquark, coppie di fotoni o gravitoni - fotoni e gravitoni sono
antiparticelle di se stesse -) si materializzano dal vuoto quantico e subito si annichilano tra loro.
Immaginiamo ora cosa può accedere sulla superficie dell’orizzonte degli eventi di uno di questi
buchi neri. Tra le tante coppie virtuali create e riassorbite dal vuoto quantico potrà accadere che,
in qualche caso, una della particelle della coppia prima di annichilirsi con la sua compagna, sia
attratta dalla forza gravitazionale dentro il buco nero, mentre l’altra se ne allontana. Le due
particelle sono ora reali, una è irrimediabilmente catturata, l’altra ci apparirà “emessa” dal buco
nero. Questo processo quantistico produce quindi una radiazione che viene emessa sulla linea
dell’orizzonte degli eventi. Mentre i buchi neri originati dal collasso delle stelle sono la forma finale
dell’evoluzione dell’astro e una volta formati dovrebbero esistere per sempre, questi buchi neri
primordiali emettendo la “radiazione di Hawking“ si esauriscono in una lenta evaporazione che si
conclude con una drammatica esplosione. Fino ad oggi, nessuna esplosione di buchi neri
primordiali alla Hawking è stata osservata. Fu ancora John A.Wheeler , che nel 1962, intento a
sviluppare la teoria delle particelle elementari, considerò i buchi neri come possibile punto di
contatto tra la meccanica quantistica e la relatività generale.
• Se Hawking si era spinto a considerare buchi neri dell’ordine della dimensione di un protone
(10-15 metri). Wheeler si spinse molto oltre. Egli si rese conto che, quando si considerano intervalli
di spazio inferiori a 10-35 metri avviene qualcosa di impensabile. Se un elemento di energia o di
materia fosse più piccolo di questa estensione il suo campo gravitazionale, sebbene minuscolo,
sarebbe tuttavia sufficiente a chiudere lo spazio su se stesso, avvolgendolo e isolandolo
dall’universo osservabile. A questa scala geometrica (lunghezza di Wheeler-Planck spesso
abbreviata come lunghezza di Planck nulla può essere osservato, lo spazio stesso è quantizzato. Lo
spazio è quindi solo una rete infinitamente fitta di buchi neri. I buchi neri di grandi dimensioni,
stato finale di una stella, o i buchi neri primordiali previsti da Hawking vengono creati dai processi
di evoluzione dell’Universo. La loro identificazione e il loro studio possono guidarci nella
comprensione di come l’universo viva, di come evolva, di come si trasformi. Alla lunghezza di
Wheeler-Planck i mini-buchi neri sono l’Universo stesso: una griglia di quantizzazione nella quale
materia, luce, energia, spazio e tempo perdono ogni significato
• Se si misura il tempo a velocita’ diverse in luoghi diversi e si inserisce nell’equazione di
Schrodinger si puo’ calcolare la funzione d’onda in istanti successivi conoscendo quella iniziale,
ma parte della funzione d’onda si trova all’interno del buco nero nascosta ad un osservatore. Tali
informazioni sono innumerevoli perche’ un buco nero di una data massa e una data velocita’ di
rotazione puo’ formarsi da un numero elevatissimo di insiemi diversi di particelle perche’ e’
indipendente dalla natura del corpo dal cui collasso ha origine.
Buchineri
cap-pag 5-7/14
Figura: Misura del tempo nello spazio-tempo di un buco nero
Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking
Buchineri
cap-pag 5-8/14
6. Fluttuazioni del vuoto
•
Tutti i campi devono avere un certo quantitativo di fluttuazioni del vuoto. Si possono
considerare tali fluttuazioni come coppie di particelle virtuali che appaiono insieme in un punto
dello spazio-tempo poi si separano tornano ad avvicinarsi e si annichilano a vicenda. Virtuali
significa che le particelle non possono essere osservate direttamente ma che i loro effetti indiretti
sono osservabili e concordano con le predizioni teoriche. Se e’ presente un buco nero una particella
della coppia virtuale potrebbe cadervi dentro lasciando l’altra libera di sfuggire verso l’infinito. A
un osservatore lontano le particelle in fuga appaiono irradiate dal buco nero.
