Untitled - Università degli Studi di Trieste

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SOMMARIO
SOMMARIO ........................................................................................................... 3!
INTRODUZIONE ................................................................................................... 5!
CAPITOLO 1 ADHD, UNA PATOLOGIA COMPOSITA .................................. 7!
1.1 Cenni storici sull’ADHD ................................................................................. 7!
1.2 ADHD? Un’invenzione ................................................................................... 8!
1.3 Cos’è realmente l’ADHD .............................................................................. 10!
1.4 La diagnosi ..................................................................................................... 14!
1.4.1 Ulteriori metodi di diagnosi .................................................................... 14!
1.5 Condizioni avverse che possono associarsi alla sintomatologia dell'ADHD 16!
1.6 Trattamento farmacologico ............................................................................ 16!
1.7 Terapie innovative: Neurofeedback con EEG ............................................... 17!
CAPITOLO 2 NEUROFEEDBACK .................................................................... 20!
2.1 La storia del Neurofeedback .......................................................................... 21!
2.2 Il cervello e la sua attività elettrica ................................................................ 23!
2.3 Protocolli per il Neurofeedback ..................................................................... 29!
2.4 Scopo della ricerca ......................................................................................... 31!
2.5 Focus Pocus ................................................................................................... 32!
CAPITOLO 3 CONDUZIONE DELLA RICERCA: GRUPPO BRAINew
Progetto Neurofeedback & ADHD ....................................................................... 36!
3.1 Obiettivi e metodi della ricerca ...................................................................... 36!
3.2 Soggetti di studio ........................................................................................... 37!
3.3 Strumenti e batteria testistica ......................................................................... 38!
3.4 Spazi, luoghi ed intervento di training ........................................................... 44!
3.5 Dati e risultati................................................................................................. 45!
3.6 Gradimento ragazzi e genitori .......................................................................... 53!
CONCLUSIONI .................................................................................................... 56!
BIBLIOGRAFIA................................................................................................... 59!
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RINGRAZIAMENTI ............................................................................................ 63!
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INTRODUZIONE
“Se lo sforzo caleidoscopico del cervello per forgiare la mente e far funzionare il
corpo può essere paragonato a dirigere un’orchestra sinfonica, la sua scelta della
musica, il suo volume, e il suo ritmo sono tutte cose che crediamo essere costretti
ad accettare, per lo più senza porci domande. Questo potrebbe essere vero non
ancora per molto.” Jim Robbins conclude così l’introduzione del suo libro A
Shymphony in the brain: The Evolution of the New Brain Wave Biofeedback. La
composita scambievolezza tra i molteplici elementi che il nostro cervello
coordina, ricorda la direzione di una sterminata orchestra sinfonica. Se la melodia
del nostro cervello non ci soddisfacesse? Se il suo volume fosse troppo alto,
oppure la sua cadenza fosse troppo lenta? Dovremmo adattarci a delle note
stridenti, o, invece, potremmo decidere la colonna sonora della nostra vita? La
soluzione potrebbe essere il Neurofeedback, uno strumento in grado di modificare
questa sinfonia. Tramite la rilevazione e variazione delle nostre onde cerebrali
possiamo intervenire sui meccanismi reconditi della nostra mente. Molte persone
hanno migliorato la qualità della loro esistenza grazie al Neurofeedback.
Disturbi come l’epilessia, stanchezza cronica, emicrania, depressione e ADHD
sono stati trattati con successo ricorrendo a questa terapia. Nei soggetti sani
l’impiego del Neurofeedback ha portato benefici in termini di memoria,
intelligenza, prestazioni sportive e creatività.
Nonostante i risultati incoraggianti, l’impiego del Neurofeedback è ancora ai
giorni nostri piuttosto limitato.
La complessità e l’esorbitante variabilità individuale dei processi coinvolti
rendono ostica la previsione degli effetti specifici in seguito al training con
Neurofeedback, ma, soprattutto, è difficile predirne l’efficacia su persone diverse.
Le onde cerebrali sono la risultante di processi corticali e talamocorticali
complessi, che non sono stati ancora del tutto compresi. Ad oggi è ancora
nebuloso come il Neurofeedback possa modulare questi processi e regolare così le
onde cerebrali, ma i risultati positivi ottenuti sono evidenti.
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Studi condotti da ricercatori hanno evidenziato che l’incremento di particolari
onde cerebrali comportava benefici a livello cognitivo e ciò ha permesso pure di
approfondire le conoscenze dei nostri processi mentali. Molte ricerche devono
essere ancora effettuate per migliorare le potenzialità terapeutiche, in quanto lo
sviluppo del Neurofeedback è ancora ai primordi, ma rappresenta già un
affascinante ambito tutto da esplorare.
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CAPITOLO 1
ADHD, UNA PATOLOGIA COMPOSITA
Il disturbo da deficit di attenzione (ADHD: Attention Deficit and Hyperactivity
Disorder) è caratterizzato da livelli gravi e non appropriati all'età di iperattività,
impulsività e disattenzione. L'ADHD è un disturbo eterogeneo, e la maggior parte
dei pazienti mostra comorbidità o problemi associati ad altri disturbi psichiatrici.
Inoltre, l'ADHD è associato a problemi cognitivi e motivazionali, come pure ad
anomalie a riposo, associati ad alterata attività cerebrale, diffusa in reti neurali
distinte (Albrecht et al., 2015).
L’ADHD è un disturbo che interessa circa il 4% della popolazione pediatrica in
età scolare e colpisce in modo preferenziale il sesso maschile. La diffusione è
ubiquitaria.
1.1 Cenni storici sull’ADHD
Il Disturbo da Deficit di Attenzione ed Iperattività è un disordine dello sviluppo
neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da deficit di
attenzione, impulsività e iperattività. (APA, DSM IV-TR, 2004).
Per descrivere questa patologia, oggi ampiamente studiata e conosciuta nelle sue
manifestazioni, sono state utilizzate nel corso degli anni diverse definizioni.
All’inizio del secolo scorso, il medico inglese George Still descrisse in una serie
di articoli pubblicati su Lancet un gruppo di bambini che manifestavano una
vivacità, distruttività e un deficit del controllo morale fuori dal comune (Still,
1902). Apparve per la prima volta nel 1968 la dicitura “reazione ipercinetica” del
bambino nella II edizione del Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali
ed è stata pubblicata dall’American Psychiatric Association. Veniva sottolineata
l’esistenza di una problematica di tipo motorio, ma non cognitivo, fattore che
venne invece considerato nell’edizione successiva del Manuale (DSM III, APA,
1980). In questa stesura venne riportata la dicitura “Disturbo dell’Attenzione”.
Nel DSM III-R (1987) venne inserito il termine di Attention Deficit and
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Hyperactivity Disorder, il cui acronimo è ADHD, tradotto in italiano con
“Disturbo da Deficit di Attenzione con Iperattività” (DDAI). L’International
Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (ICD,
Organizzazione Mondiale della Sanità) delinea nel 1992 questa patologia come
“sindrome ipercinetica” (ICD-9, 1992) e in seguito come “disturbo ipercinetico”
(ICD-10, 1997).
I molteplici e frequenti cambiamenti nelle definizioni riverberano l’incertezza
avuta dai ricercatori rispetto alle cause del disturbo e perfino su quali fossero per
l’appunto i criteri diagnostici; alcuni di loro hanno pure negato l’esistenza di tale
sindrome.
1.2 ADHD? Un’invenzione
Lo scopo del titolo di questo paragrafo, volutamente provocatorio, è di sfatare
alcuni falsi miti che questa sindrome, a causa della sua complessità diagnostica e
variabilità individuale, ha dovuto tollerare prima di essere riconosciuta come tale.
Una parte di medici e scienziati sostiene che l’ADHD sia una sindrome inventata
ad hoc.
Per mutare queste esperienze quotidiane in malattie comparabili ad entità
mediche, come, ad esempio, il tumore, occorrono un “marketing” efficace e
un’incredibile abilità. I più estremisti, riferendosi alle teorie di Thomas Szasz,
ritengono che l’ADHD sia un disturbo senza vere e proprie basi fisiologiche e che
non sussista una sintomatologia chiara e univoca; tale affermazione potrebbe
rappresentare un episodio di disease mongering, poiché il concetto di ADHD,
teorizzato agli inizi del ‘900, sarebbe stato ripreso negli anni ‘80 per creare un
nuovo commercio di farmaci (Fig. 1).
Fig.1 – Immagine rappresentativa di disease mongering
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“L’ADHD non esiste. Questi bambini non hanno alcun disturbo.” Dr Thomas
Amstrong, Ph. D. —The mith of the ADD child, 1997.
“La ricerca non conferma l’esistenza della sindrome dell’ADHD. Non c’è alcuna
giustificazione medica, neurologica o psichiatrica per la diagnosi di ADHD.”
Peter Breggin, MD-ToxicPsychiatry.
Di seguito viene riportato uno spezzone di testo del libro di Stefano Scoglio “Non
è colpa dei bambini” (Macro edizioni, 2007):
“Secondo il National Institute of MentalHealth,USA, leader nel mondo della
promozione della patologia ADHD, questa presunta malattia coinvolge tre
elementi principali che vengono così descritti:
a)! deficit di attenzione;
b)! iperattività;
c)! impulsività.
La combinazione di questi tre elementi dà vita alla definizione di tre sottogruppi:
a)! tipo prevalentemente incapace di attenzione;
b)! tipo prevalentemente iperattivo-compulsivo;
c)! tipo combinato (iperattivo e incapace di attenzione)
Per quanto riguarda i tre elementi, le persone affette da ADHD vengono descritte
come segue:
-! Iperattività: Sempre in movimento; parlano incessantemente, non riescono a
stare sedute a lungo; hanno bisogno di essere sempre occupate.
-! Impulsività: Incapaci di dominare le reazioni o di pensare prima di agire;
emettono commenti inappropriati; agiscono senza valutare le conseguenze; i
maschi sono un po’ bulli.
-! Deficit di attenzione. Si annoiano dopo pochi minuti; non riescono a
concentrarsi su un compito alla volta. Sono molto attente se fanno qualcosa
che piace loro, ma fanno fatica a fare i compiti o ad apprendere qualcosa di
nuovo.
Si tratta di comportamenti che, in maniera più o meno intensa, sono sempre
esistiti, sia come caratteri propri di qualsiasi bambino normalmente vivace, sia,
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nella forma più intensa, come caratteristiche di un certo numero di bambini più
problematici, ma non per questo malati. Con la definizione di ADHD perseguita
dalle Autorità sanitarie, il nostro Giamburrasca, anziché eroe letterario e
televisivo, sarebbe già da un pezzo in un ospedale psichiatrico!”.
Essere sarcastici nei confronti di questa tematica purtroppo non cambia la realtà
dei fatti: fra l’essere vivaci e iperattivi c’è un’enorme differenza. Il soggetto
iperattivo è eccessivamente ingestibile, palesa difficoltà nel rimanere attento, nel
controllare i comportamenti impulsivi, ed ha una gestione inadeguato dell’attività
motoria.
L’ADHD è un disturbo vero e proprio, che ostacola chi ne è affetto, rendendo
gravosa la selezione degli stimoli ambientali, la pianificazione delle proprie azioni
ed impulsi.
L’ADHD è un’affezione neurobiologica cronica con la massima prevalenza in età
scolare, ma che tende a perdurare anche in età adulta nel 50-60 % dei casi,
specialmente se trascurata e non vengono presi gli adeguati provvedimenti.
Attraverso pratiche di neuroimmagine (Tomografia ad Emissione di Positroni e
Risonanza Magnetica Funzionale) e studi di genetica molecolare, si è potuto
evincere che l’ADHD è realmente un disturbo di origine biologica, che interessa
la corteccia prefrontale e i nuclei della base, provocando una modificazione
nell’elaborazione delle risposte agli stimoli ambientali e nella capacità di
concentrazione.
1.3 Cos’è realmente l’ADHD
L’ADHD non è una sintomatologia trascurabile, che si risolve con l’età. L’iter
naturale del disturbo è infatti caratterizzato da persistenza fino all’età
adolescenziale in circa due terzi dei casi e fino all’età adulta in circa un terzo o la
metà dei soggetti conclamati. Molti di coloro che non sono più compresi nella
descrizione clinica dell’ADHD hanno ancora notevoli problematiche nell’adattarsi
a scuola, nel lavoro, o in atri contesti sociali.
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L’ADHD si lega significativamente a disturbi dell’adattamento sociale
(alcoolismo, personalità antisociale e criminalità), a problemi psichiatrici ed a
basso livello di occupazione.
Anche se tale accostamento è strettamente vincolato al contesto di sviluppo del
bambino, la persistenza del disturbo, anche dopo la pubertà, sembra indicare una
peggior prognosi psicosociale.
