1 Relazione del prof. James Organisti della Facoltà di Filosofia dell

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Relazione del prof. James Organisti della Facoltà di Filosofia dell’ Università Cattolica di
Milano: “La questione della fede: rapporto tra ragione e fede nell’orizzonte culturale post
moderno”
Bergamo, 14 ottobre 2008
Sintesi a cura di Maria Giovanna Fantoli
I PARTE
Martedì 14 ottobre 2008 si è svolto il primo dei due incontri con Don James Organisti, dedicati
all’approfondimento della questione della fede e di come essa possa essere “giustificata” oggi, in un
orizzonte culturale post moderno. Prima di affrontare direttamente l’argomento occorre fornirsi
degli strumenti necessari a comprenderne i diversi aspetti, ricostruendo in via preliminare il
percorso storico compiuto dalla teologia in relazione al rapporto fra fede e ragione.
Come premessa al suo intervento, Don James precisa di adottare il punto di vista della Scuola
Teologica dell’Italia Settentrionale che ha formulato negli ultimi trent’anni una teoria della fede, a
suo parere, più persuasiva di altre posizioni. Inoltre, sottolinea come i due incontri non potranno
esaurire l’argomento trattato, ma introdurre i problemi ad esso inerenti.
PREMESSA - Teologia e Magistero: un rapporto circolare
Per iniziare la trattazione occorre precisare il rapporto fra Teologia e Magistero. Le domande poste
su questo punto rivelano che occorre una chiarificazione. Nella Chiesa ci sono diversità di ministeri
per cui la funzione del Magistero è diversa da quella dei Teologi. Il Papa, infatti, parla seguendo
una preoccupazione pastorale e si rivolge a coloro che credono per l’edificazione della fede. La
Teologia, invece, si domanda se sia possibile rendere ragione della fede o, in altri termini,
“giustificarla”. La Teologia, pertanto, non può essere intesa come “commento” al Magistero, ma
deve essere riconosciuta nella sua specificità. Essa ricorre a varie fonti - fra le quali la Scrittura, il
Magistero stesso, la Tradizione, i Padri della Chiesa - così come, allo stesso modo, la Chiesa e il
Magistero si rivolgono alla Teologia per ricevere le indicazioni utili a chiarire una determinata
questione. A tal proposito esiste un’apposita Commissione Teologica Internazionale che si riunisce
per rispondere alle richieste del Papa in funzione dei temi che egli considera più urgenti in una certa
temperie storica. Per cui, per esempio, se il Santo Padre scrive una enciclica sulla Speranza, prima
chiede ai teologi di formulare le loro osservazioni in merito per poi rielaborarle secondo le modalità
che riterrà più utili per la crescita nella fede del popolo cristiano. Certo, il rapporto fra il Magistero
e la Teologia è circolare poiché l’uno si riferisce all’altra e viceversa. E’ bene però sottolineare che
non esiste Magistero senza Teologia, ma il Magistero non ha una sola teologia e, d’altro canto, la
stessa Teologia cambia ponendosi in rapporto critico con la cultura e la filosofia delle diverse
epoche storiche. La sua indagine può spaziare in tutte le direzioni, tenendo conto però di due limiti
invalicabili: il Magistero stesso e la Rivelazione. Su questa questione, del rapporto fra Magistero e
Teologia, in Italia abbiamo una situazione particolare poiché, mentre in Europa l’interlocutore della
cultura è il teologo, da noi è il Papa. In particolare, Giovanni Paolo II e, in misura minore,
Benedetto XVI hanno assunto – secondo Don James – un ruolo che, in realtà, è quello dei teologi.
Si pensi, per esempio, all’enciclica Fides et Ratio che è significativa proprio di questo stato di cose.
Alcuni teologi italiani, come Sequeri, Coda e Forte hanno tentato di dialogare con la cultura del loro
tempo, ma hanno avuto vita difficile.
1 – Il rapporto fede e ragione: dall’età classico- cristiana all’epoca moderna.
