La realtà virtuale: immersione e tridimensionalità nel rapporto terapeutapaziente Vincelli Francesco, Riva Giuseppe, Molinari Enrico Introduzione “Se lei potesse vedermi in quei momenti dottore, sarebbe più chiaro ciò che le sto dicendo. Io perdo completamente il controllo, ho l’impressione che il mio corpo sia staccato dalla mia mente. Per questo è difficile descrivere ciò che mi accade veramente...”. Affermazioni di questo tipo sono frequenti da parte dei pazienti durante la fase di analisi della domanda in ambito clinico. La valutazione del disagio e delle modalità attraverso cui si manifesta avviene sulla base di una ricostruzione della realtà così come viene percepita da colui che richiede la terapia. Nel rapporto terapeuta-paziente talvolta risulta difficile delineare con chiarezza le rappresentazioni mentali nonché la sintomatologia, che si manifestano nel momento del disagio. Se però fosse possibile, attraverso un’osservazione diretta, verificare il modo in cui il paziente reagisce di fronte agli stimoli patogeni, potremmo disporre di un numero maggiore d’informazioni utili per l’intervento terapeutico. Nella pratica clinica l’osservazione ed il trattamento in “vivo” sono procedure generalmente rare a causa di una serie di problemi che questa comporta. In primo luogo il costo della terapia, sia in termini temporali che economici, risulta elevato. Inoltre un’osservazione diretta, per garantire validità ed efficacia, deve rispettare il criterio ecologico - ossia deve garantire il rispetto del contesto ambientale - affinché la presenza dell’osservatore non modifichi le reali sequenze di comportamento. Il rispetto di tale regola rende l’osservazione sul campo molto complessa, sebbene rimanga uno strumento utile e sensibile. Sulla base di queste osservazioni e dei risultati ottenuti dalla sperimentazione, riteniamo che l’impiego della Realtà Virtuale (RV) nella pratica clinica possa permettere di superare almeno in parte questi limiti, riducendo il divario esistente tra le modalità di trattamento in “vitro” ed in “vivo”. Prima di passare alla descrizione delle possibili applicazioni della RV è utile soffermarsi sulle caratteristiche peculiari di questa nuova modalità di interazione uomo-computer. Al di là del senso comune, che vede l’esperienza virtuale come una sorta di gioco cibernetico, la comunità scientifica attribuisce un crescente consenso all’utilizzazione delle tecnologie virtuali per la simulazione della realtà. In medicina e in psicologia, buona parte dei più recenti apparati strumentali e delle moderne tecniche di diagnosi e intervento devono la loro realizzazione all’impiego del computer e della realtà virtuale (Moline, 1997). La RV oltre ad offrire le maggiori possibilità di sviluppo tecnologico, costituisce ad oggi il massimo livello di evoluzione nell’interazione tra uomo e sistemi informatici (Biocca, Levy, 1995). Le qualità che rendono i software di RV attendibili ed efficaci nella pratica dell’assessment e della riabilitazione di determinate disfunzioni psicopatologiche emergono dalla letteratura specialistica. La RV costituisce un’interfaccia tridimensionale che pone il soggetto interagente in una condizione di scambio attivo con un mondo ricreato attraverso il computer (North, North, Coble, 1996a). La possibilità di non limitare il paradigma di interazione in senso unidirezionale costituisce il punto di forza della nuova tecnologia: l’uomo non è semplicemente un osservatore esterno di immagini o colui che passivamente subisce la realtà creata dal computer, ma al contrario può attivamente modificare il mondo tridimensionale nel quale agisce, in una condizione di completa immersione sensoriale. La natura di questo scambio fa sì che il soggetto si senta realmente presente in questo nuovo contesto (Durlach, Mavor, 1995). La RV consente dunque di ottenere immagini realistiche ed è in grado soprattutto di rendere il soggetto interagente all’interno del mondo virtuale. Ciò è reso possibile dagli ambienti a tre dimensioni, animati in tempo reale in risposta alla percezione e azione umana, attraverso l’utilizzo di periferiche immersive capaci di provocare la reale sensazione percettiva e motoria degli ambienti stessi (Riva, 1997b). In