Biochimica
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Indice
Voci
Proteine
1
Amminoacido
1
Proteina
9
Carboidrati
20
Glucidi
20
Glucosio
26
Glicogeno
30
Amido
31
Cellulosa
33
Lipidi
37
Lipidi
37
Trigliceride
40
Enzimi
42
Enzima
42
Catalisi enzimatica
59
Inibitore enzimatico
68
Cinetica di Michaelis-Menten
81
Note
Fonti e autori delle voci
84
Fonti, licenze e autori delle immagini
85
Licenze della voce
Licenza
87
1
Proteine
Amminoacido
In chimica gli amminoacidi sono molecole organiche che nella loro struttura recano sia il gruppo funzionale
amminico (delle ammine) (-NH2) sia quello carbossilico (degli acidi carbossilici) (-COOH).
In biochimica il termine amminoacidi si riferisce più spesso agli L-α-amminoacidi, di formula generica
NH2CHRCOOH, cioè quelli il cui gruppo amminico ed il cui gruppo carbossilico sono legati allo stesso atomo di
carbonio (chiamato appunto carbonio α) in configurazione L (con l'unica eccezione della glicina, achirale, in cui -R
= -H). È a questo tipo di amminoacidi che il presente articolo è dedicato.
Generalità
Gli amminoacidi sono, tra le altre cose, gli elementi costitutivi (monomeri) delle proteine[1].
Per eliminazione di una molecola di acqua (reazione di condensazione con eliminazione), il gruppo amminico di un
amminoacido può legarsi al gruppo carbossilico di un altro formando un legame ammidico (o peptidico)
H2N-CH-COOH
|
R
+
H2N-CH-COOH
|
R'
-->
H2N-CH-CO-NH-CH-COOH
|
|
R
R'
+
H2O
il legame covalente che unisce i due amminoacidi, evidenziato in rosso, prende anche il nome in biochimica di
"legame peptidico" o "giunto peptidico". Si noti come l'unione di due o più amminoacidi lasci alle due estremità
della catena altri due gruppi liberi, che possono ulteriormente reagire legandosi ad altri amminoacidi (reazioni di
questo genere rientrano nella classe più generale delle polimerizzazioni per condensazione). Una catena di più
amminoacidi legati attraverso legami peptidici prende il nome generico di polipeptide o di oligopeptide se il numero
di amminoacidi coinvolti è limitato; uno o più polipeptidi, a volte accompagnati da altre strutture ausiliarie o ioni
dette cofattori o gruppi prostetici, costituiscono una proteina.
Gli amminoacidi che compaiono nelle proteine di tutti gli organismi viventi sono 20 (anche se evidenze recenti
suggeriscono che questo numero potrebbe aumentare fino a 23, vedi più sotto) e sono sotto il controllo genetico, nel
senso che l'informazione del tipo e della posizione di un amminoacido in una proteina è codificata nel DNA.
Talvolta, nelle proteine compaiono anche altri amminoacidi, più rari, detti occasionali che vengono prodotti per
modifiche chimiche successive alla biosintesi della proteina, che avviene sul ribosoma.
In natura sono stati finora scoperti oltre 500 amminoacidi diversi che non fanno parte di proteine e svolgono ruoli
biologici diversi. Alcuni sono stati addirittura trovati nelle meteoriti. Piante e batteri sono in grado di biosintetizzare
amminoacidi particolari, che possono essere trovati, per esempio, negli antibiotici peptidici, ad esempio la nisina e
l'alameticina. La lantionina è un solfuro dimero dell'alanina che si trova insieme ad amminoacidi insaturi nei
lantibiotici, ovvero antibiotici peptidici di origine batterica. L'acido 1-amminociclopropan-1-carbossilico (ACC) è un
semplice amminoacido ciclico disostituito che funge da intermedio nella sintesi dell'etilene, che per gli organismi
vegetali è un ormone.
Oltre a quelli coinvolti nella biosintesi delle proteine, vi sono amminoacidi che svolgono importanti funzioni
biologiche quali la glicina, l'acido gamma-amminobutirrico (GABA, un γ amminoacido) e l'acido glutammico (tre
neurotrasmettitori), la carnitina (coinvolta nel trasporto dei lipidi all'interno della cellula), l'ornitina, la citrullina,
l'omocisteina, l'idrossiprolina, l'idrossilisina e la sarcosina.
Amminoacido
Dei venti amminoacidi proteici, alcuni sono definiti essenziali[1]. Un amminoacido è definito essenziale se
all'interno dell'organismo non sono presenti le strutture (enzimi, proteine di sintesi) necessarie a biosintetizzarlo; è
perciò necessario che questo amminoacido venga introdotto con la dieta. Gli amminoacidi essenziali sono la lisina, la
leucina, l'isoleucina, la metionina, la fenilalanina, la treonina, il triptofano, la valina e l'istidina. Riguardo all'istidina,
è importante precisarne l'essenzialità: l'istidina è un amminoacido essenziale durante tutta la vita, ma durante l'età
adulta il fabbisogno non è molto rilevante, poiché l'organismo riesce a conservarla in modo particolarmente
efficiente, riducendone la richiesta biologica. Nei bambini e nelle donne in gravidanza la richiesta di istidina invece è
molto più alta perché questo meccanismo non si è ancora sviluppato.
Esistono poi amminoacidi condizionatamente essenziali, ossia che devono essere assunti con la dieta solo in alcuni
periodi della vita o a causa di alcune patologie. Di questo gruppo fanno parte l'arginina (è sintetizzata dall'organismo
come derivato del glutammato prodotto nel Ciclo di Krebs, ma nelle donne in gravidanza e nei bambini la sua
produzione non è sufficiente a coprire la richiesta biologia, perciò deve essere assunta con la dieta), la tirosina (è
prodotta a partire dall'amminoacido essenziale fenilalanina, perciò è necessario assumere quest'ultima con la dieta
per sintetizzarla; inoltre non sono infrequenti i casi di fenilchetonuria, una patologia che descrive l'incapacità
dell'organismo di metabolizzare la fenilalanina, che perciò non è trasformata in tirosina e si accumula provocando
gravi danni all'organismo), e la cisteina (per la sua sintesi, derivata dalla glicolisi, è necessario il contributo della
metionina, un altro amminoacido essenziale, perché rende possibile la presenza del gruppo sulfidrilico della
cisteina). Va infine precisato che il concetto di essenzialità varia a seconda degli organismi[2][3].
