Antitrust L’antitrust Matteo Richiardi 1 1 Dipartimento di Economia Università di Torino 5 maggio 2010 1 / 97 Antitrust Outline I 1 2 3 4 5 Le origini dell’antitrust L’antitrust nel mondo Background teorico Funzioni di costo Concorrenza perfetta Approcci Ipotesi Proprietà Il monopolio Ipotesi Implicazioni Strategie di prezzo Monopolista mono-prodotto Monopolista multi-prodotto Beni durevoli 2 / 97 Antitrust Outline II Altre distorsioni Distorsioni di costo Attività di rent-seeking Monopolio e innovazione Le origini del potere di mercato 6 La legislazione antitrust Gli Stati Uniti L’Europa Accordi restrittivi Abuso di posizione dominante Le operazioni di concentrazione 7 8 L’antitrust e le democrazie liberali Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft L’AGCM e il latte artificiale 3 / 97 Antitrust Il dilemma della democrazia liberale Ci sono dunque due confini che in una società democratica non dovrebbero essere mai valicati: uno è quello al di là del quale prende corpo il potere non legittimato dei privati, l’altro è quello al di là del quale diviene illegittimo il potere legittimo del pubblico. (Giuliano Amato, Il potere e l’Antitrust, pag. 9) 4 / 97 Antitrust Bibliografia Jean Tirole. Teoria dell’organizzazione industriale. Hoepli, Milano, 1991 Robert H. Frank. Microeconomia. Quinta edizione. McGraw-Hill 2010, capp. 11, 12. Giuliano Amato. Il potere e l’antitrust. Il dilemma della democrazia liberale nella storia del mercato. Il Mulino, Bologna, 1998 Odd Langholm (2006). Monopoly and market irregularities in Medieval economic thought: Traditions and texts to AD 1500. Journal of History of Economic Thought, 28(4): 395-411 Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Relazione annuale 2008. Michael W. Nicholson (2004). Quantifying Antitrust regimes. FTC Bureau of Economics Working Papers No. 267. Nicholas Economides (2001). The Microsoft Antitrust Case: Rejoinder. Journal of Industry, Competition and Trade: From Theory to Policy, 1(1): 71-79. Pierluigi Sabbatini (2008). The assessment of the impact of antitrust intervention by the Italian Competition Authority. De Economist, 156(4): 491-505 Oxera (2009). Quantifying antitrust damages. Towards non-binding guidance for courts. Study prepared for the European Commission 5 / 97 Antitrust Links Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato Commissione Europea DG Competition United States Department of Justice Antitrust Division United States Federal Trade Commission Bureau of Competition 6 / 97 Antitrust Le origini dell’antitrust Outline 1 2 3 4 5 Le origini dell’antitrust L’antitrust nel mondo Background teorico Funzioni di costo Concorrenza perfetta Approcci Ipotesi Proprietà Il monopolio Ipotesi Implicazioni Strategie di prezzo Monopolista mono-prodotto Monopolista multi-prodotto Beni durevoli Altre distorsioni Distorsioni di costo Attività di rent-seeking 6 Monopolio e innovazione Le origini del potere di mercato La legislazione antitrust Gli Stati Uniti L’Europa Accordi restrittivi Abuso di posizione dominante Le operazioni di concentrazione 7 8 L’antitrust e le democrazie liberali Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft L’AGCM e il latte artificiale 7 / 97 Antitrust Le origini dell’antitrust Un po’ di storia... Le origini della regolamentazione antitrust Nel suo libro La politica Aristotele condanna i monopoli, insieme all’usura, come esempio della dannosa arte della crematistica, opposta alla virtuosa arte dell’economia intesa come gestione della casa. Intorno al 50 DC fu promulgata la Lex Julia de Annona per proteggere con multe elevate il commercio del grano dai tentativi di oscacolare l’arrivo delle navi. Sotto l’imperatore Diocleziano (301 DC) fu emanato un editto che imponeva la pena di morte per chiunque avesse generato un danno all’erario, per esempio causando artificiosamente la scarsità di beni quotidiani sul mercato grazie all’accantonamento. L’imperatore del Sacro Romano Impero d’Oriente Zenone (483 DC) emanò un decreto contro i monopoli (privati e statali), che venne poi incluso nel capitolo De monopoliis nel codice di Giustiniano. In esso si stabiliva che i monopoli di stato venissero gestiti da ufficiali pubblici, appositamente remunerati allo scoopo. (Si veda Langholm, 2006) 8 / 97 Antitrust L’antitrust nel mondo Outline 1 2 3 4 5 Le origini dell’antitrust L’antitrust nel mondo Background teorico Funzioni di costo Concorrenza perfetta Approcci Ipotesi Proprietà Il monopolio Ipotesi Implicazioni Strategie di prezzo Monopolista mono-prodotto Monopolista multi-prodotto Beni durevoli Altre distorsioni Distorsioni di costo Attività di rent-seeking 6 Monopolio e innovazione Le origini del potere di mercato La legislazione antitrust Gli Stati Uniti L’Europa Accordi restrittivi Abuso di posizione dominante Le operazioni di concentrazione 7 8 L’antitrust e le democrazie liberali Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft L’AGCM e il latte artificiale 9 / 97 Antitrust L’antitrust nel mondo L’antitrust nel mondo Ranking dei diversi paesi per politiche anti-monopolistiche Fonte: Nicholson (2004) 10 / 97 Antitrust L’antitrust nel mondo L’Antitrust nel mondo Misure di input 11 / 97 Antitrust L’antitrust nel mondo L’Antitrust nel mondo Misure di input Fonte: Nicholson (2004) 12 / 97 Antitrust L’antitrust nel mondo L’Antitrust nel mondo Antitrust Law Index Fonte: Nicholson (2004) 13 / 97 Antitrust Background teorico Outline 1 2 3 4 5 Le origini dell’antitrust L’antitrust nel mondo Background teorico Funzioni di costo Concorrenza perfetta Approcci Ipotesi Proprietà Il monopolio Ipotesi Implicazioni Strategie di prezzo Monopolista mono-prodotto Monopolista multi-prodotto Beni durevoli Altre distorsioni Distorsioni di costo Attività di rent-seeking 6 Monopolio e innovazione Le origini del potere di mercato La legislazione antitrust Gli Stati Uniti L’Europa Accordi restrittivi Abuso di posizione dominante Le operazioni di concentrazione 7 8 L’antitrust e le democrazie liberali Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft L’AGCM e il latte artificiale 14 / 97 Antitrust Background teorico Funzioni di costo Funzioni di costo di breve e di lungo periodo Rendimenti di scala decrescenti C (q) AC (q) 15 / 97 Antitrust Background teorico Funzioni di costo Funzioni di costo di breve e di lungo periodo (segue) Rendimenti di scala crescenti C (q) AC (q) 16 / 97 Antitrust Background teorico Funzioni di costo Funzioni di costo di breve e di lungo periodo (segue) Nel breve periodo, in presenza di costi fissi, i rendimenti di scala sono sempre decrescenti. Nel lungo periodo tutti i costi sono variabili: i rendimenti di scala possono essere decrescenti, costanti o crescenti. Le curve di costo di lungo periodo sono l’inviluppo delle curve di costo di breve periodo. 17 / 97 Antitrust Concorrenza perfetta Outline 1 2 3 4 5 Le origini dell’antitrust L’antitrust nel mondo Background teorico Funzioni di costo Concorrenza perfetta Approcci Ipotesi Proprietà Il monopolio Ipotesi Implicazioni Strategie di prezzo Monopolista mono-prodotto Monopolista multi-prodotto Beni durevoli Altre distorsioni Distorsioni di costo Attività di rent-seeking 6 Monopolio e innovazione Le origini del potere di mercato La legislazione antitrust Gli Stati Uniti L’Europa Accordi restrittivi Abuso di posizione dominante Le operazioni di concentrazione 7 8 L’antitrust e le democrazie liberali Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft L’AGCM e il latte artificiale 18 / 97 Antitrust Concorrenza perfetta Approcci Concorrenza perfetta Approcci L’economia neoclassica ha guardato alla concorrenza perfetta da due prospettive diverse: Una prospettiva statica: l’impossibilità di ciascuna impresa di influenzare il prezzo di mercato (per esempio perchè le imprese sono cosı̀ piccole, rispetto alle dimensioni del mercato, che la loro presenza o assenza non modifica la struttura del mercato). Una prospettiva dinamica: la possibilità di sfruttare (e quindi eliminare) opportunità di arbitraggio ogni qual volta vi è una differenza di prezzo tra produttori del bene. Questa possibilità richiede libertà di ingresso e di uscita dal mercato. Tanto più veloce avviene l’arbitraggio, tanto più competitivo il mercato: si ha allora concorrenza perfetta quando vi è informazione perfetta sui prezzi delle diverse imprese e gli aggiustamenti sono istantanei. Queste due condizioni insieme determinano la legge del prezzo unico. 19 / 97 Antitrust Concorrenza perfetta Ipotesi Concorrenza perfetta Ipotesi 1 Beni omogenei 2 Insensibilità del prezzo di mercato al comportamento delle imprese (p.e. quando ciascuna impresa è “piccola” rispetto alle dimensioni del mercato) 3 Perfetta mobilità dei fattori produttivi, nel lungo periodo 4 Informazione perfetta sia per i consumatori che per le imprese 20 / 97 Antitrust Concorrenza perfetta Ipotesi Concorrenza perfetta Un benchmark molto stilizzato Quanto sono realistiche queste 4 ipotesi? Alcune implicazioni: Non ci sono costi di informazione. Non ci sono costi di transazione. Tutti gli attori economici agiscono indipendentemente. Essi comunicano tra loro solo attraverso il prezzo di mercato. Non ci sono comportamenti collusivi. Non esiste il tempo. Non esisto lo spazio. Non ci sono scorte. Non ci sono costi fissi. Non ci sono costi di distribuzione. Non ci sono economie di scala. 21 / 97 Antitrust Concorrenza perfetta Ipotesi Concorrenza perfetta Un benchmark molto stilizzato (segue) Non ci sono contratti di lavoro. Non ci sono sindacati. Non c’è controllo sulle risorse. Tutta la tecnologia è disponibile per chiunque: non ci sono brevetti, marchi registrati, copyright Non c’è ricerca e sviluppo. Non c’è pubblicità nè marketing. Non c’è fedeltà dei consumatori. Non ci sono interventi del governo. 22 / 97 Antitrust Concorrenza perfetta Proprietà Concorrenza perfetta Note E’ possibile, nel breve periodo, che un’impresa in concorrenza perfetta realizzi dei profitti. La concorrenza perfetta non è compatibile con rendimenti di scala crescenti. 