Giacomo Guaraldi
Laureato in materie letterarie e docente specializzato per le attività di sostegno, è
responsabile del Servizio Accoglienza Studenti Disabili e con DSA dell’Università
di Modena e Reggio Emilia.
Enrico Ghidoni
Neurologo, docente di Neuroscienze presso i corsi di laurea in Fisioterapia, Logoterapia e Terapia Occupazionale dell’Università di Modena e Reggio Emilia,
attualmente è membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione
Italiana Dislessia.
Elisabetta Genovese
Laureata in Medicina e specializzata in Foniatria e Otorinolaringoiatria, è professore
associato di Audiologia e Foniatria presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.
€ 18,00
Guaraldi
Coduri
et al.
Genetica e ambiente nella dislessia
Il testo presenta il complesso rapporto tra genetica, basi neurobiologiche e fattori ambientali nei soggetti con DSA. All’interno della
cornice del neuro-sviluppo, quindi partendo da solidi dati di ricerca
clinica evidence based, e attraverso la testimonianza diretta di persone con DSA, si affrontano i disturbi specifici dell’apprendimento
rispetto alla scuola, l’università e il mondo del lavoro, che strutturano ancora i percorsi educativi e formativi sul deficit piuttosto che
sulle potenzialità dei ragazzi. È ormai chiaro infatti che i DSA hanno
una componente genetica molto importante che però è fortemente
condizionata dall’ambiente nel quale lo studente si trova a interagire.
Occorre, pertanto, che il contesto sia «inclusivo» e non diventi un
ostacolo per la crescita formativa e motivazionale.
La scuola e l’università, in primis, devono impedire la stigmatizzazione dei soggetti con DSA, favorendone l’autonomia e accrescendone
l’autostima, offrendo le strategie migliori per potenziare il loro apprendimento, perché raggiungano competenze e abilità adeguate per
entrare a pieno titolo nel mondo del lavoro e nella società.
Giacomo Guaraldi, Enrico Ghidoni
ed Elisabetta Genovese (a cura di)
Genetica e ambiente
nella dislessia
Strategie per favorire l’apprendimento
a scuola e all’università e l’ingresso
nel mondo del lavoro
Giacomo Guaraldi
Laureato in materie letterarie e docente specializzato per le attività di sostegno, è
responsabile del Servizio Accoglienza Studenti Disabili e con DSA dell’Università
di Modena e Reggio Emilia.
Enrico Ghidoni
Neurologo, docente di Neuroscienze presso i corsi di laurea in Fisioterapia, Logoterapia e Terapia Occupazionale dell’Università di Modena e Reggio Emilia,
attualmente è membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione
Italiana Dislessia.
Elisabetta Genovese
Laureata in Medicina e specializzata in Foniatria e Otorinolaringoiatria, è professore
associato di Audiologia e Foniatria presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.
€ 18,00
Guaraldi
Coduri
et al.
Genetica e ambiente nella dislessia
Il testo presenta il complesso rapporto tra genetica, basi neurobiologiche e fattori ambientali nei soggetti con DSA. All’interno della
cornice del neuro-sviluppo, quindi partendo da solidi dati di ricerca
clinica evidence based, e attraverso la testimonianza diretta di persone con DSA, si affrontano i disturbi specifici dell’apprendimento
rispetto alla scuola, l’università e il mondo del lavoro, che strutturano ancora i percorsi educativi e formativi sul deficit piuttosto che
sulle potenzialità dei ragazzi. È ormai chiaro infatti che i DSA hanno
una componente genetica molto importante che però è fortemente
condizionata dall’ambiente nel quale lo studente si trova a interagire.
Occorre, pertanto, che il contesto sia «inclusivo» e non diventi un
ostacolo per la crescita formativa e motivazionale.
