2 SOMMARIO SOMMARIO ........................................................................................................... 3! INTRODUZIONE ................................................................................................... 5! CAPITOLO 1 ADHD, UNA PATOLOGIA COMPOSITA .................................. 7! 1.1 Cenni storici sull’ADHD ................................................................................. 7! 1.2 ADHD? Un’invenzione ................................................................................... 8! 1.3 Cos’è realmente l’ADHD .............................................................................. 10! 1.4 La diagnosi ..................................................................................................... 14! 1.4.1 Ulteriori metodi di diagnosi .................................................................... 14! 1.5 Condizioni avverse che possono associarsi alla sintomatologia dell'ADHD 16! 1.6 Trattamento farmacologico ............................................................................ 16! 1.7 Terapie innovative: Neurofeedback con EEG ............................................... 17! CAPITOLO 2 NEUROFEEDBACK .................................................................... 20! 2.1 La storia del Neurofeedback .......................................................................... 21! 2.2 Il cervello e la sua attività elettrica ................................................................ 23! 2.3 Protocolli per il Neurofeedback ..................................................................... 29! 2.4 Scopo della ricerca ......................................................................................... 31! 2.5 Focus Pocus ................................................................................................... 32! CAPITOLO 3 CONDUZIONE DELLA RICERCA: GRUPPO BRAINew Progetto Neurofeedback & ADHD ....................................................................... 36! 3.1 Obiettivi e metodi della ricerca ...................................................................... 36! 3.2 Soggetti di studio ........................................................................................... 37! 3.3 Strumenti e batteria testistica ......................................................................... 38! 3.4 Spazi, luoghi ed intervento di training ........................................................... 44! 3.5 Dati e risultati................................................................................................. 45! 3.6 Gradimento ragazzi e genitori .......................................................................... 53! CONCLUSIONI .................................................................................................... 56! BIBLIOGRAFIA................................................................................................... 59! 3 RINGRAZIAMENTI ............................................................................................ 63! 4 INTRODUZIONE “Se lo sforzo caleidoscopico del cervello per forgiare la mente e far funzionare il corpo può essere paragonato a dirigere un’orchestra sinfonica, la sua scelta della musica, il suo volume, e il suo ritmo sono tutte cose che crediamo essere costretti ad accettare, per lo più senza porci domande. Questo potrebbe essere vero non ancora per molto.” Jim Robbins conclude così l’introduzione del suo libro A Shymphony in the brain: The Evolution of the New Brain Wave Biofeedback. La composita scambievolezza tra i molteplici elementi che il nostro cervello coordina, ricorda la direzione di una sterminata orchestra sinfonica. Se la melodia del nostro cervello non ci soddisfacesse? Se il suo volume fosse troppo alto, oppure la sua cadenza fosse troppo lenta? Dovremmo adattarci a delle note stridenti, o, invece, potremmo decidere la colonna sonora della nostra vita? La soluzione potrebbe essere il Neurofeedback, uno strumento in grado di modificare questa sinfonia. Tramite la rilevazione e variazione delle nostre onde cerebrali possiamo intervenire sui meccanismi reconditi della nostra mente. Molte persone hanno migliorato la qualità della loro esistenza grazie al Neurofeedback. Disturbi come l’epilessia, stanchezza cronica, emicrania, depressione e ADHD sono stati trattati con successo ricorrendo a questa terapia. Nei soggetti sani l’impiego del Neurofeedback ha portato benefici in termini di memoria, intelligenza, prestazioni sportive e creatività. Nonostante i risultati incoraggianti, l’impiego del Neurofeedback è ancora ai giorni nostri piuttosto limitato. La complessità e l’esorbitante variabilità individuale dei processi coinvolti rendono ostica la previsione degli effetti specifici in seguito al training con Neurofeedback, ma, soprattutto, è difficile predirne l’efficacia su persone diverse. Le onde cerebrali sono la risultante di processi corticali e talamocorticali complessi, che non sono stati ancora del tutto compresi. Ad oggi è ancora nebuloso come il Neurofeedback possa modulare questi processi e regolare così le onde cerebrali, ma i risultati positivi ottenuti sono evidenti. 5 Studi condotti da ricercatori hanno evidenziato che l’incremento di particolari onde cerebrali comportava benefici a livello cognitivo e ciò ha permesso pure di approfondire le conoscenze dei nostri processi mentali. Molte ricerche devono essere ancora effettuate per migliorare le potenzialità terapeutiche, in quanto lo sviluppo del Neurofeedback è ancora ai primordi, ma rappresenta già un affascinante ambito tutto da esplorare. 6 CAPITOLO 1 ADHD, UNA PATOLOGIA COMPOSITA Il disturbo da deficit di attenzione (ADHD: Attention Deficit and Hyperactivity Disorder) è caratterizzato da livelli gravi e non appropriati all'età di iperattività, impulsività e disattenzione. L'ADHD è un disturbo eterogeneo, e la maggior parte dei pazienti mostra comorbidità o problemi associati ad altri disturbi psichiatrici. Inoltre, l'ADHD è associato a problemi cognitivi e motivazionali, come pure ad anomalie a riposo, associati ad alterata attività cerebrale, diffusa in reti neurali distinte (Albrecht et al., 2015). L’ADHD è un disturbo che interessa circa il 4% della popolazione pediatrica in età scolare e colpisce in modo preferenziale il sesso maschile. La diffusione è ubiquitaria. 1.1 Cenni storici sull’ADHD Il Disturbo da Deficit di Attenzione ed Iperattività è un disordine dello sviluppo neuropsichico del bambino e dell’adolescente, caratterizzato da deficit di attenzione, impulsività e iperattività. (APA, DSM IV-TR, 2004). Per descrivere questa patologia, oggi ampiamente studiata e conosciuta nelle sue manifestazioni, sono state utilizzate nel corso degli anni diverse definizioni. All’inizio del secolo scorso, il medico inglese George Still descrisse in una serie di articoli pubblicati su Lancet un gruppo di bambini che manifestavano una vivacità, distruttività e un deficit del controllo morale fuori dal comune (Still, 1902). Apparve per la prima volta nel 1968 la dicitura “reazione ipercinetica” del bambino nella II edizione del Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali ed è stata pubblicata dall’American Psychiatric Association. Veniva sottolineata l’esistenza di una problematica di tipo motorio, ma non cognitivo, fattore che venne invece considerato nell’edizione successiva del Manuale (DSM III, APA, 1980). In questa stesura venne riportata la dicitura “Disturbo dell’Attenzione”. Nel DSM III-R (1987) venne inserito il termine di Attention Deficit and 7 Hyperactivity Disorder, il cui acronimo è ADHD, tradotto in italiano con “Disturbo da Deficit di Attenzione con Iperattività” (DDAI). L’International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems (ICD, Organizzazione Mondiale della Sanità) delinea nel 1992 questa patologia come “sindrome ipercinetica” (ICD-9, 1992) e in seguito come “disturbo ipercinetico” (ICD-10, 1997). I molteplici e frequenti cambiamenti nelle definizioni riverberano l’incertezza avuta dai ricercatori rispetto alle cause del disturbo e perfino su quali fossero per l’appunto i criteri diagnostici; alcuni di loro hanno pure negato l’esistenza di tale sindrome. 1.2 ADHD? Un’invenzione Lo scopo del titolo di questo paragrafo, volutamente provocatorio, è di sfatare alcuni falsi miti che questa sindrome, a causa della sua complessità diagnostica e variabilità individuale, ha dovuto tollerare prima di essere riconosciuta come tale. Una parte di medici e scienziati sostiene che l’ADHD sia una sindrome inventata ad hoc. Per mutare queste esperienze quotidiane in malattie comparabili ad entità mediche, come, ad esempio, il tumore, occorrono un “marketing” efficace e un’incredibile abilità. I più estremisti, riferendosi alle teorie di Thomas Szasz, ritengono che l’ADHD sia un disturbo senza vere e proprie basi fisiologiche e che non sussista una sintomatologia chiara e univoca; tale affermazione potrebbe rappresentare un episodio di disease mongering, poiché il concetto di ADHD, teorizzato agli inizi del ‘900, sarebbe stato ripreso negli anni ‘80 per creare un nuovo commercio di farmaci (Fig. 1). Fig.1 – Immagine rappresentativa di disease mongering 8 “L’ADHD non esiste. Questi bambini non hanno alcun disturbo.” Dr Thomas Amstrong, Ph. D. —The mith of the ADD child, 1997. “La ricerca non conferma l’esistenza della sindrome dell’ADHD. Non c’è alcuna giustificazione medica, neurologica o psichiatrica per la diagnosi di ADHD.” Peter Breggin, MD-ToxicPsychiatry. Di seguito viene riportato uno spezzone di testo del libro di Stefano Scoglio “Non è colpa dei bambini” (Macro edizioni, 2007): “Secondo il National Institute of MentalHealth,USA, leader nel mondo della promozione della patologia ADHD, questa presunta malattia coinvolge tre elementi principali che vengono così descritti: a)! deficit di attenzione; b)! iperattività; c)! impulsività. La combinazione di questi tre elementi dà vita alla definizione di tre sottogruppi: a)! tipo prevalentemente incapace di attenzione; b)! tipo prevalentemente iperattivo-compulsivo; c)! tipo combinato (iperattivo e incapace di attenzione) Per quanto riguarda i tre elementi, le persone affette da ADHD vengono descritte come segue: -! Iperattività: Sempre in movimento; parlano incessantemente, non riescono a stare sedute a lungo; hanno bisogno di essere sempre occupate. -! Impulsività: Incapaci di dominare le reazioni o di pensare prima di agire; emettono commenti inappropriati; agiscono senza valutare le conseguenze; i maschi sono un po’ bulli. -! Deficit di attenzione. Si annoiano dopo pochi minuti; non riescono a concentrarsi su un compito alla volta. Sono molto attente se fanno qualcosa che piace loro, ma fanno fatica a fare i compiti o ad apprendere qualcosa di nuovo. Si tratta di comportamenti che, in maniera più o meno intensa, sono sempre esistiti, sia come caratteri propri di qualsiasi bambino normalmente vivace, sia, 9 nella forma più intensa, come caratteristiche di un certo numero di bambini più problematici, ma non per questo malati. Con la definizione di ADHD perseguita dalle Autorità sanitarie, il nostro Giamburrasca, anziché eroe letterario e televisivo, sarebbe già da un pezzo in un ospedale psichiatrico!”