Dopo tale premessa Don James ricostruisce come si è svolto il rapporto fra fede e ragione a partire
dall’età moderna. Occorre partire pertanto dall’inizio della modernità che, arbitrariamente e solo per
facilitare il discorso, collochiamo intorno al XVI – XVII secolo. Per la verità, bisognerebbe risalire
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ancor più indietro( XIII – XIV secolo) e riferirsi a Duns Scoto e Ockham senza dei quali, per
esempio, non si può comprendere pienamente Cartesio. Comunque, ci si può limitare alle linee
essenziali domandandosi da che cosa nasca la questione moderna. Per porre adeguatamente i
termini del problema è necessario considerare il problema della verità, sul quale poi si verificherà
la rottura con il passato compiuta dal pensiero moderno. Infatti, l’età classica e il medioevo hanno
avuto, su questo punto, una stessa posizione. E cioè la verità è l’idea di una manifestazione, di
qualcosa che si manifesta. Nel passaggio fra età classica e Medioevo si sono verificati importanti
cambiamenti, che, tuttavia, non hanno mai messo in discussione tale idea. Per esempio, fino a
quando le opere di Aristotele non furono conosciute in Europa, attraverso la mediazione degli Arabi
che lo tradussero dal greco all’arabo e poi alla scuola di Toledo dall’arabo al latino, si pensava che
fare filosofia significasse riferirsi alla tradizione. Con Aristotele si comprese che la razionalità non è
solo ricevere una tradizione ma mettere in discussione ipotesi diverse.
All’interno di questo contesto filosofico, il primato è della Verità che si manifesta e che pone le
condizioni per formulare un discorso sensato tant’è che anche i procedimenti logici – secondo
quanto Aristotele dice nell’Organon – corrispondono al divenire della realtà e il pensiero dell’uomo
si modella su di essa. San Tommaso sintetizzerà tale concetto sostenendo che la verità è adaequatio
rei et intellectus. In altri termini, l’uomo può ricevere e adeguarsi all’essere, ma nel processo della
conoscenza non si sente fondamentale. Si può osservare, a margine di tale riflessione, che il
concetto di persona non si trova nell’antichità – si trova quello di essere razionale - a indicare la
concezione che l’uomo ha di se stesso.
2 – L’età moderna e il divorzio fede-ragione
Che cosa succede nell’epoca moderna? L’uomo, per diversi motivi, non considera più se stesso
come un ente fra gli enti, ma si sente il centro del mondo. Si pensi alla centralità e alla potenza del
Cristo Giudice della cappella Sistina. Da dove deriva tale centralità? In primo luogo dalla scoperta
della potenza conoscitiva della ragione umana che può spiegare la realtà cosicché la scienza che ne
deriva è espressione portentosa di tale capacità. In secondo luogo, si assiste all’”implosione” della
metafisica, che fino a quel momento aveva messo al centro Dio, ritenendo che il pensiero dell’uomo
– come si è detto – potesse coglierne la manifestazione. Nel ‘300 Ockham demolirà la convinzione
che Dio agisca e operi secondo una via razionale, quindi corrispondente alla natura razionale
dell’uomo. Questo è vero fino a un certo punto- secondo Ockham - poiché Dio può fare ciò che
vuole per cui non c’è più un rapporto immediato fra volontà e ragione. La metafisica, quindi, non
serve per arrivare a Dio e, d’altro canto, l’uomo è in grado di capire il mondo e se stesso
prescindendo completamente da essa. Le cose vanno avanti su questa linea per cui l’uomo non solo
si pone al centro dell’universo, ma si rende conto anche che non può esserci più una verità che sia
tale senza ricevere l’avallo dell’uomo stesso. Tale posizione sarà confermata e portata alle estreme
conseguenze dall’Illuminismo per il quale solo ciò che l’intelletto potrà misurare e comprendere
sarà vero. In altri termini, la ragione per essere autonoma e per giudicare della verità deve
prescindere dalla fede. Si realizza, dunque, una separazione radicale, un divorzio, tra fede e
ragione. Se da un lato la ragione acquista consapevolezza del suo potere, dall’altro la fede riduce
sempre di più la sua capacità conoscitiva a causa di una profonda crisi che sta vivendo,
sostanzialmente per due ordini di motivi: in primo luogo perché è messo in discussione il valore
della tradizione dal momento che è dimostrato che la tradizione non sempre dice la verità, inoltre le
guerre di religione sono state vissute come una conseguenza delle fedi contrapposte dalle quali,
quindi, occorrerebbe prescindere per costruire una convivenza civile basata sulla “tolleranza
razionale”. Ugo Grozio, celebre giurista del XVII secolo, propone infatti che la fede sia ridotta a
una scelta individuale tale da non condizionare la vita comune e da non pretendere di valere
universalmente.
In sintesi, il passaggio da una concezione della ragione classico-cristiana a una concezione moderna
è segnato dal cambiamento dell’idea di verità che diviene ora prestazione critica del soggetto
razionale. Il processo che porta alla rottura radicale dei rapporti fra fede e ragione si compie con
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Cartesio che, per altro, imposta la sua indagine filosofica proprio sulla preoccupazione di
salvaguardare la res cogitans, cioè l’anima, finendo invece per assestare un colpo decisivo alla
costruzione antica del sapere. Cartesio mette in atto un’ascesa a Dio che è di tipo antropologico
poiché passa attraverso il soggetto. E’ noto il suo ragionamento: occorre dubitare di tutto perché
non sono sicuro che quello che penso corrisponda alla realtà. Posso dubitare di tutto tranne che del
fatto di dubitare. Quindi tutti gli atti mentali che io compio mi attestano una sola cosa: che io sono.