Per ciò che concerne i problemi relazionali, gli insegnanti, i genitori e gli stessi
coetanei convengono che i bambini con ADHD hanno anche difficoltà nelle
relazioni interpersonali (Pelham e Millich 1984).
Vari studi di tipo sociometrico hanno avvalorato che bambini affetti da deficit di
attenzione, con o senza iperattività, ricevono minori apprezzamenti e maggiori
rifiuti dai loro compagni di scuola e di gioco ( Carlson et al.,1987). Se il bambino
con questa affezione assume un ruolo attivo, riesce ad essere collaborante e
propenso al mantenimento delle relazioni di amicizia; se, invece, il suo ruolo
diventa passivo e non ben definito, egli diviene più contestatore e incapace di
comunicare in modo proficuo con i compagni.
I fallimenti scolastici, sociali e familiari che il bambino ADHD collezionerà nella
sua vita, favoriranno inevitabilmente l’insorgere di tratti provocatori ed
oppositivi che rappresenteranno un aspetto molto critico della sindrome: i
soggetti, infatti, che presentano comportamento da deficit di attenzione,
iperattività e aggressività, saranno individui più a rischio di altri nello sviluppare
comportamenti devianti, nell’incorrere in problemi nell’uso di alcool e/o sostanze
stupefacenti, o con la giustizia o nell’uso di alcool e/o sostanze stupefacenti
(Taylor et al.,1996).
Nell’ultimo decennio, alcuni studi basati sulle moderne tecniche di elaborazione
di immagini hanno mostrato le regioni del cervello il cui cattivo funzionamento
spiegherebbe la sintomatologia dell’ADHD.
Stando a queste ricerche, parrebbero coinvolti: la corteccia pre-frontale, almeno
due gangli della base e parte del cervelletto.
In uno studio condotto nel 1996, Castellanos, Rapoport e i loro collaboratori del
National Institute of Mental Health, hanno appreso che la corteccia pre-frontale
destra e due gangli della base, il nucleo caudato e il globo pallido, sono
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decisamente meno sviluppati del normale nei bambini affetti da ADHD. E’ stato
scoperto inoltre che in questi bambini anche il verme cerebellare è più piccolo del
normale.
I dati forniti dalle immagini sono significativi, in quanto le aree cerebrali ridotte
nei soggetti affetti da ADHD sono esattamente quelle che gestiscono l’attenzione.
Ricerche di genetica molecolare hanno evidenziato molti geni che potrebbero
essere coinvolti nella suscettibilità a sviluppare tale patologia. In particolare, pare
che questo disturbo possa essere ricondotto ad un’anomalia nella cascata
dopaminergica caratterizzata dalla presenza di tratti ipodopaminergici. I farmaci
assunti nel trattamento inducono il rilascio di dopamina. L’allele mutato A1 del
gene DRD2 previene l’espressione del normale posizionamento dei recettori della
dopamina, nei siti addetti ai meccanismi di ricompensa. Alterazioni dei circuiti di
gratificazione e ricompensa predisporrebbero ad atteggiamenti impulsivi come la
tendenza a correre alti rischi.
La parte destra della corteccia pre-frontale, ad esempio, è coinvolta nella volontà
di resistere alle distrazioni, nella programmazione del comportamento e nello
sviluppo della consapevolezza di sé e del tempo. Il globo pallido ed il nucleo
caudato agiscono bloccando le risposte automatiche per permettere una decisione
più accurata da parte della corteccia e per coordinare gli impulsi che, tramite i
neuroni, attraversano le diverse regioni della corteccia. Il ruolo del verme
cerebellare non è ancora del tutto chiaro, ma mediante indagini recenti si ritiene
che sia coinvolto in processi attentivi.
La dopamina, un neurotrasmettitore, è secreta dai neuroni in determinati hot spot
del cervello per inibire o modificare l’attività di altri neuroni, in particolare di
quelli addetti all’emozione e al movimento.
Alcuni studi di particolare interesse mettono in evidenza il ruolo svolto dai geni
target per la produzione dei recettori e dei neurotrasmettitori della dopamina.
Questi geni operano molto nella corteccia prefrontale e nei gangli basali. I
ricettori della dopamina, presenti sulla superficie neuronale, si legano al proprio
neurotrasmettitore e diffondono l’informazione.
I carrier della dopamina sporgono dai neuroni che secernono il neurotrasmettitore
e recuperano la dopamina inutilizzata, affinché possa essere nuovamente
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impiegata. Mutazioni del gene per il recettore della dopamina rendono i recettori
meno suscettibili ad essa; al contrario, mutazioni del gene per il trasportatore del
neurotrasmettitore dopamina li rendono smodatamente attivi facendo sì che essi
degradino la dopamina secreta prima che essa si leghi agli specifici recettori
situati in un neurone attiguo.
Edwin H. Cook e i suoi colleghi dell’università di Chicago, nel 1995, riportarono
che i bambini ADHD avevano una maggiore possibilità di manifestare una
particolare variante del gene SLC6A3 per il trasportatore della dopamina DAT1,
responsabile del trasporto trans-neuronale e del re-uptake.
Nel 1996, Gerald J. LaHoste dell’Università della California, Irvin e i suoi
collaboratori videro che nei bambini affetti da ADHD era piuttosto abbondante
una variante del gene per i recettori dopaminergici D2 e D4, il cui polimorfismo
spiegherebbe le varianti cliniche dell’ADHD.
In conclusione, si potrebbe affermare che le variabili genetiche e di struttura
cerebrale osservate nei bambini affetti da ADHD portino agli atteggiamenti tipici
dell’affezione associati a iperattività riducendo la capacità di inibire
comportamenti non adeguati e di autocontrollo, il che, a giudizio di Barkley, è il
deficit centrale nell’ADHD.
L’autocontrollo (ossia la capacità di arrestare o di posporre le immediate risposte
emotive e motorie ad un evento) è sostanziale per l’esecuzione di qualsiasi
compito.
Per raggiungere un obiettivo nel gioco o nel lavoro, per esempio, bisogna essere
in grado di rammentare lo scopo (retrospezione), di riconoscere ciò che serve per
raggiungere quell’obiettivo (previsione), di frenare le emozioni e di motivarsi. Se
una persona non è in grado di evitare l’interferenza di impulsi e pensieri, nessuna
di queste attività può essere portata a compimento con successo.
Nei primi anni dalla nascita, le funzioni esecutive vengono eseguite in modo
esterno: i bambini parlano tra sé a voce alta riportando alla mente un compito, o
interrogandosi su un quesito da risolvere. Maturando, imparano a interiorizzare e
a rendere private le funzioni esecutive, nascondendo agli altri i loro pensieri.
Gli individui con ADHD, invece, appaiono senza i “freni” necessari per non
esternare, davanti ad altre persone, la concretizzazione delle funzioni esecutive.
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1.4 La diagnosi
La diagnosi di ADHD è di tipo clinico e compete al neuropsichiatra, che la
determina raccogliendo in modo attento tutte le informazioni provenienti da fonti
multiple (insegnanti, genitori, educatori) utilizzando interviste semi preimpostate
e/o questionari standardizzati sui diversi aspetti del comportamento sociale del
bambino.
Il colloquio con genitori e bambino permette di immagazzinare informazioni, le
quali possono avvalorare, attenuare, o smentire il sospetto di ADHD e sono utili
per verificare la comorbidità di altri disturbi associati.
È fondamentale attuare l’esame medico e neurologico, considerando l'esistenza di
possibili patologie correlate, valutare l’apprendimento scolastico e le abilità
cognitive, stimare in modo oggettivo le capacità di pianificazione delle attività e
di autocontrollo; può essere d’aiuto pure valutare la possibile presenza di disturbi
del linguaggio. Non esiste quindi un unico elemento di analisi in grado di
individuare la presenza della patologia. La diagnosi si deve basare sulla raccolta
di più elementi, quali: un’accurata anamnesi, incontri con i genitori, gli insegnanti
ed il bambino, esame medico e valutazione neuropsicologica attraverso protocolli
specifici. Le interviste cliniche abbracciano tutti i settori della vita del bambino,
con lo scopo di fare chiarezza sul suo problema e mirano, inoltre, a far emergere
una serie di problematiche, fondamentali per il successivo iter diagnostico e
terapeutico.
Sono assolutamente utili scale e test di valutazione comportamentale per stimare
la gravità del disturbo, compilate da educatori ed insegnanti.
1.4.1 Ulteriori metodi di diagnosi
Non esistono test diagnostici specifici per questo disturbo: la caratterizzazione e
misurazione delle capacità di attenzione prolungata, di pianificazione, di
inibizione delle risposte automatiche (funzioni neuropsicologiche localizzate nei
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lobi frontali) e dei processi di apprendimento consentono una più precisa
caratterizzazione della sindrome ed una migliore impostazione dei piani di
trattamento. Va sottolineato che il disturbo cognitivo non è limitato all’attenzione;
l’elemento caratterizzante sembra essere piuttosto quello di un deficit dei processi
di controllo e regolazione strategica delle risposte cognitive (le cosiddette funzioni
esecutive), che si riflettono su diversi ambiti del funzionamento dell’intelligenza
(attenzione, memoria, ecc.).
La più recente raccolta di strumenti diagnostici per il Disturbo di
Attenzione/Iperattività è la Batteria Italiana per l'ADHD (BIA, Marzocchi, Re e
Cornoldi, 2010). Si tratta di sette test e di una serie di questionari con taratura
italiana utili per l'individuazione e comprensione dei problemi specifici dei
bambini con ADHD. I test solitamente somministrati sono: test di attenzione
sostenuta visiva (CP) e uditiva (TAU), test del comportamento impulsivo (MF),
test per la valutazione dei processi di controllo (test delle ranette, inibizione
motoria), test di Stroop (inibizione risposta prepotente), Completamento
Alternativo di Frasi (CAF) e test di Memoria Strategica Verbale (TMSV). Il
gruppo di ricerca, col quale collaboro, ha abbracciato la scelta strategica di
somministrare i primi tre test citati poc’anzi, ossia: Test CP, TAU e MF con
l’intento di effettuare sia un test che un re-test dei soggetti, prima e dopo essersi
conclusa la sessione di training con Neurofeedback.
Va sottolineato che, oltre alla somministrazione dei test e delle scale di
valutazione, l’esame obiettivo neurologico è sempre necessario: molti soggetti con
ADHD presentano infatti alcuni “soft neurological signs”, come scarsa
coordinazione e asimmetria dei riflessi profondi. Bisogna inoltre considerare che
ogni forma di deficit sensoriale parziale, sia uditivo che visivo, o un deficit nello
sviluppo linguistico, o un disturbo specifico dell’apprendimento, un livello
intellettivo borderline o un ritardo mentale possono determinare un disturbo
dell’attenzione. Esistono inoltre patologie che possono più facilmente collegarsi a
sintomi di ADHD, come alcune forme di epilessia, disturbi tiroidei, traumi
cranici, alcune facomatosi (come ad es. neurofibromatosi di tipo 1), nascita
pretermine, disturbi del sonno ed anche alcuni farmaci (benzodiazepine,
antiepilettici, anti-istaminici).
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1.5
Condizioni avverse che possono associarsi alla sintomatologia
dell'ADHD
Un disturbo come l’ADHD si differenzia dai disturbi sopra elencati per il suo
essere pervasivo nei diversi ambienti sociali, per la precocità, per la scarsa
capacità di finalizzare l’iperattivismo in attività positive e costruttive, ma
maggiormente per l’accentuata interferenza sul funzionamento scolastico, sociale,
familiare e nel tempo libero. Esistono condizioni ambientali particolarmente
avverse che possono associarsi alla sintomatologia dell'ADHD, come condizioni
familiari caotiche, in cui i genitori dimostrano incoerenza nei metodi educativi,
contesti sociali degradati, oppure condizioni educative incongrue (come
un’ipostimolazione),
condizioni
psicopatologiche
(depressione
materna),
inadeguatezza dell’organizzazione scolastica (eccessiva rigidità), o problemi
familiari situazionali (come divorzi traumatici). In questi casi si osserva molto
spesso un'interazione tra eventi negativi e condizioni di vulnerabilità
costituzionale (come una carenza nei processi di controllo inibitorio), che
aumentano la sensibilità di tali eventi esterni.
Per gestire il problema della diagnosi e della terapia è di fondamentale importanza
un lavoro sinergico di tutte le figure professionali coinvolte e fondamentale
risulterà la collaborazione dei genitori.
1.6 Trattamento farmacologico
Se il medico curante responsabile della salute psichica del bambino affetto da
ADHD ritiene che la severità e il perseverare del quadro sintomatologico siano
significativi, può ritenere opportuno considerare l’utilizzo di un trattamento
farmacologico.