Una nota particolare meritano due amminoacidi, detti occasionali,: la selenocisteina, corrispondente ad un codone
UGA che normalmente è un codone di interruzione[4], e la pirrolisina, presente negli enzimi di alcuni batteri
metanogeni coinvolti nel processo di generazione del metano, corrispondente ad un codone UAG[5]. La scoperta del
primo, nel 1986, venne interpretata dalla comunità scientifica come un fenomeno marginale e ristretto. Tuttavia,
dopo la scoperta del secondo amminoacido extra, nel 2004, la comunità scientifica internazionale sta rivedendo le
sue posizioni, e si è aperta la caccia ad altri amminoacidi extra.
Amminoacidi di interesse commerciale o farmacologico
•
•
•
•
Il glutammato sodico è usato nell'industria alimentare come esaltatore di sapidità
La L-diidrossifenilalanina (L-DOPA) è un farmaco usato per il trattamento del morbo di Parkinson[6].
Il 5-idrossitriptofano (5-HTP) è stato usato per il trattamento dei sintomi neurologici associati alla fenilchetonuria.
L'acido gamma-amminobutirrico o GABA ha diverse funzioni fisiologiche (neurotrasmissione, ipotensivo, effetti
diuretici, effetto tranquillizzante, prevenzione del diabete). Utilizzato come farmaco ed integratore, è anche
contenuto naturalmente in alcuni alimenti fermentati.
2
Amminoacido
3
Struttura generica degli amminoacidi
Ogni amminoacido presenta uno specifico
gruppo laterale (detto anche gruppo R). In
funzione delle proprietà chimiche di tale
gruppo, un amminoacido viene classificato
come acido, basico, idrofilo (o polare) e
idrofobo (o apolare).
L'ingombro dei vari gruppi R che sporgono
dalla catena polipetidica, l'affinità reciproca
tra gruppi polari e tra gruppi apolari,
l'attrazione tra gruppi basici e gruppi acidi
sono alcune delle forze che concorrono a
modellare la conformazione della proteina
nello spazio (la struttura terziaria),
conformazione dalla quale dipende in modo
essenziale l'attività biologica della proteina
stessa.
Struttura generica di un amminoacido. R rappresenta un gruppo laterale specifico
di ogni amminoacido.
A causa della basicità del gruppo amminico e dell'acidità di quello carbossilico, gli amminoacidi isolati si presentano
in forma di zwitterioni, cioè molecole che recano contemporaneamente le due cariche opposte, mantenendo la
neutralità.
COO|
H-C-R
|
NH3+
l'attrazione tra le cariche opposte tra più zwitterioni spiega inoltre perché gli amminoacidi isolati sono polveri
cristalline, a differenza delle ammine e degli acidi carbossilici aventi peso molecolare simile.
Isomeria
Con l'eccezione della glicina, per la quale R è un atomo di idrogeno, gli amminoacidi sono molecole chirali, di
ciascuna delle quali esistono due enantiomeri.
Come convenzionalmente avviene per le molecole di interesse biochimico, gli enantiomeri degli amminoacidi sono
contrassegnati dalle lettere D o L a seconda che i sostituenti legati all'atomo di carbonio asimmetrico abbiano
disposizione simile a quella della L-gliceraldeide o a quella della D-gliceraldeide.
La stragrande maggioranza delle proteine sintetizzate da organismi viventi è formata da amminoacidi L. Qualche
amminoacido D è stato trovato in proteine prodotte da organismi che vivono negli abissi marini e nelle pareti
cellulari di alcuni batteri. Amminoacidi D sono presenti anche nel veleno di alcuni animali come molluschi (coni),
oppure nelle secrezioni mucose di alcune specie anfibie.
Amminoacido
4
Gli amminoacidi ordinari
Strutture
Queste sono le strutture dei 20 L-amminoacidi ordinari, cui vanno aggiunti i due codificati da codoni di stop, in
particolari condizioni e solo in alcune specie: la pirrolisina e la selenocisteina.
L'atomo di idrogeno legato all'atomo di carbonio stereogenico è sotto il piano di lettura, il gruppo amminico sporge
dal piano di lettura verso l'osservatore (con l'eccezione della prolina, in cui a sporgere verso l'osservatore è il gruppo
carbossilico). L'alchile R distintivo per ogni amminoacido appare alla sinistra del gruppo amminico.
(+) Arginina (Arg, R)
(+) Alanina (Ala, A)
(—) Asparagina (Asn, N)
(—) Cisteina (Cys, C)
(+) Acido aspartico (Asp, D)
Glicina (Gly, G)
(+) Acido glutammico (Glu, E)
(+) Glutammina (Gln, Q)
(—) Istidina (His, H)
(+) Isoleucina (Ile, I)
(—) Leucina (Leu, L)
(+) Lisina (Lys, K)
Amminoacido
5
(—) Metionina (Met, M)
(—) Fenilalanina (Phe, F)
(—) Prolina (Pro, P)
(—) Serina (Ser, S)
(—) Treonina (Thr, T)
(—) Triptofano (Trp, W)
(+) Valina (Val, V)
(—) Tirosina (Tyr, Y)
Proprietà chimiche
I 20 amminoacidi standard possono essere divisi in gruppi a seconda della carica e della polarità delle loro catene
laterali:
• Catene laterali neutre apolari: alanina, fenilalanina, glicina, isoleucina, leucina, metionina, prolina, triptofano,
valina
• Catene laterali neutre polari: asparagina, cisteina, glutammina, serina, tirosina, treonina
• Catene laterali cariche acide: aspartato, glutammato
• Catene laterali cariche basiche: arginina, istidina, lisina
Gli amminoacidi standard hanno delle proprietà chimiche in comune:
• sono tutti α-amminoacidi (ovvero, il gruppo amminico ed il gruppo carbossilico sono legati allo stesso atomo di
carbonio)
• a pH fisiologico si trovano in forma di zwitterioni
• presentano attività ottica e si trovano tutti nella forma L
Quella che segue è una tabella che riassume nell'ordine
•
•
•
•
•
il simbolo convenzionale ad una lettera
il simbolo convenzionale a tre lettere
il nome
il tipo di gruppo laterale R
il peso molecolare (PM)
Amminoacido
•
•
•
•
•
6
il punto isoelettrico (pI)
la costante di dissociazione acida del gruppo carbossilico (pK1)
la costante di dissociazione acida del sale del gruppo amminico (pK2)
la costante di dissociazione acida del gruppo R (pKr), dove applicabile
eventuali note
per ognuno degli amminoacidi ordinari. Il simbolo convenzionale ad una lettera per un amminoacido generico è X; il
simbolo a tre lettere asx indica indifferentemente sia l'asparagina che l'acido aspartico.