Cogito ergo sum. Messa al sicuro la certezza della mia esistenza, mi chiedo come arrivare a Dio. La
risposta di Cartesio è appunto di passare attraverso il soggetto. C’è, infatti, nella mente un’idea che
non può essere derivata dall’uomo. E’ l’idea di infinito, l’idea di Dio che non essendo “costruita
dall’uomo”, è tuttavia presente in lui poiché posta da Dio stesso. Il passaggio ulteriore è affermare
l’esistenza di Dio che Cartesio postula “per disperazione” dal momento che, se non ci fosse quel
punto fermo, non si potrebbe fondare nessuna conoscenza e l’uomo non avrebbe alcuna certezza.
Quindi Dio diviene il garante del fatto che la nostra conoscenza corrisponda alla realtà; la
metafisica è un ponte attraverso il quale riguadagnare il reale.
Di lì a un secolo, l’Illuminismo più radicale non esiterà a disfarsi completamente di Dio dal
momento che l’uomo basta a se stesso per conoscere e vivere. E se Kant introdurrà di nuovo Dio, lo
farà ricorrendo all’idea di postulato della ragion pratica cioè un’affermazione che è come
presupposta da un altro fatto, in questo caso l’essere degno, da parte dell’uomo virtuoso che compie
il Bene, della felicità che è coronamento della virtù, La realizzazione della felicità avviene solo
nell’altro mondo, dunque solo postulando l’esistenza di Dio.
3 – La risposta della teologia alla modernità
Il panorama storico-filosofico che è andato delineandosi nell’età moderna – come si vede – di fatto
elimina Dio dall’esistenza dell’uomo. A maggior ragione la Rivelazione è superflua. Dunque la
filosofia ha scardinato la metafisica sulla quale si fondava la Teologia della Scolastica così il
binomio ragione- fede è stato radicalmente spezzato. La Teologia del ‘600- ‘700 deve far fronte a
una situazione di crisi come mai si era verificata. Essa risponde con la cosiddetta teologia
apologetica della quale si è detto “peste e corna”, ma che a una considerazione più ponderata
potrebbe apparire come, forse, unica soluzione possibile in quella temperie culturale. Si tratta,
sostanzialmente di una teologia controversistica che mira appunto a mostrare che la ragione
moderna non dice la verità e si autocontraddice. L’opera di Suarez (1548-1617), in particolare, si
fonda su un lavoro grandioso e puntuale con il quale egli passa al setaccio di una critica serrata la
filosofia moderna mettendone in luce limiti e errori. D’altro canto, si afferma che, poiché la
Rivelazione è soprannaturale, essa non può essere ridotta a categorie antropologiche. Pertanto la
fede è l’obbedienza a quelle verità che devono essere ricevute come tali e non certo sottoposte alla
capacità razionale dell’uomo.
Tale teologia ha come il medesimo esito che aveva stigmatizzato nella filosofia moderna. Da un
lato, infatti, separa la fede dalla ragione come faceva la cultura alla quale si contrapponeva,
dall’altro afferma che le verità soprannaturali devono essere accolte dalla volontà
indipendentemente dalla ragione.
In conclusione, il senso della fede non viene guadagnato mostrando ciò che la fede è, ma mostrando
che essa non è in contraddizione con la ragione e si alimenta dell’obbedienza alle verità della
Rivelazione.
II PARTE
4 - Il Concilio Vaticano I
Nella vicenda che è stata fino a qui delineata si inserisce un evento davvero epocale verificatosi alla
fine dell’ ‘800, il Concilio Vaticano I, che riprende la questione del rapporto fra ragione e fede.
Nella Costituzione Dogmatica “Dei Filius” del 1870 si raccolgono gli esiti di una riflessione alla
quale era stata dedicata la terza sessione del Concilio. La Chiesa si era accorta che le discussioni su
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questo importante tema potevano dare luogo a due rischi: il razionalismo cioè la pretesa di ridurre la
Verità della Rivelazione a antropologia e morale e il tradizionalismo o fideismo vale a dire
l’affermazione che la fede ha una sua evidenza e deve essere proclamata nella sua integralità.
