Un impero universale: l’epopea di Alessandro Magno Una nuova potenza, la Macedonia Ai margini della Grecia. A partire dal 360 a.C. ca una nuova potenza si affacciò nel mondo greco: il Regno di Macedonia. La famiglia reale macedone, gli Argeadi, pretendeva di risalire all'eroe greco Eracle e alla città di Argo. I greci consideravano la Macedonia una terra di "barbari" rozzi e primitivi; essa, pur avendo assorbito la cultura greca, era sempre rimasta ai margini delle vicende della penisola ellenica e non era stata coinvolta dalle trasformazioni avvenute fin dall'VIII secolo a.C. Era una terra dall'economia agricola e pastorale decisamente arretrata. Alla corte di Pella, il sovrano era affiancato da un'aristocrazia formata dai grandi proprietari terrieri, gli hetàiroi, cioè i "compagni" (e non sudditi) del re. La politica di Filippo II. Le cose cambiarono in fretta dal 359 a.C. con l'ascesa al trono di Filippo II, un sovrano mosso da grandi ambizioni: indirizzare verso la Grecia la spinta espansionistica del Regno e poi sferrare alla Persia un attacco comune di macedoni e greci. Filippo dedicò subito molte cure all'esercito, riformando la falange. Già nel_357-356 a.C. occupò il Chersoneso tracico, regione tradizionalmente controllata da Atene e nella quale si trovavano le miniere d'oro del Pangeo: una risorsa, l'oro, decisiva per potersi permettere un grande esercito e per indebolire, con la corruzione, il fronte dei nemici. Filippo preparò il terreno per intromettersi nelle vicende della Grecia, cercando di presentarsi ai greci come arbitro rispettoso delle loro tradizioni e ammiratore delle loro istituzioni politiche. L'occasione buona si presentò nel 353 a.C, quando un conflitto tra alcune città che amministravano il santuario di Delfi si estese alla Tessaglia: Filippo intervenne e si assicurò il controllo della regione. Cheronea, 338 a.C: la fine dell'indipendenza greca. Sull'ingerenza di Filippo e sulla strategia da tenere si accesero dibattiti vivaci. Ad Atene, in particolare, si confrontarono due fazioni, infiammate dai discorsi di due grandi oratori: • Isocrate era favorevole a una coalizione di tutti i greci che, sotto la guida del re macedone, fosse capace di opporsi al pericolo persiano; • Demostene vedeva in Filippo un nemico mortale, colui che voleva abbattere l'indipendenza e la libertà della Grecia. Il re continuò a corteggiare le città greche, prima fra tutte Atene (prospettandole di nuovo un ruolo centrale in Grecia), per convincerle che non intendeva sottometterle da dominatore. Ma la propaganda di Demostene ebbe la meglio e contribuì a creare una Lega antimacedone fra Atene, Tebe e altre città. La Lega sferrò un attacco contro i macedoni nel 338 a.C. a Cheronea, in Beozia: per i greci fu una disfatta, mentre a Filippo si spalancarono le porte della Grecia. La pace e l’alleanza antipersiana. Filippo II rinunciò a penetrare nell'Attica con l'esercito, restituì i prigionieri di Cheronea e con la pace di Corinto (337 a.C.) non procedette ad atti di vendetta politica contro le città greche. Ebbe un occhio di riguardo per Atene; in cambio ricevette dagli ateniesi la cittadinanza, insieme al giovane figlio Alessandro, e perfino una statua in suo onore. Ovunque, com'è ovvio, vennero favorite le fazioni e i governi filomacedoni, ma Filippo promosse la tanto agognata pace generale interna e creò un'alleanza panellenica, di cui era il capo militare, allo scopo di preparare una grandiosa spedizione contro la Persia. Ma proprio mentre i contingenti provenienti da tutta la Grecia si raccoglievano nella regione degli stretti, pronti per passare in Asia, nel luglio del 336 a.C. Filippo cadde vittima di una congiura di palazzo. Dal Mediterraneo all'India: le conquiste di Alessandro Magno Il controllo sulla Grecia. Quando fu proclamato re il figlio di Filippo II, Alessandro III (356-323 a.C), nessuno poteva immaginare le doti eccezionali e le imprese con le quali il sovrano, appena ventenne, avrebbe impresso una svolta alla storia. Le fazioni antimacedoni, ancora vitali in diverse città greche, pensarono anzi che fosse il momento buono per scrollarsi di dosso la tutela dell'ingombrante vicino. Ma Alessandro, dopo