La scuola e l’università, in primis, devono impedire la stigmatizzazione dei soggetti con DSA, favorendone l’autonomia e accrescendone
l’autostima, offrendo le strategie migliori per potenziare il loro apprendimento, perché raggiungano competenze e abilità adeguate per
entrare a pieno titolo nel mondo del lavoro e nella società.
Giacomo Guaraldi, Enrico Ghidoni
ed Elisabetta Genovese (a cura di)
Genetica e ambiente
nella dislessia
Strategie per favorire l’apprendimento
a scuola e all’università e l’ingresso
nel mondo del lavoro
Indice
7
Introduzione (Giacomo Guaraldi)
PRIMA PARTE Genetica, neurosviluppo e neurobiologia
CAP. 1 Dieci anni di genetica della dislessia (Silvia Paracchini)
13
21
CAP. 2 Genetica ed epigenetica: destino, ambiente
e formazione (Ernesto Burgio)
41
CAP. 3 Neuroimaging nella dislessia (Daniela Perani)
67
CAP. 4 Neurosviluppo e basi neurobiologiche della dislessia
(Joan Blom)
SECONDA PARTE Esperienze di vita, nella scuola
e in università
CAP. 5 Il valore aggiunto dell’insegnante dislessico
73
(Filippo Barbera)
85
CAP. 6 Vittoria e Filippo si raccontano
(Vittoria Hayun e Filippo Gerli)
91
CAP. 7 SuperReading: corso di lettura veloce per studenti
con DSA (Francesca Santulli, Melissa Scagnelli e Annalisa
Oppo)
111CAP. 8 Studenti con DSA all’Università di Modena
e Reggio Emilia (Giovanna Lami)
TERZA PARTE Il mondo del lavoro
125CAP. 9 La persona con DSA nel mondo del lavoro
(Sara Bocchicchio e Fulvio Bovard)
133CAP. 10 Punti di forza per il successo lavorativo
(Vittorio Melotti)
Introduzione
Giacomo Guaraldi
Negli ultimi anni si è parlato spesso di Disturbi Specifici di Apprendimento
(DSA) e di come sia necessario creare un «ambiente inclusivo» per favorire
l’apprendimento e la crescita di autostima degli studenti stessi, ma tali concetti
sono stati tenuti sempre separati: gli studi neurologici sui DSA da una parte e
i diversi ambienti (scolastico, sociale e lavorativo) dall’altra.
Il presente testo, al contrario, intende costruire un vero «ponte» tra queste differenti nozioni e desidera sottolineare il complesso rapporto che si crea
tra genetica, basi neurobiologiche e fattori ambientali nei soggetti con DSA.
Partendo da solidi dati di ricerca clinica evidence based, all’interno del
processo di neurosviluppo e soprattutto attraverso la diretta testimonianza di
soggetti con DSA, si affronta il problema rispetto ai diversi «ambienti» in cui
essi si trovano a vivere, in primis quello della scuola, ma anche dell’università
e del mondo del lavoro.
Dagli studi riportati nel testo si deduce che i soggetti con DSA hanno una
componente genetica molto importante che, tuttavia, è fortemente condizionata dall’ambiente nel quale lo studente si trova a interagire. Occorre, pertanto,
creare un ambiente «inclusivo», accogliente, che tenga conto delle differenze
e permetta agli studenti di affermarsi e di esprimere al meglio le proprie potenzialità, secondo quanto sottolineato dall’ICF (International Classification of
Functioning, Disability and Health). Un ambiente «inclusivo» è un ambiente
accogliente, che tiene conto delle «caratteristiche» della persona stessa, senza
8
Genetica e ambiente nella dislessia
creare (come a volte succede) un ostacolo per la crescita formativa e motivazionale del soggetto stesso.
La scuola è uno di questi ambienti e pertanto è lì che il soggetto con DSA
dovrebbe vivere serenamente, in uno spazio che tenga in considerazione le
sue esigenze e gli permetta di affermarsi ed esprimere al meglio le potenzialità
nascoste.
