Giacomo Guaraldi Laureato in materie letterarie e docente specializzato per le attività di sostegno, è responsabile del Servizio Accoglienza Studenti Disabili e con DSA dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Enrico Ghidoni Neurologo, docente di Neuroscienze presso i corsi di laurea in Fisioterapia, Logoterapia e Terapia Occupazionale dell’Università di Modena e Reggio Emilia, attualmente è membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Italiana Dislessia. Elisabetta Genovese Laureata in Medicina e specializzata in Foniatria e Otorinolaringoiatria, è professore associato di Audiologia e Foniatria presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. € 18,00 Guaraldi Coduri et al. Genetica e ambiente nella dislessia Il testo presenta il complesso rapporto tra genetica, basi neurobiologiche e fattori ambientali nei soggetti con DSA. All’interno della cornice del neuro-sviluppo, quindi partendo da solidi dati di ricerca clinica evidence based, e attraverso la testimonianza diretta di persone con DSA, si affrontano i disturbi specifici dell’apprendimento rispetto alla scuola, l’università e il mondo del lavoro, che strutturano ancora i percorsi educativi e formativi sul deficit piuttosto che sulle potenzialità dei ragazzi. È ormai chiaro infatti che i DSA hanno una componente genetica molto importante che però è fortemente condizionata dall’ambiente nel quale lo studente si trova a interagire. Occorre, pertanto, che il contesto sia «inclusivo» e non diventi un ostacolo per la crescita formativa e motivazionale. La scuola e l’università, in primis, devono impedire la stigmatizzazione dei soggetti con DSA, favorendone l’autonomia e accrescendone l’autostima, offrendo le strategie migliori per potenziare il loro apprendimento, perché raggiungano competenze e abilità adeguate per entrare a pieno titolo nel mondo del lavoro e nella società. Giacomo Guaraldi, Enrico Ghidoni ed Elisabetta Genovese (a cura di) Genetica e ambiente nella dislessia Strategie per favorire l’apprendimento a scuola e all’università e l’ingresso nel mondo del lavoro Giacomo Guaraldi Laureato in materie letterarie e docente specializzato per le attività di sostegno, è responsabile del Servizio Accoglienza Studenti Disabili e con DSA dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Enrico Ghidoni Neurologo, docente di Neuroscienze presso i corsi di laurea in Fisioterapia, Logoterapia e Terapia Occupazionale dell’Università di Modena e Reggio Emilia, attualmente è membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Italiana Dislessia. Elisabetta Genovese Laureata in Medicina e specializzata in Foniatria e Otorinolaringoiatria, è professore associato di Audiologia e Foniatria presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. € 18,00 Guaraldi Coduri et al. Genetica e ambiente nella dislessia Il testo presenta il complesso rapporto tra genetica, basi neurobiologiche e fattori ambientali nei soggetti con DSA. All’interno della cornice del neuro-sviluppo, quindi partendo da solidi dati di ricerca clinica evidence based, e attraverso la testimonianza diretta di persone con DSA, si affrontano i disturbi specifici dell’apprendimento rispetto alla scuola, l’università e il mondo del lavoro, che strutturano ancora i percorsi educativi e formativi sul deficit piuttosto che sulle potenzialità dei ragazzi. È ormai chiaro infatti che i DSA hanno una componente genetica molto importante che però è fortemente condizionata dall’ambiente nel quale lo studente si trova a interagire. Occorre, pertanto, che il contesto sia «inclusivo» e non diventi un ostacolo per la crescita formativa e motivazionale. La scuola e l’università, in primis, devono impedire la stigmatizzazione dei soggetti con DSA, favorendone l’autonomia e accrescendone l’autostima, offrendo le strategie migliori per potenziare il loro apprendimento, perché raggiungano competenze e abilità adeguate per entrare a pieno titolo nel mondo del lavoro e nella società. Giacomo Guaraldi, Enrico Ghidoni ed Elisabetta Genovese (a cura di) Genetica e ambiente nella dislessia Strategie per favorire l’apprendimento a scuola e all’università e l’ingresso nel mondo del lavoro Indice 7 Introduzione (Giacomo Guaraldi) PRIMA PARTE Genetica, neurosviluppo e