avere consolidato i confini, settentrionali del Regno con spedizioni contro traci e illiri, tornò tempestivamente in Grecia e schiacciò nel sangue la rivolta di Tebe. La città fu rasa al suolo e i suoi abitanti venduti come schiavi: una vendetta spietata, che scoraggiò altre velleità di ribellione. L’idea panellenica e il nemico persiano. A questo punto, Alessandro si dedicò alla realizzazione del progetto già coltivato dal padre, la spedizione contro la Persia. Un'impresa del genere si spiega con ragioni economiche - la fame di ricchezze e di terre di una popolazione in forte espansione demografica - e con le ambizioni e i desideri personali di gloria. Ma c'era anche il presupposto culturale del panellenismo, cioè l'idea di una concordia fra tutti i greci (macedoni compresi), che ponesse fine a un secolo di interminabili guerre intestine e ritrovasse l'unità del mondo ellenico, dunque anche di quello ricaduto sotto il dominio persiano. La propaganda di Alessandro insistette molto su questa linea, sottolineando la necessità di andare contro il nemico storico e comune dei greci: l'Impero persiano, sul cui trono sedeva in quel momento Dario III. Le forze di Alessandro. Stratega assoluto di una macchina da guerra formidabile, Alessandro si avvalse dell'aiuto di due generali: Parmenione, suo diretto collaboratore, e Antìpatro, a cui affidò la protezione delle retrovie in Macedonia. L'esercito di Alessandro era formato da circa 30000 fanti e 5000 cavalieri; ne facevano parte macedoni, greci - non molti in realtà, 7000 fanti e 600 cavalieri, a causa delle difficoltà economiche delle poleis - e contingenti "barbari". Seguivano l'esercito maestranze, tecnici e uomini di scienza greci: ingegneri delle macchine belliche, geometri, cartografi, medici, scienziati, filosofi, storici. Le prime vittorie. La prima della serie ininterrotta di vittorie di Alessandro avvenne presso il fiume Granico, in Frigia, nel giugno del 334 a.C, contro gli eserciti dei satrapi dell'Asia Minore. Proseguendo lungo la costa, Alessandro liberò tutte le città greche d'Asia, sottomise i principi vassalli di Dario III e si impadronì dell'importante città di Sardi. La seconda grande vittoria venne nel novembre del 333 a.C. a Isso, sul confine tra Cilicia e Siria, dove Alessandro si scontrò con l'esercito guidato dal Gran re in persona. Dario III si salvò con la fuga e lasciò nelle.mani del nemico tutta la sua famiglia (che, secondo una tradizione persiana, doveva seguire il re in guerra). Alessandro preferì non attaccare subito il cuore dell'Impero persiano. Marciò verso sud e si impadronì delle città fenicie, compresa la più ricca, Tiro, che capitolò dopo sette mesi di resistenza: Alessandro la rase al suolo nell'agosto del 332 a.C. In Egitto, Le principali basi marittime mediterranee del Gran re erano state conquistate, ma Alessandro non si arrestò. Rifiutò le generosissime offerte di pace di Dario III, disposto a cedergli quasi tutta l'Asia Minore, e si diresse a sud, verso l'Egitto. In Egitto Alessandro venne accolto come un liberatore, incoronato faraone dall'aristocrazia egiziana e proclamato figlio del dio Amon Ra (l'antico signore degli dèi egizi) dai sacerdoti dell'oracolo di Ammone, nell'oasi di Siwa. A conferma della sua autorità politica e sacrale Alessandro volle porre un sigillo indelebile: fondò una città che portava il suo nome e che lo doveva tramandare ai posteri, Alessandria, destinata a diventare la guida culturale dell'epoca successiva. L’impero universale. Nel 331 a.C. Alessandro risalì a Tiro, quindi deviò a est fino ad affrontare un nuovo esercito di Dario III a Gaugamela (nella Mesopotamia settentrionale), che sbaragliò definitivamente. Ormai era aperta la strada verso le capitali imperiali, Babilonia, Susa, Persepoli, Ecbatana, dove Alessandro si appropriò di tesori immensi, addirittura inimmaginabili nel mondo greco. Dario III sì rifugiò presso un suo satrapo, che però lo fece uccidere. Le intenzioni di Alessandro erano ormai scoperte: creare un impero universale, d'Occidente e d'Oriente insieme. Ovunque passava, egli fondava nuove città, insediava colonie militari, reclutava nuove leve per il suo esercito. Anche nelle