NIHIL SUB ASTRIS NOVUM
N.
10
– 23 MARZO 1997
a cura di Cristina Bernasconi, Elia Cozzi e Massimo Zoggia
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A Newsletter of
Gruppo Astrofili “Giovanni e Angelo Bernasconi”
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temperature erano sotto la media, nessuna relazione è stata
L’ATMOSFERA DEL SOLE
scientificamente provata.
L’atmosfera del Sole si divide in due strati: la cromosfera e la
corona.
La cromosfera
Sotto questi strati si trova la fotosfera.
La cromosfera (sfera di colore) è un sottile strato di gas spesso
solamente poche migliaia di chilometri situato appena sopra la
La fotosfera
fotosfera.
La superficie visibile del Sole è chiamata fotosfera (sfera di
Durante le eclissi di Sole, subito dopo che la Luna ha coperto
luce). Si tratta di un sottile guscio di gas profondo circa 200
il Sole, la cromosfera appare come un contorno rosso. La
chilometri. La maggior parte dell’energia irraggiata dal Sole
cromosfera è più calda della fotosfera. Da una temperatura di
proviene dalla fotosfera. La sua temperatura è di circa 5500°C.
(4200°C) negli strati più interni, raggiunge gli 8200°C verso
La densità della fotosfera diminuisce bruscamente verso il suo
l’esterno. Ancora più all’esterno si trova una zona in cui il gas non
limite esterno, dando l’apparenza di un confine netto.
riesce più a raffreddarsi efficacemente; questo è il regno della
Sebbene la superficie ci appaia omogenea, è in realtà
corona, in cui la temperatura sale bruscamente fino a 1 milione di
turbolenta, presentando vigorosi moti convettivi. La sommità degli
gradi.
elementi convettivi prende il nome di granuli. Un singolo granulo
ha una dimensione di circa 1000 chilometri. Un granulo può salire
La corona
verso la superficie anche ad una velocità di circa 1800 chilometri
L’ultimo strato dell’atmosfera solare viene chiamato corona.
orari.
Appare come un alone bianco attorno al Sole durante le eclissi. La
Un’altra caratteristica più familiare della fotosfera è la
luminosità della corona è causata dallo scattering della luce sugli
macchia solare.
elettroni liberati dagli atomi a causa dell’alta temperatura.
Si ritiene che l’alta temperatura della corona sia dovuta
Le macchie solari
all’interazione del gas con gli intensi campi magnetici della
Le macchie scure sulla superficie del Sole sono state osservate
fotosfera.
per migliaia di anni. Alcune macchie raggiungono le dimensioni
La corona si estende per milioni di chilometri nello spazio
della Terra (!), e le macchie individuali possono persistere per
interplanetario.
diverse settimane.
In luce visibile, le macchie appaiono scure in confronto alla
Protuberanze e flares
luminosissima fotosfera. Il loro colore è dovuto ad una temperatura
Osservata sul bordo solare, una protuberanza è una massa di
inferiore (3500°C) rispetto a quella del resto della fotosfera. A
gas ionizzato che si estende dalla superficie nella corona,
parità di area, le macchie irradiano solo il 20 per cento
formando spesso un arco o una serie di archi. Un gas ionizzato
dell’energia irradiata dalla fotosfera.
conduce le cariche elettriche in quanto gli atomi che lo
Il Sole possiede un fortissimo campo magnetico la cui origine
costituiscono sono stati privati degli elettroni, quindi questi atomi
viene attribuita ai moti convettivi e alle differenze di rotazione tra
seguono le linee di forza del campo magnetico che collegano le
i vari strati di gas. Questi strati di rotazione differenziale (25
macchie.
giorni all’equatore e 36 ai poli) appaiono profondi almeno 200000
Saltuariamente un’estremità delle protuberanze si stacca dalla
chilometri. Negli strati sottostanti il periodo di rotazione
superficie del Sole catapultando il gas nello spazio. In questo caso
sembrerebbe costante (27 giorni).
la protuberanza prende il nome di “protuberanza eruttiva”.
