DOSSIER BATTAGLIE DECISIVE Lepanto, 1571: l’ultima crociata Il 7 ottobre 1571 le acque del golfo di Patrasso si fecero rosse di sangue: le due marinerie più potenti del mondo si affrontarono in una lotta senza quartiere che segnò la fine della supremazia navale ottomana. Tuttavia la Sublime Porta, grazie alle discordie fra i cristiani, avrebbe minacciato l’Europa ancora a lungo... L’ di Dimitri Deliolanes invasione ottomana a Cipro accelerò presso le cancellerie europee i preparativi per dare una decisa risposta all’espansione turca nel Mediterraneo. Venezia, in particolar modo, vedeva aumentare in maniera preoccupante la minaccia turca sui suoi possedimenti nell’Egeo e nello Ionio. L’opera di alleare tra loro i regni cristiani fu svolta principalmente da papa Pio V, che condusse con grande energia le difficili trattative per superare i contrasti tra le varie potenze europee. L’attacco a Cipro gli fornì un argomento decisivo. E così la Lega Sacra fu finalmente firmata il 20 maggio 1571. Al vertice della flotta cristiana fu posto Giovanni d’Austria. Aveva sotto il suo comando 199 galee e sei galeazze, fornite dalla Repubblica di Venezia, dal Regno di Spagna, dalla Repubblica di Genova, da Cosimo I dei Medici, dallo Stato Pontificio e dai Cavalieri di Malta. Questi ultimi già sei anni prima avevano respinto con grande coraggio l’attacco del Sultano. Sulle navi si trovavano circa 30 mila soldati. Molti di loro erano «stradiotti», cioè greci che combattevano per la Serenissima. Durante la primavera del 1571 la flotta turca era penetrata nell’Adriati- STORIA IN RETE | 54 co, minacciando seriamente l’Italia. I turchi conquistarono gran parte delle fortezze più importanti della costa adriatica orientale, in Dalmazia ed Epiro (Durazzo, Valona, Dulcigno, Antivari e Lesina) e giunsero al punto di bombardare la stessa Venezia. A giugno finalmente la flotta turca gettò l’ancora a Lepanto per rifornimenti e per raccogliere rinforzi. La flotta cristiana si concentrò a Messina alla fine di agosto. Là giunse la notizia della caduta di Famagosta e dell’atroce fine del suo difensore Marcantonio Bragadin, che riempì di sdegno i soldati. Giovanni d’Austria decise di muoversi ed diresse le sue navi verso il mar Ionio. All’alba del 7 ottobre entrò nello stretto tra Lepanto ed il Peloponneso ed affrontò la flotta nemica. Gli ottomani, sotto il comando di Mehemet Alì Pascià, disponevano di 242 navi da guerra, di cui 28 galee. L’ordine del sultano Selim II era di affrontare il combattimento. La battaglia navale durò fino al pomeriggio e fu combattuta con grande impeto da ambedue le parti. Con grande abilità, le navi cristiane riuscirono ad evitare l’accerchiamento e ad avvicinarsi per l’abbordaggio. Alla fine i turchi persero 80 galee e 17 galeotte, mentre altre 13 furono catturate. Morirono 30 mila ottomani e altri otto mila furono fatti prigionieri. Furono liberati 15 mila cristiani che erano stati ridotti in schiavitù e incatenati ai banchi delle galee. Questi vogatori cristiani in alcuni casi si erano ribellati, con- La rotta della flotta ottomana a Lepanto, in una tavola di Gustave Dorè (1832-1883) Novembre\Dicembre 2006 tribuendo alla vittoria cristiana. La flotta della Lega Santa perse 14 galee, mentre morirono 7.650 soldati ed altri 7.780 furono feriti. Il sultano Selim II alla notizia della disfatta rifiutò il cibo per tre giorni. Più sprezzante, e realista, invece, il gran visir Sokoli, che al legato veneziano Barbaro disse che la flotta perduta era come la sua barba: una volta tagliata, essa ricresceva. Mentre la perdita di Cipro equivaleva per i cristiani all’amputazione di una mano, che non sarebbe mai ricresciuta. Ma la verità è che l’espansione ottomana aveva subito un colpo decisivo, da cui non si sarebbe più ripresa. Ancora più importante fu l’impatto psicologico. «La vittoria appare come la fine di una miseria, la fine di un reale complesso d’inferiorità della Cristianità, la fine d’un altrettanto reale supremazia della flotta turca», ha commentato lo storico Fernand Braudel. n Lepanto: anatomia di una battaglia © Emanuele Mastrangelo 2006 A Lepanto uno dei fattori decisivi per assicurare la vittoria alla Lega fu l’atteggiamento dei galeotti: al contrario della flotta ottomana, dove i rematori erano in gran parte schiavi cristiani, sulle navi europee oltre ai forzati vi era un gran numero di mestieranti, pagati (ancorchè poco...) per stare al remo. Tuttavia tanto i forzati quanto i professionisti erano incatenati; a Lepanto, invece, i comandanti cristiani liberarono i rematori e li fornirono di armi bianche, promettendo ai forzati l’amnistia in caso di vittoria. Questa mossa fornì all’armata della Lega un enorme surplus di forze negli arrembaggi, oltre che un sicuro incentivo per il morale della truppa. n D on Giovanni, dopo aver passato in rassegna la flotta cristiana, esortandola alla lotta, ed essere stato benedetto da un frate cappuccino, danzò una gagliarda, danza di guerra cortese, assieme a due gentiluomini del suo seguito, come rito di buon auspicio. n P oco prima della battaglia, tutte le navi cristiane ammainarono le rispettive bandiere, e solo sulla Reale di Don Giovanni fu innalzato un vessillo: quello del Cristo Redentore Crocifisso, a rappresentare l’unità delle nazioni e delle città cristiane in quel momento. n L F L e navi cristiane cosparsero di sego i ponti, per far scivolare i soldati ottomani che arrembavano. n ra le armi usate dai cristiani vi era anche una pignatta «chimica» carica di calce viva ustionante n a battaglia sulla Reale di Don Giovanni fu decisa dalla resistenza del Tercio (reggimento) di Sardegna, tenacissimi soldati italiani al comando di Lopez de Figueroa. n L e galeazze erano vere e proprie batterie galleggianti: la loro superiorità era assicurata oltre che da un ponte corazzato, dall’avere armi piazzate lungo le fiancate, al contario delle comuni galee, che invece le avevano solo nei castelli di prua e poppa. Le galeazze, quindi, potevano non solo puntare contro le navi nemiche, ma anche incrociarle, continuando a sviluppare un devastante volume di fuoco. (E.M.) n