simbolo
nome
tipo di R
PM
pI
pK1 pK2
6,11
2,35 9,87
pKr
A
Ala Alanina
idrofobo
89,09
C
Cys Cisteina
idrofilo
121,16 5,05
1,92 10,70 8,37
D
Asp Acido aspartico
acido
133,10 2,85
1,99 9,90
3,90
E
Glu Acido glutammico acido
147,13 3,15
2,10 9,47
4,07
F
Phe Fenilalanina
idrofobo
aromatico
165,19 5,49
2,20 9,31
G
Gly Glicina
idrofobo
75,07
6,06
2,35 9,78
H
His Istidina
basico
155,16 7,60
1,80 9,33
I
Ile
idrofobo
131,17 6,05
2,32 9,76
K
Lys Lisina
basico
146,19 9,60
2,16 9,06
L
Leu Leucina
idrofobo
131,17 6,01
2,33 9,74
M
Met Metionina
idrofobo
149,21 5,74
2,13 9,28
N
Asn Asparagina
idrofilo
132,12 5,41
2,14 8,72
P
Pro Prolina
idrofobo
115,13 6,30
1,95 10,64
Q
Gln Glutammina
idrofilo
146,15 5,65
2,17 9,13
R
Arg Arginina
basico
174,20 10,76 1,82 8,99
S
Ser
idrofilo
105,09 5,68
2,19 9,21
T
Thr Treonina
idrofilo
119,12 5,60
2,09 9,10
V
Val Valina
idrofobo
117,15 6,00
2,39 9,74
W
Trp Triptofano
idrofobo
aromatico
204,23 5,89
2,46 9,41
Y
Tyr Tirosina
idrofobo
aromatico
181,19 5,64
2,20 9,21
Isoleucina
Serina
note
In ambiente ossidante, due molecole di cisteina si uniscono
tramite un ponte disolfuro -S-S- dando luogo ad un dimero, la
cistina, che invece è apolare idrofobo; questo fenomeno nelle
proteine permette di unire tra loro punti distanti di una catena
polipeptidica o catene polipeptidiche diverse.
Avendo due atomi di idrogeno legati al carbonio α, la glicina non
è chirale.
6,04
Sia il carbonio α che quello β sono stereogenici
10,54
È sempre il primo amminoacido con cui inizia una sintesi
proteica; a volte viene rimosso dopo che la proteina è stata
assemblata.
Non potendo il legame Cα-N ruotare, questo amminoacido
interferisce con il ripiegarsi delle strutture di tipo elica α o
foglietto β.
12,48
Sia il carbonio α che quello β sono stereogenici
10,46
Amminoacido
Reazione di protonazione/deprotonazione
Dal valore del pKa degli ammino e carbossilo gruppi e alcuni gruppi R si possono ricavare informazioni sulla carica
parziale nei differenti valori di pH; in una soluzione neutra:
•
•
•
•
•
•
Il gruppo carbossilico è preferibilmente carico negativo.
Il gruppo amminico è preferibilmente carico positivo.
Il gruppo R dell'aspartato e glutammato è preferibilmente carico negativamente.
Il gruppo R della lisina e arginina è a pH 7 preferibilmente positivamente caricato.
Il gruppo R della tirosina è per lo più neutro.
Il gruppo R dell'istidina ha il 10% di probabilità di essere carico positivo a pH 7, ma la probabilità aumenta fino al
50% in soluzioni a pH 6. Per questo l'istidina è molto sensibile alle variazioni di pH nell'intervallo fisiologico.
7
Amminoacido
Sintesi degli amminoacidi
Gli amminoacidi posso essere sintetizzati attraverso 3 vie:
1. amminazione degli acidi α-amminocarbossilici;
2. sintesi di Gabriel modificata;
3. sintesi di Strecker.
Note
[1] http:/ / www. med. unibs. it/ chimica/ P5-aminoacidi. pdf
[2] Fürst P, Stehle P (giugno 2004). What are the essential elements needed for the determination of amino acid requirements in humans? (http:/
/ jn. nutrition. org/ cgi/ pmidlookup?view=long& pmid=15173430). The Journal of Nutrition 134 (6 Suppl): 1558S–1565S. PMID 15173430.
[3] Reeds PJ (luglio 2000). Dispensable and indispensable amino acids for humans (http:/ / jn. nutrition. org/ cgi/ pmidlookup?view=long&
pmid=10867060). The Journal of Nutrition 130 (7): 1835S–40S. PMID 10867060.
[4] Driscoll DM, Copeland PR (2003). Mechanism and regulation of selenoprotein synthesis. Annual Review of Nutrition 23 (1): 17–40. DOI:
10.1146/annurev.nutr.23.011702.073318 (http:/ / dx. doi. org/ 10. 1146/ annurev. nutr. 23. 011702. 073318). PMID 12524431.
[5] Krzycki JA (dicembre 2005). The direct genetic encoding of pyrrolysine. Current Opinion in Microbiology 8 (6): 706–12. DOI:
10.1016/j.mib.2005.10.009 (http:/ / dx. doi. org/ 10. 1016/ j. mib. 2005. 10. 009). PMID 16256420.
[6] Kostrzewa RM, Nowak P, Kostrzewa JP, Kostrzewa RA, Brus R (marzo 2005). Peculiarities of L: -DOPA treatment of Parkinson's disease.