Le macchie solari presentano intensissimi campi magnetici,
Un flare solare è probabilmente la manifestazione più
infatti, il campo magnetico solare è così forte in prossimità delle
spettacolare associata all’attività del Sole. Un flare rilascia nello
macchie da ridurre notevolmente i moti convettivi con conseguente
spazio una quantità enorme di energia, alcune volte accompagnata
riduzione del calore portato in superficie che, quindi, provoca un
da emissioni di gas.
abbassamento della temperatura nella zona della macchia.
I flares possono rilasciare in pochi secondi un’energia
La posizione e il numero della macchie varia durante gli 11
superiore a quella di un’esplosione termonucleare di più di un
anni del ciclo solare. All’inizio di un nuovo ciclo ci sono poche
miliardo di megatoni con l’espulsione di più di 9 miliardi di
macchie e la loro distribuzione è localizzata principalmente nelle
tonnellate di materia.
zone di latitudine media. Col procedere del ciclo il numero delle
I flares solari sono il risultato di violente esplosioni che si
macchie aumenta e la loro posizione raggiunge latitudini inferiori.
verificano nell’atmosfera solare. Le particelle energetiche che
Mentre il ciclo solare si è mantenuto relativamente costante fin
raggiungono la Terra durante i flares interagiscono con il campo
dal 1710, nel periodo compreso tra il 1640 e il 1710 non vennero
magnetico terrestre causando diversi fenomeni: dalle aurore
praticamente registrate macchie. Questo periodo, chiamato
boreali alle tempeste magnetiche con conseguente interruzione
“Minimo di Maunder”, non è mai stato spiegato. Sebbene coincida
delle comunicazioni.
con una piccola era glaciale nel nord Europa, un periodo in cui le
1
Il vento solare
Il vento solare è un flusso costante di gas altamente ionizzato
emesso dal Sole verso il Sistema Solare. Quando il campo
magnetico forma degli archi che si estendono nella parte alta della
corona, le linee di forza si indeboliscono proporzionalmente alla
loro distanza dal Sole formando dei buchi nella corona. In queste
zone, la pressione del gas è talmente forte da consentirgli la fuga
dando così origine al vento solare.
Dopo circa cinque giorni dall’emissione, il vento raggiunge la
Terra dove viene rilevato mediante i satelliti orbitali.
Il vento solare può raggiungere velocità superiori ai 700
chilometri al secondo e avere una densità che varia da 10 a 100
particelle per centimetro cubo.
MERCURIO
Il nome di questo pianeta deriva da quello del dio della
mitologia romana, noto come rapido messaggero, a causa della sua
elevata velocità di rivoluzione intorno al Sole.
Mercurio è il quarto pianeta più luminoso visibile ad occhio
nudo (dopo Venere, Marte e Giove) ed è il secondo pianeta più
vicino alla Terra. Tuttavia, come conseguenza della sua estrema
vicinanza al Sole, le osservazioni di Mercurio sono molto
difficoltose da Terra.
I periodi migliori per l’osservazione di questo pianeta si
verificano solamente due volte all’anno quando appare sopra
l’orizzonte alla massima elongazione dal Sole. In questi periodi
Mercurio può essere visto appena prima dell’alba o appena dopo il
tramonto, ma anche in questi casi, trovandosi molto basso
sull’orizzonte, la sua visione è influenzata dagli spessi strati
dell’atmosfera terrestre. Per questa ragione, Mercurio restò un
pianeta difficile da studiare fino allo sviluppo delle osservazioni
radar e delle missioni spaziali che consentirono un’ispezione
ravvicinata.
• Tettonica: movimenti della crosta del pianeta.
I risultati di questi processi risultano particolarmente evidenti
su Mercurio.
Per i primi 600 milioni di anni della loro esistenza, i quattro
pianeti più interni vennero continuamente bombardati da meteoriti
che causarono crateri di varie dimensioni. Durante questo periodo
di intenso e pesante bombardamento, la parte interna di Mercurio
si è fusa con conseguente espansione del pianeta.