La scuola e il mondo accademico dovrebbero essere i primi luoghi dove si
educa a impedire la «stigmatizzazione» degli studenti con DSA, favorendone
al contrario, l’autonomia e l’indipendenza nello studio e accrescendo l’autostima e la motivazione (componenti spesso critiche in tali soggetti), cercando
di offrire nuove strategie e metodologie didattiche al fine di raggiungere le
medesime competenze e abilità dei propri compagni di corso.
In tal modo anche gli studenti con DSA potranno acquisire un titolo di
studio spendibile nel mondo del lavoro e portare, grazie agli strumenti dispensativi e a tempi più idonei, un importante contributo anche in tale ambiente.
Nella prima parte sono raccolti gli articoli che studiano la dislessia da
un punto di vista scientifico e biologico. Grazie agli studi di Silvia Paracchini
esamineremo, pertanto, le basi biologiche della dislessia e i meccanismi che
regolano lo sviluppo del cervello. Gli studi sulla dislessia negli ultimi anni si
sono assai evoluti in base alle tecnologie disponibili nonostante siamo ancora
lontani dall’utilizzo della genetica come strumento di diagnosi e di trattamento
terapeutico.
Ernesto Burgio spiega, nel suo capitolo, il significato della parola «epigenetica», una disciplina che studia le variazioni del software genomico indotte
dalle sollecitazioni provenienti dall’ambiente.
Daniela Perani tratta il tema neuroimaging nella dislessia evolutiva: uno
studio di assoluta importanza per comprendere cosa ci sia alla base della
neurobiologia di tale disturbo. Grazie al contributo delle neuroscienze oggi
possediamo una maggiore consapevolezza sulla realtà del cervello e del suo
funzionamento e si sono individuati i quattro geni che determinano la lentezza
nella lettura.
Joan Blom affronta il tema del neurosviluppo e delle basi neurobiologiche
della dislessia sottolineando come essa sia un disturbo complesso e multisistemico sia a livello cerebrale che dal punto di vista neuropsicologico. La ricercatrice sottolinea come il nostro patrimonio genetico fissi le traiettorie generali,
ma l’esperienza e l’ambiente sicuramente influenzano in maniera decisiva tale
percorso. È pertanto importante la genetica, ma anche l’epigenetica.
Successivamente a questa prima parte più «clinica», abbiamo raggruppato
i contributi dei soggetti con DSA e il delicato rapporto tra genetica e ambienti
Introduzione
9
in cui si trovano a vivere, ovvero insegnanti e studenti con DSA che, tramite il
loro racconto di vita, descrivono la fatica e le strategie utilizzate per acquisire
la laurea o l’autonomia in ambito lavorativo.
Filippo Barbera, docente di scuola primaria con DSA, parla della sua esperienza personale e racconta come l’insegnate dislessico debba necessariamente
essere un insegnante «per vocazione» (a differenza degli «insegnanti per
ripiego») proprio perché per arrivare a svolgere tale professione deve superare
diverse prove. L’insegnante dislessico è, pertanto, un insegnante con «valore
aggiunto» in quanto caratterizzato da forte motivazione, individuazione di
soluzioni compensative, forte empatia con gli studenti in difficoltà e capacità
di metacognizione. Filippo ricorda le parole di Harvey B. Mackay, il quale afferma che «la persona saggia non è quella che fa meno errori… è quella che
impara di più dagli errori». Barbera lamenta un concetto di medicalizzazione
dei DSA e sottolinea l’importanza di instaurare relazioni positive da parte
degli insegnanti e occuparsi di studenti in difficoltà indipendentemente dalla
presentazione di una diagnosi.
Vittoria Hayun e Filippo Gerli, studenti universitari con DSA e recentemente autori di un libro (Devo solo attrezzarmi 2), sottolineano come sia
necessario che lo studente con DSA possa «attrezzarsi» adeguatamente al fine
di ottenere successi in ambito scolastico. Gli insegnanti dovrebbero liberarsi
dagli stereotipi e pregiudizi nei confronti degli alunni con DSA e garantire loro
pari opportunità di formazione, studio e ricerca.