Amino Acids 28 (2): 157–64. DOI: 10.1007/s00726-005-0162-4 (http:/ / dx. doi. org/ 10. 1007/ s00726-005-0162-4). PMID 15750845.
Voci correlate
•
•
•
•
•
•
•
•
•
Amminoacidi essenziali
Amminoacidi glucogenetici
Amminoacidi chetogenici
Amminoacidi insulinogenici
Gruppo funzionale
Proteina
Peptidi
Proteosintesi
Proteolisi
Altri progetti
•
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8
Proteina
Proteina
Le proteine, o protidi, sono tra i composti organici più complessi e sono i costituenti fondamentali di tutte le cellule
animali e vegetali. Dal punto di vista chimico, una proteina è un polimero (e anche una macromolecola) di residui
amminoacidici, uniti mediante un legame peptidico, spesso in associazione con altre molecole e/o ioni metallici (in
questo caso si parla di proteina coniugata).
Descrizione
Le proteine hanno una struttura tridimensionale molto complessa a cui è associata sempre una funzione biologica. Da
questa considerazione deriva uno dei dogmi fondamentali della biologia: "Struttura <--> Funzione", nel senso che
ad ogni diversa organizzazione strutturale posseduta da una proteina (detta proteina nativa) è associata una specifica
funzione biologica.
Da questo punto di vista le proteine possono essere classificate in due grandi famiglie: le proteine globulari e le
proteine a struttura estesa o fibrosa. Queste due organizzazioni riflettono le due grosse separazioni funzionali che le
contraddistinguono:
• Le proteine estese o fibrose svolgono funzioni generalmente biomeccaniche, esse rientrano nella costituzione
delle unghie, dei peli, dello strato corneo dell'epidermide, opponendo una valida difesa contro il mondo esterno.
• Al contrario, le proteine globulari sono coinvolte in specifiche e molteplici funzioni biologiche, spesso di
notevole importanza per l'economia cellulare, sono proteine gli enzimi, i pigmenti respiratori, molti ormoni, le
tossine, e gli anticorpi, responsabili della difesa immunitaria. Cibi particolarmente ricchi di proteine sono: carne ,
pesce, uova, latte e derivati.
Altri cibi meno ricchi di proteine sono: cereali, lievito di birra e cereali (quest'ultimo ha poco valore biologico. Il
valore biologico indica la quantità di proteine umane estraibili da 100g di proteine alimentari. Può essere: -Ad alto
valore biologico: ci sono tutti gli aminoacidi essenziali (8) nella giusta quantità e ben disposti come quelli nella
carne, pesce, uova, latte e derivati. -A medio valore biologico: contengono tutti gli aminoacidi essenziali (8) in
maniera squilibrata ad esempio nei legumi -A basso valore biologico: manca uno o più aminoacidi essenziali
I protidi
I protidi sono uno dei componenti fondamentali delle cellule. La loro composizione in amminoacidi è variabile e
sotto il controllo genetico per cui il loro peso molecolare può essere molto variabile e dipende dal numero e dal tipo
di amminoacidi (monomeri) di cui è costituita la molecola (eteropolimero in cui il peso molecolare medio di un
amminoacido è circa 115). Se la molecola è costituita da poche unità di amminoacidi (in genere non più di 15 ÷ 20)
viene definita un oligopeptide. In genere, un oligopeptide non ha una ben definita conformazione in soluzione ma,
essendo piuttosto flessibile, la cambia continuamente. Un polimero più lungo si dice polipeptide. Uno o più
polipeptidi costituiscono una proteina. È bene chiarire subito che una proteina nella sua organizzazione nativa, e
quindi funzionalmente attiva, può esistere solo in soluzioni saline diluite (molto simili, per composizione, a quelle
esistenti nei sistemi acquosi cellulari). La sua struttura dipende esclusivamente dalle caratteristiche chimico-fisiche
della soluzione acquosa in cui si trova (pH, presenza di ioni salini, temperatura, pressione, presenza di composti
organici come urea, alcoli, ecc.). Il variare di questi parametri può determinare delle modifiche strutturali che
possono alterare le proprietà funzionali, fino ad annullarle (proteina denaturata).
Proteine che contengono lo stesso tipo e numero di amminoacidi possono differire dall'ordine in cui questi sono
situati nella struttura della molecola. Tale aspetto è molto importante perché una minima variazione nella sequenza
degli amminoacidi di una proteina (cioè nell'ordine con cui i vari tipi di amminoacidi si susseguono) può portare a
variazioni nella struttura tridimensionale della macromolecola che possono rendere la proteina non funzionale. Un
esempio ben noto è il caso della catena beta dell'emoglobina umana che nella sua normale sequenza porta un tratto
9
Proteina
10
formato da: valina - istidina - leucina - treonina - prolina - acido glutammico - lisina.
Composizione elementare
La molecola proteica risulta costituita da atomi di carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto; spesso contiene anche zolfo
(presente negli amminoacidi metionina, cisteina e cistina) e, talvolta, fosforo e/o metalli come ferro, rame, zinco ed
altri.
Le proteine sono dei polipeptidi con più di 90-100 amminoacidi.
Gli amminoacidi
Lo scheletro delle proteine è costituito da una sequenza di 20 tipi di amminoacidi diversi, cui si aggiungono alcune
tipologie speciali di amminoacidi modificati (come l'idrossilisina nel collagene). In una singola proteina non
necessariamente sono presenti tutte le tipologie di amminoacidi che invece si trovano in quantità differenti.
La struttura generica degli amminoacidi ordinari è la seguente:
R
|
H2N-C-COOH
|
H
R rappresenta un gruppo specifico di ogni amminoacido, ed è detto catena laterale o gruppo laterale, per distinguerlo
dal resto dell'amminoacido che costituisce l'ossatura polipeptidica della proteina, è tale gruppo a conferire a ciascun
amminoacido le sue peculiarità chimiche. In funzione delle proprietà chimiche di tale gruppo, un amminoacido viene
classificato come acido, basico, idrofilo (o polare) e idrofobo (o apolare). Gli aminoacidi sono anche formati di due
gruppi distinti chiamati gruppo amminico e gruppo carbossilico(-NH2<,-COOH).