23 / 97 Antitrust Concorrenza perfetta Proprietà Concorrenza perfetta Efficienza In assenza di esternalità e di beni pubblici, gli equilibri di concorrenza perfetta sono Pareto-efficienti (primo teorema del Benessere): non è possibile aumentare l’utilità di nessun soggetto senza che questo vada a scapito di qualcun altro; inolte, il valore sociale di una unità aggiuntiva del bene prodotto è inferiore al costo di produzione di quel bene. 24 / 97 Antitrust Il monopolio Outline 1 2 3 4 5 Le origini dell’antitrust L’antitrust nel mondo Background teorico Funzioni di costo Concorrenza perfetta Approcci Ipotesi Proprietà Il monopolio Ipotesi Implicazioni Strategie di prezzo Monopolista mono-prodotto Monopolista multi-prodotto Beni durevoli Altre distorsioni Distorsioni di costo Attività di rent-seeking 6 Monopolio e innovazione Le origini del potere di mercato La legislazione antitrust Gli Stati Uniti L’Europa Accordi restrittivi Abuso di posizione dominante Le operazioni di concentrazione 7 8 L’antitrust e le democrazie liberali Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft L’AGCM e il latte artificiale 25 / 97 Antitrust Il monopolio Ipotesi Il monopolio Ipotesi Ipotesi: 1 I beni prodotti dal monopolista sono dati (non cambiano, in particolare non cambia la loro qualità); 2 La loro qualità e le loro caratteristiche sono note ai consumatori; 3 Il monopolista conosce la funzione di domanda (ma non il prezzo di riserva di ciascun consumatore); 4 Il monopolista vende ciascuna unità del bene allo stesso prezzo (commitment to price). 26 / 97 Antitrust Il monopolio Implicazioni Il monopolio Distorsioni Sotto queste condizioni, il monopolio implica l’esistenza di distorsioni. Le prime che analizziamo sono le Distorsioni di prezzo. Differentemente dal comportamento di un’impresa concorrenziale, la cui domanda è infinitamente elastica (orizzontale), un’impresa che esercita potere di monopolio in un mercato può alzare il prezzo al di sopra del costo marginale senza perdere tutti i suoi clienti. A meno che l’impresa non riesca a discriminare perfettamente (si veda oltre), ciò implica un costo per la società (perdita di benessere, misurato come la somma del surplus del consumatore e del produttore*). (*) Attenzione: l’utilizzo del surplus come misura di benessere implica l’adozione di una funzione di benessere collettivo alla Hicks-Kaldor, che assume misurabilità e comparabilità delle preferenze individuali (funzioni di utilità cardinali, che coincidono con i guadagni e le perdite monetarie di ciascun individuo) e assegna pesi identici a tutti gli individui ! 27 / 97 Antitrust Il monopolio Implicazioni Il monopolio La perdita di surplus 28 / 97 Antitrust Il monopolio Strategie di prezzo Monopolio sul singolo prodotto (o monopolio su più prodotti, con domande indipendenti e costi separabili) Funzione di domanda: q = D(p) (1) max[D(p) − C (D(p))] (2) Funzione obiettivo : p Condizione di ottimo: (si assumono soddisfatte le condizioni del secondo ordine - attenzione, non è detto che sia sempre vero): MC = MR (3) o, equivalentemente: pm − C 0 1 = pm (4) (il primo termine è chiamato indice di Lerner, e rappresenta il markup sul costo marginale). 29 / 97 Antitrust Il monopolio Strategie di prezzo Monopolio Note Il monopolista vende ad un prezzo superiore a quello socialmente ottimale (che sarebbe pari al costo marginale). La distorsione di prezzo è maggiore quando l’elasticità è più bassa. Un monopolista sceglie sempre un prezzo tale per cui > 1. Se l’elasticità fosse superiore a 1, i suoi ricavi (e quindi, a fortiori, i suoi profitti), aumenterebbero al diminuire della quantità prodotta, e quindi all’aumentare del prezzo di vendita. Il prezzo di monopolio è una funzione non decrescente del costo marginale. 30 / 97 Antitrust Il monopolio Strategie di prezzo Monopolio Note (segue) Quanto è grande la perdita di benessere (surplus) per la società)? Harberger (1954): 0.1% del PIL. Altre stime: fino al 7% del PIL.] Tassazione ottima. In presenza di una tassa (sulla quantità), la funzione obiettivo del monopolista diventa: max[pD(p + t) − C (D(p + t)] p (5) L’aliquota ottimale (per la massimizzazione del surplus) è t ∗ < 0: bisognerebbe sussidiare il monopolista (in modo che aumenti la quantià prodotta). Ma chi paga il costo del sussidio? 31 / 97 Antitrust Il monopolio Strategie di prezzo Discriminazione di prezzo Finora abbiamo ipotizzato che il monopolista venda un bene omogeneo, ad un prezzo uniforme (stesso prezzo per tutti i consumatori, in tutti i periodi). Adesso vediamo cosa succede se abbandoniamo l’ipotesi di prezzo unico per tutti i consumatori. Vedremo in seguito cosa succede se consideriamo più beni, oppure la possibilità che lo stesso bene venga venduto dal monopolista a prezzi diversi in momenti diversi (quest’ultimo caso rileva solo se il bene in oggetto è un bene durevole) In generale, un prezzo uniforme per tutti i consumatori lascia del surplus a qualche consumatore (quelli con un prezzo di riserva più alto). A livello intuitivo, un produttore effettua discriminazione di prezzo quando vende unità diverse dello stesso bene a prezzi diversi, allo stesso consumatore o a consumatori diversi. La possibilità di discriminazione di prezzo è legata all’impossibilità di arbitraggio da parte dei consumatori: chi compra il bene ad un prezzo più basso non può rivenderlo ad un prezzo più elevato. 32 / 97 Antitrust Il monopolio Strategie di prezzo Discriminazione di prezzo (segue) Seguendo Pigou (1920), si distingue convenzionalmente in: 1 Discriminazione di prezzo del primo tipo, o discriminazione perfetta: il produttore vende ogni unità del bene al prezzo di riserva dell’acquirente. In questo modo il monopolista estrae tutto il surplus dei consumatori. Attenzione però: la discriminazione perfetta è Pareto-efficiente (la quantità prodotta è uguale a quella di concorrenza)! Es: aste. 2 Discriminazione di prezzo di secondo tipo: il produttore offre diversi “pacchetti” a prezzi differenti (es: abbonamenti alla palestra in fasce orarie diverse, sconti sulla quantità, ecc.), e i consumatori scelgono quale pacchetto acquistare (dividendosi cosı̀ in gruppi auto-selezionati). Il produttore discrimina sulla base di caratteristiche non osservabili dei consumatori (preferenze). Il monopolista in questo caso riesce ad estrarre solo una parte del surplus dei consumatori. 3 Discriminazione di prezzo del terzo tipo: il produttore discrimina sulla base di caratteristiche osservabili dei cosumatori (età, genere, occupazione, località, ecc.) che sono utilizzate come segnali per inferire la reale disponibilità a pagare (il prezzo di riserva). 33 / 97 Antitrust Il monopolio Strategie di prezzo Monopolista multi-prodotto Si consideri il caso di un’impresa multi-prodotto che ha potere di monopolio su tutti i beni che produce. Funzione di domanda: qi = Di (p) Funzione obiettivo: max[ p X pi Di (p) − C (D1 (p), · · · , Dn (p))] (6) (7) i Condizione di ottimo: (sempre assumendo che le condizioni del secondo ordine siano soddisfatte): X X ∂C ∂Dj ∂Di ∂Dj Di + pi + pj = (8) ∂pi ∂p ∂qj ∂pi i j j6=i per ogni i. 34 / 97 Antitrust Il monopolio Strategie di prezzo Monopolista multi-prodotto Domande interdipendenti, costi separabili C (q1 , · · · , qn ) = X Ci (qi ) (9) i L’equazione 8 diventa: X (pj − Cj0 )Dj ij pi − Ci0 1 = − pi ii Ri ij j6=i ∂D pi i Di dove ii ≡ − ∂p i (10) ∂D pi i Dj è l’elasticità proprio della domanda (positiva), ij ≡ − ∂p j è l’elasticità incrociata della domanda del bene j al prezzo del bene i, e Ri ≡ pi Di è il ricavo associato al bene i. 35 / 97 Antitrust Il monopolio Strategie di prezzo Monopolista multi-prodotto Domande interdipendenti, costi separabili (segue) Se i beni sono sostituti (∂Dj /∂pi > 0 per ogni j 6= i, o ij < 0): l’indice di Lerner per ogni bene i è maggiore dell’inverso dell’elasticità propria della domanda. Vi sono esternalità tra i diversi beni: un maggior prezzo di un bene ne incoraggia la sostituzione con altri beni (prodotti dalla stessa impresa). Se l’impresa fosse scomposta in divisioni, ciascuna autonoma nella produzione e nella vendita di un bene, queste sarebbero de facto concorrenti. Dunque, per eliminare le esternalità tra le diverse divisioni si dovrebbe dare a ciascuna divisione degli incentivi per aumentare il prezzo oltre a quello individualmente ottimale, con lo scopo di aumentare la domanda dei beni prodotti dalle altre divisioni. Se i beni sono complementi (∂Dj /∂pi < 0 per ogni j 6= i, o ij > 0): in questo caso è l’inverso dell’elasticità propria della domanda che eccede l’indice di Lerner per ogni bene i. Vi sono sempre esternalità tra i diversi beni, ma in questo caso di segno opposto: un minor prezzo di un bene incoraggia non solo il consumo di quel bene, ma anche il consumo degli altri beni prodotti dall’impresa. Ciascuna divisione dovrebbe allora vendere ad un prezzo più basso di quello individualmente ottimale, al fine di incoraggiare il consumo dei beni prodotti dalle altre divisioni. Si noti che in questo caso alcuni beni potrebbero addirittura essere venduti ad un prezzo inferiore al costo marginale (indice di Lerner negativo): su questi beni l’impresa realizza delle perdite, ma esse sono più che compensate dai maggiori profitti ottenuti sugli altri beni. Es: stampanti e toner. 36 / 97 Antitrust Il monopolio Strategie di prezzo Monopolista multi-prodotto Domande indipendenti, costi interdipendenti qi = Di (pi ) (11) Un’applicazione interessante: il learning-by-doing. Ipotizziamo un orizzonte temporale di 2 periodi solamente. qt = Dt (pt ) (12) C1 = C1 (q1 ) (13) C2 = C2 (q1 , q2 ) (14) con ∂C2 /∂q1 < 0: all’aumentare della produzione del bene 1 diminuiscono i costi per la produzione del bene 2. Funzione obiettivo: max [p1 D1 (p1 ) − C1 (D1 (p1 )) + δ(p2 D2 (p2 ) − C2 (D2 (p2 ), D1 (p1 )))] p1 ,p2 (15) 37 / 97 Antitrust Il monopolio Strategie di prezzo Monopolista con learning-by-doing (segue) Condizioni di ottimo: MR2 = MC2 (16) MR1 < MC1 (17) Nel primo periodo, il monopolista fissa un prezzo inferiore a quello che sarebbe ottimale in un’ottica uniperiodale; questo gli consente di vendere di più e di realizzare più learning-by-doing, abbassando i costi di produzione nel secondo periodo. 38 / 97 Antitrust Il monopolio Strategie di prezzo La congettura di Coase (monopolio con beni durevoli) La non deperibilità di un bene fa si che i beni offerti da un monopolista in due periodi differenti siano sostituti: il monopolista si fa competizione da solo. Ciò spinge i prezzi e i profitti verso il basso: Vendendo oggi, il monopolista riduce la sua domanda domani. A fronte di una minore domanda, il monopolista ridurrà domani il prezzo di vendita. Se i consumatori sono razionali, essi posporranno l’acquisto del bene in modo da approfittare dei minori prezzi. Qual è l’equilibrio, in questa situazione? Bisogna che la sequenza di prezzi offerti dal monopolista e le aspettative dei consumatori siano mutualmente compatibili: i consumatori si comportano allora razionalmente, data la strategia del monopolista, e la strategia del monopolista è ottimale, date le aspettative dei consumatori. L’equilibrio prende la forma di una sequenza di prezzi decrescenti. Il monopolista dunque fa discriminazione di prezzo nel tempo: serve prima i clienti più impazienti, ad un prezzo più elevato; quindi abbassa i prezzi e serve i clienti più pazienti. Questa flessibilità danneggia il monopolista, che sarebbe stato meglio se fosse riuscito ad impegnarsi fin da subito a mantere il prezzo invariato. Tale impegno non è però credibile perchè il monopolista, periodo dopo periodo, ha convenienza a violarlo! Quanto più rapidamente possono avvenire gli aggiustamenti di prezzo, tanto peggio è la situazione del monopolista. Nel caso limite in cui gli aggiustamenti possono (NB: possono, non necessariamente devono!) avvenire istantaneamente, si dimostra che tutti gli scambi avvengono nel periodo iniziale, ad un prezzo uguale al costo marginale (congettura di Coase! Dunque, una situazione uguale a quella di concorrenza. 