. Essere sarcastici nei confronti di questa tematica purtroppo non cambia la realtà dei fatti: fra l’essere vivaci e iperattivi c’è un’enorme differenza. Il soggetto iperattivo è eccessivamente ingestibile, palesa difficoltà nel rimanere attento, nel controllare i comportamenti impulsivi, ed ha una gestione inadeguato dell’attività motoria. L’ADHD è un disturbo vero e proprio, che ostacola chi ne è affetto, rendendo gravosa la selezione degli stimoli ambientali, la pianificazione delle proprie azioni ed impulsi. L’ADHD è un’affezione neurobiologica cronica con la massima prevalenza in età scolare, ma che tende a perdurare anche in età adulta nel 50-60 % dei casi, specialmente se trascurata e non vengono presi gli adeguati provvedimenti. Attraverso pratiche di neuroimmagine (Tomografia ad Emissione di Positroni e Risonanza Magnetica Funzionale) e studi di genetica molecolare, si è potuto evincere che l’ADHD è realmente un disturbo di origine biologica, che interessa la corteccia prefrontale e i nuclei della base, provocando una modificazione nell’elaborazione delle risposte agli stimoli ambientali e nella capacità di concentrazione. 1.3 Cos’è realmente l’ADHD L’ADHD non è una sintomatologia trascurabile, che si risolve con l’età. L’iter naturale del disturbo è infatti caratterizzato da persistenza fino all’età adolescenziale in circa due terzi dei casi e fino all’età adulta in circa un terzo o la metà dei soggetti conclamati. Molti di coloro che non sono più compresi nella descrizione clinica dell’ADHD hanno ancora notevoli problematiche nell’adattarsi a scuola, nel lavoro, o in atri contesti sociali. 10 L’ADHD si lega significativamente a disturbi dell’adattamento sociale (alcoolismo, personalità antisociale e criminalità), a problemi psichiatrici ed a basso livello di occupazione. Anche se tale accostamento è strettamente vincolato al contesto di sviluppo del bambino, la persistenza del disturbo, anche dopo la pubertà, sembra indicare una peggior prognosi psicosociale. Per ciò che concerne i problemi relazionali, gli insegnanti, i genitori e gli stessi coetanei convengono che i bambini con ADHD hanno anche difficoltà nelle relazioni interpersonali (Pelham e Millich 1984). Vari studi di tipo sociometrico hanno avvalorato che bambini affetti da deficit di attenzione, con o senza iperattività, ricevono minori apprezzamenti e maggiori rifiuti dai loro compagni di scuola e di gioco ( Carlson et al.,1987). Se il bambino con questa affezione assume un ruolo attivo, riesce ad essere collaborante e propenso al mantenimento delle relazioni di amicizia; se, invece, il suo ruolo diventa passivo e non ben definito, egli diviene più contestatore e incapace di comunicare in modo proficuo con i compagni. I fallimenti scolastici, sociali e familiari che il bambino ADHD collezionerà nella sua vita, favoriranno inevitabilmente l’insorgere di tratti provocatori ed oppositivi che rappresenteranno un aspetto molto critico della sindrome: i soggetti, infatti, che presentano comportamento da deficit di attenzione, iperattività e aggressività, saranno individui più a rischio di altri nello sviluppare comportamenti devianti, nell’incorrere in problemi nell’uso di alcool e/o sostanze stupefacenti, o con la giustizia o nell’uso di alcool e/o sostanze stupefacenti (Taylor et al.,1996). Nell’ultimo decennio, alcuni studi basati sulle moderne tecniche di elaborazione di immagini hanno mostrato le regioni del cervello il cui cattivo funzionamento spiegherebbe la sintomatologia dell’ADHD. Stando a queste ricerche, parrebbero coinvolti: la corteccia pre-frontale, almeno due gangli della base e parte del cervelletto. In uno studio condotto nel 1996, Castellanos, Rapoport e i loro collaboratori del National Institute of Mental Health, hanno appreso che la corteccia pre-frontale destra e due gangli della base, il nucleo caudato e il globo pallido, sono 11 decisamente meno sviluppati del normale nei bambini affetti da ADHD. E’ stato scoperto inoltre che in questi bambini anche il verme cerebellare è più piccolo del normale. I dati forniti dalle immagini sono significativi, in quanto le aree cerebrali ridotte nei soggetti affetti da ADHD sono esattamente quelle che gestiscono l’attenzione. Ricerche di genetica molecolare hanno evidenziato molti geni che potrebbero essere coinvolti nella suscettibilità a sviluppare tale patologia. In particolare, pare che questo disturbo possa essere ricondotto ad un’anomalia nella cascata dopaminergica caratterizzata dalla presenza di tratti ipodopaminergici. I farmaci assunti nel trattamento inducono il rilascio di dopamina. L’allele mutato A1 del gene DRD2 previene l’espressione del normale posizionamento dei recettori della dopamina, nei siti addetti ai meccanismi di ricompensa. Alterazioni dei circuiti di gratificazione e ricompensa predisporrebbero ad atteggiamenti impulsivi come la tendenza a correre alti rischi. La parte destra della corteccia pre-frontale, ad esempio, è coinvolta nella volontà di resistere alle distrazioni, nella programmazione del comportamento e nello sviluppo della consapevolezza di sé e del tempo. Il globo pallido ed il nucleo caudato agiscono bloccando le risposte automatiche per permettere una decisione più accurata da parte della corteccia e per coordinare gli impulsi che, tramite i neuroni, attraversano le diverse regioni della corteccia. Il ruolo del verme cerebellare non è ancora del tutto chiaro, ma mediante indagini recenti si ritiene che sia coinvolto in processi attentivi. La dopamina, un neurotrasmettitore, è secreta dai neuroni in determinati hot spot del cervello per inibire o modificare l’attività di altri neuroni, in particolare di quelli addetti all’emozione e al movimento. Alcuni studi di particolare interesse mettono in evidenza il ruolo svolto dai geni target per la produzione dei recettori e dei neurotrasmettitori della dopamina. Questi geni operano molto nella corteccia prefrontale e nei gangli basali. I ricettori della dopamina, presenti sulla superficie neuronale, si legano al proprio neurotrasmettitore e diffondono l’informazione. I carrier della dopamina sporgono dai neuroni che secernono il neurotrasmettitore e recuperano la dopamina inutilizzata, affinché possa essere nuovamente 12 impiegata. Mutazioni del gene per il recettore della dopamina rendono i recettori meno suscettibili ad essa; al contrario, mutazioni del gene per il trasportatore del neurotrasmettitore dopamina li rendono smodatamente attivi facendo sì che essi degradino la dopamina secreta prima che essa si leghi agli specifici recettori situati in un neurone attiguo. Edwin H. Cook e i suoi colleghi dell’università di Chicago, nel 1995, riportarono che i bambini ADHD avevano una maggiore possibilità di manifestare una particolare variante del gene SLC6A3 per il trasportatore della dopamina DAT1, responsabile del trasporto trans-neuronale e del re-uptake. Nel 1996, Gerald J. LaHoste dell’Università della California, Irvin e i suoi collaboratori videro che nei bambini affetti da ADHD era piuttosto abbondante una variante del gene per i recettori dopaminergici D2 e D4, il cui polimorfismo spiegherebbe le varianti cliniche dell’ADHD. In conclusione, si potrebbe affermare che le variabili genetiche e di struttura cerebrale osservate nei bambini affetti da ADHD portino agli atteggiamenti tipici dell’affezione associati a iperattività riducendo la capacità di inibire comportamenti non adeguati e di autocontrollo, il che, a giudizio di Barkley, è il deficit centrale nell’ADHD. L’autocontrollo (ossia la capacità di arrestare o di posporre le immediate risposte emotive e motorie ad un evento) è sostanziale per l’esecuzione di qualsiasi compito. Per raggiungere un obiettivo nel gioco o nel lavoro, per esempio, bisogna essere in grado di rammentare lo scopo (retrospezione), di riconoscere ciò che serve per raggiungere quell’obiettivo (previsione), di frenare le emozioni e di motivarsi. Se una persona non è in grado di evitare l’interferenza di impulsi e pensieri, nessuna di queste attività può essere portata a compimento con successo. Nei primi anni dalla nascita, le funzioni esecutive vengono eseguite in modo esterno: i bambini parlano tra sé a voce alta riportando alla mente un compito, o interrogandosi su un quesito da risolvere. Maturando, imparano a interiorizzare e a rendere private le funzioni esecutive, nascondendo agli altri i loro pensieri. Gli individui con ADHD, invece, appaiono senza i “freni” necessari per non esternare, davanti ad altre persone, la concretizzazione delle funzioni esecutive. 13 1.4 La diagnosi La diagnosi di ADHD è di tipo clinico e compete al neuropsichiatra, che la determina raccogliendo in modo attento tutte le informazioni provenienti da fonti multiple (insegnanti, genitori, educatori) utilizzando interviste semi preimpostate e/o questionari standardizzati sui diversi aspetti del comportamento sociale del bambino. Il colloquio con genitori e bambino permette di immagazzinare informazioni, le quali possono avvalorare, attenuare, o smentire il sospetto di ADHD e sono utili per verificare la comorbidità di altri disturbi associati. È fondamentale attuare l’esame medico e neurologico, considerando l'esistenza di possibili patologie correlate, valutare l’apprendimento scolastico e le abilità cognitive, stimare in modo oggettivo le capacità di pianificazione delle attività e di autocontrollo; può essere d’aiuto pure valutare la possibile presenza di disturbi del linguaggio. Non esiste quindi un unico elemento di analisi in grado di individuare la presenza della patologia. La diagnosi si deve basare sulla raccolta di più elementi, quali: un’accurata anamnesi, incontri con i genitori, gli insegnanti ed il bambino, esame medico e valutazione neuropsicologica attraverso protocolli specifici. Le interviste cliniche abbracciano tutti i settori della vita del bambino, con lo scopo di fare chiarezza sul suo problema e mirano, inoltre, a far emergere una serie di problematiche, fondamentali per il successivo iter diagnostico e terapeutico. Sono assolutamente utili scale e test di valutazione comportamentale per stimare la gravità del disturbo, compilate da educatori ed insegnanti. 1.4.1 Ulteriori metodi di diagnosi Non esistono test diagnostici specifici per questo disturbo: la caratterizzazione e misurazione delle capacità di attenzione prolungata, di pianificazione, di inibizione delle risposte automatiche (funzioni neuropsicologiche localizzate nei 14 lobi frontali) e dei processi di apprendimento consentono una più precisa caratterizzazione della sindrome ed una migliore impostazione dei piani di trattamento. Va sottolineato che il disturbo cognitivo non è limitato all’attenzione; l’elemento caratterizzante sembra essere piuttosto quello di un deficit dei processi di controllo e regolazione strategica delle risposte cognitive (le cosiddette funzioni esecutive), che si riflettono su diversi ambiti del funzionamento dell’intelligenza (attenzione, memoria, ecc.). La più recente raccolta di strumenti diagnostici per il Disturbo di Attenzione/Iperattività è la Batteria Italiana per l'ADHD (BIA, Marzocchi, Re e Cornoldi, 2010). Si tratta di sette test e di una serie di questionari con taratura italiana utili per l'individuazione e comprensione dei problemi specifici dei bambini con ADHD. I test solitamente somministrati sono: test di attenzione sostenuta visiva (CP) e uditiva (TAU), test del comportamento impulsivo (MF), test per la valutazione dei processi di controllo (test delle ranette, inibizione motoria), test di Stroop (inibizione risposta prepotente), Completamento Alternativo di Frasi (CAF) e test di Memoria Strategica Verbale (TMSV). Il gruppo di ricerca, col quale collaboro, ha abbracciato la scelta strategica di somministrare i primi tre test citati poc’anzi, ossia: Test CP, TAU e MF con l’intento di effettuare sia un test che un re-test dei soggetti, prima e dopo essersi conclusa la sessione di training con Neurofeedback. Va sottolineato che, oltre alla somministrazione dei test e delle scale di valutazione, l’esame obiettivo neurologico è sempre necessario: molti soggetti con ADHD presentano infatti alcuni “soft neurological signs”, come scarsa coordinazione e asimmetria dei riflessi profondi. Bisogna inoltre considerare che ogni forma di deficit sensoriale parziale, sia uditivo che visivo, o un deficit nello sviluppo linguistico, o un disturbo specifico dell’apprendimento, un livello intellettivo borderline o un ritardo mentale possono determinare un disturbo dell’attenzione. Esistono inoltre patologie che possono più facilmente collegarsi a sintomi di ADHD, come alcune forme di epilessia, disturbi tiroidei, traumi cranici, alcune facomatosi (come ad es. neurofibromatosi di tipo 1), nascita pretermine, disturbi del sonno ed anche alcuni farmaci (benzodiazepine, antiepilettici, anti-istaminici). 