Sono state numerose le polemiche riguardo alla somministrazione di farmaci ai
bambini, ma gli psicostimolanti, assunti responsabilmente, risultano tuttavia
essere tutt’ora la terapia più efficace per i bambini con tale disturbo, poiché si
apprezza un miglioramento nel 70-90% dei casi. Il trattamento farmacologico per
eccellenza è quello con gli stimolanti, soprattutto con il Metilfenidato, altrimenti
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chiamato Ritalin. In Europa, dove le restrizioni legali hanno limitato l’utilizzo del
farmaco, i clinici (Taylor et al., 1998) consigliano un primo intervento basato su
severi ed intensi approcci psicosociali, i quali, però, non precludano anche l’uso
degli psicostimolanti (Santosh e Taylor, 2000).
Generalmente i farmaci favoriscono l’aumento della vigilanza e dei processi di
attenzione e si dimostrano particolarmente indicati nei casi più critici. Il
trattamento necessita ad ogni modo di essere portato avanti nel tempo e non
modifica quelle che sono le preesistenti interazioni negative con l’ambiente. Gli
effetti del Metilfenidato sono visibili già dopo un’ora dall’ingestione del farmaco
e gli effetti perdurano per 3-5 ore: è opportuno dunque assumere il farmaco per 23 volte al giorno. Di solito il Ritalin si somministra durante alcuni periodi
dell’anno e la dose cambia a seconda del peso (0,3 mg per ogni kg del soggetto).
I risultati più incoraggianti e positivi sono stati riscontrati nei bambini tra i 6 e i 12
anni, soprattutto in termini di migliori capacità attentive e di autoregolazione del
comportamento.
In letteratura si riporta che gli effetti terapeutici non subiscono un decremento
con l’uso prolungato, la dipendenza e l’abuso sono praticamente inesistenti
(Barkley et al., 1990). È stato anche dimostrato che la farmacoterapia dell’ADHD
riduce il rischio di abuso di sostanze in adolescenza (Santosh e Taylor, 2000).
Un recente studio decennale (Biederman et al., 2009) evidenzia che la
somministrazione di stimolanti ai soggetti con ADHD riduce il rischio che,
crescendo, essi sviluppino altri disordini psichiatrici come, ad esempio, la
depressione.
1.7 Terapie innovative: Neurofeedback con EEG
Il trattamento farmacologico con Ritalin rappresenta ad oggi ancora la terapia
principe, tuttavia vi sono soggetti per i quali esso risulta non efficace, o
improponibile per via di effetti collaterali, oltre alla comprensibile riluttanza da
parte dei genitori che i loro figli assumano farmaci così precocemente e che la
terapia farmacologica venga protratta lungamente nel tempo. Il Neurofeedback si
è proposto come alternativa al trattamento farmacologico e, soprattutto negli
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ultimi decenni, si stanno accumulando le prove a sostegno della sua efficacia
anche su lungo periodo.
Il Neurofeedback opera mediante la modulazione delle onde cerebrali. Le onde
del cervello sono oscillazioni di potenziale scatenate da fenomeni bioelettrici che
avvengono nella corteccia. Queste onde sono registrabili mediante elettrodi posti
sullo scalpo (elettroencefalografia EEG), oppure sulla superficie piale
(elettrocorticografia EcoG). Questi stessi fenomeni danno luogo anche a campi
elettrici registrabili tramite magnetoencefalografia (MEG).
L’esegesi classica delle onde cerebrali è che esse rispecchino le risposte postsinaptiche generate in modo sincrono in una popolazione di neuroni piramidali.
Molte afferenze eccitatorie (excitatory postsynaptic potential EPSP) o inibitorie
(inhibitory postsynaptic potential IPSP) giungono ai dendriti apicali di questi
neuroni. I punti d’ingresso e di uscita della corrente che attraversa il neurone
prendono il nome, rispettivamente, di ricettacolo e sorgente. Se l’afferenza è di
tipo eccitatorio il ricettacolo diventerà elettronegativo e la sorgente elettropositiva,
generando così un dipolo. Se l’afferenza, invece, è inibitoria, i dipoli saranno
invertiti. Il sommarsi di tali piccoli dipoli genererebbe dipoli sufficientemente
grandi da poter essere registrati sul cuoio capelluto. Inoltre, solo i neuroni
piramidali
della
superficie
corticale
esposta
sarebbero
in
possesso
dell’organizzazione geometrica necessaria, affinché si verifichi tale sommazione,
differentemente dai neuroni non-piramidali e della corteccia che riveste i solchi.
I neuroni eccitatori e inibitori sono proporzionati nella struttura corticale ed
entrambi ricevono segnali eccitatori dal talamo. L’attività dei neuroni
talamocorticali determina quindi la genesi delle oscillazioni corticali.
Nonostante i diversi ritmi EEG siano conosciuti da tempo, il loro significato
neurofisiologico ha iniziato ad essere chiarito solo di recente. I parametri EEG
indicano lo stato di un soggetto e si modificano a seconda che egli sia sveglio o
dorma e in base al compito cognitivo nel quale è impegnato.
Questo ci aiuta a capire come lo spettro EEG possa essere utilizzato quale
strumento di diagnosi. Nei soggetti affetti da disturbi di carattere psichiatrico,
psicologico, o neurofisiologico lo spettro EEG cambia, spesso in modo
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caratteristico per ciascuna patologia, rispetto a quello registrato su un soggetto
sano. In particolare i ritmi EEG potrebbero:
. apparire in posti insoliti
. presentare frequenze più basse (EEG-slowing)
. essere più sincronizzati con altre aree (ipercoerenza)
. aumentare in ampiezza (ipersincronizzazione)
Si può verificare anche un anomalo rinforzo degli usuali meccanismi di
sincronizzazione, generando schemi ricorrenti di picchi (spike), o di picchi
alternati ad onde lente, indice di foci che potrebbero causare crisi epilettiche.
Le procedure tradizionalmente utilizzate per il trattamento dell'ADHD si
focalizzano su determinati ritmi elettrici cerebrali, alterati nell’ADHD:
. Alpha: presenta un’attività eccessiva, nelle regioni posteriori, centrali o frontali.
. Beta: attività ridotta, sia durante compiti che richiedono concentrazione che a
riposo.
. Delta: attività eccessiva, nelle regioni centrali o centro-frontali.
Di recente sono stati condotti studi per valutare l'effetto sull'ADHD dei protocolli
theta/beta e della regolazione dei Potenziali Corticali Lenti (Slow Cortical
Potentials SCPs) (Gevensleben et al. 2009a; 2009b).
Il modello theta/beta mira a diminuire il rapporto tra questi due tipi di onde
cerebrali per favorire l’attenzione focalizzata ma rilassata, modulando aspetti
tonici dell’arousal corticale. In EEG si osserva una diminuzione di attività theta
nella parte posteriore della linea mediana in seguito a training con Neurofeedback.
19
CAPITOLO 2
NEUROFEEDBACK
“Any sufficiently advanced technology is indistinguishable
from magic”-Arthur Clarke, “Problems of the future”.
Con il termine di biofeedback ci si riferisce ad una serie di pratiche che,
sfruttando determinati input fisiologici, permettono all’individuo di venire a
conoscenza del proprio stato psico-fisico e di migliorarlo. Il Neurofeedback è un
particolare tipo di biofeedback che adopera come segnale determinate onde
cerebrali registrate con l’EEG. Tramite condizionamento operante, il soggetto
impara a modificare i propri parametri, modulando a livello neuronale i
meccanismi di inibizione ed eccitazione che sottostanno ad essi.
Il training è preceduto da un’attenta analisi del soggetto: è fondamentale stabilire
le caratteristiche comportamentali, psicologiche e cognitive, nonché l’attività
elettrica del cervello.
Durante l’allenamento i segnali bioelettrici corticali sono registrati da due o più
elettrodi posti sullo scalpo, o sulla fronte, amplificati e processati da un software
apposito. Il soggetto riceve immediatamente un feedback, che si manifesta in
forma visiva o uditiva, che indica se l’attività elettrica cerebrale sia o meno nei
parametri confacenti. I valori di frequenza apprezzabili sono stabiliti
precedentemente dallo sperimentatore. Tramite un feedback appropriato,
l’individuo può così imparare a veicolare la propria attività in una direzione che
porti a benefici a livello emozionale, cognitivo e comportamentale.
E’ necessario che venga spiegato al soggetto preso in esame che il feedback
ricevuto è direttamente influenzato dalla propria attività cerebrale. Non si è mai
pienamente coscienti di quali meccanismi permettano di attuare la corretta
modificazione, tuttavia con la pratica si impara a riconoscere una sensazione
significativa (felt sense) associata allo stato mentale ottimale. Con un training
costante ed opportuno si impara a riprodurre questa sensazione e quindi il giusto
20
modello di attività cerebrale, anche al di fuori del luogo di sperimentazione, in
assenza di un feedback diretto.
Normalmente non si forniscono al soggetto istruzioni precise o strategie mentali
per controllare il proprio EEG, ma deve lasciarsi guidare dal processo di feedback
in modo da riconoscere ed apprendere autonomamente la strategia mentale più
efficace per modulare la propria attività cerebrale.
Sono state progettate diverse interfacce e feedback più o meno complessi, in
modo da essere il più idonee possibile. Il segnale uditivo viene rappresentato, ad
esempio, dal suono delle onde del mare o di una bolla che scoppia. Segnali visivi,
invece, possono essere semplici barre, la cui altezza è direttamente proporzionale
all'ampiezza del ritmo EEG rilevato. Nel caso dei soggetti con disturbo da deficit
di attenzione (Attention-Deficit-Hyperactivity Disorder ADHD) si ricorre
solitamente a dei videogiochi, la dinamica dei quali è modulata dalle
caratteristiche EEG. Per esempio, in un gioco chiamato “Puzzle”, nel momento in
cui il bambino mantiene la propria attività cerebrale nel range corretto, le tessere
del puzzle si muovono a formare un'immagine completa. Il processo cessa non
appena l’attività EEG non raggiunge il livello apprezzato. Lo stesso meccanismo
“start/stop” è alla base di molti altri software sviluppati per il Neurofeedback.
Per permettere un maggior coinvolgimento, alcuni studiosi stanno introducendo
interfacce che sfruttano la realtà virtuale (Gruzelier et al. 2010).
2.1 La storia del Neurofeedback
I primi impieghi del Neurofeedback sono stati di tipo clinico, in particolare nel
trattamento del disturbo da deficit di attenzione (ADHD) e nell’epilessia.
Successivamente, sono stati diffusi dei protocolli specifici anche per curare le
dipendenze (SUD), la depressione e di disturbi meno onerosi, come, ad esempio,
l’emicrania.
21
Il fisico inglese Richard Caton, nel 1870, scoprì per primo che il cervello genera
elettricità (Fig.2) e ciò fu reso possibile grazie ad uno strumento chiamato
galvanometro.
Fig.2 – Il cervello genera elettricità
Negli anni seguenti vennero avviate numerose ricerche sul cervello umano volte
all’analisi delle cellule cerebrali e dei loro meccanismi.
Hans Berger registrò, nel 1924, grazie all’invenzione di un elettroencefalografo
piuttosto basilare, i segnali provenienti dal capo del quindicenne Klaus, suo figlio.
Berger sottopose il ragazzo a ben 73 EEG, che furono i primi nella storia ad essere
pubblicati.
Non certo della precisione delle sue registrazioni, aspettò all’incirca cinque anni
prima di proporre i risultati delle sue indagini in un articolo intitolato “On the
Elettroencephalogram in Man”.
La prima frequenza dell’attività cerebrale che egli rilevò si aggirava intorno ai 10
Hertz (un Hertz: numero di cicli al secondo).
Questa frequenza fu denominata inizialmente il “ritmo di Berger”. L’EEG di
Berger palesava inequivocabilmente l’inizio e la fine di una qualche attività
cerebrale.
Nel periodo che va dal 1950 al 1960, i ricercatori R.G.Heath e W.A.Mikle
eseguirono la prima elettroencefalografia su soggetti affetti da schizofrenia e
incominciarono a osservare i primi risultati a livello terapeutico.
Nel ’58, Richard Bach, uno studente universitario, divenne famoso per essere
stato il primo uomo capace di controllare le proprie onde cerebrali. Egli si
sottopose ai test dello psicologo Joe Kamiya, docente all’Università di Chicago.
Kamiya attuò una serie di esperimenti per scoprire se l’essere umano sarebbe stato
capace, grazie ad un periodo di training mirato, di discernere e controllare i vari
stati mentali e la rispettiva attività cerebrale ad essi correlata.
22
I risultati furono così appaganti da stimolare la ricerca verso questa rotta.
L’operato di Kamiya rimase ignoto fino alla pubblicazione di un articolo in
“Psycology to-day “, nel 1968.