39 / 97 Antitrust Il monopolio Strategie di prezzo La congettura di Coase Scappatoie E’ veramente cosı̀? Dal momento che molti beni sono, in certa misura, durevoli, questo sarebbe un risultato molto forte (il monopolista si fa concorrenza da solo), che ridurrebbe di molto le preoccupazioni relative a questa struttura di mercato. Leasing. Il monopolista potrebbe decidere di non vendere il bene durevole, ma darlo in leasing (di fatto, affittarlo). Anche il leasing però ha i suoi problemi (richiede un monitoraggio costoso dell’utilizzo del bene da parte del consumatore, al fine di preservarne l’integrità). Inoltre, il monopolista che dà il suo bene in leasing ha convenienza a fissare un prezzo per il canone di leasing che dipende dai consumi precedenti di ogni consumatore. Se i consumatori si comportano tenendo a mente questa convenienza, si può dimostrare che il monopolista realizza profitti maggiori se vende il bene, nonostante la congettura di Coase. Impegno a mantenere invariato il prezzo: affidamento del controllo a terzi, reputazione, money back guarantees, etc. Esistenza di rendimenti decrescenti di scala, che impediscono al monopolista di vendere troppo velocemente. Costi per aumentare la capacità produttiva (hanno un effetto simile). Esistenza di costi opportunità (alternative) per il monopolista: i consumatori potrebbero non essere certi che il monopolista continuerà a stare sul mercato. Arrivo di nuovi consumatori. Obsolescenza pianificata (innovazione di prodotto). 40 / 97 Antitrust Il monopolio Strategie di prezzo Monopolista di beni durevoli Il riciclaggio Si consideri il caso di un monopolista che produce un bene che può essere riciclato, con una struttura di mercato del prodotto riciclato concorrenziale: Alcoa aveva circa il 90% del mercato primario dell’alluminio. Era considerata un monopolio: nel 1945 la Suprema Corte degli Stati Uniti aveva proibito ad Alcoa espansioni ulteriori (acquisto di impianti bellici). Però: considerando anche il mercato dell’alluminio riciclato, la quota dell’Alcoa scendeva al 64%. E infatti il prezzo fissato da Alcoa era basso per un monopolista (secondo alcuni addirittura vicino al costo marginale). 41 / 97 Antitrust Il monopolio Strategie di prezzo Riciclaggio (segue) Se ipotizziamo che l’industria concorerenziale a valle (quella del riciclaggio) possa ottenere il materiale da riciclare gratuitamente (questa ipotesi semplifica di molto l’analisi: in questo caso infatti la domanda di alluminio “nuovo” non dipende dalle aspettative sul prezzo a cui il materiale potrà essere rivenduto all’industria del riciclaggio), si possono ottenere i seguenti risultati: Il margine di profitto (indice di Lerner) è più basso che in un’industria senza riciclaggio. Miglioramenti nell’industria del riciclaggio si traducono in una diminuzione delle rendite di monopolio. I consumatori beneficiano dall’esistenza del riciclaggio; però, al momento della sua introduzione essi incorrono in una perdita. Infatti, il monopolista riduce la quantità prodotta, quando viene introdotto il riciclaggio, per non alimentare troppo la concorrenza futura che gli verrà dall’industria del riciclaggio. La crescita complessiva del mercato aumenta il margine di profitto del monopolista. 42 / 97 Antitrust Il monopolio Altre distorsioni Distorsioni di costo Può capitare che il monopolista, in assenza di concorrenza, presti meno attenzione alle strategie di riduzione dei costi. Come mai? Non vale comunque il principio di massimizzazione dei profitti? Ci potrebbe essere un problema di governance: gli azionisti vogliono massimizzare i profitti, i manager potrebbero essere interessati anche ad altri obiettivi (X-inefficiency). Gli azionisti però potrebbero avere difficoltà a controllare le attività dei manager, causa esistenza di asimmetrie informative tra manager e azionisti. In concorrenza, la performance delle altre imprese fa da punto di riferimento yardstick competition. 43 / 97 Antitrust Il monopolio Altre distorsioni Attività di rent-seeking L’esistenza di potere di mercato si traduce in una rendita per il monopolista, che potrebbe fare gola a molti. I potenziali aspiranti al ruolo di monopolista cercheranno allora in tutti i modi di assicurarsi questa rendita, e per farlo potranno incorrere in spese, che in tutto o in parte ridurrano ex ante il valore del monopolio. Nel caso estremo tutta la rendita del monopolista verrà dissipata: se le attività di rent-seeking sono socialmente inutili (es: campagne stampa, regali ai politici, ecc.) alla perdita di benessere di monopolio, rispetto ad una situazione concorrenziale, bisogna aggiungere anche il valore della rendita. 44 / 97 Antitrust Il monopolio Monopolio e innovazione Monopolio e innovazione Secondo alcuni (l’inziatore di questa letteratura è Joseph Schumpeter) il monopolio favorisce l’innovazione (di prodotto). Questo a causa di: 1 Profitti positivi: in concorrenza infatti le imprese non avrebbero risorse per investrire in R&D. Inoltre, non avrebbero nemmeno la convenienza, dal momento che l’innovazione non darebbe luogo ad un aumento di profitti. 2 Dimensione maggiore: in monopolio ci sono meno imprese, più grandi. Se le attività di R&S sono caratterizzate da rendimenti crescenti, imprese più grandi, anche a parità di risorse dedicate alla R&S, sono più efficienti, e quindi più innovative. La presunta “incompatibilità” tra concorrenza e innovazione è però discutibile. Infatti, la concorrenza potrebbe anche giocarsi sulla capacità innovativa delle imprese: chi non innova fa profitti negativi e va fuori mercato; chi innova fa profitti nulli ma rimane dentro (es: industria dei pc). L’esistenza di una rendita di monopolio, anche se temporanea, associata all’introduzione di nuovi prodotti è invece un importante incentivo all’innovazione. Tale rendita può essere garantita da una tutela legale (brevetti), oppure originare dal tempo necessario alle imprese concorrenti per copiare l’innovazione. 45 / 97 Antitrust Il monopolio Le origini del potere di mercato Le origini del potere di mercato I monopoli nascono principalmente da barriere all’ingresso (Bain, 1956). Stigler (1968) sottolinea il ruolo delle asimmetrie di costo tra l’incumbent e i potenziali concorrenti, ma anche queste asimmetrie possono essere ricomprese nelle barriere all’entrata. Inoltre, anche costi di uscita dal mercato (ad esempio, costi di liquidazione del capitale immobilizzato) possono svolgere il ruolo di deterrante per l’ingresso di nuove imprese (e quindi, nuovamente, di barriere all’entrata). Sapere che esistono costi di uscita può fare sı̀ infatti che un’impresa decida di stare fuori da un mercato anche se su quel mercato si realizzano profitti positivi. Più in generale, le barriere all’entrata possono essere di tre tipo: (i) barriere economiche, (ii) barriere legali, e (iii) barriere strategiche, conseguenti ad un comportamento deliberato dell’incumbent. 46 / 97 Antitrust Il monopolio Le origini del potere di mercato Barriere economiche all’entrata A loro volta, le barriere economiche possono essere di diverso tipo: Economie di scala: costi marginali decrescenti e costi fissi di start-up elevati, creano un vantaggio per l’incumbent sui potenziali concorrenti. Quando i costi medi sono decrescenti si ha quello che si chiama monopolio naturale. Anche quando i costi medi non sono sempre decrescenti, la scala di produzione efficiente può essere tale da venir raggiunta da una sola impresa. Economie di rete: in molti mercati, un prodotto acquista tanto più valore quanto maggiore è il numero di utilizzatori, ad esempio per motivi di compatibilità tecnologica (es: Windows, Vhf...) oppure di marketing (iPod). Requisiti di capitale: il processo produttivo può richiedere un ammontare iniziale di capitale o dei costi fissi difficilmente sostenibili da un nuovo entrante. Superiorità tecnologica: un monopolista può essere più in grado dei potenziali entranti di acquisire, integrare ed utilizzare la migliore tecnologia disponibile, anche quando essa sia effettivamente disponibile per tutti. Controllo sulle risorse naturali o altri input fondamentali: a sua volta, questo potere di controllo può nascere da una posizione di monopsonio sul mercato degli input, o da altre condizioni che danno luogo ad un vantaggio sui potenziali concorrenti. Es: Perrier (acque minerali), De Beers (diamanti). Si noti che la presenza di beni che possono svolgere almeno parzialmente il ruolo di sostituti limita il potere di monopolio. Per converso, l’assenza di beni sostituti rende la domanda del bene relativamente inelastica e permette all’impresa monopolistica di estrarre una rendita maggiore. 47 / 97 Antitrust Il monopolio Le origini del potere di mercato Il monopolio naturale Si ha monopolio naturale quando vi sono rendimenti di scala crescenti (costi medi decrescenti) su un ampio range di quantità prodotta. Il range rilevante è quello in cui la curva dei costi medi sta sotto alla curva di domanda. Quando questo capita, è più economico per una singola impresa soddisfare tutta la domanda e il mercato evolverà naturalmente, in assenza di interventi regolativi del governo, verso il monopolio, a beneficio dell’impresa che per prima comincia a crescere e svilupparsi. Un monopolio naturale soffre delle stesse inefficienze degli altri monopoli. La strategia ottimale per un monopolista che opera in un monopolio naturale rimane quella di produrre fino ad una situazione in cui il ricavo marginale uguaglia il costo marginale. La regolazione dei monopoli naturali è problematica. Infatti, rompere un monopolio naturale può essere controproducente. Gli strumenti di controllo dei monopoli naturali più comunemente utilizzati sono la proprietà pubblica e la regolamentazione. La principale forma di regolamentazione è il controllo del prezzo, che viene normalmente fissato guardando ai costi di produzione cost pricing. Ad esempio, si può imporre un prezzo tale per cui la domanda incroci il costo medio: in questo caso i profitti sono uguali a zero. E’ però difficile stimare la funzione di costo medio del monopolista; inoltre, in presenza di un tale meccanismo regolativo gli incentivi per l’impresa a ridurre i costi sono limitati. 