15 1.5 Condizioni avverse che possono associarsi alla sintomatologia dell'ADHD Un disturbo come l’ADHD si differenzia dai disturbi sopra elencati per il suo essere pervasivo nei diversi ambienti sociali, per la precocità, per la scarsa capacità di finalizzare l’iperattivismo in attività positive e costruttive, ma maggiormente per l’accentuata interferenza sul funzionamento scolastico, sociale, familiare e nel tempo libero. Esistono condizioni ambientali particolarmente avverse che possono associarsi alla sintomatologia dell'ADHD, come condizioni familiari caotiche, in cui i genitori dimostrano incoerenza nei metodi educativi, contesti sociali degradati, oppure condizioni educative incongrue (come un’ipostimolazione), condizioni psicopatologiche (depressione materna), inadeguatezza dell’organizzazione scolastica (eccessiva rigidità), o problemi familiari situazionali (come divorzi traumatici). In questi casi si osserva molto spesso un'interazione tra eventi negativi e condizioni di vulnerabilità costituzionale (come una carenza nei processi di controllo inibitorio), che aumentano la sensibilità di tali eventi esterni. Per gestire il problema della diagnosi e della terapia è di fondamentale importanza un lavoro sinergico di tutte le figure professionali coinvolte e fondamentale risulterà la collaborazione dei genitori. 1.6 Trattamento farmacologico Se il medico curante responsabile della salute psichica del bambino affetto da ADHD ritiene che la severità e il perseverare del quadro sintomatologico siano significativi, può ritenere opportuno considerare l’utilizzo di un trattamento farmacologico. Sono state numerose le polemiche riguardo alla somministrazione di farmaci ai bambini, ma gli psicostimolanti, assunti responsabilmente, risultano tuttavia essere tutt’ora la terapia più efficace per i bambini con tale disturbo, poiché si apprezza un miglioramento nel 70-90% dei casi. Il trattamento farmacologico per eccellenza è quello con gli stimolanti, soprattutto con il Metilfenidato, altrimenti 16 chiamato Ritalin. In Europa, dove le restrizioni legali hanno limitato l’utilizzo del farmaco, i clinici (Taylor et al., 1998) consigliano un primo intervento basato su severi ed intensi approcci psicosociali, i quali, però, non precludano anche l’uso degli psicostimolanti (Santosh e Taylor, 2000). Generalmente i farmaci favoriscono l’aumento della vigilanza e dei processi di attenzione e si dimostrano particolarmente indicati nei casi più critici. Il trattamento necessita ad ogni modo di essere portato avanti nel tempo e non modifica quelle che sono le preesistenti interazioni negative con l’ambiente. Gli effetti del Metilfenidato sono visibili già dopo un’ora dall’ingestione del farmaco e gli effetti perdurano per 3-5 ore: è opportuno dunque assumere il farmaco per 23 volte al giorno. Di solito il Ritalin si somministra durante alcuni periodi dell’anno e la dose cambia a seconda del peso (0,3 mg per ogni kg del soggetto). I risultati più incoraggianti e positivi sono stati riscontrati nei bambini tra i 6 e i 12 anni, soprattutto in termini di migliori capacità attentive e di autoregolazione del comportamento. In letteratura si riporta che gli effetti terapeutici non subiscono un decremento con l’uso prolungato, la dipendenza e l’abuso sono praticamente inesistenti (Barkley et al., 1990). È stato anche dimostrato che la farmacoterapia dell’ADHD riduce il rischio di abuso di sostanze in adolescenza (Santosh e Taylor, 2000). Un recente studio decennale (Biederman et al., 2009) evidenzia che la somministrazione di stimolanti ai soggetti con ADHD riduce il rischio che, crescendo, essi sviluppino altri disordini psichiatrici come, ad esempio, la depressione. 1.7 Terapie innovative: Neurofeedback con EEG Il trattamento farmacologico con Ritalin rappresenta ad oggi ancora la terapia principe, tuttavia vi sono soggetti per i quali esso risulta non efficace, o improponibile per via di effetti collaterali, oltre alla comprensibile riluttanza da parte dei genitori che i loro figli assumano farmaci così precocemente e che la terapia farmacologica venga protratta lungamente nel tempo. Il Neurofeedback si è proposto come alternativa al trattamento farmacologico e, soprattutto negli 17 ultimi decenni, si stanno accumulando le prove a sostegno della sua efficacia anche su lungo periodo. Il Neurofeedback opera mediante la modulazione delle onde cerebrali. Le onde del cervello sono oscillazioni di potenziale scatenate da fenomeni bioelettrici che avvengono nella corteccia. Queste onde sono registrabili mediante elettrodi posti sullo scalpo (elettroencefalografia EEG), oppure sulla superficie piale (elettrocorticografia EcoG). Questi stessi fenomeni danno luogo anche a campi elettrici registrabili tramite magnetoencefalografia (MEG). L’esegesi classica delle onde cerebrali è che esse rispecchino le risposte postsinaptiche generate in modo sincrono in una popolazione di neuroni piramidali. Molte afferenze eccitatorie (excitatory postsynaptic potential EPSP) o inibitorie (inhibitory postsynaptic potential IPSP) giungono ai dendriti apicali di questi neuroni. I punti d’ingresso e di uscita della corrente che attraversa il neurone prendono il nome, rispettivamente, di ricettacolo e sorgente. Se l’afferenza è di tipo eccitatorio il ricettacolo diventerà elettronegativo e la sorgente elettropositiva, generando così un dipolo. Se l’afferenza, invece, è inibitoria, i dipoli saranno invertiti. Il sommarsi di tali piccoli dipoli genererebbe dipoli sufficientemente grandi da poter essere registrati sul cuoio capelluto. Inoltre, solo i neuroni piramidali della superficie corticale esposta sarebbero in possesso dell’organizzazione geometrica necessaria, affinché si verifichi tale sommazione, differentemente dai neuroni non-piramidali e della corteccia che riveste i solchi. I neuroni eccitatori e inibitori sono proporzionati nella struttura corticale ed entrambi ricevono segnali eccitatori dal talamo. L’attività dei neuroni talamocorticali determina quindi la genesi delle oscillazioni corticali. Nonostante i diversi ritmi EEG siano conosciuti da tempo, il loro significato neurofisiologico ha iniziato ad essere chiarito solo di recente. I parametri EEG indicano lo stato di un soggetto e si modificano a seconda che egli sia sveglio o dorma e in base al compito cognitivo nel quale è impegnato. Questo ci aiuta a capire come lo spettro EEG possa essere utilizzato quale strumento di diagnosi. Nei soggetti affetti da disturbi di carattere psichiatrico, psicologico, o neurofisiologico lo spettro EEG cambia, spesso in modo 18 caratteristico per ciascuna patologia, rispetto a quello registrato su un soggetto sano. In particolare i ritmi EEG potrebbero: . apparire in posti insoliti . presentare frequenze più basse (EEG-slowing) . essere più sincronizzati con altre aree (ipercoerenza) . aumentare in ampiezza (ipersincronizzazione) Si può verificare anche un anomalo rinforzo degli usuali meccanismi di sincronizzazione, generando schemi ricorrenti di picchi (spike), o di picchi alternati ad onde lente, indice di foci che potrebbero causare crisi epilettiche. Le procedure tradizionalmente utilizzate per il trattamento dell'ADHD si focalizzano su determinati ritmi elettrici cerebrali, alterati nell’ADHD: . Alpha: presenta un’attività eccessiva, nelle regioni posteriori, centrali o frontali. . Beta: attività ridotta, sia durante compiti che richiedono concentrazione che a riposo. . Delta: attività eccessiva, nelle regioni centrali o centro-frontali. Di recente sono stati condotti studi per valutare l'effetto sull'ADHD dei protocolli theta/beta e della regolazione dei Potenziali Corticali Lenti (Slow Cortical Potentials SCPs) (Gevensleben et al. 2009a; 2009b). Il modello theta/beta mira a diminuire il rapporto tra questi due tipi di onde cerebrali per favorire l’attenzione focalizzata ma rilassata, modulando aspetti tonici dell’arousal corticale. In EEG si osserva una diminuzione di attività theta nella parte posteriore della linea mediana in seguito a training con Neurofeedback. 19 CAPITOLO 2 NEUROFEEDBACK “Any sufficiently advanced technology is indistinguishable from magic”-Arthur Clarke, “Problems of the future”. Con il termine di biofeedback ci si riferisce ad una serie di pratiche che, sfruttando determinati input fisiologici, permettono all’individuo di venire a conoscenza del proprio stato psico-fisico e di migliorarlo. Il Neurofeedback è un particolare tipo di biofeedback che adopera come segnale determinate onde cerebrali registrate con l’EEG. Tramite condizionamento operante, il soggetto impara a modificare i propri parametri, modulando a livello neuronale i meccanismi di inibizione ed eccitazione che sottostanno ad essi. Il training è preceduto da un’attenta analisi del soggetto: è fondamentale stabilire le caratteristiche comportamentali, psicologiche e cognitive, nonché l’attività elettrica del cervello. Durante l’allenamento i segnali bioelettrici corticali sono registrati da due o più elettrodi posti sullo scalpo, o sulla fronte, amplificati e processati da un software apposito. Il soggetto riceve immediatamente un feedback, che si manifesta in forma visiva o uditiva, che indica se l’attività elettrica cerebrale sia o meno nei parametri confacenti. I valori di frequenza apprezzabili sono stabiliti precedentemente dallo sperimentatore. Tramite un feedback appropriato, l’individuo può così imparare a veicolare la propria attività in una direzione che porti a benefici a livello emozionale, cognitivo e comportamentale. E’ necessario che venga spiegato al soggetto preso in esame che il feedback ricevuto è direttamente influenzato dalla propria attività cerebrale. Non si è mai pienamente coscienti di quali meccanismi permettano di attuare la corretta modificazione, tuttavia con la pratica si impara a riconoscere una sensazione significativa (felt sense) associata allo stato mentale ottimale. Con un training costante ed opportuno si impara a riprodurre questa sensazione e quindi il giusto 20 modello di attività cerebrale, anche al di fuori del luogo di sperimentazione, in assenza di un feedback diretto. Normalmente non si forniscono al soggetto istruzioni precise o strategie mentali per controllare il proprio EEG, ma deve lasciarsi guidare dal processo di feedback in modo da riconoscere ed apprendere autonomamente la strategia mentale più efficace per modulare la propria attività cerebrale. Sono state progettate diverse interfacce e feedback più o meno complessi, in modo da essere il più idonee possibile. Il segnale uditivo viene rappresentato, ad esempio, dal suono delle onde del mare o di una bolla che scoppia. Segnali visivi, invece, possono essere semplici barre, la cui altezza è direttamente proporzionale all'ampiezza del ritmo EEG rilevato. Nel caso dei soggetti con disturbo da deficit di attenzione (Attention-Deficit-Hyperactivity Disorder ADHD) si ricorre solitamente a dei videogiochi, la dinamica dei quali è modulata dalle caratteristiche EEG. Per esempio, in un gioco chiamato “Puzzle”, nel momento in cui il bambino mantiene la propria attività cerebrale nel range corretto, le tessere del puzzle si muovono a formare un'immagine completa. Il processo cessa non appena l’attività EEG non raggiunge il livello apprezzato. Lo stesso meccanismo “start/stop” è alla base di molti altri software sviluppati per il Neurofeedback. Per permettere un maggior coinvolgimento, alcuni studiosi stanno introducendo interfacce che sfruttano la realtà virtuale (Gruzelier et al. 2010). 