I buchi neri 1. Modello astronomico • I buchi neri sono le regioni dello spazio nelle quali l' interazione gravitazionale è così grande che qualsiasi cosa giunga nelle sue vicinanze, viene attratta e irrimediabilmente catturata e nulla, dall’interno del suo confine, può più allontanarsene. Poiché dalla zona che attornia un buco nero nulla sfugge alla fatale attrazione della gravità, nessun segnale può pervenirci da esso: il buco nero è per sua stessa natura invisibile. Raramente un termine scientifico è stato in grado di esprimere chiaramente il fenomeno che descrive come in questo caso: un buco nero è semplicemente… un buco nero. Forse il grande successo popolare di questo termine è da ricercare proprio nella sua immediatezza. Il merito di avere proposto questa denominazione si deve ad uno dei grandi fisici del ‘900, l’americano John A. Wheeler , che riutilizzò un termine in uso fino alla fine del 1800 nell’esercito inglese per indicare le celle punitive di isolamento assoluto, l’ultima prigione. Guardando il Sole che sorge nel cielo con tutta la sua potenza non pensiamo mai al momento in cui, esaurito il suo combustibile nucleare, andrà progressivamente spegnendosi. Ma questo è il destino di tutte le stelle. Nelle stelle è proprio l’attività nucleare che, mentre mantiene acceso il loro “fuoco”, si oppone anche alla forza di gravità che tenderebbe a concentrare tutta la materia dell’astro in un volume piccolissimo. Quando una stella “muore” non c’è più alcuna forza capace di opporsi alla gravitazione che fa progressivamente addensare tutta la materia dell’astro verso il suo centro. • Nel 1796 l’astronomo francese Pierre Simon Laplace immaginò che potessero esistere “corpi oscuri” la cui tremenda forza di gravità impediva alla loro stessa luce di raggiungerci. Anche lo studioso inglese John Michtell , qualche anno prima (esattamente nel 1783), aveva ipotizzato un tale fenomeno, ma a quel tempo si trattava in entrambi i casi solo di ipotesi fantasiose. È Albert Einstein che con la teoria della relatività generale, ”consente” ai buchi neri di esistere. La relatività generale ci dice infatti che attorno ad ogni oggetto materiale lo spazio si curva. Facciamo un esempio considerando uno spazio a due dimensioni: quello di un telo elastico teso ai suoi estremi. In assenza di oggetti sulla sua superficie il telo è perfettamente piano, le linee tracciate con una squadra sono rette e formano fra loro angoli di 90 gradi. Supponiamo ora di poggiare su questo telo elastico una palla pesante. Il telo si curverà e le righe che avevamo tracciato seguiranno un percorso che sarà tanto più curvo (geometria non euclidea) quanto più le righe stessa saranno vicine alla palla. Le linee più lontane ci appariranno ancora rette e il telo a grande distanza dalla palla sarà ancora piano. L’esempio in due dimensioni ci fa intuire come agisca la gravità nello spazio tridimensionale . La curvatura dello spazio determina il moto dei pianeti attorno al nostro Sole. Un esempio dell’effetto di una massa (il Sole) sull’orbita un pianeta (Mercurio) può essere visto cliccando . Immaginiamo di comprimere il corpo che determina la curvatura del foglio, mantenendo uguale la sua massa: il foglio si curverà in una zona più ristretta, ma la profondità della deformazione crescerà. Fonte: http://theory.uwinnipeg.ca/users/gabor Buchineri cap-pag 1-1/14 • A seconda della massa della stella originaria si hanno vari stati finali di evoluzione. Nel caso di stelle con massa superiore a tre volte la massa del nostro Sole, la gravitazione prevale senza più arrestarsi, tutto il materiale si comprime e la concentrazione nella regione centrale cresce enormemente. Le densità che si raggiungono sono per noi inconcepibili: in queste condizioni un cucchiaio di materia addensata pesa