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http://w w w.hackmed.org Anatomia d’organo - lezioni del prof. R. Donato – prima versione
Edizioni HacMed
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ANATOMIA D’ORGANO
Zaza, Margot, Rekoj, Hystamina, Elminister, Hackero, Chico Mendez e Zoidberg
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CAVITÀ ADDOMINALE
La cavità addominale è la più grande del corpo, si trova nel tronco, al di sotto di quella toracica, da
cui è separata dal diaframma. Il limite inferiore è il piano immaginario passante per lo stretto
superiore della pelvi, luogo di passaggio tra grande e piccola pelvi. Gli organi sotto a questo piano
sono detti organi pelvici. La grande pelvi fa quindi parte della cavità addominale.
Scheletro
Parte lombare della colonna vertebrale. Il diaframma, essendo cupuliforme, ha il culmine che
proietta verso la parete toracica.
L5 (ultima vertebra lombare) si continua nella cifosi sacrale. L’osso sacro è l’osso dorsale
principale della piccola pelvi. Questo si articola in un osso molto grande, piatto, pari e simmetrico:
l’osso dell’anca, che ha forma di 8 un po’ contorto, con la parte superiore molto più larga
dell’inferiore. Sotto c’è un foro, chiuso dalla membrana otturatoria. Sopra niente buco.
Nasce dalla fusione di 3 ossa:
• osso ileo (l’aggettivo corrispondente è iliaco), la parte superiore, a ventaglio, che fa parte
della cavità addominale. Di profilo vediamo che non è pianeggiante. È delimitato
superiormente dalla cresta iliaca, molto rugosa (questo indica l’inserzione di muscoli
usati molto frequentemente), che termina anteriormente con una protuberanza detta
spina iliaca anteriore superiore (con fantasia ricorda la spina di una rosa). In posizione
caudale troviamo la spina iliaca anteriore inferiore. La cresta iliaca ha la forma di una
S, non è rettilinea perché la superficie antero-mediale dell’osso è concava, tanto che si
parla di fossa iliaca destra e sinistra, la superficie posteriore è invece concava
lateralmente;
• pube, la parte anteromediale, ha una componente superiore e una inferiore, che
dapprima è verticale, poi gira obliqua e si continua con la branca dell’ischio. Seguendo
la branca superiore del pube, prima di arrivare alla sinfisi, si incontra una protuberanza,
sia a destra sia a sinistra, detta tubercolo pubico;
• ischio (l’aggettivo corrispondente è ischiatico), la parte posterolaterale, che appartiene
alla piccola pelvi. Inferiormente forma una L. La parte più dorsale, più laterale e più
caudale dell’ischio è la tuberosità ischiatica, su di essa ci appoggiamo sedendoci.
Le ossa dell’anca posteriormente chiudono l’addome connettendosi con l’osso sacro, poi compiono
un mezzo giro in avanti e finiscono per articolarsi tra loro nella sinfisi pubica. L’articolazione è
generalmente immobile, con interposto un disco fibroso. L’angolo pubico è molto minore di 90°
nel maschio, maggiore di 90°, a volte anche di 100° nella femmina.
Si genera il cingolo pelvico o bacino (cavità deputata a contenere organi e formata dalle 2 ossa
dell’anca, l’osso sacro ed il coccige). Le 2 ossa iliache di destra e di sinistra formano una cavità in
avanti verso l’alto che è la fossa iliaca di destra e di sinistra.
La parete addominale molle è fatta da muscoli che si attaccano al pube (che partecipa con la sua
parte superiore a costituire lo scheletro dell’addome).
Le ossa dell’anca inferiormente partecipano alla costituzione della piccola pelvi, esiste una linea di
demarcazione tra la piccola e la grande pelvi: metto la mano sul promontorio del sacro (dove
l’ultima vertebra lombare si articola con la prima sacrale) poi vado indietro e lateralmente, lungo
l’ala del sacro, se continuo passo per l’articolazione sacro iliaca seguendo la linea arcuata (confine
tra ileo e pube) fino alla sinfisi pubica Disegna un cerchio nei maschi e un’ellisse nelle femmine:
stretto superiore della pelvi (o del bacino) che è il piano di passaggio dall’addome alla piccola
pelvi.
Il resto della parete è molle (cute, sottocute e muscoli) per garantire le inclinazioni in avanti e
laterali. Se si contrae la parete essa si può appiattire con un aumento della pressione intraddominale
(per es: per facilitare l’uscita dell’urina e la defecazione). La parete molle è importante nella donna,
che deve portare avanti la gravidanza.
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Suddividiamo la superficie anterolaterale dell’addome in 9 quadranti, attraverso tre linee orizzontali
parallele e due che vanno dall’alto in basso, non verticali.
a’
b’
c’
a
b
a’’
b’’
c
c’’
La linea orizzontale più alta è detta linea basisternale, passa per il processo xifoideo.
La seconda linea orizzontale è la linea biscostale, passa per i punti più declivi delle arcate costali.
La linea orizzontale più caudale è la linea bisiliaca, passante per le due spine iliache anteriori
superiori.
Le linee oblique più lunghe e più interne sono realizzate prendendo due linea emiclaveari (partenti
cioè da metà clavicola) e facendole arrivare ai tubercoli pubici.
Le altre due linee oblique contengono i legamenti inguinali.
a = epigastrio: (tessuto molle) impari e mediano;
a’e a’’ = ipocondrio di destra e di sinistra, è la parte di cavità addominale posta profondamente
rispetto alle cartilagini costali;
b = mesogastrio, corrispondente alla superficie ombelicale;
b’e b’’ = regioni del fianco di destra e di sinistra, tra la cresta iliaca e la parte più declive delle
coste, anche queste completamente molli, senza ossa;
c = ipogastrio, sopra alla sinfisi pubica;
c’ e c’’ = a forma di triangolo scaleno: regione inguinoaddominale. Al limite tra l’addome e l’arto
inferiore c’è una piega, detta piega inguinale. La regione sottostante è detta inguinofemorale o
inguinocrurale (crus cruris, gamba in latino. Ma che belle digressioni di latino che fa il nostro
prof..).
I nomi mesogastrio e ipogastrio sono attribuiti per assonanza, non corrispondono alle relazioni dei
quadranti con lo stomaco.
In questa zona sono contenuti quasi tutti gli organi dell’apparato digerente, una parte notevole
dell’apparato urinario, milza e vasi.
Apparato digerente: si occupa dell’assunzione, della digestione, e dell’assorbimento del cibo e
dell’eliminazione di prodotti solidi e liposolubili.
È costituito da bocca, faringe, laringe (comuni al respiratorio) e esofago, che attraversa il
diaframma e, dopo circa 3-4 cm, si dilata asimmetricamente per diventare stomaco. Lo stomaco si
continua con 7,5-8 m di tubo intestinale. L’intestino sconfina nella pelvi e termina con l’apertura
anale. Nel suo tragitto il tubo digerente riceve i secreti di ghiandole annesse all’apparato digerente.
A parte le salivari le ghiandole si trovano tutte nell’addome:
• fegato: organo vitale, centrale metabolica che usa ciò che è stato assimilato in parte per le
proprie esigenze, sia per fabbricare prodotti più complessi ad alto valore aggiunto a partire
da glucosio, amminoacidi ecc. Riceve dall’intestino le sostanze assorbite le rielabora e le
rimette in circolo. Inoltre produce e secerne nell’intestino tenue la bile (che serve per
eliminare le sostanze liposolubili, gli ormoni steroidei, per emulsionare i grassi);
• cistifellea o colecisti: non è proprio una ghiandola, ma un serbatoio in cui si accumula la
bile tra un pasto e un altro, non la produce, la raccoglie, elabora e secerne. La produzione di
bile da parte del fegato è continua (circa 1,6 L al giorno), esce dal fegato con un colore
giallo intenso, moderatamente viscosa. La bile della colecisti, invece, è di un verde intenso,
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•
molto scuro. La componente acquosa è stata assorbita dalla mucosa della colecisti. Il grasso
contenuto nel chimo stimola alcune cellule epiteliali della mucosa duodenale a produrre ed
immettere in circolo un ormone (colecistochinina pancreozimina) che provoca il rilascio
dello sfintere d’Oddi e la contrazione della cistifellea, quindi la secrezione bile nell’intestino
tenue. Il fondo della colecisti fa capolinea dal margine del fegato nell’ipocondrio di destra.
Ha la forma di una pera, è incollata alla faccia inferiore del fegato, che la copre. Non
dovrebbe essere palpabile. Il punto d’incontro tra l’arcata costale di sinistra e la bisettrice
dell’angolo formato dalla linea passante per appendice xifoidea e cicatrice ombelicale e la
linea orizzontale sempre passante per tale cicatrice è detto punto cistico, lì troviamo la
cistifellea;
pancreas (componente esocrina): immette nell’intestino tenue enzimi litici, che servono per
digerire lipidi, proteine, carboidrati (in più favorisce la formazione dello ione bicarbonato).
L’intestino si divide in piccolo e grande, in base al calibro interno.
Il tubo termina nell’apertura anale (che si trova nella piccola pelvi).
Piccolo intestino o intestino tenue
Ha una parete molto sottile, un calibro di circa 1,5 cm decrescente dall’origine alla terminazione e è
lungo poco più di 6 m.
Le sue componenti sono:
• duodeno, lungo tra i 25 e i 30 cm;
• digiuno, lungo 1,5-1,7 m, chiamato così perché nei cadaveri si trova sempre vuoto;
• ileo, la parte più lunga (ileo in greco significa contorto) ed è ripiegato in anse disposte molto
ordinatamente. Queste anse, numerosissime, ricoprono il colon ileopelvico e parte
dell’ascendente e del discendente. L’osso iliaco si chiama così perché anteriormente
contiene queste anse. L’ileo finisce ad angolo retto nel grande intestino, la continuazione tra
i due non è di tipo termino-terminale.
Grande intestino
Ha un calibro di 3-4 cm, è lungo 1,60-1,80 m (più o meno come l’altezza dell’individuo).
È composto da:
• cieco, molto piccolo, è la parte a fondo cieco del passaggio tra grande e piccolo intestino. Ha
un’appendice, detta appendice vermiforme o ciecale o anche solo appendice;
• colon ascendente, a destra, sale dalla fossa iliaca andando un po’ indietro. Si trova
nell’ipocondrio di destra, termina con la flessura colica di destra, anche detta epatica, perché
prossima al fegato;
• colon trasverso, da destra a sinistra, divide l’addome in due parti, è convesso in basso e in
avanti;
• colon discendente, a sinistra;
• colon ileopelvico (o colon sigmoideo o colon sigma per i clinici);
• colon retto (o semplicemente retto).
Il colon trasverso è sostenuto nella sua posizione dal mesocolon trasverso (meso sta per
strumento), un legamento peritoneale.
Il 30-40% craniale della cavità addominale, posto sopra al colon e al mesocolon trasversi, è detto
regione sopramesocolica e coincide grossolanamente con l’epigastrio e i due ipocondri. Gli organi
della regione sopramesocolica più vicini alla parete anteriore sono fegato, stomaco e milza. In gran
parte (la milza completamente), occupano la concavità del diaframma, proiettando sulla parete
toracica. In condizioni fisiologiche la milza non deborda dall’arcata costale. Solo una piccola parte
di stomaco è a contatto, nella regione epigastrica, con la parete addominale anteriore, quindi
quest’organo è poco palpabile, anche perché è vuoto 20 ore al giorno. Anche il fegato è palpabile
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solo in parte, in caso contrario ci troviamo di fronte a uno spostamento o un ingrossamento anomalo
da studiare. Questi tre organi sono tra loro imbricati: il fegato copre parzialmente lo stomaco, che, a
sua volta, copre parzialmente la milza.
Il 60-70% caudale della cavità addominale è detto regione sottomesocolica.
Anche il piccolo intestino, in particolare digiuno e ileo, hanno bisogno di un mezzo di fissità,
costituito da un legamento, anche questo di natura peritoneale, detto mesentere. È il più grande dei
mesi che abbiamo, avvolge digiuno e ileo e li connette alla parete addominale posteriore. Alla sua
radice il mesentere è lungo meno di 30 cm, mentre attorno al piccolo intestino è lungo come
quest’ultimo. È come un ventaglio piegato. La radice è orientata da L1 alla fossa iliaco di destra. Le
anse del piccolo intestino seguono un andamento a Z rovesciata, sono dotate di mobilità passiva,
questo perché in gravidanza possano essere spostate dall’utero in crescita. Nell’esecuzione di tagli
cesarei e interventi retroperitoneali le anse sono tolte fisicamente e poi riposte a fine operazione.
A causa della pressione a destra del fegato la flessura colica di destra si colloca più in basso della
sinistra, di conseguenza il colon trasverso va dal basso verso l’alto.
Il colon sigmoideo è un organo in gran parte pelvico. Arrivato nella fossa pelvica di sinistra, deve
scendere nella piccola pelvi (c’è un gradino ad angolo retto), per farlo si flette a 90°.
Successivamente si piega verso l’alto a formare una V, determinando, nell’andare in avanti e in alto,
un semicerchio con la convessità verso l’avanti e superando verso destra la linea mediana. Continua
la curva indietro, si fa più verticale e diventa, all’altezza della 3a vertebra sacrale, colon retto.
REGIONE SOPRAMESOCOLICA
STOMACO
È un organo sacciforme che deriva dalla dilatazione asimmetrica dell’esofago. Si colloca in parte
nell’epigastrio e in parte nell’ipocondrio di sinistra. Fa seguito all’esofago e si continua con
l’intestino. È un viscere cavo. Quando è vuoto (per la maggior parte della giornata) presenta una
faccia anteriore, che guarda leggermente in alto e a destra, una posteriore, che guarda leggermente
in basso e a sinistra, e due margini, a destra e a sinistra. Quello di destra, piccolo e concavo, è detto
piccola curvatura. Quello di sinistra, convesso e più grande, è detto grande curvatura.
Dividiamo lo stomaco in tre parti fondamentali:
• fondo dello stomaco, la parte superiore alla linea parallela al piano terra passante per
l’orifizio di passaggio tra esofago e stomaco, detto cardia (o cardias). È diretto in alto e si
trova a diretto contatto con il diaframma: tra fondo dello stomaco e margine sinistro
dell’esofago c’è un angolo acuto, che determina l’incisura cardiale, la quale segue il cardia
sulla superficie esterna;
• corpo dello stomaco, compreso tra la linea di cui sopra e la linea verticale passante per
l’incisura gastrica (punto di minimo della piccola curvatura, anche detto piega angolare). È
la parte più estesa dello stomaco;
• parte pilorica, va dal corpo al piloro, uno sfintere che regola il passaggio del chimo tra
stomaco e duodeno (non è una valvola). È la parte più fina dello stomaco, è curva in avanti.
La prima porzione del corpo, convessa in basso, è detta antro pilorico, la seconda, più o
meno cilindrica, canale pilorico.
La maggior parte dell’organo si trova nella concavità diaframmatica, coperta anteriormente
dall’arcata costale e dal fegato. Proiettano sulla parete addominale solo la parte pilorica e la
porzione inferiore del corpo
Ciò che deglutiamo, da che infila il faringe, prende il nome di bolo. Dopo 30-60 min il bolo
si mescola con il succo gastrico prodotto da alcune cellule della mucosa, prendendo il nome
di chimo gastrico. Perché il bolo diventi chimo è necessario che lo stomaco si contragga a
piloro chiuso. La spinta è operata soprattutto dalla parte di corpo dello stomaco prospiciente
la grande curvatura. Il bolo incontra il piloro chiuso, tornando su alla piccola curvatura per
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ricevere una nuova spinta verso il basso. Questo processo induce alla completa
omogeneizzazione di bolo e succo.
Rapporti
Lo stomaco ha un rapporto posteriore con la milza (tav. 255), dietro alla parte più alta del corpo.
C’è dietro anche parte del rene di sinistra, il corpo e la coda del pancreas. Dietro anche la ghiandola
surrenale di sinistra. Dietro e sopra al fondo c’è il diaframma. Attraverso questo il fondo è in
rapporto con la base del polmone di sinistra, un po’ con la faccia diaframmatica del cuore. Anche la
parte più alta della flessura colica di sinistra si trova dietro, incuneata tra stomaco e milza. Dietro
alla parte pilorica collochiamo la flessura duodeno-digiunale, con l’interposizione del mesocolon
trasverso.
La parte della faccia anteriore a contatto con la parete toracica corrisponde allo spazio semilunare
del Traube, una semiluna con convessità volta in alto e a sinistra. Il limite inferiore, rettilineo,
appoggia sul margine delle cartilagini costali dal processo xifoideo alla 9a o 10 a costa.
Superiormente la semiluna arriva alla 5 a o 6 a costa. Lateralmente è delimitata grossolanamente da
una linea verticale un po’ laterale a quella emiclaveare. La parte della faccia anteriore a diretto
contatto con la parete addominale è detta triangolo di Labbè, i cui lati sono: medialmente l
margine sinistro del fegato, lateralmente l’arata condrosternale e inferiormente la grande curvatura.
Se mandiamo giù aria questa può, alla fine di un pasto, risalire al fondo dello stomaco sotto forma
di una bolla gastrica che proietta sulla superficie della parete toracica di sinistra. Non la si deve
confondere, nel radiogramma, con una cisti polmonare
Il tubo si contrae in seguito a un’onda di contrazione peristaltica causata dalla muscolatura, per
far progredire il contenuto. Il piloro sta più chiuso che aperto: si rilascia nel tempo in cui si svuota
lo stomaco (45-60 min), aprendosi un numero limitato di volte. Ciò che deglutiamo prende il nome
di bolo, da ce infila il faringe. Lo stomaco ha una mucosa con cellule che producono succo gastrico
(H2O, HCl, enzimi litici e muco). dopo 30-60 min il bolo si mescola al succo gastrico e prende il
nome di chimo gastrico. Abbandonato lo stomaco, prosegue fluido col nome di chilo. Uno degli
enzimi litici è la pepsina, che serve essenzialmente a iniziare la digestione delle proteine. Perché il
bolo si faccia chimo è necessario che lo stomaco si contragga a piloro chiuso. La spinta è operata
soprattutto dalla parte di corpo dello stomaco prospiciente la grande curvatura. Il bolo incontra il
piloro chiuso, tornando su alla grande curvatura. Riceve qui un’altra spinta verso il basso. Questo
induce la completa omogeneizzazione tra bolo e succo. Ogni tanto il piloro si rilascia e qualcosa va
nel duodeno. Il tempo d’apertura è breve. Questo accade fino al completo svuotamento dello
stomaco. Svuotatosi, lo stomaco si contrae molto raramente. Questo evento è regolato dal sistema
nervoso autonomo (che ne controlla anche le secrezioni) e da ormoni secreti da intestino e stomaco
(che controllano secrezioni e contrazione in parte). Dal duodeno in poi abitano nel tubo batteri,
che agiscono da antibiotici naturali (competono con i patogeni per il cibo) e sono importanti per il
metabolismo di alcune vitamine. Per questo motivo la cura di infezioni con antibiotici è da
integrare con fermenti lattici. Nutrendosi questi batteri producono come rifiuto dei gas.
DUODENO
Il duodeno è disposto a formare una C (la C duodenale) e costituisce la parte iniziale del piccolo
intestino. Può essere inscritto in una sorta di rettangolo che proietta tra T11 ed L2-L3. È l’unica
parte del corpo che riceve i liquidi di cistifellea e pancreas. In latino duodeno significa 12 dita, è
infatti lungo 22-28cm. Proietta in parte sull’epigastrio e in parte sul mesogastrio, la sua parte più
bassa si trova poco sopra alla cicatrice ombelicale. Comincia a livello di L1 e finisce a L2. Viene
diviso in quattro parti:
• prima parte o bulbo-duodenale, è un segmento di 3-4 cm che si slarga a valle del piloro e
è diretto in alto, a destra e indietro. Questa convessità anteriore è dovuta alla presenza del
pancreas, dell’aorta e della lordosi della colonna lombare;
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seconda parte o discendente, inizia dove il duodeno piega improvvisamente in giù, è lunga
in media 8 cm;
• terza parte o trasversa, va da destra a sinistra dolcemente, senza grandi flessure. Anche
questa è convessa e addirittura sporge un po’ in avanti;
• quarta parte o ascendente, risale fino a L2.
Una parte di noi ha un duodeno a V, in cui la terza parte è quasi inesistente, costituita da una
flessura. Un’altra minoranza presenta un duodeno a U, con un passaggio molto dolce tra terza e
quarta parte.
Il tubo compie di nuovo un’improvvisa piega in basso, dando inizio al digiuno. È la flessura
digiuno-duodenale, a forma di V rovesciata. È fissata alla parete posteriore da peritoneo parietale e
al diaframma dal muscolo o legamento sospensore del duodeno, o di Treitz (Tav. 253), su cui si
appoggia il polo inferiore del rene.
Rapporti
Nella concavità della C duodenale si incastra la testa del pancreas (la sua parte più a destra e più
grande). Dietro alla prima parte del duodeno c’è un vaso, che si origina dietro la testa del pancreas,
la vena porta; davanti invece ci sono fegato e colecisti, che copre il passaggio tra prima e seconda
parte. La seconda parte si trova su un piano leggermente più ventrale, perché posteriormente ha la
parte mediale del rene di destra, dove c’è l’ilo del rene (luogo di entrata dei vasi e di uscita
dell’uretere). Davanti alla seconda parte del duodeno si trovano radice del mesocolon trasverso,
colon trasverso e anse digiunali. Lateralmente è in rapporto con il lobo destro del fegato. La
terza parte è anch’essa coperta da anse digiunali, posteriormente si rapporta con l’aorta
discendente addominale e con la cava inferiore (a destra dell’aorta). L’arteria mesenterica
superiore, che irrora piccolo intestino e intestino crasso, nasce dall’aorta addominale all’altezza
circa di L1. Alla nascita passa dietro al pancreas, poi scende in basso, leggermente a destra e un po’
in avanti. Disegna un angolo acuto detto angolo aorto-mesenterico, che accoglie la terza parte del
duodeno. Quindi i vasi (aorta e vena) mesenterici passano davanti alla terza parte. Un angolo
aorto-mesenterico troppo stretto può ostacolare la crescita del duodeno causando uno
strozzamento passivo e quindi una riduzione del calibro. Dietro alla quarta parte troviamo la pelvi
renale di sinistra e parte dell’aorta, davanti ancora anse del digiuno e la parte pilorica dello
stomaco. Nella chirurgia è molto importante il rapporto tra pelvi renale di sinistra e flessura
digiuno-duodenale, infatti quest’ultima è punto di repere per la prima. essendo attraversato dalla
radice del mesocolon trasverso, il duodeno è in parte sopra e in parte sottomesocolico.
•
PEDUNCOLO EPATICO
La via biliare extraepatica è costituita da una serie di condutture su cui confluisce la bile prodotta
dal fegato e raccolta nei condotti biliari extraepatici. Due (a volte tre) dotti epatici, di destra e di
sinistra, convergono, poco lontano dal fegato, a formare il dotto epatico comune. Il dotto epatico
comune riceve, più in basso, il dotto cistico (condotto della colecisti) diventando coledoco. Il
coledoco va a scomparire dietro al duodeno, per poi sboccare nella sua parte discendente. Si trova
incastrato tra duodeno e testa del pancreas. Lì la parete duodenale è sollevata in una papilla: la
papilla duodenale maggiore; questo per l’inserzione del coledoco e per la presenza intorno ad esso
dello sfintere coledocico di Oddi. Normalmente lo sfintere è contratto, l’apertura è chiusa. La
presenza di grasso nel duodeno innesca l’apertura dello sfintere e la contrazione della colecisti. La
bile raggiunge la cistifellea quando lo sfintere è contratto, seguendo il gradiente pressorio.
A sinistra (in genere) del coledoco si trova l’arteria epatica propria. Dietro a coledoco e arteria
epatica propria intravediamo la vena porta, che si origina dietro la testa del pancreas per la
confluenza di un albero venoso che raccoglie tutto il sangue del tratto gastroenterico
sottodiaframmatico. Tutto ciò che assorbiamo durante la digestione arriva al fegato tramite questo
vaso. Questa vena entra nel fegato, costituendo un’eccezione poiché, solitamente, le vene escono
dagli organi. Arteria epatica e vena porta, entrate nel fegato, vi si ramificano. Via biliare
extraepatica, vena porta e arteria epatica vanno a costituire il peduncolo epatico.
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PANCREAS
Il pancreas è una ghiandola tubolo-acinosa, il cui parenchima è organizzato a lobuli. È molto
parenchimatoso e vascolarizzato e per questo è molle e friabile. È avvolto da una sottile capsula
fibrosa. Si estende da destra a sinistra, leggermente verso l’alto. È convesso verso l’avanti per la
presenza della colonna vertebrale e dei due grossi vasi prevertebrali. Si trova tra T11 e L1. Il
passaggio tra testa e corpo è segnato da un’incisura che delimita l’istmo del pancreas. Nel corpo e
soprattutto nella coda troviamo gli isolotti del Langerans, che costituiscono la parte endocrina
dell’organo. Il secreto, dalle ghiandole, è raccolto in condottini, poi in condotti, quindi nel condotto
pancreatico principale (o dotto di Wirsung). Il secreto è raccolto a partire dalla coda, poi dal
corpo e la metà inferiore della testa, dove il dotto si unisce al coledoco. Per sboccare nel duodeno il
dotto usa la papilla duodenale maggiore o inferiore.
In caso di ostruzione, a causa di un calcolo, della papilla duodenale maggiore può avvenire la
chiusura del dotto di Wirsung. Non potendo arrivare al duodeno gli enzimi pancreatici finiscono
con l’agire sul pancreas, ne può conseguire una pancreatite.