I motivi che accrebbero l’importanza e migliorarono la tecnica del Biofeedback
attuale furono sostanzialmente due: l’evoluzione tecnologica degli strumenti
impiegati e il rilievo che la ricerca andava sempre più assumendo nel campo
medico.
Fondamentali furono le ricerche condotte da Barry Sterman pubblicate sul
giornale “Brain Research”, nel 1967, ricerche che dimostrarono l’inequivocabile
reciprocità tra fisiologia e mente.
Nel 1971, Sterman si avvalse del biofeedback sul primo individuo umano
riducendo la frequenza degli attacchi epilettici. Sterman scrisse, inoltre, un
articolo al riguardo che fu subito divulgato dal giornale “EEG and Clinical
Neurophisiology”.
Nel 1973, alcuni neurologi e fisici intrapresero a lavorare con Sterman, tra cui Joe
Lubar e Robert Reynolds, che utilizzarono il Neurofeedback su soggetti affetti da
Deficit di Attenzione.
Quello che solo recentemente è stato dato per vero dai neuroscienziati è
l’astrazione rivoluzionaria che Sterman e molti altri studiosi avevano già da tempo
testato, ossia che il cervello è un organo estremamente plastico e dinamico, capace
di infiniti cambiamenti.
2.2 Il cervello e la sua attività elettrica
La gamma di frequenze dell’EEG è stata divisa in cinque categorie: Delta: 0,5-4
Hz, Theta: 4-8 Hz,Alpha: 8-13 Hz, Sensorimotoria (SMR): 12-15 Hz, Beta: 1535
Hz , Gamma: 35-50 Hz. Sappiamo che le onde Theta e Delta sono un’attività di
onde basse e vengono associate a stati quali la sonnolenza e la fantasticheria.
Beta è nota come un’attività di onde veloci, caratterizzata da uno stato di alta
solerzia, attenzione focalizzata e concentrazione (Linden, Habib, &Radojevic,
1993). Alpha è associata ad uno stato rilassato di attenzione non focalizzata.
23
I bambini ADD/ADHD producono un eccesso di attività Theta e quantità più
basse
di
attività
Beta
(Lubar,
1991).
Pertanto
questi
bambini
sono
neurologicamente inclini ad essere trasognanti e meno inclini ad essere focalizzati
e concentrati. L’esercizio con Neurofeedback serve a capovolgere questa
anomalia di onde cerebrali in bambini con ADD/ADHD, inibendo la quantità di
attività Theta e, simultaneamente, aumentando le attività Beta.
Il cervello genera elettricità e le diverse frequenze delle onde cerebrali sono
connesse a diversi stati mentali.
Si può modificare l’attività elettrica del cervello con la volontà: è questo il tema
essenziale sul quale si basa il moderno Neurofeedback, processo mediante il quale
si può apprendere come automodulare il proprio sistema nervoso centrale e,
pertanto, il proprio stato mentale.
Chiamato anche neurobiofeedback, o neuroterapia, esso si avvale di displays che
in tempo reale mostrano, attraverso elettroencefalografia (EEG), o mediante
emoencefalografia (HEG), l’attività del cervello e insegnano ad autogestire i
propri stati mentali.
L’EEG usa degli elettrodi posizionati sullo scalpo per misurare le onde celebrali,
mentre l’HEG utilizza risonanza magnetica funzionale per immagini o sensori
infrarossi per tracciare e misurare l’afflusso di sangue al cervello.
Si tratta di un complesso di software e hardware atto al monitoraggio di specifici
parametri neurologici e fisiologici con lo scopo di potere successivamente
“allenare” il soggetto a controllare detti parametri. L’ autocontrollo verrebbe
agevolato tramite i dati derivanti dall’EEG elaborati da un computer. Il computer
mostra sul monitor, con un ritardo di pochi millisecondi, l’elettroencefalogramma
del paziente, fornendogli in tempo reale un “feedback” dei suoi percorsi
elettroneurofisiologici, aiutandolo così nel provare a modificarli.
Quando la modulazione procede verso la direzione ricercata, il soggetto viene
“rinforzato positivamente” e ciò può avvenire, per esempio, con un segnale
acustico.
Grazie ad un esercizio costante, dovrebbe essere fattibile attuare regolarmente e in
qualsiasi momento questa forma di auto-regolazione.
24
Il Neurofeedback è una terapia psico-fisiologica, non farmacologica, priva di
effetti collaterali, non vengono somministrate correnti elettriche, o campi
magnetici generati appositamente né sostanze di alcun genere.
La terapia consiste unicamente nella percezione attiva del paziente, che apprende
gradatamente a modulare la propria attività cerebrale sotto la guida e l’aiuto del
terapeuta e del computer.
“Il cervello emette diversi tipi di onde, a seconda che stiamo in uno stato di
attenzione o di day-dreaming” - spiega Siegfried Othmer, uno scienziato
dell’Istituto EEG in Woodland Hills, California - “Lo scopo del Neurofeedback è
di fare apprendere al paziente come produrre modelli di onde cerebrali legate
all’attenzione. Il risultato: alcune manifestazioni dell’ADHD –impulsività,
distraibilità e acting out- diminuiscono.”
Il Neurofeedback, dunque, è una via per mezzo della quale un individuo assimila
come modulare la frequenza, l’ampiezza e la coerenza degli aspetti
elettrofisiologici sottesi al proprio cervello.
La meta del training di Neurofeedback è quella di educare l’individuo a percepire
specifici livelli di attivazione corticale e come raggiungere volontariamente tali
stati: in seguito all’allenamento di Neurofeedback il soggetto diviene consapevole
dei diversi stati EEG e diventa abile nel produrli quando richiesto.
La metodica del Neurofeedback per il trattamento dell’ADHD è nata negli anni
’80 ed è stata successivamente studiata, perfezionata e attuata con successo in
molteplici patologie di interesse neurologico, psichiatrico e nelle sindromi
dolorose croniche.
Studi su tracciati EEG di bambini ADHD hanno evidenziato in circa il 70% dei
casi un’eccessiva attività di onde lente Theta nelle aree frontali, una minor attività
delle onde Beta, le frequenze più veloci e responsabili del deficit attentivo e del
ritmo sensori motorio, la cui attività è delegata al controllo, all’inibizione e
all’autoregolazione motoria. In linea con simili scoperte, analisi di Brain Imaging,
sia volumetriche che funzionali, hanno sottolineato una disfunzione del sistema
fronto-striatale nell’ADHD, che può chiarire i deficit ai più alti livelli di arousal,
controllo motorio, attenzione e inibizione comportamentale.
25
Il lavoro clinico con il disturbo da deficit di attenzione con iperattività e i disturbi
dell’apprendimento del Dr Lubar e dei suoi colleghi dell’Università del Tennessee
hanno avvalorato che è possibile rieducare il cervello.
Il Dr Lubar (1995) ha pubblicato casi di follow-up di dieci anni nei quali ha
dimostrato che in circa l’80% dei pazienti il Neurofeedback migliorava in modo
significativo i sintomi dell’ADHD e, aspetto promettente, i benefici permanevano
a lungo.
La Vaque e Rossiter (1995) constatarono che una ventina di sessioni di
Neurofeedback procuravano miglioramenti nella concentrazione e nell’attenzione
comparabili all’assunzione del metilfenidato; altresì Fuchs et al. (2003)
dimostrarono che il Neurofeedback produceva benefici paragonabili al trattamento
con farmaci.
Linden, Habib e Radojevic(1996) fornirono prove del fatto che quaranta sessioni
di Neurofeedback migliorano in modo significativo gli aspetti comportamentali,
cognitivi, emotivi, ambientali e sociali in soggetti con tale disturbo, rispetto a un
gruppo di controllo il quale non era stato sottoposto ad alcun trattamento (waiting
list).
Monastra et al. (2002) in un follow-up di un anno su uno studio controllato,
scoprirono che il Neurofeedback portava a miglioramenti pure superiori al
metilfenidato.
L’allenamento con il Neurofeedback per l’ADHD è associato a riduzione
dell’impulsività/iperattività, alla diminuzione degli sbalzi d’umore, all’aumento
dell’attenzione e della concentrazione, ad aumenti nella memoria e, pure, ad
aumenti dei punteggi del QI.
Le ricerche degli ultimi trent’anni hanno confermato che l’eccessiva attività delle
onde
cerebrali
lente
è
la
più
comune
evidenza
nelle
anomalie
elettroencefalografiche nei bambini con ADHD e i dati raccolti sul Q-EEG (EEG
quantitativo) hanno confermato ed esteso questa scoperta: soggetti con ADHD e
altre affezioni affini tendono a presentare eccessive onde lente, le quali sono, di
solito, onde Theta e qualche volta un eccesso di Alpha.
Quando nelle parti esecutive, quindi frontali, del cervello è presente un eccesso di
onde lente, diventa ostico gestire l’attenzione, le emozioni ed il comportamento.
26
Affiancata all’eccessiva attività delle onde Theta, i bambini con ADHD mostrano
una minor attività delle onde Beta e dei ritmi sensitivo-motori (SMR); in
complesso, la ricerca del Neurofeedback su bambini ADHD si è concentrata su tre
parametri di frequenza: Theta (4-8 Hz), SMR (12-15 Hz) e Beta (15-20 Hz).
La logicità del training di inibizione delle Theta deriva dall’eccesso di attività di
tali onde presenti nei bambini con ADHD sia mentre riposano, sia durante una
performance cognitiva, paragonata a quella di bambini della stessa età.
I bambini con ADHD possono essere allenati anche all’aumento dei ritmi
sensorimotori (SMR, 12-15 Hz).
Le ricerche riportano una correlazione tra la produzione di SMR nella corteccia
Rolandica, e l’attività motoria (Sterman et al.1970). Questo, associato alla
localizzazione
nella
corteccia
sensorimotoria,
ebbe
come
risultato
la
classificazione in ritmo sensorimotorio (SMR).
Prove che gli SMR inibiscano l’attività motoria derivano dai tetraplegici e dai
paraplegici, i quali mostrano un’eccessiva produzione SMR (Sterman et al.1974).
Questi risultati hanno fatto pensare che l’immobilità sia la maggiore
manifestazione comportamentale delle onde SMR (Sterman e Wyrwicka,1967).
Di conseguenza, le prime ricerche sul Neurofeedback si concentravano
sull’aumento dell’attività SMR in bambini con ADHD in un tentativo di ridurre i
sintomi dei loro comportamenti ipercinetici, con risultati positivi (Luber e
Shouse,1976; Shouse e Lubar, 1979).
Ulteriori studi hanno mostrato che la produzione volontaria del ritmo SMR
richiede al soggetto di stabilizzare e/o sopprimere l’attività motoria mentre resta
attento. Questo ha l’effetto di ridurre i comportamenti negativi iperattivi/impulsivi
mentre simultaneamente migliora le capacità attentive (Fuchs et al. 2003; Lubar e
Lubar,1984; Thompson e Thompson, 1998).
Perciò si evince che l’aumento dell’attività SMR potrebbe essere di maggior
beneficio per quei bambini i cui comportamenti iperattivi/impulsivi sono
preponderanti. La base logica del training per bambini con ADHD per aumentare
la loro attività Beta è basata sullo studio che esamina il profilo Q-EEG dei
bambini con ADHD, il quale ha rivelato che essi esibiscono meno onde Beta,
confrontati con bambini che hanno la loro stessa età (Clarke et al.1978). In
27
aggiunta a ciò è stata proposta l’associazione tra l’attività Beta e l’attenzione
(Linden,Habib e Radojevic, 1996). Linden et al. (1996) hanno avanzato l’idea che
l’elevata ampiezza Beta possa essere associata a stati di alta concentrazione,
vigilanza e attenzione focalizzata. I ricercatori, esaminando i componenti EEG
spettrali dei soggetti durante un compito di attenzione selettiva visivo-spaziale,
hanno riscontrato un aumento dell’attività delle onde Beta se i soggetti
focalizzano l’attenzione su uno stimolo, mentre l’attività è ridotta in caso
contrario. (Gomez, Vazquez, Vaquero, Lopez-Mendoza e Cardosio, 1998). Tale
sperimentazione ha palesato che, domandando agli individui di dividere la loro
attenzione fra due compiti, ciò aveva come risultato una concomitante
diminuzione dell’attività Beta (Kristeva-Feige, Fritsch, Timmer e Lucking, 2002).
Queste scoperte sono coerenti con la proposta che l’attività Beta possa
rappresentare un correlato psicofisiologico dell’elaborazione attentiva (VasquezMarrufo, Vaquero, Cardoso e Gomez, 2001).