Francesca Santulli, Melissa Scagnelli e Annalisa Oppo ricordano sarebbe
opportuno individuare diverse strategie utili al fine di favorire l’apprendimento
degli studenti con DSA. Una modalità di intervento è il corso di «SuperReading», organizzato a favore di studenti universitari che, grazie all’acquisizione di
una lettura fluente, ma anche di una comprensione accurata del testo, riescono
a ottenere importanti risultati in ambito accademico.
Infine, Giovanna Lami, analizzando le carriere universitarie degli studenti
con DSA presso l’Ateneo di Modena e Reggio Emilia, evidenzia il loro andamento accademico, i punti di forza e di debolezza. Al contrario delle aspettative,
da tali studi si evince che lo studente dislessico, se motivato e adeguatamente
supportato, può raggiungere il titolo di studi nei tempi previsti. Tra i fattori di
protezione evidenziati da tale ricerca vi sono i seguenti: una forte motivazione
e il carattere tenace degli studenti con DSA, il sostegno da parte dei familiari, il
supporto del servizio DSA e l’affiancamento di tutor, l’acquisizione di strategie di
studio e l’importante opera di sensibilizzazione nei confronti del corpo docente.
Per concludere, nell’ultima parte troviamo alcune testimonianze del
rapporto tra dislessia e mondo del lavoro.
10
Genetica e ambiente nella dislessia
Sara Bocchicchio e Fulvio Bovard tornano sul tema dell’inserimento
lavorativo dei laureati con DSA tramite la presentazione di un progetto della
Fondazione Italiana Dislessia dal titolo «Progress for work». Sono 12000
gli studenti con DSA inseriti nel mondo del lavoro e per i quali nulla è stato
fatto per andare incontro alle loro esigenze. Occorrerebbe, per tanto creare
un ambiente di lavoro «dislexya friendly», ovvero consapevole del fenomeno «dislessia», ma soprattutto sensibile al supporto del lavoratore e alla sua
crescita professionale.
Infine Vittorio Melotti, anch’egli laureato con DSA, fornisce alcuni consigli
su come il soggetto dislessico possa affermarsi in ambito lavorativo.
Auspichiamo, pertanto, che grazie a tali ricerche, lo studente con DSA
non venga più stigmatizzato, ma al contrario possa affermare se stesso in ambito lavorativo.
Prima parte
Genetica,
neurosviluppo
e neurobiologia
1
Dieci anni di genetica della dislessia
Silvia Paracchini1
È ormai ampiamente riconosciuto che alla base della dislessia ci sia una
forte componente genetica (Paracchini et al., 2007). Questa osservazione
deriva principalmente da studi su famiglie e gemelli. Mentre la diffusione della
dislessia nella popolazione in generale è circa il 5-10%, si osserva un aumento
fino al 40% tra i parenti di primo grado di individui affetti da dislessia. Negli
studi gemellari si è osservato che la probabilità che entrambi i gemelli abbiano
dislessia è di circa il 40% per le coppie dizigoti (gemelli non-identici che condividono la stessa proporzione di genoma come fratelli non gemelli) mentre
arriva fino al 70% tra gemelli monozigoti (identici). Questo dato conferma il
ruolo di una forte componente genetica, stimata dunque intorno al 70%, nel
determinare i casi di dislessia. Un valore del 100% indicherebbe che le cause
sono completamente genetiche, mentre non c’è nessuna incidenza per quanto riguarda le cause ambientali. Possiamo quindi accertare l’esistenza di una
componente genetica, ma non possiamo invece ancora spiegare quali siano i
fattori specifici.