In aggiunta a quello di Wirsung, un altro condotto pancreatico, detto dotto pancreatico minore o
di Santorini, che raggiunge il duodeno tramite la papilla duodenale minore o superiore, posta
superiormente all’altra. Solitamente il dotto di Santorini è un ramo collaterale del principale, a volte
è indipendente. Lo sfintere qui non c’è, questo ci indica che quello della papilla duodenale
maggiore è esclusiva del coledoco. Infatti il pancreas è una ghiandola a secrezione regolata, non
continua. La presenza del chimo nel duodeno attiva cellule endocrine che producono ormoni che
agiscono sul pancreas, non servono sfinteri.
I dotti di Wirsung e Santorini sono biforcazioni del dotto principale che originano nell’istmo del
pancreas. Non c’è proporzione tra i condotti e le papille, il dotto di Wirsung è il doppio di quello di
Santorini ma la papilla maior è molto più del doppio della minor, questo perché a livello della maior
vi è anche lo sbocco del coledoco e la muscolatura liscia disposta circolarmente a costituire lo
sfintere di oddi. Dalla papilla maior quindi vengono secrete 2 sostanze: succo pancreatico e bile.
Il pancreas origina due abbozzi, dorsale e ventrale, dell’intestino primitivo, per questo è in così
stretto rapporto col duodeno.
Rapporti
L’estremo inferiore della testa del pancreas si continua in un prolungamento, detto processo
uncinato. A volte il processo uncinato della testa del pancreas è vicino a dove passano i vasi
mesenterici. La testa del pancreas contrae rapporti con la C duodenale e con il coledoco, che lascia
un’impronta. È attraversata dalla radice del mesocolon trasverso. Dietro la testa troviamo l’origine
della vena porta. Davanti al corpo c’è il corpo dello stomaco, che copre anche la testa del
pancreas. Dietro al corpo e alla coda troviamo l’aorta addominale, andando a sinistra la pelvi
renale (ovviamente del rene di sinistra), poi arriva all’ilo della milza. Superiormente il corpo
arriva sotto al tronco celiaco. Nella parte superoposteriore di corpo e coda del pancreas lasciano il
loro solco la vena e (più cranialmente) l’arteria spleniche.
FEGATO
I romani, nell’antichità, osservarono che se le oche mangiavano tanti fichi (in latino ficatum)
presentavano un fegato ingrossato, questa è l’etimologia del termine.
È l’organo più grande che abbiamo, pesa 1,5-1,7 kg, ha un colore rosso brunastro e una consistenza
pastosa, conferitigli dal fatto che è molto vascolarizzato e parenchimatoso e che ha poco connettivo.
Proietta sulla parete toracica, ne deborda minimamente. Occupa l’ipocondrio di destra, parte
dell’epigastrio e parte dell’ipocondrio di sinistra. Contiene 500-600 mL di sangue (poco più del
10% del totale). Ha grossolanamente la forma di un semiovoide (mezzo uovo). Presenta una
superficie convessa che rappresenta il calco del diaframma, è la faccia diaframmatica, rivolta in
avanti, in alto e soprattutto a destra. In basso e indietro guarda invece la faccia postero-inferiore,
piano-concava, a contatto con i visceri della regione sopramesocolica; è detta faccia viscerale. Il
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fegato ha anche due margini, uno antero-inferiore (in genere detto inferiore), molto sottile, che si
continua a destra e a sinistra nel margine posteriore. Questi due margini rappresentano il contorno
della faccia viscerale. Molto sottile a sinistra, il posteriore è allargato e molto arrotondato verso
destra, tanto che alcuni lo chiamano faccia posteriore (per il prof. fa lo stesso).
La faccia viscerale è percorsa da una coppia più o meno parallela di solchi longitudinali, a formare
una specie di binario. Sono detti solco longitudinale di destra e di sinistra, entrambi vanno dal
margine posteriore al superiore. Sono connessi tra loro da un solco trasverso. Ne risulta un
tracciato a forma di H che divide il fegato in quattro lobi. Lobo di destra, a destra del solco
longitudinale di destra, il più grande di tutti, lobo di sinistra, a sinistra del solco longitudinale, lobo
quadrato (in realtà è più rettangolare), anteriormente e lobo caudato, posteriore al quadrato.
Caudato significa con la coda, è chiamato così perché sporge, avendo spazio, indietro e in alto. Il
solco di destra è composto da due fosse: la fossa cistica, anteriormente, per la cistifellea, che lì è
adesa al fegato e, a terminare il solco, la fossa della cava inferiore, che contiene 6-7 cm della vena
a cui deve il nome. La cava si approfonda nel fegato proprio come un piede nella neve fresca
(com’è poetico quell’uomo). In questa regione la cava inferiore riceve le vene reflue del fegato, le
vene sovraepatiche, in questo modo i prodotti elaborati dal fegato sono subito immessi nel piccolo
e poi nel grande circolo.
Nel solco di sinistra troviamo il legamento rotondo del fegato. Tale tralcio fibroso è uno dei due
(nei maschi) tre (nelle femmine) legamenti rotondi che abbiamo, non è quindi sufficiente chiamarlo
rotondo. Durante tutta la vita fetale il sangue arriva al feto tramite la vena ombelicale. Questa vena
entra dalla futura cicatrice ombelicale e arriva alla cava inferiore passando sotto al fegato. La prima
parte del legamento nasce dall’obliterazione della vena ombelicale, la seconda da quella del dotto
di Aranzio. Il legamento rotondo del fegato ha a che fare con una dei legamenti peritoneali del
fegato.
Nel solco trasverso troviamo l’ilo del fegato, dove entrano e escono condotti di varia natura: arteria
epatica, vena porta, qualche struttura nervosa, dotti epatici e vasi linfatici. È più prossimo alla faccia
posteriore che al margine anteriore.
Nella faccia diaframmatica due soli lobi, destro e sinistro. Il primo molto più grande del secondo.
A dividere i due lobi abbiamo il legamento falciforme del fegato, al cui margine inferiore abbiamo
il solco sagittale superiore.
Questa distinzione in lobi è puramente convenzionale, le vere lobature sono legate alla via biliare
infraepatica.
Rapporti
A causa della sua consistenza pastosa il fegato presenta una serie di impronte corrispondenti agli
organi con cui si rapporta.
Superiormente è in gran parte in rapporto col muscolo diaframma, del quale segue, entro certi
limiti, le escursioni (infatti il medico ci fa inspirare per toccarlo, di modo che si abbassi). Il
diaframma lascia dei solchi orientati in senso anteroposteriore, detti impressioni diaframmatiche.
Anteriormente e caudalmente a queste troviamo l’impronta lasciata dal margine libero dell’arcata.
Nella regione addominale è in rapporto con la parete addominale molle. Con l’interposizione del
diaframma è in rapporto con: a destra la base del polmone di destra, andando a sinistra la faccia
diaframmatica del cuore, all’estremo di sinistra la base del polmone di sinistra. A seconda delle
variazioni anatomiche nei soggetti bassi e larghi riscontreremo un fegato allungato che avrà un
maggiore rapporto con il polmone di sinistra, il contrario avverrà nei soggetti longilinei.
Ci sono organi in strettissimo rapporto con la faccia viscerale, incollati al fegato.
Il lobo di destra ha una fossa al suo estremo inferiore, è l’impronta lasciata dalla flessura colica di
destra. Verso l’alto troviamo l’impronta renale, lasciata da parte del rene di destra. A seguire
quella lasciata dalla ghiandola surrenale di destra.
A livello del lobo caudato niente impronte, si rapporta col diaframma che scende da dietro. Dietro
a questo lobo non visceri ma parete. Il lobo quadrato ha rapporti con la prima parte del duodeno e
un pezzo della parte discendente.
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Il lobo di sinistra presenta un’unica impronta, lasciata da parte dello stomaco.
L’esofago addominale lascia un’impronta sul margine posteriore, detta incisura del margine
posteriore. Rapporto anche con esofago e nervi vaghi, oltre che, come detto sopra, cava inferiore.
Una percentuale significativa di noi (circa il 30 %) ha un terzo dotto epatico, detto accessorio, che
drena dal lobo destro. Ci sono quatto possibilità:
• dotto epatico accessorio a livello della convergenza degli altri due;
• accessorio che finisce nel dotto epatico comune;
• accessorio che finisce nel punto di confluenza tra cistico e comune;
• accessorio che finisce nel dotto cistico.
Il dato è importante se si deve sottoporre il paziente a colecistectomia (asportazione chirurgica
della colecisti), se non ci si accorge che l’accessorio finisce nel dotto cistico, tagliando e tirando
via la cistifellea si rischia di strappare il dotto cistico, con conseguenze gravissime.
Dividiamo il fegato in otto zone epatiche o biliari, nominate dalla 1 alla 8. Sono distribuite in
senso orario partendo dal lobo caudato, cui coincide la zona 1, poi 2-3-4 coincidono col sinistro e 56-7 col destro. Ogni zona drena la bile a uno specifico ramo della via biliare intraepatica.
REGIONE SOTTOMESOCOLICA
Il calibro interno del grosso intestino arriva a essere anche due tre volte quello del piccolo. Su
radiogramma il grosso risulta come composto da segmenti, questo perché sono presenti frequenti
strozzature, tipo salsiccia o, meglio, soppressata (golosone, lui!). In corrispondenza della giunzione
ileo-colica troviamo una valvola, che permette il passaggio del chilo in una sola direzione. L’ileo
finisce ad angolo retto sulla parete postero-mediale del grande intestino. Nel passaggio due labbra
costituiscono la valvola ileo-ciecale. Il chilo va da ileo a grosso intestino, ma non viceversa. La
concavità è rivolta verso l’ileo o assente a seconda del verso della spinta. La tenuta della valvola
non è perfetta, specialmente nel bambino. Il piano passante per la valvola ileo-ciecale segue il
passaggio tra cieco e colon ascendente. Poco sotto lo sbocco dell’ileo c’è l’appendice vermiforme
o ciecale, o solo appendice. È un’evaginazione del cieco lunga tra i 7 e i 15 cm. Il grosso intestino è
diviso in moduli da solchi circolari (in realtà non strozzature) cui all’interno corrispondono delle
pieghe semicircolari. Tra una piega e l’altra le superfici sono dette gibbosità (gibbo = gobba). La
corrispondente cavità interna prende il nome di haustra (scavo, antro, fossa caverna). Cieco e
appendice possono anche trovarsi nella fossa iliaca di sinistra o nell’ipocondrio di destra, sono
variabilità anatomiche. Durante l’organogenesi avviene una rotazione del grosso intestino in senso
antiorario attorno ai vasi mesenterici. Queste variazioni sono dovute a una rotazione incompleta. Se
lunga, l’appendice può scendere nella piccola pelvi o salire assieme al cieco.
Nel piccolo lume dell’appendice può entrare del materiale e non riuscire a uscirne, ne può
conseguire una risposta infiammatoria, l’appendicite. Le differenti maniere in cui l’appendice può
posizionarsi causano problemi di diagnosi differenziale di tale malattia.
Il colon ileopelvico forma una S. A differenza del colon discendente è mobile. Presenta un
legamento peritoneale, detto mesosigma, che permette l’accrescimento dell’utero senza offrire
resistenza.
MILZA
È situata nell’ipocondrio di sinistra, è un organo linfoide, il principale dell’emocateresi. È l’organo
principale dell’emocateresi. È relativamente piccolo, di consistenza dura (il libro dice molle), ha
molto connettivo. L’imponente vascolarizzazione gli conferisce il colorito rosso bruno. Ha la forma
di una pagnotta, con l’asse maggiore orientato in basso e a sinistra. Superiormente ha una
convessità che si adatta al diaframma, la faccia diaframmatica, che guarda a sinistra. La faccia
viscerale guarda invece verso destra, medialmente. La milza proietta sulle ultime coste e non
deborda mai dall’arcata costale, neanche inspirando al massimo. Il suo profilo è ellittico. La sua
posizione varia a seconda degli atti respiratori. In espirazione forzata arriva poco sotto all’8a costa,
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in inspirazione forzata all’11a. In caso di respirazione tranquilla l’escursione è molto limitata. La
milza è individuabile con la percussione, si sente un suono di coscia.
L’ilo della milza si trova sulla faccia gastrica ed è il luogo di ingresso dell’arteria splenica o
lienale e di uscita della vena omonima. La milza è mantenuta in posizione da legamenti che la
uniscono a diaframma, stomaco e pancreas, nonché dalla pressione addominale positiva. È anche
sostenuta dal legamento frenocolico, sul quale appoggia con il polo inferiore.
Rapporti
In realtà dal lato viscerale abbiamo due facce, una concavità si adatta alla convessità del rene,
un’altra, più ventrale, a quella dello stomaco (facce renale e gastrica). La milza quasi si incastra tra
questi due organi. La faccia gastrica prende rapporto anche con la flessura colica di sinistra. La
coda del pancreas si spinge quasi a contatto con l’ilo della milza.
PERITONEO (a mio avviso sono utilissimi, per questo argomento, le diapositive a lezione, tratte
dal Testut e i disegni del prof.)
Membrana sierosa che avvolge in maniera incompleta più organi, a differenza di pericardio e pleura
che li coprono completamente. Inoltre pericardio e pleura hanno più connettivo, mentre il peritoneo
è trasparente.
Embriogenesi dell’apparato digerente
Il tubo digerente embrionale va da apertura orale a apertura anale. L’entoderma da piatto diventa
tubulare. Il mesoderma si apre lateralmente da entrambe le parti e avvolge il tubo, determinando la
cavità celomatica. Un pezzo di mesoderma diventerà aorta, da cui origineranno più vasi diretti al
tubo digerente. Dall’entoderma epitelio, il resto dal mesoderma. Il tubo si allarga, non può andare
indietro, quindi va in avanti. Celoma e cavità celomatica cambiano nome in peritoneo e cavità
peritoneale. Una parte di peritoneo sta a ridosso degli organi, un’altra parte, in continuità con la
prima, riveste la parete addominale. Si parla di peritoneo viscerale e parietale. A connettere
viscerale e parietale una parte di peritoneo che assume la forma di un legamento che collega i
visceri alle pareti: legamento peritoneale. Questo legamento è fatto da due foglietti, dei quali uno è
la continuazione dell’altro.
Tutte le volte che abbiamo due foglietti di peritoneo che si guardano, di cui uno è la continuazione
dell’altro, abbiamo un legamento peritoneale. Se sono larghi si chiamano mesi (es: mesocolon
trasverso, mesosigma). Fa eccezione il mesoovario.
Il legamento di cui di cui parlavamo sopra è il mesogastrio dorsale. La situazione ora è quella di
un tubo lungo quante tutto l’embrione.
Col progredire dello sviluppo, la situazione cambia, cominciano a svilupparsi il fegato e il coledoco,
che si differenzia nei vari tubicini. Dal coledoco si sviluppa il parenchima a formare la ghiandola. Il
coledoco si forma dalla faccia anteriore del duodeno. Il peritoneo è spinto in avanti e si allarga per
adattarsi alle nuove forme. Siamo in presenza di un nuovo legamento, il mesogastrio ventrale, che
connette futuro duodeno e fegato. Vena ombelicale e dotto di Aranzio, passando, danno sangue al
fegato. La vena ombelicale si è formata con la placenta, mentre la parete dell’embrione si chiuderà
sulla futura cicatrice ombelicale, quindi la vena non buca l’addome. Per ora si chiama mesogastrio
ventrale anche il legamento che contiene la vena ombelicale. Quindi al momento possiamo dire che
il fegato si trova nella compagine del mesogastrio ventrale. È questa una fase che dura poco. Il
fegato deve accrescersi, ruota verso destra e indietro. Ruota di 90° gradi anche la parte di
mesogastrio ventrale posteriore al fegato. I due foglietti ora presentano una faccia anteriore e una
posteriore. Nasce la milza, che deve entrare in funzione da subito. È un organo totalmente
mesodermico (come l’aorta e i suoi vasi). Contemporaneamente alla rotazione del fegato dal vaso
che congiunge aorta e intestino primitivo viene fuori un altro vaso che va verso sinistra, si ramifica
e organizza il tessuto che comporrà la milza. Anche stomaco e duodeno ruotano a destra di 90°,
diventando da sagittali a frontali. Grande e piccola curvatura si dispongono. Si forma la C
duodenale, perché lo spazio a disposizione è poco. Le cavità peritoneali destra e sinistra diventano
posteriore e anteriore. Il mesogastrio ventrale si estende soltanto fino alla lunghezza del fegato.
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Nasce a causa di questo, sotto ad esso non è presente. Ubi fegato ibi mesogastrio ventrale (com’è
dotto st’omo). Il mesogastrio dorsale, invece, si estende per tutta la lunghezza del tubo.
Ancora il digiuno-ileo è molto corto. Il grosso intestino è il primo ad allungarsi. Non ha spazio e
inizialmente piega in avanti. Il futuro cieco va a trovarsi dove sarà la cicatrice ombelicale.
L’allungamento procede in alto e in avanti, tanto che l’intestino precedente il cieco viene a trovarsi
al di sopra dell’arteria mesenterica superiore. Contestualmente all’intestino si sposta la parte di
mesogastrio che collega il tubo alla parete. L’escursione maggiore è ovviamente quella della parte
mobile. Ultima parte dell’ileo e del futuro intestino si trovano dentro la futura cicatrice ombelicale
con la vena ombelicale (nell’allantoide).
Da ora non si parla più di mesogastrio, ma di legamento.
Il legamento che connette il fegato alla parete anteriore, ex mesogastrio ventrale, prende il nome di
legamento falciforme del fegato (somiglia ad una falce). Segue la convessità del fegato e la
concavità del diaframma, è stretto e poco profondo. Il foglietto di destra del legamento si continua
con quello di sinistra, lungo una linea di chiusura, il margine libero del legamento. Lungo il
margine libero, nello spessore del legamento falciforme, si trova il legamento rotondo del fegato,
residuo della vena ombelicale.
A livello della faccia diaframmatica del fegato i due foglietti si separano e lo vanno a rivestire verso
destra e verso sinistra, passando nella faccia viscerale; poi cercano di completare il giro per dietro,
ma trovano un ostacolo, perché a livello del margine posteriore, lungo una regione vagamente
romboidale (il prof dice losangica) il fegato è incollato al muscolo diaframma. Il diaframma è
infatti uno dei più potenti mezzi di fissità del fegato.
La componente epiteliale del fegato deriva dall’apparato digerente (endoderma  epitelio). Il setto
trasverso, che separa addome e torace, darà origine al diaframma, ma non solo, anche al pezzo di
cava inferiore che lo attraversa e la componente vascolare del fegato dalle vene sovraepatiche ai
capillari, passando per le venule. Possiamo quindi dire che il fegato nasce dall’incontro e dalla
vicendevole penetrazione di due abbozzi: quello epiteliale dell’ectoderma e quello vascolare del
mesoderma del setto trasverso. Il rapporto tra fegato e diaframma, perciò, è anteriore all’arrivo del
peritoneo.
Il peritoneo che sta ricoprendo la faccia diaframmatica del fegato, trovato l’impedimento, si ribalta
e torna ad essere parietale, rivestendo prima il diaframma, poi la parete. La stessa cosa avviene
dietro, a destra e a sinistra. La superficie non tappezzata da peritoneo è detta area nuda del fegato.
Troviamo attorno al fegato un altro legamento peritoneale, fatto da quattro foglietti e per questo
unico nel suo genere, detto legamento coronario del fegato. Ha due foglietti anteriori, destro e
sinistro, e due posteriori. Foglietto anteriore destro e posteriore destro si continuano e lo stesso
succede a sinistra, ne consegue la formazione dei legamenti triangolari destro e sinistro, estremi
laterali del coronario (cambiando punto di vista i due triangolari convergono a formare il
coronario).
Il legamento falciforme è una specie di lama, il suo margine libero arriva più o meno alla cicatrice
ombelicale. Il foglietto destro, sul lobo destro della faccia viscerale, incontra un altro ostacolo, la
vena cava inferiore (vedi fossa della cava). Cerca di passare ai lati di essa, ne costeggia il lato
destro, dove si trova in rapporto col fegato, intimamente connessa ad esso, risale quindi lungo la
cava. È il legamento epatocavale nasce dal foglietto ex destro del legamento falciforme, il
peritoneo aggira la cava meglio sul lato sinistro che sul destro, a causa del diaframma, si riflette su
di esso dopo aver percorso un bel po’ di spazio ricoprendo il lobo caudato del fegato.
La cava inferiore è il secondo potente mezzo di fissità del fegato. Il terzo mezzo è il legamento
falciforme, essendo molto stretto e molto poco profondo.
Il foglietto di sinistra, proveniente dal legamento falciforme, prima del diaframma incontra un altro
ostacolo, il peduncolo epatico. I foglietti destro e sinistro del peritoneo si piegano per avvolgere il
peduncolo epatico, formando un legamento che lo contiene. Il nome generale del legamento è
piccolo omento. Una parte del piccolo omento va dal solco trasverso, ilo del fegato alla prima parte
del duodeno. È il vecchio mesogastrio ventrale. Questa parte di legamento tesa tra fegato e duodeno
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è detta legamento epato-duodenale. Altra parte che completa la forma di ventaglio, che va dalla
prima parte del duodeno lungo la piccola curvatura dello stomaco, è anche questo piccolo omento,
ex mesogastrio ventrale. Dall’ilo del fegato alla piccola curvatura dello stomaco è detto legamento
epato-gastrico. Epatogastrico e epatoduodenale concorrono a formare il piccolo omento. Questo è
importante perché lega fegato, stomaco e duodeno. L’epatoduodenale è detto anche pars tensa del
piccolo legamento, l’epatogastrico pars lassa. Il piccolo omento nasce dal ripiegamento di un unico
foglietto, che voleva, circondando il fegato, andare in alto, ma ha trovato un ostacolo.
Ogni legamento peritoneale contiene qualcosa, minimo dei vasi. Il peritoneo copre la colecisti, che
quindi non rappresenta un ostacolo come il peduncolo epatico e fa sì che sia incollata alla fossa
cistica.
Il peritoneo avvolge dunque il peduncolo epatico.
Il foglietto posteriore (TAV 256) del piccolo omento tappezza quasi tutta la parte posteriore dello
stomaco. Quasi tutta perché incontra un ostacolo (vasi) che lo costringe a un’inversione a U, va
dunque a rivestire il pancreas, parietale. Il foglietto anteriore, quando incontra lo stesso ostacolo,
va a rivestire tutta la milza, a livello della faccia renale della milza (più o meno all’ilo) incontra un
altro ostacolo, gira e va a tappezzare il rene di sinistra fino alla faccia anteriore, per poi diventare
parietale.
Il legamento gastro-splenico (o gastro-lienale) va dallo stomaco alla milza. Un altro legamento è il
pancreatico-lienale, che va da pancreas a milza e contiene vasi importanti. Passando dietro al
piccolo omento (all’epatoduodenale) arrivo nello spazio compreso dietro allo stomaco, davanti a
pancreas e aorta, detto borsa omentale o retrocavità degli epiploon. È una cavità del peritoneo. È
detta borsa perché ha una sola apertura, omentale da omento perché ha a che fare con piccolo e
grande omento. Retrocavità perché è un elemento posteriore, degli epiploon perché epiploon
significa omento, grembiule. Dietro al piccolo omento la sensazione è di trovarsi in una fessura.
Tirando in avanti sento, attraverso il peritoneo, la vena porta, elemento più importante (come
grandezza) del peduncolo epatico. Spingendo indietro trovo la cava inferiore. Questo ingresso della
borsa omentale si chiama anello epiplooico o di Winslow (non foro, a lui non piace). Tramite il
peritoneo cava inferiore e vena porta si guardano. Spingendo in alto sento peritoneo che tappezza il
lobo caudato del fegato. Spingendo in basso trovo la prima parte del duodeno. Non posso scendere
più di tanto, perché il peritoneo che copre il duodeno a un certo punto risale, con un inversione a U,
e diventa parietale.
La retrocavità degli epiploon si forma con la rotazione dello stomaco. Ruotato il duodeno, esso deve
essere incollato alla parete posteriore affinché lo stomaco assuma la sua posizione, molto
importante funzionalmente. Quasi tutto il foglietto ex destro, diventato posteriore, si fonde al
peritoneo parietale, tanto da non poter più essere distinto da esso. L’unico a non fondersi è il
peritoneo ricoprente la 1a parte del duodeno, risultato è che solo questa parte ha peritoneo davanti e
dietro, mentre 2 a, 3 a e 4 a parte sono retroperitoneali.
I due foglietti peritoneali, anteriore e posteriore della grande curvatura scendono formando un lungo
legamento che fino a circa i 30 anni arriva fino all’epigastrio, poi risalgono per arrivare al colon
trasverso, dove si separano per passare uno sotto e uno sopra ad esso. Dal colon trasverso, come
abbiamo già detto, il legamento che va indietro è il mesocolon trasverso.
Quattro foglietti, due che scendono e due che salgono, formano il grande epiploon o grembiule
omentale. Con l’invecchiamento l’estremo inferiore del grembiule si ritira, è quasi nullo verso gli
80-90 anni. Copre le anse del piccolo intestino, è trasparente tranne che per le appendici
epiplooiche, delle parti di grasso. Aperta la pancia è molto mobile. Il foglietto del mesocolon
trasverso risale diventando parietale, coprendo la 3a e 4a parte del duodeno (non le ricopre l
foglietto che scende?), il pancreas e tornando al fegato. Si delimita quindi una cavità con una sola
entrata e uscita. Il pavimento della borsa omentale è costituito dal colon e mesocolon trasversi; il
tetto da fegato e diaframma. Lo spazio tra le due coppie di foglietti del grande omento è detto
recesso della borsa omentale. Il foglietto di mesocolon trasverso che scende va a ricoprire ogni
singola ansa dell’intestino per poi tornare a essere parietale (è l’ex mesogastrio dorsale primitivo
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che ha dovuto seguire l’allungamento dell’intestino). Altro legamento quindi tra le anse del digiuno
e dell’ileo e la parete dell’addome: il mesentere; per questo digiuno e ileo sono anche detti intestino
mesenteriale. Quindi due foglietti di peritoneo stanno davanti al pancreas e vanno da sinistra a
destra e dall’alto in basso, convergendo al mesocolon trasverso: un foglietto sale a coprire il
pancreas, un altro scende e diventa mesentere. La flessura digiuno-duodenale si trova sotto al
mesocolon trasverso, questo lo separa dalla parte pilorica dello stomaco, che sta davanti. Una parte
di duodeno è sopramesocolica (1a parte e un po’ della 2 a) un’altra è sottomesocolica (un po’ della 2
a
, 3 a e 4 a). Corpo e coda del pancreas sono sopramesocolici, la testa è un po’ sopra e un po’ sotto.