In conclusione, i bassi livelli di onde Beta prodotti dai Bambini ADHD sono
ritenuti avere un effetto negativo sulle loro abilità di focalizzazione e
concentrazione. Questo suggerisce che il training dell’attività Beta può essere di
beneficio per i bambini che soffrono principalmente di problemi di attenzione e
basso arousal. Sono tre i principali parametri di Neurofeedback utilizzati per
bambini con ADHD: l’inibizione delle onde Theta e l’aumento dell’attività sia
delle onde SMR che delle onde Beta ( Fig.3 ).
Fig. 3 – I ritmi delle onde cerebrali
28
2.3 Protocolli per il Neurofeedback
Tabella 1.11
2
Protocollo!
Theta/Beta
Diminuzione
del rapporto
delle onde
theta/beta
Frequenze!
Theta (4-8 Hz)
Beta-1 (13-20
Hz; 15-20 Hz
nei depressi)!
Elettrodi !
Cz, C3!
SCP
Induzione di
SCPs positivi
nella corteccia
sensorimotoria
Peniston
Incremento del
rapporto tra
onde theta e
alpha
Corteccia
sensorimotoria
Cz
Theta (4-8 Hz)
Alpha (8-13
Hz)
Pz
Asimmetria
alpha.
Aumento
dell’attività
alpha
dell’emisfero
destro
Beta-3.
Diminuzione
dell’attività
beta alta
sull’intera
corteccia
prefrontale
SMR-Theta
Aumento del
rapporto tra
ritmi
sensorimotori
ed onde theta
Alpha
F3, F4
Effetto!
Aumento
dell’attenzione
focalizzata e
rilassata.
Aumento della
volizione!
Aumento di
autocontrollo
ed inibizione
del
comportamento
Miglioramento
comportamenta
le in soggetti
con
dipendenze.
Rilassamento
Innalzamento
del tono
dell’umore.
Motivo!
Aumento
tonico
dell’arousal
corticale.
Attivazione
della corteccia
prefrontale
sinistra!
Incremento
della
regolazione
dell’eccitazion
e corticale
Induzione dello
stato di
Hypnogogia
Soggetti!
ADHD
Depressione
(MDD; se nella
corteccia
prefrontale
sinistra)!
ADHD
Epilessia
Alcolisti SUD
Aumento di
attività
correlata
all’elaborazion
e di emozioni
positive
Depressione
(MDD)
Beta-3
(23-38 Hz)
Corteccia
prefrontale
Riduzione dei
livelli di ansia
Riduzione
dell’attività
correlata agli
stati ansiosi
Depressione
(MDD)
SMR (12-15
Hz)
Theta (4-8 Hz)
SMR nella
corteccia
sensorimotoria,
fascia centrale;
Theta in Cz e
C4
Aumento
attenzione
focalizzata e
rilassata.
Facilitazione
memorizzazion
e di compiti
motori.
Aumento
attenzione
esecutiva.
Velocizzazione
dei tempi di
reazione.
Maggiore
inibizione
talamocorticale.
Induzione di
LTP e rinforzo
di connessioni
sinaptiche nel
sonno.
Induzione di
plasticità nel
cingolo
anteriore, nella
sostanza nera e
nel nucleo
Soggetti sani
1
Dalla tesi di Laurea in Scienze Biologiche di Leila Haj Abdullah Alieh, “Uso dell’EEG nel
Biofeedback”, relatore prof. PP Battaglini
2
!La posizione degli elettrodi è basata sul sistema internazionale 10-20.!
29
UA
Incremento di
sottobanda di
alpha alta a
riposo
Soggettiva: da
IAF a IAF+2
Hz.
Indicativament
e 10-13 Hz.
P3, Pz, P4
Miglioramento
dell’esecuzione
di performance
cognitive.
Potenziamento
della memoria
Protocollo!
GBA+
Incremento di
attività di onde
gamma
Frequenze!
Gamma
(30-100 Hz)
Elettrodi!
Oz; Fz (per
monitorare la
coerenza
frontooccipitale)
Effetto!
Incremento
d’intelligenza
fluida.
Maggiore
flessibilità
nell’integrazio
ne di
informazioni
visive.
Facilitazione
del ricordo.
BBA+
Incremento di
coerenza
frontooccipitale
dell’attività
beta.
A-T
Aumento del
rapporto
theta/alpha
Beta (12-20
Hz)
Fz, Oz
Facilitazione
dei processi
mnemonici di
familiarità
Theta (4-8 Hz)
Alpha (8-13
Hz)
Pz
Aumento della
creatività e
dell’esecuzione
artistica
SMR
Incremento di
potenza dei
ritmi
sensorimotori.
Richiede
feedback con
Realtà
Virtuale.
SMR (12-15
Hz)
Corteccia
sensorimotori
a
Potenziament
o
dell’esecuzion
e artistica.
Potenziament
o della
concentrazion
ee
dell’esecuzion
e motoria.
caudato
Incremento
della
desincronizzazi
one alpha
durante
l’esecuzione
del compito
Motivo!
Potenziamento
dei meccanismi
di controllo
dell’integrazio
ne visiva.
Rinforzo del
ruolo delle aree
frontali nel
controllo topdown di tracce
di memoria
immagazzinate
nell’ippocampo
.
Aumento di
comunicazione
tra LOC,
ippocampo e
regioni
perifrontali
Potenziamento
della tecnica di
imagery,
attraverso
l’induzione di
Hypnogogia
Il feedback
con Realtà
Virtuale
permette
maggiore
coinvolgiment
o
nell’imagery.
Facilitazione
dell’esperienz
a di stato di
Flusso3.
Soggetti sani
Soggetti!
Soggetti sani
Soggetti sani
Musicisti e
ballerini.
Attori
3
!Lo stato di Flusso è una condizione in cui il soggetto è totalmente assorbito dall’azione che sta
compiendo, è presente nel momento ed è motivato internamente, senza considerare ricompense
esterne.!
30
2.4 Scopo della ricerca
Il costo cospicuo del trattamento e la variabilità di ogni individuo costituiscono
dei grossi limiti alla diffusione delle tecniche di Neurofeedback. A dispetto delle
più che incoraggianti previsioni che portarono ai primi successi di questa terapia,
ad oggi il Neurofeedback non può ancora essere prospettato come cura principale
per questa sintomatologia.
Di recente, però, sono comparsi sul mercato strumenti molto economici e facili da
usare, sviluppati essenzialmente per il mondo dei videogiochi, i quali rilevano
l'attività elettrica corticale per indurre modifiche osservabili e, quindi, utilizzabili
per il Neurofeedback. Sono apparecchiature wireless, che utilizzano pochi
elettrodi, anche solo due, facili da mettere addosso e con tutta l'elettronica
incorporata nella cuffia stessa che li supporta e che assomiglia, in qualche modo,
ad una cuffia audio. Il "Neurofeedback per gioco" è un metodo che sta diventando
sempre più popolare, grazie a strumenti come Il Mindflex della Mattel. Dove è
caratteristico il tenere una palla sospesa in aria con la propria attività cerebrale, o
la cuffia Emotiv Epoc, che consente di servirsi di varie applicazioni per
l'allenamento mentale.
Questi dispositivi sono in via di sperimentazione per la loro capacità di indurre,
con
opportuno
allenamento,
cambiamenti
positivi
dell'attività
elettroencefalografica, così da ritardare l'insorgenza, o la progressione del
degradamento cognitivo in pazienti neurologici (Lavermicocca et al., 2013; 2014).
Si ritiene, dunque, che queste nuove metodologie, semplici da gestire ed attuare,
rappresentino il migliore vantaggio per riproporre il Neurofeedback a supporto di
qualsiasi altro intervento convenzionale nel trattamento dell'ADHD.
Su questa base, si intende indagare, mettere a punto e validare un protocollo per
raggiungere detto scopo utilizzando il software Focus Pocus della ditta Neurocog,
appositamente creato per essere utilizzato nell'ADHD in abbinamento con la
cuffia EEG Mindwave Mobile della ditta Neurosky (Fig. 4).
(http://store.neurosky.com/)
31
!
Fig.4 - EEG Mindwave Mobile della ditta Neurosky
2.5 Focus Pocus
Focus Pocus è un gioco progressivo, che presenta determinate gratificazioni ad
ogni livello. Si gioca per divertirsi, da soli o contro un amico. Il gioco è stato
progettato per implementare abilità quali: l'attenzione, il rilassamento, il controllo
degli impulsi e la memoria. Ha lo scopo di sviluppare determinati "poteri"
attraverso il superamento di 12 giochi diversi, molto coinvolgenti. Questi poteri
aiutano a combattere i nemici (ad esempio il drago o il cattivo negromante) e
possono anche contribuire a migliorare il comportamento e i risultati scolastici dei
bambini.
Il livello di difficoltà del gioco è adattivo e regolabile sulle prestazioni del
bambino. Focus Pocus interpreta direttamente l'attività elettrica (EEG) dal
dispositivo portatile NeuroSky MindWave. E' basato su una licenza ottenuta da
NeuroCog presso l'Università di Wollongong, Australia.
32
Fig.5- Immagine esemplificativa di uno dei giochi di Focus Pocus
Focus Pocus non è un trattamento terapeutico per l'ADHD o per qualsiasi altro
disturbo. Esso offre agli utenti l'opportunità di esercitarsi in importanti processi
psicologici quali: la memoria di lavoro, l'attenzione e il controllo degli impulsi, al
fine di migliorare le loro prestazioni psicofisiche. Questi processi sono alla base
del controllo del comportamento, e migliorandoli si può raggiungere una migliore
qualità della vita. Il software controlla e regola il livello di difficoltà per stimolare
costantemente l'utente a migliorarsi.
Il gioco si presenta in italiano attraverso indicazioni verbali e scritte ed il
programma prevede 12 giochi per 3 modalità, suddivisi in 5 livelli ed un gioco
finale in cui verranno utilizzati i punti pregressi guadagnati nei vari livelli.
Ognuno dei dodici giochi si presenta con le seguenti modalità:
1 focus,
2 relax,
3 zen.
Ogni modalità di gioco FOCUS, quella che interessa al nostro gruppo di ricerca,
propone i seguenti livelli:
1 easy/facile
2 normal/normale
3 hard/difficile
4 expert/esperto
5 insane/folle.
La durata media di un gioco per ciascun livello è di 60 secondi.
33
Di seguito viene riportata una linea guida, stilata dal gruppo di ricerca BRAINew,
sull’essenza del gioco e la strumentazione impiegata.
34
35
CAPITOLO 3
CONDUZIONE DELLA RICERCA: GRUPPO BRAINEW
PROGETTO NEUROFEEDBACK & ADHD
Il gruppo BRAINew, che di recente è stato completamente aggiornato, è
composto da studenti universitari e giovani ricercatori interessati a indagare e
migliorare le applicazione delle interfacce cervello-computer (Brain Computer
Interface). Il laboratorio di Brain Computer Interface è situato presso il Centro
BRAIN (Basic Research and Integrative Neuroscience), Dipartimento di Scienze
della Vita dell’Università degli Studi di Trieste. Attualmente il gruppo è
impegnato in un progetto pilota, volto a sperimentare l'efficacia di tecniche di
Neurofeedback nel migliorare la sintomatologia dell'ADHD nell’infanzia. Il
progetto si svolge con la collaborazione e nell'Istituto comprensivo 'Divisione
Julia' di Trieste.
3.1 Obiettivi e metodi della ricerca
L’obiettivo principale di questa ricerca pilota è quello di verificare l'efficacia di un
training di Neurofeedback nel trattamento dell'ADHD.
Nello specifico, sono state esaminate le capacità attentive dei soggetti pre e post
intervento. Lo scopo del training proposto è stato il potenziamento dell'attenzione
visiva, uditiva, selettiva e sostenuta dei ragazzi coinvolti.!
La ricerca si è avvalsa di un disegno sperimentale basato su di un gruppo clinico.
Il campione esaminato è composto da bambini/ragazzi di età compresa tra gli 8 e
12 anni, ai quali è stato diagnosticato l’ADHD, diagnosi effettuata presso
l’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste, in base ai criteri del DSM-IV, seguiti per tale
motivo presso la SC di Neuropsichiatria Infantile dell’IRCCS Burlo Garofolo. I
soggetti riportano un QI maggiore di 70. I bambini sono stati sottoposti a una serie
di test e questionari, descritti successivamente e che sono stati proposti prima e
dopo le sedute di training. Queste consistevano nella somministrazione di un
36
gioco per computer, Focus Pocus, sviluppato dalla NeuroCog dell’Università di
Wollongong, Australia, proprio per allenare alla concentrazione e all’attenzione. Il
software è stato progettato per garantire un ambiente gradevole e avvincente per
praticare l'attenzione, il rilassamento, esercitare la memoria e controllare
l’impulsività.