addirittura più di 10 miliardi di tonnellate! Il gas si riscalda finche’ diventa cosi’ caldo da innescare la reazione di fusione nucleare che converte idrogeno in elio. Il calore generato dal processo produce una pressione che sostiene la stella contro la sua stessa gravita’ e le impedisce di contrarsi ancora. La stella resta a lungo in quello stato bruciando idrogeno e irradiando luce. Entro una certa distanza attorno alla stella originaria ogni cosa, inclusa la luce, viene attratta e “inghiottita". Si è formato un buco nero! Le stelle massicce convertono l’idrogeno in elio piu’ in fretta del sole cosi’ esauriscono l’idrogeno in poche centinaia di milioni di anni e successivamente bruciano l’elio generando elementi piu’ pesanti come il carbonio e l’ossigeno. Poiche’ tali reazioni nucleari non liberano molta energia perdono sia calore sia la pressione termica che le sosteneva contro la loro stessa gravita’ diventando progressivamente piu’ piccole. Figura: Spazio-tempo intorno a una stella che non collassa. I raggi di luce possono sfuggire dalla sua superficie (linee rosse). Lontano dalla stella le radiazioni luminose formano un angolo di 45º rispetto alla verticale mentre vicino alla stella a causa della distorsione spazio temporale prodotta dalla sua massa formano un angolo minore. Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking Buchineri cap-pag 1-2/14 Figura: Se la stella collassa la distorsione diventa cosi’ grande che i raggi di luce vicino alla supeficie si incurvano verso l’interno. Si forma allora un buco nero una regione dello spazio-tempo in cui la luce non puo’ uscire Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking Buchineri cap-pag 1-3/14 2. Orizzonte degli eventi • Se la pressione non ferma la contrazioni collassano a dimensioni nulle e densita’ infinita generando una singolarita’ e le traiettorie dei raggi luminosi provenienti dalla superficie formano angoli sempre piu’ piccoli rispetto alla verticale. Si definisce orizzonte degli eventi il confine esterno di un buco nero costituito da radiazioni luminose che non riescono a sfuggire dal buco ma restano sospese ad una distanza costante dal centro. Figura: Orizzonte degli eventi di un buco nero Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking Buchineri cap-pag 2-4/14 3. Entropia di un buco nero • Secondo Hawking il tempo ordinario si ferma sull’orizzonte di un buco nero e quando si ha un arresto del tempo reale e del tempo immaginario (o stanno fermi entrambi o si muovono entrambi), lo spazio-tempo ha una temperatura e si comporta come se avesse un’entropia. L’entropia di un buco nero ha la seguente formula S= Akc 3 /4ħG dove A=area dell’orizzonte degli eventi del buco nero (dove non e’ possibile sfuggire verso l’infinito) , ħ= costante di Planck, K= costante di Boltzmann, G= costante gravitazionale di Newton, c=velocita’ luce, S=entropia. Esiste cioe’ una stretta correlazione tra gravita’ quantistica e termodinamica. Si puo’ cosi’ ipotizzare che l’entropia massima di qualsiasi regione chiusa dello spazio non supera l’area della superficie che la circoscrive. Tutte le informazioni associate ai fenomeni del mondo tridimensionale sono immagazzinate come ologrammi sui suoi confini bidimensionali. Un buco nero emette radiazione come fosse un corpo caldo con una temperatura T dipendente dalla sua massa: T=ħc3/8πkGM dove ħ= costante di Planck, K= costante di Boltzmann, G= costante gravitazionale di Newton, c=velocita’ luce, M=massa . Piu’ piccola e’ la massa piu’elevata e’ la temperatura La presenza della massa concentrata influenzerà meno gli oggetti lontani poiché il raggio della depressione si è ridotto, ma ogni oggetto posto in vicinanza sarà irrimediabilmente “catturato”. Se in una piccola regione di spazio la concentrazione di massa cresce