Il margine convesso del mesentere ha un fronte di 5,5 m. ha la forma di un ventaglio con la radice di
un po’ meno di 20 cm, scende in basso verso destra fino alla fossa iliaca di destra, dove i due
foglietti si separano. Da lì vanno verso l’alto fino all’ipocondrio, in una regione non coperta da
peritoneo, la regione ascendente del colon. Quindi il colon ascendente è retroperitoneale. Il
grosso intestino è cresciuto molto più del suo peritoneo, quindi il peritoneo passa semplicemente
sopra al colon ascendente, fissandolo alla parete (questo è il suo scopo). All’altezza della flessura
colica di destra i due foglietti si riavvicinano, il mesocolon trasverso va da destra a sinistra, dal
basso verso l’alto, fino alla flessura colica di sinistra. Neanche il colon discendente ha il suo meso,
è anch’esso retroperitoneale, fissato alla parete fino alla fossa iliaca di sinistra. Lì comincia il
colon ileopelvico, che deve essere mobile per il motivo, già detto, dell’accrescimento dell’utero. I
foglietti si riavvicinano formando un legamento a forma di V aperta in basso, il mesosigma.
Immobile è invece il retto (mai dire mesoretto, non esiste). Il cieco è peritoneale, avvolto davanti e
ai lati da peritoneo, lo posso afferrare da sotto, è un po’ mobile. Anche l’appendice vermiforme ha
un suo meso, chiamato mesenteriolo. Anche l’appendice è dotata di una certa mobilità, vedi la
digressione sulla diagnosi differenziale.
VASCOLARIZZAZIONE DIGERENTE
SISTEMA ARTERIOSO
Arterie freniche inferiori
Tra T11 e T12 l’aorta e il dotto toracico passano attraverso un’apertura (non proprio un orifizio) del
diaframma. Lì l’aorta dà origine alle arterie freniche inferiori, che contribuiscono alla
vascolarizzazione del diaframma.
Arteria celiaca
Tra T11 e T12 si diparte dall’aorta un vaso impari e mediano, molto corto, l’arteria o tronco celiaco.
Dopo 2-3 cm il tronco celiaco si divide in tre rami.
• Uno va verso sinistra, per finire nella milza. È il suo vaso principale, l’unico, detto arteria
splenica o lienale.
• Un altro va verso sinistra e in alto, l’arteria gastrica di sinistra.
• Il terzo vaso va verso destra, con il nome di arteria gastroepatica o epatica comune.
Arteria gastrica di sinistra
Sale in alto per arrivare più o meno alla regione del cardias, per impegnarsi nelle pagine del
legamento epatogastrico, scende quindi lungo la piccola curvatura dello stomaco. In questo tragitto
dà dei rami, anteriori e posteriori. Seconda cosa che fa questa arteria è andare a dare dei rami alla
parte addominale dell’esofago, le arterie esofagee inferiori.
Arteria gastroepatica o epatica comune
È diretta verso la prima parte del duodeno, tende ad andargli dietro. Lì si divide in due rami, uno
che scende, con il nome di arteria gastroduodenale, dietro la prima parte del duodeno; l’altro, più
grosso, prende il nome di arteria epatica propria ed è elemento del peduncolo epatico.
Arteria epatica propria dà origine:
• arteria cistica, diretta alla colecisti;
• un altro ramo, arteria gastrica di destra, scende in giù per arrivare alla piccola curvatura e
si anastomizza con la gastrica di sinistra a pieno canale. Quindi lungo la piccola curvatura
abbiamo un’arcata anastomotica di derivazione inferiore e superiore. Anche la gastrica di
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destra dà rami anteriori e posteriori al corpo e alla parte pilorica dello stomaco (non al
fondo). Da lì l’irrorazione coinvolge solo la parte di stomaco prospiciente la piccola
curvatura.
Arteria gastroduodenale
Alla prima parte del duodeno si divide in due:
• un ramo, arteria pancreaticoduodenale superiore, va a incastrarsi nella C duodenale
seguendone la concavità. Contribuisce a irrorare il duodeno e la testa del pancreas;
• il secondo ramo si dirige verso la grande curvatura dello stomaco, con il nome di arteria
gastroepiplooica di destra, contribuisce a irrorare lo stomaco e il grande epiploon, che,
come tutto il peritoneo, è molto vascolarizzato (questo spiega la grande pericolosità delle
peritoniti).
Tra testa del pancreas e C duodenale si trova l’arteria pancreaticoduodenale inferiore, primo ramo
di divisione dell’arteria mesenterica superiore, di cui parleremo più avanti.
Nella concavità della C duodenale c’è un’altra arcata anastomotica tra arterie pancreaticoduodenali
superiore e inferiore, che irrorerà duodeno e testa del pancreas.
Arteria splenica
È un ramo enorme, fatto che indica che ha un grande territorio di distribuzione. La milza infatti è
molto vascolarizzata, riceve molto sangue nell’unità di tempo. Altro motivo della grandezza di
questo vaso è che nell’andare alla milza viaggia lungo il margine superiore di corpo e coda del
pancreas, dandogli rami detti rami pancreatici. Poco prima di finire nella milza dà un altro ramo,
che scende in basso a raggiungere la grande curvatura dello stomaco, parte di sinistra, percorrendola
e anastomizzandosi con l’arteria gastroepiplooica di destra: è l’arteria gastroepiplooica di
sinistra. Questa darà origine a rami anteriori e posteriori che irrorano la parte pilorica e il corpo
dello stomaco, in particolare la parte prospiciente la grande curvatura.
Altro ramo della splenica prima dell’arteria gastroepiplooica di sinistra è l’arteria gastrica
posteriore, che si dirige verso la parte alta della grande curvatura dando una serie di rami senza
nome che irrorano la faccia posteriore del fondo dello stomaco e, girato l’angolo, la faccia anteriore.
In alcuni di noi dalla splenica vengono fuori rami già separati, le arterie gastriche brevi.
Arteria mesenterica superiore
Esce dall’aorta addominale, all’altezza di L1. Incrocia posteriormente il corpo del pancreas e
scavalca la 3a parte dl duodeno. Nel 25-27% di noi, dall’arteria mesenterica superiore viene fuori un
ramo che percorre il margine inferiore di corpo e coda del pancreas, con il nome di arteria
pancreatica inferiore.
La mesenterica superiore va lungo la radice del mesentere per tutta la sua stessa lunghezza, per
finire nella fossa iliaca di destra (se lì si trova il cieco, cioè nella maggior parte di noi). Viaggia
quindi in posizione retroperitoneale. Il lato convesso dell’arteria si trova a sinistra e il concavo a
destra.
Dal lato convesso vengono fuori dai 12 ai 20 rami che vanno verso sinistra, detti genericamente
arterie mesenteriche, le troviamo tra le due pagine del mesentere, ciascuna di queste, dopo un
tragitto variabile, si divide a T (lui dice sempre maiuscolo stampatello). I rami di divisione si
anastomizzano a pieno canale con i rami superiore e inferiore delle vicine. Si forma così una prima
arcata anastomotica. Dalla convessità di questa arcata anastomotica vengono fuori rami più piccoli e
numerosi. Anch’essi si dividono a T per formare una seconda arcata anastomotica. Dalla convessità
di questa arcata se ne forma una terza. Tutto contenuto nello spessore del mesentere. In questo
modo aumenta enormemente il letto vascolare. In aggiunta a queste tre canoniche, possedute da
tutti, in alcuni punti abbiamo una quarta e una quinta arcata. Dall’ultima (quale che sia, terza, quarta
o quinta) vengono fuori rami che penetrano nella parete dell’intestino. Sono rami terminali, in senso
anatomico e funzionale.
In caso di infarto di questi vasi si può avere angina addominis, che tipicamente colpisce dopo il
pasto, durante la digestione.
Dal lato concavo dell’arteria mesenterica vengono fuori tre rami:
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arteria colica media, che va a finire, dopo un breve tragitto, tra i due foglietti del
mesocolon trasverso, lì si divide a T, un ramo va verso la flessura colica di destra, l’altro
verso quella di sinistra;
• arteria colica di destra, dà anche lei due rami, quello che sale si anastomizza con il ramo
destro di divisione dell’arteria colica media;
• arteria ileocolica, va dall’alto in basso, si divide anch’essa a T, un ramo, ascendente si
anastomizza a pieno canale con il discendente della colica di destra, l’altro scende e si
anastomizza con l’arteria mesenterica superiore (lo splendido trucchetto di Donato per
ricordarlo è l’incesto della nipote con la nonna). L’ileocolica irrora anche l’ultima parte
dell’ileo e il cieco. Dall’anastomosi più bassa parte un piccolo ramo per l’appendice ciecale,
l’arteria appendicolare.
Arteria mesenterica inferiore
All’altezza circa di L3 (a circa L4 l’aorta si divide in due rami terminali) l’aorta dà l’arteria
mesenterica inferiore. Questa arriva alla fossa iliaca di sinistra, ma la troviamo soprattutto piuttosto
medialmente nello sbocco della pelvi. Va in basso e a sinistra (la superiore andava in basso e a
destra).
Dà un ramo, l’arteria colica di sinistra, che a sua volta ne darà uno che sale e uno che scende.
Quello che sale si anastomizza a pieno canale con il ramo sinistro di divisione dell’arteria colica
media.
Dalla mesenterica inferiore vengono fuori anche due o tre arterie sigmoidee. Dalla prima parte un
ramo che sale e che si anastomizza a pieno canale con il ramo discendente di divisione dell’arteria
colica di sinistra. Un altro ramo invece scende con le altre due sigmoidee a irrorare il colon
ileopelvico (colon sigma) senza fare anastomosi. Rami delle sigmoidee irrorano il terzo superiore
dell’intestino retto, prendendo il nome di arterie rettali (o emorroidali) superiori.
SISTEMA VENOSO
Tutti i vasi di cui si è parlato hanno le loro vene comites. Vene mesenteriche superiori e inferiori e
rami con gli stessi nomi delle arterie. Il sangue refluo dell’apparato digerente fino al terzo superiore
del retto, più quello che milza e pancreas deve andare a finire nel fegato. Nel fegato entra la vena
porta, che nasce dalla confluenza delle sue due radici: la vena mesenterica superiore e la vena
splenica. La splenica, prima di congiungersi alla mesenterica superiore, riceve la vena mesenterica
inferiore. Per questo la vena mesenterica inferiore è più lunga dell’arteria corrispondente di un paio
di corpi vertebrali, mentre la prima la troviamo a L1, la seconda a L3. la vena mesenterica inferiore,
salendo, passa dietro al pancreas.
Dalla milza arriva in continuazione sangue contenente eme da smaltire, in quanto tossico, ogni volta
che mangiamo dall’intestino arriva sangue arricchito dai prodotti della digestione. La porta entra
nell’ilo del fegato. Il sangue refluo dallo stomaco va o nella porta o, in alcuni di noi, le vene
gastriche entrano da sole nel fegato con il nome di vene porte accessorie. Le vene esofagee
inferiori vanno nella vena gastrica di sinistra, che entra nel fegato direttamente o indirettamente.
Nel fegato la porta si ramifica generando un territorio vascolare enorme. Il fegato è un organo
centrale nel metabolismo di zuccheri, proteine e grassi. È l’unico produttore di albumina e
fibrinogeno, una delle sedi principali di sintesi della vitamina A, produce ormoni. È abituato a
lavorare a regimi di bassa pressione di O2. L’insufficienza epatica è un’invenzione italiana. Può
verificarsi il caso di distruzione di epatociti, per esempio con l’ingestione eccessiva di alcool,
sostanza tossica anche per cervello e cuore. L’alcool etilico dà energia, 4 cal/g. Il fegato si fa più
duro, chiaro, nodoso, si parla di cirrosi epatica, in questo caso alcolica. Il flusso di sangue è
rallentato ulteriormente dalla presenza di connettivo. La pressione all’interno della porta tende ad
aumentare, si scaricherà nella milza, che si ingrossa, il sangue ristagna nell’intestino, con una
conseguente sindrome da melassorbimento. Ristagna anche sangue nel mesentere, la sua parte
liquida tende a andare nell’interstizio: ascite (acqua nella pancia). Raramente un cirrotico muore
di insufficienza epatica grave, più spesso capita che le vene esofagee si dilatino fino a rompersi; in
questo caso la morte per dissanguamento è rapidissima.
•
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Anatomia microscopica del Digerente
La parete del tubo gastroenterico ha un modulo di base che si ripete, con variazioni a seconda della funzione nei suoi
vari tratti, che sono di dimensioni variabili ma sempre costituiti da 4 strati:
• Mucosa, costituita da epitelio, tonaca propria e muscolaris mucosae, una sottile tonaca appena percepibile, ma
molto importante;
• Sottomucosa, fatta di connettivo che sostiene vasi sanguigni e linfatici, strutture nervose e, a volte, noduli
linfatici;
• Muscolare;
• Sierosa, laddove c’è il peritoneo o avventizia, dove non c’è il peritoneo, come fra stomaco e diaframma.
Fra una zona e l’altra dell’intestino le modificazioni maggiori avvengono nella mucosa, in parte nella muscolare.
ESOFAGO
Veicola il bolo allo stomaco, non interviene nella digestione. Dato che l’esofago è un tubo di passaggio, esso deve
essere strutturato in modo da sopportare il passaggio continuo del bolo e l’attrito conseguente.
TONACA MUCOSA
L’epitelio è uguale a quello della bocca nella parte interna delle labbra, pavimentoso pluristratificato non cheratinizzato.
Nei felini e negli animali che mangiano pezzi di ossa è cheratinizzato per protezione. L’epitelio riposa su una lamina
propria , connettivo relativamente lasso (il libro dice denso) contenente vasi e terminazioni nervose. Nella lamina
propria, soprattutto nella zona di transizione con lo stomaco, si trovano le ghiandole cardiali esofagee o aberranti, di
struttura uguale alle ghiandole della parte cardiale dello stomaco, possiamo inoltre osservare isole di mucosa gastrica.
All’esterno della tonaca propria c’è un sottilissimo strato di muscolatura liscia con fibre disposte in fasce longitudinali
chiamato muscolaris mucosae. L’esofago a riposo è un tubo appiattito in senso anteroposteriore, ha un lume virtuale
che però si dilata al passaggio del cibo. Nell’esofago a riposo la superficie è sollevata in una serie di pieghe
longitudinali il cui andamento è seguito dalla muscolaris mucosae.
Tonaca sottomucosa
Nella sottomucosa dell’esofago, di natura connettivale lassa, passano vasi e sono presenti piccole ghiandole ramificate
di tipo acinoso, esocrine, in genere a secrezione mucosa, altrimenti mista: le ghiandole esofagee. Hanno una funzione
protettiva, non lubrificante, analogamente a quello che accade a livello vaginale: il muco separa l’esofago da ciò che ci
passa.
TONACA MUSCOLARE
La muscolare è spessa, le fibre di muscolatura liscia involontaria sono disposte circolarmente
all’interno e longitudinalmente all’esterno. Questo tipo di muscolatura perché alla contrazione della
circolare corrisponde una riduzione del calibro, alla contrazione della longitudinale un
accorciamento dell’organo e quindi un aumento del calibro. Queste contrazioni non coinvolgono
assieme tutto l’organo, ma solo segmenti di esso. In questo modo è possibile produrre un’onda
peristaltica grazie alla quale il bolo percorre l’esofago da cima a fondo. Ad ogni deglutizione si
susseguono cicli di contrazione e rilassamento; la stessa cosa accade nel piccolo e grosso intestino,
non nello stomaco. Al passaggio del bolo la circolare interna rilascia, la longitudinale esterna si
contrae. Il tratto a monte del bolo riduce il suo calibro anche dopo il suo passaggio, per contrastarne
la risalita. La riduzione del calibro è data più che altro dalla contrazione della circolare interna, ma
il rilasciamento della longitudinale contribuisce.
La contrazione concertante tra i vari segmenti è regolata dal sistema nervoso centrale autonomo o
vegetativo. Tra mucosa e sottomucosa, per tutto il tratto gastroenterico, troviamo tre strati di
strutture nervose, che regolano l’attività della muscolatura e quella secretoria della ghiandole:
•
•
•
plesso sottomucoso o di Meisner;
plesso mioenterico o di Amerbach;
plesso mucoso, nella mucosa, piccolo e poco abbondante.
STOMACO
A stomaco vuoto la mucosa gastrica è sollevata in pieghe gastriche dirette prevalentemente secondo
l’asse longitudinale dell’organo e anastomizzate tra loro per formare un reticolo a maglie allungate.
Le pieghe gastriche non sono formazioni permanenti e scompaiono con la dilatazione dello
stomaco.
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TONACA MUCOSA
Luogo di deposito dove il bolo è trasformato in chimo. Epitelio monostratificato (tutte le cellule riposano sulla stessa
membrana basale) fino al colon: non è un epitelio continuo ma pieno di una miriade di “buchi” detti fossette gastriche
sui quali sboccano altrettante ghiandole tubulari semplici (zona del fondo e del corpo) o tubulari ramificate (zona
cardiale e pilorica). Queste ghiandole sono il risultato dell’invaginazione delle cellule epiteliali nello spessore della
tonaca propria. Sono esocrine, e secernono sostanze che trasformano il bolo in chilo. Nello spazio fra un buco e l’altro
l’epitelio è continuo. Le cellule gastriche sono così numerose che si dispongono l’una attaccata all’altra, e di fatto il
connettivo fra di esse è molto sottile e non si vede. L’epitelio che delimita le ghiandole facendogli da parete si chiama
epitelio ghiandolare, quello che guarda il lume dello stomaco epitelio di rivestimento. Lo stesso concetto vale per
l’intestino. La lamina propria è connettivale lassa, contiene capillari sanguigni con endotelio provvisto di pori. La parte
superficiale della lamina forma l’asse delle pieghe, la profonda accoglie le ghiandole gastriche. Nella lamina propria
troviamo anche ammassi di linfociti.
LA MUSCOLARIS MUCOSAE È PARTICOLARMENTE SVILUPPATA. È COSTITUITA DA
UNO STRATO INTERNO CIRCOLARE E UNO LONGITUDINALE ESTERNO. ALCUNE SUE
FIBRE SI SPINGONO NEL CONNETTIVO TRA I TUBULI GHIANDOLARI E TRA LE
FOSSETTE, IN MODO CHE SIA POSSIBILE, CON LA CONTRAZIONE, FAVORIRE IL
RILASCIO DEL SECRETO.
A livello del cardias e del piloro ogni fossetta gastrica è il condotto di una ghiandola tubulare ramificata, per aumentare
la quantità di secreto. Le ghiandole sono tubulari semplici nel fondo e nel corpo dello stomaco. L’epitelio dello stomaco
è semplice, non pluristratificato; le sue cellule sono prismatiche, con rari microvilli, a secrezione mucosa
(pseudoglicani) e il muco ha funzione protettiva dall’acidità e dagli enzimi litici. Secernono anche anidrasi carbonica,
un enzima che idrata la CO2 ad acido carbonico (H2CO3), che si dissocia in ione idrogeno (H+) e HCO3-, ossia ione
bicarbonato, una base che tampona l’acido gastrico con formazione di acqua e anidride carbonica. Nelle ramificate
troviamo ancora cellule mucipare. Corpo e fondo delle semplici hanno, anziché cellule mucipare, 3 tipi di cellule:
• Cellule principali o zimogeniche: le più numerose, prismatiche Secernono pepsinogeno, enzima inattivo di
tipo proteasico che taglia le proteine in peptidi (non può ricavare singoli amminoacidi). Per poter agire deve
subire una digestione, e ciò avviene grazie all’idrolisi acida che lo trasforma in pepsina. Presentano sulla
superficie libera qualche microvillo, sono unite tra loro da desmosomi. Nei lattanti fino allo svezzamento (il
libro dice anche dopo lo svezzamento), anziché pepsina, le cellule zimogeniche producono rennina, una
proteasi che digerisce le proteine del latte.
• Cellule parietali o di rivestimento o delomorfe: hanno forma piramidale, sono le più grosse della parete delle
ghiandole gastriche. Sono in grado di secernere nel lume della ghiandola H + e Cl- (appare rosa). In presenza di
succhi gastrici avremo nello stomaco circa 10-2 M di HCl, corrispondenti a pH2. Questa concentrazione è
necessaria per la formazione della pepsina. Secernono anche il fattore intrinseco di Castle, che serve a creare
un involucro attorno alla vitamina B12 che deve arrivare integra nell’intestino per essere assorbita. Il nostro
organismo non è in grado di sintetizzare la vitamina B12, che permette la maturazione del megacariocita a
globulo rosso. Senza di essa tale maturazione non avviene, quindi chi non secerne questo fattore ha anemia
perniciosa.
• Cellule del sistema GEP (gastroenteropancreatico): si trovano in tutto il tubo gastroenterico e nel pancreas.
Il tubo gastroenterico è quindi una ghiandola endocrina, da questo punto di vista la più grande del nostro
corpo, i cui elementi sono distribuiti nella sua lunghezza, sparse nell’epitelio ghiandolare. In presenza del bolo
le cellule secernono i loro prodotto non nel lume delle ghiandole, ma nell’interstizio tra cellula e cellula. Poi il
secreto imbocca la via del sangue (secrezione endocrina) o agisce localmente (secrezione paracrina). La
presenza dl chimo è sicuramente uno stimolo per il funzionamento delle cellule in questione, ma non è da
escludere che concorrano a questo anche stimoli nervosi. I principali tipi di cellule del GEP che troviamo nelle
ghiandole gastriche sono:
1. cellule che producono serotonina (5-idrossi-triptamina), che viene secreta con effetto paracrino e
agisce sulle cellule della muscolaris mucosae. Le fibrocellule, distribuite parallelamente al corpo della
ghiandola, contraendosi riducono tutta la tonaca propria, la ghiandola si accorcia e il suo contenuto va
a finire nel lume dello stomaco. C’è anche un effetto endocrino della serotonina, essa agisce sulla
muscolatura di stomaco e intestino favorendo la peristalsi, sommando quindi il suo effetto agli stimoli
del sistema nervoso. Queste cellule sono disposte più o meno uniformemente nello stomaco.
L’attivazione del sistema serotoninergico è responsabile della sensazione di benessere che proviamo
mangiando.
2. cellule che producono gastrina, quasi tutte concentrate nella parte pilorica. La gastrina ha come
bersaglio le cellule parietali, le stimola a secernere H + e Cl- e fattore estrinseco. Può avere azione
paracrina o endocrina. Queste cellule sono attivate dalla presenza del chimo associata a quella
dell’istamina.
3. cellule a istamina, che viene liberata localmente per stimolare la produzione di gastrina e agisce sulla
parietale per favorire l’azione della gastrina stessa. È un cofattore, ha un’azione permissiva sulla
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gastrina. Ha un eccesso di istamina segue un eccesso di HCl, può conseguirne dapprima una gastrite,
quindi un’ulcera.
4. cellule a somatostatina, anche queste si trovano nel piloro e agiscono sempre sulla parietale, ma per
inibirla. È un’antagonista della gastrina.
Ci sono anche altri tipi cellulari, ma meno importanti.
Il cibo nel lume gastrico stimola a sua volta la liberazione degli ormoni dalle cellule gastriche (regione pilorica, cellule
a gastrina e serotonina. Le cellule sono comunque mucose).
A livello del cardias e del abbiamo ghiandole tubulari gastriche ramificate (ecco perché non si scorgono i lumi delle
ghiandole) in numero elevatissimo, così vicine da non distinguere il connettivo fra di loro.
La mucosa gastrica è organizzata in formazioni fungiformi (hanno in realtà le forme più diverse). Ciascuna di queste
aree prende il nome di areola gastrica e è delimitata da un vallo. Sulle areole troviamo numerosi infossamenti, le
fossette gastriche, che come già detto costituiscono lo sbocco delle ghiandole dello stomaco. Il pezzettino di mucosa tra
le fossette gastriche, ricoperto di solo epitelio di rivestimento sostenuto da tonaca propria, è un po’ sopraelevato e
prende il nome di cresta gastrica.
Nella tonaca propria, o talvolta nella sottomucosa, vediamo anche delle formazioni ricche di cellule bianche,
agglomerati di tessuto linfatico: sono i noduli linfatici propri del tratto gastroenterico. Il tessuto linfatico serve perché il
lume gastroenterico comunica con l’esterno.
TONACA SOTTOMUCOSA
Connettivale lassa, contiene il plesso nervoso sottomucoso di Meissner
TONACA MUSCOLARE
Oltre agli strati circolare interno e longitudinale esterno, troviamo internamente alla circolare (libro dice tra i due) lo
strato delle oblique. Non è ubiquitario, si trova soprattutto nel corpo e nel fondo. A questo punto si parla di strati
circolare intermedio e obliquo interno. Le fibre longitudinali sono disposte a parabola sulla grande curvatura e
spingono il bolo sul piloro (come una fionda) che è chiuso. Il bolo è spinto lungo la piccola curvatura fino al cardias,
ipertonico e quindi parzialmente chiuso. Il bolo torna al fondo dello stomaco e il ciclo si ripete finché lo sfintere pilorico
non si rilascia. Le fibre circolari sono in realtà ellittiche perché lo stomaco è schiacciato in senso anteroposteriore,
questo strato di muscolatura è particolarmente sviluppato in regione pilorica, dove costituisce lo sfintere. Le contrazioni
tendono a avvicinare la grande curvatura alla piccola, questo perché il piccolo omento è più corto del grande e offre
quindi più resistenza. Le fibre si contraggono a catena non contemporaneamente, la riduzione del calibro avviene quindi
sotto forma di onda anche nello stomaco. La muscolatura obliqua si diparte dalla piccola curvatura e si distribuisce a
ventaglio, a interessare fondo e corpo. Alla contrazione l’azione delle oblique si somma a quella delle circolari, con il
tentativo di avvicinamento della grande curvatura alla piccola. Tutto questo per amalgamare al massimo bolo e succhi
gastrici.