È laureata in Scienze Biologiche con 110 e lode all’Università di Pavia (1998) e ha conseguito un
dottorato in genetica umana presso l’Università di Oxford (2002). Ha iniziato gli studi sulla genetica
della dislessia come ricercatrice al Wellcome Trust Centre for Human Genetics (Oxford). Nel 2011,
ha vinto una Royal Society University Research Fellowship e si è specializzata all’Università di St.
Andrews, in Scozia. Qui dirige il gruppo di Neurogenetica e l’unità di Bioinformatica.
Dal 2014 è stata eletta membro della Young Academy of Scotland. Silvia contribuisce regolarmente
a un blog che si occupa del ruolo dei media in temi di scienza (http://researchtheheadlines.org/).
1
14
Genetica e ambiente nella dislessia
Gli studi medici per la dislessia sono tecnicamente simili agli studi per
qualsiasi altra condizione o malattia genetica. Genericamente possiamo ridurre
questo tipo di studi a tre componenti fondamentali:
1. la definizione e misura del fenotipo (dislessia in questo caso) per il campionamento della popolazione da esaminare;
2. la generazione di dati genotipici, ovvero la determinazione di come la sequenza di DNA varia nella popolazione che viene esaminata;
3. i metodi statistici per identificare quali genotipi, o varianti genetiche, siano
correlate con alterazioni del fenotipo.
Lo studio della genetica umana è strettamente collegato allo sviluppo
delle tecnologie utilizzate per analizzare le sequenze di DNA. Fino a pochi
anni fa, l’elemento limite degli studi di genetica era proprio la possibilità di
generare dati genotipici. Il metodo più classico è stato l’analisi di linkage attraverso l’utilizzo di marcatori altamente polimorfici chiamati microsatelliti.
Questo tipo di analisi si applica solitamente allo studio di famiglie ed è stato
di grande successo per identificare i geni responsabili per le malattie monogeniche, dove a una mutazione in un gene particolare corrisponde una malattia
ben precisa (come nel caso della fibrosi cistica). L’effetto di tale mutazione è
dunque, molto significativo e di conseguenza, più semplice da trovare anche
in seguito a un’analisi a bassa risoluzione usando pochi marcatori genetici.
Lo stesso approccio non ha funzionato per le malattie multifattoriali, come
la dislessia, dove si indagano effetti di molti geni, ma ognuno dei quali ha un
contributo molto basso. Nel frattempo la tecnologia si è sviluppata enormemente in questo campo, permettendo di analizzare centinaia di migliaia di
marcatori in un unico esperimento, a costi relativamente ridotti. Questo tipo
di esperimento ha richiesto lo sviluppo di modelli statistici per analizzare una
mole non indifferente di dati. Negli ultimi anni si sono raggiunti metodi standard, universalmente accettati, che stabiliscono i criteri generali per condurre
analisi di questo tipo, indicate con il termine di genome-wide association studies
(GWAS). I GWAS hanno permesso di identificare centinaia di geni coinvolti
in malattie multifattoriali, ma nel complesso ancora non sanno spiegarne l’ereditarietà o meglio, sanno spiegarla solo in minima parte. Abbiamo dunque
imparato che le cause genetiche delle malattie multifattoriali sono ancora più
complesse di quanto ci aspettassimo. Il fattore limite dei GWAS si è spostato, dalla generazione dei genotipi, alla disponibilità di campioni abbastanza
larghi per controbilanciare il numero (vari milioni) di test effettuati in ogni
analisi. Per questo tipo di analisi sono necessari generalmente campioni di
più di 2000 individui.