Nella "fusione" si ha la formazione di una molecola d' acqua tramite condensazione (dato che nell'avvicinamento si
ha il distaccamento di uno ione idrogeno positivo e del gruppo ossidrilico OH negativo), il gruppo amminico di un
amminoacido può legarsi al gruppo carbossilico di un altro:
2N-CH-COOH
|
R
H
+
H2N-CH-COOH
|
R'
-->
H2N-CH-CO-NH-CH-COOH
|
|
R
R'
+
H2O
Il legame che unisce due amminoacidi, evidenziato in rosso, prende il nome di legame peptidico. Una catena di più
amminoacidi legati attraverso legami peptidici prende il nome generico di polipeptide, uno o più polipeptidi, a volte
accompagnati da altre molecole ausiliarie, costituiscono una proteina.
L'ingombro dei vari gruppi R che sporgono dalla catena polipetidica, l'affinità reciproca tra gruppi polari e tra gruppi
apolari, l'attrazione tra gruppi basici e gruppi acidi sono alcune delle forze che concorrono a modellare la
conformazione della proteina nello spazio, conformazione dalla quale dipende in modo essenziale l'attività biologica
della proteina stessa.
Gli amminoacidi presenti negli organismi viventi sono numerosissimi ma solo venti di essi (tutti della serie
stereochimica L) sono sottoposti al controllo genetico, come conseguenza dei processi evolutivi e contenuti nelle
proteine:
1. acido aspartico (monoamminodicarbossilico)
2. acido glutammico (monoamminodicarbossilico)
3. alanina (monoamminomonocarbossilico)
4. arginina (diamminomonocarbossilico)
Proteina
5. asparagina
6. cisteina (monoamminomonocarbossilico)
7. fenilalanina (monoamminomonocarbossilico)
8. glicina (o glicocolla)
9. glutammina
10. isoleucina
11. istidina
12. leucina
13. lisina (diamminomonocarbossilico)
14. metionina
15. prolina (iminoacido)
16. serina (monoamminomonocarbossilico)
17. tirosina
18. treonina
19. triptofano (monoamminomonocarbossilico)
20. valina
Tra gli amminoacidi non proteici annoveriamo il GABA (acido gamma-amminobutirrico, un mediatore chimico del
sistema nervoso), la DOPA (3,4-diidrossi-l-fenilalanina, precursore dell'adrenalina), ed altri che hanno specifiche e
spesso importanti proprietà biologiche. Gli amminoacidi essenziali per il nostro organismo sono 9 (istidina,
isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilanina, treonina, triptofano e valina). Alcuni di essi sono
"condizionatamente essenziali", ovvero diventano indispensabili solo sotto specifiche condizioni fisiologiche o
patologiche (ad esempio: cisteina, tirosina, taurina, glicina, arginina, glutammina, prolina). Inoltre è necessario un
apporto sufficiente di azoto presente negli amminoacidi, che può essere soddisfatto dagli amminoacidi sopracitati,
dagli aminoacidi non essenziali o da altre fonti.
La composizione di una proteina dipende dal numero e dal tipo di amminoacidi di cui è formata. Considerando anche
che un amminoacido può comparire più volte nella stessa catena polipeptidica, il numero delle combinazioni
possibili è enorme: una sequenza di 300 aminoacidi in teoria può codificare 20300 proteine diverse. Tuttavia, la
maggior parte di queste proteine non possono esistere in natura perché lo impediscono le coppie di angoli di
rotazione di ciascun loro amminoacido, oppure perché sarebbero particolarmente instabili, così meno di una ogni
miliardo potrebbe esistere. Solo le proteine stabili infatti persistono e sono selezionate dall'evoluzione, infatti una
cellula non potrebbe sopravvivere possedendo proteine dall'emivita troppo breve, dalla funzione troppo variabile, o
impossibili da regolare. Il cambiamento anche di un singolo amminoacido all'interno di una proteina può essere
silente e non alternarne significativamente la funzione, ma può anche alterarne la struttura e dunque la funzione, ciò
è provato dalle numerose patologie di cui è responsabile la mutazione di un singolo amminoacido in una proteina. Si
comprende comunque quanto grande possa essere il numero delle diverse possibili proteine che sono state generate
dai processi evolutivi che hanno coinvolto (e coinvolgono) tutte le specie viventi esistenti in natura. Nell'uomo pare
che si codifichino almeno 24.000 proteine diverse.