neurobiologia CAP. 1 Dieci anni di genetica della dislessia (Silvia Paracchini) 13 21 CAP. 2 Genetica ed epigenetica: destino, ambiente e formazione (Ernesto Burgio) 41 CAP. 3 Neuroimaging nella dislessia (Daniela Perani) 67 CAP. 4 Neurosviluppo e basi neurobiologiche della dislessia (Joan Blom) SECONDA PARTE Esperienze di vita, nella scuola e in università CAP. 5 Il valore aggiunto dell’insegnante dislessico 73 (Filippo Barbera) 85 CAP. 6 Vittoria e Filippo si raccontano (Vittoria Hayun e Filippo Gerli) 91 CAP. 7 SuperReading: corso di lettura veloce per studenti con DSA (Francesca Santulli, Melissa Scagnelli e Annalisa Oppo) 111CAP. 8 Studenti con DSA all’Università di Modena e Reggio Emilia (Giovanna Lami) TERZA PARTE Il mondo del lavoro 125CAP. 9 La persona con DSA nel mondo del lavoro (Sara Bocchicchio e Fulvio Bovard) 133CAP. 10 Punti di forza per il successo lavorativo (Vittorio Melotti) Introduzione Giacomo Guaraldi Negli ultimi anni si è parlato spesso di Disturbi Specifici di Apprendimento (DSA) e di come sia necessario creare un «ambiente inclusivo» per favorire l’apprendimento e la crescita di autostima degli studenti stessi, ma tali concetti sono stati tenuti sempre separati: gli studi neurologici sui DSA da una parte e i diversi ambienti (scolastico, sociale e lavorativo) dall’altra. Il presente testo, al contrario, intende costruire un vero «ponte» tra queste differenti nozioni e desidera sottolineare il complesso rapporto che si crea tra genetica, basi neurobiologiche e fattori ambientali nei soggetti con DSA. Partendo da solidi dati di ricerca clinica evidence based, all’interno del processo di neurosviluppo e soprattutto attraverso la diretta testimonianza di soggetti con DSA, si affronta il problema rispetto ai diversi «ambienti» in cui essi si trovano a vivere, in primis quello della scuola, ma anche dell’università e del mondo del lavoro. Dagli studi riportati nel testo si deduce che i soggetti con DSA hanno una componente genetica molto importante che, tuttavia, è fortemente condizionata dall’ambiente nel quale lo studente si trova a interagire. Occorre, pertanto, creare un ambiente «inclusivo», accogliente, che tenga conto delle differenze e permetta agli studenti di affermarsi e di esprimere al meglio le proprie potenzialità, secondo quanto sottolineato dall’ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health). Un ambiente «inclusivo» è un ambiente accogliente, che tiene conto delle «caratteristiche» della persona stessa, senza 8 Genetica e ambiente nella dislessia creare (come a volte succede) un ostacolo per la crescita formativa e motivazionale del soggetto stesso. La scuola è uno di questi ambienti e pertanto è lì che il soggetto con DSA dovrebbe vivere serenamente, in uno spazio che tenga in considerazione le sue esigenze e gli permetta di affermarsi ed esprimere al meglio le potenzialità nascoste. La scuola e il mondo accademico dovrebbero essere i primi luoghi dove si educa a impedire la «stigmatizzazione» degli studenti con DSA, favorendone al contrario, l’autonomia e l’indipendenza nello studio e accrescendo l’autostima e la motivazione (componenti spesso critiche in tali soggetti), cercando di offrire nuove strategie e metodologie didattiche al fine di raggiungere le medesime competenze e abilità dei propri compagni di corso. In tal modo anche gli studenti con DSA potranno acquisire un titolo di studio spendibile nel mondo del lavoro e portare, grazie agli strumenti dispensativi e a tempi più idonei, un importante contributo anche in tale ambiente. Nella prima parte sono raccolti gli articoli che studiano la dislessia da un punto di vista scientifico e biologico. Grazie agli studi di Silvia Paracchini esamineremo, pertanto, le basi biologiche della dislessia e i meccanismi che regolano lo sviluppo del cervello. Gli studi sulla dislessia negli ultimi anni si sono assai evoluti in base alle tecnologie disponibili nonostante siamo ancora lontani dall’utilizzo della genetica come strumento di diagnosi e di trattamento terapeutico. Ernesto Burgio spiega, nel suo capitolo, il significato della parola «epigenetica», una disciplina che studia le variazioni del software genomico indotte dalle sollecitazioni provenienti dall’ambiente. Daniela Perani tratta il tema