molto, lo spazio si curva su se stesso tanto da isolare questa zona dalle zone continue. Questo accade quando una stella di massa relativamente grande (quelle di massa inferiore a tre masse solari non diventano infatti buchi neri) esaurisce il suo carburante nucleare. Tutta la sua massa si contrae entro un raggio critico R= 2GM/c2 dove G=costante Newton, M=massa buco nero. All’interno del raggio critico il campo gravitazionale diventa così intenso che la luce emessa viene piegata all’interno e non può evadere. Attorno alla posizione occupata una volta dalla stella c’è ora una zona di non-ritorno, chiamata orizzonte degli eventi, dalla quale nulla può uscire. Ogni corpuscolo materiale, ogni forma di energia (ricordiamo la famosa relazione E=mc2; per cui materia ed energia sono equivalenti) che penetrano nella regione delimitata dall’orizzonte degli eventi sono catturati da questo famelico oggetto. Un ipotetico pianeta che si trovasse vicino ad un buco nero di massa simile a quella del Sole, ad una distanza di sicurezza, gli orbiterebbe intorno proprio come fa la Terra con il Sole. Se però la distanza di sicurezza dovesse diminuire fino all’ orizzonte degli eventi allora il pianeta sarebbe risucchiato dal buco nero e noi non potremmo più sapere che fine abbia fatto, perché non potremmo più osservarlo. Nessun segnale ci può provenire dai buchi neri. Incapaci di comunicare con l’esterno, sembrerebbero quindi destinati a restare per sempre affascinanti ipotesi di una teoria, inaccessibili ad ogni conferma sperimentale. Ma non è così. I buchi neri sono uno dei quei casi in cui la teoria è stata sviluppata in dettaglio prima che le osservazioni abbiano fornito una prova certa della sua correttezza. Fonte: http://www.scienzapertutti.it Buchineri cap-pag 3-5/14 4. Osservazione di un buco nero • Ma come è stato possibile osservare sperimentalmente i buchi neri se questi oggetti non emettono alcun tipo di luce o radiazione? Quando un buco nero ruota attorno ad un astro visibile, l’orbita della stella visibile risente della presenza del compagno oscuro (già Laplace lo aveva pensato quando ipotizzava i suoi “corpi oscuri”). Astronomi e astrofisici negli ultimi decenni hanno identificato molti sistemi binari nei quali uno dei componenti non è visibile; questo però non basta ad assicurarci che si tratti di veri buchi neri. Nel caso di un buco nero la teoria prevede che materia gassosa della stella visibile sia “risucchiata“ dal corpo celeste invisibile. Questo gas accelerato forma una grande spirale che termina nel buco nero come l’acqua di un lavandino che si vuota finisce, ruotando, nel buco di scarico. In questo processo il gas si riscalda a migliaia di gradi e, prima di scomparire oltre la linea dell’orizzonte, emette raggi X. Fu l’astronomo canadese C.T. Bolt dell’Università di Toronto che, studiando la compagna invisibile della stella denominata HDE226868 nella costellazione del Cigno , trovò per primo una emissione di raggi X con le caratteristiche previste dalla teoria dei buchi neri. Il diametro dell’orizzonte degli eventi era di circa 30 chilometri: questo valore indica una massa del buco nero di circa 5 volte quella del nostro Sole. Alcuni teorici fecero notare però che altri fenomeni meno drammatici (stelle di neutroni, quasar) avrebbero potuto essere all’origine di quanto osservato. Ma altre osservazioni si sono succedute e consolidate. Nel 1988 il grande astrofisico Hawking scriveva: “.. nel 1975 eravamo certi all’80% che la sorgente di raggi X del Cigno fosse un buco nero. Ora nel 1988 direi che siamo sicuri al 95%”. Oggi (nel 2003) l’esistenza di buchi neri ha accumulato ormai molti dati a favore. Nuove analisi hanno confermato che le osservazioni sono in accordo perfetto con le previsioni della teoria. Si sono aggiunti molti altri corpi celesti nella lista dei buchi neri grazie anche alle osservazioni rese possibili del telescopio spaziale Hubble . La domanda non è più se i buchi neri esistono o meno; la domanda è “quanti buchi neri ci sono nell’universo?”