regioni più remote dell'Impero persiano, come la Battriana o la Sogdiana, da sempre refrattarie al controllo dei satrapi, furono costituiti nuovi centri urbani, tutti accomunati dal nome Alessandria: Alessandria di Aria, di Aracosia, di Margiana e Alessandria Escate, cioè "ultima", nell'alta Sogdiana. Ma la marcia non si arrestò. Ai confini estremi. Alessandro proseguì la sua avventura lungo le vie carovaniere della seta, delle gemme e delle spezie, fino a toccare una terra per i greci sconosciuta e misteriosa: l'India. Nel corso della sua marcia di conquista, Alessandro sicuramente raccolse informazioni sulla regione del bacino dell'Indo, che i persiani conoscevano bene, e su ciò che si estendeva al di là dell'Indo. Ma per un greco doveva essere molto difficile immaginarsi la vastità del subcontinente indiano e il fatto che, a quei tempi, aveva già millenni di storia e di civiltà alle spalle (come vedremo più avanti). Tra il 326 e il 325 a.C. Alessandro avviò la conquista del bacino dell'Indo, spingendosi oltre i confini segnati a suo tempo da Dario I. La sua ambizione era di proseguire ancora, fino al Gange, ma l'esercito oppose resistenza: fu cosi deciso il ritorno, non prima che fossero eretti dodici altari sulla sponda destra del fiume Ifasi, l'estre mo limite raggiunto. Il corpo di spedizione venne incanalato su due vie, una di terra e una per mare; la flotta guidata da Nearco ebbe il compito di perlustrare il litorale dell'oceano Indiano, mentre Alessandro rientrò a Susa via terra, agli inizi del 323 a.C. Stava progettando la conquista della penisola arabica quando morì improvvisamente a Susa: aveva trentatré anni. Le diverse immagini del potere. Il rapporto di Alessandro con i popoli dell'Impero, il più vasto che fosse mai esistito, fu diversificato. Con i macedoni, in quanto loro re, rispettò le tradizioni, come quella di dare ascolto al consiglio dei nobili e all'assemblea dei soldati. Nelle regioni asiatiche assunse invece i tratti tipici della sovranità orientale, e cioè esercitò un potere assoluto, duro soprattutto verso le popolazioni che non lo avevano accolto favorevolmente dal primo momento; in Egitto acconsentì con entusiasmo a essere acclamato dio e faraone, abbracciando la monarchia teocratica. D'altra parte, Alessandro adottò in generale alcuni princìpi e rituali di ispirazione orientale: la concezione divinizzata del sovrano, il rituale della proskynesis, ossia l'atto di prostrarsi davanti al re, abituale per i persiani ma inconcepibile per greci e macedoni, e che egli volle imporre loro. L’organizzazione dell’impero. La morte prematura impedì ad Alessandro di mettere davvero mano all'organizzazione dell'Impero. Fin dove potè, comunque, la sua scelta fu di mantenere le strutture amministrative delle terre conquistate, in particolare il sistema persiano delle satrapìe. In alcune confermò i satrapi, in altre vi collocò dei macedoni; per evitare l'eccessivo potere di cui i satrapi avevano goduto in passato, comunque, affiancò loro dei funzionari che gli rispondevano direttamente. L'eredità dell'Impero. La politica di Alessandro mirava ad abbattere i confini geografici, politici e culturali tra Occidente e Oriente, tra greci e barbari, e contribuì concretamente a realizzare la fusione tra le diverse nazionalità dell'Impero. Scelte in questa direzione furono, per esempio, il reclutamento nell'esercito di molti giovani persiani e di coloni greci fatti affluire nelle nuove città, affinché si mescolassero con le popolazioni locali. Alessandro favorì inoltre i matrimoni misti e lui stesso si unì in matrimonio con Rossane, principessa della Battriana. Forse questa ideologia universalistica non ebbe tutta l'importanza e tutte le conseguenze pratiche che spesso le sono state attribuite. Di certo, però, contribuì a creare una visione del mondo e un'impostazione culturale che, come vedremo, furono caratteristiche dall'età ellenistica. I regni ellenistici Un Impero senza eredi diretti. Con la morte di Alessandro Magno si aprirono l'epoca storica e la civiltà chiamate ellenismo. "Ellenismo" non è una parola antica; è un concetto entrato in uso tra gli storici del XIX secolo per indicare un'età delimitata