Nome file 120218SC_MDC1.pdf data 18/02/2012 Contesto ENC Relatore MD Contri Liv. revisione Trascrizione Lemmi Destino Eredità Freud Sigmund Interferenza Razionalità dell’agire Senso Weber Max SOCIETÀ AMICI DEL PENSIERO CORSO DI STUDIUM CARTELLO 2011-2012 IL REGIME DELL’APPUNTAMENTO. QUID IUS? IL TRIBUNALE FREUD (ANNO VI) 18 febbraio 2012 5° LEZIONE “eredità senso destino” 1 Intervengono Raffaella Colombo, Paola Sartori, Giacomo B. Contri Testo di riferimento Giacomo B. Contri e Altri, Istituzioni del pensiero. Le due ragioni2 MARIA DELIA CONTRI Introduzione Solo un cenno iniziale, come al solito. Vedete che sia in relazione all’incontro di oggi sia in relazione al tema della volta prossima3 viene citato Max Weber. Anzi, nei testi di riferimento è stato inserito un testo di Weber4 per l’interesse che la sua posizione ha rappresentato e continua a rappresentare. Weber è un contemporaneo di Freud, nasce un po’ dopo Freud e muore un po’ prima5, e continua ad essere un maestro malgrado non sia più citato come fonte di tante categorizzazioni, nessi, argomentazioni. Secondo Weber la caratteristica della modernità sarebbe la razionalità dell’agire secondo scopo, senza più fare riferimento a magia, religione e metafisica, intendendosi per metafisica la filosofia classica, la filosofia dell’Essere. Del resto è noto che Weber ha una formazione kantiana (di solito viene messo nei neokantiani); è uno che lavora dove si è consumato il passaggio dalla filosofia dell’essere – questo è un tema che sviluppa anche Agamben – alla filosofia del dover essere. Non è che poi col dover essere ci si ritrovi meglio perché il Superio è il dover essere. 1 Trascrizione a cura di Sara Giammattei. Testo non rivisto dall’Autore. Giacomo B. Contri e Altri, Istituzioni del pensiero. Le due ragioni, Sic Edizioni, Milano, 2010. 3 M.D. Contri, Per dovere d’ufficio, Testo introduttivo alla seduta del Corso del 17 marzo 2012, www.studiumcartello.it 4 M. Weber, Economia e società, 5 voll., Edizioni di Comunità, Milano, 1980 (con particolare riferimento ai paragrafi 15-26 del secondo capitolo del I volume, concernenti la divisione del lavoro nel regime capitalistico). 5 (Giacomo B. Contri, dalla sala, pronuncia una battuta che però non risulta dalla registrazione). 2 1 Di primo acchito nella formulazione di questa razionalità dell’agire secondo scopo – sono proprio i termini weberiani – sembra (per la verità non è tanto che sembri, è proprio così) di rintracciare una coincidenza con la forma della pulsione freudiana. Bisogna smettere di pensare che Freud sia un fiore nel deserto: ha un suo posto assolutamente eccezionale nella storia della cultura, ma è uno che lavora sui temi della sua cultura contemporanea. Questa è una cosa che dico proprio all’inizio del testo introduttivo, così come l’ho formulato per il sito6. Dunque, c’è una coincidenza con la forma della pulsione freudiana, la pulsione del moto – Freud parla di moto anziché di azione ma il concetto è lo stesso – umano come moto a meta. Una razionalità, ricostruisce Weber – è la stessa operazione che fa Freud –, debitrice della religione, e anche Freud ricostruisce l’antecedente religioso del moto a meta: perché questo tipo di razionalità è debitrice della religione? Perché l’idea di scopo dell’agire si configura innanzitutto come attingimento dalla grazia divina. Uno può crederci o no, comunque resta che è uno scopo. Successivamente, ci si rende conto – e questo è un tema che trovate anche in Freud, mi pare in Disagio della civiltà7 – che questa volontà di Dio, questo ente divino risulta ad un certo punto imperscrutabile, e anche Freud tira fuori l’imperscrutabilità e poi sottolinea che imperscrutabile per imperscrutabile, tanto vale lasciar perdere quest’idea di Dio perché se è imperscrutabile cosa te ne fai di qualcosa di imperscrutabile? Emerge