48 / 97 Antitrust Il monopolio Le origini del potere di mercato Barriere legali Le barriere legali sono connesse a qualche tutela legale che assicura una posizione monopolistica all’imprpesa. Esse possono essere motivate dalla volontà di regolare un monopolio originato da una barriera economica (vincolo tecnologico, disponibilità limitata degli input produttivi, economie di scala, economie di rete), oppue dalla volontà di assicurare una “ricompensa” (profitti positivi, per un tempo generalmente limitato) per attività considerate socialmente utili (ad esempio, attività innovative). licenze brevetti marchi copyright 49 / 97 Antitrust Il monopolio Le origini del potere di mercato Barriere strategiche Il modello di limit-pricing Le barriere strategiche possono includere la collusione (vietata), le attività di lobby (vietate o rigidamente regolamentate) o addirittura l’utilizzo della forza (ovviamente illecito). Ma possono anche essere più “innocue”. Il modello più noto di barriere all’entrate è il modello di limit pricing (Bain, 1956; Sylos-Labini, 1962; Modigliani, 1958). L’idea di fondo è che, in determinate circostanze, l’incumbent possa stabilire un prezzo sufficientemente basso da scoraggiare l’ingresso di nuovi concorrenti. Questa storia rimase controversa fino alle chiarificazioni di Spence (1977), Dixit (1979, 1980), e Milgrom e Roberts (1982). Milgrom e Roberts: il nocciolo dell’argomentazione è l’asimmetria informativa tra l’incumbent e i potenziali concorrenti. L’incumbent fissa un prezzo sufficientemente basso per segnalare (falsamente) che la domanda oppure i suoi costi marginali sono bassi, suggerendo una bassa profittabilità che scoraggia l’ingresso di nuovi concorrenti. 50 / 97 Antitrust Il monopolio Le origini del potere di mercato Barriere strategiche Il modello di limit-pricing (segue) Spence e Dixit: In un contesto caratterizzato da economie di scala, l’incumbent si impegna a mantenere una produzione elevata anche dopo l’eventuale ingresso di nuovi concorrenti, grazie ad investimenti in capacità produttiva. Questi investimenti (costi fissi) costituiscono dunque un vincolo per l’incumbent, in assenza del quale sarebbe razionale per l’incumbent ridurre la produzione, dopo l’ingresso dei concorrenti. Questo vincolo di capacità è in realtà vantaggioso, perchè rende credibile la “minaccia” di non ridurre la produzione. Il monopolista sceglie dunque la capacità ottimale: al fine di costruirla, fissa un prezzo più basso di quello di monopolio. La credibilità della minaccia di non ridurre la produzione, rafforzata dal prezzo relativamente basso, scoraggia i potenziali nuovi entranti. Questa teoria chiarifica l’analisi del monopolio naturale. Infatti, nella versione “naı̈ve” della teoria del monopolio naturale si assumeva che i potenziali concorrenti considerassero di entrare con una piccola capacità iniziale, e quindi con elevati costi. Ma nulla impedisce di entrare con una grande capacità. Se il mercato può supportare al massimo 1 impresa, nulla si può dire su quale sia questa impresa (non necessariamente l’incumbent, a meno di quanto previsto dal modello di Spence-Dixit). 51 / 97 Antitrust Il monopolio Le origini del potere di mercato La teoria dei mercati contendibili La presenza di una sola o di un numero limitato di imprese non vuol dire che non ci sia concorrenza. E’ la concorrenza potenziale (la minaccia di nuovi entranti) che limita il potere delle imprese presenti nel mercato. (Baumol et al., 1982). Molte delle barriere all’entrata viste sopra fanno in realtà riferimento alle condizioni che possono indurre i potenziali concorrenti a non entrare. Ma ciò che rileva non è la scelta di non entrare (l’esito), bensı̀ la possibilità stessa della scelta. Se vi è questa possibilità, il mercato è teoricamente aperto alla concorrenza. Più precisamente, un mercato si dice contendibile se la configurazione dell’industria è fattibile (la domanda uguaglia l’offerta e nessuno fa profitti negativi) e sostenibile (nessun concorrente potenziale potrebbe fare profitti entrando nel mercato e prendendo come dato il prezzo (fissato dal o dagli incumbent). 52 / 97 Antitrust Il monopolio Le origini del potere di mercato La teoria dei mercati contendibili (segue) Esempio: costi marginali costanti in presenza di costi fissi = costi medi decrescenti (monopolio naturale) 53 / 97 Antitrust Il monopolio Le origini del potere di mercato La teoria dei mercati contendibili (segue) Nell’esempio, c’è un’unica impresa nel mercato il prezzo viene fissato pari al costo medio l’impresa fa profitti nulli vi è efficienza tecnologica la situazione non è però di efficienza allocativa. Infatti ciò richiederebbe che il pezzo fosse uguale al costo marginale, ma in questo caso l’impresa farebbe profitti negativi. Per ottenere efficienza allocativa sarebbe allora necessario un sussidio pubblico (per coprire i costi fissi). Si noti che i monopoli naturali potrebbero non essere sostenibili. Ad esempio si consideri il caso di una curva dei costi medi ad “U”, e una curva di domanda che incontra la curva dei costi medi leggermente a destra del punto di minimo. In questo caso un’impresa potrebbe entrare con una produzione tale da avere un costo medio inferiore al prezzo, e fare profitti. L’ingresso di tale impresa spingerebbe fuori mercato l’incumbent, ma la configurazione continuerebbe a non essere sostenibile in quanto la domanda non uguaglierebbe più l’offerta. 54 / 97 Antitrust La legislazione antitrust Outline 1 2 3 4 5 Le origini dell’antitrust L’antitrust nel mondo Background teorico Funzioni di costo Concorrenza perfetta Approcci Ipotesi Proprietà Il monopolio Ipotesi Implicazioni Strategie di prezzo Monopolista mono-prodotto Monopolista multi-prodotto Beni durevoli Altre distorsioni Distorsioni di costo Attività di rent-seeking 6 Monopolio e innovazione Le origini del potere di mercato La legislazione antitrust Gli Stati Uniti L’Europa Accordi restrittivi Abuso di posizione dominante Le operazioni di concentrazione 7 8 L’antitrust e le democrazie liberali Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft L’AGCM e il latte artificiale 55 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’evoluzione della normativa antritrust Stati Uniti Lo Stato come arbitro. La libera impresa nasce come necessaria espressione di una economia per sua natura aperta, per la vastità degli spazi, e la mentalità pionieristica. Il potere centrale è troppo debole per imporre delle restrizioni e controllarne il rispetto. Si creano quindi poteri economici locali, che si rafforzano col tempo, fino a quando cominciano ad essere percepiti come ostacolo alla libertà d’impresa. L’antitrust americano porta su di sè sia il peso dell’efficienza economica, sia quello dell’efficienza democratica, l’una e l’altra identificate in pari misura nella dispersione del potere, tanto nel mercato che nelle istituzioni. Se i poteri concentrati di queste combinazioni sono affidati a un’unica persona, essi danno luogo a una prerogativa regale, incompatibile con la nostra forma di governo. (Sen. Sherman) 1890, Sherman Antitrust Act 56 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’evoluzione della normativa antritrust Europa Lo Stato come giocatore: interviene in prima persona dove “c’è bisogno”. La libertà di impresa nasce come reazione al rigido sistema di barriere tipico dell’economia medievale, ma si sviluppa in maniera incompleta per l’esigenza politica degli Stati-nazione di mantenersi entità autonome e distinte, tanto politicamente, quanto economicamente. In Europa il sogno jeffersoniano di una società di cittadini oreservati uguali dal frugale benessere che non diventa discriminante ricchezza e dall’esercizio di libertà che non diventa potere genera non la democrazia liberale, ma l’utopia comunista, punta estrema di una cultura ben più disposta di quella americana ad affidarsi allo Stato come Deus ex machina. Processo di unificazione europea: liberalizzazione e privatizzazione dei mercati. 1957, Trattato di Roma, titolo V, Norme comuni sulla concorrenza, sulla fiscalità e sul ravvicinamento delle legislazioni. A livello nazionale: Germania (1957), Gran Bretagna, (1968), Francia (1977, 1986), Italia (1990). 57 / 97 Antitrust La legislazione antitrust Gli Stati Uniti Le pratiche anticoncorrenziali negli Stati Uniti del XIX secolo Fine ’800: Le imprese si rafforzano nel nascente mercato nazionale e tentano di difendere la loro nuova posizione dominante facendo ricorso a: Pooling: una forma di intesa con la quale si affidava ad un “gestore” del pool la fissazione delle rispettive quote di mercato e dei margini di profitto. Viene messo rapidamente fuori legge (Interstate Commerce Act, 1887). Inoltre, si dimostra inefficace (incentivi al free riding. Trust: tradizionale istituto della common law tramite il quale si delegava ad un fiduciario, tra l’altro, il proprio diritto di voto nel consiglio di amministrazione di una società. John Rockefeller ne promuove l’utilizzo a fini anticoncorrenziali: attraverso scambi incrociati di deleghe di voto nei rispettivi CdA, gli amministratori di più società concorrenti decidevano insieme le politiche di prezzo e di mercato. 58 / 97 Antitrust La legislazione antitrust Gli Stati Uniti Lo Sherman Act 1890: Sherman Antitrust Act Art. 1: Divieto di collusione tra imprese, nella forma di accordi o contratti, a scapito dell’interesse pubblico (contratti in restrizione del commercio). Art. 2: Divieto di monopolizzazione, tentativo di monopolizzazione, e abuso di posizione dominante (cospirazioni in restrizione del commercio). Il bene protetto non era la concorrenza, bensı̀ la libertà di contratto, in caso di contratti in restrizione del commercio, e la libertà di terzi (protetta contro le pratiche di esclusione) in caso di cospirazioni in restrizione del commercio. Conseguenza: in assenza di vincoli ultimativi incidenti sulla futura libertà contrattuale dei contraenti o tali da non lasciare a terzi alcuna alternativa, le intese erano potenzialmente inattaccabili, in quanto esse stesse espressione della libertà contrattuale protetta. La chiave concettuale utilizzata per definire e distinguere i due ordini di intese e combinazioni era quella della ragionevolezza (Rule of Reason): erano quindi irragionevoli le intese restrittive e le combinazioni con effetti coercitivi, ragionevoli le altre. Il princio di fondo, fortemente radicato nella common law, era che, laddove l’economia, presunta in grado di correggere autonomamente le sue degenerazioni di minor rilievo, non subisce alterazioni rischiose per il bene comune, lo Stato non ha ragione di condannare le attività in essa svolte, intervenendo con restrizioni non necessarie. 