da confini convenzionali: il 323 a.C, la morte di Alessandro appunto, e il 31 a.C, anno della conquista romana dell'Egitto. I grandi regni che emersero dalla dissoluzione dell'Impero di Alessandro, come ora vedremo, condizionarono le vicende dell'area greco-orientale per tutti i tre secoli dell'età ellenistica. Lotte per il potere: l’età dei diadochi. Quando Alessandro morì (alcuni dissero per avvelenamento, ma senza prove) i suoi generali si spartirono subito l'Impero: Antipatro prese la Macedonia, Tolomeo l'Egitto, Lisimaco la Tracia, Antigono Monoftalmo la Frigia, la Licia e la Panfilia. Non si trattò affatto di una divisione pacifica, anzi quella che viene chiamata età dei diàdochi (cioè i "successori") fu un ventennio di guerre, di congiure di palazzo, di continui mutamenti di alleanze fra gli ex generali di Alessandro. Tra questi personaggi in lotta per il potere e privi di scrupoli c'era chi (come Antigono Monoftalmo) si illudeva di potersi attribuire la successione di tutto l'Impero, mentre altri erano disposti a ritagliarne per sé solo una parte. Quest'ultima fu la strategia vincente e, agli inizi del III secolo a.C, si erano stabilizzate quattro aree territoriali e di potere, quattro regni principali. L’Egitto e l’area greco-macedone. Nel Regno d'Egitto Tolomeo I Sotér, fedele generale di Alessandro Magno, fu il capostipite della dinastia dei Tolomei, che restò al potere fino alla conquista romana del 31 a.C. Il Regno comprendeva anche Cipro, parte della costa nordafricana e della Palestina, oltre ad alcuni baluardi sulle coste dell'A sia Minore e alcune isole dell'Egeo. Fu il regno economicamente e politicamente più solido ed esercitò il ruolo di faro della cultura e della vita artistica per tutto l'ellenismo, soprattutto con Alessandria, la capitale fondata da Alessandro, in cui erano custodite le spoglie del sovrano. Il Regno di Macedonia andò alla dinastia degli Antigonidi e il suo territorio corrispondeva a quello dei tempi di Filippo IL Subì a più riprese le pressioni dei popoli illirici sui confini settentrionali e occidentali e dovette continuamente far fronte alle tendenze indipendentiste delle città greche. La Siria e Pergamo. Il Regno di Siria, in mano ai sovrani Seleucidi, fu il più grande e il più instabile dei regni ellenistici. Si estendeva dall'Asia Minore alle lontanissime province iraniane e indiane, le quali, del resto, costituirono presto realtà politiche in-dipendenti (come la Battriana, che si legò al nascente stato dei parti). A Egitto, Macedonia e Siria si aggiungeva, nella regione anatolica, un pulviscolo di principati e staterelli contesi dalle potenze vicine. Uno solo di questi, staccatosi dal Regno di Siria, ebbe una storia autonoma e illustre: il Regno di Pergamo, che nel III secolo a.C, sotto la dinastia degli Attàlidi, divenne uno splendido centro culturale, famoso per gli straordinari monumenti e per la biblioteca reale. L’età delle monarchie assolute. La forma politica più importante nell'età ellenistica fu la monarchia territoriale assoluta, cioè il grande stato in cui una distanza abissale separava i dominatori (il sovrano e la classe dirigente greco-macedone) e i dominati (masse agricole semilibere e schiavi). Il sovrano era affiancato da schiere di funzionari, consiglieri, diplomatici, privi però di poteri autonomi, mentre fastosi cerimoniali simboleggiavano la sua lontananza dai comuni mortali. Queste monarchie fusero, ciascuna in un suo particolare equilibrio, tre diversi modi di intendere il potere: quello macedone, in cui il sovrano era affiancato dall'asser dei nobili; quello egiziano, in cui il faraone era un sovrano assoluto di origine divina: quello persiano, che considerava i re assoluti ma non divini. Dal punto di vista della cultura politica (ormai tramontata) delle città greche, vinse in ogni caso la forma di governo tipica dei "barbari", e cioè quella monarchia (basileia) in cui esistevano sudditi "per natura", e non cittadini liberi e dotati del diritto di partecipare al governo. La vitalità economica. Nel suo complesso, l'età ellenistica fu un periodo di risveglio della produzione e della circolazione dei beni. Le conquiste di Alessandro Magno e