I giochi vengono controllati dall'attività elettrica cerebrale del soggetto, registrata
in tempo reale (elettroencefalografia, EEG). La registrazione viene effettuata con
una semplice cuffia (MindWave Neurosky, USA), che ricorda in un certo qual
modo quelle usate per l’ascolto di musica stereofonica, dotata di un unico
elettrodo frontale e da uno di riferimento auricolare. La cuffia comunica con il
software tramite una porta bluetooth.
3.2 Soggetti di studio
In questa fase sperimentale è stato reclutato un campione di 6 soggetti.
Per il gruppo sperimentale sono valsi i criteri di inclusione/esclusione di seguito
riportati.
Criteri di inclusione:
·
soggetti di età compresa tra i 7 e i 12 anni,
·
soggetti con diagnosi di ADHD, stabilita secondo i criteri del DSM-5 (2013), o
DSM-IV (2004) o ICD-10 (2000) del sottotipo combinato,
·
soggetti con comorbidità in cui la diagnosi di ADHD è primaria
.
soggetti preferibilmente senza trattamento farmacologico.
Criteri di esclusione:
·
soggetti con IQ inferiore a 70
·
soggetti con storia di malattie neurologiche e/o fisiche che possano inficiare la
partecipazione al trattamento.
·
abuso di sostanze o di dipendenza
.
famiglie con notevole discordia coniugale che possa interferire con la
partecipazione al processo di trattamento.
37
A livello preferenziale, è stata scelta la fascia di soggetti più giovani e non in
trattamento farmacologico.
3.3 Strumenti e batteria testistica
La Scheda dati anagrafici/anamnestici, progettata in riferimento ai soggetti
appartenenti al gruppo sperimentale ed indicati tramite codice identificativo, è uno
strumento per la raccolta dei dati nelle aree di seguito indicate.
Area anagrafica: fornisce genere, mese ed anno di nascita, cittadinanza italiana o
altra cittadinanza, eventuale adozione del soggetto.
Area clinica: indica, per ciascun individuo, la tipologia della diagnosi di ADHD
(ADHD-I ovvero sottotipo a prevalenza iperattiva/impulsiva, ADHD-D sottotipo
a prevalenza disattentiva, ADHD-C sottotipo combinato), il livello cognitivo,
l’eventuale comorbidità con altre sintomatologie (quali DOP- Disturbo Oppositivo
Provocatorio, DC- disturbo del comportamento, DSA- Disturbi Specifici
dell’apprendimento), la presenza di terapia con psicostimolanti (in corso o
pregressa), la presenza di altre eventuali terapie farmacologiche, la partecipazione
a un training metacognitivo o a altri interventi psicoterapeutici, la partecipazione
dei genitori a percorsi di parent training e/o di terapia familiare.
Area scolastica: mostra indicazioni circa la classe e l’ordine di scuola frequentata
da ciascun individuo e la tipologia di tempo-scuola scelta (TP tempo pieno, TN
tempo normale, TP tempo prolungato, TC tempo corto).
Per quanto riguarda la batteria testistica (test/retest) vengono di seguito riportate
delle brevi descrizioni dei singoli test somministrati, che fanno riferimento a G.M.
Marzocchi, A.M. Re, C. Cornoldi, 2010, BIA- Batteria italiana per l’ADHD per
la valutazione dei bambini con deficit di attenzione/iperattività, Erickson, Trento.
Il volume raccoglie una serie di strumenti - già collaudati nel campo della clinica
evolutiva- che possono essere impiegati a fini diagnostici, o con l’obiettivo di
individuare specifiche difficoltà di bambini con profilo ADHD.
Il Test CP si ispira al Continuous Performance Test (CPT) ed è atto a valutare le
capacità di mantenere l’attenzione in maniera prolungata, mantenendo con
38
continuità un determinato livello di prestazione per un compito semplice, ma
prolungato, con o senza interruzioni. Oltre all’attenzione mantenuta, vengono
impiegate anche abilità di ricerca visiva e, specificatamente, la focalizzazione
dell’attenzione e la sistematicità di analisi percettiva.
Il test, rivolto a soggetti di età compresa tra i 6-12 anni, purché abbaino
perfettamente acquisito la conoscenza delle lettere, propone tre schede in cui
individuare il più rapidamente ed accuratamente possibile un bersaglio composto
da una determinata sequenza di tre lettere. La prima scheda, CP1 è costituita da
una pagina di lettere, la seconda -CP2- da mezza pagina e la terza - CP3- da
quattro righe di lettere. La tripletta da individuare FZB è sempre la stessa e in ogni
sezione della prova il numero di target è 18. La somministrazione è individuale e
va cronometrato il tempo che ogni soggetto impiega per ciascuna fase della prova.
Il calcolo del punteggio di ciascuna sezione viene effettuato tenendo conto dei
seguenti parametri:
-
CP Trovati, ossia il numero di triplette correttamente individuate;
-
CP Falsi positivi, ovvero triplette scorrette o semplici lettere segnate
erroneamente;
-
CP Omissioni, desumibile sottraendo il numero delle triplette individuate dal
totale dei bersagli (18);
-
CP Tempo, cioè la quantità di tempo impiegata dal soggetto per terminare la
prova, calcolata in secondi.
I dati ottenuti vanno poi comparati con i dati normativi ottenuti dal campione di
standardizzazione, distinto per età.
39
Fig.6(a,b,c)- Fogli di somministrazione Test CP
Il Test di Attenzione Uditiva TAU deriva dal test Score contenuto nella Batteria
di Manly et al. (1998) Test of Everyday Attention for Children (TEA-Ch). Il test,
rivolto sempre a soggetti di età compresa tra i 6-12 anni, valuta l’attenzione
uditiva sostenuta con particolare riferimento alle abilità di attenzione mantenuta
su suoni ripetuti per brevi sequenze, a loro volta ripetute. Coinvolge, inoltre, altri
processi cognitivi tra cui: “la memoria di lavoro per il trattenimento
dell’informazione uditiva (ovvero l’ultimo numero corrispondente alla quantità di
suoni fino ad allora contati), il recupero fonologico della stringa di fonemi
corrispondenti al numero da ricordare e l’aggiornamento mentale per far
avanzare il conteggio dei suoni (processo che consente di aggiornare le
informazioni immagazzinate in memoria e di inibire le informazioni irrilevanti).
(Marzocchi et al., 2010, p.28)
Prima della somministrazione è necessario far ascoltare al soggetto due esempi
pratici (2 tracce file audio) e assicurarsi che sappia contare fino a quindici.
Successivamente viene richiesto al soggetto di ascoltare dei suoni (simili agli
spari di un videogioco), in silenzio, di contarli mentalmente senza l’ausilio delle
dita. Al termine di ciascuno dei dieci task, viene richiesto al soggetto di indicare
quanti suoni ha sentito. Ogni esercizio propone dagli otto ai quindici toni identici,
40
della lunghezza di 345 ms, intervallati da pause di silenzio di durata variabile tra i
500-5000 ms. Il computo del punteggio viene effettuato considerando il numero
delle risposte corrette; lo score va da 0 a 10. I dati ottenuti vanno poi comparati
con i dati normativi ottenuti dal campione di standardizzazione distinto per età.
Fig. 7- Foglio di scoring test TAU
Il Test MF20 predisposto da Cornoldi et al. (1996), costituisce un adattamento
originale italiano del MFFT-20 Matching Familiar Figures Test (Kagan, 1966).
E’ una prova di confronto tra figure che richiede l’impiego di diversi processi
cognitivi quali: strategie di ricerca visiva, attenzione sostenuta, controllo della
risposta impulsiva. La prova, rivolta a soggetti di età compresa tra i 6-14 anni, è
costituita da 20 item, ognuno dei quali presenta una figura modello e
contemporaneamente 6 possibili alternative; lo scopo è di riconoscere l’originale.
Le figure rappresentano oggetti di vita quotidiana ed alcune sono poco elaborate,
mentre altre sono ricche di particolari. L’esaminatore propone al soggetto due
prove esemplificative e poi procede con il test vero e proprio. Per ogni item viene
presentato il modello e le sei possibili alternative tra cui individuarlo e viene
considerato il tempo a partire dalla presentazione delle immagini. Nel foglio di
registrazione vengono riportate le risposte (errate e corrette) ed il tempo di
latenza, ovvero il tempo che intercorre tra la presentazione delle immagini e la
prima risposta offerta, giusta o sbagliata che sia. Per i calcolo del punteggio
vengono considerati due indici:
- il numero delle risposte errate, sommando gli errori commessi nei 20 item;
- il tempo di latenza, ovvero la somma dei tempi di latenza ottenuti alla prima
risposta e divisi per i 20 item (punteggio medio). I dati ottenuti vanno poi
41
comparati con i dati normativi ottenuti dal campione di standardizzazione distinto
per età.
Fig.8(a,b) – Foglio di somministrazione Test MF
Il Software Focus Pocus associato alle Cuffie Mindwawe mobile. La
procedura sperimentale prevede l’utilizzo di tecniche di Neurofeedback per
esercitare l’attenzione. Il dispositivo NeuroSky MindWave EEG fornisce
informazioni sul livello corrente di attenzione e i dodici giochi sono progettati per
motivare e premiare la capacità di controllo sui propri ritmi cerebrali. I giochi
sono stati proposti secondo una sequenza prefissata e di complessità crescente. In
ogni seduta è stato redatto un protocollo con il tipo di giochi somministrati, la
percentuale di successo e la durata della seduta, in media di 60 minuti.
Il Protocollo di registrazione del training con Neurofeedback è uno strumento
che accompagna ognuna delle 10 sedute di training, e che indica -per ciascuna
delle proposte ludiche- il livello in modalità focus, il numero di stelle acquisite al
termine del gioco, il focus medio e il focus massimo registrato al termine della
performance del soggetto. Prevede, inoltre, la possibilità di registrare altri
elementi ottenuti al termine del gioco se previsti dallo stesso (quali ad es.
42
posizione al traguardo, giudizio sul lavoro svolto, ecc.). Ai fini dello studio
vengono presi in considerazione soprattutto i dati emersi in riferimento al numero
di stelline e al focus medio e massimo che il partecipante ha ottenuto al termine di
ogni sfida.
Il Questionario di gradimento alunni , composto da 7 item, è stato presentato ai
ragazzi al termine del training. Ai soggetti coinvolti è stato chiesto di esprimere la
propria opinione rispetto ad alcuni aspetti (motivazione, utilità, qualità delle
relazioni, suggerimenti...) relativi all'esperienza a cui hanno partecipato.
Il Questionario di gradimento genitori, composto da 7 item, è stato proposto ai
genitori dei soggetti coinvolti al fine di indagare se le modalità informative,
organizzative e relazionali instaurate durante il percorso siano state adeguate.
Inoltre è stata richiesta l'opinione dei genitori sull'utilità del trattamento e sono
stati raccolti eventuali suggerimenti.!
!
La Scala SDAG genitori e la Scala SDAI insegnanti, sono strumenti già
ampiamente utilizzati in Italia per raccogliere informazioni sulla presenza di
classici sintomi di disattenzione e iperattività/impulsività in riferimento a quanto
riportato dai Manuali diagnostici. Le scale (Cornoldi et al. 1996) sono tra le più
impiegate per la valutazione dei comportamenti ascrivibili al quadro clinico degli
ADHD in contesto familiare e scolastico. Entrambe sono composte da 18 item,
basati sui sintomi descritti dal DSM-IV e APA 1994, a cui genitori ed insegnanti
sono stati chiamati a rispondere dando una valutazione da 0 a 3 (mai, qualche
volta, abbastanza spesso, molto spesso). I due questionari si compongono di due
sottoscale,
una
riferita
alla
disattenzione
(item
dispari)
e
una
all’impulsività/iperattività (item pari). Le scale sono state consegnate ai genitori e
ai docenti suggerendo loro di visionare gli item, osservare il soggetto per alcuni
giorni e procedere poi alla compilazione del questionario. Per lo scoring del
punteggio è sufficiente sommare i punteggi di ogni singolo item di ognuna delle
due sottoscale, ottenendo così uno score per ognuna delle sub-scale (punteggio
massimo per ciascuna scala: 27). Viene considerato problematico un soggetto che
43
ottiene un punteggio pari o superiore a 14 in almeno una delle due sottoscale, cioè
che abbia una media pari o superiore a 1,5 per ciascun item.
3.4 Spazi, luoghi ed intervento di training
Le sedute hanno avuto luogo negli spazi della scuola secondaria di primo grado
Divisione Julia di Trieste. Tale scelta è funzionale al fatto che si sia volutamente
evitato uno spazio clinico e contemporaneamente la dimensione strettamente
scolastica. Gli incontri si sono tenuti su base volontaria e in orario pomeridiano.