2.1 La storia del Neurofeedback I primi impieghi del Neurofeedback sono stati di tipo clinico, in particolare nel trattamento del disturbo da deficit di attenzione (ADHD) e nell’epilessia. Successivamente, sono stati diffusi dei protocolli specifici anche per curare le dipendenze (SUD), la depressione e di disturbi meno onerosi, come, ad esempio, l’emicrania. 21 Il fisico inglese Richard Caton, nel 1870, scoprì per primo che il cervello genera elettricità (Fig.2) e ciò fu reso possibile grazie ad uno strumento chiamato galvanometro. Fig.2 – Il cervello genera elettricità Negli anni seguenti vennero avviate numerose ricerche sul cervello umano volte all’analisi delle cellule cerebrali e dei loro meccanismi. Hans Berger registrò, nel 1924, grazie all’invenzione di un elettroencefalografo piuttosto basilare, i segnali provenienti dal capo del quindicenne Klaus, suo figlio. Berger sottopose il ragazzo a ben 73 EEG, che furono i primi nella storia ad essere pubblicati. Non certo della precisione delle sue registrazioni, aspettò all’incirca cinque anni prima di proporre i risultati delle sue indagini in un articolo intitolato “On the Elettroencephalogram in Man”. La prima frequenza dell’attività cerebrale che egli rilevò si aggirava intorno ai 10 Hertz (un Hertz: numero di cicli al secondo). Questa frequenza fu denominata inizialmente il “ritmo di Berger”. L’EEG di Berger palesava inequivocabilmente l’inizio e la fine di una qualche attività cerebrale. Nel periodo che va dal 1950 al 1960, i ricercatori R.G.Heath e W.A.Mikle eseguirono la prima elettroencefalografia su soggetti affetti da schizofrenia e incominciarono a osservare i primi risultati a livello terapeutico. Nel ’58, Richard Bach, uno studente universitario, divenne famoso per essere stato il primo uomo capace di controllare le proprie onde cerebrali. Egli si sottopose ai test dello psicologo Joe Kamiya, docente all’Università di Chicago. Kamiya attuò una serie di esperimenti per scoprire se l’essere umano sarebbe stato capace, grazie ad un periodo di training mirato, di discernere e controllare i vari stati mentali e la rispettiva attività cerebrale ad essi correlata. 22 I risultati furono così appaganti da stimolare la ricerca verso questa rotta. L’operato di Kamiya rimase ignoto fino alla pubblicazione di un articolo in “Psycology to-day “, nel 1968. I motivi che accrebbero l’importanza e migliorarono la tecnica del Biofeedback attuale furono sostanzialmente due: l’evoluzione tecnologica degli strumenti impiegati e il rilievo che la ricerca andava sempre più assumendo nel campo medico. Fondamentali furono le ricerche condotte da Barry Sterman pubblicate sul giornale “Brain Research”, nel 1967, ricerche che dimostrarono l’inequivocabile reciprocità tra fisiologia e mente. Nel 1971, Sterman si avvalse del biofeedback sul primo individuo umano riducendo la frequenza degli attacchi epilettici. Sterman scrisse, inoltre, un articolo al riguardo che fu subito divulgato dal giornale “EEG and Clinical Neurophisiology”. Nel 1973, alcuni neurologi e fisici intrapresero a lavorare con Sterman, tra cui Joe Lubar e Robert Reynolds, che utilizzarono il Neurofeedback su soggetti affetti da Deficit di Attenzione. Quello che solo recentemente è stato dato per vero dai neuroscienziati è l’astrazione rivoluzionaria che Sterman e molti altri studiosi avevano già da tempo testato, ossia che il cervello è un organo estremamente plastico e dinamico, capace di infiniti cambiamenti. 2.2 Il cervello e la sua attività elettrica La gamma di frequenze dell’EEG è stata divisa in cinque categorie: Delta: 0,5-4 Hz, Theta: 4-8 Hz,Alpha: 8-13 Hz, Sensorimotoria (SMR): 12-15 Hz, Beta: 1535 Hz , Gamma: 35-50 Hz. Sappiamo che le onde Theta e Delta sono un’attività di onde basse e vengono associate a stati quali la sonnolenza e la fantasticheria. Beta è nota come un’attività di onde veloci, caratterizzata da uno stato di alta solerzia, attenzione focalizzata e concentrazione (Linden, Habib, &Radojevic, 1993). Alpha è associata ad uno stato rilassato di attenzione non focalizzata. 23 I bambini ADD/ADHD producono un eccesso di attività Theta e quantità più basse di attività Beta (Lubar, 1991). Pertanto questi bambini sono neurologicamente inclini ad essere trasognanti e meno inclini ad essere focalizzati e concentrati. L’esercizio con Neurofeedback serve a capovolgere questa anomalia di onde cerebrali in bambini con ADD/ADHD, inibendo la quantità di attività Theta e, simultaneamente, aumentando le attività Beta. Il cervello genera elettricità e le diverse frequenze delle onde cerebrali sono connesse a diversi stati mentali. Si può modificare l’attività elettrica del cervello con la volontà: è questo il tema essenziale sul quale si basa il moderno Neurofeedback, processo mediante il quale si può apprendere come automodulare il proprio sistema nervoso centrale e, pertanto, il proprio stato mentale. Chiamato anche neurobiofeedback, o neuroterapia, esso si avvale di displays che in tempo reale mostrano, attraverso elettroencefalografia (EEG), o mediante emoencefalografia (HEG), l’attività del cervello e insegnano ad autogestire i propri stati mentali. L’EEG usa degli elettrodi posizionati sullo scalpo per misurare le onde celebrali, mentre l’HEG utilizza risonanza magnetica funzionale per immagini o sensori infrarossi per tracciare e misurare l’afflusso di sangue al cervello. Si tratta di un complesso di software e hardware atto al monitoraggio di specifici parametri neurologici e fisiologici con lo scopo di potere successivamente “allenare” il soggetto a controllare detti parametri. L’ autocontrollo verrebbe agevolato tramite i dati derivanti dall’EEG elaborati da un computer. Il computer mostra sul monitor, con un ritardo di pochi millisecondi, l’elettroencefalogramma del paziente, fornendogli in tempo reale un “feedback” dei suoi percorsi elettroneurofisiologici, aiutandolo così nel provare a modificarli. Quando la modulazione procede verso la direzione ricercata, il soggetto viene “rinforzato positivamente” e ciò può avvenire, per esempio, con un segnale acustico. Grazie ad un esercizio costante, dovrebbe essere fattibile attuare regolarmente e in qualsiasi momento questa forma di auto-regolazione. 24 Il Neurofeedback è una terapia psico-fisiologica, non farmacologica, priva di effetti collaterali, non vengono somministrate correnti elettriche, o campi magnetici generati appositamente né sostanze di alcun genere. La terapia consiste unicamente nella percezione attiva del paziente, che apprende gradatamente a modulare la propria attività cerebrale sotto la guida e l’aiuto del terapeuta e del computer. “Il cervello emette diversi tipi di onde, a seconda che stiamo in uno stato di attenzione o di day-dreaming” - spiega Siegfried Othmer, uno scienziato dell’Istituto EEG in Woodland Hills, California - “Lo scopo del Neurofeedback è di fare apprendere al paziente come produrre modelli di onde cerebrali legate all’attenzione. Il risultato: alcune manifestazioni dell’ADHD –impulsività, distraibilità e acting out- diminuiscono.” Il Neurofeedback, dunque, è una via per mezzo della quale un individuo assimila come modulare la frequenza, l’ampiezza e la coerenza degli aspetti elettrofisiologici sottesi al proprio cervello. La meta del training di Neurofeedback è quella di educare l’individuo a percepire specifici livelli di attivazione corticale e come raggiungere volontariamente tali stati: in seguito all’allenamento di Neurofeedback il soggetto diviene consapevole dei diversi stati EEG e diventa abile nel produrli quando richiesto. La metodica del Neurofeedback per il trattamento dell’ADHD è nata negli anni ’80 ed è stata successivamente studiata, perfezionata e attuata con successo in molteplici patologie di interesse neurologico, psichiatrico e nelle sindromi dolorose croniche. Studi su tracciati EEG di bambini ADHD hanno evidenziato in circa il 70% dei casi un’eccessiva attività di onde lente Theta nelle aree frontali, una minor attività delle onde Beta, le frequenze più veloci e responsabili del deficit attentivo e del ritmo sensori motorio, la cui attività è delegata al controllo, all’inibizione e all’autoregolazione motoria. In linea con simili scoperte, analisi di Brain Imaging, sia volumetriche che funzionali, hanno sottolineato una disfunzione del sistema fronto-striatale nell’ADHD, che può chiarire i deficit ai più alti livelli di arousal, controllo motorio, attenzione e inibizione comportamentale. 25 Il lavoro clinico con il disturbo da deficit di attenzione con iperattività e i disturbi dell’apprendimento del Dr Lubar e dei suoi colleghi dell’Università del Tennessee hanno avvalorato che è possibile rieducare il cervello. Il Dr Lubar (1995) ha pubblicato casi di follow-up di dieci anni nei quali ha dimostrato che in circa l’80% dei pazienti il Neurofeedback migliorava in modo significativo i sintomi dell’ADHD e, aspetto promettente, i benefici permanevano a lungo. La Vaque e Rossiter (1995) constatarono che una ventina di sessioni di Neurofeedback procuravano miglioramenti nella concentrazione e nell’attenzione comparabili all’assunzione del metilfenidato; altresì Fuchs et al. (2003) dimostrarono che il Neurofeedback produceva benefici paragonabili al trattamento con farmaci. Linden, Habib e Radojevic(1996) fornirono prove del fatto che quaranta sessioni di Neurofeedback migliorano in modo significativo gli aspetti comportamentali, cognitivi, emotivi, ambientali e sociali in soggetti con tale disturbo, rispetto a un gruppo di controllo il quale non era stato sottoposto ad alcun trattamento (waiting list). Monastra et al. (2002) in un follow-up di un anno su uno studio controllato, scoprirono che il Neurofeedback portava a miglioramenti pure superiori al metilfenidato. L’allenamento con il Neurofeedback per l’ADHD è associato a riduzione dell’impulsività/iperattività, alla diminuzione degli sbalzi d’umore, all’aumento dell’attenzione e della concentrazione, ad aumenti nella memoria e, pure, ad aumenti dei punteggi del QI. Le ricerche degli ultimi trent’anni hanno confermato che l’eccessiva attività delle onde cerebrali lente è la più comune evidenza nelle anomalie elettroencefalografiche nei bambini con ADHD e i dati raccolti sul Q-EEG (EEG quantitativo) hanno confermato ed esteso questa scoperta: soggetti con ADHD e altre affezioni affini tendono a presentare eccessive onde lente, le quali sono, di solito, onde Theta e qualche volta un eccesso di Alpha. Quando nelle parti esecutive, quindi frontali, del cervello è presente un eccesso di onde lente, diventa ostico gestire l’attenzione, le emozioni ed il comportamento. 