Dieci anni di genetica della dislessia
15
Gli studi sulla dislessia si sono quindi evoluti in base alle tecnologie disponibili. Paradossalmente, però gli studi di linkage hanno dato finora risultati più
incoraggianti rispetto ai GWAS. Per esempio, studi indipendenti condotti da
diversi gruppi di ricerca hanno identificato le stesse aree di linkage circoscritte
a regioni cromosomiche relativamente specifiche. Una di queste, replicata da
molti studi indipendenti, si trova sul braccio corto del cromosoma 6. Io ho
iniziato i miei studi partendo proprio da qui. Focalizzando l’attenzione sui
geni espressi nel cervello, ne abbiamo identificato uno chiamato KIAA0319,
che ha mostrato associazione con dislessia in diversi campioni (Francks et al.,
2004). Abbiamo dimostrato che le varianti genetiche, indicate come single nucleotide polymorphisms (SNP), associate alla dislessia contribuiscono a regolare
l’espressione di KIAA0319 (Paracchini et al., 2006; Dennis et al., 2009). Ciò
significa che queste varianti non cambiano la struttura della proteina prodotta,
ma ne regolano la quantità. Abbiamo anche stabilito, attraverso studi condotti
in linee cellulari, nel ratto e con l’analisi di materiale embrionale umano, che
la proteina KIAA0319 ha un ruolo durante le prime fasi dello sviluppo del
cervello. I nostri studi suggeriscono che KIAA0319 regola la migrazione neuronale durante lo sviluppo della corteccia cerebrale. Un’altra regione genomica
molto interessante si trova sul cromosoma 18. Alcuni geni sono stati proposti
come candidati (Scerri et al., 2010), ma questi risultati attendono di essere
verificati indipendentemente.
Simili approcci, condotti da altri gruppi di ricerca, hanno portato all’identificazione di altri geni, tra cui spiccano DCDC2 e DYX1C1. Anche per
questi è stato descritto un ruolo nello sviluppo del cervello nelle prime fasi
embrionali (Paracchini et al., 2007). Di conseguenza, per alcuni geni candidati,
si è iniziato anche a studiare quali effetti possono essere osservati direttamente
a livello di microstrutture del cervello (Scerri et al., 2012).
Abbiamo anche dimostrato che le stesse varianti genetiche associate
alla dislessia sono collegate alle capacità di lettura nella popolazione generale
(Paracchini et al., 2008; Scerri et al. 2011b; Paracchini et al., 2011a). Questa
osservazione suggerisce anche che la dislessia può essere interpretata come un
estremo della variazione delle capacità di lettura nella popolazione, piuttosto
che una condizione clinica ben delineata (Paracchini, 2011).
Questi risultati sono stati riportati nel periodo 2006/2007, quando i
GWAS hanno iniziato a svilupparsi. La necessità di lavorare con campioni
molto grandi per effettuare questi studi ha portato alla formazione di consorzi
e a collaborazioni internazionali tra vari gruppi di ricerca per combinare varie
risorse in unici grandi esperimenti. Abbiamo seguito questa strategia anche per
la dislessia e fondato il progetto europeo NeuroDys con lo scopo di condurre
16
Genetica e ambiente nella dislessia
questo tipo di ricerche (Becker et al., 2014). Lo studio della dislessia presenta
però delle difficoltà non indifferenti. Innanzitutto, la definizione di una diagnosi e del livello di rigorosità è costosa in quanto richiede sedute cliniche
normalmente di due ore per ogni bambino con personale specializzato. Inoltre,
la dislessia si presenta in maniera estremamente eterogenea, per la presenza di
altre condizioni, come il disturbo specifico del linguaggio (SLI), discalculia
o ADHD (Newbury et al., 2011). Studi in diversi paesi europei richiedono
considerazioni ulteriori. Per esempio, l’italiano è una lingua trasparente dove
a ogni simbolo scritto corrisponde un suono, mentre in inglese allo stesso simbolo possono corrispondere suoni diversi a seconda del contesto. Si pensi, per
esempio alla pronuncia della lettera «i» nella parola «find» o in «Finland». Di
conseguenza la dislessia viene diagnosticata con criteri diversi, a seconda della
lingua: in base alla velocità di lettura in italiano, mentre ci si basa sul numero
di errori in inglese. Per cui è estremamente difficile ottenere grossi campioni
caratterizzati allo stesso modo, proprio a causa di questa eterogeneità, nonostante la dislessia sia così frequente. I GWAS per dislessia pubblicati finora,
compreso il nostro, non hanno dato risultati completamente convincenti e
attendono di essere verificati con altri studi (Gialluisi et al., 2014; Newbury
et al., 2014; Nudel et al., 2014). Le ricerche future richiederanno la raccolta
di campioni sempre più grandi.