Il Documento del Magistero introduce alcuni concetti fondamentali: in primo luogo si parla di
Rivelazione come di comunicazione di Verità da parte di Dio agli uomini (quindi non più come
comunicazione della Chiesa). Il linguaggio usato è importante: non si tratta più di una
manifestazione, ma di un movimento attraverso il quale Dio rivela qualcosa di se stesso. Quindi la
verità su Dio è Dio stesso che la rivela. Inoltre si afferma che la ragione ha la capacità di arrivare a
Dio e di dire Dio; infine si sottolinea la necessità che la fede renda conto della propria verità
auspicando la circolarità di fede e ragione. Nel documento del Concilio avviene anche un
interessante slittamento semantico per indicare l’atteggiamento con cui l’uomo deve porsi nei
confronti della Rivelazione: non si utilizza il termine “obbedienza”, ma “ossequio” a indicare
l’assenso dato a qualcosa di cui si comprende la verità.
5 – La risposta della Teologia al Concilio
Come la teologia di fine Ottocento recepisce le indicazioni della Chiesa? Sostanzialmente in due
modi: da un lato, infatti, la Teologia pensa le categorie nuove del Concilio utilizzando ancora lo
schema della teologia apologetica, dall’altro, la cosiddetta teologia dell’atto di fede non va a cercare
la giustificazione della fede al di fuori della fede stessa, ma analizza il dinamismo dell’atto di fede
per cui emerge l’idea che per mostrare la circolarità fra fede e ragione occorre giustificare la fede
per quello che essa è. A questa corrente teologica si possono ricondurre alcuni autori: alcuni sono
teologi altri non lo sono. Il nome più importante è quello del filosofo Maurice Blondel che nel 1894
pubblica il suo testo più importante: L’action. Secondo Blondel, la ragione non è solo una questione
di concetti da dedurre poiché la struttura dell’uomo è prima di tutto pratica. Questo non significa
che il concetto sia strumentale rispetto all’azione, ma che le idee nascono da una pratica. Anche
l’idea di Dio ha tale origine dal momento che ogni azione è trascendente rispetto a se stessa, cioè è
il relazione con un oltre che non si esaurisce nell’azione, ma ne è il presupposto. Anche nella
filosofia di Blondel l’idea di Dio nasce nel soggetto: e in tal senso è filosofia immanente. Tuttavia,
la condizione perché la Trascendenza sia dicibile è che l’uomo la possa incontrare, ma la incontra
da un punto di vista pratico.
In ambito protestante Karl Barth ritiene che occorra salvaguardare il principio della Trascendenza
poiché Dio si raggiunge solo se Egli si autocomunica all’uomo e l’unico modo per capire se l’uomo
risponde a questo appello è la fede.
6 - Il Concilio Vaticano II
In tutta la riflessione che precede il Concilio Vaticano I, nel Concilio stesso e nella teologia che
segue - sia essa teologia apologetica oppure teologia dell’analisi dell’atto di fede con Blondel che
afferma come non sia possibile prescindere dal principio antropologico declinato nel particolare
modo dell’azione - c’è qualcosa che non è mai stato messo a tema ed è il fatto che la Rivelazione è
storica.
A considerare in ambito teologico tale importante categoria è il Concilio Vaticano II con la Dei
Verbum. Non si dimentichi, infatti, che la filosofia, da Hegel in poi, aveva recuperato tale concetto.
L’Assoluto hegeliano si manifesta nella storia che è, appunto, funzione del concetto; nel Novecento
Heidegger sostiene che l’essere è tempo e che non vi è alcuna manifestazione della verità che non
sia tempo, anzi il tempo è l’evento dell’essere.
Dunque, la Teologia si accorge che c’è una distanza storica fra noi e la Rivelazione per questo la
storia entra a far parte della modalità propria con cui Dio si manifesta. Gesù, che è un fatto del
tempo e della storia, è la pienezza della Rivelazione poiché Dio si manifesta pienamente in Lui. La
Rivelazione è cristocentrica.
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Da questo presupposto che era sfuggito alla Teologia precedente nasce un nuovo modo di intendere
la fede: che non è più assenso a delle verità che vengono da Dio, ma è una relazione in cui l’uomo
risponde all’appello di Dio. Per la Teologia derivano due compiti:
- giustificare l’universalità della fede dal momento che immediata è l’obiezione di coloro che
si domandano come sia possibile che un fatto della storia valga universalmente;
- cercare la ratio fidei cioè la razionalità propria della fede.
In realtà, questi due compiti sono due facce di una stessa medaglia poiché la natura stessa della fede
è legata alla modalità di accesso dell’uomo alla verità.