26 Affiancata all’eccessiva attività delle onde Theta, i bambini con ADHD mostrano una minor attività delle onde Beta e dei ritmi sensitivo-motori (SMR); in complesso, la ricerca del Neurofeedback su bambini ADHD si è concentrata su tre parametri di frequenza: Theta (4-8 Hz), SMR (12-15 Hz) e Beta (15-20 Hz). La logicità del training di inibizione delle Theta deriva dall’eccesso di attività di tali onde presenti nei bambini con ADHD sia mentre riposano, sia durante una performance cognitiva, paragonata a quella di bambini della stessa età. I bambini con ADHD possono essere allenati anche all’aumento dei ritmi sensorimotori (SMR, 12-15 Hz). Le ricerche riportano una correlazione tra la produzione di SMR nella corteccia Rolandica, e l’attività motoria (Sterman et al.1970). Questo, associato alla localizzazione nella corteccia sensorimotoria, ebbe come risultato la classificazione in ritmo sensorimotorio (SMR). Prove che gli SMR inibiscano l’attività motoria derivano dai tetraplegici e dai paraplegici, i quali mostrano un’eccessiva produzione SMR (Sterman et al.1974). Questi risultati hanno fatto pensare che l’immobilità sia la maggiore manifestazione comportamentale delle onde SMR (Sterman e Wyrwicka,1967). Di conseguenza, le prime ricerche sul Neurofeedback si concentravano sull’aumento dell’attività SMR in bambini con ADHD in un tentativo di ridurre i sintomi dei loro comportamenti ipercinetici, con risultati positivi (Luber e Shouse,1976; Shouse e Lubar, 1979). Ulteriori studi hanno mostrato che la produzione volontaria del ritmo SMR richiede al soggetto di stabilizzare e/o sopprimere l’attività motoria mentre resta attento. Questo ha l’effetto di ridurre i comportamenti negativi iperattivi/impulsivi mentre simultaneamente migliora le capacità attentive (Fuchs et al. 2003; Lubar e Lubar,1984; Thompson e Thompson, 1998). Perciò si evince che l’aumento dell’attività SMR potrebbe essere di maggior beneficio per quei bambini i cui comportamenti iperattivi/impulsivi sono preponderanti. La base logica del training per bambini con ADHD per aumentare la loro attività Beta è basata sullo studio che esamina il profilo Q-EEG dei bambini con ADHD, il quale ha rivelato che essi esibiscono meno onde Beta, confrontati con bambini che hanno la loro stessa età (Clarke et al.1978). In 27 aggiunta a ciò è stata proposta l’associazione tra l’attività Beta e l’attenzione (Linden,Habib e Radojevic, 1996). Linden et al. (1996) hanno avanzato l’idea che l’elevata ampiezza Beta possa essere associata a stati di alta concentrazione, vigilanza e attenzione focalizzata. I ricercatori, esaminando i componenti EEG spettrali dei soggetti durante un compito di attenzione selettiva visivo-spaziale, hanno riscontrato un aumento dell’attività delle onde Beta se i soggetti focalizzano l’attenzione su uno stimolo, mentre l’attività è ridotta in caso contrario. (Gomez, Vazquez, Vaquero, Lopez-Mendoza e Cardosio, 1998). Tale sperimentazione ha palesato che, domandando agli individui di dividere la loro attenzione fra due compiti, ciò aveva come risultato una concomitante diminuzione dell’attività Beta (Kristeva-Feige, Fritsch, Timmer e Lucking, 2002). Queste scoperte sono coerenti con la proposta che l’attività Beta possa rappresentare un correlato psicofisiologico dell’elaborazione attentiva (VasquezMarrufo, Vaquero, Cardoso e Gomez, 2001). In conclusione, i bassi livelli di onde Beta prodotti dai Bambini ADHD sono ritenuti avere un effetto negativo sulle loro abilità di focalizzazione e concentrazione. Questo suggerisce che il training dell’attività Beta può essere di beneficio per i bambini che soffrono principalmente di problemi di attenzione e basso arousal. Sono tre i principali parametri di Neurofeedback utilizzati per bambini con ADHD: l’inibizione delle onde Theta e l’aumento dell’attività sia delle onde SMR che delle onde Beta ( Fig.3 ). Fig. 3 – I ritmi delle onde cerebrali 28 2.3 Protocolli per il Neurofeedback Tabella 1.11 2 Protocollo! Theta/Beta Diminuzione del rapporto delle onde theta/beta Frequenze! Theta (4-8 Hz) Beta-1 (13-20 Hz; 15-20 Hz nei depressi)! Elettrodi ! Cz, C3! SCP Induzione di SCPs positivi nella corteccia sensorimotoria Peniston Incremento del rapporto tra onde theta e alpha Corteccia sensorimotoria Cz Theta (4-8 Hz) Alpha (8-13 Hz) Pz Asimmetria alpha. Aumento dell’attività alpha dell’emisfero destro Beta-3. Diminuzione dell’attività beta alta sull’intera corteccia prefrontale SMR-Theta Aumento del rapporto tra ritmi sensorimotori ed onde theta Alpha F3, F4 Effetto! Aumento dell’attenzione focalizzata e rilassata. Aumento della volizione! Aumento di autocontrollo ed inibizione del comportamento Miglioramento comportamenta le in soggetti con dipendenze. Rilassamento Innalzamento del tono dell’umore. Motivo! Aumento tonico dell’arousal corticale. Attivazione della corteccia prefrontale sinistra! Incremento della regolazione dell’eccitazion e corticale Induzione dello stato di Hypnogogia Soggetti! ADHD Depressione (MDD; se nella corteccia prefrontale sinistra)! ADHD Epilessia Alcolisti SUD Aumento di attività correlata all’elaborazion e di emozioni positive Depressione (MDD) Beta-3 (23-38 Hz) Corteccia prefrontale Riduzione dei livelli di ansia Riduzione dell’attività correlata agli stati ansiosi Depressione (MDD) SMR (12-15 Hz) Theta (4-8 Hz) SMR nella corteccia sensorimotoria, fascia centrale; Theta in Cz e C4 Aumento attenzione focalizzata e rilassata. Facilitazione memorizzazion e di compiti motori. Aumento attenzione esecutiva. Velocizzazione dei tempi di reazione. Maggiore inibizione talamocorticale. Induzione di LTP e rinforzo di connessioni sinaptiche nel sonno. Induzione di plasticità nel cingolo anteriore, nella sostanza nera e nel nucleo Soggetti sani 1 Dalla tesi di Laurea in Scienze Biologiche di Leila Haj Abdullah Alieh, “Uso dell’EEG nel Biofeedback”, relatore prof. PP Battaglini 2 !La posizione degli elettrodi è basata sul sistema internazionale 10-20.! 29 UA Incremento di sottobanda di alpha alta a riposo Soggettiva: da IAF a IAF+2 Hz. Indicativament e 10-13 Hz. P3, Pz, P4 Miglioramento dell’esecuzione di performance cognitive. Potenziamento della memoria Protocollo! GBA+ Incremento di attività di onde gamma Frequenze! Gamma (30-100 Hz) Elettrodi! Oz; Fz (per monitorare la coerenza frontooccipitale) Effetto! Incremento d’intelligenza fluida. Maggiore flessibilità nell’integrazio ne di informazioni visive. Facilitazione del ricordo. BBA+ Incremento di coerenza frontooccipitale dell’attività beta. A-T Aumento del rapporto theta/alpha Beta (12-20 Hz) Fz, Oz Facilitazione dei processi mnemonici di familiarità Theta (4-8 Hz) Alpha (8-13 Hz) Pz Aumento della creatività e dell’esecuzione artistica SMR Incremento di potenza dei ritmi sensorimotori. Richiede feedback con Realtà Virtuale. SMR (12-15 Hz) Corteccia sensorimotori a Potenziament o dell’esecuzion e artistica. Potenziament o della concentrazion ee dell’esecuzion e motoria. caudato Incremento della desincronizzazi one alpha durante l’esecuzione del compito Motivo! Potenziamento dei meccanismi di controllo dell’integrazio ne visiva. Rinforzo del ruolo delle aree frontali nel controllo topdown di tracce di memoria immagazzinate nell’ippocampo . Aumento di comunicazione tra LOC, ippocampo e regioni perifrontali Potenziamento della tecnica di imagery, attraverso l’induzione di Hypnogogia Il feedback con Realtà Virtuale permette maggiore coinvolgiment o nell’imagery. Facilitazione dell’esperienz a di stato di Flusso3. Soggetti sani Soggetti! Soggetti sani Soggetti sani Musicisti e ballerini. Attori 3 !Lo stato di Flusso è una condizione in cui il soggetto è totalmente assorbito dall’azione che sta compiendo, è presente nel momento ed è motivato internamente, senza considerare ricompense esterne.! 30 2.4 Scopo della ricerca Il costo cospicuo del trattamento e la variabilità di ogni individuo costituiscono dei grossi limiti alla diffusione delle tecniche di Neurofeedback. A dispetto delle più che incoraggianti previsioni che portarono ai primi successi di questa terapia, ad oggi il Neurofeedback non può ancora essere prospettato come cura principale per questa sintomatologia. Di recente, però, sono comparsi sul mercato strumenti molto economici e facili da usare, sviluppati essenzialmente per il mondo dei videogiochi, i quali rilevano l'attività elettrica corticale per indurre modifiche osservabili e, quindi, utilizzabili per il Neurofeedback. Sono apparecchiature wireless, che utilizzano pochi elettrodi, anche solo due, facili da mettere addosso e con tutta l'elettronica incorporata nella cuffia stessa che li supporta e che assomiglia, in qualche modo, ad una cuffia audio. Il "Neurofeedback per gioco" è un metodo che sta diventando sempre più popolare, grazie a strumenti come Il Mindflex della Mattel. Dove è caratteristico il tenere una palla sospesa in aria con la propria attività cerebrale, o la cuffia Emotiv Epoc, che consente di servirsi di varie applicazioni per l'allenamento mentale. Questi dispositivi sono in via di sperimentazione per la loro capacità di indurre, con opportuno allenamento, cambiamenti positivi dell'attività elettroencefalografica, così da ritardare l'insorgenza, o la progressione del degradamento cognitivo in pazienti neurologici (Lavermicocca et al., 2013; 2014). Si ritiene, dunque, che queste nuove metodologie, semplici da gestire ed attuare, rappresentino il migliore vantaggio per riproporre il Neurofeedback a supporto di qualsiasi altro intervento convenzionale nel trattamento dell'ADHD. Su questa base, si intende indagare, mettere a punto e validare un protocollo per raggiungere detto scopo utilizzando il software Focus Pocus della ditta Neurocog, appositamente creato per essere utilizzato nell'ADHD in abbinamento con la cuffia EEG Mindwave Mobile della ditta Neurosky (Fig. 4). (http://store.neurosky.com/) 31 ! Fig.4 - EEG Mindwave Mobile della ditta Neurosky 2.5 Focus Pocus Focus Pocus è un gioco progressivo, che presenta determinate gratificazioni ad ogni livello. Si gioca per divertirsi, da soli o contro un amico. Il gioco è stato progettato per implementare abilità quali: l'attenzione, il rilassamento, il controllo degli impulsi e la memoria. Ha lo scopo di sviluppare determinati "poteri" attraverso il superamento di 12 giochi diversi, molto coinvolgenti. Questi poteri aiutano a combattere i nemici (ad esempio il drago o il cattivo negromante) e possono anche contribuire a migliorare il comportamento e i risultati scolastici dei bambini. Il livello di difficoltà del gioco è adattivo e regolabile sulle prestazioni del bambino. Focus Pocus interpreta direttamente l'attività elettrica (EEG) dal dispositivo portatile NeuroSky MindWave. E' basato su una licenza ottenuta da NeuroCog presso l'Università di Wollongong, Australia. 32 Fig.5- Immagine esemplificativa di uno dei giochi di Focus Pocus Focus Pocus non è un trattamento terapeutico per l'ADHD o per qualsiasi altro disturbo. Esso offre agli utenti l'opportunità di esercitarsi in importanti processi psicologici quali: la memoria di lavoro, l'attenzione e il controllo degli impulsi, al fine di migliorare le loro prestazioni psicofisiche. Questi processi sono alla base del controllo del comportamento, e migliorandoli si può raggiungere una migliore qualità della vita. Il software controlla e regola il livello di difficoltà per stimolare costantemente l'utente a migliorarsi. Il gioco si presenta in italiano attraverso indicazioni verbali e scritte ed il programma prevede 12 giochi per 3 modalità, suddivisi in 5 livelli ed un gioco finale in cui verranno utilizzati i punti pregressi guadagnati nei vari livelli. Ognuno dei dodici giochi si presenta con le seguenti modalità: 1 focus, 2 relax, 3 zen. Ogni modalità di gioco FOCUS, quella che interessa al nostro gruppo di ricerca, propone i seguenti livelli: 1 easy/facile 2 normal/normale 3 hard/difficile 4 expert/esperto 5 insane/folle. La durata media di un gioco per ciascun livello è di 60 secondi. 