59 / 97 Antitrust La legislazione antitrust Gli Stati Uniti Lo Sherman Act (segue) In realtà nei primi anni di applicazione dello Sherman Act la Corte Suprema Americana adottò una interpretazione molto rigida (qualunque contratto vuol dire qualunque contratto). Esempio: U.S. vs. Trans Missouri Freight Association (1897), relativa alle tariffe stabilite d’intesa da una associazione di (numerose) compagnie ferroviarie per il trasporto merci, dopo anni di intensa concorrenza. Le compagnie asserivano di agire nell’interesse stesso degli utenti ad avere tariffe ragionevoli, certe e stabiliin luogo delle sussultorie condizioni precedenti, ma la Corte du di avviso contrario. In seguito la Corte si orientò nuovamente verso un’applicazione più temperata. Esempio: Chicago Board of Trade vs. U.S. (1917), in cui fu accettato che il Board bloccasse sull’ultimo prezzo delle negoziazioni mattutine il prezzo di acquisto delle partite di grano acquistate nel pomeriggio a distanza e conseguentemente spedite a Chicago. La Corte in questo caso prese atto che il prezzo cosı̀ fissato rompeva anzi il ptere monopolistico di alcuni grandi acquirenti, che avevano fatto il buono e il cattivo tempo con i piccoli produttori di campagna: in questo modo si garantiva a questi ultimi di poter vendere il loro grano all’ultimo prezzo risultante dal mercato. Più che tornare ad un orientamento pre-Sherman Act però, la distinzione tra restrizioni ragionevoli e irragionevoli si ispira ora ad un retroterra totalmente nuovo e diverso, quello fornito dalla teoria economica neoclassica, che Alfred Marshall aveva contribuito a divulgare con il suo celebre manuale del 1890: la restrizione c’è, ed è lesiva delal concorrenza e del mercato, non quando l’intesa cancella la libertà contrattuale di qualcuno, ma quando consente al prezzo di collocarsi più in alto di quanto accadrebbe attraverso l’incontro non pregiudicato tra domanda e offerta. Di fatto però lo Sherman Act risultò poco efficace. Fu concretamente applicato solo nel 1911 contro la Standard Oil (dal suo smembramento nascono Exxon, Mobil, Chevron, Amoco e Comoco) e contro l’American Tobacco Company. 60 / 97 Antitrust La legislazione antitrust Gli Stati Uniti Il Clayton Act 1914: Clayton Act integra la normativa antitrust allargandola alle fattispecie di restrizione della concorrenza non ancora sottoposte al controllo federale non viene stigmatizzata la pratica che restringe la concorrenza in concreto, bensı̀ quella che si ritiene possa farlo in via anche solo presuntiva individua pratiche che possono portare a situazioni di monopolio: discriminazioni di prezzo, vendita condizionata, contratti in esclusiva, ecc. pone restrizioni per fusioni e acquisizioni attribuisce l’applicazione della normativa all’autorità giudiziaria e non a organi amministrativi 61 / 97 Antitrust La legislazione antitrust Gli Stati Uniti La Federal Trade Commission 1914: Istituzione della Federal Trade Commission, autorità garante della concorrenza. Vengono stabilite una dettagliata serie di norme contro la concorrenza sleale. 1938: alla FTC vengono assegnati anche compiti di tutela dei consumatori (pubblicità ingannevole, ecc.) esercita una generica funzione di vigilanza sullapplicazione della normativa antitrust investiga preventivamente le pratiche e gli accordi che si pensa possano realizzare restrizioni della concorrenza 62 / 97 Antitrust La legislazione antitrust Gli Stati Uniti Le ragioni dei piccoli A seguito della Grande Depressione degli anni ’30, l’applicazione della normativa antitrust deve però subire più di un cedimento, davanti alle politiche assistenziali pubbliche e alla promozione della cooperazione e dell’integrazione tra soggetti privati, volte a superare la crisi e a rimediare a quelli che furono definiti gli effetti dell’eccesso di concorrenza. Si struttura però, in questa rafforzata cornice normativa, la condotta antitrust americana: le intese orizzontali (i cartelli) sono usualmente vietate in quanto tali le intese verticali sono vietate qualora se ne ravvisa il potenziale effetto restrittivo, ovvero ogni volta esse pretendono di pregiudicare la libertà di rivendita del distributore o del dettagliante, a partire dalla libertà di prezzo l’atteggiamento davanti alle condotte prevaricanti, dalle pratiche discriminatorie ai tie ins, e alle concentrazioni (fusioni e acquisizioni) è sempre più collegato al potere di mercato dell’impresa che le adotta. Riferimento teorico (c.d. Scuola di Harvard): Teoria dell’organizzazione industriale e delle forme di mercato (identificazione delle barriere all’entrata come elemento qualificante del potere di mercato). Nella pratica, si assiste ad un progressivo ritorno, pur con basi teoriche nuove e più raffinate, ai principi di inizio secolo, con una aprioristica preferenza per le ragioni dei piccoli. 63 / 97 Antitrust La legislazione antitrust Gli Stati Uniti La scuola di Chicago Aaron Director, anni ’50 Perchè il tie in deve essere inteso come un mezzo per estendere il monopolio da un prodotto all’altro? Neppure il monopolista può permettersi un prezzo premiante sia sul prodotto legante che su quello legato. Perchè i prezzi predatori (sottocosto) devono essere vietati? Essi generano una perdita per il produttore, e andranno quindi rialzati, ristabilendo le condizioni per la concorrenza. Le barriere all’entrata sono sempre e realmente reali? Ad esempio, il costo dello stabilimento è per il nuovo entrante analogo a quello che a suo tempo aveva dovuto sostenere l’incumbent. Nuovi principi: “Restrittiva” è solo la pratica, concertata o unilaterale, che restringe la produzione di un bene o di un servizio, con conseguente possibilità di incremento del prezzo e con l’alternativa, per il consumatore, non di contare su nuovi, potenziali concorrenti, ma di doversi spostare su beni o servizi di seconda scelta. Il fine esclusivo dell’antitrust deve essere quello dell’efficienza Implicazioni: le intese verticali diventano quasi tutte spiegbili in termini di efficienza elevati gradi di concentrazione diventano tollerabili purchè il mercato sia effettivamente contendibile le intese orizzontali, potenzialmente difficili da spiegare in termini di efficienza, possono essere tollerate in quanto soggette, e quindi disciplinate, a free riding (“prima o poi i cartelli cadranno da soli”) 64 / 97 Antitrust La legislazione antitrust Gli Stati Uniti L’eredità della scuola di Chicago I punti avanzati sono rilevanti su un piano teorico, meno su un piano empirico, dove le frizioni, gli attriti e le imperfezioni dei mercati possono effettivamente tradurre in pratiche anticoncorrenziali i comportamenti “sdoganati” dalla Scuola di Chicago. Rimane però fondamentale la dimostrazione dell’efficienza non solo della concorrenza, ma anche di molte restrizioni della concorrenza, che fornisce un fondamento ben più solido e motivato del vecchio principio della “ragionevolezza” per le restrizioni consentite. Le idee della Scuola di Chicago hanno fornito sostegno al grande tentativo di “sterilizzazione” dell’antitrust operato dall’amministrazione Reagan negli anni ’80; a questa operazione si oppose però il Congresso, che riuscı̀ a difenderne la rilevanza. In conclusione, le armi dell’antritrust statunitense sono oggi sempre più sottili e sempre più bisognose di sostegni analistici; sono di lettura non facile per i non addetti ai lavori e colpiscono in un ambito più circoscritto di quanto facesero un tempo, anche se i colpi hanno ancora una loro efficacia. 65 / 97 Antitrust La legislazione antitrust Gli Stati Uniti L’Antitrust negli Stati Uniti non difende più la libertà di stare sul mercato dei piccoli produttori accetta sempre più spesso le ragioni di efficienza delle concentrazioni quasi in via presuntiva accetta quelle delle intese verticali ha dunque ridotto l’area delle illegalità “per se” 66 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’Europa La cultura industriale europea Una cultura concorrenziale era presente solo in Gran Bretagna. Sul continente, culture industriali stataliste, favorevoli alla cooperazione tra le imprese (nazionali) piuttosto che alla concorrenza reciproca. I cartelli erano visti come positive manifestazioni dell’associazionismo privato e della libertà di commercio: tanto più positiva se il cartrello operava in vista di obiettivi definiti di interesse pubblico e approvati da organi pubblici. Nella Francia dirigista, e nella Germania e nell’Italia a sviluppo ritardato, il protezionismo statale, l’impresa a conduzione pubblica, i diritti di esclusiva a imprese pubbliche e private, il consorzio tra imprese private erano prassi corrente. Nell’Italia fascista, per esempio, si prevedeva il consorzio obbligatorio tra tutte le imprese di un settore, dietro richiesta della maggioranza delle stesse. Nella Germania nazista la concertazione tra il governo e i cartelli privati fu uno dei veicoli del lavoro forzato e quindi dello sterminio dei campi di concentramento. 67 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’Europa La scuola degli Ordoliberali di Friburgo In questo contesto si aprı̀ la riflessione di un gruppo di economisti e di giuristi dell’università tedesca di Friburgo. Oggetto dell’analisi era da un lato il tema del potere privato non legittimato, dall’altra la necessità di dare una solida cornice istituzionale all’economia concorrenziale, per evitare sia l’eccesso di potere privato, sia le commistioni tra potere privato e potere pubblico, sia l’eccesso di potere pubblico. Emersero dunque con grande lucidità i presupposti fondanti e il conseguente dilemma dell’antitrust. Dopo la guerra, i frutti. Sia per l’influenza degli Ordoliberali di Friburgo, sia per l’influsso degli americani, fu la Germania il primo paese a dotarsi di una legge antitrust (1957). La legge fu un compromesso. L’iniziale proposta di legge (presentata dal Sen. Franz Bö hm, il più illustre giurista della Scuola) prevedeva la creazione di una autorità antitrust indipendente; l’autorità fu creata ma fu riservato al goveno il potere di adottare decisioni anche derogatorie, in nome dell’interesse nazionale. La legge si preoccupava di prevenire gli abusi del potere di mercato, ma lasciava anche spazio ai “cartelli di crisi” ed esentava interi settori dalla sua applicazione: banche, assicurazioni, trasporti, servizi di pubblica utilità. 68 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’Europa La nascita dell’antitrust in Italia Diverse proposte di legge, sulla scorta dell’esempio tedesco, furono discusse in Parlamento alla fine degli anni ’50, ma tutte senza esito. Una Commissione parlamentare sulla concorrenza, agli inizi degli anni ’60, stabilı̀ addirittura che in Italia non c’era bisogno di una legislazione antitrust, in quanto non erano presenti strozzature del mercato particolari. In realtà le strozzature c’erano, ma l’Italia reagiva in altro modo: rilanciando l’impresa pubblica nel settore petrolifero (l’Eni), nazionalizzando la distribuzione e la produzione di energia elettrica (Enel), attribuendo esclusive ad imprese a partecipazione statale per la costruzione e la gestione di infrastutture ad uso industriale e civile, moltiplicando gli incentivi finanziari e gli aiuti statali per ovviare ai ritardi territoriali nello sviluppo. E’ solo sulla spinta del processo di integrazione europea, in prossimità e in funzione del completamento del mercato unico previsto per il 1992, che anche in Italia viene infine adottata una legge antitrust. 