La fusione ha portato ad un vulcanesimo “fluido” a causa del
quale enormi quantità di lava sono salite in superficie coprendo
grandi aree e formando pianure tra i crateri. Questo vulcanesimo
fluido è comune a tutti e quattro i pianeti interni, ma differisce dal
vulcanesimo che genera vulcani a versante ripido come il Mount
Rainer nello stato di Washington o i larghi e rotondi vulcani a
scudo come il Mauna Loa sulle isole Hawaii.
Verso la fine del periodo di intenso bombardamento, circa 4
miliardi di anni fa, un asteroide di circa 100 chilometri di diametro
colpì Mercurio. Quando un corpo di queste dimensioni colpisce un
pianeta si crea un bacino da impatto, in questo caso il Bacino
Caloris, uno dei più larghi di tutto il Sistema Solare.
Con un diametro di 1300 chilometri, il Bacino Caloris può
contenere completamente il Texas. Ovviamente, come accade per i
grossi crateri di impatto, la lava ha riempito questo bacino.
Dimensione, Gravità e Densità
Con un dimensione pari a circa un terzo di quella terrestre e
leggermente maggiore della Luna, Mercurio è il secondo pianeta
più piccolo dopo Plutone. Il suo diametro è di 4878 chilometri.
Mercurio ha una gravità paragonabile a quella marziana e di
poco superiore a un terzo di quella terrestre. Tuttavia la sua
densità media di 5.4 è seconda solo a quella terrestre (5.5). Si
pensa che un enorme impatto abbia rimosso gli strati esterni del
pianeta lasciando una percentuale di nucleo più elevata rispetto
agli altri pianeti. La composizione di Mercurio è per circa il 70
percento di ferro e per il 30 per cento di roccia.
Storia
Mercurio si è formato contemporaneamente agli altri pianeti,
circa 4.5 miliardi di anni fa. A causa della sua vicinanza al Sole, è
stato sottoposto a temperature elevate, probabilmente al punto tale
da fondere completamente il pianeta.
Gli elementi ad elevata densità, in particolar modo il ferro, si
sono così separati completamente dagli altri spostandosi verso il
centro del pianeta. Per questo motivo il nucleo di Mercurio risulta
molto ricco di ferro, mentre questo elemento è quasi
completamente assente nel mantello e nella crosta, costituiti
principalmente da silicati (composti di silicio e ossigeno).
Il nucleo di Mercurio occupa circa il 75 percento del diametro
totale, una frazione più grande di quella di qualsiasi altro pianeta
terrestre.
Crateri, vulcanesimo e tettonica
I processi che hanno modellato e generato le caratteristiche
superficiali del pianeta sono principalmente tre.
• Crateri da impatto prodotti dalla collisione con altri corpi che
anno causato cavità sferiche.
• Vulcanesimo generato dall’afflusso verso la superficie di
materiale fuso proveniente dall’interno.
2
Immagine del Bacino Caloris ripresa dalla sonda Mariner 10
(negativo).
Il fondo di questa struttura fu sottoposta a tensioni e
compressioni causate dal materiale vulcanico, che hanno causato
fratture e dorsali.
Inoltre, il notevole impatto ha causato intense onde sismiche
che si sono propagate per tutto il pianeta, spezzando la superficie
nella zona del lato opposto del grande bacino, in blocchi e
depressioni che costituiscono il terreno “collinare” di Mercurio.
Durante il raffreddamento di Mercurio, la sua contrazione era
accompagnata da un bombardamento di piccoli oggetti che hanno
conferito alla superficie del pianeta un’apparenza simile a quella
lunare. Infatti, la distribuzione e la dimensione dei crateri di
Mercurio, della Luna e di Marte risultano molto simili, suggerendo
che la stessa famiglia di oggetti è stata responsabile del pesante
bombardamento a cui sono stati sottoposti i pianeti terrestri
durante questo periodo.
Con il raffreddamento e la contrazione di Mercurio, la sua
crosta ha subito una compressione globale e un’attività tettonica.
Proprio l’attività tettonica ha prodotto numerose “scarpate”, la
più grande delle quali è la Discovery Rupes, lunga circa 500
chilometri e alta almeno 3 km.
L’“accorciamento” della crosta indica che la circonferenza di
Mercurio è diminuita di almeno 2 chilometri.