neuroimaging nella dislessia evolutiva: uno studio di assoluta importanza per comprendere cosa ci sia alla base della neurobiologia di tale disturbo. Grazie al contributo delle neuroscienze oggi possediamo una maggiore consapevolezza sulla realtà del cervello e del suo funzionamento e si sono individuati i quattro geni che determinano la lentezza nella lettura. Joan Blom affronta il tema del neurosviluppo e delle basi neurobiologiche della dislessia sottolineando come essa sia un disturbo complesso e multisistemico sia a livello cerebrale che dal punto di vista neuropsicologico. La ricercatrice sottolinea come il nostro patrimonio genetico fissi le traiettorie generali, ma l’esperienza e l’ambiente sicuramente influenzano in maniera decisiva tale percorso. È pertanto importante la genetica, ma anche l’epigenetica. Successivamente a questa prima parte più «clinica», abbiamo raggruppato i contributi dei soggetti con DSA e il delicato rapporto tra genetica e ambienti Introduzione 9 in cui si trovano a vivere, ovvero insegnanti e studenti con DSA che, tramite il loro racconto di vita, descrivono la fatica e le strategie utilizzate per acquisire la laurea o l’autonomia in ambito lavorativo. Filippo Barbera, docente di scuola primaria con DSA, parla della sua esperienza personale e racconta come l’insegnate dislessico debba necessariamente essere un insegnante «per vocazione» (a differenza degli «insegnanti per ripiego») proprio perché per arrivare a svolgere tale professione deve superare diverse prove. L’insegnante dislessico è, pertanto, un insegnante con «valore aggiunto» in quanto caratterizzato da forte motivazione, individuazione di soluzioni compensative, forte empatia con gli studenti in difficoltà e capacità di metacognizione. Filippo ricorda le parole di Harvey B. Mackay, il quale afferma che «la persona saggia non è quella che fa meno errori… è quella che impara di più dagli errori». Barbera lamenta un concetto di medicalizzazione dei DSA e sottolinea l’importanza di instaurare relazioni positive da parte degli insegnanti e occuparsi di studenti in difficoltà indipendentemente dalla presentazione di una diagnosi. Vittoria Hayun e Filippo Gerli, studenti universitari con DSA e recentemente autori di un libro (Devo solo attrezzarmi 2), sottolineano come sia necessario che lo studente con DSA possa «attrezzarsi» adeguatamente al fine di ottenere successi in ambito scolastico. Gli insegnanti dovrebbero liberarsi dagli stereotipi e pregiudizi nei confronti degli alunni con DSA e garantire loro pari opportunità di formazione, studio e ricerca. Francesca Santulli, Melissa Scagnelli e Annalisa Oppo ricordano sarebbe opportuno individuare diverse strategie utili al fine di favorire l’apprendimento degli studenti con DSA. Una modalità di intervento è il corso di «SuperReading», organizzato a favore di studenti universitari che, grazie all’acquisizione di una lettura fluente, ma anche di una comprensione accurata del testo, riescono a ottenere importanti risultati in ambito accademico. Infine, Giovanna Lami, analizzando le carriere universitarie degli studenti con DSA presso l’Ateneo di Modena e Reggio Emilia, evidenzia il loro andamento accademico, i punti di forza e di debolezza. Al contrario delle aspettative, da tali studi si evince che lo studente dislessico, se motivato e adeguatamente supportato, può raggiungere il titolo di studi nei tempi previsti. Tra i fattori di protezione evidenziati da tale ricerca vi sono i seguenti: una forte motivazione e il carattere tenace degli studenti con DSA, il sostegno da parte dei familiari, il supporto del servizio DSA e l’affiancamento di tutor, l’acquisizione di strategie di studio e l’importante opera di sensibilizzazione nei confronti del corpo docente. Per concludere, nell’ultima parte troviamo alcune testimonianze del rapporto tra dislessia e mondo del lavoro. 