69 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’Europa L’antitrust nella Comunità Europea La tutela della concorrenza appare tra i principi fondamentali del Trattato di Roma (istitutivo della CEE): Art. 81: vietate le pratiche di accordo che possono influenzare il commercio tra gli Stati e che hanno per obiettivo di prevenire, restringere o distorcere la competizione. In particolare: a) fissazione dei prezzi o di altre condizioni contrattuali, b) limitazione di produzione, mercati, innovazione, investimenti, c) spartizione dei mercati, d) discriminazione di trattamento, e) condizionamento ad obblighi che non hanno legame con l’argomento del contratto. Art. 85: permessi gli accordi a vantaggio dei consumatori. Art. 86: divieto di abuso di posizione dominante (imposizione di prezzi particolarmente gravosi, limitazione della produzione, vendite condizionate, vendite dissimili, ecc.). Anche fusioni e acquisizioni tese a creare condizioni di monopolio (1989). Art. 92: divieto di aiuti di Stato che falsino la concorrenza. Però: valore solo ancillare della concorrenza rispetto all’integrazione del mercato: questo però gioca a favore dell’antitrust nei confronti di comportamenti di impresa volti a segmentare il mercato europeo lungo linee nazionali, che vengono colpiti più duramente dell’antitrust americano interferenze, dall’esterno e dall’interno, di politiche diverse dalla concorrenza (politiche industriali e agricole) che ora comprimono, ora rendono più flessibili le regole dell’antitrust. Infine: affermazione della concorrenza come principio fondamentale a se stante (Trattato di Maastricht) assunzione della politica industriale a livello comunitario: non più porto franco della concorrenza, bensı̀ come opportunità di ristrutturazione dell’economia in chiave competitiva (liberalizzazione dei settori ancora coperti da diritti di esclusiva). 70 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’Europa Gli accordi restrittivi della concorrenza Europa vs. Stati Uniti Due approcci molto diversi: Sherman Act: quando vi è una ragione (di efficienza) le intese non sono neppure considerate restrittive (come nella common law, seppure sulla base di criteri diversi di ragionevolezza). Art. 85 Trattato: proibisce (comma 1) tutte le intese e le pratiche concordate che abbiano “per oggetto o per effetto” la restrizione della concorrenza nel mercato comune. In particolare, vengono indicati alcuni tipi di intese proibite: il price fixing, la divisione dei mercati, le condizioni discriminatorie, il controllo degli accessi. Però: Lo stesso articolo (comma 3) stabilisce che l’intesa è accettabile quando contribuisce al miglioramento della produzione o al progresso tecnico ed economico e il beneficio che ne deriva arriva ai consumatori, sempre che la concorrenza non sia eliminata e non ci siano restrizioni non indispensabili. In questi casi la Commissione ha il potere di non applicare l’Art. 85.1, sia con esenzione individuale, sia con esenzione generale, indicando cioè le categorie di intese (ed eventualmente i relativi mercati) a priori esenti, a specifiche condizioni (analiticamente indicate nei regolamenti di esenzione). Nonostante questo: La Commissione ha sempre interpretato questo Articolo in maniera molto rigida. Vengono di fatto escluse solo le intese irrilevanti (una comunicazione della Commissione del 1986 fissa al 5% della quota di mercato le intese irrilevanti, sempre che vi partecipino imprese con fatturato inferiore ai 300 milioni di ECU). 71 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’Europa Gli accordi restrittivi della concorrenza Gli accordi verticali La giurisprudenza europea è stata a lungo (e in parte è tuttora) più severa di quella americana. La presenza di concorrenza intermarche non sempre è ritenuta sufficiente a giustificare (o quantomeno a rendere irrilevanti) restrizioni di quella intramarca attraverso intese tra produttori e distributori o dettaglianti. La necessità della concorrenza intramarca è fondata sulla tutela non di un diritto individuale (la libertà di commercio) ma di un principio generale e oggettivo (la concorrenzialità del mercato in tutti i suoi segmenti). Principio superiore: la concorrenzialità nell’integrazione del mercato. Con il progredire dell’integrazione, tale principio diviene sempre meno pressante (configurando dunque anche in Europa un’evoluzione dallo sbocco simile a quella degli Stati Uniti: si veda ad esempio il regolamento di esenzione per il franchising (1988), che ammette le esclusive territoriali, purchè non assistite da divieti di importazioni parallele. Il principo di integrazione genera dunque sempre un’invalidità per se: quella delle restrizioni alle importazioni. L’esistenza di un cospicuo numero di regolamenti di esenzione, che coprono le attività industriali e commerciali sia settorialmente (le esclusive dei concessionari di auto) che trasversalmente (il franchising, gli accordi di specializzazione, le cessioni di licenze o di know how rinnova però il dubbio di una specificità europea: la presunzione di concorrenzialità o meno avviene per via di regolazione, e quindi potenzialmente in base a ponderazione con fini pubblici ulteriori alla tutela della stessa concorrenza, piuttosto che venire accertata di volta in volta in base allo scontro, sul mercato, tra libertà economiche nel loro concreto esercizio. E’ la mano del principe che traccia, tenendo conto degli interessi in gioco, il confine tra potere antitrust e libertà d’impresa. 72 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’Europa Gli accordi restrittivi della concorrenza Gli accordi orizzontali Come negli Stati Uniti gli accordi orizzontali sono trattati con il massimo rigore, soprattutto quelli che hanno per oggetto la fissazione di un prezzo comune o la spartizione del mercato tra i concorrenti. Tendenza iniziale della Commissione ad attribuire una sorta di invalidità “per se” a questi comportamenti, piuttosto che considerli puramente sintomatici. In alcuni casi viene addirittura considerato illegale il semplice scambio di informazioni, anche in assenza di un accordo, in quanto esso veniva ritenuto implicito. Progressivamente la Commissione si sposta su di una interpretazione sempre più presuntiva di questi comportamenti (in questo non sempre seguita dalla Corte di Giustizia) Quando l’integrazione è in gioco, non solo la Commissione, ma anche la Corte arrivano a ritenere invalidi comportamenti la cui efficacia restrittiva della concorrenza è quasi interamente presunta. Quando invece l’integrazione non è in gioco, cade il rigore delle quasi-presunzioni e la Corte, pretendendo una analitica dimostrazione fattuale della effettività della restrizione, si colloca al medesimo livello di severità della dottrina e della giurisprudenza statunitensi (peraltro rimasto — per questo genere di intese — piuttosto elevato). Con minore severità vengono invece trattate le intese orizzontali aventi ad oggetto iniziative industriali comuni: vale in generale l’esenzione; l’onere della prova ricade su chi vi si oppone, che deve allora argomentare contro la loro (presunta) efficienza. Es: joint-venture VW-Ford per la costruzione di una monovolume in Portogallo, a cui si oppose, senza successo, la Renault (che aveva allora il 50% del mercato con l’Espace). 73 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’Europa L’Abuso di posizione dominante Europa vs. Stati Uniti L’abuso, negli Stati Uniti, fa capo al tentativo di monopolizzazione e alla monopolizzazione, ed è quindi distinto dai comportamenti concorrenziali, pur aggressivi. Qualora riconosciuto, esso può dare luogo allo smantellamento (Clayton Act). In Europa, in assenza della sanzione dello smantellamento, la posizione dominante risulta in linea di principio accettata, quanto meno (dopo l’entrata in vigore del regolamento sulle concentrazioni) quando è raggiunta per crescita concorrenziale e non mettendo insieme più imprese. Avere potere di mercato non è dunque di per sè contrario alle regole della concorrenza. Chi tuttavia arriva ad averlo e si trova perciò in posizione dominante viene investito da una speciale responsabilità che gli vieta di tenere condotte consentite invece ai suoi concorrenti. Il potere di mercato viene cosı̀ caricato degli oneri e dei limiti che, secondo i principi generali più del diritto pubblico che di quello privato, gravano su chiunque sia titolato di un potere. Risultato. Negli Stati Uniti quel potere incontra, al di là di certi limiti, la sanzione ultima dello smantellamento; ma prima, gli atti di concorrenza aggressiva di chi lo detiene sono leciti quanto quelli di chiunque altro. In Europa invece il potere di mercato non è mai smantellabile, ma la speciale responsabilità di chi lo detiene lo sottopone a trattamenti antitrust anche più severi di quelli che incontra negli Stati Uniti o che incontra, anche in Europa, un normale concorrente. 74 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’Europa L’Abuso di posizione dominante Accertamento Ricognizione del mercato rilevante, sia sotto il profilo merceologico che sotto il profilo geografico. Risulta in posizione dominante, secondo la definizione ricorrente nella giurisprudenza europea, l’impresa che può tenere comportamenti indipendenti da quelli degli altri produttori o distributori. Sulla base di questa definizione può essere giudicata non in posizione dominante anche un’impresa con una quota di mercato dell’80%, se questa quota non è stabile, se non vi sono barriere all’ingresso o all’espanzione dei concorrenti, e/o se questi si stanno rivelando in grado di accrescere le loro rispettive quote. Di converso, può essere giudicata in posizione dominante anche un’impresa con una quota di mercato molto più bassa, anche al di sotto del 50%, se tale quota è di gran lunga superiore a quella degli altri concorrenti e questi non sono in condizione di crescere. Si può dunque anche qui ravvisare un connotato regolatorio, volto a tutelare la concorrenza debole nei confronti dei concorrenti più forti. 