Buchineri
cap-pag 6-9/14
Figura: Particelle virtuali vicino all’orizzonte degli eventi di un buco nero
Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking
Buchineri
cap-pag 6-10/14
•
Si e’ visto che piu’ piccola e’ la massa piu’elevata e’ la temperatura quindi qualsiasi
radiazione quantistica proveniente da buchi neri con massa=2massesolari avrebbe T=0K quindi
sarebbe interamente sommersa dalla radiazione cosmica di fondo residua del big bang che ha una
T=2,7 K . Come si fa a dimostrare l’esistenza di tali radiazioni? L’inflazione ha causato
un’espansione cosi’ rapida da impedire di farci raggiungere dalla luce di alcuni corpi: si e’ creata
un orizzonte dell’osservatore che come quello di un buco nero divide la regione dove ci raggiunge
la luce da quella dove non ci raggiunge la luce. Da questo orizzonte dovrebbero provenire
radiazioni termiche che presentano un caratteristico spettro di fluttuazioni termiche le quali si
sarebbero espanse con l’universo. Quando la scala della loro lunghezza ha superato le dimensioni
dell’orizzonte degli eventi, l’espansione si e’ arrestata sicche’oggi le rileviamo come variazioni nella
temperatura della radiazione cosmica di fondo
Buchineri
cap-pag 6-11/14
Figura: Orizzonte degli eventi di un osservatore
Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking
Buchineri
cap-pag 6-12/14
7. Informazioni in un buco nero e p-brane
Le radiazioni di un buco nero invece e’ stata dimostrata in maniera indiretta ma e’
•
importante perche’ la radiazione sottrae energia al buco nero che perde inevitabilmente massa
diventando piu’ piccolo. Cio’ significa che la temperatura aumenta e che la radiazione e’ sempre
piu’ intensa finche’ il buco nero finisce per avere massa nulla…. E la funzione d’onda e le
informazioni che contiene riguardo a quanto e’ caduto nel buco nero dove vanno a finire? Se le
informazioni devono emergere occorre energia ma, nello stadio finale, non c’e’ energia. Se le
informazioni devono sfuggire in continuazione con le radiazioni non si soddisfa l’ipotesi che nella
coppia di particelle virtuali una cade nel buco e l’altra sfugge senza avere piu’ informazioni della
sua compagna. Le informazioni allora devono andare perse!! Tale perdita di informazioni ha
conseguenze importanti per il determinismo infatti anche se conoscessimo la funzione d’onda dopo
la scomparsa del buco nero non potremo usare l’equazione di Schrodinger a ritroso per calcolarla
prima della formazione del buco nero. Nell’esperimento EPR (Einstein, Podolsky, Rosen) un atomo
radioattivo che decade ed emette due particelle di spin opposto, un osservatore che guarda la
direzione dello spin di una, predice con sicurezza la direzione dello spin dell’altra. Ma in tale
esperimento non e’ possibile inviare informazioni a velocita’ superiore della luce infatti non si puo’
decidere in base alle misurazioni che la particella abbia una certa direzione di spin e quindi
stabilire la direzione dell’altra particella. Anche nella radiazione dei buchi neri le due particelle
virtuali hanno una funzione d’onda che predice abbiano spin opposti, ma potremmo sapere la
direzione della particella emessa solo se fossimo in gradi di osservare quella della compagna caduta
nel buco nero!
•
Nel 1996 si decise di considerare il buco nero come qualcosa di composto da un certo
numero di p-brane cioe’ fogli che si muovono nelle tre dimensioni spaziali e in altre sette
dimensioni supplementari: il numero d’onde sulle p-brane e’ pari alla quantita’ di informazioni
che dovrebbe contenere il buco nero. Se delle particelle colpiscono le brane, vi eccitano onde
supplementari. Analogamente se onde che si muovono in direzioni diverse sulle p-brane si
sovrappongono in un dato punto, producono un picco tale che un frammento di p-brana si stacca
ed e’ emesso sotto forma di particella. Le p-brane assorbono ed emettono particelle come i buchi
neri ma le informazioni su quanto cade nel buco nero sono immagazzinate nella funzione d’onda
relativa alle onde sulle p-brane
Buchineri
cap-pag 7-13/14
Figura: p-brane e buchi neri
Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking
Figura: Particella su un buco nero e produzione di onde. Onde su un buco nero
Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking
•
Le p-brane sono fogli nello spazio-tempo piatto sicche’ il tempo fluisce in avanti in modo
regolare, le traiettorie dei raggi luminosi non sono curve e le informazioni nelle onde non vanno
perse ma alla fine emergono dal buco nero nella radiazione emessa dalle p-brane. Secondo tale
modello e’ possibile ussare l’equazione di Schrodinger per calcolare la funzione d’onda in tempi
successivi.
Buchineri
cap-pag 7-14/14