Gli stessi dati utilizzati per GWAS possono essere rianalizzati per l’identificazione di copy number variants (CNV), cioè grosse (partendo da 10000
basi di DNA) delezioni o duplicazioni. Recentemente abbiamo incluso nei
nostri studi un campione molto interessante la cui raccolta è stata coordinata
dalla professoressa Maggie Snowling. Si tratta di un campione di famiglie
selezionate per precedenti di dislessia o problemi di linguaggio. I bambini
sono stati seguiti per sei anni, a partire dai tre anni di età, con visite cliniche
annuali. Rianalizzando i genotipi in questo campione, abbiamo identificato in
un individuo una grossa mutazione sul cromosoma 15 (Pettigrew et al., 2015b).
Questa è una regione molte interessante perché coinvolta in molte sindromi o
disturbi spesso associati a problemi di linguaggio. Queste condizioni comprendono per esempio la sindrome di Prader-Willi, l’autismo o l’epilessia. Perciò
i problemi di linguaggio sono una manifestazione secondaria di un quadro
clinico più generale. L’analisi nel resto dei famigliari, ha dimostrato l’origine
de novo della delezione in questo individuo. La mutazione è risultata assente
nel resto della famiglia, che non presentava nessun problema al linguaggio.
Questo tipo di delezione è estremamente rara. Solo otto casi sono stati riportati
finora, e sempre in individui con fenotipi generali. Dobbiamo sottolineare
che individui con fenotipi più gravi vengono selettivamente analizzati più
Dieci anni di genetica della dislessia
17
frequentemente per questo tipo di screening genetici, mentre è meno comune
l’analisi per problemi legati al linguaggio. Probabilmente ampliando l’analisi
per fenotipi più specifici, troveremo altre varianti genetiche simili a questa
delezione o altri tipi di modificazioni rare. Questo tipo di analisi è facilitato
da nuovi progressi scientifici in particolare da next generation sequencing, una
tecnologia che permette di risequenziare tutti i geni o il genoma intero di un
individuo, e che quindi si adatta all’individuazione di varianti rare, ma con
effetti significativi.
La ricchezza fenotipica dei nostri campioni ci ha permesso di effettuare
altri tipi di studi. Per esempio, la disponibilità di misure per capacità matematica ci ha permesso di analizzare il primo gene (MYO18B) identificato con
GWAS per un possibile ruolo nella discalculia (Pettigrew et al., 2015a), spesso
associata a dislessia. Questo GWAS è stato effettuato da un altro gruppo di
ricerca. Analizzando il nostro campione totale, con più di 4000 partecipanti,
non abbiamo verificato questa associazione. I nostri risultati quindi indicano
che l’esito originale va interpretato con cautela e dimostrano l’importanza di
effettuare verifiche di replicazione. Va inoltre sottolineata la difficoltà di reiterare
esattamente uno studio di questo tipo, proprio per le differenze fenotipiche
tra i vari campioni.
Oltre a funzioni cognitive come la lettura, il linguaggio e la matematica
il nostro campione è caratterizzato da misure di asimmetria funzionale. Per
decenni si è cercato un legame tra l’essere mancini e i più svariati tratti, in
particolare quelli collegati al linguaggio. I due emisferi cerebrali sono infatti
specializzati per funzioni specifiche e il controllo del linguaggio è particolarmente lateralizzato, con dominanza nell’emisfero sinistro per la maggior parte
della popolazione. Tra i dislessici non si riscontra una frequenza più elevata di
mancini, ma la dislessia è associata a pattern atipici di lateralità. Per esempio,
mentre i non dislessici usano prevalentemente l’emisfero sinistro per leggere,
gli individui con dislessia tendono a usare entrambi gli emisferi. Per questo
motivo si è ipotizzato che lo studio della preferenza dell’uso della mano potesse
aiutare a capire la lateralizzazione del cervello.