Struttura
Ripiegamento
Una proteina, essendo una macromolecola formata da decine di migliaia di atomi, potrebbe potenzialmente assumere
un numero incredibilmente grande di possibili ripiegamenti. Tuttavia considerazioni fisiche limitano di molto i
possibili ripiegamenti e dunque la conformazione finale di una proteina. Intanto gli atomi non si possono mai
sovrapporre e si comportano a grandi linee come delle sfere con un raggio defiinito detto raggio di van der Waals,
ciò limita non poco il numero di angoli in una catena polipeptidica. Ciascun amminoacido contribuisce alla
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Proteina
formazione della catena polipeptidica con tre legami. Uno è il legame peptidico (C-N) tra il carbonio di un gruppo
chetonico di uno degli amminoacidi e l'azoto del gruppo amminico dell'adiacente, uno viene chiamato
convenzionalmente legame Cα-C ed è presente tra il carbone centrale cui è attaccato il gruppo laterale R e il carbone
del gruppo carbossilico, ed infine un legame Cα-N tra il carbone centrale e l'azoto del gruppo amminico dello stesso
amminoacido. Il legame peptidico è planare ed impedisce una rotazione, mentre la rotazione è permessa sugli altri
due legami; l'angolo di rotazione del legame Cα-C è detto ψ, quello del legame Cα-N è detto φ. Dunque la
conformazione degli atomi della catena principale di una proteina è determinata dalla coppia di quegli angoli di
rotazione per ciascun amminoacido. Dal momento che non sono possibili collisione steriche tra gli amminoacidi gli
angoli possibili sono limitati. Ramachandran in funzione delle possibili coppie di angoli di rotazioni compilò un
grafico che oggi prende il suo nome dove è ben visibile come la maggior parte delle proteine assumano solo due
grandi tipologie di conformazione: l'α-elica o il β-foglietto. Tra gli atomi di una proteina si stabiliscono interazioni
dette legami, che possono essere covalenti o non covalenti. I legami non covalenti, presi singolarmente, sono sempre
più deboli dei covalenti nell'ordine di decine o centinaia di volte, tuttavia il loro numero all'interno di una proteina li
rende fondamentali per comprenderne il ripiegamento. I legami non covalenti che si riscontrano nelle proteine sono i
legami idrogeno, le attrazioni elettrostatiche e le attrazioni di van der Waals. Il legame idrogeno si effettua per
esempio tra un ossigeno e un idrogeno affacciati, le attrazioni elettrostatiche tra gruppi laterali con carica opposta e
le attrazioni di van der Waals tra dipoli molecolari istantanei indotti (forza di London), tra dipoli permanenti (forza
di Keesom) o tra un dipolo permanente ed uno corrispondente indotto (forza di Debye). Ad esse si deve aggiungere
la tendenza dei gruppi di amminoacidi idrofobici (fenilalanina, leucina, isoleucina, triptofano, valina, cisteina,
metionina, prolina, alanina e glicina) ad avvicinarsi e unirsi tra loro, formando delle tasche idrofobiche lontane dalla
rete di legami idrogeno che deve essere immaginata sempre presente all'interno di un ambiente acquoso tra le
molecole d'acqua. Generalmente questi gruppi di amminoacidi sono quasi sempre posti all'interno della proteina, dal
momento che questa si interfaccia quasi sempre ad un ambiente acquoso, per cui i suoi amminoacidi idrofilici, polari
e con carica saranno tendenzialmente all'esterno. La struttura tridimensionale di una proteina è determinata dalla sola
disposizione sequenziale dei suoi amminoacidi e la conformazione che assume è tendenzialmente quella con energia
libera più bassa. È stato possibile scoprire questa peculiarità delle proteine effettuando esperimenti di denaturazione
(tramite solventi come l'urea) e rinaturazione di proteine in vitro. Si è notato che alcune proteine, una volta
denaturate e rimosso il solvente si ripiegavano autonomamente. Tuttavia, non tutte le proteine una volta denaturate
possono ripiegarsi spontaneamente nella loro conformazione originaria. La conformazione di una proteina, benché
sia normalmente la più stabile possibile per la sequenza dei suoi amminoacidi, non è immutabile, e subisce piccole
modificazioni dopo interazione con ligandi o altri proteine. Questa possibilità sta alla base della funzionalità della
maggior parte delle proteine. La conformazione di una proteina può essere notevolmente aiutata ed affinata dagli
chaperoni, delle proteine che si legano alle catene parzialmente ripiegate e le assistono sino a formare la corretta
conformazione. Spesso agiscono isolando tra loro le tasche idrofobiche di una proteina, che in caso contrario
tenderebbero ad associarsi prematuramente. Una porzione di proteina che si ripiega indipendentemente dal resto
della catena polipeptidica è detta dominio proteico ed una proteina può averne uno come numerosi. Si suppone che
esistano in natura circa 2.000 domini proteici dalla struttura differente, circa 800 sono stati identificati, tuttavia la
stragrande maggioranza dei domini proteici assume poche decine di conformazioni diverse.
l'α-elica e il β-foglio pieghettato
L'α-elica e il β-foglietto sono le conformazioni più comuni riscontrabili nelle catene polipeptidiche di una proteina.
Una singola proteina può essere formata sia da α-eliche e β-foglietti in numero variabile.
• L'α-elica è la conformazione più comune riscontrabile nelle proteine, particolarmente presente nei recettori
cellulari dov'è immersa nella membrana plasmatica della cellula, spesso con più α-eliche per una singola proteina
(unite da catene polipeptidiche ad U). In questo caso i gruppi idrofobici sono a contatto con la membrana
plasmatica e i gruppi idrofilici sono all'interno, oppure si affacciano al citoplasma e allo spazio extracellulare.
L'elica è una delle conformazioni più favorevoli perché naturalmente riduce al minimo l'energia libera, può essere
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Proteina
sinistrorsa o destrorsa. Fu scoperta per la prima volta nell'α-cheratina negli anni Sessanta. L'α-elica si forma
quando una catena polipeptidica si ripiega su se stessa con formazione di legami idrogeno tra un legame peptidico
e il quarto successivo, in particolare tra il gruppo chetonico C=O dell'uno e il gruppo N-H dell'altro, e il legame è
tra O e H. Tutti i gruppi amminici di un'elica sono rivolti verso l'N-terminale della proteina, tutti quelli chetonici
verso il C-terminale, così l'elica assume parziale carica positiva all'N-terminale e parziale carica negativa al
C-terminale. L'elica che si forma ha un giro completo ogni 3,6 amminoacidi e la distanza media tra questi è 0,54
nm. In alcune proteine due o tre α-eliche si avvolgono l'una intorno all'altra formando il coiled coil. Generalmente
questa conformazione è assunta quando ciascuna elica ha la maggior parte delle catene laterali di amminoacidi
idrofobici da un lato, in questo modo, sfruttando le attrazioni idrofobiche, le eliche possono avvolgersi una
intorno all'altra. L'α-cheratina è un esempio di proteina che assume questa particolare conformazione, preferita
dalle proteine con funzione strutturale.
• Il β-foglio pieghettato e la seconda conformazione più comune nelle proteine, molto presente in alcuni enzimi e
nelle proteine coinvolte nella difesa immunitaria. Fu scoperto negli anni Sessanta studiando la fibroina, la
proteina principale costituente della seta. Il β-fogliopeighettato consiste in numerose catene polipeptidiche che si
dispongono l'una adiacente all'altra, collegate in una struttura continua da brevi sequenze a U. Tali catene possono
puntare tutte nella stessa direzione (catene parallele) o in direzioni alternate (catene antiparallele). Ancora una
volta le catene polipeptidiche adiacenti sono unite in una struttura rigida da legami idrogeno che connettono i
legami peptidici di una catena con quella adiacente.
Livelli di organizzazione
Una proteina nel suo complesso è una molecola in cui vengono convenzionalmente distinti vari livelli di
organizzazione, che possono essere tre o quattro a seconda della proteina.