Molti dei grandi crateri di Mercurio non sono stati coperti
dalla lava, facendo così supporre che all’epoca della fine degli
intensi bombardamenti (circa 3.8 miliardi di anni fa) la maggior
parte dell’attività vulcanica su Mercurio era terminata.
L’atmosfera di Mercurio
La sottile atmosfera di Mercurio è costituita principalmente da
elio e da sodio, la maggior parte dei quali deriva dal vento solare.
La pressione atmosferica è solo un milionesimo di miliardesimo (!)
di quella presente sulla Terra.
L’esplorazione di Mercurio
La prima immagine ravvicinata del pianeta venne fornita dalla
sonda Mariner 10, che era equipaggiata con due camere televisive
che fornivano immagini digitali. Il Mariner 10 sorvolò Mercurio il
29 marzo 1974, quindi entrò in orbita solare per poi passare
nuovamente sopra il pianeta il 21 settembre 1974 e il 16 marzo
1975. Durante questi tre passaggi fotografò circa il 45 percento
della superficie, rivelando una struttura superficiale simile a quella
della Luna.
L’orbita e la rotazione
L’anno di Mercurio è il più corto di tutti gli altri pianeti.
Mentre la Terra impiega 365 giorni per compiere un orbita intorno
al Sole, Mercurio impiega solamente 88 giorni terrestri.
L’orbita di Mercurio è la più ellittica dei pianeti dopo quella di
Plutone. Nel suo punto più vicino al Sole, il perielio, la distanza
Mercurio–Sole è di 47 milioni di chilometri. Nel punto più
lontano, afelio, tale distanza è pari a 71 milioni di km. Quando
Mercurio si trova al perielio, riceve più del doppio del calore che
riceve all’afelio.
Prima del 1962 si pensava che Mercurio compisse una sola
rotazione durante la sua orbita, esattamente come la Luna intorno
alla Terra. Se questa ipotesi fosse stata vera, il pianeta avrebbe
esposto al Sole sempre la stessa faccia. Tuttavia, osservazioni
radar successive mostrarono un periodo di rotazione di circa 59
giorni terrestri. Mercurio ruota, quindi, esattamente tre volte
durante una rivoluzione così che in due dei “suoi” anni completa
solamente tre dei “suoi” giorni.
dopo l’alba, la temperatura è di 407°C; entro il primo pomeriggio
la temperatura è di ben 427°C, abbastanza elevata da fondere
zinco e stagno.
Sulla Terra le stagioni cambiano in modo regolare seguendo
l’oscillazione dell’asse di rotazione. Ogni emisfero riceve una
maggior quantità di luce solare durante una particolare parte di
orbita. Diversamente, essendo l’asse di rotazione di Mercurio
quasi perpendicolare al piano orbitale, su questo pianeta non vi
sono stagioni.
Campo magnetico
Si ritiene che il campo magnetico dei pianeti terrestri sia
generato dai moti convettivi presenti nel nucleo di metallo fuso.
Dato che i piccoli pianeti perdono calore più velocemente di
quelli grandi, si riteneva che Mercurio fosse incapace di generare
un campo magnetico, ma, con sorpresa degli scienziati, le sonde
trovarono un distinto campo magnetico di intensità pari all’1
percento di quello terrestre. Come nel caso terrestre, i poli
magnetici di Mercurio coincidono con i poli rotazionali.
L’ipotesi che l’origine di questo campo magnetico sia dovuto
ad un “campo fossile” presente nella struttura ferrosa del pianeta
al momento della completa solidificazione sarebbe valida solo se
la temperatura del mantello fosse inferiore ai 500°C. A
temperature più elevate le rocce perdono il loro magnetismo.
Un’altra ipotesi potrebbe essere quella di un campo magnetico
indotto dal vento solare.
Con questo numero di Nihil Sub Astris Novum è nostra
intenzione iniziare una rubrica chiamata The Galileo Messenger
con lo scopo di comunicare ai nostri Soci le ultime scoperte della
sonda Galileo.