33 Di seguito viene riportata una linea guida, stilata dal gruppo di ricerca BRAINew, sull’essenza del gioco e la strumentazione impiegata. 34 35 CAPITOLO 3 CONDUZIONE DELLA RICERCA: GRUPPO BRAINEW PROGETTO NEUROFEEDBACK & ADHD Il gruppo BRAINew, che di recente è stato completamente aggiornato, è composto da studenti universitari e giovani ricercatori interessati a indagare e migliorare le applicazione delle interfacce cervello-computer (Brain Computer Interface). Il laboratorio di Brain Computer Interface è situato presso il Centro BRAIN (Basic Research and Integrative Neuroscience), Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università degli Studi di Trieste. Attualmente il gruppo è impegnato in un progetto pilota, volto a sperimentare l'efficacia di tecniche di Neurofeedback nel migliorare la sintomatologia dell'ADHD nell’infanzia. Il progetto si svolge con la collaborazione e nell'Istituto comprensivo 'Divisione Julia' di Trieste. 3.1 Obiettivi e metodi della ricerca L’obiettivo principale di questa ricerca pilota è quello di verificare l'efficacia di un training di Neurofeedback nel trattamento dell'ADHD. Nello specifico, sono state esaminate le capacità attentive dei soggetti pre e post intervento. Lo scopo del training proposto è stato il potenziamento dell'attenzione visiva, uditiva, selettiva e sostenuta dei ragazzi coinvolti.! La ricerca si è avvalsa di un disegno sperimentale basato su di un gruppo clinico. Il campione esaminato è composto da bambini/ragazzi di età compresa tra gli 8 e 12 anni, ai quali è stato diagnosticato l’ADHD, diagnosi effettuata presso l’IRCCS Burlo Garofolo di Trieste, in base ai criteri del DSM-IV, seguiti per tale motivo presso la SC di Neuropsichiatria Infantile dell’IRCCS Burlo Garofolo. I soggetti riportano un QI maggiore di 70. I bambini sono stati sottoposti a una serie di test e questionari, descritti successivamente e che sono stati proposti prima e dopo le sedute di training. Queste consistevano nella somministrazione di un 36 gioco per computer, Focus Pocus, sviluppato dalla NeuroCog dell’Università di Wollongong, Australia, proprio per allenare alla concentrazione e all’attenzione. Il software è stato progettato per garantire un ambiente gradevole e avvincente per praticare l'attenzione, il rilassamento, esercitare la memoria e controllare l’impulsività. I giochi vengono controllati dall'attività elettrica cerebrale del soggetto, registrata in tempo reale (elettroencefalografia, EEG). La registrazione viene effettuata con una semplice cuffia (MindWave Neurosky, USA), che ricorda in un certo qual modo quelle usate per l’ascolto di musica stereofonica, dotata di un unico elettrodo frontale e da uno di riferimento auricolare. La cuffia comunica con il software tramite una porta bluetooth. 3.2 Soggetti di studio In questa fase sperimentale è stato reclutato un campione di 6 soggetti. Per il gruppo sperimentale sono valsi i criteri di inclusione/esclusione di seguito riportati. Criteri di inclusione: · soggetti di età compresa tra i 7 e i 12 anni, · soggetti con diagnosi di ADHD, stabilita secondo i criteri del DSM-5 (2013), o DSM-IV (2004) o ICD-10 (2000) del sottotipo combinato, · soggetti con comorbidità in cui la diagnosi di ADHD è primaria . soggetti preferibilmente senza trattamento farmacologico. Criteri di esclusione: · soggetti con IQ inferiore a 70 · soggetti con storia di malattie neurologiche e/o fisiche che possano inficiare la partecipazione al trattamento. · abuso di sostanze o di dipendenza . famiglie con notevole discordia coniugale che possa interferire con la partecipazione al processo di trattamento. 37 A livello preferenziale, è stata scelta la fascia di soggetti più giovani e non in trattamento farmacologico. 3.3 Strumenti e batteria testistica La Scheda dati anagrafici/anamnestici, progettata in riferimento ai soggetti appartenenti al gruppo sperimentale ed indicati tramite codice identificativo, è uno strumento per la raccolta dei dati nelle aree di seguito indicate. Area anagrafica: fornisce genere, mese ed anno di nascita, cittadinanza italiana o altra cittadinanza, eventuale adozione del soggetto. Area clinica: indica, per ciascun individuo, la tipologia della diagnosi di ADHD (ADHD-I ovvero sottotipo a prevalenza iperattiva/impulsiva, ADHD-D sottotipo a prevalenza disattentiva, ADHD-C sottotipo combinato), il livello cognitivo, l’eventuale comorbidità con altre sintomatologie (quali DOP- Disturbo Oppositivo Provocatorio, DC- disturbo del comportamento, DSA- Disturbi Specifici dell’apprendimento), la presenza di terapia con psicostimolanti (in corso o pregressa), la presenza di altre eventuali terapie farmacologiche, la partecipazione a un training metacognitivo o a altri interventi psicoterapeutici, la partecipazione dei genitori a percorsi di parent training e/o di terapia familiare. Area scolastica: mostra indicazioni circa la classe e l’ordine di scuola frequentata da ciascun individuo e la tipologia di tempo-scuola scelta (TP tempo pieno, TN tempo normale, TP tempo prolungato, TC tempo corto). Per quanto riguarda la batteria testistica (test/retest) vengono di seguito riportate delle brevi descrizioni dei singoli test somministrati, che fanno riferimento a G.M. Marzocchi, A.M. Re, C. Cornoldi, 2010, BIA- Batteria italiana per l’ADHD per la valutazione dei bambini con deficit di attenzione/iperattività, Erickson, Trento. Il volume raccoglie una serie di strumenti - già collaudati nel campo della clinica evolutiva- che possono essere impiegati a fini diagnostici, o con l’obiettivo di individuare specifiche difficoltà di bambini con profilo ADHD. Il Test CP si ispira al Continuous Performance Test (CPT) ed è atto a valutare le capacità di mantenere l’attenzione in maniera prolungata, mantenendo con 38 continuità un determinato livello di prestazione per un compito semplice, ma prolungato, con o senza interruzioni. Oltre all’attenzione mantenuta, vengono impiegate anche abilità di ricerca visiva e, specificatamente, la focalizzazione dell’attenzione e la sistematicità di analisi percettiva. Il test, rivolto a soggetti di età compresa tra i 6-12 anni, purché abbaino perfettamente acquisito la conoscenza delle lettere, propone tre schede in cui individuare il più rapidamente ed accuratamente possibile un bersaglio composto da una determinata sequenza di tre lettere. La prima scheda, CP1 è costituita da una pagina di lettere, la seconda -CP2- da mezza pagina e la terza - CP3- da quattro righe di lettere. La tripletta da individuare FZB è sempre la stessa e in ogni sezione della prova il numero di target è 18. La somministrazione è individuale e va cronometrato il tempo che ogni soggetto impiega per ciascuna fase della prova. Il calcolo del punteggio di ciascuna sezione viene effettuato tenendo conto dei seguenti parametri: - CP Trovati, ossia il numero di triplette correttamente individuate; - CP Falsi positivi, ovvero triplette scorrette o semplici lettere segnate erroneamente; - CP Omissioni, desumibile sottraendo il numero delle triplette individuate dal totale dei bersagli (18); - CP Tempo, cioè la quantità di tempo impiegata dal soggetto per terminare la prova, calcolata in secondi. I dati ottenuti vanno poi comparati con i dati normativi ottenuti dal campione di standardizzazione, distinto per età. 39 Fig.6(a,b,c)- Fogli di somministrazione Test CP Il Test di Attenzione Uditiva TAU deriva dal test Score contenuto nella Batteria di Manly et al. (1998) Test of Everyday Attention for Children (TEA-Ch). Il test, rivolto sempre a soggetti di età compresa tra i 6-12 anni, valuta l’attenzione uditiva sostenuta con particolare riferimento alle abilità di attenzione mantenuta su suoni ripetuti per brevi sequenze, a loro volta ripetute. Coinvolge, inoltre, altri processi cognitivi tra cui: “la memoria di lavoro per il trattenimento dell’informazione uditiva (ovvero l’ultimo numero corrispondente alla quantità di suoni fino ad allora contati), il recupero fonologico della stringa di fonemi corrispondenti al numero da ricordare e l’aggiornamento mentale per far avanzare il conteggio dei suoni (processo che consente di aggiornare le informazioni immagazzinate in memoria e di inibire le informazioni irrilevanti). (Marzocchi et al., 2010, p.28) Prima della somministrazione è necessario far ascoltare al soggetto due esempi pratici (2 tracce file audio) e assicurarsi che sappia contare fino a quindici. Successivamente viene richiesto al soggetto di ascoltare dei suoni (simili agli spari di un videogioco), in silenzio, di contarli mentalmente senza l’ausilio delle dita. Al termine di ciascuno dei dieci task, viene richiesto al soggetto di indicare quanti suoni ha sentito. Ogni esercizio propone dagli otto ai quindici toni identici, 40 della lunghezza di 345 ms, intervallati da pause di silenzio di durata variabile tra i 500-5000 ms. Il computo del punteggio viene effettuato considerando il numero delle risposte corrette; lo score va da 0 a 10. I dati ottenuti vanno poi comparati con i dati normativi ottenuti dal campione di standardizzazione distinto per età. Fig. 7- Foglio di scoring test TAU Il Test MF20 predisposto da Cornoldi et al. (1996), costituisce un adattamento originale italiano del MFFT-20 Matching Familiar Figures Test (Kagan, 1966). E’ una prova di confronto tra figure che richiede l’impiego di diversi processi cognitivi quali: strategie di ricerca visiva, attenzione sostenuta, controllo della risposta impulsiva. La prova, rivolta a soggetti di età compresa tra i 6-14 anni, è costituita da 20 item, ognuno dei quali presenta una figura modello e contemporaneamente 6 possibili alternative; lo scopo è di riconoscere l’originale. Le figure rappresentano oggetti di vita quotidiana ed alcune sono poco elaborate, mentre altre sono ricche di particolari. L’esaminatore propone al soggetto due prove esemplificative e poi procede con il test vero e proprio. Per ogni item viene presentato il modello e le sei possibili alternative tra cui individuarlo e viene considerato il tempo a partire dalla presentazione delle immagini. Nel foglio di registrazione vengono riportate le risposte (errate e corrette) ed il tempo di latenza, ovvero il tempo che intercorre tra la presentazione delle immagini e la prima risposta offerta, giusta o sbagliata che sia. Per i calcolo del punteggio vengono considerati due indici: - il numero delle risposte errate, sommando gli errori commessi nei 20 item; - il tempo di latenza, ovvero la somma dei tempi di latenza ottenuti alla prima risposta e divisi per i 20 item (punteggio medio). I dati ottenuti vanno poi 41 comparati con i dati normativi ottenuti dal campione di standardizzazione distinto per età. Fig.8(a,b) – Foglio di somministrazione Test MF Il Software Focus Pocus associato alle Cuffie Mindwawe mobile. La procedura sperimentale prevede l’utilizzo di tecniche di Neurofeedback per esercitare l’attenzione. Il dispositivo NeuroSky MindWave EEG fornisce informazioni sul livello corrente di attenzione e i dodici giochi sono progettati per motivare e premiare la capacità di controllo sui propri ritmi cerebrali. I giochi sono stati proposti secondo una sequenza prefissata e di complessità crescente. In ogni seduta è stato redatto un protocollo con il tipo di giochi somministrati, la percentuale di successo e la durata della seduta, in media di 60 minuti. Il