10 Genetica e ambiente nella dislessia Sara Bocchicchio e Fulvio Bovard tornano sul tema dell’inserimento lavorativo dei laureati con DSA tramite la presentazione di un progetto della Fondazione Italiana Dislessia dal titolo «Progress for work». Sono 12000 gli studenti con DSA inseriti nel mondo del lavoro e per i quali nulla è stato fatto per andare incontro alle loro esigenze. Occorrerebbe, per tanto creare un ambiente di lavoro «dislexya friendly», ovvero consapevole del fenomeno «dislessia», ma soprattutto sensibile al supporto del lavoratore e alla sua crescita professionale. Infine Vittorio Melotti, anch’egli laureato con DSA, fornisce alcuni consigli su come il soggetto dislessico possa affermarsi in ambito lavorativo. Auspichiamo, pertanto, che grazie a tali ricerche, lo studente con DSA non venga più stigmatizzato, ma al contrario possa affermare se stesso in ambito lavorativo. Prima parte Genetica, neurosviluppo e neurobiologia 1 Dieci anni di genetica della dislessia Silvia Paracchini1 È ormai ampiamente riconosciuto che alla base della dislessia ci sia una forte componente genetica (Paracchini et al., 2007). Questa osservazione deriva principalmente da studi su famiglie e gemelli. Mentre la diffusione della dislessia nella popolazione in generale è circa il 5-10%, si osserva un aumento fino al 40% tra i parenti di primo grado di individui affetti da dislessia. Negli studi gemellari si è osservato che la probabilità che entrambi i gemelli abbiano dislessia è di circa il 40% per le coppie dizigoti (gemelli non-identici che condividono la stessa proporzione di genoma come fratelli non gemelli) mentre arriva fino al 70% tra gemelli monozigoti (identici). Questo dato conferma il ruolo di una forte componente genetica, stimata dunque intorno al 70%, nel determinare i casi di dislessia. Un valore del 100% indicherebbe che le cause sono completamente genetiche, mentre non c’è nessuna incidenza per quanto riguarda le cause ambientali. Possiamo quindi accertare l’esistenza di una componente genetica, ma non possiamo invece ancora spiegare quali siano i fattori specifici. È laureata in Scienze Biologiche con 110 e lode all’Università di Pavia (1998) e ha conseguito un dottorato in genetica umana presso l’Università di Oxford (2002). Ha iniziato gli studi sulla genetica della dislessia come ricercatrice al Wellcome Trust Centre for Human Genetics (Oxford). Nel 2011, ha vinto una Royal Society University Research Fellowship e si è specializzata all’Università di St. Andrews, in Scozia. Qui dirige il gruppo di Neurogenetica e l’unità di Bioinformatica. Dal 2014 è stata eletta membro della Young Academy of Scotland. Silvia contribuisce regolarmente a un blog che si occupa del ruolo dei media in temi di scienza (http://researchtheheadlines.org/). 1 14 Genetica e ambiente nella dislessia Gli studi medici per la dislessia sono tecnicamente simili agli studi per qualsiasi altra condizione o malattia genetica. Genericamente possiamo ridurre questo tipo di studi a tre componenti fondamentali: 1. la definizione e misura del fenotipo (dislessia in questo caso) per il campionamento della popolazione da esaminare; 2. la generazione di dati genotipici, ovvero la determinazione di come la sequenza di DNA varia nella popolazione che viene esaminata; 3. i metodi statistici per identificare quali genotipi, o varianti genetiche, siano correlate con alterazioni del fenotipo. Lo studio della genetica umana è strettamente collegato allo sviluppo delle tecnologie utilizzate per analizzare le sequenze di DNA. Fino a pochi anni fa, l’elemento limite degli studi di genetica era proprio la possibilità di generare dati genotipici. Il metodo più classico è stato l’analisi di linkage attraverso l’utilizzo di marcatori altamente polimorfici chiamati microsatelliti. Questo tipo di analisi si applica solitamente allo studio di famiglie ed è stato di grande successo per identificare i geni responsabili per le malattie monogeniche, dove a una mutazione in un gene particolare corrisponde una malattia ben precisa (come nel caso della fibrosi cistica). L’effetto di tale mutazione è dunque, molto significativo e di conseguenza, più semplice da trovare anche in seguito a un’analisi a bassa risoluzione usando pochi marcatori genetici. Lo stesso approccio non ha funzionato per le malattie multifattoriali, come la dislessia, dove si indagano effetti di molti geni, ma ognuno dei quali ha un contributo molto basso. Nel frattempo la tecnologia si è sviluppata enormemente in questo campo, permettendo di analizzare centinaia di migliaia di marcatori in un unico esperimento, a costi relativamente ridotti. Questo tipo di esperimento