. Gli astrofisici ritengono ormai che il loro numero possa anche essere superiore a quello delle stelle visibili! Fonte: http://www.scienzapertutti.it Buchineri cap-pag 4-6/14 5. Buchi neri primordiali • Nel 1975 Stephen Hawking si domandò se potesse esistere un buco nero di massa molto piccola, tanto piccola da essere contenuto in dimensioni sub-nucleari. Cosa succede se un buco nero ha le dimensioni di un protone o di un neutrone? In questo caso oltre alle leggi della gravitazione entrano in gioco anche quelle della meccanica quantistica con effetti -come vedremo- sorprendenti. Il diametro dell’orizzonte degli eventi di un buco nero è proporzionale alla sua massa. Un buco nero di massa 5 volte la massa del nostro Sole ha un diametro di circa 30 km, quello di 10 volte la massa del Sole ha 60 km di diametro, quello di 100 volte ha 600 km di diametro. Non c’è limite superiore all' estensione di un buco nero. Stelle con massa 100 milioni di volte quella del nostro Sole possono dare origine a buchi neri con orizzonte degli eventi uguale a quelle del nostro intero sistema solare cioè con orizzonte degli eventi di circa un miliardo di chilometri. Esiste invece un limite inferiore alla massa di una stella che può evolvere in un buco nero ed è quello di 3 masse solari. Un buco nero delle dimensioni di un protone (10-15 metri) corrisponderebbe ad una massa molto più piccola: circa un miliardo di tonnellate, la massa cioè di una montagna sulla terra o quella di un piccolo asteroide. Questo tipo di buchi neri non potrebbe quindi formarsi dal collasso di una stella. Hawking ha però dimostrato che buchi neri di così piccola massa e dimensioni avrebbero potuto formarsi in condizioni particolari nella primissima fase della evoluzione dell’universo. Se realmente esistessero, sarebbe possibile identificare questi buchi neri primordiali? Strano a dirsi, diversamente dai buchi neri originati dalle stelle morenti, questi buchi neri, sviluppatisi quando l’universo era bambino, emetterebbero radiazione. Come è possibile se sappiamo che nulla può evadere dall’orizzonte degli eventi? La risposta viene dalla meccanica quantistica: le particelle emesse non provengono dall’interno del buco nero ma dal vuoto quantico. Il vuoto quantico e’ presente nell’effetto Casimir e può essere immaginato come un mare composto da tutte le particelle elementari e dalle loro antiparticelle. Coppie virtuali di particella-antiparticella (elettrone-positrone, quark-antiquark, coppie di fotoni o gravitoni - fotoni e gravitoni sono antiparticelle di se stesse -) si materializzano dal vuoto quantico e subito si annichilano tra loro. Immaginiamo ora cosa può accedere sulla superficie dell’orizzonte degli eventi di uno di questi buchi neri. Tra le tante coppie virtuali create e riassorbite dal vuoto quantico potrà accadere che, in qualche caso, una della particelle della coppia prima di annichilirsi con la sua compagna, sia attratta dalla forza gravitazionale dentro il buco nero, mentre l’altra se ne allontana. Le due particelle sono ora reali, una è irrimediabilmente catturata, l’altra ci apparirà “emessa” dal buco nero. Questo processo quantistico produce quindi una radiazione che viene emessa sulla linea dell’orizzonte degli eventi. Mentre i buchi neri originati dal collasso delle stelle sono la forma finale dell’evoluzione dell’astro e una volta formati dovrebbero esistere per sempre, questi buchi neri primordiali emettendo la “radiazione di Hawking“ si esauriscono in una lenta evaporazione che si conclude con una drammatica esplosione. Fino ad