PICCOLO INTESTINO
Qui la digestione viene completata e i suoi prodotti sono assorbiti.
E’ percorso da pieghe della parete che sono quasi circolari e si susseguono a breve distanza prendendo il nome di
valvole conniventi, pur non avendo funzione valvolare. Sia lungo le pieghe sia negli intervalli tra le pieghe notiamo
delle strutture come di velluto, estroflessioni a dito di guanto, i villi intestinali, la cui densità è enorme.
Se già le pieghe servono per aumentare la superficie ancora di più essa si può aumentare se ogni piega ha molti villi.
Questi sono formati da estroflessioni esclusivamente della mucosa, non anche della sottomucosa come le pieghe.
Nel duodeno il numero delle pieghe è piccolo, mentre è elevato nel digiuno e nell’ileo.
Fra un villo e l'altro l’epitelio forma delle introflessioni nella tonaca propria, il cui spessore non è quindi costante.
Queste introflessioni sono ghiandole chiamate cripte intestinali, perché sono in profondità e più piccole di quelle
gastriche. L'epitelio che riveste la superficie del villo e la sua base è monostratificato, quello della cripta è invece
ghiandolare. Nell’epitelio di rivestimento troviamo due tipi di cellule:
• Enterociti, cellule prismatiche riposanti sulla stessa membrana basale, esse hanno apicalmente sulla
membrana plasmatica, nel versante del lume intestinale, una miriade di piccole estroflessioni che interessano
solo la membrana cellulare e che prendono il nome di microvilli. Questo serve ad aumentare ancora di più la
superficie assorbente; il sistema delle pieghe, villi, microvilli permette un’elevata attività assorbente. Si tratta
dell’assorbimento costitutivo dei prodotti della digestione (amminoacidi, zuccheri e grassi). Sono il 95-98% di
tutte le cellule dell’epitelio, ricoprono i villi intestinali e rappresentano gran parte delle cellule che rivestono le
cripte. Sono uniti verso l’apice da piccoli desmosomi.
• Le cellule caliciformi mucipare solo il 5%, mescolate alle cellule assorbenti, secernono muco e anidrasi
carbonica. Sono più numerose nelle cripte che nei villi. Nell'intestino le cellule muco secernenti sono molte di
meno che nello stomaco.
Nell'epitelio ghiandolare troviamo, oltre a quelli già descritti, altri due tipi di cellule:
•
Cellula di Paneth, apparentemente zimogenica, che ha la funzione di produrre e introdurre nel lume
dell’intestino sostanze antivirali (lisozima) e soprattutto antibatteriche, dette difensine.. Queste cellule sono in
numero limitato e non possono contribuire alla digestione.
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Cellula del sistema GEP, che si localizzano verso il fondo della ghiandola, ognuna delle quali produce un
ormone:
1. cellule a serotonina, di cui abbiamo già parlato e che troviamo in tutto il tubo gastroenterico;
2. cellule a gastrina, già trovate nella parte pilorica dello stomaco, che difatti è quella più vicina al
duodeno;
3. cellule a secretina, il cui bersaglio è il pancreas esocrino, lo stimola a secernere enzimi nel duodeno.
Nel duodeno inizia? e si completa la digestione degli zuccheri complessi, inizia anche quella dei
grassi. Lipasi, maltasi, amilasi, tripsina... sono tutti prodotti del pancreas. Lo stimolo principale alla
produzione di secretina è ancora la presenza chimico-fisica del chimo gastrico. Il pancreas secerne
enzimi litici e HCO3-. Il bicarbonato ha funzione di tampone e in più, coesistendo con gli enzimi
all’intero del pancreas, li mantiene inattivi. L’attivazione di questi enzimi avviene da parte delle
enterasi intestinali, che sono anch’esse degli enzimi. La secretina agisce anche sulle cellule parietali
dello stomaco per inibirle, attua assieme alla somatostatina una regolazione in negativo;
4. cellule a colecistochimina o pancreozima, sinergico alla secretina, ma meno potente. La secrezione
di questo ormone è condizione necessaria, ma non sufficiente, per far arrivare la bile. Questo ormone
ha anche l’azione di far rilassare lo sfintere di Oddi. Terzo bersaglio sono alcune regioni del cervello,
per farci smettere di mangiare;
5. cellule a somatostatina;
6. cellule a enteroglucagone, è il glucagone delle cellule GEP dell’intestino. Il glucagone ha un’azione
iperglicemizzante, cioè ha l’effetto di alzare la glicemia, grazie agli zuccheri che vengono dal fegato.
Garantisce, assieme all’insulina, il mantenimento di un livello di glicemia costante nell’arco della
giornata (escluso il tempo dopo mangiato). Mentre esiste una malattia per deficit d’insulina, non esiste
per il glucagone.
Nella sottomucosa troviamo ghiandole sottomucose duodenali, dette ghiandole del Brunner (tedesco, guai a chi dice
branna) che producono e secernono muco. Hanno condotti che attraversano la mucosa per sbucare tra un villo e l’altro,
riversando una grande quantità di muco nel duodeno, muco che si somma a quello delle cellule caliciformi mucipare.
Questo fenomeno si verifica solo nel duodeno, perché dopo non c’è bisogno di così tanto muco; prima già ne avevamo
trovate nell’esofago. Nello stomaco invece il bisogno è supplito dalla presenza di una miriade di cellule caliciformi
mucipare. Queste ghiandole sono necessarie nel duodeno perché ci arriva il chimo pH 2-3, acidità che verrà quasi
tempestivamente tamponata dallo ione bicarbonato proveniente dal pancreas.
•
Assorbimento dei grassi
Il villo presenta nel suo asse tonaca propria e fascetti di muscolatura della muscolaris mucosae. L’enterocita assume
elementi e li riversa all’interno del villo. Lì troviamo capillari tra arteriole e venule. Nel torrente ematico sono riversati
tutti i prodotti della digestione, ma solo una piccola parte dei grassi. Il grosso dei grassi, infatti, non lo troviamo nelle
venule. Ciò che assorbiamo dal sangue è portato al fegato in piccole quantità, nel tempo che intercorre tra un pasto e
l’altro. Nell’asse del villo troviamo un vaso linfatico a fondo cieco (caratteristica di tutti i vasi linfatici, ovunque si
trovino), il cui nome è vaso chilifero. Questo nome deriva dall’aspetto del liquido che troviamo al suo interno dopo
l’assunzione di grassi. Normalmente la linfa è semitrasparente, formata in massima parte da liquido interstiziale. La
linfa che sta percorrendo il vaso chilifero un’ora o più dopo aver mangiato, specialmente se ho mangiato molti grassi,
sarà lattescente; questo perché contiene palline di grassi chiamate chilomicroni. La linfa dal condotto toracico finisce
nella vena succlavia di sinistra, diluendosi mano a mano che arriva al cuore e da lì va a tutti gli organi, compreso il
fegato. In questo modo il grasso arriva diluito al fegato e l’epatocita no si sovraccarica di grassi, cosa che ne causerebbe
la morte. I vasi presenti nell’asse del villo sono compressi dalla contrazione della muscolatura liscia disposta
longitudinalmente nel suo asse. I vasi sanguiferi non hanno tanto bisogno di questo, ma i linfatici ne ricavano la spinta
per far progredire la linfa. È questa un’altra utilità della peristalsi. Per la digestione dei grassi oltre alle lipasi sono
necessari i sali biliari, molecole anfipatiche che si organizzano attorno a particelle di grasso, le penetrano e spezzettano
formando piccole micelle, aumentando in questo modo la superficie disponibile alla digestione (disegno 6-10). La lipasi
scinde i trigliceridi in acidi grassi e glicerolo, anfipatici i primi solubili in acqua i secondi, tutti pronti alla digestione.
Per superare la barriera della membrana plasmatica i grassi sono assorbiti dall’enterocita in micelle formate da sali
biliari attorno acidi grassi o glicerolo. All’interno dell’enterocita queste micelle si fondono per formare particelle più
grandi, in cui si riformano i trigliceridi. La rifabbricazione dei trigliceridi è necessaria per indirizzare i grassi alla linfa
anziché al sangue.
GROSSO INTESTINO
Tonaca muscolare
La muscolatura longitudinale esterna non è distribuita uniformemente attorno al grosso intestino,
ma raccolta in tre formazioni dette tenie coli. Lungo le pieghe del grosso intestino la presenza delle
fibre circolari aumenta di molto, grazie al contributo di tante fibre longitudinali delle tenie che, a
livello della piega, girano ad angolo retto diventando circolari. Queste pieghe rallentano la velocità
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del contenuto, lasciando più tempo agli enterociti per l’assorbimento, altrimenti il numero di tali
cellule sarebbe insufficiente.
Per contro, se la velocità è troppo bassa gli enterociti assorbono più ioni acqua e le feci si fanno secche, dure, fino alla
situazione limite dei fecolini (o fecalini?), corpi duri. Non si può evacuare, ne consegue un’occlusione intestinale.
Questa tonaca accoglie il plesso mioenterico di Auerbach.
Tonaca mucosa
Ha la solita composizione, non presenta né pieghe né villi. Troviamo noduli linfatici isolati. ci sono ghiandole tubulari
semplici, anche qui in numero enorme, forse meno che nello stomaco, ma comunque stipate. Le ghiandole sono in
maggioranza costituite da cellule caliciformi mucipare. Cambia la forma, ma il concetto è simile allo stomaco (lì erano
prismatiche). Nel grosso intestino è prodotta un’enorme quantità di muco, questo perché le feci sono irritanti
meccanicamente. Sono grasse e contengono bile residua, scivolosa, ma c’è bisogno di protezione. Il muco di piccolo e
grosso intestino ha come prima funzione quella protettiva, tuttavia il muco, soprattutto nel grosso, può aiutare la
progressione del materiale fecale. Ciò non significa che il muco abbia funzione lubrificante, ma se è sufficientemente
idratato diventa filamentoso e contribuisce allo scivolamento. La principale responsabile dello scivolamento è quindi la
bile. L’assorbimento di ioni acqua da parte dell’enterocita è costitutivo, ci sono però ormoni che impediscono un
eccesso di assorbimento, favorendo l’idratazione del muco.
In caso di affezioni infiammatorie del grosso intestino le cellule mucipare aumentano la produzione
di muco. se lo vedo nelle feci penso magari a un’infiammazione degli ultimi tratti.
Sono presenti anche le cellule di Paneth. Nell’ambito dell’epitelio ghiandolare dobbiamo includere anche le cellule
endocrine, le solite cellule a serotonina, che ha funzione paracrina (forse anche endocrina), agisce localmente sulla
muscolatura. Ci sono anche altri tipi di cellule meno studiati.
Lungo l’epitelio di rivestimento troviamo, inframezzate agli enterociti, scoperte da una ventina d’anni e poco numerose,
le cellule sensoriali. È molto probabile che queste cellule esistano anche nel piccolo intestino. Sono innervate e è molto
probabile che costituiscano una specie di pacemaker, che registrerebbero come recettori la composizione chimico-fisica
del contenuto del grosso intestino per inviare informazioni ai plessi della sottomucosa, mioenterico e mucoso, che
rispondono attivando la contrazione di quel segmento di muscolatura. Quindi l’ordine per la contrazione della
muscolatura non dipende solo dal SNC, c’è la serotonina che fa contrarre localmente, ma lo stimolo attiva anche i plessi
di cui sopra.
Disegno cellula sensoriale neurone cellula muscolare.
Possiamo chiamarlo pacemaker perché segna il ritmo, localmente, di un haustra.
Appendice vermiforme
Non ci sono tenie. Nella tonaca propria ci sono sì ghiandole, ma c’è un enorme quantità di noduli linfatici, cosa che
spiega la maggiore incidenza delle appendiciti rispetto alle coliti. Il materiale fecale che entra nel piccolo lume
dell’appendice viene spinto fuori da onde peristaltiche, se invece permane lì la mucosa si irrita.
Vedi valvola ileocecale p 162
Intestino retto? p 163
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LE PARTI IN CORSIVO NERO SONO NOSTRE OSSERVAZIONI PERSONALI O
FUMETTISTICHE DIGRESSIONI DI PATOLOGIA O FISIOLOGIA O ALTRO, CHE
ABBIAMO DECISO DI METTERE IN EVIDENZA PERCHÉ, SEPPURE INTERESSANTI E
UTILI PER LA MEMORIZZAZIONE, SONO POCO APPROFONDITE E A VOLTE ANCHE DI
DUBBIA FONDATEZZA (COLPA QUESTA NON SOLO DEL PROF., MA ANCHE DI CHI
SCRIVE). RESTA IL FATTO CHE AL PROF. PIACE SENTIRLE E CHE, A VOLTE, LE
CHIEDE ANCHE.
Le parti in corsivo blu indicano incertezza sulla correttezza del concetto espresso, vi
invitiamo a chiarirle e informarci a riguardo.
I rimandi a tavole anatomiche si riferiscono al Netter.
Buono studio!
ANATOMIA UMANA
Anatomia: parola che deriva dal greco anatomé “dissezione”, derivazione di anatémnein “tagliare”
La struttura è il risultato della funzione, non viceversa. È dunque la funzione che fa l’organo, che a
sua volta rende possibile tale funzione.
Apparato anatomico: insieme di organi diversi che concorrono nell’effettuare una stessa
funzione
• Sistema anatomico: insieme di organi, ciascuno deputato a svolgere la propria funzione.
Ognuno di questi organi ha quindi una sua dignità funzionale.
Descrivendo il nostro corpo si è solito riferirsi a tre piani di taglio:
• Frontale: perpendicolare al piano terra e appoggiato alla fronte;
• Longitudinale o sagittale: perpendicolare al piano terra e a quello frontale (c’è un unico
piano sagittale mediano che divide in due metà il corpo umano);
• Trasversale: perpendicolare ai due piani di cui sopra e parallelo al piano terra.
•
I visceri sono l’insieme di
1. Organi cavi: sono fatti da una parete che delimita una cavità.
2. Organi pieni: fatti da un’impalcatura connettivale (stroma) e da una serie di altri elementi
che costituiscono la parte funzionale (parenchima).
I.
Apparato locomotore: la differenza principale tra le piante e gli animali è il movimento. Lo
scheletro (che nell’uomo è prevalentemente osseo) è indispensabile per il movimento (che si
definisce come lo spostamento di un segmento osseo rispetto ad un altro e rispetto alla terra).
La ossa non si spostano da sole: c’è bisogno dei muscoli scheletrici e di capsule articolari (che
tengono insieme le ossa e consentono loro un certo grado di mobilità. Le ossa si dispongono a
delimitare cavità corporee. A volte però, come nel caso dell’addome, le ossa sono solo la
struttura portante, perché c’è bisogno di elementi molli. Altre funzioni delle ossa sono la
produzione degli elementi figurati del sangue (midollo osseo) e l’immagazzinamento con
funzione di riserva degli ioni Ca++.
II. sistema circolatorio: le cellule muscolari, per contrarsi, devono sintetizzare e consumare
ATP. Per produrre ATP è necessario che materiale energetico arrivi dall’esterno a tutte le
cellule. Questo materiale è trasportato dall’apparato cardiocircolatorio, composto di vasi
sanguiferi. Il sangue è composto da elementi figurati e plasma (che contiene ioni, vitamine e
proteine tra cui fibrinogeno e albumina). A monte dell’apparato circolatorio c’è il cuore, che
ha la funzione di una pompa che spinge il sangue attraverso vene e arterie.
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III. Apparato respiratorio: il nostro corpo ha bisogno di O2 per produrre energia (ATP). Il
sangue in uscita dai polmoni è ricco di O2 assunto grazie a questo apparato e trasportato a tutte
le cellule.
IV. Apparato digerente: digerisce ed assorbe sostanze (glucidi e lipidi) da cui la cellula
animale ricava ATP.
V. Apparato escretore: i prodotti di rifiuto derivati dal catabolismo (cioè dalla distruzione di
elementi per la sintesi di ATP) sono di tre tipi:
• Gassosi (CO2) prodotto tossico espulso dall’apparato respiratorio,
• Liquidi (urina) prodotti di rifiuto idrosolubili (eccesso di H2O, ioni, urea, acido urico),
• Solidi (feci) prodotti di rifiuto liposolubili, che derivano dalla scomposizione degli
eritrociti.
VI. Apparato riproduttore: accoppiamento di due esseri complementari tra loro per la
trasmissione del genoma.
VII. sistema nervoso e sistema endocrino: attua funzioni di controllo e di regolazione. Senza
sistema nervoso saremmo dei vegetali. L’endocrino è fatto di ghiandole e organi che
sintetizzano e secernono primi messaggeri (ormoni) che arrivano in cellule provviste di
recettori e attivano secondi messaggeri (come gli ioni Ca++)
scheletro
È costituito da una struttura portate che è la colonna vertebrale, che si estende dalla
parte più craniale del soma (cioè dalla vertebra detta atlante) fino al residuo di coda
(coccige).
La colonna vertebrale è divisa in 5 segmenti per un totale di 32 o 33 vertebre:
I. Cervicale = 7 vertebre (da C1 a C7);
II. Toracico = 12 vertebre (da T1 a T12);
III. Lombare = 5 vertebre (da L1 a L5);
IV. Sacrale = 5 vertebre (da S1 a S5) fuse tra loro a formare l’osso sacro;
V. Coccigeo = 3 o 4 vertebre (da Co1 a Co3).
Dalla colonna si dipartono direttamente o indirettamente le altre ossa. La colonna non è dritta, ma
costituita da una successione di curvature, corrispondenti ai 5 segmenti. Dalla visione anteriore
abbiamo due convessità alternate a due concavità, il contrario dalla visione posteriore.
Si parla di lordosi cervicale e lombare (convessità ant.) e cifosi toracica e sacrale (convessità
post.)
La curvatura della colonna è il risultato di un processo evolutivo. Si è partiti dall’appoggiarsi su
quattro zampe per passare a due, modificando la conformazione delle spalle.
Dalla parte laterale del bacino si diparte il femore, il piano che lo contiene è perpendicolare al piano
terra e è chiamato piano frontale. Un allargamento di 90° del bacino, a scapito del suo spessore, ha
consentito all’uomo di camminare su due zampe avendo quindi le mani libere per altre attività.
Prima di questo il peso corporeo si esercitava sui 4 arti (articolazioni delle ginocchia, dell’anca, la
regione lombare) per i ⅔ dell’esistenza (⅓ lo passiamo distesi, dormendo). Per ottimizzare lo
scarico dei pesi in posizione eretta e per guadagnare in mobilità si è formata la lordosi lombare, la
cifosi toracica per compensazione e così via.
Tronco: la parte del nostro corpo che, nello scheletro, va dalla zona vertebrale toracica a quella
coccigea. Comprende quindi le vertebre toraciche, lombari, sacrali e coccigee.
Collo: la parte del nostro corpo il cui scheletro è costituito dal tratto cervicale della colonna.
Cranio: ciò che sormonta il tratto cervicale.
Arti: le 4 appendici (2 superiori e 2 inferiori)
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Bacino: visto dall’alto ha una forma vagamente ellittica, per questo lo scheletro del bacino è anche
detto cingolo pelvico o pelvi. Vi si articola il femore.
Cingolo scapolare: altro cingolo, che si trova in alto. La testa dell’omero si articola con la scapola,
un osso triangolare che è mantenuto in situ dalla clavicola (osso corto a forma di S), che a sua volta
si articola con un osso impari, unico e mediano: lo sterno. Anche le due clavicole e le due scapole,
viste dall’alto, formano una specie di ellisse.
Torace
È la parte craniale del tronco, una cavità corporea contenente organi avente la forma
di un tronco di cono appiattito in senso antero-posteriore, con l’apice molto
arrotondato. Il diametro trasverso è molto maggiore di quello sagittale. È delimitato
dal seguente insieme osteocartilagineo, detto GABBIA TORACICA:
12 vertebre toraciche, ciascuna delle quali si articola con una coppia di coste, la quale
(descrivendo una sezione di ellisse) si dirige anteriormente verso lo sterno. La distanza T1T12 è 35-40 cm.
• 12 coppie di coste, delle ossa piatte le prime dieci delle quali raggiungono lo sterno, a
differenza delle ultime due, chiamate fluttuanti o libere o asternali. Più precisamente le
prime sette coste raggiungono lo sterno individualmente e separatamente l’una dall’altra e
sono dette per questo coste vere o sternali, mentre ottava, nona e decima, false coste
propriamente dette convergono anteriormente, formando dei gradini, nella cartilagine della
settima, che come detto raggiungerà lo sterno. La maggior parte del loro tessuto è osseo, la
parte anteriore è cartilaginea fibrosa. Tra una costa e l’altra c’è uno spazio intercostale (11
spazi a destra e 11 a sinistra) riempito da muscoli. Testa e collo di ciascuna vertebra si
dirigono indietro e lateralmente, 2-3 cm dopo deviano lateralmente in maniera piuttosto
brusca in direzione anteriore in corrispondenza di un punto detto flesso. Sommando i 12
angoli costali formiamo la doccia paravetebrale o costovertebrale. Le docce servono per
contenere parte di ciascun polmone (i polmoni occupano il 75-80% della cavità toracica.
Le coste più caudali devono risalire verso l’alto per la differenza di lunghezza tra sterno e
vertebre toraciche. Questa struttura permette all’addome, o meglio all’utero, di accrescersi
durante la gestazione e consente una maggiore mobilità allo spostamento del tronco.
• Sterno, un osso piatto, impari, simmetrico e mediano, lungo circa 25 cm (il Testut dice 1520) costituito da tre parti: il manubrio dello sterno (parte superiore, a forma di trapezio), il
corpo dello sterno e il processo (o appendice) xifoideo. La giunzione tra manubrio e corpo
forma un angolo ottuso che guarda indietro, detto angolo sternale di Louis,
importantissimo per l’auscultazione del cuore. A livello dell’angolo sternale si connette la
seconda coppia di coste, questo ne fa anche un importante punto di repere.
Sullo sterno si trova un’incisura mediana detta incisura giugulare o giugulo. Sull’estremità
superiore, ai lati del giugulo, vi sono due fossette dette incisure clavicolari dello sterno, su cui
si articolano le clavicole. Il processo xifoideo è quasi sempre cartilagineo, può presentare varie
configurazioni (triangolare, rettangolare, ovalare, bifida...) e incurvarsi indietro, avanti, a destra
o a sinistra. Su ciascun margine laterale troviamo sette incisure articolari o costali, su cui si
articolano le prima sette coppie di coste, coste con frapposte sei incisure non articolari o
intercostali.
•
Il torace ha la forma di un tronco di cono ed è costituito da due pareti anteriori (destra e sinistra). Il
punto più declive (caudale) del torace è l’apice (tronco) della 12a costa; dal manubrio dello sterno
alla linea immaginaria che unisce gli apici dell’ultima coppia di coste, la distanza è maggiore di 30
cm (maggiore quindi della distanza posteriore), con una conseguente asimmetria antero-posteriore.
Davanti siamo infatti più lunghi. La gabbia toracica si allarga progressivamente fino alla sesta costa,
poi continua a farlo in modo meno deciso fino all’ottava e dalla nona si restringe di nuovo.
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Il limite superiore della gabbia toracica e costituito da: prima vertebra toracica, margine interno
della prima costa, incisura giugulare del manubrio dello sterno. Il limite inferiore è invece
composto da: dodicesima vertebra toracica, le due coste fluttuanti (undicesima e dodicesima), arco
cartilagineo costale e processo xifoideo. Il diametro antero-posteriore dell’apice è 5 cm, quello
trasverso 10-13 cm. Il diametro antero-posteriore della base è mediamente 12 cm, quello trasverso
26 cm.
La cavità addomino-pelvica è fatta di tessuti molli, questo ci permette di chinarci,
contenere il feto, mingere… Nell’emitorace le coste si inclinano sempre di più. Il
massimo dell’inclinazione si ha in corrispondenza della dodicesima (se guardiamo
dal lato e da dietro). Le ultime coste devono risalire verso lo sterno per fare spazio ai
tessuti molli.
Inspirazione ed espirazione
Circa il 70% della cavità toracica è occupato dai polmoni, che si riempiono d’aria durante
l’inspirazione e la pompano all’esterno durante l’espirazione. Durante l’inspirazione la pressione
endotermica diminuisce rispetto a quella atmosferica di 2,3 mmHg, si genera quindi una
depressione nel torace (applicando allo scheletro una serie di leve che aumentano i diametri e, va da
sé, i volumi interni). Durante l’espirazione la situazione si inverte per un aumento della pressione
endotermica, per questo l’aria esce. In totale si contano 15-17 atti respiratori al minuto. Nella
respirazione normale immettiamo ½ L d’aria (500 cc). Il processo di inspirazione è attivo perché
contraggo muscoli respiratori, quello d’espirazione è passivo perché li rilascio. Per svolgere il loro
lavoro i polmoni sono dotati di componenti elastiche, ad esempio le titine, delle proteine giganti (le
più grandi che il nostro corpo sintetizza), lunghe circa 1 µm, che si comportano come una molla. Il
polmone non si svuota mai del tutto: vi rimane una quantità d’aria detta volume residuo.
Muscoli intercostali
Riempiono gli spazi intercostali, sono muscoli essenziali alla vita. Ce ne sono di esterni e di interni.
In generale l’andamento delle fibre muscolari scheletriche è quello per cui ogni fibra fa capo a due
tendini, dall’andamento dipende la direzione della contrazione. Le fibre dei muscoli intercostali,
sempre oblique dall’alto in basso, possono anche essere inclinate: da dietro a davanti (negli esterni),
dal medio al lato e viceversa.