ha richiesto lo sviluppo di modelli statistici per analizzare una mole non indifferente di dati. Negli ultimi anni si sono raggiunti metodi standard, universalmente accettati, che stabiliscono i criteri generali per condurre analisi di questo tipo, indicate con il termine di genome-wide association studies (GWAS). I GWAS hanno permesso di identificare centinaia di geni coinvolti in malattie multifattoriali, ma nel complesso ancora non sanno spiegarne l’ereditarietà o meglio, sanno spiegarla solo in minima parte. Abbiamo dunque imparato che le cause genetiche delle malattie multifattoriali sono ancora più complesse di quanto ci aspettassimo. Il fattore limite dei GWAS si è spostato, dalla generazione dei genotipi, alla disponibilità di campioni abbastanza larghi per controbilanciare il numero (vari milioni) di test effettuati in ogni analisi. Per questo tipo di analisi sono necessari generalmente campioni di più di 2000 individui. Dieci anni di genetica della dislessia 15 Gli studi sulla dislessia si sono quindi evoluti in base alle tecnologie disponibili. Paradossalmente, però gli studi di linkage hanno dato finora risultati più incoraggianti rispetto ai GWAS. Per esempio, studi indipendenti condotti da diversi gruppi di ricerca hanno identificato le stesse aree di linkage circoscritte a regioni cromosomiche relativamente specifiche. Una di queste, replicata da molti studi indipendenti, si trova sul braccio corto del cromosoma 6. Io ho iniziato i miei studi partendo proprio da qui. Focalizzando l’attenzione sui geni espressi nel cervello, ne abbiamo identificato uno chiamato KIAA0319, che ha mostrato associazione con dislessia in diversi campioni (Francks et al., 2004). Abbiamo dimostrato che le varianti genetiche, indicate come single nucleotide polymorphisms (SNP), associate alla dislessia contribuiscono a regolare l’espressione di KIAA0319 (Paracchini et al., 2006; Dennis et al., 2009). Ciò significa che queste varianti non cambiano la struttura della proteina prodotta, ma ne regolano la quantità. Abbiamo anche stabilito, attraverso studi condotti in linee cellulari, nel ratto e con l’analisi di materiale embrionale umano, che la proteina KIAA0319 ha un ruolo durante le prime fasi dello sviluppo del cervello. I nostri studi suggeriscono che KIAA0319 regola la migrazione neuronale durante lo sviluppo della corteccia cerebrale. Un’altra regione genomica molto interessante si trova sul cromosoma 18. Alcuni geni sono stati proposti come candidati (Scerri et al., 2010), ma questi risultati attendono di essere verificati indipendentemente. Simili approcci, condotti da altri gruppi di ricerca, hanno portato all’identificazione di altri geni, tra cui spiccano DCDC2 e DYX1C1. Anche per questi è stato descritto un ruolo nello sviluppo del cervello nelle prime fasi embrionali (Paracchini et al., 2007). Di conseguenza, per alcuni geni candidati, si è iniziato anche a studiare quali effetti possono essere osservati direttamente a livello di microstrutture del cervello (Scerri et al., 2012). Abbiamo anche dimostrato che le stesse varianti genetiche associate alla dislessia sono collegate alle capacità di lettura nella popolazione generale (Paracchini et al., 2008; Scerri et al. 2011b; Paracchini et al., 2011a). Questa osservazione suggerisce anche che la dislessia può essere interpretata come un estremo della variazione delle capacità di lettura nella popolazione, piuttosto che una condizione clinica ben delineata (Paracchini, 2011). Questi risultati sono stati riportati nel periodo 2006/2007, quando i GWAS hanno iniziato a svilupparsi. La necessità di lavorare con campioni molto grandi per effettuare questi studi ha portato alla formazione di consorzi e a collaborazioni internazionali tra vari gruppi di ricerca per combinare varie risorse in unici grandi esperimenti. Abbiamo seguito questa strategia anche per la dislessia e fondato il progetto europeo NeuroDys con lo scopo di condurre 16 Genetica e ambiente nella dislessia questo tipo di ricerche (Becker et al., 2014). Lo studio della dislessia presenta però delle difficoltà non indifferenti. Innanzitutto, la definizione di una diagnosi e del livello di rigorosità è costosa in quanto richiede sedute cliniche normalmente di due ore per ogni bambino con