oggi, nessuna esplosione di buchi neri primordiali alla Hawking è stata osservata. Fu ancora John A.Wheeler , che nel 1962, intento a sviluppare la teoria delle particelle elementari, considerò i buchi neri come possibile punto di contatto tra la meccanica quantistica e la relatività generale. • Se Hawking si era spinto a considerare buchi neri dell’ordine della dimensione di un protone (10-15 metri). Wheeler si spinse molto oltre. Egli si rese conto che, quando si considerano intervalli di spazio inferiori a 10-35 metri avviene qualcosa di impensabile. Se un elemento di energia o di materia fosse più piccolo di questa estensione il suo campo gravitazionale, sebbene minuscolo, sarebbe tuttavia sufficiente a chiudere lo spazio su se stesso, avvolgendolo e isolandolo dall’universo osservabile. A questa scala geometrica (lunghezza di Wheeler-Planck spesso abbreviata come lunghezza di Planck nulla può essere osservato, lo spazio stesso è quantizzato. Lo spazio è quindi solo una rete infinitamente fitta di buchi neri. I buchi neri di grandi dimensioni, stato finale di una stella, o i buchi neri primordiali previsti da Hawking vengono creati dai processi di evoluzione dell’Universo. La loro identificazione e il loro studio possono guidarci nella comprensione di come l’universo viva, di come evolva, di come si trasformi. Alla lunghezza di Wheeler-Planck i mini-buchi neri sono l’Universo stesso: una griglia di quantizzazione nella quale materia, luce, energia, spazio e tempo perdono ogni significato • Se si misura il tempo a velocita’ diverse in luoghi diversi e si inserisce nell’equazione di Schrodinger si puo’ calcolare la funzione d’onda in istanti successivi conoscendo quella iniziale, ma parte della funzione d’onda si trova all’interno del buco nero nascosta ad un osservatore. Tali informazioni sono innumerevoli perche’ un buco nero di una data massa e una data velocita’ di rotazione puo’ formarsi da un numero elevatissimo di insiemi diversi di particelle perche’ e’ indipendente dalla natura del corpo dal cui collasso ha origine. Buchineri cap-pag 5-7/14 Figura: Misura del tempo nello spazio-tempo di un buco nero Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking Buchineri cap-pag 5-8/14 6. Fluttuazioni del vuoto • Tutti i campi devono avere un certo quantitativo di fluttuazioni del vuoto. Si possono considerare tali fluttuazioni come coppie di particelle virtuali che appaiono insieme in un punto dello spazio-tempo poi si separano tornano ad avvicinarsi e si annichilano a vicenda. Virtuali significa che le particelle non possono essere osservate direttamente ma che i loro effetti indiretti sono osservabili e concordano con le predizioni teoriche. Se e’ presente un buco nero una particella della coppia virtuale potrebbe cadervi dentro lasciando l’altra libera di sfuggire verso l’infinito. A un osservatore lontano le particelle in fuga appaiono irradiate dal buco nero. Buchineri cap-pag 6-9/14 Figura: Particelle virtuali vicino all’orizzonte degli eventi di un buco nero Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking Buchineri cap-pag 6-10/14 • Si e’ visto che piu’ piccola e’ la massa piu’elevata e’ la temperatura quindi qualsiasi radiazione quantistica proveniente da buchi neri con massa=2massesolari avrebbe T=0K quindi sarebbe interamente sommersa dalla radiazione cosmica di fondo residua del big bang che ha una T=2,7 K . Come si fa a dimostrare l’esistenza di tali radiazioni? L’inflazione ha causato un’espansione cosi’ rapida da impedire di farci raggiungere dalla luce di alcuni corpi: si e’ creata un orizzonte dell’osservatore che come quello di un buco nero divide la regione dove ci raggiunge la luce da quella dove non ci raggiunge la luce. Da questo orizzonte dovrebbero provenire radiazioni termiche che presentano