La componente genetica del mancinismo non è particolarmente elevata (~25%), ma è stata verificata indipendentemente in diversi campioni.
Nonostante GWAS siano stati effettuati in campioni di decine di migliaia
di individui, non si sono riscontrati risultati convincenti sui geni associati al
mancinismo. Il mancinismo viene comunemente, e intuitivamente, trattato
come una misura di categoria: destra o sinistra. Noi invece abbiamo usato
una misura quantitativa derivata del pegboard test. Ai bambini viene chiesto
di spostare dieci peg tra due file di buchi con la mano destra e successiva-
18
Genetica e ambiente nella dislessia
mente con la sinistra. La differenza di velocità tra le due mani (PegQ) indica
quanto più un individuo è lateralizzato verso destra o sinistra. Usando PegQ
per un GWAS abbiamo individuato il primo gene (PCSK6) statisticamente
associato a una misura di mancinismo (Scerri et al., 2011a). Il dato ancor più
interessante è che il gene PCSK6 svolge un ruolo nella determinazione delle
nostre asimmetrie strutturali durante le prime fasi dello sviluppo embrionale.
PCSK6 infatti attiva la cascata del Nodal pathway, fondamentale per definire
le asimmetrie dei nostri organi interni (per il esempio il cuore ha una struttura
asimmetrica e si trova solitamente spostato a sinistra). L’associazione è stata
replicata in tre campioni indipendenti, tutti selezionati per dislessia, ma non
nella popolazione generale. Per cui i dati suggeriscono un legame tra lateralità
e dislessia. Oltre al gene PCSK6, che è l’unico a raggiungere significatività
statistica, abbiamo osservato molti altri geni coinvolti nella determinazione
delle asimmetrie strutturali, sia nei campioni selezionati per dislessia, sia
nel campione rappresentativo della popolazione generale (Brandler et al.,
2013). I dati dunque suggeriscono che la biologia che controlla le asimmetrie strutturali è coinvolta anche nelle asimmetrie comportamentali, come
appunto il mancinismo.
Rimane comunque da chiarire perché l’associazione del gene PCSK6
appare specificatamente nei bambini con dislessia. Un’ipotesi è che i geni che
controllano la lateralità e quelli coinvolti nella dislessia possano in qualche
modo interagire (Brandler and Paracchini, 2014). Questa ipotesi è supportata da studi molto recenti che dimostrano un ruolo nella biologia delle ciglia
cellulari da parte dei geni candidati per la dislessia. Le ciglia sono strutture
cellulari fondamentali per la determinazione delle asimmetrie strutturali e
sono coinvolte nell’attivazione del Nodal pathway. È possibile che i meccanismi che controllano la lateralità strutturale siano coinvolti nello sviluppo del
cervello e di conseguenza influiscano su tratti cognitivi (capacità di lettura) e
di comportamento (mancinismo).
I nostri studi futuri si concentreranno nel raccogliere dati pegboard in
campioni più grandi e rappresentativi di diversi paesi. In particolare, abbiamo
iniziato a raccogliere campioni in diverse regioni d’Italia. Studieremo anche
a livello funzionale il compito dei geni per capire i meccanismi molecolari di
questa associazione complessa tra dislessia e lateralità, usando cellule neuronali
staminali e modelli biologici come zebrafish. Mentre siamo ancora lontani
dall’applicazione clinica diretta per utilizzare la genetica come strumento di
diagnosi e trattamento, questi studi ci permettono di capire le basi biologiche
della dislessia e, almeno in parte, i meccanismi che regolano lo sviluppo del
cervello.