questo senso la realtà virtuale può essere considerata una tecnologia imitativa che permette di operare sensomotoriamente nel modo più simile possibile alla realtà (Satava, 1995). Abitualmente la RV viene definita in riferimento ad una serie di strumenti tecnologici che comprendono computer, caschi con display visivi collocati davanti agli occhi e sensori per il rilevamento del movimento della testa e degli arti. Tuttavia una definizione di questo tipo non ne sottolinea adeguatamente l’utilità all’interno di un contesto psico-sociale (Riva, 1999a). Definire la realtà virtuale in termini di esperienza umana e non di sistemi tecnologici richiede il riferimento a due concetti peculiari: la presenza e la telepresenza (Steuer, 1992). La presenza può essere definita come l’esperienza del soggetto di sentirsi parte di un ambiente. Questa esperienza non dipende tanto dall’ambiente fisico reale che circonda il soggetto, ma dai processi percettivi e cognitivi ad esso associati. È infatti possibile, stimolando opportunamente i sensi umani, generare in un soggetto la sensazione di trovarsi in un determinato ambiente. Per identificare la sensazione di trovarsi in un ambiente artificiale anche se ci si trova in un diverso ambiente fisico, viene usato il termine di telepresenza. La telepresenza è “l’esperienza di presenza in un ambiente attraverso un mezzo di comunicazione: essa focalizza l’attenzione sulla relazione tra un individuo che è sia emittente sia destinatario e sull’ambiente mediato con cui interagisce” (Steuer, 1992; Riva, Galimberti, 1998a). Questo ambiente può essere anche temporalmente e spazialmente distante da quello reale, o essere sintetizzato dal computer come avviene attraverso la realtà virtuale. In entrambi i casi questa esperienza può essere descritta come “esserci”, ossia come presenza a distanza. Facendo riferimento a questi concetti diventa possibile definire la realtà virtuale come un ambiente simulato nel quale sperimentare sensazioni di telepresenza (Steuer, 1992). La sensazione di “presenza reale” è quindi la caratteristica peculiare di questo strumento ed è resa possibile sia dalla realistica riproduzione degli ambienti cibernetici, sia dal possibile coinvolgimento di tutti i canali senso-motori durante l’interazione (Riva, 1999b). Dunque attraverso la realtà virtuale è possibile stimolare i sensi umani tramite sistemi tecnologici affinché si generi la sensazione di “esserci”, di trovarsi in un determinato ambiente compresente al soggetto. Il progetto psicoterapico: i possibili vantaggi della realtà virtuale Se consideriamo uno dei parametri impiegati nella valutazione dell’efficacia delle terapie, ossia il rapporto esistente tra il “costo” della somministrazione della modalità di cura e i “benefici” conseguenti, i vantaggi che derivano dall’impiego della RV appariranno più chiari. Per costo si intende non solo la spesa in termini economici e temporali, ma anche in termini di coinvolgimento emotivo da parte di colui al quale la terapia è indirizzata. I benefici riguardano l’efficacia del trattamento, ossia il raggiungimento dell’obiettivo prefissato, nel più breve termine possibile. Usiamo come esempio una delle tecniche storiche della terapia cognitivo-comportamentale, la Desensibilizzazione Sistematica (DS). Sviluppata da J. W olpe negli anni ‘60, questa procedura di trattamento comportamentale si basa sul principio dell’“inibizione reciproca” (W olpe, 1958). L’associazione ripetuta di uno stato di rilassamento allo stimolo ansiogeno, crea l’inibizione della risposta d’ansia. L’obiettivo è quello di stabilizzare una risposta adattiva, antagonista dell’ansia, quale conseguenza della somministrazione degli stimoli che inizialmente generavano la disfunzione. Le fasi in cui si struttura la DS comprendono, la definizione di una gerarchia di stimoli ansiogeni posti in ordine crescente di intensità, il trasferimento al paziente delle competenze necessarie per ottenere uno stato profondo di rilassamento psicofisico, la visualizzazione dello stimolo meno ansiogeno in stato di rilassamento fino al raggiungimento dell’inibizione della risposta d’ansia, il passaggio allo stimolo successivo della gerarchia. Usualmente questo trattamento viene effettuato “in immaginazione” o “in vivo”. Con la prima modalità il soggetto viene educato a produrre gli stimoli ansiogeni attraverso le immagini mentali; nella seconda condizione li sperimenta realmente in situazioni semistrutturate. Entrambi i metodi presentano vantaggi e limiti rispetto al rapporto costo-benefici. Nel primo caso la difficoltà prevalente consiste nell’educare i soggetti a produrre le immagini relative alle esperienze associate all’ansia: la gran parte degli insuccessi legati a questa terapia riguarda quei soggetti che presentano particolari difficoltà nella visualizzazione delle scene di vita reale; il costo dell’applicazione, però, è ridotto al minimo, poiché la terapia viene somministrata all’interno dell’ambulatorio, evitando in tal modo situazioni potenzialmente imbarazzanti per il paziente e salvaguardando la sua privacy. Nel secondo caso la difficoltà consiste nello strutturare, nella realtà, le esperienze relative agli stimoli ansiogeni gerarchizzati, con la conseguenza che il costo in termini temporali, economici ed emotivi risulta elevato; allo stesso tempo il vantaggio di cimentarsi in contesti di realtà aumenta le probabilità di efficacia della modalità “in vivo”. Proprio per ovviare a queste difficoltà nella pratica clinica solitamente le modalità immaginative vengono impiegate nella prima fase della terapia e solo dopo aver ottenuto un incremento delle sue competenze il cliente viene invitato ad effettuare esercizi in vivo. La realtà virtuale diviene una sorta di “Terza Via”. Consente cioè di superare i limiti di efficacia tipici delle tecniche immaginative e di poter realizzare una terapia “in vivo” all’interno dell’ambulatorio clinico (Vincelli, 1999; Glantz et al. 1996). La ricerca relativa al potenziamento dell’efficacia delle psicoterapie è molto attiva e si pone come obiettivo prioritario l’individuazione dei limiti di applicabilità dei vari trattamenti. Dalla letteratura specialistica appare chiaro che l’esperienza virtuale consente il superamento di una parte di questi limiti, rispetto ad un numero sempre maggiore di tipologie psicopatologiche. Le tecniche che si avvalgono della realtà virtuale immersiva sono numerose ed in quantità crescente. Ma riprendiamo l’esempio della Desensibilizzazione Sistematica per chiarire in che cosa consistono i vantaggi offerti da questa tecnologia. Uno degli elementi fondamentali nelle terapie cognitivo-comportamentali è quello di esporre il soggetto agli stimoli che producono la disfunzione. La realtà virtuale consente di facilitare questo processo del trattamento. Attraverso i software di RV è possibile ricreare insieme al soggetto in trattamento, una gerarchia di situazioni corrispondenti alla realtà, che egli potrà esperire in modo autentico grazie al coinvolgimento di tutti i canali senso-motori. La realistica riproduzione degli ambienti virtuali consente all’individuo interagente di calarsi in una dimensione di presenza reale. Un altro aspetto è l’induzione di risposte antagoniste rispetto a quelle disadattive. Lo sviluppo delle competenze relative alla possibilità di indurre uno stato di rilassamento psicofisico è uno degli obiettivi che si pone ogni terapeuta interessato a limitare gli effetti negativi dell’arousal psicofisiologico. Questo fenomeno si presenta in tutti quei casi in cui pensieri disfunzionali e comportamenti disadattivi sono associati alla manifestazione del disagio attraverso un’iperattivazione dei parametri psicofisiologici, per cui risulta fondamentale l’educazione alla gestione delle proprie risposte psicosomatiche in senso più adattivo. Anche in questo caso l’efficacia della tecnica dipende in gran parte dalla capacità del soggetto, al quale la terapia è indirizzata, di produrre le immagini che generalmente vengono proposte dal terapista. Quanto più tali immagini risulteranno vivide e realistiche nella fantasia del cliente, tanto più sarà facile ottenere la risposta di rilassamento. Le possibilità offerte in questo ambito dalla tecnologia virtuale sono molte e tutte vantaggiose. La somministrazione guidata dal terapista in RV, di scene che favoriscono l’induzione della risposta di rilassamento, ha dimostrato effetti positivi (Riva, 1997a). Ciò è dovuto