la sua politica di integrazione favorirono infatti gli scambi commerciali, nonostante la successiva divisione dell'Impero. Caddero molte barriere tra il Mediterraneo, l'Asia e il Nord Africa, mentre le ingenti risorse finanziarie dei regni ellenistici diedero impulso alla circolazione monetaria e allo sviluppo di grandi centri di scambio, come Alessandria, Antiochia, Pergamo. L'Egitto, da sempre grande produttore di beni agricoli, raggiunse livelli sorprendenti di produzione ed esportazione. Gli storici definiscono l'economia egiziana di questo periodo economia regia, perché il sovrano controllava ogni fase della produzione ed esportazione dei beni, interveniva con regolamentazioni nella sfera economica ed era proprietario in prima persona di immensi latifondi, tanto da detenere il monopolio di alcuni prodotti agricoli. L'altra faccia: le masse povere. Per altro verso, crebbe in diverse regioni la povertà delle masse contadine, più sfruttate che in passato probabilmente a causa della centralizzazione del controllo economico e fiscale. Spesso i contadini abbandonavano le campagne per le città, dove andavano ad accrescere le file dei diseredati, ma potevano sopravvivere grazie alle distribuzioni gratuite di cibo e altri beni. Molti sovrani ellenistici (come anche i membri delle élite cittadine) si assumevano infatti l'onere di spese pubbliche di questo tipo, allo scopo di riceverne lustro e di accrescere la propria popolarità. La cultura ellenistica La diffusione della cultura greca. Le conquiste di Alessandro ampliarono gli orizzonti del mondo greco, o ellenizzato, anche in senso culturale. La mobilità da un capo all'altro dell'Impero di persone, beni e idee mise in contatto tradizioni, saperi tecnici, artistici e scientifici, riflessioni filosofiche, concezioni religiose. La cultura e la lingua greca si diffusero così in un'area sconfinata e il greco diventò una lingua internazionale, cioè la lingua ufficiale della burocrazia, dei ceti dirigenti. dei commercianti, e naturalmente degli uomini di cultura. Questa lingua comune. detta koiné, era in continua trasformazione e quindi eterogenea, perché il greco interagì con le lingue e i dialetti con cui entrò in contatto, ne ricevette vari apporti e ne venne in parte modificato. La traduzione della Bibbia. La koiné favorì il risveglio culturale e artistico anche perché vi furono tradotti numerosi testi non greci, fino ad allora preclusi al pubblico ellenico. L'esempio più famoso è la traduzione in greco dell'Antico Testamento: è la cosiddetta Bibbia dei Settanta, perché secondo la tradizione fu realizzata da settanta dotti ebrei ad Alessandria d'Egitto, per iniziativa del re Tolomeo II Filadelfo. Ad Alessandria, infatti, si stabilì in età ellenistica un'importante e numerosa comunità ebraica, che rapidamente assorbì la cultura greca. Fu un passaggio fondamentale nella storia dell'ebraismo, che tra l'altro suscitò la reazione degli ebrei più ortodossi, contrari a mescolare la propria tradizione religiosa con le forme ellenizzate dell'ebraismo alessandrino. Nuovi orientamenti. La cultura della polis, in tutte le sue forme (dal teatro alla filosofia, dalla poesia all'architettura), fu una cultura diretta alla comunità, cioè alla formazione della coscienza collettiva dei cittadini. Ma adesso, con il tramonto della polis, venne meno anche il senso di una cultura di tipo etico-civile e la cultura dell'età ellenistica seguì nuovi orientamenti. • L'individualismo: era la tendenza a una visione etica e filosofica che metteva al centro l'individuo, nella sua personale ricerca della felicità, e che di solito predicava il distacco dalle vicende del potere e della storia. • Il cosmopolitismo: era la consapevolezza di essere cittadini di un mondo (in greco kòsmos, "mondo", e polìtes, "cittadino") in cui erano caduti i precedenti confini politici e culturali, quindi in cui la cultura assumeva una dimensione sovranazionale. La vastità del mondo ellenistico e le generose offerte dei sovrani, desiderosi di accrescere il prestigio culturale delle loro corti, favorirono la creazione di un ceto intellettuale cosmopolita, che poteva spostarsi fra i diversi centri di produzione del sapere.