Protocollo di registrazione del training con Neurofeedback è uno strumento che accompagna ognuna delle 10 sedute di training, e che indica -per ciascuna delle proposte ludiche- il livello in modalità focus, il numero di stelle acquisite al termine del gioco, il focus medio e il focus massimo registrato al termine della performance del soggetto. Prevede, inoltre, la possibilità di registrare altri elementi ottenuti al termine del gioco se previsti dallo stesso (quali ad es. 42 posizione al traguardo, giudizio sul lavoro svolto, ecc.). Ai fini dello studio vengono presi in considerazione soprattutto i dati emersi in riferimento al numero di stelline e al focus medio e massimo che il partecipante ha ottenuto al termine di ogni sfida. Il Questionario di gradimento alunni , composto da 7 item, è stato presentato ai ragazzi al termine del training. Ai soggetti coinvolti è stato chiesto di esprimere la propria opinione rispetto ad alcuni aspetti (motivazione, utilità, qualità delle relazioni, suggerimenti...) relativi all'esperienza a cui hanno partecipato. Il Questionario di gradimento genitori, composto da 7 item, è stato proposto ai genitori dei soggetti coinvolti al fine di indagare se le modalità informative, organizzative e relazionali instaurate durante il percorso siano state adeguate. Inoltre è stata richiesta l'opinione dei genitori sull'utilità del trattamento e sono stati raccolti eventuali suggerimenti.! ! La Scala SDAG genitori e la Scala SDAI insegnanti, sono strumenti già ampiamente utilizzati in Italia per raccogliere informazioni sulla presenza di classici sintomi di disattenzione e iperattività/impulsività in riferimento a quanto riportato dai Manuali diagnostici. Le scale (Cornoldi et al. 1996) sono tra le più impiegate per la valutazione dei comportamenti ascrivibili al quadro clinico degli ADHD in contesto familiare e scolastico. Entrambe sono composte da 18 item, basati sui sintomi descritti dal DSM-IV e APA 1994, a cui genitori ed insegnanti sono stati chiamati a rispondere dando una valutazione da 0 a 3 (mai, qualche volta, abbastanza spesso, molto spesso). I due questionari si compongono di due sottoscale, una riferita alla disattenzione (item dispari) e una all’impulsività/iperattività (item pari). Le scale sono state consegnate ai genitori e ai docenti suggerendo loro di visionare gli item, osservare il soggetto per alcuni giorni e procedere poi alla compilazione del questionario. Per lo scoring del punteggio è sufficiente sommare i punteggi di ogni singolo item di ognuna delle due sottoscale, ottenendo così uno score per ognuna delle sub-scale (punteggio massimo per ciascuna scala: 27). Viene considerato problematico un soggetto che 43 ottiene un punteggio pari o superiore a 14 in almeno una delle due sottoscale, cioè che abbia una media pari o superiore a 1,5 per ciascun item. 3.4 Spazi, luoghi ed intervento di training Le sedute hanno avuto luogo negli spazi della scuola secondaria di primo grado Divisione Julia di Trieste. Tale scelta è funzionale al fatto che si sia volutamente evitato uno spazio clinico e contemporaneamente la dimensione strettamente scolastica. Gli incontri si sono tenuti su base volontaria e in orario pomeridiano. Grande attenzione è stata data al setting ed in tal senso è stata scelta un’aula tranquilla e priva di fonti di distrazione; il soggetto è stato accolto in un clima sereno e fatto accomodare di fronte allo schermo di un computer. L’intervento di training con Neurofeedback si è sviluppato secondo le seguenti modalità: •! 2 sedute settimanali •! durata di ogni singola seduta: 60’ •! sedute totali: 10 •! periodo di trattamento di 2 mesi circa (in ottemperanza al calendario delle festività, al calendario scolastico ed a particolari esigenze emerse in itinere) •! reclutamento individuale, sulla base dei criteri di inclusione ed esclusione riportati precedentemente •! riunione informativa ed esplicativa coordinata dal gruppo di lavoro con i genitori e i ragazzi partecipanti allo studio: esplicitazione delle finalità e delle modalità organizzative del training, presentazione del consenso informato accompagnato da una scheda informativa sulla ricerca (che resta ai partecipanti, completa di contatti dei referenti del gruppo di lavoro), calendarizzazione del training •! inizio del training con una seduta di somministrazione dei test ai ragazzi •! percorso di training con i ragazzi •! monitoraggio in itinere •! retest proposto ai ragazzi con modalità in presenza •! somministrazione di un questionario qualitativo ai ragazzi •! somministrazione di un questionario qualitativo ai genitori 44 3.5 Dati e risultati Trattandosi di un progetto pilota, sono stati reclutati 6 soggetti, dei quali 4 hanno completato le procedure previste. Troppo pochi per un’indagine statistica adeguata, ma lo scopo dichiarato era quello di mettere a punto un primo protocollo operativo. Ad ogni modo i risultati ottenuti nei re-test sono stati molto positivi ed incoraggianti, tanto che il gruppo di ricerca BRAINew si è posto l’obiettivo di portare avanti questo studio ampliando il numero di soggetti da esaminare e proponendo pure l’impiego di nuovi software, oltre a Focus Pocus, per stimolare sempre di più e al meglio i ragazzini che parteciperanno al progetto. In ottemperanza alle norme vigenti sulla privacy, ad ogni bambino è stato assegnato un codice identificativo e di seguito vengono riportati i dati anagrafici dei soggetti nella fase di prima somministrazione dei test: NUMERO CODICE GENERE ANNI MESI 1 AN101F Femmina 11 3 2 AN102M Maschio 9 8 3 AN103M Maschio 8 6 5 AN105M Maschio 7 6 Di seguito vengono riportati i risultati ottenuti nella prima somministrazione dei test: Test CP1 CODICE BERSAGLI CORRETTI FALSI POSITIVI NUMERO OMISSIONI TEMPO (s) AN101F 15 0 3 108 AN102M 18 0 0 230 AN103M 17 0 1 308 AN105M 15 0 3 289 45 Test CP2 CODICE BERSAGLI CORRETTI FALSI POSITIVI NUMERO OMISSIONI TEMPO (s) AN101F 16 0 2 104 AN102M 16 1 2 186 AN103M 12 0 6 198 AN105M 11 0 7 163 CODICE BERSAGLI CORRETTI FALSI POSITIVI NUMERO OMISSIONI TEMPO (s) AN101F 18 0 0 106 AN102M 14 0 4 163 AN103M 18 0 0 275 AN105M 6 0 12 74 CODICE BERSAGLI CORRETTI TOTALI FALSI POSITIVI TOTALI NUMERO OMISSIONI TOTALI TEMPO TOTALE (s) AN101F 49 0 5 318 AN102M 48 1 6 579 AN103M 47 0 7 781 AN105M 32 0 22 526 Test CP3 Test CP: 46 CODICE MEDIA OMISSIONI NORMA MEDIA OMISSIONI DEVIAZIONE STANDARD PERCENTILE AN101F 5,65 5,62 30 AN102M 4,57 4,69 Tra 10 e 20 AN103M 6,56 6,2 Tra 20 e 30 AN105M 8,34 7,71 <5 CODICE TEMPO TOTALE TEMPO MEDIO NORMA TEMPO MEDIO DEVIAZIONE STANDARD AN101F 318’’ 293,38’’ 78,3 Tra 60 e 70 AN102M 579’’ 397,51’’ 105,46 >90 AN103M 781’’ 435,7’’ 123,55 >90 AN105M 526’’ 493,91’’ 153,3 Tra 60 e 70 PERCENTILE Test TAU: CODICE PUNTEGGIO TOTALE MEDIA NORMALE DEVIAZIONE STANDARD NORMALE PERCENTILE AN101F 7 9,28 1,03 <10 AN102M 8 8,52 1,72 Tra 20 e 30 AN103M 9 8,52 1,72 60 AN105M 7 6,92 2,61 40 47 Test MF20: CODICE ERRORI MINIMO/ MASSIMO NORMALE MEDIA NORMALE DEVIAZIONE STANDARD PERCENTI AN101F 14 Tra 0 e 16 5,56 3,8 <5 AN102M 6 Tra 0 e 30 8,39 5,3 Tra 60 e 70 AN103M 14 Tra 0 e 24 10,16 5,24 20 AN105M 25 Tra 0 e 35 15,34 8,1 Tra 10 e 20 CODICE TEMPO TOT MIN MAX MEDIA NORMALE NORMALE MEDIA DS NORMALE % AN101F 4’40’’ 7,30-49,35 14 7,81 Tra 20 e 19,94 30 AN102M 8’5’’ 4,30-39,20 17,9 24,25 7,12 Tra 80 e 90 AN103M 11’08’’ 3,90-44,80 16,1 33,4 8,12 >90 AN105M 3’8’’ 4,00-46,35 14,55 9,4 8,83 Tra 30 e 40 Sono riportati i risultati dei re-test dei soggetti di studio dopo le 10 sedute con Neurofeedback: NUMERO CODICE GENERE ANNI MESI 1 AN101F Femmina 11 5 2 AN102M Maschio 9 10 3 AN103M Maschio 8 8 5 AN105M Maschio 7 8 48 Risultati re-test CP1: CODICE BERSAGLI CORRETTI FALSI POSITIVI NUMERO OMISSIONI TEMPO (s) AN101F 17 0 1 112 AN102M 17 0 1 71 AN103M 17 0 1 220 AN105M 12 0 6 110 Risultati re-test CP2: CODICE BERSAGLI CORRETTI FALSI POSITIVI NUMERO OMISSIONI TEMPO (s) AN101F 17 0 1 93 AN102M 17 0 1 103 AN103M 11 2 7 190 AN105M 9 0 9 51 Risultati re-test CP3: CODICE BERSAGLI CORRETTI FALSI POSITIVI NUMERO OMISSIONI TEMPO (s) AN101F 17 0 1 117 AN102M 18 0 0 77 AN103M 16 0 2 230 AN105M 7 0 11 74 49 Re-test CP: CODICE BERSAGLI CORRETTI TOTALI FALSI POSITIVI TOTALI NUMERO OMISSIONI TOTALI TEMPO TOTALE (s) AN101F 51 0 3 322 AN102M 52 0 2 251 AN103M 44 2 10 640 AN105M 28 0 26 235 CODICE MEDIA OMISSIONI NORMA MEDIA OMISSIONI DEVIAZIONE STANDARD PERCENTILE AN101F 5,65 5,62 50 AN102M 4,57 4,69 50 o 60 AN103M 6,56 6,2 10 AN105M 8,34 7,71 <5 CODICE TEMPO TOTALE (s) TEMPO MEDIO NORMA (s) TEMPO MEDIO DEVIAZIONE STANDARD (s) AN101F 322 293,38 78,3 Tra 60 e 70 AN102M 251 397,51 105,46 <5 AN103M 640 435,7 123,55 >90 AN105M 235 493,91 153,3 <5 PERCENTILE 50 Confrontando i dati tra il test e re-test CP si ottengono i seguenti risultati: CODICE CP TOT T/RT FALSI POSITIVI T/RT OMISSIONI T/RT OMISSIONI PERCENTILE TEMPO PERCENTILE AN101F 49 –51 0-0 5-3 30-50 60/70-60/70 AN102M 48-52 1-0 6-2 10/20-50/60 >90- <5 AN103M 47-44 0-2 7-10 20/30-10 >90- >90 AN105M 32-28 0-0 22-26 <5-<5 60/70- <5 Analizzando i dati, si riscontra che due soggetti su quattro hanno individuato più bersagli corretti rispetto al test iniziale, tanto che il loro percentile di omissioni è aumentato, indice di un miglioramento; un ragazzino è peggiorato e l’ultimo non ha variato la sua performance. Per quanto riguarda il tempo percentile, invece, più il valore diminuisce, tanto più velocemente i soggetti avranno eseguito il compito e dalla tabella si può notare che due bambini sono migliorati sensibilmente ( uno dei due, però, non ha migliorato il suo percentile di omissioni), mentre gli altri due hanno ottenuto lo stesso percentile conseguito nella prima fase di somministrazione dei test CP. Risultati re-test TAU: CODICE PUNTEGGIO TOTALE MEDIA NORMALE DEVIAZIONE STANDARD NORMALE PERCENTILE AN101F 8 9,28 1,03 10 AN102M 9 8,52 1,72 40 AN103M 8 8,52 1,72 Tra 20 e 40 e 40 o 60 AN105M 10 6,92 2,61 >80 51 Confrontando le tabelle del test e re-test TAU: CODICE RISPOSTE CORRETTE PERCENTILE AN101F 7–8 <10 – 10 AN102M 8–9 20/40 – 40 AN103M 9–8 60 – 20/40 o 60 AN105M 7 – 10 40 - >80 Si nota che in questo caso tre bambini su quattro hanno migliorato la propria capacità attentiva. Risultati re-test MF20: CODICE ERRORI MINIMO/ MASSIMO NORMALE MEDIA NORMALE DEVIAZIONE STANDARD PERCENTI AN101F 6 Tra 0 e 16 5,56 3,8 40 AN102M 3 Tra 0 e 30 8,39 5,3 Tra 80 e 90 AN103M 23 Tra 0 e 24 10,16 5,24 <5 AN105M 13 Tra 0 e 35 15,34 8,1 Tra 50 e 60 CODICE MIN MAX NORMALE 7,30-49,35 MEDIA NORMALE 19,94 MEDIA AN101F TEMPO TOT 5’13’’ % 15,65 DS NORMALE 7,81 AN102M 7’50’’ 4,30-39,20 17,9 23,5 7,12 Tra 80 e 90 AN103M 5’41’’ 3,90-44,80 16,1 17,05 8,12 Tra 60 e 70 AN105M 3’2’’ 4,00-46,35 14,55 9,01 8,83 Tra 30 e 40 Tra 30 e 40 52 Confronto tra test e re-test MF20: CODICE ERRORI PERCENTILE T/RT TEMPO T/RT (m) PERCENTILE TEMPO T/RT AN101F 14 – 6 <5 – 40 14 – 15,65 20/30 – 30/40 AN102M 6–3 60/70 – 80/90 24,25 - 23,5 80/90 – 80/90 AN103M 14 – 23 20 - <5 33,4 – 17,05 >90 – 60/70 AN105M 25 – 13 10/20- 50/60 9,4 – 9,01 30/40 – 30/40 Dopo le sedute di Neurofeedback, nel test MF20 sono sensibilmente migliorati tre soggetti su quattro, anche se hanno impiegato più tempo per completare il test, che comunque può essere considerato un dato positivo, in quanto, probabilmente, i bambini hanno imparato a controllare la loro impulsività, ragionando prima di dare una risposta. Il soggetto che ha commesso un numero più elevato di errori, invece, ha migliorato il percentile del tempo. Ciò può essere interpretato come il fatto che non è stato in grado di controllare la propria impulsività prima di dare la propria risposta. 