prevalentemente agli effetti intrinseci dello strumento di RV. La sensazione di presenza reale offerta dalla riproduzione realistica degli ambienti cibernetici e dal coinvolgimento di tutti i canali senso-motori, consente al soggetto in trattamento di vivere l’esperienza virtuale in maniera più vivida e realistica di quanto potrebbe fare attraverso la propria immaginazione (Vincelli, Molinari, 1998). Una sintesi delle sperimentazioni cliniche Il trattamento dei disturbi dell’alimentazione Per il trattamento dei disturbi dell’immagine corporea e delle patologie legate alla mancanza di controllo alimentare, la sperimentazione sulle potenziali applicazioni della RV ha condotto alla realizzazione di specifici ambienti virtuali. Attraverso questi ambienti è stato possibile delineare una modalità d’intervento di ausilio alle terapie cognitivo-comportamentali tradizionali: la Terapia Cognitivo Esperienziale (Riva et al. 1998b). Questa nasce come metodo per la valutazione e il trattamento dei Disturbi del Comportamento Alimentare all’interno del Laboratorio Sperimentale di Ricerche Psicologiche dell'Istituto Auxologico Italiano. In particolare, la definizione e la sperimentazione della terapia hanno costituito il principale obiettivo dei progetti di ricerca VREPAR e VREPAR 2 (Virtual Reality Environments for Psycho-Neuro-Physiological Assessment and Rehabilitation - HC-1053/1055) finanziati dalla Comunità Europea (Riva et al. 1999c). Le diverse fasi della sperimentazione sono state preventivamente vagliate ed approvate dal Comitato Etico dell’Istituto. Questo nuovo approccio si propone come un trattamento capace di unire le tecniche cognitive, comportamentali e visuo-motorie (W ooley, W ooley, 1985), che intervengono settorialmente sui diversi aspetti delle patologie alimentari. Caratteristiche peculiari di questa terapia sono l’impiego di sessioni di realtà virtuale immersiva e l’utilizzo del metodo Socratico (Vitousek, W atson, W ilson, 1998) per affrontare il diniego e le resistenze dei soggetti. Più in dettaglio, la terapia riabilitativa Cognitivo-Esperienziale prevede colloqui individuali, incontri di gruppo, sessioni di realtà virtuale (Rinaldi et al. 1999). La RV, che costituisce la fase “esperienziale” del trattamento, rende possibile attraverso la navigazione in ambienti appositamente realizzati per i pazienti con disturbi alimentari, un maggiore coinvolgimento emozionale del soggetto in fase di trattamento. Il terapeuta, durante la navigazione, formula domande in modo ipotetico per aiutare il paziente a verbalizzare pensieri, sensazioni ed emozioni reali suscitati dall’immersione in un mondo simulato, cercando di indagare le aree problematiche tipiche dei pazienti con disturbi del comportamento alimentare: errata percezione delle dimensioni corporee, insoddisfazione nei confronti del proprio corpo, controllo del peso, cibo (modalità di assunzione, informazioni nutrizionali, paura di perderne il controllo), autostima, compliance terapeutica (Riva, Melis, 1997c; Riva, 1998d). Lo schema di intervento prevede sette sessioni per ogni paziente. La prima sessione di assessment è finalizzata alla conoscenza della procedura, alla familiarizzazione con gli strumenti necessari alla navigazione (casco e joystick), all’individuazione delle aree critiche e alla progettazione dell’intervento psicoterapeutico. Nelle successive sei sessioni terapeutiche il soggetto naviga nei diversi ambienti virtuali con l’obiettivo di approfondire gli aspetti problematici rilevati in fase di assessment e procedere con la fase psicologico riabilitativa (Riva et al. 1999d). I risultati ottenuti con l'applicazione della realtà virtuale nella riabilitazione psicologica dei disturbi del comportamento alimentare in diversi casi clinici (Riva et al. 1998c) sembrano indicare che questo nuovo tipo di approccio possa essere utile nella terapia dei disturbi dell'immagine corporea e nei deficit della capacità di controllo alimentare. La navigazione in ambienti virtuali permette di raccogliere in fase di assessment molte informazioni in un periodo di tempo decisamente inferiore a quello necessario in un colloquio tradizionale. Inoltre l'immersione totale in un ambiente “critico” rende più facile e