INTERCOSTALI ESTERNI
Contraendo i muscoli di destra e di sinistra sposto le coste verso l’alto facendole ruotare, se
sommiamo le rotazioni delle 12 coste ottengo un aumento del diametro antero-posteriore e laterale
del torace. La variazione volumica è uguale alla terza potenza del numero di centimetri di cui si è
spostata ogni costa.
INTERCOSTALI INTERNI MEDIALI
Hanno fibre disposte verticalmente. Contraendosi sollevano in alto la parte cartilaginea delle coste,
con un aumento del diametro antero-posteriore.
INTERCOSTALI INTERNI LATERALI
Hanno andamento perpendicolare a quelli esterni. Sono gli unici muscoli espiratori. Inducono una
rotazione verso il basso delle coste, comprimendo i polmoni. La diminuzione del volume è
ovviamente limitata, poiché la gabbia è scheletro. Li utilizziamo solo nell’espirazione forzata, nella
respirazione tranquilla ci limitiamo a rilassare gli inspiratori.
Muscolo diaframma addominale
È un muscolo sottile, grossolanamente cupuliforme, che separa le cavità toracica e addominale
prendendo attacco alle ultime 6 coste, al processo xifoideo e a T12. La parte superiore, convessa,
costituisce il pavimento del torace, quella concava il tetto dell’addome. Anteriormente, scendendo,
si conforma a V. Le fibre muscolari sono disposte a raggera e convergono verso l’apice in un punto
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detto centro tendineo o centro frenico. Il diaframma, contraendosi, tira le coste verso il basso, con
un conseguente ampliamento della cavità toracica.
Muscoli scaleni della colonna vertebrale
In numero di tre (anteriore, medio e posteriore), tirano su la prima costa e la seconda costa. Si
inseriscono due alla prima e uno alla seconda, in prossimità dello sterno. Li usiamo solo in caso di
sforza muscolare intenso, per aumentare l’escursione.
Sono usati continuamente in caso di insufficienza respiratoria, infatti il collo taurino è uno dei segni
dell’insufficienza respiratoria cronica.
MUSCOLI RESPIRATORI ACCESSORI
Sono il muscolo quadrato dei lombi e lo sternocleidomastoideo. Non servono precipuamente a
respirare, ma li usiamo in tal senso in caso di elevato sforzo muscolare, per aumentare le escursioni.
MUSCOLO QUADRATO DEI LOMBI
Si trova ai lati della colonna lombare, le sue fibre, verticali, vanno dalla dodicesima costa alla cresta
iliaca. È un muscolo rettangolare. La sua funzione principale è quella di mantenere la stazione
eretta, può essere usato sia come inspiratorio sia come espiratorio, favorendo o contrastando
l’abbassamento dell’ultima costa.
MUSCOLO STERNOCLEIDOMASTOIDEO
Si inserisce a livello del manubrio dello sterno, delle clavicole e del processo mastoideo, una
protuberanza ossea sita dietro l’orecchio. Serve principalmente per ruotare il capo.
Muscolo diaframma addominale, muscoli scaleni e muscolo quadrato dei lombi collaborano
nell’aumentare il diametro verticale del torace.
C’è una differenza sessuale: le donne respirano con il diaframma molto più che con i muscoli
intercostali. Si parla di respirazione di pancia, mentre per gli uomini di respirazione di petto.
Fascia endotoracica e pleure polmonari
È un involucro connettivale che avvolge in parte o del tutto i muscoli scheletrici. Non è contrattile,
ha solo funzione di contenimento (sorregge la parete, evita che sporga e riduce la forza di
contrazione), così che i muscoli scheletrici siano facilitati nella loro contrazione esplosiva. Ha
anche la funzione secondaria di costituire parete.
I polmoni aderiscono alla parete tramite la pleura, una doppia membrana che fa anche da sistema di
trasduzione grazie al quale la forza che viene impressa al primo strato viene trasmessa fino al
polmone. Ogni pleura è costituita da due foglietti (pleure) che si continuano l’uno con l’altro in ogni
direzione, con una cavità “virtuale” all’interno, lo spazio pleurico. Il foglietto aderente alla
superficie polmonare è detto foglietto viscerale della pleura, l’altro, più esterno, prende il nome di
foglietto parietale della pleura. Dall’esterno troviamo, in sequenza: parete toracica, parete
endotoracica, pleura e parete polmonare.
TIMO
È l’organo più vicino al manubrio dello sterno, fa parte del mediastino superiore ed è ben visibile
nel neonato. Si presenta come una massa molle bilobata enorme, di colore grigio scuro, posta sopra
al cuore, che sconfina nel collo. Inizialmente occupa spazio che sarà dei polmoni, ancora piccoli e
non funzionanti fino alla nascita. Il timo svolge un’importante attività immunologica, è un organo
vitale, pur vivendo meno a lungo del suo proprietario. Non è presente nell’adulto, cresce con il
corpo fino alla pubertà, cessa di crescere nell’adolescenza (tra pubertà e 18-24 anni) rimane
pressoché invariato tra pubertà e adolescenza per poi regredire, andando cioè in atrofia. Alla fine
dell’adolescenza del timo non resta che qualche tralcio fibroso. Queste caratteristiche fanno del
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timo un organo a termine. I linfociti T e con loro anche altri globuli bianchi, per diventare
immunologicamente competenti devono passare un periodo nel timo. Lì saranno selezionati cloni
capaci di aggredire ognuno il suo specifico antigene not-self. Senza quest’organo si è esposti a
infezioni di ogni tipo, si ha cioè uno stato di immunodeficienza. Non sono infatti sufficienti alla
sopravvivenza gli anticorpi passati al figlio dalla madre durante la gravidanza e l’allattamento (il
prof li ha definiti un argent de poche).
Esiste una relazione tra la persistenza del timo e la miastenìa grave (malattia neuromuscolare
autoimmune caratterizzata da debolezza muscolare, che migliora asportando il timo).
CUORE
È l’organo principiale dell’apparato cardiocircolatorio. È un muscolo striato non scheletrico che
occupa la parte mediana della cavità toracica. È situato tra i due polmoni, sopra al diaframma,
davanti alla colonna vertebrale, dalla quale è separato per mezzo dell’esofago e dell’aorta, dietro
allo sterno e alle cartilagini costali, che lo proteggono. È mantenuto nella sua posizione dal
pericardio e per la continuità con i grossi vasi. È una sorta di pompa che genera la forza
responsabile del movimento del sangue attraverso le arterie che, per successive ramificazioni,
riportano sangue ai tessuti. Contraendosi genera, ad ogni battito, un’onda pressoria. La parete
muscolare delimita quattro cavità: due operazionalmente superiori e due inferiori, rispettivamente
dette atri e ventricoli. Ha forma più o meno piramidale a base triangolare. Le sue pareti non sono
piatte, presentano incurvature ed irregolarità. La base è rivolta in alto, indietro e a destra, mentre
l’apice guarda in basso, in avanti e a sinistra. L’apice è smusso e costituisce la parte più ventrale del
cuore. L’asse cui appartiene l’altezza della piramide è l’asse principale del cuore. Il piano degli osti
atrioventricolari è perpendicolare all’asse principale.
Le FACCE del cuore sono tre:
• infero-posteriore o diaframmatica, che guarda in basso e indietro e appoggia sul
diaframma attraverso il pericardio. È debolmente convessa, è formata dalla faccia inferiore
dei ventricoli, maggiormente il sinistro, e dalla parte inferiore degli atri, contiene il solco
coronario, l’interventricolare posteriore e il tratto inferiore del solco interatriale;
• sternocostale, che sta dirimpetto al corpo dello sterno, alle coste di sinistra e un po’ anche a
quelle di destro. Guarda in alto, in avanti e a destra. È costituita per lo più dal ventricolo
destro. Contiene il solco coronario, il tronco della polmonare e dell’arteria aorta e il solco
interventricolare anteriore;
• margine ottuso, molto esteso, sarebbe la faccia di sinistra, arrotondata e convessa. È
costituito da una parte atriale e una ventricolare, separate dalla porzione sinistra del solco
atrioventricolare. È l’estremo di sinistra del cuore in situ.
Il passaggio tra le facce diaframmatica e sternocostale è delineato dal margine acuto del cuore, che
va dallo sbocco nel cuore della vena cava inferiore alla punta del cuore (in realtà non è un angolo
acuto, l’aggettivo vuole indicare che il passaggio è molto netto). Tale margine è relativamente
sottile. La logica di Donato si rifiuta di chiamare il margine acuto margine destro, checché ne
dicano i libri, ricordatevelo.
VASI IN USCITA DAL CUORE:
•
•
arteria polmonare, un vaso dal calibro di circa 2,5 cm, che conduce il sangue venoso dal
ventricolo destro ai polmoni. La sua origine fa parte della base del cuore. Va verso l’alto,
indietro e a sinistra per poi diramarsi in due vasi, destro e sinistro, sotto l’arco aortico. Il
tratto unico è detto tronco polmonare. Il ramo di destra, per raggiungere il polmone, passerà
dietro a contatto della cava superiore;
arteria aorta: si trova indietro e a destra rispetto all’origine della polmonare, proviene dal
ventricolo sinistro e si dirige in alto, per poi curvare improvvisamente a U, formando l’arco
aortico e cominciando a scendere. È destinata a portare il sangue a tutto il corpo.
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Alla loro uscita i due grandi vasi non sono disposti esattamente come i ventricoli.
VASI IN ENTRATA NEL CUORE:
• vena cava superiore, un vaso privo di valvole, che si forma dietro la prima articolazione
condrosternale destra. Deriva dalla confluenza di 2 grossi vasi: la vena brachiocefalica di
destra e quella di sinistra. (dette anche vene anonime), che a loro volta derivano dalla
confluenza di vena succlavia e vena giugulare. La cava superiore porta all’atrio di destra il
sangue refluo che proviene dalla testa, dal collo, dagli arti superiori e dal cingolo scapolare
attraverso una serie di vasi che confluiscono in essa. È lunga 7 cm ed ha un calibro di 22
mm;
• vena cava inferiore o ascendente, quasi coassiale alla cava superiore, preveniente dal basso,
porta all’atrio destro il sangue refluo proveniente dagli organi posti al di sotto del
diaframma. È la vena più grande del corpo, lunga 22 cm (18 nella porzione addominale),
con un calibro di 13 mm. Il suo territorio corrisponde a quello dell’aorta addominale. Come
l’aorta attraversa il diaframma attraverso uno iato;
• 4 vene polmonari, due delle quali provenienti dal polmone destro e due dal polmone
sinistro. Anch’esse prive di valvole, portano sangue ossigenato, sono lunghe 1,5 cm ed
hanno un calibro di 13-16 mm (quelle di destra sono più grandi).
BASE DEL CUORE.
Guardando il cuore da dietro possiamo vederne la base. La base del cuore è costituita dalla faccia
posteriore dei due atri, delle cavità a forma di uovo, e dalle origini dei vasi: vene cave superiori e
inferiori e le quattro vene polmonari. È piuttosto bombata.
ATRIO DESTRO: è la parte bianca centrale, la più a destra del cuore. Ha l’asse maggiore
disposto verticalmente. Si continua verso l’alto, a livello della parete postero-superiore, con la vena
cava superiore e verso il basso con la vena cava inferiore. La porzione di seno venoso che viene
assorbita dall’atrio nel corso dello sviluppo è detta porzione sinusale è liscia ed uniforme. C’è
anche una porzione trabecolare, striata per la presenza di fasci muscolari.
ATRIO SINISTRO: è la parte più dorsale del cuore, ha l’asse maggiore orizzontale. All’estremità
destra deborda oltre l’atrio destro. È scavato per accogliere la porzione ascendente dell’arteria
polmonare. Vi arrivano, separatamente, le quattro vene polmonari. Le due provenienti dal polmone
destro passano dorsalmente all’atrio destro. La sua parte superiore è in rapporto con l’arteria
polmonare destra.
Posteriormente all’incontro delle quattro vene polmonari l’atrio sinistro è in contatto con l’esofago,
tanto che all’occorrenza è possibile effettuare un’ecocardiografia trans-esofagea.
Entrambi gli atri nascono come punto d’incontro tra i vasi che vi sboccano.
La parete degli atri ha ancora la stessa struttura delle vene nelle regioni di incontro
dei vasi venosi. Verso i ventricoli, invece, la parete si fa muscolare.
Quasi tutta la muscolatura atriale è concentrata nelle auricole o orecchiette
dell’atrio. L’auricola di sinistra ha la forma di un padiglione auricolare e parte
dall’atrio sinistro per arrivare a sinistra dell’arteria polmonare. È più lunga, sinuosa e
frastagliata della destra
L’auricola di destra termina davanti all’arrivo della cava superiore, a destra
dell’origine dell’aorta, di cui abbraccia la porzione antero-laterale.
Le due auricole si intravedono guardando il cuore da dietro.
CIRCOLAZIONE
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Questo è il percorso di un globulo rosso: partendo dal ventricolo sinistro entra
nell’aorta, va in periferia e torna all’atrio destro per la vena cava superiore e inferiore,
passa nel ventricolo destro e arriva ai polmoni attraverso l’arteria polmonare, per poi
tornare nell’atrio sinistro tramite le quattro vene polmonari. Le arterie si ramificano
in arteriole e poi in capillari. Il letto vascolare arterioso che nasce dall’aorta è
enorme, mentre quello polmonare è piccolo (anche perché i polmoni occupano una
minima parte del soma). Il ventricolo sinistro è all’origine del grande circolo, quello
che si diparte dall’aorta per arrivare ai tessuti. L’eritrocita che parte dal ventricolo
sinistro carico di O2 nei tessuti si carica di CO2. Il ventricolo destro è all’origine del
piccolo circolo, quello che si diparte dall’arteria polmonare e arriva ai polmoni. Dal
ventricolo di destra l’eritrocita torna ai polmoni per ricaricarsi di O2 e cedere CO2. Se
avessimo un solo ventricolo ci sarebbe un periodo di tempo in cui rimarremmo senza
CO2, invece i due ventricoli sono compensatori: uno spinge sangue deossigenato ai
polmoni, l’altro spinge sangue ossigenato ai tessuti. Le differenze tra i due tessuti non
sono proporzionate al rapporto tra grande e piccolo circolo. I due circoli sono in serie
l’uno rispetto all’altro. I due ventricoli si contraggono quasi nello stesso istante
(l’intervallo di differenza è infinitesimale) per spingere il sangue nei vasi. I due
globuli devono percorrere distanze diverse nello stesso tempo, se ciò non avviene
subiamo uno scompenso di O2 (richiesta di O2 eccessiva rispetto alla cessione di
CO2), soprattutto nel caso di uno sforzo muscolare intenso. La pressione sanguigna
è uguale al rapporto tra forza esercitata dal cuore e superficie di sangue su cui tale
forza è applicata Possiamo misurare la pressione del sangue nei ventricoli
introducendovi un manometro: all’apice della contrazione ventricolare sinistra
misuriamo una pressione di circa 120 mmHg, a destra misuriamo invece circa 45
mmHg (il 40% dell’altra). Possiamo fare le seguenti considerazioni:
• Il sangue pompato a pressione maggiore percorrerà lo stesso spazio in un
tempo minore rispetto a quello impiegato dal sangue spinto a minor
pressione. La parete del ventricolo sinistro è circa tre volte più grande di
quella del destro (che quindi contiene meno muscolo)
• La resistenza offerta durante il tragitto, fattore che regola il flusso oltre alla
pressione di spinta, dipende dalla sezione del vaso (è maggiore nel grande
circolo).
• In caso di parità di viscosità questa si elimina come parametro. Diminuisce
nel caso di anemia (per il minor numero di eritrociti) e nel caso di flebo
(diluizione del sangue).
• La velocità di circolo è lenta nei polmoni, perché c’è meno spinta e la
sezione vascolare è maggiore nei polmoni che nei tessuti. Questo agevola
gli scambi gassosi che avvengono a livello degli alveoli.
Il ciclo cardiaco consiste nella successione di sistole e diastole. La sistole è la
contrazione del cuore, che così si svuota del sangue, la diastole è la dilatazione del
cuore e comporta il suo riempimento. Un ciclo dura circa 800 ms, 350 la sistole e 450
la diastole Mediamente ogni minuto hanno luogo 60-80 battiti.
Se il ventricolo si svuota, all’apice della diastole misuriamo una pressione uguale a
zero, il muscolo inizia a rilasciarsi (questo permette il passaggio del sangue dal
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ventricolo all’atrio). Inoltre la pressione è nulla per la contrazione delle auricole (il
sangue non scende per gravità). Nel ventricolo sinistro la pressione varia da 120 a 0,
nel destro da 45 a 0, anzi, meno di 0, se ad esempio misuro la pressione diastolica
durante una respirazione profonda, la pressione è negativa. Se invece misuro la
pressione nell’aorta registro massime di 120 e minime di 80. La massima è
ovviamente la pressione sistolica del ventricolo sinistro. Alla base del ventricolo
sinistro non c’è un solo punto di minore resistenza, ma ce ne sarebbero due: l’origine
dell’aorta e la valvola mitralica; però il sangue imbocca sola delle due vie. Si crea
quindi una colonna di sangue che proviene dal ventricolo e riempie il vaso. Circa 300
ms dopo l'inizio della sistole la pressione nel ventricolo comincia a scendere, inizia la
diastole e scende la pressione anche nelle arterie. La spinta dovuta al ritorna elastico
della parete del vaso (aorta o polmonare) permette al sangue di progredire con una
minore spinta cardiaca. Questa elasticità delle arterie diminuisce con
l'invecchiamento. Tale perdita di elasticità, o la presenza di una resistenza a valle, si
traducono in un aumento di pressione. La pressione non si azzera mai a causa del
ritorno elastico e per la presenza delle arterie muscolari. Alla radice dell’aorta c’è una
valvola che spinge il sangue a valle, l’aorta si dilata, tale dilatazione si diffonde per
tutto l’albero di arterie a parete elastica, che è quindi percorso da un’onda pressoria
(o sfigmica). Il cuore serve proprio a generare queste onde pressorie 70 volte al
minuto, fornita la spinte iniziale il resto del lavoro è svolto grazie alla struttura
elastica delle arterie. La tonaca media è di natura elastica nelle arterie con spessore
maggiore di 0,5 mm; a diametri minori o uguali ci sono ancora piccole quantità di
fibre elastiche, ma prevale la componente muscolare. Il miocardio è un tubo a parete
elastica. La pressione degli atri e dei ventricoli è leggermente maggiore di quella del
vaso, che durante la sistole appare dilatato. In diastole il vaso torna ad essere non
dilatato, quindi alla diastole del cuore corrisponde la sistole del vaso: cuore e vaso
non sono in corrispondenza di fase. Si parla di sinusoide del vaso. Il battito rilevato
nel polso è dato dalla sistole di qualche battito prima. Neanche atrio e ventricolo sono
in fase: la sistole ventricolare è ritardata rispetto a quella atriale, mentre il vaso a
valle è in fase rispetto all’atrio. Nel vaso a valle, durante la diastole ventricolare, si ha
una pressione di 60-70 mmHg, durante la sistole ventricolare si ha una pressione
minore di quella che misuro nel ventricolo. L’arteriosclerosi si verifica quando si ha
un sovraccarico del miocardio dovuto a un irrigidimento del vaso a valle. Il ritorno
elastico del vaso spinge il sangue in entrambe le direzioni, si deve però evitare che il
sangue rifluisca al ventricolo. Le pareti del vaso non si accollano perché rimane una
colonna di sangue che esercita una certa pressione sulla parete: questa è la pressione
diastolica (minima) dovuta al ritorno elastico. Un altro motivo per cui misuro
pressione diastolica è che l’aorta si dirama in moltissimi vasi, con una conseguente
diminuzione della velocità di flusso (distanza percorsa dal fluido nell’unità di tempo)
per la legge di continuità e, però, un aumento del letto vascolare e quindi del flusso
complessivo. Le arterie a parete muscolare si ramificano in arteriole (non visibili a
occhio nudo) che hanno un calibro di pochi m (passano anche decine di globuli rossi
insieme). Le arteriole si ramificano in capillari (che non possono essere definiti né
venosi né arteriosi). Nei capillari non possono passare più di uno o due eritrociti per
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volta. Lì il flusso è molto rallentato, fatto che concede al sangue più tempo per
effettuare scambi metabolici e gassosi. Il fegato è l'organo in cui il sangue raggiunge
la sua velocità minima. Nelle arterie e nelle arteriole le fibre muscolari sono disposte
circolarmente: se si contraggono calibro e flusso diminuiscono, aumentano invece la
resistenza e quindi la pressione. Il flusso è infatti direttamente proporzionale alla
pressione e inversamente alla resistenza. Questa diminuzione del calibro è attiva, a
differenza di quella che avviene nelle arterie a parete elastica. Il manifestarsi del
pallore è dovuto ad una intensa vasocostrizione delle arteriole del volto a fronte di
una massiccia richiesta di sangue da parte di altre parti del corpo.
Le fibre sono disposte circolarmente attorno al vaso. Contraendosi diminuisce il
calibro. Una fibra liscia può sia contrarsi sia rilasciarsi attivamente (mentre gli striati
si rilasciano solo passivamente). Rilasciando la muscolatura liscia aumento il flusso a
valle. La forza che uso dipende dal numero di fibre che sono utilizzate. Non siamo in
presenza di sarcomeri, ma solo di proteine. In genere nei muscoli le arterie muscolari
sono innervate singolarmente, se stimolate si rilasciano completamente aumentando
di calibro. Al contrario le vascolari degli organi dal diaframma in giù se stimolate,
sempre dal SNA, si contraggono. Al rilasciamento attivo segue un aumento di calibro
e quindi di flusso, viceversa il flusso diminuisce in caso di contrazione attiva. Quindi
per un sistema di compensazione più sangue va ai muscoli, meno ne va agli organi al
di sotto del diaframma. Allo stesso modo il pallore è segno di una maggiore richiesta
di sangue da parte dei muscoli, che lo sottraggono alla cute. In caso di spaventi e forti
emozioni pressione massima e minima aumentano, la prima per la maggiore spinta
del cuore, la seconda per la vasocostrizione dei vasi della cute e dei visceri caudali al
diaframma.. L’infarto del miocardio è dovuto alla diminuzione del calibro del vaso:
l’apporto di sangue è insufficiente e ne consegue una necrosi delle cellule del cuore.
Inoltre si hanno problemi al flusso del sangue, la cui pressione aumenta nel vaso a
valle. Quando la diastolica è elevata ci si deve preoccupare in quanto aumentano le
resistenze periferiche (vasocostrizione). Inoltre si hanno problemi al flusso del
sangue, la cui pressione aumenta nel vaso a valle. Il sistema della arteriole regola il
flusso attraverso la regolazione del calibro. Nelle arteriole normali, o arterie di
resistenza, si ha una regolazione a fisarmonica; mentre le arteriole polmonari, o
arterie di capacitanza, sono insensibili a questo tipo di regolazione.
Valori di pressione:
• Nell’aorta in condizioni normali l’intervallo è all’incirca compreso tra gli
80 e i 120 mmHg;
• Nel ventricolo destro la pressione raggiunge raramente i 40 mmHg, si
attesta solitamente sui 30-35.
• Nell’arteria polmonare la pressione è minore di 40 mmHg, ma non si azzera
mai perché ci sono vasi nel piccolo circolo.
VALVOLE
Una valvola è un dispositivo che regola il passaggio di un fluido in un solo senso
(evitando, nello specifico, che il sangue rifluisca nel cuore). Le due arterie che escono
dal cuore hanno all’inizio una propria valvola che chiudendosi genera un rumore
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caratteristico. Alla loro origine aorta e polmonare giacciono quasi sullo stesso piano,
che si trova sulla parte superiore del cuore, lontano dall’apice. Se il sangue deve
uscire dai ventricoli deve essere sospinto dall’apice del cuore verso la base, anche se
mi trovo a testa in giù.
Il piano dove poggiano le valvole dell’aorta e della polmonare coincide con il piano
dove termina l’atrio. In direzione del ventricolo la resistenza è minore, lì quindi va il
sangue. La valvola atrio-ventricolare serve ad impedire un riflusso di sangue dal
ventricolo all’atrio.
In sistole la valvola atrioventricolare è chiusa, quella del vaso è aperta. C’è quindi
una opposizione di fase tra le due.
L’apice del ventricolo è in basso e a sinistra, la base è all’opposto. Il vaso in uscita
dal ventricolo, l’aorta, si trova dietro a un altro vaso, la polmonare.
VALVOLE ATRIOVENTRICOLARI
Le valvole atrioventricolari sono costituite da un elemento circolare chiamato anello
fibroso (impropriamente anche ostio fibroso) che si trova tra atrio e ventricolo.
Dall’anello fibroso pendono nel ventricolo dei lembi valvolari, o cuspidi, più o meno
triangolari, tre a destra e due sinistra.
Valvola bicuspide o mitrale
È la valvola atrioventricolare di sinistra. Il nome mitrale gli deriva dal fatto che le due
cuspidi disegnano una figura simile alla mitra, il copricapo da cerimonia riservato alle
più alte cariche ecclesiastiche.
La cuspide anteriore ha la forma di una lamina, è anche detta aortica perché separa
l'orifizio atrioventricolare da quello aortico. La faccia più liscia è la parietale.
Molto più piccola è la cuspide postero-laterale.
Valvola tricuspide
È la valvola atrioventricolare di destra.
La cuspide anteriore è la più estesa. Si inserisce nel tratto corrispondente al cono
arterioso.
La cuspide posteriore è meno alta della prima.
La cuspide mediale o settale si inserisce nel tratto corrispondente al setto
interventricolare. È poco sviluppata e limitata nei movimenti.
Quando l’atrio è in diastole il sangue passa dall’atrio al ventricolo assecondando
gradiente pressorio, i lembi valvolari si aprono e fanno passare il sangue. Poi però
una parte del sangue tenderebbe a tornare verso l’atrio, ma i lembi valvolari vengono
spinti dal sangue stesso a chiudere la valvola.