3.6 Gradimento ragazzi e genitori I risultati emersi dal confronto tra test e re-test sono del tutto incoraggianti, nonostante il campione esaminato non sia numericamente sufficiente ai fini statistici; infatti, dopo 10 sedute di training con Neurofeedback, tre soggetti su quattro sono migliorati. Il questionario di gradimento alunni , composto da 7 item, è stato proposto ai ragazzi al termine del training. Ai soggetti coinvolti è stato chiesto di esprimere la propria opinione riguardo ad alcuni aspetti, come: la motivazione, l’utilità, la qualità delle relazioni, eventuali suggerimenti relativi all'esperienza a cui hanno preso parte. Le domande erano le seguenti: 1-! 2-! 3-! 4-! Questo training è stato divertente? Alla fine delle sedute ti sei sentito stanco? Ti sei trovato a tuo agio con le persone con cui hai lavorato? Al termine del training credi di aver migliorato le tue capacità di concentrazione? 5-! Ti piacerebbe rifare questa esperienza? 53 6-! Hai consigli o suggerimenti da darci per migliorare la proposta (orari, spazi, tempi, persone,…)? 7-! Ti sentiresti di consigliare questa esperienza ad altri ragazzi? Perché? Dalla domanda 1 alla 4 l’indice di valutazione considera una scala da 1 a 5: 1-! 2-! 3-! 4-! 5-! No Un poco Abbastanza Molto Moltissimo Mentre dalla domanda 5 alla 7 si adotta il seguente criterio: 1-! Sì 2-! No Tabella riassuntiva delle risposte ottenute CODICE AN101F AN102M AN103M AN105M 5 1"Sì"2"NO APERTA GENERE )1M)2F ANNI 2 1 1 1 ETA' MESI 11 9 8 7 5"BIS DOMANDE 1 DA+1+A+5 3 8 6 6 2 DA+1+A+5 5 5 5 2 6 1 MI"SONO"TROVATA"BENE"CON"LE"PERSONE 1 BO 1 MI"SONO"DIVERTITO 1 DIVERTITO"CON"ALCUNI"GIOCHI"NO"CON"ALTRI"ES."LIBRI"INCANTESIMO SOSTITUIRE"GIOCO"DEI"LIBRI 3 DA+1+A+5 2 1 1 1 4 DA+1+A+5 5 5 5 3 5 2 5 2 7 7"BIS 1"Sì"2"NO APERTA 1 1 1 SONO"ATTIVITà"PIACEVOLI 2 AVERE"Più"TEMPO"A"DISPOSIZIONE"PER"GIOCARE"COL"SOFTWARE Il questionario di gradimento genitori, composto da 7 domande, è stato presentato ai genitori dei soggetti coinvolti per indagare se le modalità informative, organizzative e relazionali instaurate durante il percorso siano state adeguate. Inoltre è stata richiesta l'opinione dei genitori sull'utilità del trattamento e sono stati raccolti eventuali suggerimenti.! Di seguito sono elencate le domande somministrate: 1-! Prima dell’inizio del training le informazioni ricevute sono state chiare e complete? 54 2-! È stato per Voi impegnativo il percorso organizzato in 10 sedute? 3-! Le è sembrato che suo figlio fosse stanco alla fine delle 10 sedute? 4-! Alla fine del training crede che suo figlio abbia migliorato le sue capacità di concentrazione? 5-! Se venisse chiesto a suo figlio di rifare questa esperienza sarebbe favorevole? Perché? 6-! Ha consigli o suggerimenti da darci per migliorare la proposta (orari, spazi, tempi, persone…)? 7-! Se la sentirebbe di consigliare ad altri ragazzi questo trattamento? Perché? Dalla domanda 1 alla 4 l’indice di valutazione considera una scala da 1 a 5: 1-! 2-! 3-! 4-! 5-! No Un poco Abbastanza Molto Moltissimo Mentre dalla domanda 5 alla 7 si adotta il seguente criterio: 1-! Sì 2-! No Tabella riassuntiva delle risposte ottenute CODICE AN101F AN102M AN103M AN105M 5 1"Sì"2"NO APERTA GENERE )1M)2F ANNI 2 1 1 1 5"BIS DOMANDE 1 DA+1+A+5 ETA' MESI 11 9 8 7 3 8 6 6 6 APERTA 2 DA+1+A+5 3 DA+1+A+5 4 DA+1+A+5 4 5 1 3 2 1 3 1 4 2 3 3 7 7"BIS 1"Sì"2"NO APERTA 1 1 MIGLIORARE"LA"CONCENTRAZIONE"QUOTIDIANA CERCARE"CORRELAZIONE"TRA"TRAINING"ED"EFFETTI"SCOLASTICI 1 1 SODDISFAZIONE"DEL"BAMBINO"PER"LE"ATTIVITà 1 PER"RICEVERE"Più"INFORMAZIONI 1 UTILE"PER"MIGLIORARE"PERCORSO"RELAZIONI"SCUOLA?FAMIGLIA 55 CONCLUSIONI Dai risultati ottenuti in questo studio pilota emerge che, per quanto riguarda il test CP, due soggetti su quattro hanno individuato più bersagli corretti rispetto al test iniziale, aumentando il loro percentile di omissioni, indice del fatto che, probabilmente, la loro capacità di mantenere in modo continuativo un certo livello di concentrazione e la loro abilità di ricerca visiva sono migliorate. Un ragazzino è peggiorato e l’ultimo non ha variato la sua performance. Per quanto riguarda il tempo percentile, invece, più il valore diminuisce, tanto più velocemente i soggetti hanno eseguito il compito e in questo frangente due bambini sono migliorati sensibilmente. Uno dei due, però, non ha migliorato il suo percentile di omissioni e ciò potrebbe essere dovuto al fatto che si tratta comunque di soggetti in cui si riscontra un certo deficit nella capacità di controllare la propria impulsività, mentre gli altri due hanno ottenuto lo stesso percentile conseguito nella prima fase di somministrazione dei test CP. Per quanto concerne il re-test TAU, tre bambini su quattro hanno dato più risposte corrette rispetto alla prima somministrazione del test, dimostrando che la propria capacità di attenzione uditiva sostenuta è migliorata. Infine, nel re-test MF20, che è una prova di confronto tra figure che richiede l’impiego di diversi processi cognitivi, quali: strategie di ricerca visiva, attenzione sostenuta, controllo della risposta impulsiva, sono sensibilmente migliorati tre soggetti su quattro, nonostante abbiano impiegato più tempo per completare il test e ciò può essere comunque considerato un risultato positivo, in quanto, probabilmente, i bambini hanno imparato a controllare la propria impulsività, ragionando prima di dare una risposta ritenuta corretta. Il soggetto che ha commesso un numero più elevato di errori, invece, ha migliorato il percentile del tempo, questo può essere interpretato come il fatto che non è stato in grado di controllare la propria impulsività prima di dare la risposta. Va sottolineato, inoltre, che i ragazzini e loro genitori hanno per lo più apprezzato l’iniziativa, esprimendosi tramite i questionari di gradimento presentati a fine training. 56 In letteratura, risultati positivi ottenuti dall’applicazione del Neurofeedback non sono ritenuti sufficienti a dimostrarne la validità, lamentando spesso l’assenza di basi scientifiche. La complessità e variabilità dei meccanismi coinvolti e la difficoltà nel condurre esperimenti con gruppi di controllo e placebo, nonché l’impossibilità di isolare gli effetti del Neurofeedback da variabili esterne ad esso, rendono conto di tale lacuna. In questo contesto, Lubar (1997) si esprime sulla complessità delle dinamiche corticali coinvolte e riporta come simili training comportino cambiamenti significativi generalizzati soprattutto ad altre aree corticali. Lubar sostiene che si possa escludere che il Neurofeedback sia solo un placebo, in quanto soggetti che non hanno risposto positivamente al training non mostravano alcuna differenza nel proprio QEEG. Solo se si migliora la propria performance nelle sessioni di Neurofeedback, imparando a regolare le proprie onde cerebrali, si possono modificare le dinamiche corticali e talamo-corticali rilevabili nel QEEG. I presenti risultati devono essere interpretati alla luce delle seguenti limitazioni. In primo luogo, non sono stati inclusi partecipanti al di sotto dei 7 anni di età, perché questo studio è stato condotto su soggetti in età scolare. In questo modo, i risultati hanno implicazioni limitate per la formazione neurocognitiva dei bambini più piccoli. In secondo luogo, non è stata effettuata alcuna fase di follow-up , per cui non è noto se i benefici riscontrati possano mantenersi nel tempo. Dovrebbe essere tenuto in considerazione però che Johnstone et al. (2012) hanno riportato che gli effetti positivi delle loro sessioni di Neurofeedback sono perdurati anche dopo sei settimane dal follow-up. Sarà dunque necessario valutare gli effetti a lungo termine del presente approccio in studi futuri. Gevensleben et al (2009a; 2009b) hanno dimostrato che il Neurofeedback è più efficace di un allenamento con un programma computerizzato per il miglioramento dell’attenzione (AST). Il fatto che i progressi da loro osservati siano davvero dovuti al Neurofeedback è supportato dalla correlazione rilevata tra cambiamenti nei parametri EEG, successo nelle sessioni di training e miglioramenti comportamentali. I risultati si sono dimostrati stabili dopo 6 mesi dalla fine del training. In terzo luogo, le valutazioni effettuate da genitori e bambini non possono essere considerate libere da condizionamenti, dati i rapporti interpersonali che si sono 57 venuti a creare con chi ha condotto gli esperimenti. Sebbene l'uso di molteplici test può ridurre questo potenziale bias (Yin, 2009), in futuro verranno adottati metodi più rigorosi (ad esempio, trattamento di controllo a doppio cieco; Lofthouse et al., 2012). Infine, questo studio pilota è stato condotto su un campione piccolo, rendendo aleatorio il confronto statistico e non contiene un gruppo di controllo. In conclusione, i risultati del presente studio sostengono l’utilità dell'utilizzo del training neurocognitivo, tramite sessioni con Neurofeedback, per i bambini con ADHD. I dati emersi suggeriscono che le sessioni di training con Neurofeedback abbiano il potenziale per migliorare le capacità psicologiche e comportamentali che sono associate alla patologia dell’ADHD. Il training è stato considerato da parte dei genitori un intervento efficace e positivo e hanno gradito il fatto che sia stato condotto all’interno di un ambiente positivo come la scuola frequentata dai loro ragazzi. Questa riflessione garantisce la necessità di un'indagine su un campione più ampio e in altri contesti, come, ad esempio, l’ambiente domestico e che questo allenamento neurocognitivo possa essere condotto in larga scala anche in altre sedi di tutto il mondo. Nonostante i numerosi dati riportati in bibliografia a sostegno dell’efficacia del Neurofeedback, molti studi sono ancora necessari per consolidarne le basi scientifiche, elaborare applicazioni mirate ed ottenere effetti duraturi nel tempo. Ricerche future dovrebbe includere un disegno di controllo randomizzato, sessioni di follow-up per determinare la durata degli effetti, un campione più ampio di soggetti da considerare e il tentativo di esaminare l'impatto delle sessioni di training sul rendimento scolastico e sulla qualità dei rapporti interpersonali dei soggetti studiati. Sarebbe anche interessante esaminare il contributo unico dei risultati dopo le sessioni di Neurofeedback sul rendimento scolastico e successivamente esaminare le varie situazioni per adattarsi a specifici bisogni di ogni bambino. Inoltre, questo gruppo di ricercatori si ripropone di avvalersi di nuovi software per stimolare sempre al meglio ed il più possibile l’interesse dei ragazzini che saranno coinvolti nelle ricerche future. 58 BIBLIOGRAFIA Albrecht B, Uebel-von Sandersleben H, Gevensleben H, Rothenberger A. (2015); Pathophysiology of ADHD, comorbid disorders and associated problems – starting points for Neurofeedback interventions? Front. Hum. Neurosci. 9:359. doi: 10.3389/fnhum.2015.00359 AMERICAN PSYHIATRIC ASSOCIATION (2004); DSM IV TR, Diagnostic and statistical manual of mental disorders (4rd. Ed., Revised), Washington, DC. Amstrong T, Ph. D.; Myth of the ADD child (Paperback,1997) Barkley R.A., Fisher M. e Edelbrock, C.S. et al. 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Ringrazio tutti coloro che mi sono stati vicini: amici, coinquilini, compagni di università, chi è stato presente solo un periodo e chi, invece, mi accompagna tutt’ora lungo il mio cammino, in quanto hanno tutti contribuito a rendere questi anni indimenticabili. Sono molto grata al Professor Battaglini, a tutto il gruppo di ricerca BREINew, ai ragazzi e genitori coinvolti nel progetto pilota per le opportunità di crescita fornitemi. 63