spontaneo l'emergere di pensieri, emozioni e comportamenti associati a situazioni problematiche e spesso ansiogene per il soggetto. Il trattamento delle fobie I dati preliminari sui protocolli sperimentali di psicoterapia attraverso la realtà virtuale risalgono al 1993. Le fobie specifiche costituirono il primo obiettivo d’indagie. L’acrofobia, prima fra tutte, fu trattata positivamente da W illiford, North e Hodges (Hodges et al. 1993; Hodges et al. 1995; Rothbaum, 1995a). Nella loro ricerca venti soggetti furono casualmente assegnati ad un gruppo in trattamento con esposizione graduata mediante realtà virtuale e ad un gruppo di controllo in lista d’attesa. Gli effetti sul cambiamento vennero valutati attraverso la misurazione, precedente e successiva al trattamento, dell’evitamento, dell’ansia, dell’atteggiamento e dei livelli di stress associati all’esposizione alle altezze. In tutti i parametri vennero trovate differenze significative tra i soggetti sperimentali e il gruppo di controllo. Ricerche successive sulla paura delle altezze furono condotte da Lamson e Meisner. Nel loro studio del 1994 fu composto un campione con 44 soggetti, che avevano presentato una lunga storia di acrofobia con importanti limitazioni rispetto alla qualità di vita. Al termine del trattamento, dopo una settimana di sessioni quotidiane della durata di 50 minuti, il 90% dei soggetti era in grado di eseguire autonomamente un compito come attraversare un ponte o sporgersi da un’altezza (Lamson, 1994). I risultati ottenuti attraverso questi studi e attraverso ricerche successive (Rothbaum, 1995b) hanno messo in evidenza che i trattamenti di RV sono efficaci nel ridurre la paura delle altezze, cosi come le terapie tradizionali. Il vantaggio principale ricavato attraverso la RV consiste in una significativa riduzione dei tempi del trattamento, favorita dalla possibilità di poter simulare un mondo tridimensionale fra le mura dell’ambulatorio clinico. Anche per il trattamento dell’agorafobia il primo esperimento fu condotto nel 1993 da North, North e Coble e i risultati furono pubblicati nel 1995 (North, North, Coble, 1995; 1996b). Sessanta studenti dell’Università di Atlanta che presentavano sintomi agorafobici, furono casualmente assegnati ad un gruppo sperimentale e ad un gruppo di controllo. L’obbiettivo era quello di verificare l’efficacia di un ambiente virtuale nel trattamento della paura degli spazi aperti e delle situazioni dalle quali sarebbe stato difficile o imbarazzante fuggire. Gli strumenti di assessment impiegati furono un questionario per la valutazione degli atteggiamenti agorafobici (ATAQ) e una scala Likert per la quantificazione del disagio soggettivo (SUDS). Sia le attitudini negative sia i livelli di disagio diminuirono significativamente nel gruppo sperimentale. I valori dei parametri misurati decrescevano costantemente nel corso delle sessioni dando luogo ad una abitudine agli stimoli precedentemente ansiogeni (North, North, Coble, 1997a). Negli stessi anni furono effettuati esperimenti sulla paura di volare. Il gruppo di North attraverso lo studio di un caso singolo valutò l’efficacia del trattamento attraverso la riproduzione di un ambiente che simulava un elicottero Apache. Un uomo di 32 anni cui era stata diagnosticata una fobia per il volo fu trattato attraverso otto sessioni di 30 minuti. I livelli di ansietà diminuirono progressivamente fino ad arrivare ad un livello zero. Per valutare l’effetto di generalizzazione dall’ambiente virtuale al mondo reale il soggetto volò con il terapista su un vero elicottero. Durante l’esposizione in vivo il livello iniziale dell’ansia fu inferiore rispetto ai livelli precedenti al trattamento in RV e diminuì fino ad un livello zero durante il volo (North, North, Coble, 1996a). Un esperimento successivo condotto dal gruppo di Hodges e Rothbaum confermò i risultati di North (Hodges et al. 1996; Rothbaum et al. 1996). Un soggetto di 42 anni i cui comportamenti aerofobici interferivano pesantemente sulle sue attività lavorative e sociali, fu trattato attraverso un ambiente che riproduceva gli interni di un aereo di linea e le stimolazioni tipiche di un volo. I livelli d’ansia diminuirono sostanzialmente dopo le sessioni