In diastole il sangue che passa da atrio a ventricolo è così veloce ed impetuoso che
ogni volta il sangue che viene riversato in ciascun atrio va giù e poi risale lungo le
pareti. La colonna di sangue si pone tra le pareti e i lembi valvolari, che comunque
non sono mai attaccati per l’interposizione costante di sangue. Il piccolo incremento
di pressione spinge i lembi a chiudersi verso l’alto. Ad ogni ventricolo corrisponde un
solo luogo a minore resistenza: l’arteria polmonare o l’aorta. I lembi, alzandosi, non
invertono la loro convessità perché sono legati alla pareti dei ventricoli attraverso
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delle corde tendinee di natura connettivale. Un attimo prima che aumenti la pressione
ventricolare le corde tendinee sono tirate verso l’apice, nel momento in cui il
ventricolo esprime la pressione massima le cuspidi chiuse sono sottoposte a due forze
uguali e contrarie, quindi il passaggio è chiuso.
Malattie valvolari
Valvolopatia: batteri liberano tossine che raggiungono l'endocardio, causando
un'infiammazione (endocardite batterica). Come risposta si ha un gonfiore, che
regredendo lascia un tessuto cicatriziale, che a sua volta deforma la valvola, a volte
anche creando fori. Inutile dire che tali infezioni vanno rilevate velocemente.
Rottura del muscolo papillare, a volte causata da infarto. Anche in questo caso, come
pure per la rottura delle corde tendinee, si instaura improvvisamente e in maniera
acuta un'insufficienza valvolare.
Prolasso ventricolare:anomalia per cui le cuspidi sporgono troppo nell'atrio (più
frequentemente nel sinistro), compromettendo la corretta chiusura della valvola.
Colpisce specialmente gli individui longilinei di sesso maschile. È probabilmente
dovuto a un'eccessiva lunghezza del connettivo fibroso. Può essere individuato con
un'ecocardiografia. Anche auscultando il cuore posso rilevarlo, poiché sento un
rumore aggiuntivo. È un difetto genetico di natura benigna (non ha conseguenze).
Valvole dell’aorta e dell’arteria polmonare
Conseguentemente al ritorno elastico il sangue presente nei vasi è spinto in entrambe
le direzioni, questo rende necessaria la presenza delle valvole aortica e polmonare,
che si aprono in sistole e si chiudono in diastole. Ogni valvola ha tre formazioni a
nido di rondine, delle tasche fatte da lembi semilunari di tessuto connettivale. Se
guardo nel vaso, all’altezza di questi lembi, vedrò in ogni caso la sezione del tubo e
l’anello di connettivo. Ciò che vedo in più dipende dalla fase in cui si trova il cuore.
Se siamo in sistole il sangue deve uscire quindi i tre lembi devono essere appiattiti
sulla parete. In realtà non lo sono perché il sangue che entra genera un vortice, crea
uno zampillo, sbatte lungo la parete e una quota di esso va a trovarsi nello spazio
delle tasche. Se siamo in diastole una parte di sangue tende a tornare verso il
ventricolo attraverso il lume, quindi le tasche si riempiono e si attaccano tra loro,
convergendo verso il centro dell’ostio e comportando la chiusura della valvola.
Gli orifici arteriosi sono regolarmente rotondi e più stretti degli atrioventricolari.
Il margine libero di ciascuna piega semilunare presenta, nella parte di mezzo, una
piccola massa fibrosa, che viene indicata con il nome di nodulo del Morgagni (per
quello della polmonare) o nodulo dell’Aranzio (per quello dell’aorta). Questi noduli
assicurano il contatto reciproco delle loro parti di mezzo, rendendo più sicura
l’occlusione del vaso.
Ci sono quattro malattie connesse a problemi di funzionamento di queste valvole:
stenosi aortica, stenosi dell’arteria polmonare, insufficienza aortica e insufficienza
dell’arteria polmonare (negli ultimi due casi c’è una permanenza di un foro al centro
della valvola).
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I rumori del cuore derivano dalla chiusura delle valvole. Le valvole atrioventricolari
non si chiudono però insieme alle valvole dell’arteria polmonare e dell’aorta. La
chiusura delle atrioventricolari produce un rumore sordo, grave e lungo (poom),
quella delle altre due un rumore più alto e più breve (ta). Questi rumori (poom-ta,
poom-ta) sono detti toni cardiaci. Le quattro valvole proiettano in punti diversi della
parete toracica, dove possiamo auscultarle con il fonendoscopio. Il medico deve
verificare l’assenza di suoni aggiuntivi, di soffi. Infatti in caso di insufficienza
mitralica, il sangue spruzza e genera un soffio. Anche in caso di insufficienza aortica
sento un rumore anomalo.
La parete ventricolare sinistra è più spessa (circa il doppio) di quella destra, poiché lì
il sangue necessita di una spinta più forte. I primi rami dell’aorta irrorano il tessuto
cardiaco (l’O2 e i nutrienti per il cuore non derivano dal sangue del cuore, perché una
parte di esso sarebbe avvantaggiata).
PERICARDIO
Il cuore in situ è attorniato dal pericardio, che gli conferisce il suo colorito grigio. È
un involucro di tessuto avente una componente fibrosa e una sierosa. La parte
sierosa va distinta in due foglietti, che si continuano l’uno con l’altro in ogni
direzione, delimitando una cavità chiusa: la cavità perircadica. Il foglietto adeso al
cuore è il foglietto viscerale, che alla base del cuore inverte la sua direzione andando
a costituire il foglietto parietale. Nello spazio tra i due foglietti c’è un sottile film
liquido. Il cuore si muove nello spazio, però non può muoversi troppo, è quindi
necessaria la mediazione del pericardio, il cui foglietto viscerale aderisce al cuore,
mentre il parietale all’ambiente esterno. Dal foglietto parietale si dipartono quattro
legamenti pericardici, di natura fibrosa e elastica, che servono a connetterlo alle
strutture circostanti:
• Legamento sterno-pericardico, che va dal pericardio allo sterno;
• Legamento frenico (o freno-pericardico), che va dal diaframma al pericardio;
• Legamento che va dal pericardio alla biforcazione della trachea, che è fissa;
• Legamento vertebro-pericardico che va dal pericardio alla colonna vertebrale.
Il film di liquido interstiziale contenuto nella cavità pericardica serve ad aumentare la
tensione superficiale, che riduce lo scivolamento del foglietto parietale sul viscerale e
contrasta quindi il movimento del cuore. Il cuore è mantenuto nella sua posizione
anche dalla continuità con i grandi vasi.
Pericardite: infiammazione del pericardio, si forma del tessuto cicatriziale tra i due
foglietti sierosi. In quantità eccessiva questo tessuto può interferire con l’attività
cardiaca, limitando la sistole. A lungo andare potrebbe essere incompatibile con la
vita.
Invece in caso di accumulo di liquido tra i due foglietti è la diastole a essere limitata
(tamponamento cardiaco).
Lo strato fibroso è uno strato connettivale che riveste quasi completamente la parte
esterna del sacco pericardico. Connette il cuore all’ambiente circostante,
mantenendolo nella sua posizione. Infatti i movimenti di contrazione coinvolgono
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appieno i due foglietti sierosi, il fibroso e i legamenti limitano l’escursione cardiaca,
senza danneggiarne l’attività.
SISTEMA DI CONDUZIONE (tav. 213)
Il cuore è da considerarsi uno strumento elettromeccanico, in quanto sviluppa impulsi
in base ai quali i cardiomiociti si contraggono. Il tessuto miocardiospecifico genera
un impulso nervoso e lo trasmette ad ogni singola cellula muscolare cardiaca. È la
componente elettrica del cuore, costituita dal cosiddetto tessuto di conduzione
(dall’impulso alla contrazione). Nello spessore dell’atrio destro, invisibile da fuori,
davanti allo sbocco della cava superiore, troviamo il nodo senoatriale o nodo del
seno o nodo di Keit-Fleck (prende il nome dal seno delle cave, punto in cui cava
superiore e inferiore si uniscono). È costituito da un gruppetto di cellule non
muscolari cardiache del tipo mioepiteloide: le cellule del Purkinje. Sono cellule
piuttosto globose, con bassa soglia di eccitabilità, che hanno la capacità di generare
uno stimolo elettrico. Costituisce il pace-maker (generatore di frequenza) del cuore.
Di lì si dipartono dei fasci di fibre che trasmettono lo stimolo alla muscolatura atriale
di destra e di sinistra (infatti gli atri sono i primi a contrarsi) per raggiungere poi un
altro agglomerato, il nodo atrioventricolare o nodo di Aschoff-Tawara. Questo si
trova nello spessore del setto interatriale, verso gli osti atrioventricolari e si eccita
successivamente al nodo del seno. Da questo secondo nodo le cellule del Purkinje si
prolungano verso la pars membranacea del setto interventricolare in una struttura di
circa 1 cm: il fascio di conduzione o fascio di His.
Prima teoria: anche i cardiociti sono capaci di trasmettere l’impulso alle cellule vicine
e i fasci internodali non esistono.
Seconda teoria: i due nodi sono interconnessi da fili di cellule autoeccitabili disposte
a rosario a formare fasci internodali.
Un sincizio è una cellula polinucleata formata dalla fusione di più cellule. Un
cardiocita è una cellula singola.
In teoria è possibile che sia stimolata solo una cellula.
In un minuto il cuore batte circa sessanta volte, la sistole dura circa 400 ms, la
diastole circa 600 ms. l’impulso può viaggiare dalla muscolatura atriale al nodo del
seno o viceversa.
Il primo elemento che si contrae è la muscolatura atriale (perché il nodo del seno è
vicino all’atrio).
Il fascio di His si divide ad Y in due branche, destra e sinistra, che poggiano a cavallo
del setto interventricolare. Il pompaggio si può interrompere in caso di un blocco di
branca, cioè di un disturbo della conduzione e della contrazione. Poiché la branca di
destra ha meno cellule di quella di sinistra lo stimolo passa lo stesso, ma la branca di
destra si contrae dopo. Quando il blocco riguarda il fascio di His la persona vive, ma
a volte è soggetta a svenimenti perché per alcuni secondi il cuore cessa di battere. Poi
però in posizione orizzontale il sangue va al cervello. Se c’è mancanza di impulso a
destra e a sinistra il cuore non batte più e si ha morte cerebrale. Per evitare questo è
possibile applicare un dispositivo artificiale elettronico che dia l’impulso al cuore,
detto pacemaker.
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Le due branche viaggiano a ridosso del setto verso l’apice di ciascun ventricolo,
iniziando a ramificarsi poco lontano dall’apice. La ramificazione è più precoce a
sinistra. I primi cardiomiociti a contrarsi sono quelli dell’apice, in particolare i
muscoli papillari, che saranno anche gli ultimi a rilasciarsi; poi via via gli altri fino
alla base, in circa 370-380 ms. se così non fosse la contrazione sarebbe troppo veloce.
Pur ricevendo l’impulso separatamente, i due ventricoli si contraggono
contemporaneamente.
SCHELETRO DEL CUORE
Quella cardiaca è una muscolatura striata, ha quindi bisogno di punti d’attacco. Nel
caso della muscolatura scheletrica sono punti d’attacco le ossa. Il cuore ha una
potenza molto minore, quindi non serve osso, ma sono sufficienti gli elementi fibrosi
che costituiscono lo scheletro cardiaco.
Dall’alto vedo i quattro anelli valvolari fibrosi densi che circondano le quattro
aperture. Sono connessi tra loro da:
• un triangolo di tessuto fibroso chiamato trigono fibroso destro o posteriore,
che unisce ostio fibroso di destra, di sinistra e dell’aorta;
• un altro trigono tra l’ostio di sx e quello dell’aorta, detto trigono fibroso
sinistro;
• un tralcio fibroso che unisce l’ostio della polmonare con quello dell’aorta.
I quattro osti fibrosi sono interconnessi tra loro a formare un’unica struttura.
L’aortico e i due atrioventricolari sono sullo stesso piano, mentre quello della
polmonare è posto su un piano leggermente più alto. dal punto di vista pratico li
possiamo considerare come appartenenti allo stesso piano.
MUSCOLATURA CARDIACA
Ogni fibra è fatta da una sequenza di cellule cardiache.
Muscolatura atriale
La muscolatura degli atri è raccolta soprattutto a livello delle auricole. È un
trabecolato che disegna delle parabole parallele tra loro, disposte in tre dimensioni.
La fibra, contraendosi, opera una spinta verso la cavità, come farebbe una fionda. La
muscolatura atriale si chiama muscolo pettinato (fascio terminale più muscoli
pettinati).
Muscolatura dei ventricoli
La muscolatura dei ventricoli ha un’organizzazione simile a quella degli atri, con gli
apici delle parabole che corrispondono a quelli ventricolari.
La superficie interna della cavità ventricolare non è pianeggiante, ma ha una serie di
rilievi (molto più evidenti a destra) chiamati trabecole carnee. Ve ne sono di tre tipi
• Trabecole carnee del primo tipo (o muscoli papillari): spunzoni di tessuto
cardiaco che pendono nella cavità ventricolare, attaccati alla parete con un solo
estremo. Una papilla è una forma rilevata, generalmente conica. Sono questi i
primi muscoli a contrarsi e gli ultimi a rilasciarsi. Le trabecole del primo tipo
sono pochissime, due a sinistra e tre a destra (tante quante i lembi valvolari).
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Essi sono all’origine delle corde tendinee Il tessuto muscolare cardiaco deve
infatti avere due punti di attacco perché la contrazione sia efficace, altrimenti la
contrazione comporterebbe solo un appiattimento dei muscoli papillari verso la
parete. Quindi la contrazione serve a tendere le corde tendinee. Quando il
ventricolo è in diastole i muscoli sono rilasciati. Essi sono adesi alla parete
nella parte più vicina all’apice, sono la prima parte della muscolatura
ventricolare a contrarsi, alla fine della diastole (o inizio della sistole). In sistole
il sangue viene spinto verso l’alto, però la muscolatura è già contratta e ciò
impedisce che l’escursione delle valvole sia maggiore di 90°, quindi il sangue è
spinto giù.
• Trabecole carnee del secondo tipo: entrambi gli estremi sono piantati nella
parete (a ponte)
• Trabecole carnee del terzo tipo: rilievi adesi alla parete lungo tutta la loro
lunghezza.
Queste trabecole servono ad aumentare la superficie e quindi la massa del muscolo.
Inoltre la presenza di rilievi nella cavità accresce la turbolenza creata dalla spinta del
sangue che entra ed esce dal ventricolo (si creano vortici). Tale turbolenza è
necessaria alla corretta chiusura delle valvole.
Ogni ventricolo è costituito da una parte di muscolatura propria, più una parte che gli
deriva dall’altro ventricolo. Possiamo quindi dividere i fasci di muscolatura cardiaca
in due gruppi.
Muscolatura propria
Isoliamo il ventricolo sinistro, che ha più muscolo: ha la forma di un cono (due
ventricoli: due coni nella stessa mano, con la punta congruente). La base ha due
buchi: l’ostio atrioventricolare e quello dell’arteria. Supponiamo che invece abbia un
solo buco: la muscolatura propria è disposta a strati avvolti l’uno nell’altro
(muscolatura “a cipolla”).
In ogni singolo strato le fibre hanno distribuzione parabolica. Le parabole hanno
l’apice coincidente con quello del ventricolo (per questo il sangue si sposta dall’apice
alla base, come spinto da una fionda).
La fibra all’apice cambia direzione e subisce una torsione, ne risulta una parabola
spiraliforme.
Nel ventricolo in diastole si ha il massimo di volume interno, ogni fibra è distesa al
massimo, la parabola non è più spiraliforme. Quando inizia la sistole si ha la
contrazione e la spiralizzazione delle parabole. Il cuore battendo si torce (tipo
spremitura arancia).
Nel sarcomero non abbiamo solo proteine contrattili (actina e miosina), ma anche
proteine come la titina e la nebulina. Sono le più grandi proteine che riusciamo a
sintetizzare (la titina deriva infatti il suo nome da Titano), lunghe circa metà
sarcomero (un sarcomero è lungo circa 2,5 m, la titina 1 µm. Sono disposte lungo
l’asse del sarcomero e parallele ai filamenti sottili; arrivano fino alla stria M (sono
ancorate alla Z). la titina funziona come una molla che si scarica in sistole, favorendo
il ritorno elastico e quindi rendendo più efficace la contrazione del cuore.
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La spiralizzazione serve per accumulare energia cinetica per la contrazione
ottimizzandola per la spinta di sangue. Quindi torsione e contrazione compartecipano
allo svuotamento del cuore.
Se alla sistole non corrisponde l’accorciamento e la torsione delle fibre si parla di
cardiomiopatia dilatativa.
Muscoli comuni
Sono quelli condivisi dai ventricoli:
• anteriori, vanno da destra a sinistra, sono fibre che partono dall’ostio della
polmonare o dal ventricolo destro, scendono poi verso l’apice del cuore,
risalgono e in parte vanno a finire all’ostio della bicuspide. In parte vanno a
costituire i muscoli papillari di sinistra;
• posteriori, si comportano specularmente agli anteriori. Partono da sinistra,
dagli osti dell’aortica e della mitralica, per andare a destra;
• suturali, sutura vuol dire unione, infatti le fibre suturali avvicinano i due
ventricoli. Sono comuni a destra e sinistra e connettono i due coni con le fibre
più esterne (come una fascia che unisce due polsi uniti). Milioni di fibre si
dispongono a 8, andando da un ostio a un altro, originano tutte sul piano dello
scheletro, alcune vi restano mentre altre si spingono verso l’apice del cuore,
alcune raggiungendolo, e poi tornano su. È questo uno dei motivi anatomici
della contemporaneità di contrazione dei due ventricoli.
Tutte le fibre sono intrecciatissime.
Siamo in presenza di una sinapsi elettrica. L’impulso impiega lo stesso tempo per
passare da una fibra all’altra. L’apice è la prima parte a contrarsi, l’ultima è la base.
Le cellule più vicine agli osti, in particolare, sono le ultime.
Questo serve a far sì che il muscolo ventricolare non si contragga in modo troppo
veloce, altrimenti l’uscita troppo tumultuosa del sangue danneggerebbe i globuli
rossi, facendoli strisciare sulla parete dei vasi. La velocità vale centinaia di metri al
secondo, ma non è elevatissima. In caso di tachicardia l’efficienza del sistema è
minore perché la diastole è troppo breve e fa passare poco sangue (così per la
sistole). Invece in caso di bradicardia l’onda elastica non viene rigenerata con la
giusta frequenza.
VASI DEL CUORE
Anche il cuore deve essere irrorato per ottenere nutrimento. Svolgono questa
funzione due vasi che si dipartono dalla parte basale del bulbo aortico: le arterie
coronarie. Sono vasi a parete elastica, responsabili della vascolarizzazione del
miocardio e dell’epicardio. La loro chiusura porta alla morte. Non comunicano tra di
loro. Il loro nome deriva dal fatto che all’origine percorrono il solco coronario. Il
solco coronario, o atrioventricolare, è la strozzatura che troviamo nel punto di
passaggio tra atri e ventricoli, sul cui piano giace approssimativamente lo scheletro
del cuore. Il termine coronario gli deriva dal fatto che è grossolanamente circolare. In
realtà è un cerchio schiacciato diviso in quattro parti: solco coronario posteriore
destro, posteriore sinistro, anteriore destro e anteriore sinistro. Questa definizione
offre importanti punti di riferimento in chirurgia.
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Coronaria di destra: percorre il solco coronario anteriore e posteriore di destra. Nel
65-70% dei casi, nel momento in cui si immette nel solco coronario anteriore destro
genera un primo vaso che risale verso l’atrio destro per portare sangue al nodo
senoatriale, l’arteria del nodo del seno, poi genera una serie di rami. Arrivato al
limite tra solco coronario anteriore e posteriore destri deve girare indietro, generando
un arteria che irrora il margine acuto (ventricolo destro avanti e dietro), detta appunto
arteria del margine acuto o, impropriamente, arteria marginale di destra (sarà
improprio, ma questo trovate sul Netter). Girando ancora genera rami che irrorano la
faccia diaframmatica di atri e ventricoli.
Sempre nel 65-70% dei casi, quando arriva a metà del solco coronario posteriore
cambia direzione di 90°, dirigendosi verso l’apice senza raggiungerlo e percorrendo
la faccia diaframmatica, prendendo il nome arteria del solco interventricolare
posteriore (perché il setto interventricolare ha come limiti i solchi interventricolari
anteriore e posteriore) dal solco in cui scorre.
La interventricolare posteriore dà rami a pettine (denti corti) che si approfondano nel
setto interventricolare tanto da irrorarne il terzo infero-posteriore (30-35%).
L’infarto diaframmatico colpisce la faccia diaframmatica del cuore, il termine sta
per lo più ad indicare la chiusura della interventricolare.
Coronaria di sinistra: per pochi centimetri, appena nasce, non è visibile perché è
coperta dalla parte iniziale dell’arteria polmonare. Percorre il solco coronario
anteriore di sinistra quasi orizzontalmente e, dove diventa visibile, si divide in due
rami.
Uno percorre il solco interventricolare anteriore, da cui prende il nome di arteria
interventricolare anteriore, contorna in basso il margine acuto del cuore, aggira
l’apice a destra per terminare sulla faccia posteriore, dove si anastomizza con
l’interventricolare posteriore. Si ramifica ancora, un ramo, più lungo degli altri, a
sinistra, si chiama arteria diagonale e serve esclusivamente a irrorare l’area
ventricolare sinistra. Altri rami entrano da sopra a pettine nel setto interventricolare
irrorandone i ⅔ anteriori. Irrora anche le due branche del fascio di His. Quest’ultimo
fatto è di grande importanza: se l’arteria si chiudesse all’inizio del suo percorso
causerebbe morte improvvisa (le branche senza sangue non trasmettono l’impulso e
questo inibisce la contrazione dei ventricoli).
Il secondo ramo della coronaria di sinistra continua nel solco coronario anteriore di
sinistra descrivendo un’ampia curva, prendendo il nome di arteria circonflessa.
Questa ad un certo punto gira l’angolo e percorre il solco coronario posteriore di
sinistra, dando in questo punto origine all’arteria del margine ottuso, che scende
verso l’apice del cuore senza raggiungerlo, irrorando gran parte del ventricolo
sinistro. La circonflessa irrora atrio e ventricolo, davanti e dietro.
Queste considerazioni hanno validità solo per i due terzi delle persone, a causa di
singole variazioni anatomiche. Ad esempio l’arteria del nodo del seno può nascere
dall’arteria coronaria di sinistra, e sempre dalla coronaria di sinistra può nascere
l’arteria interventricolare posteriore (come continuazione della circonflessa).
Se ci sono problemi, però, possono esserci restrizioni dei vasi a causa della
formazione di placche arteriosclerotiche (coronaropatie) e questo porta al
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restringimento del calibro, quindi si formano trombi per accumulo di piastrine con
chiusura del vaso e necrosi della zona di miocardio irrorato da quel vaso, con
infarto.
I vasi coronarici sono molto anastomizzati (anastomosi = unione termino-terminale
di due vasi), ma le anastomosi non sono funzionalmente competenti.
Se la chiusura del vaso è molto lenta (si parla di mesi o anni) le anastomosi possono
compensare l’ischemia allargandosi per neoangiogenesi, in modo che il soggetto
avrà dei sintomi (angina pectoris); ma se la chiusura è improvvisa non riescono a
compensare il deficit di irrorazione e si ha un infarto.
Circolo terminale = i vasi irrorano solo un cilindro di tessuto e non possono essere
vicariati da altri vasi perché mancano le anastomosi.
La circolazione venosa
Le arterie si risolvono in arteriole, che a loro volta si risolvono in capillari, seguono
venule e finalmente le vene compagne dei vasi arteriosi: le vene comites. Queste
generalmente hanno lo stesso tragitto delle arterie, ma la direzione di flusso è
opposta. Ci sono delle eccezioni nella circolazione venosa coronaria.
Tutti i vasi venosi reflui dal circolo coronario confluiscono nel seno coronario, un
grosso vaso venoso che va ingrandendosi, a forma di clava, dal solco coronario
anteriore di sinistra al posteriore, per sboccare nell’atrio di destra, vicino allo sbocco
della vena cava inferiore. Aggira quindi quasi tutto l’ostio della bicuspide, solo una
piccola parte di sangue venoso va nell’atrio di sinistra, ma la cosa è trascurabile.
Nell’atrio di destra c’è una piega dell’endocardio che funge da valvola ed impedisce
il reflusso di sangue nel seno coronario durante la sistole atriale detta valvola di
Tebesio.
TOPOGRAFIA TORACOCARDIACA
L’apice del cuore proietta sul 5o spazio intercostale di sinistra. La parte più bassa
dell’atrio è la 5a articolazione condrosternale di destra. La linea che unisce questo
punto e la parte più bassa della 3a articolazione condrosternale di sinistra (4° spazio
intercostale di sinistra) individua il piano che grossolanamente contiene i quattro osti:
è il piano dello scheletro del cuore, orientato da destra a sinistra, dal basso all’alto.
In corrispondenza dell’angolo di Louis (2° coppia di coste) troviamo la valvola
polmonare, in avanti ed a sinistra rispetto alla valvola aortica, proietta quindi nel 2°
spazio intercostale di sinistra,vicino allo sterno. La valvola aortica, invece, proietta
nel “centrum cordis” che si trova un po’ più giù rispetto all’articolazione
sternocostale della terza costa. L’arco aortico va in alto, in avanti e a destra, si trova a
destra del 2° spazio intercostale. La valvola tricuspide proietta a livello della 5°
cartilagine costale di destra. La valvola mitrale proietta nel 3° spazio intercostale di
sinistra.
AUSCULTAZIONE DEL CUORE
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La chiusura delle valvole produce dei rumori che offrono al medico importanti indizi
sullo stato di salute della persona. Non sempre i punti di proiezione delle valvole
corrispondono ai rispettivi punti di auscultazione.
Ragionando sulla direzione del flusso del sangue si ricavano anche i punti di
auscultazione.