Grande attenzione è stata data al setting ed in tal senso è stata scelta un’aula
tranquilla e priva di fonti di distrazione; il soggetto è stato accolto in un clima
sereno e fatto accomodare di fronte allo schermo di un computer. L’intervento di
training con Neurofeedback si è sviluppato secondo le seguenti modalità:
•!
2 sedute settimanali
•!
durata di ogni singola seduta: 60’
•!
sedute totali: 10
•!
periodo di trattamento di 2 mesi circa (in ottemperanza al calendario delle
festività, al calendario scolastico ed a particolari esigenze emerse in itinere)
•!
reclutamento individuale, sulla base dei criteri di inclusione ed esclusione
riportati precedentemente
•!
riunione informativa ed esplicativa coordinata dal gruppo di lavoro con i
genitori e i ragazzi partecipanti allo studio: esplicitazione delle finalità e delle
modalità organizzative del training, presentazione del consenso informato
accompagnato da una scheda informativa sulla ricerca (che resta ai
partecipanti, completa di contatti dei referenti del gruppo di lavoro),
calendarizzazione del training
•!
inizio del training con una seduta di somministrazione dei test ai ragazzi
•!
percorso di training con i ragazzi
•!
monitoraggio in itinere
•!
retest proposto ai ragazzi con modalità in presenza
•!
somministrazione di un questionario qualitativo ai ragazzi
•!
somministrazione di un questionario qualitativo ai genitori
44
3.5 Dati e risultati
Trattandosi di un progetto pilota, sono stati reclutati 6 soggetti, dei quali 4 hanno
completato le procedure previste. Troppo pochi per un’indagine statistica
adeguata, ma lo scopo dichiarato era quello di mettere a punto un primo
protocollo operativo. Ad ogni modo i risultati ottenuti nei re-test sono stati molto
positivi ed incoraggianti, tanto che il gruppo di ricerca BRAINew si è posto
l’obiettivo di portare avanti questo studio ampliando il numero di soggetti da
esaminare e proponendo pure l’impiego di nuovi software, oltre a Focus Pocus,
per stimolare sempre di più e al meglio i ragazzini che parteciperanno al progetto.
In ottemperanza alle norme vigenti sulla privacy, ad ogni bambino è stato
assegnato un codice identificativo e di seguito vengono riportati i dati anagrafici
dei soggetti nella fase di prima somministrazione dei test:
NUMERO
CODICE
GENERE
ANNI
MESI
1
AN101F
Femmina
11
3
2
AN102M
Maschio
9
8
3
AN103M
Maschio
8
6
5
AN105M
Maschio
7
6
Di seguito vengono riportati i risultati ottenuti nella prima somministrazione dei
test:
Test CP1
CODICE
BERSAGLI
CORRETTI
FALSI
POSITIVI
NUMERO
OMISSIONI
TEMPO (s)
AN101F
15
0
3
108
AN102M
18
0
0
230
AN103M
17
0
1
308
AN105M
15
0
3
289
45
Test CP2
CODICE
BERSAGLI
CORRETTI
FALSI
POSITIVI
NUMERO
OMISSIONI
TEMPO (s)
AN101F
16
0
2
104
AN102M
16
1
2
186
AN103M
12
0
6
198
AN105M
11
0
7
163
CODICE
BERSAGLI
CORRETTI
FALSI
POSITIVI
NUMERO
OMISSIONI
TEMPO (s)
AN101F
18
0
0
106
AN102M
14
0
4
163
AN103M
18
0
0
275
AN105M
6
0
12
74
CODICE
BERSAGLI
CORRETTI
TOTALI
FALSI
POSITIVI
TOTALI
NUMERO
OMISSIONI
TOTALI
TEMPO
TOTALE (s)
AN101F
49
0
5
318
AN102M
48
1
6
579
AN103M
47
0
7
781
AN105M
32
0
22
526
Test CP3
Test CP:
46
CODICE
MEDIA
OMISSIONI
NORMA
MEDIA
OMISSIONI
DEVIAZIONE
STANDARD
PERCENTILE
AN101F
5,65
5,62
30
AN102M
4,57
4,69
Tra 10 e 20
AN103M
6,56
6,2
Tra 20 e 30
AN105M
8,34
7,71
<5
CODICE
TEMPO
TOTALE
TEMPO
MEDIO
NORMA
TEMPO
MEDIO
DEVIAZIONE
STANDARD
AN101F
318’’
293,38’’
78,3
Tra 60 e 70
AN102M
579’’
397,51’’
105,46
>90
AN103M
781’’
435,7’’
123,55
>90
AN105M
526’’
493,91’’
153,3
Tra 60 e 70
PERCENTILE
Test TAU:
CODICE
PUNTEGGIO
TOTALE
MEDIA
NORMALE
DEVIAZIONE
STANDARD
NORMALE
PERCENTILE
AN101F
7
9,28
1,03
<10
AN102M
8
8,52
1,72
Tra 20 e 30
AN103M
9
8,52
1,72
60
AN105M
7
6,92
2,61
40
47
Test MF20:
CODICE
ERRORI
MINIMO/
MASSIMO
NORMALE
MEDIA
NORMALE
DEVIAZIONE
STANDARD
PERCENTI
AN101F
14
Tra 0 e 16
5,56
3,8
<5
AN102M
6
Tra 0 e 30
8,39
5,3
Tra 60 e 70
AN103M
14
Tra 0 e 24
10,16
5,24
20
AN105M
25
Tra 0 e 35
15,34
8,1
Tra 10 e 20
CODICE
TEMPO
TOT
MIN MAX MEDIA
NORMALE NORMALE
MEDIA
DS
NORMALE
%
AN101F
4’40’’
7,30-49,35
14
7,81
Tra 20 e
19,94
30
AN102M
8’5’’
4,30-39,20
17,9
24,25
7,12
Tra 80 e
90
AN103M
11’08’’
3,90-44,80
16,1
33,4
8,12
>90
AN105M
3’8’’
4,00-46,35
14,55
9,4
8,83
Tra 30 e
40
Sono riportati i risultati dei re-test dei soggetti di studio dopo le 10 sedute con
Neurofeedback:
NUMERO
CODICE
GENERE
ANNI
MESI
1
AN101F
Femmina
11
5
2
AN102M
Maschio
9
10
3
AN103M
Maschio
8
8
5
AN105M
Maschio
7
8
48
Risultati re-test CP1:
CODICE
BERSAGLI
CORRETTI
FALSI
POSITIVI
NUMERO
OMISSIONI
TEMPO (s)
AN101F
17
0
1
112
AN102M
17
0
1
71
AN103M
17
0
1
220
AN105M
12
0
6
110
Risultati re-test CP2:
CODICE
BERSAGLI
CORRETTI
FALSI
POSITIVI
NUMERO
OMISSIONI
TEMPO (s)
AN101F
17
0
1
93
AN102M
17
0
1
103
AN103M
11
2
7
190
AN105M
9
0
9
51
Risultati re-test CP3:
CODICE
BERSAGLI
CORRETTI
FALSI
POSITIVI
NUMERO
OMISSIONI
TEMPO (s)
AN101F
17
0
1
117
AN102M
18
0
0
77
AN103M
16
0
2
230
AN105M
7
0
11
74
49
Re-test CP:
CODICE
BERSAGLI
CORRETTI
TOTALI
FALSI
POSITIVI
TOTALI
NUMERO
OMISSIONI
TOTALI
TEMPO
TOTALE (s)
AN101F
51
0
3
322
AN102M
52
0
2
251
AN103M
44
2
10
640
AN105M
28
0
26
235
CODICE
MEDIA
OMISSIONI
NORMA
MEDIA
OMISSIONI
DEVIAZIONE
STANDARD
PERCENTILE
AN101F
5,65
5,62
50
AN102M
4,57
4,69
50 o 60
AN103M
6,56
6,2
10
AN105M
8,34
7,71
<5
CODICE
TEMPO
TOTALE
(s)
TEMPO
MEDIO
NORMA
(s)
TEMPO
MEDIO
DEVIAZIONE
STANDARD
(s)
AN101F
322
293,38
78,3
Tra 60 e 70
AN102M
251
397,51
105,46
<5
AN103M
640
435,7
123,55
>90
AN105M
235
493,91
153,3
<5
PERCENTILE
50
Confrontando i dati tra il test e re-test CP si ottengono i seguenti risultati:
CODICE
CP TOT
T/RT
FALSI
POSITIVI
T/RT
OMISSIONI
T/RT
OMISSIONI
PERCENTILE
TEMPO
PERCENTILE
AN101F
49 –51
0-0
5-3
30-50
60/70-60/70
AN102M
48-52
1-0
6-2
10/20-50/60
>90- <5
AN103M
47-44
0-2
7-10
20/30-10
>90- >90
AN105M
32-28
0-0
22-26
<5-<5
60/70- <5
Analizzando i dati, si riscontra che due soggetti su quattro hanno individuato più
bersagli corretti rispetto al test iniziale, tanto che il loro percentile di omissioni è
aumentato, indice di un miglioramento; un ragazzino è peggiorato e l’ultimo non
ha variato la sua performance. Per quanto riguarda il tempo percentile, invece, più
il valore diminuisce, tanto più velocemente i soggetti avranno eseguito il compito
e dalla tabella si può notare che due bambini sono migliorati sensibilmente ( uno
dei due, però, non ha migliorato il suo percentile di omissioni), mentre gli altri
due hanno ottenuto lo stesso percentile conseguito nella prima fase di
somministrazione dei test CP.
Risultati re-test TAU:
CODICE
PUNTEGGIO
TOTALE
MEDIA
NORMALE
DEVIAZIONE
STANDARD
NORMALE
PERCENTILE
AN101F
8
9,28
1,03
10
AN102M
9
8,52
1,72
40
AN103M
8
8,52
1,72
Tra 20 e 40 e
40 o 60
AN105M
10
6,92
2,61
>80
51
Confrontando le tabelle del test e re-test TAU:
CODICE
RISPOSTE CORRETTE
PERCENTILE
AN101F
7–8
<10 – 10
AN102M
8–9
20/40 – 40
AN103M
9–8
60 – 20/40 o 60
AN105M
7 – 10
40 - >80
Si nota che in questo caso tre bambini su quattro hanno migliorato la propria
capacità attentiva.
Risultati re-test MF20:
CODICE
ERRORI
MINIMO/
MASSIMO
NORMALE
MEDIA
NORMALE
DEVIAZIONE
STANDARD
PERCENTI
AN101F
6
Tra 0 e 16
5,56
3,8
40
AN102M
3
Tra 0 e 30
8,39
5,3
Tra 80 e 90
AN103M
23
Tra 0 e 24
10,16
5,24
<5
AN105M
13
Tra 0 e 35
15,34
8,1
Tra 50 e 60
CODICE
MIN MAX
NORMALE
7,30-49,35
MEDIA
NORMALE
19,94
MEDIA
AN101F
TEMPO
TOT
5’13’’
%
15,65
DS
NORMALE
7,81
AN102M
7’50’’
4,30-39,20
17,9
23,5
7,12
Tra 80 e 90
AN103M
5’41’’
3,90-44,80
16,1
17,05
8,12
Tra 60 e 70
AN105M
3’2’’
4,00-46,35
14,55
9,01
8,83
Tra 30 e 40
Tra 30 e 40
52
Confronto tra test e re-test MF20:
CODICE
ERRORI
PERCENTILE
T/RT
TEMPO
T/RT
(m)
PERCENTILE
TEMPO T/RT
AN101F
14 – 6
<5 – 40
14 – 15,65
20/30 – 30/40
AN102M
6–3
60/70 – 80/90
24,25 - 23,5
80/90 – 80/90
AN103M
14 – 23
20 - <5
33,4 – 17,05
>90 – 60/70
AN105M
25 – 13
10/20- 50/60
9,4 – 9,01
30/40 – 30/40
Dopo le sedute di Neurofeedback, nel test MF20 sono sensibilmente migliorati tre
soggetti su quattro, anche se hanno impiegato più tempo per completare il test,
che comunque può essere considerato un dato positivo, in quanto, probabilmente,
i bambini hanno imparato a controllare la loro impulsività, ragionando prima di
dare una risposta. Il soggetto che ha commesso un numero più elevato di errori,
invece, ha migliorato il percentile del tempo. Ciò può essere interpretato come il
fatto che non è stato in grado di controllare la propria impulsività prima di dare la
propria risposta.
3.6 Gradimento ragazzi e genitori
I risultati emersi dal confronto tra test e re-test sono del tutto incoraggianti,
nonostante il campione esaminato non sia numericamente sufficiente ai fini
statistici; infatti, dopo 10 sedute di training con Neurofeedback, tre soggetti su
quattro sono migliorati.
Il questionario di gradimento alunni , composto da 7 item, è stato proposto ai
ragazzi al termine del training. Ai soggetti coinvolti è stato chiesto di esprimere la
propria opinione riguardo ad alcuni aspetti, come: la motivazione, l’utilità, la
qualità delle relazioni, eventuali suggerimenti relativi all'esperienza a cui hanno
preso parte.