Sarebbe certamente impossibile inserire nella nostra
newsletter tutte le immagini riprese dalla sonda, ci limiteremo a
quelle che, a nostro giudizio, sono più significative e che
permettono di comprendere facilmente l’importanza e l’efficienza
della missione Galileo.
Strani fenomeni panoramici
La rotazione di Mercurio e la sua orbita altamente ellittica
producono alcuni panorami che sarebbero molto peculiari e
caratteristici per un visitatore venuto da Terra.
Da alcuni luoghi del pianeta, durante un solo giorno il sole
appare muoversi da est verso ovest per poi tornare verso est e
successivamente riprendere a spostarsi verso ovest.
In altri posti il Sole sorge brevemente, tramonta e sorge
nuovamente per procedere attraverso il cielo. Al tramonto il sole
tramonta brevemente, sorge per poi tramontare nuovamente.
Temperature e stagioni
Passando dal giorno alla notte, la superficie di Mercurio è
sottoposta ad uno sbalzo termico di circa 630°C; più di ogni altro
pianeta o satellite del Sistema Solare.
Appena prima dell’alba di un tipico giorno, la temperatura
superficiale di Mercurio è di –184°C. Entro metà mattina tale
temperatura ha raggiunto i 27°C; a mezzogiorno, 22 giorni terrestri
In questa immagine ripresa dalla sonda Galileo il 4 novembre
1996 è possibile vedere una catena di crateri da impatto sul
satellite gioviano Callisto. Questo tipo di crateri è molto
probabilmente dovuto all’impatto dei frammenti di un oggetto
3
simile alla cometa Shoemaker–Levy 9 che impattò con l’atmosfera
di Giove nel luglio del 1994.
La regione compresa nell’immagine si trova nell’emisfero nord
di Callisto ad una latitudine di 35 gradi e una longitudine di 46
gradi ovest. Il cratere visibile più piccolo ha un diametro di 130
metri.
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Questa immagine della regione del satellite Ganimede
denominata Nippur Sulcus evidenzia come la comprensione del
confine tra le regioni chiare e quelle scure della superficie sia stata
notevolmente migliorata dai risultati della sonda Galileo rispetto a
quelli della missione Voyager nel 1979.
Il confine tra questi due tipi di terreno venne osservato con una
risoluzione di 1.7 chilometri per pixel nel 1979 dal Voyager 2
(immagine a sinistra). Il 6 settembre 1996, la sonda Galileo, da
una distanza di 9728 chilometri dalla superficie ha ripreso
l’immagine di destra con una risoluzione di 99 metri per pixel.
Queste immagini misurano 27 per 47 chilometri; il nord è in
alto e la luce solare proviene da sud–est.
La regione luminosa a nord–ovest (Philus Sulcus) è costituita
da una serie di fratture parallele, mentre la regione scura a sud–est
(Northern Marius Regio) è caratterizzata da un terreno vecchio
dominato da crateri a deformato da diversi episodi di smottamento.
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ripresa dal Voyager 2 nel 1979 ha una risoluzione di 1.1 chilometri
per pixel, mentre l’immagine a destra è stata ottenuta dalla sonda
Galileo il 27 giugno 1996 da una distanza di 7570 chilometri,
consentendo una risoluzione di 77 metri per pixel.
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HALE–BOPP
Esprimere un giudizio personale sullo spettacolo che la
Cometa Hale–Bopp ci sta regalando sarebbe un vero e proprio
eufemismo, mi quindi limito a commentare un’affermazione di un
noto astronomo riguardante le previsioni di visibilità delle comete:
“Le comete hanno la coda come i gatti e quindi si comportano
esattamente come loro: fanno quello che vogliono!”.
Mi
permetto di aggiungere:
Ma i gatti hanno anche i baffi, e allora.....
HALE–BOPP PROPRIO UNA COMETA COI BAFFI!
e..... se va bene a me.....
BUONA COMETA A TUTTI!
Questa immagine della regione denominata Galileo Regio sulla
luna gioviana Ganimede mostra in maniera evidente come le
nostre conoscenze su questo tipo di terreno siano notevolmente
migliorate rispetto alla missione Voyager. L’immagine a sinistra,
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