personale specializzato. Inoltre, la dislessia si presenta in maniera estremamente eterogenea, per la presenza di altre condizioni, come il disturbo specifico del linguaggio (SLI), discalculia o ADHD (Newbury et al., 2011). Studi in diversi paesi europei richiedono considerazioni ulteriori. Per esempio, l’italiano è una lingua trasparente dove a ogni simbolo scritto corrisponde un suono, mentre in inglese allo stesso simbolo possono corrispondere suoni diversi a seconda del contesto. Si pensi, per esempio alla pronuncia della lettera «i» nella parola «find» o in «Finland». Di conseguenza la dislessia viene diagnosticata con criteri diversi, a seconda della lingua: in base alla velocità di lettura in italiano, mentre ci si basa sul numero di errori in inglese. Per cui è estremamente difficile ottenere grossi campioni caratterizzati allo stesso modo, proprio a causa di questa eterogeneità, nonostante la dislessia sia così frequente. I GWAS per dislessia pubblicati finora, compreso il nostro, non hanno dato risultati completamente convincenti e attendono di essere verificati con altri studi (Gialluisi et al., 2014; Newbury et al., 2014; Nudel et al., 2014). Le ricerche future richiederanno la raccolta di campioni sempre più grandi. Gli stessi dati utilizzati per GWAS possono essere rianalizzati per l’identificazione di copy number variants (CNV), cioè grosse (partendo da 10000 basi di DNA) delezioni o duplicazioni. Recentemente abbiamo incluso nei nostri studi un campione molto interessante la cui raccolta è stata coordinata dalla professoressa Maggie Snowling. Si tratta di un campione di famiglie selezionate per precedenti di dislessia o problemi di linguaggio. I bambini sono stati seguiti per sei anni, a partire dai tre anni di età, con visite cliniche annuali. Rianalizzando i genotipi in questo campione, abbiamo identificato in un individuo una grossa mutazione sul cromosoma 15 (Pettigrew et al., 2015b). Questa è una regione molte interessante perché coinvolta in molte sindromi o disturbi spesso associati a problemi di linguaggio. Queste condizioni comprendono per esempio la sindrome di Prader-Willi, l’autismo o l’epilessia. Perciò i problemi di linguaggio sono una manifestazione secondaria di un quadro clinico più generale. L’analisi nel resto dei famigliari, ha dimostrato l’origine de novo della delezione in questo individuo. La mutazione è risultata assente nel resto della famiglia, che non presentava nessun problema al linguaggio. Questo tipo di delezione è estremamente rara. Solo otto casi sono stati riportati finora, e sempre in individui con fenotipi generali. Dobbiamo sottolineare che individui con fenotipi più gravi vengono selettivamente analizzati più Dieci anni di genetica della dislessia 17 frequentemente per questo tipo di screening genetici, mentre è meno comune l’analisi per problemi legati al linguaggio. Probabilmente ampliando l’analisi per fenotipi più specifici, troveremo altre varianti genetiche simili a questa delezione o altri tipi di modificazioni rare. Questo tipo di analisi è facilitato da nuovi progressi scientifici in particolare da next generation sequencing, una tecnologia che permette di risequenziare tutti i geni o il genoma intero di un individuo, e che quindi si adatta all’individuazione di varianti rare, ma con effetti significativi. La ricchezza fenotipica dei nostri campioni ci ha permesso di effettuare altri tipi di studi. Per esempio, la disponibilità di misure per capacità matematica ci ha permesso di analizzare il primo gene (MYO18B) identificato con GWAS per un possibile ruolo nella discalculia (Pettigrew et al., 2015a), spesso associata a dislessia. Questo GWAS è stato effettuato da un altro gruppo di ricerca. Analizzando il nostro campione totale, con più di 4000 partecipanti, non abbiamo verificato questa associazione. I nostri risultati quindi indicano che l’esito originale va interpretato con cautela e dimostrano l’importanza di effettuare verifiche di replicazione. Va inoltre sottolineata la difficoltà di reiterare esattamente uno studio di questo tipo, proprio per le differenze fenotipiche tra i vari campioni. Oltre a funzioni cognitive come la lettura, il linguaggio e la matematica il nostro campione è caratterizzato da misure di asimmetria