Quello della polmonare e quello della tricuspide sono sulla loro proiezione
anatomica.
L’aortica va auscultata non sulla proiezione anatomica, ma a livello del 2° spazio
intercostale di destra o, in posizione eretta, sul 3° di sinistra.
La bicuspide, essendo il flusso diretto in basso, in avanti e sinistra, va auscultata al
5° spazio intercostale di sinistra, dove proietta l’apice.
OMBRA DEL CUORE
In un radiogramma del torace il cuore lascia una sua proiezione, detta ombra
cardiaca. Sono ben visibili i profili dell’organo, che si traducono in due archi a destra
e tre a sinistra.
A destra:
• 1° arco = vena cava superiore
• 2° arco = atrio di destra
A sinistra:
• 1° arco = arco aortico (parte discendente)
• 2° arco = orecchietta di sinistra + arterie polmonare di sinistra
• 3° arco = ventricolo sinistro (margine ottuso)
EMBRIOLOGIA DEL CUORE E DEI VASI
Nel bulbo arterioso l’endocardio prolifera e dà origine ad un setto che si dispone a
spirale:la parte bassa del tronco arterioso comune pesca nel ventricolo di destra (ed è
la parte più a sinistra,all’origine la polmonare si trova a sinistra),mentre la parte più
alta pesca nel ventricolo di sinistra (è la parte più a destra).
Il setto arterioso divide in 2 il tronco arterioso comune: aorta e polmonare e
scendendo completa la chiusura dei 2 ventricoli.La parte più sottile del setto,pars
membranacea,è formata da muscolo.
Scendendo, il setto a spirale si incastra nel foro e chiude i 2 ventricoli (se questo non
avviene,come nell’infezione congenita da rosolia,abbiamo che più sangue va nel
circolo polmonare con conseguente ipertensione).
La circolazione fetale
La vena ombelicale porta sangue ossigenato (la definiamo “vena” perché la sua
componente elastica è irrisoria)
L’arteria viene messa a valle di una pompa perché il sangue si sposta attraverso
l’onda della parete elastica.
Nella placenta non c’è una pompa quindi non serve una arteria,ma basta una
vena;inoltre la resistenza al flusso in una vena è più bassa.
La vena ombelicale si dirige verso il fegato (centrale metabolica fondamentale nel
feto) e quindi continua con la vena cava inferiore (per mezzo del dotto di Aranzio)
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fino all’atrio di destra dove la pressione è maggiore rispetto all’atrio di sinistra
(quindi grazie alla pervietà interatriale il sangue passa da destra a sinistra!)
Nell’atrio di destra arriva anche la vena cava superiore (il sangue refluo dai 2 diversi
distretti si mescola
Prevale la corrente di flusso della vena cava inferiore che ha uno sbocco smusso a
becco di clarino verso sinistra: il lembo della vena che pescando nel ventricolo
guarda verso sinistra è la valvola di Eustachio che obbliga il sangue a sbattere contro
il setto interatriale per facilitare il suo passaggio da destra verso sinistra (tav. 208).
IL MEDIASTINO
È lo spazio del torace non occupato dai polmoni, rappresenta circa il 20% del torace di un adulto.
LIMITI
• Lateralmente le 2 pleure polmonari, rivestimento delle pleure mediastiniche
• Inferiormente il centro tendineo del diaframma
• Posteriormente la colonna toracica in toto (non le coste)
• Anteriormente lo sterno e parte della cartilagine sterno costale, soprattutto di sinistra
• Superiormente anatomicamente non esiste limite, perché il mediastino comunica
liberamente con il collo, ma si pone come limite un piano immaginario che poggia sul
giugulo e sulla prima coppia di coste, quindi inclinato in avanti e in basso.
DIVISIONI DEL MEDIASTINO
In radiodiagnostica il mediastino viene diviso secondo due scuole di pensiero, in base
a dei piani immaginari creati dagli anatomici.
Scuola latina
Il mediastino è diviso in tre parti: superiore, inferiore anteriore e inferiore posteriore. La linea di
divisione tra superiore e inferiore passa per il terzo arco sternocostale, mentre anteriore e posteriore
sono separati dal piano frontale che passa davanti alla trachea.
Scuola anglosassone
Il mediastino viene diviso in quattro parti, anteriore, medio, posteriore e superiore. La linea di
divisione tra superiore e inferiore passa per l’angolo sternale, la porzione anteriore, sottile, è
compresa tra pericardio e parete ossea mentre il medio è occupato dal cuore. Per esclusione
ricaviamo il posteriore.
Elenco degli organi mediastinici:
1. cuore
2. timo
3. vena cava inferiore (per 1-2 cm)
4. vena cava superiore
5. vene brachiocefaliche di destra e di sinistra (ramificazioni della cava superiore), anche dette
vene anonime
6. arteria aorta (arco dell’aorta + aorta discendente toracica)
7. arteria polmonare di destra e di sinistra
8. vasi coronarici
9. arteria anonima
10. arteria carotide comune di sinistra
11. arteria succlavia di sinistra
12. arterie intercostali posteriori
13. arterie esofagee medie
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14. arterie brachiali
15. arterie freniche superiori
16. sistema della vena azigos (quattro vene)
17. esofago
18. nervi vaghi di destra e di sinistra
19. nervi frenici di destra e di sinistra
20. nervo ricorrente vagale di sinistra (nervo laringeo)
21. catene gangliari ortosimpatiche di destra e di sinistra
22. trachea
23. bronchi principali di destra e di sinistra
24. linfonodi mediastinici
25. dotto toracico
ARCO AORTICO
L’aorta nasce avanti e a sinistra della vena cava superiore. Il bulbo aortico è alla base. Inizialmente
il vaso è diretto in alto in avanti e a destra, ma dopo 3-4 cm descrive un arco su un piano non
perfettamente sagittale, dirigendosi indietro e a sinistra, scavalcando il peduncolo polmonare di
sinistra e lasciandosi a destra esofago e trachea. La prima parte dell’arco aortico si trova nella
regione media del mediastino anteriore, il punto di flesso nel mediastino superiore (proietta su T2)
ed il resto nel mediastino posteriore (è questa una caratteristica dell’aorta). Ha un calibro di 2,5-3
cm.
Rapporti:
La parte ascendente in avanti si rapporta col cono arterioso del ventricolo destro e col tronco
polmonare. A sinistra è incrociata dal tronco polmonare, a destra troviamo atrio e auricola destri.
Indietro si rapporta con l’atrio sinistro e l’arteria polmonare destra.
La parte trasversa si rapporta, a sinistra, da davanti a dietro, con nervo frenico di sinistra, nervo
vago di sinistra e polmone sinistro. A destra, sempre da davanti a dietro, con trachea, plesso
cardiaco profondo, esofago, nervo ricorrente di sinistra, dotto toracico e lato sinistro della quarta
vertebra toracica. Inferiormente con arteria polmonare destra, linfoghiandole, bronco sinistro e
nervo laringeo ricorrente di sinistra.
Arterie che nascono dall’arco dell’aorta
Subito sopra all’origine del vaso nascono le due arterie coronarie. Dalla parte più alta
dell’arco escono, quasi in fila, tre vasi. Sono, da destra a sinistra, il tronco anonimo,
l’arteria carotide comune di sinistra e l’arteria succlavia di sinistra.
Tronco anonimo o tronco arterioso comune o arteria anonima
Diretto in alto a destra, verso la base del collo. Appena uscito dal mediastino si divide nell’arteria
carotide comune di destra, destinata ad irrorare la metà destra di collo e cranio. L’altro ramo di
divisione è la succlavia di destra (sotto la clavicola = subclaveam, in realtà non è esattamente sotto
alla clavicola), che irrora l’arto superiore e la regione sopraclaveare. Dà inoltre sangue alla parete
toracica con un suo ramo detto arteria toracica interna.
Si rapporta in avanti con lo sterno e l’articolazione sternoclavicolare, con l’interposizione della vena
brachiocefalica di sinistra, dei residui del timo e di fasci muscolari. Indietro con la trachea.
Lateralmente con la pleura polmonare di destra e medialmente con l’origine dell’arteria carotide
comune di sinistra.
ARTERIA CAROTIDE COMUNE DI SINISTRA
Più lunga della destra di tutta l’altezza del tronco anonimo, cioè 2-2,5 cm. Ha inizialmente un
decorso obliquo, in alto e lateralmente, che diventa verticale al raggiungimento della regione
cervicale.
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Rapporti nel torace:
In avanti si rapporta con la vena brachiocefalica, con l’interposizione dei nervi cardiaci superiori e
del nervo vago. Medialmente segue, ad una qualche distanza, la trachea. Lateralmente si rapporta
con la pleura mediastinica, con interposti anteriormente il nervo frenico e posteriormente il vago.
Posteriormente l’arteria succlavia di sinistra e il dotto toracico.
SUCCLAVIA DI SINISTRA
Era il quarto arco aortico di sinistra.
Un po’ più piccola della destra, più lunga di 2,5-3,5 cm (la lunghezza dell’arteria
anonima). Verticale all’origine, si dirige poi lateralmente, supera i muscoli scaleni e
raggiunge la clavicola.
Rapporti nel mediastino:
lateralmente troviamo la pleura mediastinica, medialmente il margine laterale dell’esofago,
abbastanza vicino il nervo ricorrente di sinistra, anteriormente la trachea e varie linfoghiandole.
Indietro la colonna vertebrale, con l’interposizione della fascia cervicale profonda e del muscolo
lungo del collo (ancora non sapete cos’è, ma le farete). In avanti la carotide comune di sinistra, la
vena anonima di sinistra, che la incrocia, e il nervo vago.
Succlavia e carotide sono organi mediastinici in quanto nascono separatamente direttamente nel
mediastino, a differenza delle omologhe di destra.
AORTA DISCENDENTE TORACICA
Va dalla parte discendente dell’arco aortico (lato sinistro di T4) fino all’orificio diaframmatico, a
livello di T11 e T12. Attraversato il diaframma tramite lo iatus diaframmatici diventa aorta
addominale. Nel mediastino dà origine a numerosi vasi, dalla parte concava vengono fuori le
arterie bronchiali destra e sinistre (una superiore e una inferiore), dalla faccia ventrale le arterie
esofagee medie, che irrorano l’esofago mediastinico. Anche le ultime 10 coppie di arterie
intercostali, che insieme alla vena e al vaso nervoso formano il fascio intercostale che decorre
lungo il margine inferiore di ogni costa, nascono dalla faccia ventrale; mentre le prime due vengono
da un ramo della succlavia. Le arterie intercostali irrorano lo spazio intercostale, la costa superiore e
l’inferiore, soprattutto la parte postero-laterale. Portano anche sangue a muscoli respiratori
importanti e un loro ramo va anche a irrorare il midollo spinale.
La discendente toracica non decorre esattamente perpendicolare al piano terra, perché devia
leggermente verso destra.viaggiando nel mediastino posteriore.
TRACHEA
È un organo impari e simmetrico, lungo circa 12 cm, che occupa il piano mediano del
mediastino. È diretto in basso e indietro e è circondata ovunque da tessuto cellulare
lasso. Abbastanza mobile, segue il laringe nei suoi spostamenti. La trachea resta
sempre immediatamente davanti dell’esofago. Le due formazioni sono intimamente
connesse tra loro da tessuto connettivale. E’ un organo relativamente duro, che si
compone di due tonache: una esterna, fibrocartilaginea, che costituisce per così dire
l’impalcatura o scheletro del condotto, una interna, mucosa, alla superficie della
quale si aprono numerose ghiandole. All’altezza della 4° vertebra toracica si divide
nei 2 bronchi principali di destra e di sinistra. Il bronco entra nel polmone per
ventilarlo; insieme al bronco un ramo dell’arteria polmonare, l’arteria bronchiale e la
vena polmonare costituiscono il peduncolo polmonare o ilo. La biforcazione della
trachea resta all’altezza dell’atrio di sinistra. I bronchi sono obliqui, il destro ha
un’inclinazione maggiore del sinistro.
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Rapporti nel torace:
anteriormente il timo, il tronco anonimo, l’arteria carotide comune di sinistra, l’arco
aortico e dei linfonodi. A sinistra troviamo la pleura mediastinica, il nervo laringeo
ricorrente e l’arco dell’aorta. A destra di novo la pleura mediastinica, la vena cava
superiore e la vena azigos, che la incrocia.
Esofago
È un condotto muscolo-membranoso a sezione longitudinale, che serve a condurre il
bolo alimentare dal faringe, cui fa seguito, allo stomaco; non c’è processazione del
bolo, ma solo transito. Nasce nel collo, percorre il mediastino posteriore verso il
basso, attraversa il diaframma e si continua con lo stomaco (che può essere
considerato un esofago ingrandito in maniera asimmetrica). Si sposta in basso, in
avanti a sinistra. A T10 il diaframma presenta un orifizio, detto orifizio
diaframmatico esofageo, l’esofago lo attraversa accompagnato dai due nervi vaghi.
Inoltre l’orifizio costituisce per l’esofago un vero e proprio sfintere. Avviene in
questa zona uno scambio di fibre tra esofago e diaframma.
Si parla di ernie iatali (o esofagee o diaframmatiche) quando l’esofago risale
portando con sé una parte di stomaco.
Da T1 a T4 (T3?) occupa quasi esattamente il piano mediale paravertebale, subito
dopo si discosta dai corpi vertebrali e si piega a destra per far posto all’aorta. A
questa altezza si ha il primo rapporto tra esofago e aorta, l’esofago passa dietro
all’arco aortico. Seguono i due incrociamenti aortoesofagei. Il primo avviene a T5
dove l’aorta incrocia l’esofago sul lato sinistro e lo sposta a destra, dove si appoggia
al polmone per lasciarvi un’impronta.. Il secondo avviene a livello di T7 (T9?), qui
l’aorta prevertebrale devia verso la linea di mezzo e l’esofago in avanti a sinistra,
descrivendo una concavità per passargli davanti. L’esofago, dunque, prende anche
rapporto con la parte più posteriore del cuore che è l’atrio di sinistra. Il cuore proietta
da T5 a T8 (infatti dette anche vertebre cardiache) e si trova davanti all’esofago nel
punto di convergenza delle vene polmonari. Sono presenti inflessioni anche sul piano
sagittale, non solo su quello frontale. L’esofago è mantenuto nella sua posizione dalla
continuità con faringe e stomaco, dalle pliche peritoneali che ne connettono la
porzione addominale al diaframma e da alcuni fasci connettivali che lo legano a
organi vicini. Nonostante ciò è dotato di una certa mobilità. Misura in media 25 cm,
di cui 16-20 decorrono nella cavità toracica.
Rapporti della porzione sopraaortica (da T2 a T4-T5)
Anteriormente è legato alla parte membranosa della trachea, a sinistra si rapporta inizialmente con
la pleura, poi con la carotide comune di sinistra , con l’interposizione dei nervi cardiaci superiori e
più posteriormente con la succlavia di sinistra. A destra e sopravanzato dalla trachea, costeggiato a
distanza dal tronco anonimo e dalle arterie succlavia e carotide comune di destra. Rapporto lontano
con l’origine del nervo ricorrente di destra.
Rapporti della porzione sottoaortica:
È attorniato da linfonodi. In avanti si rapporta con il bronco sinistro, poi diventa
retrocardiaco. Si interpone a livello di T5, salvo variazioni che però sono frequenti, il
tronco comune delle arterie bronchiali. Altro rapporto con il nervo vago di sinistra.
Posteriormente si rapporta dapprima con la colonna vertebrale, poi con l’aorta, quindi
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con le arterie intercostali di destra prima e di sinistra poi. A livello di T7-T8 è
incrociato, da destra a sinistra, dalla vena azigos. Altro rapporto con il nervo vago di
destra. Lateralmente si rapporta, caudalmente, con le pleure polmonari di destra e di
sinistra.
NERVI VAGHI
I nervi vaghi di destra e di sinistra (X coppia di nervi cranici) si originano dal SNC infracranico e si
distribuiscono a un’immensa vastità di strutture, innervando organi toracici e addominali.
Le fibre sono simmetriche e distinguibili fino al collo, poi, entrando nel torace
diventano indistinguibili e perdono la loro simmetria: mentre il nervo vago di destra
affianca l’esofago già nella parte alta del mediastino, collocandosi nell’angolo diedro
tra esofago e trachea, quello di sinistra. resta più distaccato dall’esofago per
l’interposizione dell’arco dell’aorta (e della succlavia di sinistra) del quale resta a
sinistra. Sotto l’arco dell’aorta il vago sinistra riesce ad arrivare all’esofago. Parte
delle anastomosi vagali sono al davanti dell’esofago e parte dietro. Al di sotto della
biforcazione tracheale il vago di sinistra scambia fibre con quello di destra, tanto che
attorno all’esofago si trovano dei plessi nervosi che nascono dallo scambio di fibre
dei due nervi. Quando l’esofago ruota di 90° la rete di fibre ruota con lui: non sono
più due catene laterali, ma una catena anteriore, ex sinistra, e una catena posteriore,
ex destra. Il nervo vago conduce fibre del sistema nervoso autonomo con funzione
parasimpatica su cuore (bradicardia), bronchi e polmoni (broncocostrizione e
riduzione del calibro delle vie aeree, ma queste sono nozioni fisiologiche!). In
qualche modo i vaghi si servono dell’esofago per andare nell’addome a innervare i
visceri, in particolare ghiandole esocrine ed endocrine e muscolatura liscia. Sotto
l’arco dell’aorta il vago di sinistra si biforca dando origine al nervo ricorrente
vagale o laringeo inferiore di sinistra, che innerva i muscoli intrinseci del laringe. Il
nervo ricorrente vagale di sinistra passa nell’angolo diedro di sinistra che si forma
dalla giust’apposizione della trachea (avanti) e dell’esofago (dietro). Il nervo
ricorrente di destra nasce nel collo, all’origine dell’arteria succlavia, sulla
biforcazione del tronco anonimo. Nel collo è simmetrico al nervo di sinistra. Il vago
di destra, prima di entrare nel mediastino, passa al davanti della succlavia di destra e
scende giù. Il ricorrente vagale di destra non è un organo mediastinico, al contrario di
quello di sinistra.
Attraverso la precisa e coordinata contrazione dei muscoli intrinseci del laringe
emettiamo suoni, pronunciando le vocali. Senza di essi perdiamo l’uso della voce. Se
uno dei due nervi non funziona ne consegue una specie di raucedine. È importante
conoscere il rapporto tra il nervo laringeo inferiore e la zona sottostante, infatti in
presenza di masse occupanti spazio coinvolgenti il bronco di sinistra si ha una
compressione della zona circostante con la possibilità di perdita del funzionamento
del laringeo inferiore.
Nervi frenici
Sono una coppia di nervi che serve a contrarre il diaframma, ne innervando ciascuno
una metà; originano nel midollo spinale del collo (nucleo frenico) e scendono in
modo simmetrico. Sono fino a un certo punto paralleli rispetto ai vaghi, più anteriori
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e più laterali. Scendendo nel mediastino decorrono accollati alla faccia ,mediastinica
del polmone.
Entrambi passano davanti all’arteria e dietro alla vena succlavia di destra e sinistra, dietro
l’articolazione sternoclaveale. Il destro va a collocarsi a ridosso della cava superiore schiacciato tra
la pleura e il pericardio dell’atrio destro, passando al davanti del peduncolo polmonare. Il sinistro
non è perfettamente simmetrico: passa inizialmente a sinistra del cuore, finendo dietro al ventricolo
sinistro quando il cuore ruota, durante l’organogenesi. Per il resto i rapporti sono gli stessi che a
destra.
La lunghezza di questi nervi fa aumentare le probabilità statistiche che vengano lesionati, con una
conseguente paralisi dell’emidiaframma. Si può anche verificare, per varie ragioni (infiammazione,
linfonodi ingrossati...), una compressione che stimola indebitamente il nervo. Questo eccesso di
stimolazione si traduce nel singhiozzo, una velocissima contrazione del muscolo diaframma, che
non è mai da sottovalutare se si protrae oltre 1-1,5 h.
Sistema dell’azigos
Sistema venoso deputato a raccogliere il sangue refluo dalla parete toracica e da alcuni organi
mediastinici (bronchi, midollo spinale della parte toracica del canale vertebrale ed esofago). È
composto dalle vene azigos, intercostale suprema, emiazigos e emiazigos accessoria.
Il sistema venoso dell’azigos è un esempio di metameria che si conserva solo a livello toracico. A
livello lombare rimane un retaggio di metameria rappresentato da vene che raccolgono sangue
parietale dalla regione lombare e sembrano una continuazione delle intercostali. Azigos e emiazigos
nascono da vasi derivanti dalle vene lombari ascendenti di destra e di sinistra e dalle vene iliache
esterne. Sono questi vasi tributari della vena cava inferiore tra loro anastomizzati. Le anastomosi
vanno a finire nella vena azigos a destra e nell’emiazigos a sinistra. Il sistema dell’azigos è quindi
un grande sistema anastomotico che unisce cava inferiore e cava superiore, un’anastomosi che però,
in genere, non usiamo. Questo importante sistema venoso è un bypass tra la vena cava inferiore e
quella superiore (le valvole del sistema non sono competenti al 100%), ma la capacità del sistema
non è assoluta. In caso di ostruzione della vena cava superiore il sistema dell’azigos provvede, entro
certi limiti, con una inversione di flusso, a portare all’atrio il sangue della regione craniale. La
compensazione è solo parziale, perché il calibro della vena azigos è circa ¼ di quello della vena
cava superiore. Si verificherà quindi un aumento di pressione nelle vene del collo, del cranio, del
neurocranio e degli arti superiori.
Vena azigos
È un vaso impari che si origina nell’addome, a destra, come continuazione della vena lombare
discendente, passa il diaframma ed entra nel torace, ponendosi a ridosso e a destra dei corpi
vertebrali, occupando quindi il mediastino posteriore. Salendo si ingrossa, raccogliendo il sangue
dagli ultimi 7-8 spazi intercostali. All’altezza di T4 cambia improvvisamente direzione, gira in
avanti compiendo un angolo di 90°, scavalca il peduncolo polmonare di destra e si getta nella vena
cava superiore (lascia un’impronta sulla pleura di destra insieme alla vena cava; a sinistra, invece, è
l’aorta a lasciare un’impronta sulla pleura).
Rapporti
Posteriormente si rapporta con la colonna vertebrale, a destra con la pleura mediastinica, a sinistra
con il dotto toracico, che la divide dall’aorta. Anteriormente troviamo l’esofago, con
l’interposizione del cul di sacco formato dalla pleura.
Vena intercostale suprema
Vi confluiscono 2, 3 o 4 delle vene intercostali piu alte. Sbocca nell’azigos nel punto in cui questa
scavalca il peduncolo polmonare.
Emiazigos
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Anche questa nasce nell’addome, poi nel mediastino passa a sinistra della colonna vertebrale, riceve
le ultime 5, 6 o7 vene intercostali di sinistra e, all’altezza di T8-T9 passa dietro all’aorta (o
all’intercostale?) toracica e si getta nell’azigos. Per un certo tratto è parallela all’azigos.
Emiazigos accessoria
Vi confluiscono le 5, 6 o 7 vene intercostali più alte. Sbocca nell’azigos prima che questa scavalchi
il peduncolo polmonare, passando anch’essa dietro all’aorta.
Emiazigos e emiazigos accessoria sono tributarie della vena azigos, ne costituiscono l’omologo di
sinistra. Possono raggiungerla separatamente o insieme, dopo essersi fuse tramite un tronco
anastomotico.
Dotto toracico
È il più grande condotto linfatico del nostro corpo. Nasce a livello di L2 come continuazione della
cisterna del chili, una formazione sacciforme in cui confluiscono tutti i tronchi linfatici
sottodiaframmatici. Passa nel torace mediante l’orifizio aortico del diaframma, percorre
verticalmente il mediastino posteriore, dietro all’esofago, a ridosso della colonna vertebrale,
decorrendo parallelamente all’aorta; quando sta per uscire dal torace devia verso sinistra, svalica il
peduncolo polmonare e si getta nella vena succlavia di sinistra (riciclaggio della linfa). In questo
percorso è raggiunto da condottini linfatici degli organi mediastinici, quindi si ingrandisce. La parte
più alta raccoglie anche gran parte della linfa formatasi a livello degli arti superiori, del collo e del
cranio.
Rapporti
Posteriormente è separato dai corpi vertebrali per la presenza della prima parte delle arterie
intercostali di destra e delle porzioni terminali delle vene emiazigos e emiazigos accessoria.
Anteriormente con aorta ed esofago, a destra con la vena azigos e a sinistra con l’emiazigos.
Variazioni
La sua disposizione è estremamente variabile a seconda dei soggetti. Spesso la cisterna è doppia,
solo a volte unica e raramente tripla. Spesso la porzione sottoazigosaortica è costituita da due rami,
isolati o uniti da anastomosi, oppure dà rami a disposizione plessiforme. La porzione
sopraazigosaortica è il più delle volte costituita da un tronco semplice e unico.
Sistema linfoghiandolare
Il sistema linfoghiandolare del mediastino è particolarmente complesso, queste le principali stazioni
linfonodali del mediastino:
 Linfonodi della biforcazione (linfa reflua dai bronchi dai polmoni e dagli organi impari;
 Linfonodi dell’ilo del polmone;
 Linfonodi paratracheali (linfa dal terzo superiore del polmone di destra e di sinistra);
Probabilmente il prof non ne spiegherà altri, guardateli sull’atlante, sul libro di radiologia, sui
fogli che vi dà lui... è una cosa molto importante.
I linfonodi ricevono capillari afferenti che penetrano attraverso un punto qualunque della superficie
linfonodale; gli efferenti, più voluminosi e meno numerosi, escono invece dall’ilo, accompagnati
dai vasi sanguigni. All’interno i linfociti bypasssano la linfa, fermando e distruggendo, per quanto
possibile, virus e batteri. I linfociti sono disposti in serie, questo aumenta la probabilità di
distruzione degli agenti not-self.