• La struttura primaria è formata dalla sequenza specifica degli amminoacidi, dalla catena peptidica e dal numero
stesso delle catene, determina da sola il ripiegamento della proteina.
• La struttura secondaria consiste nella conformazione spaziale delle catene; ad esempio la conformazione a
spirale (o ad alfa elica), mantenuta e consentita dai legami a idrogeno, quella planare (o a foglietto beta), il coiled
coil (collagene) o quelle globulari appartenenti al gruppo KEMF (cheratina, epidermina, miosina, fibrinogeno).
All'interno di una singola proteina vi può essere una combinazione di sequenze di α eliche, foglietto β e sequenze
non ripetitive, e sono ad un livello di complessità compreso tra la struttura secondaria e quella terziaria.
• Il dominio è un'unità globulare o fibrosa formata da catene polipeptidiche ripiegate in più regioni compatte,
costituiscono divisioni della struttura terziaria, ha la caratteristica di ripiegarsi più o meno indipendentemente
rispetto al resto della proteina. Un dominio è generalmente compreso tra i 30 e i 350 amminoacidi. Molte delle
proteine più complesse sono aggregazioni modulari di numerosi domini proteici. Tra i più comuni si citino SH2 o
SH3; la proteina Src possiede un dominio SH2, un dominio SH3 e un dominio catalitico chinasico C-terminale.
• La struttura terziaria (dal punto di vista della termodinamica è la forma con la più bassa energia libera) è
rappresentata dalla configurazione tridimensionale completa che la catena polipeptidica assume nell'ambiente in
cui si trova.
Viene consentita e mantenuta da diversi fattori, come i ponti disolfuro, e le forze di Van der Waals. Fondamentali
sua formazione sono le chaperonine, proteine chiamate anche "dello stress" o "dello shock termico" (Hsp, "heat
shock proteins), per il loro ruolo nella rinaturazione delle proteine denaturate.
Gran parte delle strutture terziarie può essere classificato come globulare o fibrosa.
• La struttura quaternaria è quella che deriva dall'associazione di due o più unità polipeptidiche, unite tra loro da
legami deboli (e a volte ponti disolfuro) in un modo molto specifico, come ad esempio avviene nella costituzione
dell'emoglobina, costituita da quattro subunità, due globuline α e due globuline β.
• La struttura quinaria , che fu suggerita da Edwin H. McConkey, ricercatore all'Università del Colorado. Egli
elaborò un'interessante teoria che fu ingiustamente trascurata, effettuando esperimenti di gel-elettroforesi per
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Proteina
confrontare le varie popolazioni proteiche in organismi che si trovavano in differenti stadi evolutivi. I risultati
portarono lo studioso a definire la struttura quinaria, riferendosi a tutto ciò che, in seno ad un polipeptide, si può
rapportare a tutte le interazioni transitorie stabilite da alcune proteine (in vivo) per la salvaguardia dal processo
evolutivo. In particolare, tale struttura si può considerare come la tendenza all'invarianza, e non a particolari
cambiamenti morfologici nella struttura di un polipeptide.
Le proteine che contengono anche una parte non polipeptidica, gruppo prostetico, sono dette proteine coniugate. Due
proteine si dicono isoforme se, a parità di struttura primaria, differiscono in uno degli altri livelli di struttura.
Denaturare una proteina significa distruggerne la conformazione spaziale, rompendo i legami idrogeno e ponti
disolfuro per mezzo di acidi, basi, calore, radiazioni o agitazione (un esempio comune di denaturazione è la cottura
di un uovo nel quale l'albumina, che costituisce la maggior parte dell'albume, viene denaturata). Una proteina
denaturata, pur mantenendo intatta la sua struttura primaria, non è più in grado di esplicare la sua funzione, a meno
che non si riesca a ristabilirne la struttura terziaria.
Proteine complesse
Le proteine, per quanto complesse anche prese singolarmente, negli organismi viventi possono aggregarsi ad altre
proteine identiche oppure a proteine apparentemente molto differenti creando dei complessi proteici. Ciò che
permette questo legame sono i legami non covalenti che permettono alla stessa proteina di assumere una determinata
conformazione. In una proteina sono spesso presenti una o più zone caratteristiche capaci di interazioni non covalenti
con altre proteine, qualsiasi zona siffatta è detta sito di legame. Quando una proteina tramite un sito di legame si lega
ad un'altra proteina formando un complesso proteico ciascuna di esse prende il nome di subunità proteica; se le
subunità che formano la proteina sono due si dirà che è un dimero, se tre un trimero, se quattro un tetramero e così
via. Vi sono complessi proteici che contengono decine di subunità. Il legame può essere per esempio "testa-testa" (in
tal caso sono favoriti i dimeri) o "testa-coda" (dove spesso le proteine sono globulari o ad anello). Un esempio di
proteina provvista di più subunità è l'emoglobina, una proteina globulare formata da quattro subunità, due
α-globuline ad uno dei due poli e due β-globuline all'altro (le subunità non sono perciò alternate), con un gruppo
prostetico (l'eme) legato a ciascuna subunità. Altri complessi proteici sono formati da molte più subunità che
permettono di realizzare dei filamenti dal momento che ad un polo possiedono un sito di legame e all'altro polo una
struttura proteica complementare a quello stesso sito. Si creano così catene filamenti proteici come l'actina-F,
formata da centinaia di subunità globulari di actina-G che le conferiscono al microscopio elettronico un aspetto
simile a quello di una collana elicoidale di perle. La ridondanza della struttura elicoidale e non retta è sempre dovuta
all'affinità per una conformazione con la minore energia libera. Una variante all'elica è il coiled coil, che coinvolge
due o tre catene polipeptidiche, come nella cheratina o nel collagene. Si può dire che a grandi linee le proteine
globulari tendono ad avere funzione enzimatica, mentre quelle che formano filamenti hanno funzione strutturale
(formano ad esempio le miofibrille nelle fibre muscolari o le fibre della matrice extracellulare, o ancora il
citoscheletro di una cellula). Vi sono proteine la cui funzione è resa possibile proprio per la loro struttura poco
caratterizzabile e casuale, ne è un esempio l'elastina, che forma le fibre elastiche della parete delle arterie e di molti