75 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’Europa L’Abuso di posizione dominante Tipi specifici di abuso Prezzo predatorio. E’ vietato sia negli Stati Uniti che in Europa. Negli Stati Uniti però, per ottenere il divieto è necessario dimostrare non solo che i prezzi sono inferiori ai costi, ma anche che chi li pratica ha la ragionevole aspettativa di recuperare le perdite in futuro. In Europa all’impresa in posizione dominante sono consentiti solo gli sconti trasparenti e legati ai volumi di vendita (discriminazione del secondo tipo); non quelli dati ad alcuni e non ad altri, a prescindere dai volumi di vendita (discriminazione del terzo tipo) e tanto meno quelli condizionati al rifiuto di vendere i prodotti dei concorrenti. Non c’è una comparabile giurisprudenza negli Stati Uniti. Allargamento ad un altro mercato. I comportamenti che l’impresa in posizione dominante sul primo mercato tiene sul secondo mercato sono sottoposti allo stesso scrutinio se tra i due mercati vi è contiguità, per cui l’impresa gode, in virtù della sua posizione sul primo mercato, di un vantaggio anche sul secondo. Caso dell’impresa monopolistica di una rete, che si mette in concorrenza con altre nell’offerta di servizi sulla medesima rete (infrastruttura essenziale): sia negli Stati Uniti che in Europa l’impresa non può opporre il rifiuto di trattare, nè apporre condizioni di accesso discriminatorie. Stesse considerazioni per il caso di un’impresa in posizione dominante nella produzione di una materia prima, che entra nella manifattura di beni prodotti con essa. Meno chiare le implicazioni quando l’allargamento avviene in orizzontale invece che in verticale. Prezzo eccessivo. Secondo l’Art. 86 del Trattato, si intende in questa fattispecia non solo quello praticato ai concorrenti nelle situazioni sopra descritte, ma anche quello praticato ai consumatori finali. Quest’ultimo caso però non è un problema di tutela della concorrenza (che eventualmente dovrebbe valutare i motivi per cui l’impresa può praticare un prezzo finale eccessivo): siamo di fronte alla regolazione pura e semplice dell’impresa in posizione dominante. 76 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’Europa L’abuso di posizione dominante Conclusioni Nel trattamento dell’abuso di posizione dominante si delinea la natura dell’antitrust europeo, in cui si contempora la tutela della concorrenza, nell’idea che il potere privato può divenire una degenerazione di libertà contro la quale devono essere garantite le libertà di tutti e la supremazia del potere statuale, che consente a questo di sovraordinarsi non solo alle libertà, ma anche ai poteri dei privati. 77 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’Europa Le operazioni di concentrazione (fusione e acquisizione) Le concentrazioni tra imprese sono disciplinate non dal Trattato, ma dal Regolamento no. 4064 del Consiglio (1989). Prima, le concentrazioni che portavano alla chiusura del mercato venivano trattate come abusi di posizione dominante (richiedeva però che una delle imprese protagoniste della concentrazione fosse già in posizione dominante). Si tratterebbe, a ben vedere, di una forma di smantellamento, sia pure de futuro. Le concentrazioni devono passare uno scrutinio molto severo: differentemente dagli Stati Uniti, in Europa le ragioni di efficienza possono addirittura essere viste come un tratto di pericolosità in più, tale da distanziare ancora di più gli eventuali concorrenti e da ergersi quindi come una barriera all’entrata. Nella prassi tuttavia, le quote di mercato tollerate raggiungono anche livelli molto alti — sino ai limiti della quasi totalità — quando vi sia, coerentemente con l’impostazione di Chicago, concorrenza potenziale. Dopo la prima contestazione, si apre generalmente tra le parti e la Commissione un vero e proprio negoziato sulle condizioni ottemperando elle quali risulti alleggerito il potere di mercato dell’impresa nascente in modo da sottrarla al divieto. Il criterio prevalente di valutazione è quello che individua nella chiusura totale del mercato il confine nel divieto delle concentrazioni. Su queste premesse, diviene possibile dare luce verde a concentrazioni di cui si sono negoziati alleggerimenti, grazie ai quali il potere di mercato non è sparito, ma è sceso al livello “governabile” attraverso la repressione degli abusi. 78 / 97 Antitrust La legislazione antitrust L’Europa L’antitrust contro i monopoli pubblici o contro i titolari di esclusive di fonte pubblica Art. 222 del Trattato: neutralità in materia di proprietà privata o publica delle imprese. Art. 90: esenzione dalle regole della concorrenza tutte le attività delle imprese gestrici di servizi pubblici che siano connesse e necessarie alla loro missione. Nonostante questo, i monopoli pubblici sono trattati dall’Antitrust europe con particolare severità: si arriva ad applicare, per via indiretta, addirittura lo smantellamento. La ragione sta principalmente, di nuovo, nel principio di tutela dell’apertura e dell’integrazione dei mercati nazionali. 79 / 97 Antitrust L’antitrust e le democrazie liberali Outline 1 2 3 4 5 Le origini dell’antitrust L’antitrust nel mondo Background teorico Funzioni di costo Concorrenza perfetta Approcci Ipotesi Proprietà Il monopolio Ipotesi Implicazioni Strategie di prezzo Monopolista mono-prodotto Monopolista multi-prodotto Beni durevoli Altre distorsioni Distorsioni di costo Attività di rent-seeking 6 Monopolio e innovazione Le origini del potere di mercato La legislazione antitrust Gli Stati Uniti L’Europa Accordi restrittivi Abuso di posizione dominante Le operazioni di concentrazione 7 8 L’antitrust e le democrazie liberali Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft L’AGCM e il latte artificiale 80 / 97 Antitrust L’antitrust e le democrazie liberali L’antitrust e le democrazie liberali L’antitrust trova il suo fondamento nelle radici delle democrazie liberali, secondo cui il potere economico privato, quando trascende alcuni limiti, in linea di principio, può essere considerato illegittimo; nei fatti, può essere foriero di effetti devastanti; impedisce all’economia di mercato di essere matrice di identità comune; genera perdite di benessere connesse in primo luogo proprio alle guerre che si fanno per conquistarlo. A ben vedere però, l’antitrust si pone sempre come atto politico di intervento nella società. La sua legittimazione ultima è il consenso che esso ottiene, a cui considerazioni di ordine tecnico possono solo apportare elementi di chiarificazione. 81 / 97 Antitrust Casi di studio Outline 1 2 3 4 5 Le origini dell’antitrust L’antitrust nel mondo Background teorico Funzioni di costo Concorrenza perfetta Approcci Ipotesi Proprietà Il monopolio Ipotesi Implicazioni Strategie di prezzo Monopolista mono-prodotto Monopolista multi-prodotto Beni durevoli Altre distorsioni Distorsioni di costo Attività di rent-seeking 6 Monopolio e innovazione Le origini del potere di mercato La legislazione antitrust Gli Stati Uniti L’Europa Accordi restrittivi Abuso di posizione dominante Le operazioni di concentrazione 7 8 L’antitrust e le democrazie liberali Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft L’AGCM e il latte artificiale 82 / 97 Antitrust Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft Il caso Microsoft United States v. Microsoft Premessa: MS è una delle società più profittevoli al mondo. 1991-1993: indagine della FTC, con esito nullo. 1993-1994: indagine del DOJ, conclusa con un accordo (1995) che prevedeva due restrizioni: restrizione orizzontale: alla MS veniva vietata la politica di vendita a costi marginali nulli, ma non gli sconti sulla quantità (non considerando che costi marginali nulli sono un caso speciale di sconti sulla quantità); restrizione verticale: alla MS veniva vietato il bundling contrattuale, non quello tecnologico (la MS poteva continuare ad espandarsi su altri prodotti). 1997: nuova indagine del DOJ, per violazione degli accordi del 1995 (vendita combinata di IE con Windows); 1998: la Corte d’appello dà ragione a MS. Il DOJ avanza una nuova azione legale, unitamente ai procuratori distrettuali di 20 Stati e dal Distretto della Columbia. L’accusa sostiene che MS ha incrementato le funzionalità di IE per marginalizzare Netscape e rimuovere cosı̀ una minaccia al monopolio di Windows. 2000: la Corte dà ragione al DOJ e ordina la divisione di MS in due società, imponendo severe restrizioni alla loro attività. MS presenta ricorso. Le Corti d’appello federali (a cui la Corte suprema aveva rimandato il caso) danno parzialmente ragione a MS, e rimandano il caso al DOJ per trovare rimedi più appropriati. 2001-2002: il DOJ e MS trovano un accordo. MS renderà accessibili alcune componenti di Windows alle società terze, e renderà completamente accessibile tutto il sistema operativo ad un panel di 3 persone appositamente designato. Nel 2004 le Corti d’appello approvano l’accordo, che inizialmente doveva durare 5 anni, e verrà rinnovato prima fino al 2009 e poi fino al 2011. 83 / 97 Antitrust Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft Il caso Microsoft Gli Halloween Documents sono una serie di memorandum confidenziali di Microsoft a proposito delle strategie relative al software open source e in particolare a Linux; identificavano il software open source e in particolare il sistema operativo Linux come la maggiore minaccia al dominio di Microsoft dell’industria del software e suggerivano modi per distruggere il progresso del software open source; queste strategie contraddicevano le dichiarazioni pubbliche fatte a questo proposito: invece di migliorare il prodotto offerto fino a superare la concorrenza, si suggeriva di impedire ai prodotti concorrenti di funzionare con quelli Microsoft, non per cause tecniche ma in modo specioso. 84 / 97 Antitrust Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft Il caso Microsoft Mercati con esternalità di rete Il mercato del sw si caratterizza per avere forti esternalità di rete: più grande il numero di acquirenti, maggiore l’utilità del bene. Questa caratteristica ha numerose implicazioni: 1 il mercato è del tipo “winner-take-most”, e produce naturalmente estrema diseguaglianza nelle quote di mercato e nei profitti; 2 quasta diseguaglianza non è necessariamente il frutto di condotte anticoncorrenziali da parte dell’impresa dominante; 3 tentativi esterni di modificare questa configurazione (per esempio imponendo quote più paritetiche) sono inutili: il mercato tende a riconfigurarsi in una forma simile; 4 tale configurazione di equilibrio è anche efficiente (e quindi l’intervento volta a modificarla inefficiente): la standardizzazione de facto è positiva, anche se prodotta da un monopolista; 5 l’arrivo di nuovi concorrenti non modifica la struttura del mercato: l’autorità antitrust non può dunque modificare la struttura di mercato rimuovendo eventuali barriere all’entrata; 6 la concorrenza per diventare impresa dominante è però molto intensa; 7 i costi all’entrata possono essere elevati, ma anche i benefici nel caso di successo: dunque, non è detto che ci sia una pressione minore per entrare nel mercato; 8 se una condizione per l’ingresso nel mercato è aver sviluppato un nuovo prodotto, non è detto che nel mercato vi sia meno innovazione; 9 anche l’incumbent può venire scalzato da un nuovo concorrente con un prodotto migliore (es: Google). 