un caratteristico spettro di fluttuazioni termiche le quali si sarebbero espanse con l’universo. Quando la scala della loro lunghezza ha superato le dimensioni dell’orizzonte degli eventi, l’espansione si e’ arrestata sicche’oggi le rileviamo come variazioni nella temperatura della radiazione cosmica di fondo Buchineri cap-pag 6-11/14 Figura: Orizzonte degli eventi di un osservatore Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking Buchineri cap-pag 6-12/14 7. Informazioni in un buco nero e p-brane Le radiazioni di un buco nero invece e’ stata dimostrata in maniera indiretta ma e’ • importante perche’ la radiazione sottrae energia al buco nero che perde inevitabilmente massa diventando piu’ piccolo. Cio’ significa che la temperatura aumenta e che la radiazione e’ sempre piu’ intensa finche’ il buco nero finisce per avere massa nulla…. E la funzione d’onda e le informazioni che contiene riguardo a quanto e’ caduto nel buco nero dove vanno a finire? Se le informazioni devono emergere occorre energia ma, nello stadio finale, non c’e’ energia. Se le informazioni devono sfuggire in continuazione con le radiazioni non si soddisfa l’ipotesi che nella coppia di particelle virtuali una cade nel buco e l’altra sfugge senza avere piu’ informazioni della sua compagna. Le informazioni allora devono andare perse!! Tale perdita di informazioni ha conseguenze importanti per il determinismo infatti anche se conoscessimo la funzione d’onda dopo la scomparsa del buco nero non potremo usare l’equazione di Schrodinger a ritroso per calcolarla prima della formazione del buco nero. Nell’esperimento EPR (Einstein, Podolsky, Rosen) un atomo radioattivo che decade ed emette due particelle di spin opposto, un osservatore che guarda la direzione dello spin di una, predice con sicurezza la direzione dello spin dell’altra. Ma in tale esperimento non e’ possibile inviare informazioni a velocita’ superiore della luce infatti non si puo’ decidere in base alle misurazioni che la particella abbia una certa direzione di spin e quindi stabilire la direzione dell’altra particella. Anche nella radiazione dei buchi neri le due particelle virtuali hanno una funzione d’onda che predice abbiano spin opposti, ma potremmo sapere la direzione della particella emessa solo se fossimo in gradi di osservare quella della compagna caduta nel buco nero! • Nel 1996 si decise di considerare il buco nero come qualcosa di composto da un certo numero di p-brane cioe’ fogli che si muovono nelle tre dimensioni spaziali e in altre sette dimensioni supplementari: il numero d’onde sulle p-brane e’ pari alla quantita’ di informazioni che dovrebbe contenere il buco nero. Se delle particelle colpiscono le brane, vi eccitano onde supplementari. Analogamente se onde che si muovono in direzioni diverse sulle p-brane si sovrappongono in un dato punto, producono un picco tale che un frammento di p-brana si stacca ed e’ emesso sotto forma di particella. Le p-brane assorbono ed emettono particelle come i buchi neri ma le informazioni su quanto cade nel buco nero sono immagazzinate nella funzione d’onda relativa alle onde sulle p-brane Buchineri cap-pag 7-13/14 Figura: p-brane e buchi neri Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking Figura: Particella su un buco nero e produzione di onde. Onde su un buco nero Fonte: L’universo in un guscio di noce Stephen Hawking • Le p-brane sono fogli nello spazio-tempo piatto sicche’ il tempo fluisce in avanti in modo regolare, le traiettorie dei raggi luminosi non sono curve e le informazioni nelle onde non vanno perse ma alla fine emergono dal buco nero nella radiazione emessa dalle p-brane. Secondo tale modello e’ possibile ussare l’equazione di Schrodinger per calcolare la funzione d’onda in tempi successivi. Buchineri cap-pag 7-14/14