Le domande erano le seguenti:
1-!
2-!
3-!
4-!
Questo training è stato divertente?
Alla fine delle sedute ti sei sentito stanco?
Ti sei trovato a tuo agio con le persone con cui hai lavorato?
Al termine del training credi di aver migliorato le tue capacità di
concentrazione?
5-! Ti piacerebbe rifare questa esperienza?
53
6-! Hai consigli o suggerimenti da darci per migliorare la proposta (orari, spazi,
tempi, persone,…)?
7-! Ti sentiresti di consigliare questa esperienza ad altri ragazzi? Perché?
Dalla domanda 1 alla 4 l’indice di valutazione considera una scala da 1 a 5:
1-!
2-!
3-!
4-!
5-!
No
Un poco
Abbastanza
Molto
Moltissimo
Mentre dalla domanda 5 alla 7 si adotta il seguente criterio:
1-! Sì
2-! No
Tabella riassuntiva delle risposte ottenute
CODICE
AN101F
AN102M
AN103M
AN105M
5
1"Sì"2"NO APERTA
GENERE
)1M)2F
ANNI
2
1
1
1
ETA'
MESI
11
9
8
7
5"BIS
DOMANDE
1
DA+1+A+5
3
8
6
6
2
DA+1+A+5
5
5
5
2
6
1
MI"SONO"TROVATA"BENE"CON"LE"PERSONE
1 BO
1 MI"SONO"DIVERTITO
1 DIVERTITO"CON"ALCUNI"GIOCHI"NO"CON"ALTRI"ES."LIBRI"INCANTESIMO SOSTITUIRE"GIOCO"DEI"LIBRI
3
DA+1+A+5
2
1
1
1
4
DA+1+A+5
5
5
5
3
5
2
5
2
7 7"BIS
1"Sì"2"NO APERTA
1
1
1 SONO"ATTIVITà"PIACEVOLI
2 AVERE"Più"TEMPO"A"DISPOSIZIONE"PER"GIOCARE"COL"SOFTWARE
Il questionario di gradimento genitori, composto da 7 domande, è stato presentato
ai genitori dei soggetti coinvolti per indagare se le modalità informative,
organizzative e relazionali instaurate durante il percorso siano state adeguate.
Inoltre è stata richiesta l'opinione dei genitori sull'utilità del trattamento e sono
stati raccolti eventuali suggerimenti.!
Di seguito sono elencate le domande somministrate:
1-! Prima dell’inizio del training le informazioni ricevute sono state chiare e
complete?
54
2-! È stato per Voi impegnativo il percorso organizzato in 10 sedute?
3-! Le è sembrato che suo figlio fosse stanco alla fine delle 10 sedute?
4-! Alla fine del training crede che suo figlio abbia migliorato le sue capacità di
concentrazione?
5-! Se venisse chiesto a suo figlio di rifare questa esperienza sarebbe favorevole?
Perché?
6-! Ha consigli o suggerimenti da darci per migliorare la proposta (orari, spazi,
tempi, persone…)?
7-! Se la sentirebbe di consigliare ad altri ragazzi questo trattamento? Perché?
Dalla domanda 1 alla 4 l’indice di valutazione considera una scala da 1 a 5:
1-!
2-!
3-!
4-!
5-!
No
Un poco
Abbastanza
Molto
Moltissimo
Mentre dalla domanda 5 alla 7 si adotta il seguente criterio:
1-! Sì
2-! No
Tabella riassuntiva delle risposte ottenute
CODICE
AN101F
AN102M
AN103M
AN105M
5
1"Sì"2"NO APERTA
GENERE
)1M)2F
ANNI
2
1
1
1
5"BIS
DOMANDE
1
DA+1+A+5
ETA'
MESI
11
9
8
7
3
8
6
6
6
APERTA
2
DA+1+A+5
3
DA+1+A+5
4
DA+1+A+5
4
5
1
3
2
1
3
1
4
2
3
3
7 7"BIS
1"Sì"2"NO APERTA
1
1 MIGLIORARE"LA"CONCENTRAZIONE"QUOTIDIANA CERCARE"CORRELAZIONE"TRA"TRAINING"ED"EFFETTI"SCOLASTICI
1
1 SODDISFAZIONE"DEL"BAMBINO"PER"LE"ATTIVITà
1 PER"RICEVERE"Più"INFORMAZIONI
1 UTILE"PER"MIGLIORARE"PERCORSO"RELAZIONI"SCUOLA?FAMIGLIA
55
CONCLUSIONI
Dai risultati ottenuti in questo studio pilota emerge che, per quanto riguarda il test
CP, due soggetti su quattro hanno individuato più bersagli corretti rispetto al test
iniziale, aumentando il loro percentile di omissioni, indice del fatto che,
probabilmente, la loro capacità di mantenere in modo continuativo un certo livello
di concentrazione e la loro abilità di ricerca visiva sono migliorate. Un ragazzino è
peggiorato e l’ultimo non ha variato la sua performance. Per quanto riguarda il
tempo percentile, invece, più il valore diminuisce, tanto più velocemente i soggetti
hanno eseguito il compito e in questo frangente due bambini sono migliorati
sensibilmente. Uno dei due, però, non ha migliorato il suo percentile di omissioni
e ciò potrebbe essere dovuto al fatto che si tratta comunque di soggetti in cui si
riscontra un certo deficit nella capacità di controllare la propria impulsività,
mentre gli altri due hanno ottenuto lo stesso percentile conseguito nella prima fase
di somministrazione dei test CP.
Per quanto concerne il re-test TAU, tre bambini su quattro hanno dato più risposte
corrette rispetto alla prima somministrazione del test, dimostrando che la propria
capacità di attenzione uditiva sostenuta è migliorata.
Infine, nel re-test MF20, che è una prova di confronto tra figure che richiede
l’impiego di diversi processi cognitivi, quali: strategie di ricerca visiva, attenzione
sostenuta, controllo della risposta impulsiva, sono sensibilmente migliorati tre
soggetti su quattro, nonostante abbiano impiegato più tempo per completare il test
e ciò può essere comunque considerato un risultato positivo, in quanto,
probabilmente, i bambini hanno imparato a controllare la propria impulsività,
ragionando prima di dare una risposta ritenuta corretta. Il soggetto che ha
commesso un numero più elevato di errori, invece, ha migliorato il percentile del
tempo, questo può essere interpretato come il fatto che non è stato in grado di
controllare la propria impulsività prima di dare la risposta.
Va sottolineato, inoltre, che i ragazzini e loro genitori hanno per lo più apprezzato
l’iniziativa, esprimendosi tramite i questionari di gradimento presentati a fine
training.
56
In letteratura, risultati positivi ottenuti dall’applicazione del Neurofeedback non
sono ritenuti sufficienti a dimostrarne la validità, lamentando spesso l’assenza di
basi scientifiche. La complessità e variabilità dei meccanismi coinvolti e la
difficoltà nel condurre esperimenti con gruppi di controllo e placebo, nonché
l’impossibilità di isolare gli effetti del Neurofeedback da variabili esterne ad esso,
rendono conto di tale lacuna.
In questo contesto, Lubar (1997) si esprime sulla complessità delle dinamiche
corticali coinvolte e riporta come simili training comportino cambiamenti
significativi generalizzati soprattutto ad altre aree corticali. Lubar sostiene che si
possa escludere che il Neurofeedback sia solo un placebo, in quanto soggetti che
non hanno risposto positivamente al training non mostravano alcuna differenza
nel proprio QEEG. Solo se si migliora la propria performance nelle sessioni di
Neurofeedback, imparando a regolare le proprie onde cerebrali, si possono
modificare le dinamiche corticali e talamo-corticali rilevabili nel QEEG.
I presenti risultati devono essere interpretati alla luce delle seguenti limitazioni. In
primo luogo, non sono stati inclusi partecipanti al di sotto dei 7 anni di età, perché
questo studio è stato condotto su soggetti in età scolare. In questo modo, i risultati
hanno implicazioni limitate per la formazione neurocognitiva dei bambini più
piccoli. In secondo luogo, non è stata effettuata alcuna fase di follow-up , per cui
non è noto se i benefici riscontrati possano mantenersi nel tempo. Dovrebbe
essere tenuto in considerazione però che Johnstone et al. (2012) hanno riportato
che gli effetti positivi delle loro sessioni di Neurofeedback sono perdurati anche
dopo sei settimane dal follow-up. Sarà dunque necessario valutare gli effetti a
lungo termine del presente approccio in studi futuri. Gevensleben et al (2009a;
2009b) hanno dimostrato che il Neurofeedback è più efficace di un allenamento
con un programma computerizzato per il miglioramento dell’attenzione (AST). Il
fatto che i progressi da loro osservati siano davvero dovuti al Neurofeedback è
supportato dalla correlazione rilevata tra cambiamenti nei parametri EEG,
successo nelle sessioni di training e miglioramenti comportamentali. I risultati si
sono dimostrati stabili dopo 6 mesi dalla fine del training.
In terzo luogo, le valutazioni effettuate da genitori e bambini non possono essere
considerate libere da condizionamenti, dati i rapporti interpersonali che si sono
57
venuti a creare con chi ha condotto gli esperimenti. Sebbene l'uso di molteplici
test può ridurre questo potenziale bias (Yin, 2009), in futuro verranno adottati
metodi più rigorosi (ad esempio, trattamento di controllo a doppio cieco;
Lofthouse et al., 2012).
Infine, questo studio pilota è stato condotto su un campione piccolo, rendendo
aleatorio il confronto statistico e non contiene un gruppo di controllo. In
conclusione, i risultati del presente studio sostengono l’utilità dell'utilizzo del
training neurocognitivo, tramite sessioni con Neurofeedback, per i bambini con
ADHD. I dati emersi suggeriscono che le sessioni di training con Neurofeedback
abbiano il potenziale per migliorare le capacità psicologiche e comportamentali
che sono associate alla patologia dell’ADHD. Il training è stato considerato da
parte dei genitori un intervento efficace e positivo e hanno gradito il fatto che sia
stato condotto all’interno di un ambiente positivo come la scuola frequentata dai
loro ragazzi.
Questa riflessione garantisce la necessità di un'indagine su un campione più ampio
e in altri contesti, come, ad esempio, l’ambiente domestico e che questo
allenamento neurocognitivo possa essere condotto in larga scala anche in altre
sedi di tutto il mondo. Nonostante i numerosi dati riportati in bibliografia a
sostegno dell’efficacia del Neurofeedback, molti studi sono ancora necessari per
consolidarne le basi scientifiche, elaborare applicazioni mirate ed ottenere effetti
duraturi nel tempo.
Ricerche future dovrebbe includere un disegno di controllo randomizzato, sessioni
di follow-up per determinare la durata degli effetti, un campione più ampio di
soggetti da considerare e il tentativo di esaminare l'impatto delle sessioni di
training sul rendimento scolastico e sulla qualità dei rapporti interpersonali dei
soggetti studiati. Sarebbe anche interessante esaminare il contributo unico dei
risultati dopo le sessioni di Neurofeedback sul rendimento scolastico e
successivamente esaminare le varie situazioni per adattarsi a specifici bisogni di
ogni bambino. Inoltre, questo gruppo di ricercatori si ripropone di avvalersi di
nuovi software per stimolare sempre al meglio ed il più possibile l’interesse dei
ragazzini che saranno coinvolti nelle ricerche future.
58
BIBLIOGRAFIA
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SITOGRAFIA
http://store.neurosky.com/
http://www.neurofeedbackclinic.ca/Autism_Aspergers.html
www.google.it (sezione immagini)
62
RINGRAZIAMENTI
Dedico la mia tesi a Daniele e a mia zia Alessandra, che avrei voluto fossero qui
con me.
Desidero ringraziare la mia famiglia ed i miei parenti, i quali hanno sempre
creduto in me, nonostante io non abbia sempre meritato la loro fiducia; li ringrazio
per tutto l’amore donatomi, per avermi permesso di raggiungere questo traguardo
compiendo molti sacrifici e per avermi insegnato che si possono commettere degli
errori nella propria vita, ma che ciò che conta è raccogliere tutto il proprio
coraggio e rimettersi in gioco, assecondando sempre a testa alta le proprie
aspirazioni.
Ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicini: amici, coinquilini, compagni di
università, chi è stato presente solo un periodo e chi, invece, mi accompagna
tutt’ora lungo il mio cammino, in quanto hanno tutti contribuito a rendere questi
anni indimenticabili.
Sono molto grata al Professor Battaglini, a tutto il gruppo di ricerca BREINew, ai
ragazzi e genitori coinvolti nel progetto pilota per le opportunità di crescita
fornitemi.
63