virtuali e il soggetto potè tornare a viaggiare in aereo. La sperimentazione sulle possibilità di applicare le tecnologie di realtà virtuale alla claustrofobia è stata condotta dal gruppo di ricerca di Bullinger in Svizzera (Bullinger, Hoessler, Mueller-Spahn, 1998). Il piano sperimentale è stato progettato per valutare l’efficacia del trattamento della claustrofobia attraverso la realtà virtuale e per confrontarne i risultati con la terapia tradizionale. I gruppi di studio furono tre. Il primo composto da soggetti con disturbo claustrofobico venne trattato attraverso una psicoterapia comportamentale in vitro, che prevedeva l’impiego di un ambiente virtuale (un’ascensore con le pareti posizionabili). Il secondo composto da soggetti claustrofobici trattati mediante psicoterapia tradizionale, con esposizione in vivo. Il terzo con soggetti sani non trattati. Questo protocollo, fra i primi a mettere a confronto le procedure virtuali di trattamento con quelle tradizionali, ha dimostrato che la simulazione di scene reali attraverso le tecniche grafiche tridimensionali costituisce un ottimo mezzo di interazione in psicoterapia, apre la stada a nuove possibilità di comunicazione fra terapeuta e paziente, e rappresenta una valida modalità di trattamento. Il primo studio controllato sull’efficacia della terapia virtuale per il trattamento della paura di parlare in pubblico fu condotto dal gruppo di North e Coble (North, North, Coble, 1997b). Sedici soggetti furono esposti ad un ambiente che simulava un auditorio che ospitava oltre 100 persone. Il trattamento fu somministrato attraverso 5 sessioni settimanali della durata di 10-15 minuti. Gli strumenti di assessment furono un questionario per la valutazione dell’attitudine a parlare in pubblico e una scala per la valutazione del disagio soggettivo. La paura evidenziata dai soggetti sperimentali prima del trattamento interferiva sul normale svolgimento delle attività sociali e lavorative e si manifestava anche attraverso sintomi fisiologici (battito cardiaco, sudorazione, respirazione). Anche i risultati di questo studio indicarono che il trattamento in realtà virtuale è in grado di ridurre i livelli d’ansia attraverso l’esposizione e di generare un’abitudine agli stimoli ansiogeni. Il trattamento dell’autismo La sperimentazione di ambienti virtuali per il trattamento dell’autismo è stata effettuata da Strickland negli Stati Uniti (Strickland, Mesibov, Hogan, 1996). Esperimenti su casi singoli sono stati condotti con l’obiettivo di verificare l’efficacia di ambienti virtuali per favorire l’apprendimento in bambini autistici. Questi lavori che costituiscono parte di un progetto di ricerca, che vede la collaborazione fra l’Università e la Chapel Hill School of Medicine del North Carolina, hanno prodotto risultati incoraggianti (Strickland, 1997). I soggetti sperimentali si sono adattati rapidamente alla tecnologia. Sono stati in grado di apprendere e di ripetere compiti come il riconoscimento e la verbalizzazione di colori, di oggetti e di scene in movimento. Lo scopo finale del progetto è quello di realizzare un prototipo a basso costo che impieghi la realtà virtuale, come supporto all’insegnamento per i bambini autistici e che possa essere utilizzato direttamente nelle scuole. I vantaggi della tecnologia virtuale per il trattamento dell’autismo vanno dalla possibilità di poter creare agevolmente un compito personalizzato, sulla base delle esigenze del bambino, alla possibilità di poter riprodurre qualsiasi scena del mondo reale direttamente nell’aula scolastica, comportando così un significativo risparmio in termini di tempo, economico e di disagio interpersonale. Anche in Giappone il gruppo di Hirose ha condotto degli studi relativi all’autismo. La sperimentazione ha condotto alla realizzazione di un’applicazione denominata “virtual sand box”, un prototipo tecnologico che attraverso la realtà virtuale supporta la tecnica del gioco con la sabbia (Hirose et al. 1997). Sviluppata in Inghilterra da Lowenfeld, questa tecnica prevalentemente diagnostica ha lo scopo di individuare problemi psicologici o psichiatrici come l’autismo e le nevrosi. Il sistema ideato dai Giapponesi impiega la realtà virtuale e permette ai