funzionale. Per decenni si è cercato un legame tra l’essere mancini e i più svariati tratti, in particolare quelli collegati al linguaggio. I due emisferi cerebrali sono infatti specializzati per funzioni specifiche e il controllo del linguaggio è particolarmente lateralizzato, con dominanza nell’emisfero sinistro per la maggior parte della popolazione. Tra i dislessici non si riscontra una frequenza più elevata di mancini, ma la dislessia è associata a pattern atipici di lateralità. Per esempio, mentre i non dislessici usano prevalentemente l’emisfero sinistro per leggere, gli individui con dislessia tendono a usare entrambi gli emisferi. Per questo motivo si è ipotizzato che lo studio della preferenza dell’uso della mano potesse aiutare a capire la lateralizzazione del cervello. La componente genetica del mancinismo non è particolarmente elevata (~25%), ma è stata verificata indipendentemente in diversi campioni. Nonostante GWAS siano stati effettuati in campioni di decine di migliaia di individui, non si sono riscontrati risultati convincenti sui geni associati al mancinismo. Il mancinismo viene comunemente, e intuitivamente, trattato come una misura di categoria: destra o sinistra. Noi invece abbiamo usato una misura quantitativa derivata del pegboard test. Ai bambini viene chiesto di spostare dieci peg tra due file di buchi con la mano destra e successiva- 18 Genetica e ambiente nella dislessia mente con la sinistra. La differenza di velocità tra le due mani (PegQ) indica quanto più un individuo è lateralizzato verso destra o sinistra. Usando PegQ per un GWAS abbiamo individuato il primo gene (PCSK6) statisticamente associato a una misura di mancinismo (Scerri et al., 2011a). Il dato ancor più interessante è che il gene PCSK6 svolge un ruolo nella determinazione delle nostre asimmetrie strutturali durante le prime fasi dello sviluppo embrionale. PCSK6 infatti attiva la cascata del Nodal pathway, fondamentale per definire le asimmetrie dei nostri organi interni (per il esempio il cuore ha una struttura asimmetrica e si trova solitamente spostato a sinistra). L’associazione è stata replicata in tre campioni indipendenti, tutti selezionati per dislessia, ma non nella popolazione generale. Per cui i dati suggeriscono un legame tra lateralità e dislessia. Oltre al gene PCSK6, che è l’unico a raggiungere significatività statistica, abbiamo osservato molti altri geni coinvolti nella determinazione delle asimmetrie strutturali, sia nei campioni selezionati per dislessia, sia nel campione rappresentativo della popolazione generale (Brandler et al., 2013). I dati dunque suggeriscono che la biologia che controlla le asimmetrie strutturali è coinvolta anche nelle asimmetrie comportamentali, come appunto il mancinismo. Rimane comunque da chiarire perché l’associazione del gene PCSK6 appare specificatamente nei bambini con dislessia. Un’ipotesi è che i geni che controllano la lateralità e quelli coinvolti nella dislessia possano in qualche modo interagire (Brandler and Paracchini, 2014). Questa ipotesi è supportata da studi molto recenti che dimostrano un ruolo nella biologia delle ciglia cellulari da parte dei geni candidati per la dislessia. Le ciglia sono strutture cellulari fondamentali per la determinazione delle asimmetrie strutturali e sono coinvolte nell’attivazione del Nodal pathway. È possibile che i meccanismi che controllano la lateralità strutturale siano coinvolti nello sviluppo del cervello e di conseguenza influiscano su tratti cognitivi (capacità di lettura) e di comportamento (mancinismo). I nostri studi futuri si concentreranno nel raccogliere dati pegboard in campioni più grandi e rappresentativi di diversi paesi. In particolare, abbiamo iniziato a raccogliere campioni in diverse regioni d’Italia. Studieremo anche a livello funzionale il compito dei geni per capire i meccanismi molecolari di questa associazione complessa tra dislessia e lateralità, usando cellule neuronali staminali e modelli biologici come zebrafish. Mentre siamo ancora lontani dall’applicazione clinica diretta per utilizzare la genetica come strumento di diagnosi e trattamento, questi studi ci permettono di capire le basi biologiche della dislessia e, almeno in parte, i meccanismi che regolano lo sviluppo del cervello.