In questo ambito si collocano due teologi il cui pensiero è esemplificativo della Teologia cattolica
del Novecento: Karl Rahner e Hans Urs Von Balthasar.
7 – La Teologia cattolica del Novecento: Karl Rahner e Hans Urs Von Balthasar
Rahner cerca, in primo luogo, di dare risposta al problema del soggetto. Egli ritiene che non ci sia
verità che l’uomo non sia in grado di comprendere. La sua è una teoria trascendentale nel senso che
occorre mostrare come l’uomo è fatto, quale é la sua struttura ontologica che, per Rahner, è
predisposta alla comunicazione che Dio fa di se stesso. In altri termini, l’uomo è aperto alla
Rivelazione, che tuttavia, pur essendo, in qualche modo, anticipata dall’uomo, non può essere
dedotta da lui. L’uomo può solo aspettare che la Rivelazione gli venga incontro in un punto preciso
del tempo e dello spazio. Quindi la fede non è qualcosa che si aggiunge alla ragione, ma ne fa
strutturalmente parte poiché – come si è già detto – l’essere dell’uomo è aperto a tale incontro. Da
questa riflessione nasce la teoria dei “cristiani anonimi” poiché per Rahner è cristiano anche chi
vive nell’attesa della Rivelazione e pratica la giustizia. In tal modo si dimostra l’universalità della
fede.
Quali sono le criticità che una tale posizione evidenzia?
C’è un duplice rischio: da un lato quello di far diventare la storia solo un’occasione, uno strumento
per la realizzazione dell’uomo, dall’altro lato, c’è il rischio di anticipare troppo della Rivelazione
nel momento trascendentale. Per cui, siccome l’uomo è fatto così, allora il salvatore assoluto deve
corrispondere a tale struttura antropologica. Invece, la Rivelazione è storica, pertanto, quando si dà,
è indeducibile.
Von Balthasar critica Rahner su un punto: per il teologo svizzero Rahner non ha messo bene in luce
l’universale concreto. E’ proprio perché Gesù è un fatto concreto che avviene in un certo tempo che
è anche universale. Per capire tale affermazione bisogna seguire von Balthasar nella sua riflessione:
egli sostiene che c’è nell’uomo una dimensione esperienziale che è molto simile alla fede e che è
comune a tutti gli uomini. Si tratta della dimensione estetica grazie alla quale si accede alla verità
perché Dio si comunica attraverso una figura con la quale percettivamente l’uomo entra in contatto.
L’alterità di Dio si manifesta nella singolarità di Gesù e l’uomo “sente” tutta la persuasività della
fede che si comunica attraverso la bellezza del fatto cristiano.
Anche in questo caso si possono rilevare alcuni rischi. In primo luogo, in questa circolarità estetica
occorre salvaguardare la distanza storica che c’è fra me e Gesù. Inoltre, la fede non è solo percepire,
ma decidersi per qualcuno, attestandone la verità perché la si comprende come tale. E’ importante,
dunque, introdurre un principio che è l’attestazione libera cioè l’adesione dell’uomo. Infatti, la
verità non è solo ostentazione della comunicazione di Dio, ma è accettazione libera dell’uomo. Tale
è l’evento cristiano. A tal punto che i Vangeli stessi sono la narrazione dell’evento della salvezza
fatta da testimoni. È importante questo! La narrazione, infatti, non è un accidente rispetto alla
sostanza della Rivelazione, ma ne è elemento portante poiché la Rivelazione può consistere solo se
suscita l’attestazione libera dell’uomo.
8 – La Teologia in epoca post moderna
Oggi può bastare la teologia espressa da Rahner e von Balthasar? No!
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Viviamo infatti l’epoca del post moderno con problemi filosofici completamente differenti da quelli
che abbiamo finora considerato. Innanzitutto abbiamo a che fare con una ragione che ha smesso di
credere nel soggetto. Per paura dell’ideologia e degli esiti tragici che essa, in forme diverse, ha
provocato, il “pensiero debole” ha eliminato l’idea stessa del soggetto sostituendola con il termine
individuo il cui orizzonte di senso e la cui ricerca si riducono a scelte minimaliste. Anche la verità è
qualcosa che riguarda un’opzione individuale sciolta da qualunque fondamento razionale.
All’individuo si chiede solo di superarsi in una vita più grande che è quella dell’umanità considerata
nel suo complesso.
La risposta più dignitosa e importante per tale pensiero è l’Ermeneutica (Gadamer, Ricoeur). Ne
parleremo la prossima volta poiché la Teologia è chiamata a trovare le strade migliori per
interloquire con il pensiero del nostro tempo.
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