soggetti trattati di ricreare un paesaggio virtuale contenente vari oggetti e figure. La sperimentazione dell’efficacia dell’ambiente virtuale è stata condotta su 40 soggetti e i risultati hanno dimostrato che la tecnologia via computer costituisce un valido sostegno alla tecnica tradizionale per il trattamento psicologico dell’autismo. Gli impieghi nella medicina palliativa Il gruppo di ricercatori guidato da Oyama (Oyama, 1998) ha sperimentato, presso il National Cancer Center di Tokio, l’impiego della realtà virtuale come terapia palliativa per i pazienti oncologici. I risultati ottenuti attraverso la RV hanno consentito un supporto di tipo psicologico sulla componente emotiva della malattia, una significativa modificazione dello stile di vita attraverso un ruolo più attivo, una maggiore accettazione della malattia e delle sue conseguenze. La ragione per cui la RV costiutisce un valido supporto alla medicina palliativa, consiste, secondo gli autori della ricerca, nel fatto che la tecnologia tridimensionale rappresenta non solo un’interfaccia uomo-macchina, ma anche una tecnologia di comunicazione umana e come tale consente nuove possibilità di rapporto tra terapista e paziente. La sperimentazione sulle disfunzioni sessuali Il trattamento dell’impotenza psicogena e dell’eiaculazione precoce costituisce l’obiettivo del programma progettato in Italia da Optale (Optale et al. 1997). Nella sperimentazione sono stati coinvolti due gruppi, uno dei quali era costituito da soggetti con impotenza determinata da fattori psicologici, l’altro da soggetti con impotenza generata sia da fattori psicologici che da condizioni mediche o uso di sostanze. Il trattamento attraverso l’impiego di ambienti virtuali immersivi veniva distribuito in 12 sessioni somministrate durante un periodo di 25 settimane. Attraverso l’esperienza virtuale assistita dallo psicoterapeuta i soggetti eseguono dei compiti che consentono di portare alla luce le difficoltà legate alla sfera sessuale e di modificare i patterns cognitivi e i vissuti emotivi legati alle esperienze ansiogene. Le percentuali di successo del trattamento riguardano l’82% per l’impotenza e il 70% circa per la terapia dell’eiaculazione precoce. Il razionale descritto da Optale è in accordo con la teoria neuropsicologica di Damasio secondo cui l’interazione dei propri sensi attraverso la realtà virtuale può generare degli input che, raggiungendo la neocorteccia, facilitano la modificazione di determinate associazioni cognitive. Da questo deriverebbe l’acquisizione di nuovi mezzi per favorire i processi di cambiamento e una maggiore disinibizione nella sfera sessuale (Optale et al. 1998). Conclusioni La Realtà Virtuale costituisce uno strumento altamente flessibile che consente di programmare un’enorme varietà di modalità d’intervento sul disagio psicologico. La possibilità di strutturare una gran quantità di stimoli controllati e contemporaneamente di poter monitorare le possibili risposte generate dal fruitore del programma, offre un grande aumento delle probabilità di efficacia terapeutica, rispetto alle procedure tradizionali. Il potenziale offerto da questa tecnologia deriva prevalentemente dal ruolo centrale, in psicoterapia, occupato dall’immaginazione e dalla memoria. Questi due elementi fondamentali nella vita di ognuno di noi hanno dei limiti assoluti e relativi alle potenzialità individuali. Grazie alle esperienze virtuali è possibile trascendere parte di questi limiti. Il mondo ricreato può essere talvolta più vivido e reale di quello che una gran parte di soggetti può descrivere attraverso la propria immaginazione e attraverso la propria memoria Gli sviluppi futuri delle applicazioni virtuali riguardano anche altre aree nosologiche. Risultati incoraggianti infatti sono stati ottenuti anche mediante studi preliminari sul trattamento del disturbo ossessivo-compulsivo, del disturbo da stress post-traumatico, del disturbo da deficit d’attenzione e del disturbo di panico. In quest’ultimo ambito sono incoraggianti i dati preliminari ottenuti da Vincelli e dal gruppo di ricerca del Laboratorio Sperimentale di Ricerche Psicologiche dell’Istituto Auxologico Italiano (IRCCS). L’applicazione di ambienti virtuali al trattamento