85 / 97 Antitrust Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft Il caso Microsoft L’accusa 1 MS ha il monopolio sul mercato dei sistemi operativi 2 MS ha messo in opera condotte anticoncorrenziali e accordi con i produttori di PC per difendere tale monopolio 3 MS ha tentato di monopolizzare anche il mercato dei browser internet 4 MS lega la vendita del suo browser IE alla vendita del sistema operativo Windows 86 / 97 Antitrust Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft Il caso Microsoft La difesa 1 la decisione della Corte d’Appello del 1998 permetteva a MS di aggiungere nuove caratteristiche e funzionalità a Windows; 2 MS è entrata nel mercato dei browser semplicemente perchè vede che il futuro è su internet, e non per difendere Windows; 3 MS è semplicemente impegnata in una dura competizione con Netscape, e non pratica alcuna attività anticoncorrenziale; 4 MS non ha il monopolio nei sistemi operativi 5 la concorrenza nel settore è molto intensa, e la posizione dominante di MS potrebbe venire scalzata in qualunque momento da un concorrente; 6 MS ha favorito e non ostacolato il processo innovativo nel settore; 7 i consumatori hanno beneficiato delle attività di MS. 87 / 97 Antitrust Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft Il caso Microsoft La decisione della Corte del 2000 1 il mercato rilevante per MS è quello dei sistemi operativi compatibili-Intel; 2 su questo mercato, MS ha effettivamente una posizione di monopolio; 3 questa posizione di monopolio è difesa da barriere all’entrata costituite dal grande numero di applicazioni che girano (esclusivamente) su Windows; 4 MS ha utilizzato questa posizione di vantaggio per ostacolare i concorrenti; 5 queste azioni della MS hanno danneggiato i consumatori; 6 molti comportamenti di MS hanno implicazioni anti-concorrenziali, ma MS non è responsabile di clausole di esclusione per aver ostacolato la diffusione di Netscape. 88 / 97 Antitrust Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft Il caso Microsoft Le barriere all’ingresso MS ha effettivamente sussidiato i produttori di applicazioni per Windows, fornendo funzionalità che rendono più semplice la scrittura di nuovi programmi; in una visione statica, che prende le applicazioni sw disponibili come date: le barriere all’ingresso ci sono; in una visione dinamica però, che considera che nuove applicazioni possono essere sviluppate anche per nuovi sistemi operativi, queste barriere non sono rilevanti. 89 / 97 Antitrust Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft Il caso Microsoft Il potere di mercato MS vende Windows ad un prezzo particolarmente basso: 40-60 $ contro un prezzo (statico) di monopolio stimato in 1.800 $. Per quale motivo? Per favorire la sua diffusione e beneficiare delle esternalità di rete? No, altrimenti dovrebbe alzare il prezzo una volta che Windows si sia diffuso. Perchè il sw è un bene durevole e dunque MS soffre della concorrenza da parte dei suoi vecchi prodotti (congettura di Coase)? No, perchè il cambiamento tecnologico è tale da rendere il vecchio sw obsoleto abbastanza rapidamente. Perchè il costo di piratare il sw è molto basso e dunque MS soffre della concorrenza delle copie illegali del suo stesso sw? No, perchè altrimenti dovrebbe essere basso anche il prezzo di Office. Perchè MS esercita il suo potere di mercato non alzando il prezzo, ma tentando di escludere i concorrenti? No, perchè è molto più profittevole sfruttare il proprio potere di mercato aumentando i propri ricavi (alzando il prezzo), piuttosti che aumentando i costi dei concorrenti. Perchè nel mercato vi è concorrenza, sia attuale che potenziale (sostiene MS). Perchè MS guadagna anche dalla vendita di applicazioni (Office), e per questo motivo tiene basso il costo dell’infrastuttura (Windows). 90 / 97 Antitrust Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft Il caso Microsoft Il tie in di Windows con IE Un’impresa in un mercato non concorrenziale riesce ad estrarre più valore se i mercati complementari in cui non partecipa sono più concorrenziali. Il valore può essere estratto una volta sola. Se l’impresa è monopolista su un mercato, e i mercati complementari sono concorrenziali, l’impresa non guadagna nulla cercando di monopolizzare i mercati complementari. Il punto è che il mercato dei browser non era concorrenziale, e Netscape aveva una posizione dominante su di esso. MS vuole partecipare a questo mercato i cui sviluppi ritiene profittevoli. MS è disposta a tenere bassi i costi delle infrastrutture (Windows e IE) pur di avere una quota importante del mercato di internet. 91 / 97 Antitrust Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft Il caso Microsoft Gli effetti per i consumatori I consumatori possono essere danneggiati da comportamenti potenzialmente anti-concorrenziali sotto tre aspetti: 1 maggior prezzo; 2 limitazione nella scelta, in termini di varietà e di qualità; 3 minor innovazione, che impoverisce il consumo futuro. In nessun caso (con l’eccezione, forse, del secondo punto) le condotte di MS sembrano aver danneggiato i consumatori. Al contrario, la scelta di MS di dare via IE a costo zero ha forzato anche Netscape a dare via il suo browser a costo zero (invece di 40-50 $), facendo cosı̀ risparmiare miliardi di dollari ai consumatori. 92 / 97 Antitrust Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft Il caso Microsoft Il breakup Il DOJ aveva argomentato in favore del breakup in quanto la soluzione meno dirompente per il mercato, ma in realtà sarebbe probabilmente stata la più dirompente. L’esempio della AT&T, divisa nel 1981 in una società di telefonia a lunga distanza e in 7 società regionali, non è comparabile. Le 7 società regionali rimasero regolate come monopoli locali fino al 1996. Il breakup avrebbe addirittura potuto portare ad un aumento dei prezzi. Infatti, la nuova società operante nel mercato dei sistemi operativi non avrebbe avuto più incentivo a tenere bassi i prezzi per estrarre valore dal mercato delle applicazioni. 93 / 97 Antitrust Casi di studio L’antitrust americano e Microsoft Il caso Microsoft L’indagine europea 1998: Sun Microsystems denuncia all’Antitrust europea MS per abuso di posizione dominante. 2000: a seguito di una informativa contenente le accuse rivolte dalla Commissione europea (commissario: Mario Monti) all’azienda americana, il “caso Microsoft” è ufficialmente aperto. 2001: l’accusa di posizione dominante è estesa al mercato dei software per lettori multimediali. Secondo l’Antitrust europea, Microsoft, abbinando il programma Media Player a Windows, avrebbe deliberatamente annullato la concorrenza nel settore. 2004: la Commissione condanna MS per abuso di posizione dominante. Secondo l’Antitrust europea il gigante dellinformatica non ha rispettato la normativa europea sulla concorrenza sfruttando il suo quasi monopolio per ottenere una posizione dominante sia nel mercato dei sistemi operativi dedicati ai server di fascia bassa sia nel mercato dei media player. MS è condannata a pagare una multa di quasi 500 milioni di euro. Inoltre viene obbligata a comunicare ai suoi concorrenti, entro 120 giorni, “informazioni sulle interfacce richieste” in modo da permettere l’installazione dei prodotti delle aziende concorrenti su PC con sistema operativo Windows. Inoltre, MS deve immettere sul mercato una versione di Windows priva di lettore multimediale (ossia Media Player). 94 / 97 Antitrust Casi di studio L’AGCM e il latte artificiale L’indagine AGCM sul latte artificiale per lattanti Il prezzo del latte artificiale in Italia era, alla fine degli anni ’90, circa doppio in Italia rispetto agli altri paesi europei. La produzione del latte è però centralizzata in pochi impianti europei, che servono — con standard di qualità simili — tutti i paesi. In Italia il mercato era molto concentrato, con poche grandi imprese che vendevano quasi esclusivamente attraverso canali distributivi con margini elevati (farmacie, negozi specializzati). Prima indagine, conclusa nel 2000: rivela l’esistenza di coordinamento delle imprese italiane nel boicottare la grande distribuzione. L’AGCM stabilisce una multa di 3 milioni di Euro (1% del fatturato del settore). Seconda indagine, conclusa nel 2005: evidenzia uno scambio collusivo di informazioni tra i produttori tramite la pratica del prezzo consigliato di vendita. L’AGCM commina una multa di 11 milioni di Euro. Terza indagine (2005), relativa all’acquisto da parte di Numico della rivale Mellin, che diventa cosı̀ la maggiore impresa del settore(con una quota di mercato del 25%). L’AGCM accetta la proposta di Numico, per avere il via libera all’acquisizione, di diminuire il prezzo di vendita nella grande distribuzione e pesso i negozi specializzati ed aumentare la quota venduta presso la prima. 95 / 97 Antitrust Casi di studio L’AGCM e il latte artificiale Le indagini AGCM sul latte artificiale L’evoluzione dei prezzi Fonte: Sabbatini (2007) 96 / 97 Antitrust Casi di studio L’AGCM e il latte artificiale Le indagini AGCM sul latte artificiale Gli effetti La prima indagine (2000) non ha alcun effetto. I motivi: nessun concorrente “di marca” si avvantaggia della possibilità di vendere attraverso la rgande distribuzione, e le mamme sono riluttanti a “provare” latte in polvere a basso costo, anche perchè negli ospedali si continuano a consigliare le marche tradizionali. La seconda e la terza indagine, quasi contestuali, sembrano avere un effetto maggiore. I produttori interrompono la pratica di indicare il prezzo suggerito di vendita addirittura prima della conclusione dell’indagine. La Numico abbassa i prezzi anche dei prodotti distribuiti nelle farmacie, cosa che non aveva promesso di fare. Il periodo è però caratterizzato dall’ingresso di due nuovi concorrenti sul mercato: la COOP, che vende solo attraverso la grande distribuzione, ed un marchio delle farmacie. La COOP lancia il proprio latte a 10 e, contro un prezzo medio del latte 1 di 20 e, e del latte 2 di 22 e. Anche il latte delle farmacie viene venduto a 10 e. Di conseguenza, anche i vecchi marchi abbassano i prezzi. Il motivo del cambiamento sembra quindi riconducibile più all’ingresso dei nuovi concorrenti che alle decisioni dell’AGCM. Contestualmente, aumenta la quantità di latte venduto: da 11,6 a 14,8 kg per neonato. L’aumento della quantità può essere sicuramente, almeno in parte, ascritto alla diminuzione dei prezzi. Ma va valutato positivamente o negativamente? 97 / 97