Nella linfa che entra nel linfonodo possono trovarsi cellule tumorali. Se queste sono di origine
epiteliale (carcinoma) possono migrare seguendo la via linfatica e trasmettere la metastasi. Alcuni
linfociti si adoperano per distruggere le cellule tumorali, che però spesso sono troppo numerose. In
questo caso le cellule tumorali si moltiplicano e il linfonodo si ingrossa, senza però dare dolore.
Segni del rigonfiamento dei linfonodi possono essere dati dalla compressione degli organi
mediastinici.
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Un linfoma è invece un tumore determinato dalle stesse cellule del linfonodo.
Grasso
Il grasso occupa tutto lo spazio rimanente del torace:fissa gli organi ed ammortizza i traumi.
SINTESI DEL MEDIASTINO
Mediastino anteriore: cuore
Cava sup. + cava inf.
Nervi frenici
Mediastino posteriore: esofago
Nervi vaghi + ricorrente vagale (solo destro)
Aorta discendente toracica
Arterie intercostali
Sistema vena azigos
Dotto toracico
Trachea
Bronchi principali
Due catene dei gangli ortosimpatici
Mediastino superiore: arco aorta + vasi che da esso si dipartono
Due vene brachiocefaliche
Timo
I POLMONI
Lo sviluppo dei polmoni si verifica in quattro fasi:
• pseudo ghiandolare;
• canalicolare;
• sacculare;
• alveolare.
I polmoni hanno la forma di un cono cui sia stato asportato circa ¼ mediale, con la base orientata in
basso e l’apice superiore arrotondato.
La faccia mediastinica (meno propriamente detta mediale) grossolanamente concava, dà i limiti
laterali del mediastino. Rappresenta il piano ideale dell’asportazione del quarto mediale.
La faccia costovertebrale (meno propriamente detta laterale), esterna, si rapporta con la faccia
laterale delle vertebre e con gli spazi intercostali. È convessa.
La base è costituita dalla faccia diaframmatica, è concava perché si adatta alla forma
dell’emidiaframma. Sarebbe ellittica, se non mancasse l’ormai noto quarto mediale. Con
l’interposizione del sottile diaframma la base dei polmoni si rapporta con organi della parte
anteriore dell’addome.
L’apice del polmone è costituito da tutto ciò che sta sopra al piano immaginario passante per la 2a
costa. È in rapporto a destra e a sinistra con l’arteria succlavia e con il plesso brachiale, un insieme
di radici nervose da cui escono vari nervi destinati all’atro superiore.
Il colore dei polmoni dipende dall’età. Rosato nel neonato che non abbia ancora respirato, per via
della grande irrorazione. Respirando assieme all’aria il pulviscolo atmosferico col tempo il polmone
cambia colore, tendendo progressivamente al grigio. Questo perché i macrofagi presenti nelle vie
aeree prima di morire migrano nel vicino connettivo e sul luogo della loro morte si deposita il
pulviscolo che avevano fagocitato. Tale accumulo di particelle si traduce nel tempo con la
variazione di colore verso il grigio e, addirittura, il nero. Ovvio che il fumo di sigarette accelera il
processo.
I polmoni hanno tre margini:
1. margine inferiore, che corrisponde al perimetro della base;
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2. margine posteriore, che occupa lo spazio della doccia costovertebrale. Per questo è molto
arrotondato;
3. margine anteriore, molto sottile. Più corto del posteriore, si arresta a livello della 5a o 6a
costa a causa dell’inserzione del diaframma. A questo livello il polmone si incastra tra
parete e cuore.
In ciascun polmone esiste un’asimmetria dovuta alla morfologia del diaframma, infatti i due
emidiaframmi non sono ogivali.
Un altro elemento di asimmetria è dato dal fatto che il polmone sinistro, nel suo sviluppo, trova il
cuore a uno stadio già avanzato della sua formazione. Dispone quindi di meno spazio del destro.
ILO POLMONARE
È la regione centrale della faccia mediastinica dove sboccano arteria bronchiale, arteria polmonare e
strutture nervose, mentre escono le due vene polmonari, la vena bronchiale e i vasi linfatici.
Quello di sinistra ha più o meno la forma di una racchetta da tennis, quello di destra è più
rettangolare.
Seno costodiaframmatico (o costofrenico): è lo spazio tra la porzione sottopolmonare del
diaframma e la parete costale. In questo spazio non c’è polmone durante l’espirazione, ma solo in
inspirazione. La pleura parietale segue tutto l’angolo costodiaframmatico, la viscerale rimane
attaccata al polmone.
IL POLMONE DI DESTRA
RAPPORTI
Faccia mediastinica: inferiormente e davanti all’ilo polmonare c’è, ampia, l’impronta cardiaca, in
particolare quella dell’atrio destro. Al davanti dell’ilo, sopra l’impronta cardiaca, c’è l’impronta
della cava superiore. L’impronta della vena brachiocefalica di destra è una continuazione in alto di
quella della vena cava superiore. Attorno alla parte superiore e dorsale dell’ilo c’è l’impronta della
vena azigos. Posteriormente all’impronta della vena brachiocefalica, sopra a quella della azigos e
all’ilo, c’è l’impronta del tronco arterioso anonimo e dell’arteria succlavia di destra. A volte, dietro
all’impronta del tronco anonimo, sopra all’ilo e un po’ dietro rispetto all’apice, abbiamo un’altra
impronta (il rapporto invece c’è sempre), piccola, lasciata da trachea e esofago. Al davanti dell’ilo
passa il nervo frenico, per collocarsi tra pericardio e polmone.
Base: riposa sul diaframma che la divide da fegato, surrene e rene di destra.
SCISSURA OBLIQUA
Comincia subito dietro al margine superiore dell’ilo, siamo circa a T4. Si dirige indietro e in alto
verso il margine posteriore, incrociandolo circa a T2, gira l’angolo e percorre la faccia
costovertebrale. Interseca il margine inferiore all’altezza della 7a costa di destra. Continua passando
per la base e risalendo la faccia mediastinica per arrivare nell’ilo da dove è partita. Incrocia la linea
emiascellare all’altezza della 5a costa. Descrive un piano orientato dall’alto in basso e dal dietro e in
avanti che ha inizio all’altezza della 2a e termina alla 7a costa. Il polmone è così separato in due
parti.
SCISSURA SECONDARIA
Compare sulla principale circa a livello di T4, percorre la faccia costovertebrale verso il basso, più o
meno parallelamente alla 4a costa, interseca il margine anteriore e si dirige verso l’ilo, a metà del
suo margine posteriore.
Le scissure dividono il polmone destro in tre lobi:
• lobo superiore, a forma di cono. Fonendo sul dorso, sopra al 3o spazio intercostale;
• lobo medio, a forma di cuneo. La sua parte più espansa guarda in avanti. Metto il fonendo
tra la 4a e la 7a costa;
• lobo inferiore, a forma di cuneo. Fonendo sul dorso, sotto al 3o spazio intercostale.
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IL POLMONE DI SINISTRA
RAPPORTI
Faccia mediastinica: inferiormente e al davanti rispetto all’ilo c’è, enorme, l’impronta cardiaca,
lasciata dal ventricolo sinistro del cuore, in particolare dal margine ottuso. Al davanti dell’ilo,
superiormente all’impronta cardiaca, c’è l’impronta dell’arco aortico e dell’aorta discendente
toracica. Dall’impronta dell’arco si diparte quella dell’arteria succlavia. Al davanti dovremmo
vedere, apicale, l’impronta della vena brachiocefalica di sinistra. Dietro troviamo quella di esofago
e trachea. Il nervo frenico passa qui più o meno simmetricamente alla destra. A sinistra dell’arco
dell’aorta passa il nervo vago di sinistra.
Scissura obliqua
Anche detta principale, è quasi simmetrica a quella destra, interseca però il margine
anteriore anziché l’inferiore. Come a destra, interseca la scissura polmonare a livello
della 5a costa.
Divide il polmone in due lobi, il cui confine anteriore corrisponde più o meno alla 7a costa:
• lobo superiore;
• lobo inferiore.
Organizzazione zonale dei bronchi:
La trachea si biforca a livello di T4 in due bronchi principali, che entrano nell’ilo polmonare. Nel
polmone si ramificano ulteriormente nei bronchi lobari, uno per ogni lobo polmonare. A loro volta
i bronchi lobari si suddividono in bronchi zonali o segmentari.
Ogni lobo polmonare si compone di un numero fisso di zone polmonari. Tra le varie zone non ci
sono precisi confini di demarcazione, ma si può parlare di piani di clivaggio. Anche se tale
divisione non esiste sul piano anatomico è netta su quello funzionale.
A destra 10 bronchi zonali:
tre nel lobo superiore:
1. anteriore
2. apicale
3. posteriore
tre nel lobo medio:
4. laterale
5. mediale
cinque nel lobo inferiore:
6. apicale
7. anteriore
8. posteriore
9. laterale
10. mediale
A sinistra 10 bronchi zonali:
cinque nel lobo superiore, che è fatto di due parti, una superiore e una inferiore, detta lingula:
1. superiore apicale
2. superiore anteriore
3. superiore posteriore
4. lingulare inferiore
5. lingulare superiore
I primi tre sono paralleli a quelli di destra, i lingulari, invece deformati dal cuore, hanno ruotato di
90°.
I cinque del lobo inferiore sono quasi speculari a quelli destra.
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I 20 bronchi zonali sono di tipo terminale, anatomo-fisiologicamente indipendenti. Ogni zona è
periforme, ogni “pera” converge verso l’ilo.
L’unità funzionale del polmone è il lobulo: tanti lobuli costituiscono una zona, tante zone un lobo.
È l’ultima parte del polmone visibile a occhio nudo. L’insieme dei lobuli costituisce il parenchima
polmonare.
Ogni bronco zonale origine dalle quattro alle sette generazioni di rami, per divisione dicotomica.
Questi rami non hanno nomi. Tra il bronco zonale e quello globulare ci sono 10 generazioni;
ciascun ramo piccolo si ramifica.
Bronchi interlobulari: si trovano tra i lobuli. Ognuno di questi dà origine a una generazione di
bronchi: i bronchi lobulari, ognuno dei quali ha la funzione di ventilare un lobulo.
Un’indagine broncografica permette la visualizzazione dell’ordine bronchiale fino ai bronchi zonali,
poi diventano troppo piccoli.
ORGANIZZAZIONE MICROSCOPICA
Istologicamente parlando il polmone è una gigantesca ghiandola tubulo-alveolare. prima si è
sviluppato il condotto, poi si è organizzato il parenchima polmonare.
Tra i lobuli si trovano dei setti interlobulari di natura connettivale, disposti radialmente. Hanno la
funzione di separare i lobuli e di tenerli uniti. Lì finiscono i macrofagi quando muoiono.
I bronchioli lobulari danno origine a un’altra generazione di bronchi, i bronchioli terminali che
ventilano una sola parte del lobulo, anche questa periforme, detta acino polmonare. La
generazione successiva è quella dei bronchioli respiratori, che ventilano una parte dell’acino, di
nuovo periforme, detta sacco alveolare. La parete del sacco alveolare presenta una serie di
protuberanze: gli alveoli polmonari. Il bronchiolo respiratorio si divede a formare dei condotti
alveolari, molto corti, che formano subito i sacchi. Tutti gli alveoli si aprono in uno spazio attorno
al sacco, che è la continuazione del condotto alveolare. È tutto lo spazio aereo del sacco.
Nella via aerea esiste un modulo ripetitivo fatto di quattro componenti principali. Questo modulo è
rappresentato dalla trachea (cilindro che si origina a C6 e termina a T4). La trachea è formata da
4 tonache concentriche:
1. tonaca mucosa, la più interna;
2. tonaca sottomucosa;
3. tonaca fibro-cartilaginea;
4. tonaca avventizia, connettivale.
1 - tonaca mucosa: si trova a diretto contatto con l’aria, è costituita da epitelio pseudostratificato
che riposa su una tonaca propria connettivale. Tale epitelio è costituito da 4 tipi di cellule:
• Cellule caliciformi mucipare;
• Cellule ciliate;
• Cellule indifferenziate;
• Cellule con capacità endocrine e paracrine (argentaffini).
Cellule caliciformi mucipare: producono e secernono il muco, che si stratifica sull’epitelio
tracheale e svolge una funzione protettiva contro pulviscolo, virus e batteri; infatti il muco essendo
appiccicoso intrappola parte delle particelle impedendo loro l’avanzamento. Il muco però deve
potersi spostare affinché non ristagni nella trachea occludendola (a questo servono le cellule ciliate)
e per espellere le particelle che trattiene. In presenza i stimoli chimici la produzione di muco
aumenta. La solidità del muco dipende dal grado di idratazione, più esso è fluido più si amplia la
sua superficie, più riduce la possibilità che esso si solidifichi. Mentre è normale che in estate il
muco si solidifichi per il caldo nella prima parte della via aerea, questo non deve succedere nella
trachea e nei bronchi. Può accadere in condizioni patologiche, ne conseguono disturbi respiratori e
tosse continua. Il muco viene solidificato dal siero.
Cellule ciliate: batiprismatiche, presentano delle ciglia che battono tutte verso la laringe, con un
movimento ordinato, spostando il muco a monte fino alla laringe. Raggiunto un alto volume di
muco nella laringe è indotto il riflesso della tosse, che è un’espirazione esplosiva a glottide chiusa.
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Qualunque processo chimico interferisca con il lavoro delle cellule ciliate crea un accumulo di
muco e problemi respiratori.
Cellule indifferenziate (basali): danno origine agli altri tre tipi di cellule.
Cellule con capacità endocrine e paracrine: secernono serotonina, un’ammina parte della quale
viene solitamente secreta nei capillari (azione endocrina), parte rimane nell’interstizio e,
diffondendo, arriva al muscolo tracheale (azione paracrina), suo bersaglio principale, stimolando
le cellule muscolari lisce a contrarsi senza bisogno di stimoli nervosi. Queste cellule sono un
retaggio organo-genetico, l’apparato respiratorio deriva infatti dal tubo digerente, la cui mucosa è
piena di cellule endocrine.
2 - tonaca sottomucosa: non tutto il muco presente nella mucosa deriva dalle cellule caliciformi
mucipare. Nella sottomucosa ci sono ghiandole tubulo acinose miste (sierose e mucose, fluido
contenente acqua e muco) il cui condotto passa attraverso l’epitelio de esce poi nel lume della
trachea. Il secreto che finisce nel lume è muco idratato, che può essere facilmente spostato (la tosse
secca dipende dalla scarsa idratazione del muco).
A livello della parete della superficie della tonaca mucosa si ha una temperatura di circa 36°C. Se
pongo dell’acqua (componente acquosa della secrezione siero mucosa) sulla parete essa evapora
(arriva già calda dalle ghiandole). Ciò disidrata il muco, però è un vantaggio perché si crea un
ambiente umido e riscaldato attraverso cui passa l’aria che ispiriamo, umidificandosi. Questo ha
un’importante funzione protettiva (nel caso di un paziente affetto da patologie polmonari l’aria va
umidificata).
Se li muco viene eccessivamente disidratato diviene un tessuto adatto per la proliferazione
batterica Es: la screpolatura delle labbra è dovuta alla mancanza della saliva che su di essa si
stratifica.
3 - tonaca fibro-cartilaginea: La trachea viene disegnata a strisce (connettivo fibroso alternato
periodicamente a cartilagine ialina). Infatti ogni tot millimetri nella tonaca fibrosa, costituita da un
manicotto continuo di fibre connettivali, ci sono semianelli di cartilagine ialina (alternanza di
cartilagine e connettivo). I semianelli sono incompleti posteriormente. I due estremi posteriori sono
connessi da fibrocellule muscolari lisce disposte trasversalmente lungo tutta la trachea e il muscolo
tracheale, che contraendosi tende a ridurre il diametro della trachea.
L’alternanza di cartilagine e connettivo fibroso conferisce rigidità alla struttura.
L’aria entra nella trachea tramite un gradiente di pressione che è negativo dentro e
positivo fuori. La struttura deve essere rigida perché altrimenti il risucchio (durante
l’inspirazione) darebbe luogo ad una pressione negativa che chiuderebbe la trachea
facendo collabire le pareti.
Perché i semianelli?
Perché lungo tutto il percorso la trachea è affiancata dall’esofago che deve potersi dilatare per
accogliere il bolo. L’esofago dietro ha la colonna vertebrale, che essendo una struttura ossea,
impedisce la dilatazione dell’esofago in questa direzione… i semianelli conferiscono semirigidità
alla struttura.
Perché però c’è muscolatura liscia?
La cellula muscolare liscia è altamente differenziata (sotto un certo stimolo si contrae o si rilascia
del tutto, se è del tutto rilasciata il lume aumenta e respiro meglio). Ho bisogno di più O2 in
condizioni di paura, di emozione, corsa ecc., caso in cui rilascio la muscolatura liscia e faccio
passare più O2. Se invece contraggo la muscolatura liscia il calibro si restringe. Il calibro deve
essere ridotto repentinamente per cercare di impedire l’ingresso di sostanze tossiche o anche solo
irritanti (come per esempio il fumo!).
Quello che abbiamo visto per la trachea si applica ai bronchi principali e concettualmente ai
bronchi lobari e zonali fino a quelli intralobulari.
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Le differenze principali consistono nel calibro; inoltre la cartilagine è ad anelli incompleti fino ai
bronchi principali; da quelli lobari in poi la cartilagine è a placche, si riduce così l’ingombro della
cartilagine.
Il tessuto aereo, avendo poco connettivo e molta aria, è simile ad un cuscino: cede
alla minima pressione, ma, quando la pressione finisce, non riprende che
incompletamente le sue dimensioni primitive, poiché l’aria espulsa ritorna nei lobuli
solo in parte, o non vi ritorna affatto.
Via via che si passa dalla trachea al bronco intralobulare si riduce la quantità totale di cartilagine e
aumenta progressivamente la componente di muscolatura liscia.
A livello del bronchiolo terminale non vedo più cartilagine (ciò vuol dire che non
esiste più il problema del collabimento delle pareti), 0% di cartilagine 100% di
muscolatura liscia e fibre elastiche.
Il massimo di muscolatura liscia si ha a valle del terminale, cioè nei bronchioli respiratori.
Sacco alveolare: la sua parete si è evaginata in tante semisfere (alveoli polmonari), ciascuna delle
quali ha forma di minisfera e si apre su un corridoio comune (da sopra, da sotto, dai lati).
C’è un libero passaggio di aria dal corridoio (condotto alveolare) agli alveoli.
Il bronchiolo respiratorio si differenzia perché ogni tanto, dalla sua parete esce un alveolo
polmonare; comunque l’elemento fondamentale è il calibro, di circa 150 µm (sotto a 1 mm si parla
di bronchiolo, altrimenti di bronco). Inoltre scompaiono le ghiandole tubulo acinose, che sarebbero
inutili, anzi, dannose (il calibro è talmente piccolo che qualunque secrezione che lo diminuisca crea
il rischio di un’insufficienza respiratoria acuta). Nel bronchiolo respiratorio diminuiscono le cellule
mucipare e ciliate. Compaiono nel suo epitelio le cellule di Clara che sono l’anteprima degli
pneumociti di II tipo (vedi dopo) e si trovano in maggior parte verso la fine del bronchiolo
respiratorio producendo una certa quantità di surfattante o simile.
Perché però aumenta la muscolatura liscia?
Essa assume una forma a spirale prima, poi circolare a livello del bronchiolo respiratorio (la
contrazione di quella a spirale accorcia il bronco e ne riduce il lume, si parla di bronco costrizione).
Il sistema nervoso parasimpatico è responsabile della broncocostrizione, l’ortosimpatico della
broncodilatazione.
Quando siamo a riposo e dormiamo il nostro metabolismo è rallentato ed abbiamo consumiamo
meno ossigeno: la frequenza respiratoria è più bassa ed il respiro è più profondo. Il soggetto
impiega più tempo ad espirare ed inspirare perché è in atto una certa contrazione della
muscolatura liscia, prevale il parasimpatico. In caso di sforzo prolungato prevale invece
l’ortosimpatico.
Alveolo
Ha una forma più o meno corrispondente ai 5/7 di una sfera. La superficie totale dei due polmoni è
maggiore di quella di un campo da calcio. Intorno vedo eritrociti, una fitta rete di capillari circonda
ogni alveolo. Non ci sono spazi vuoti tra l’esterno di un alveolo e quello di un capillare. A forte
ingrandimento vediamo le due membrane basali: endotelio capillare e epitelio alveolare. L’ossigeno
attraversa un sottile strato: l’Hb prende ossigeno per gradiente pressorio.
Modulo base applicato alla trachea: la fibra cartilaginea scompare ed aumenta la muscolatura. Si
riduce la sottomucosa. Rimane solo la tonaca mucosa e di essa si azzera quasi la componente di
tonaca propria (rimane solo l’epitelio).
Ciascun alveolo è circondato da fibre elastiche disposte a formare una rete (intorno ad esso): unico
elemento connettivale all’esterno della membrana basale tra l’endotelio dei capillari e l’epitelio
alveolare. Le fibre elastiche servono a generare una forza elastica per sfruttarne il ritorno: il
polmone si espande durante l’inspirazione ed il ritorno allo stato iniziale è una conseguenza del
fatto che scarichiamo energia.
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Enfisema polmonare: distruzione delle fibre elastiche e perdita dell’elasticità, il soggetto ha sempre
un atteggiamento inspiratorio e non espiratorio.
Alveolo in dettaglio (M.E.), sezione trasversale: la parete esterna di ogni alveolo è particolarmente
sottile. Tra la membrana basale del capillare e quella dell’alveolo ci sono fibre elastiche.
La parete alveolare presenta due tipi cellulari:
• Pneumociti di primo tipo: piatti, tranne che nella zona centrale, contenente il nucleo (come
un uovo fritto). Loro unica funzione è quella di costituire parete.
• Pneumociti di secondo tipo: cellule globose e meno numerose, presentano una membrana
munita di microvilli. Contengono dei corpi lamellari che secernono nel lume dell’alveolo.
Sono dei proteolipidi, strutture complesse fatte da molecole proteiche immerse in un mare di
lipidi. Nel lume alveolare si chiama surfattante è essenziale alla vita. Forma un film liquido
e fa da agente tensioattivo, riducendo la tensione superficiale evitando che l’alveolo si dilati
troppo. Sull’alveolo si esercita una certa tensione superficiale: durante l’espirazione si
esercita una forza sulle pareti dell’alveolo (dovuta al ritorno elastico delle fibre elastiche).
La pressione dentro all’alveolo aumenta se non ci fosse il surfattante spalmato sull’alveolo
le pareti collabirebbero e non si staccherebbero più. Il surfattante riduce la tensione
superficiale generata dalle fibre elastiche che stanno tornando. Alla fine dell’atto espiratorio
rimane dell’aria negli alveoli (volume residuo).
Mucoviscidosi: (malattia genetica) ridotta capacità di produrre surfattante. Oppure se entra
del liquido nell’alveolo (annegamento) il surfattante viene diluito ed è come se non ci fosse.
Se aumenta la pressione nei capillari esce liquido da essi, può finire nella cavità alveolare e
generare: edema polmonare acuto → il liquido diluisce il surfattante).
Se non ci fosse il surfattante, a causa delle forze centrifughe, 10 alveoli (x es.) si
fonderebbero in un'unica grande cavità (perdendo la loro identità anatomica). Il surfattante è
sempre un tensioattivo, in questo caso impedisce che l’alveolo si dilati troppo riducendo la
tensione superficiale generata dalle forze centrifughe.
Negli alveoli però non ci sono muscoli, perché lo spazio nell’interfaccia tra aria e sangue deve
essere poco, ci sono però fibre elastiche.
L’attività della muscolatura liscia serve per variare il calibro dei bronchi.
Perché c’è muscolatura liscia che può contrarsi?
Durante l’inspirazione la muscolatura liscia tracheobronchiale è rilasciata.
Durante l’espirazione l’aria percorre verso opposto, il calibro dei bronchioli si
restringe (di poco). Quindi l’aria passa più difficilmente; però aumenta la pressione
nell’alveolo. Il vantaggio è che l’alveolo si svuota più lentamente, dando più tempo
per gli scambi gassosi e inoltre si riduce l’eventualità del collabimento grazie alla
presenza di aumento di pressione.
Circolazione nei polmoni
Vascolarizzazione polmonare
È la piccola circolazione che ha inizio con la piccola arteria (tronco) polmonare nel ventricolo
destro e termina con le vene polmonari nell’atrio sinistro. Il tronco polmonare si divide nelle due
arterie sinistra e destra, ognuna di queste accompagna, dividendosi anch’essa e stando accollata alla
loro parete, i singoli bronchi segmentali. A livello dei bronchioli respiratori si trasformano in
arteriole e poi in capillari a livello degli alveoli (dove formano una ricca rete capillare). I rami delle
arterie polmonari decorrono sempre assieme ai bronchi, dei quali quello apicale destro si trova
posteriormente e al di sopra (bronco epiarteriale) , gli altri sono collocati tutti al di sotto del
rispettivo ramo arterioso (bronchi ipoarteriali). Dai capillari della rete alveolare nascono le venule
post-capillari, che poi si raccolgono in venule e piccole vene (di calibro crescente). Esse decorrono
alla periferia dei singoli lobuli e poi si raccolgono in tronchi sempre più grossi che corrono accanto
ai bronchi → vena polmonare → atrio destro.
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Vascolarizzazione bronchiale
Appartiene alla grande circolazione. I rami bronchiali prendono origine dall’aorta e dalle arterie
intercostali e ritornano alla vena cava e all’atrio destro. Cominciano come arterie bronchiali, arterie
muscolari che seguono le ramificazioni dell’albero bronchiale terminando a livello dei bronchioli
respiratori. Esse sono in numero di 3: 2 per il polmone sinistro e 1 per il polmone destro. Dalle reti
capillari di tali arterie nascono piccole vene bronchiali che si raccolgono nell’ilo e sboccano nel
sistema della vena azigos e emiazigos.
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