del disturbo di panico ha generato dei risultati interessanti rispetto alla remissione della sintomatologia e alla generalizzazione dei risultati ottenuti, anche rispetto alle situazioni reali. Questo strumento innovativo produce un cambiamento rispetto al tradizionale rapporto tra cliente e terapista. La nuova configurazione di questa relazione si basa sulla consapevolezza di essere più abili nelle difficili operazioni di recupero delle esperienze passate, attraverso la memoria, e di previsione delle esperienze future, attraverso l’immaginazione. Il terapista che conosce e sa di poter utilizzare a vantaggio della propria pratica terapeutica questo valido strumento si sente più efficace e in grado di intervenire in maniera più incisiva sul decorso del disagio del proprio cliente. Allo stesso tempo il soggetto in trattamento percepisce il vantaggio di poter ricreare e di poter usufruire di un vero e proprio mondo esperienziale fra le mura dello studio clinico del proprio terapista. Mediante un’analisi della ricerca relativa alla RV è possibile tracciare delle conclusioni, relative all’esperienza virtuale, che sono comuni nei vari studi scientifici. I soggetti sottoposti ad ambienti virtuali hanno sperimentato un senso di presenza simile alle esperienze reali, anche quando l’ambiente virtuale non rappresentava fedelmente le situazioni del mondo reale. Questa asserzione è stata confermata dall’evidenza che le reazioni e le emozioni conseguenti alle esperienze virtuali erano le medesime di quelle sperimentate da soggetti coinvolti in esperienze reali. Un’altra conclusione abbastanza frequente negli studi analizzati, riguarda il fatto che la concentrazione dei soggetti impegnati in esperienze virtuali aumenta significativamente se confrontata con quella dei gruppi di controllo trattati in vivo. Infine la percezione e i comportamenti relativi al mondo reale possono essere modificati grazie all’esperienza in realtà virtuale. La TRV, terapia assistita attraverso la realtà virtuale, offre dunque un forte impulso allo sviluppo di nuove possibilità di prevenzione e di cura della salute psicologica. Attraverso la RV è possibile ridurre l’incidenza dei tipici effetti secondari negativi, generalmente associati alle tecniche tradizionali di trattamento e ciò costituisce un ulteriore vantaggio della nuova tecnologia. Molta attenzione deve tuttavia essere fatta nella gestione di questo strumento, poiché anch’esso è caratterizzato da una serie di limiti e di effetti secondari indesiderati che devono essere ben conosciuti per essere controllati. Tali limiti riguardano sia fattori di tipo tecnico che fattori legati alle peculiarità della ricerca nell’ambito della salute mentale. I primi sono prevalentemente determinati dai costi e dalla complessità tecnologica richiesta nella costruzione degli ambienti virtuali. Allo stato attuale la procedura necessaria per realizzare un oggetto in ambiente tridimensionale richiede una serie di passaggi che rendono complessa la progettazione del setting. Pertanto si richiede una specifica preparazione tecnica ed un conseguente aumento dei costi del trattamento. Sebbene nella pratica clinica queste limitazioni siano attualmente determinanti nel processo di scelta della terapia più efficiente, le tecnologie che riguardano la realtà virtuale sono in rapido sviluppo e ciò consentirà di individuare soluzioni alternative a questi problemi. I fattori legati alla ricerca riguardano invece le difficoltà di collaborazione tra la comunità di esperti che si occupa di realtà virtuale e la comunità di esperti che definiscono gli standars ufficiali della ricerca per la salute mentale. Spesso i risultati ottenuti attraverso la RV non vengono considerati da alcuni esperti che si occupano della ricerca in specifici ambiti nosologici, poiché tali modalità di studio non sono contemplate nelle linee guida della ricerca tradizionale. Sebbene questo atteggiamento sia abbastanza comune nella nostra cultura, poiché è coerente con la difficoltà che ognuno di noi manifesta nell’accettare la novità e la diversità, il limite potrà essere superato solo attraverso la realizzazione di standards specifici per le linee guida della ricerca relativa alla realtà virtuale.