sempre questa dimensione dell’occulto. La razionalità secondo scopo ha questi passaggi: l’attingimento dalla grazia divina, l’imperscrutabilità di questa benevolenza divina (che è poi tutto quello che Weber analizza e ricostruisce, tra le altre cose in Etica protestante e spirito del capitalismo8), il successo del lavoro. Il capitalismo nascerebbe proprio su questa base, in quanto il successo del lavoro sarebbe segno della grazia divina. Qui siamo un po’ allo stile degli aruspici, quelli che nel fegato degli animali leggevano il destino delle battaglie. Poi viene un terzo tempo: quindi attingimento della grazia divina, imperscrutabilità, lavoro come segno che Dio ti ama (siamo un po’ nella magia), poi fase del disincanto. In che cosa consiste il disincanto? È un disincanto rispetto a questa fede nella ricerca della grazia divina sia pure nella forma «Se mi van bene le cose nel mondo vuol dire che Dio mi ama». È un disincanto rispetto a questa fede non solo nella magia, ma anche nella religione e anche in questa metafisica che poi allude alla metafisica classica. È chiaro che quest’ultimo passaggio, il disincanto, libera ulteriormente l’imprenditorialità di chi intraprende in quanto lascia spazio, aumenta lo spazio del dominio della ragione, apparentemente restringe il dominio dell’occulto, dell’imperscrutabile. Tuttavia questa razionalità, che si affermerebbe e che sarebbe il destino della civiltà occidentale, quindi poi della civiltà tout court, è vero che aumenta lo spazio del dominio della ragione, ma a quale costo? Quello che io dico, sia pure in modo del tutto sintetico, è che il disincanto non sposta nulla rispetto alla fede in un ente imperscrutabile, dei cui interessi e desideri non si sa nulla, ovverosia la dimensione dell’occulto continua a restare. Il successo nel lavoro, nell’imprenditoria, il profitto resta semplicemente del tipo: «L’ho azzeccata». L’alone dell’occulto resta spalancato e del resto penso che voi tutti abbiate in mente questa cosa, io stessa posso averla pensata e poi in analisi spesso si sente dire che se è andata bene qualche cosa è perché l’ho azzeccata, oppure sono fortunato, se invece non l’azzecco sono sfigato. M.D. Contri, Per dovere d’ufficio, Testo introduttivo alla seduta del Corso del 17 marzo 2012, www.studiumcartello.it, pag. 2. 7 S. Freud, Il disagio della civiltà, (1930), OSF, Vol. X, Bollati Boringhieri, Torino. 8 M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, BUR, 1991. 6 2 Allora devo dire che nell’immensa mole del lavoro di Weber – tra l’altro è noto che era uno che soffriva di depressioni pesantissime, tanto è vero che è stato anche per quindici o venti anni lontano dall’insegnamento, lui che era professore universitario, perché era terrorizzato dall’idea di stare in pubblico; era un uomo che quando diceva quello che diceva, anzitutto parlava di sé nonostante tutto, nonostante fosse il teorico dell’oggettività e della avalutatività delle scienze, – da cui molto ho imparato, come credo tutti, e da cui continuo ad imparare c’è qualche cosa, un punto in particolare che mi stupisce, che non torna su queste vicissitudini della razionalità nella cultura occidentale e in fondo mondiale. Mi stupisco che Weber non metta seriamente a tema il difetto di universalismo di questa razionalità. Allora che cos’è una razionalità che non può diventare universale? Che tipo di razionalità è quella che come destino della cultura e dell’agire secondo scopo appartiene a chi intraprende ma che, costui, l’imprenditore non può che percepire come interferenza? La parola “interferenza” è di Weber; ho citato un passo per la volta prossima, tratto dal primo volume, dove parla della professione come interferenza disturbante: pensiero, desideri, idee di coloro che vengono invitati a collaborare con lui. Per cui l’imprenditore, in questo caso il capitalista, quello che mette su un’azienda, ha bisogno che quelli che vengono a lavorare non abbiano idee. L’interferenza consiste nel fatto che quelli che lui fa venire a lavorare come lavoratori, quelli che vengono a lavorare per lui, hanno le loro idee e quindi bisogna che l’imprenditore abbia una disponibilità piena – ho citato le pagine e le potete trovare – su quelli che vengono lì e del resto tutto il taylorismo, l’organizzazione del lavoro tayloristica in che cosa consiste? Consiste nel fatto che il lavoratore debba girare le sue viti o magari fare lavori anche complessi evitando di pensare perché altrimenti disturba il calcolo – ieri nel seminario di Il Lavoro psicoanalitico Vera Ferrarini ha citato quest’uomo che calcola tutto – e il capitalismo, dice Weber, nasce sulla possibilità del calcolo perfetto. Ora l’imprenditore non riuscirà ad avere successo nel suo lavoro se non calcola perfettamente le operazioni, l’operatività della sua azienda. Se il pensiero di coloro che collaborano con me è un ostacolo – non intendo uno che in azienda viene a rompere le scatole perché vuole fare solo di testa sua, dato che è chiaro che questo sarebbe un disturbo, ma non è di questo che si tratta –, il fatto che anzitutto il mio collaboratore stesso è lì ad agire in vista di un suo scopo, un suo profitto non è neanche ipotizzabile. Non è pensabile questa cosa, in quanto questa interferenza impedirebbe di calcolare il proprio moto verso il mio scopo. Quindi è una razionalità questa che non può per definizione che appartenere ad alcuni e che anzi esige che ci siano altri, la gran massa che non vi accede, perché l’imprenditore è uno in linea di massima e in un’azienda, per esempio, gli operai possono essere migliaia. Poi ci siano persone che ci si accomodano tranquillamente: l’uomo dei lupi è uno che ci sta comodo, in realtà non ci sta comodo perché poi è angosciato, sta male ecc., ma è uno che ha orrore per la vita indipendente. Quindi qui c’è l’avvenimento, l’accadimento di una razionalità che non può essere universalizzata per definizione, perché l’affermazione di una razionalità dei lavoratori non farebbe che diminuire la razionalità dell’imprenditore. Allora mi sono detta che in fondo questa costruzione weberiana – che peraltro lui non elabora, arriva fino a descriverla perfettamente – corrisponde all’idea freudiana di una civiltà che si regge su un nulla, su un vuoto, su un vuoto di legge. Si regge su tale vuoto perché se nello stesso tempo poniamo con Weber che si può affermare che l’ampliamento del dominio della ragione è un progresso e che però questo non può essere cosa per le masse, è evidente che c’è un vuoto di rapporto. Freud continua a sostenere questo quando dice che noi abbiamo una civiltà che si costruisce a discapito della pulsione, cioè a discapito dell’agire secondo scopo, ne deriva che è una civiltà che si regge su un vuoto, su un nucleo psicotico. Ho letto diverse cose di questo tipo: Bion stesso dice che c’è un 3 nucleo psicotico su questo vuoto. Mi veniva in mente ieri la citazione che Vera Ferrarini faceva di una lettera di Freud dove dice che trattando un caso bisogna sempre avere presente la grandiosità della vita psichica. Questo però devo dire che è uno degli aspetti della grandiosità della vita psichica: il fatto che ci sia un enorme edificio di civiltà costruito sul nulla, sul vuoto di idee circa il rapporto. Quindi c’è sì, quando Weber dice che la razionalità deve agire secondo scopo, un parziale toglimento della rimozione circa la pulsione che è agire a meta, c’è, però un toglimento parziale che non toglie, dice Freud, il punto di vuoto. Mi fermo qua. © Studium Cartello – 2012 Vietata la riproduzione anche parziale del presente testo con qualsiasi mezzo e per qualsiasi fine senza previa autorizzazione del proprietario del Copyright 4