altri tessuti del corpo umano. Nell'elastina numerose catene polipeptidiche sono legate covalentemente tra loro senza
una disposizione regolare e tale struttura disordinata determina la sua deformabilità. Proteine poco strutturate hanno
svariate funzioni nella cellula, alcune ad esempio hanno funzione strutturale come l'elastina, altre però sono dei
canali come le nucleoporine poste sulla membrana nucleare di ciascuna cellule, altre ancora fungono da proteine
impalcatura, cioè proteine che raggruppano in stretta vicinanza altre proteine dalla funzione correlata, fondamentali
nella segnalazione e nella comunicazione cellulare. Una caratteristica comune a tutte le proteine poco strutturate è
una grande ridondanza di aminoacidi e la bassa presenza di amminoacidi idrofobici. Certe proteine molto esposte
alla degradazione nell'ambiente extracellulare sono stabilizzate da legami disolfuro (S-S) che si formano tra due
proteine; questo legame agisce come una vera e propria graffetta sulla proteina, permettendole in ambienti ostili di
mantenere la sua conformazione. All'interno del citoplasma è difficile riscontrare legami disolfuro a causa
dell'ambiente riducente, per cui le cisteine mostrano gruppi (-SH). L'evoluzione ha fatto inoltre in modo che vi fosse
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Proteina
la possibilità di creare complessi proteici ancora più grandi di filamenti, coiled coil, o proteine globulari. Il vantaggio
di tali strutture è che siccome sono spesso costituite dalla ripetizione di subunità identiche o simili, occorre poco
materiale genetico per sintetizzare grandi complessi proteici, per esempio i capsidi dei virus, inoltre l'associazione tra
le subunità necessita generalmente di un'energia molto bassa, oppure, in certi casi, sono subunità autoassemblanti
(per esempio il ribosoma batterico). Il capside di molti virus è formato o da un tubo cavo (come nel virus del
mosaico del tabacco) oppure rassomiglia ad un icosaedro o ad una sfera cava, come per esempio il poliovirus.
Generalmente tali strutture si rivelano sia molto stabili date le numerose interazioni tra le subunità, sia adattabili, dal
momento che per infettare una cellula devono permettere la fuoriuscita dell'acido nucleico, sia RNA o DNA.
Chiralità delle proteine
Tutti gli amminoacidi, ad eccezione della glicina presentano un carbonio legato a quattro sostituenti diversi che è un
centro chirale. Tutti gli amminoacidi possono dunque esistere in due conformazioni: L o D, sintetizzandoli
artificialmente si ottiene una miscela racema.
Tuttavia tutti gli amminoacidi dei composti biologici si trovano in natura soltanto conformazione L. Amminoacidi in
conformazione D si rinvengono in alcune specie batteriche e vengono pure adoperati per la sintesi di farmac. La
gramicidina S, un peptide naturale con funzione antibatterica, nella sua struttura primaria contiene anche alcuni
amminoacidi appartenenti alla conformazione D
Funzioni
Legame
Le proteine svolgono funzioni strutturale, immunitaria, trasporto (di ossigeno, metalli, lipidi, di membrana), di
identificazione dell'identità genetica, ormonale, enzimatica, contrattile, energetica. Quasi tutte le proteine conosciute
interagiscono con altre proteine o con altri tipi di molecole, comunque detti ligandi, tramite i loro siti di legame, ciò
sta alla base di gran parte delle interazioni presenti in una cellula. Una proteina di norma possiede un sito di legame
che le permette di legarsi con uno o pochi ligandi, per cui la maggior parte delle proteine ha alta specificità. L'entità
del legame può essere differente, vi sono proteine che si legano ai propri ligandi in modo molto tenace, altre invece
che si legano debolmente e la tipologia di legame influenza la funzione della stessa proteina. Ad esempio, gli
anticorpi legano strettamente i propri ligandi (detti antigeni), mentre certi enzimi per questioni di cinetica e per
velocizzare le reazioni non legano così strettamente il proprio substrato. La capacità di legame dipende sempre dalla
capacità della proteine di stabilire legami non covalenti (legame idrogeno, attrazioni elettrostatiche, attrazioni
idrofobiche e forze di van der Waals) con il ligando. Più legami si formano, più il legame con il ligando sarà
complessivamente intenso. Il sito di legame di una proteina possiede una forma che è generalmente quasi speculare a
quella del ligando che vi deve aderire, ciò ne determina la specificità. Le caratteristiche di ciascun sito di legame
sono date dalle catene laterali degli amminoacidi che si affacciano in esso; gli amminoacidi che vi prendono parte
sono spesso distanti lungo la catena polipeptidica della proteina. Mutazioni nel sito di legame generalmente
determinano malfunzionamento o cessazione dell'attività catalitica o di legame originaria. Non è sorprendente
pensare che i siti di legame siano alcuni degli amminoacidi più conservati all'interno di una proteina. I siti di legame
sono isolati dall'ambiente acquoso in cui sono immersi dal momento che alcune catene laterali poste in prossimità del
sito di legame tendono a respingere le molecole d'acqua; è inoltre sfavorevole per una molecola d'acqua dissociarsi
dalla rete di legami idrogeno con cui è interconnessa alle altre molecole d'acqua per reagire con una catena laterale di
un amminoacido del sito di legame. Il ligando può essere attratto mediante alcuni espedienti, come il
raggruppamento in siti specifici di amminoacidi provvisti di carica, che sono quindi in grado di attrarre più
facilmente ligandi di carica opposta e nel contempo di respingere quelli con la stessa carica. Le possibili interfacce
tra una proteina e il suo ligando sono molti, tra le più comuni le interazioni superficie (sito di legame)-stringa
(ligando), oppure elica-elica (comune nelle proteine regolatrici di geni), o ancora, più comunemente delle altre due,
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Proteina
superficie-superficie (quanto avviene in moltissimi enzimi). La forza di legame di una proteina verso il suo ligando
all'equilibrio, cioè nello stato in cui le associazioni e le dissociazioni tra la proteina e il ligando sono in egual
numero, è misurata tramite la costante di equilibrio.
La velocità di dissociazione è calcolata tramite la formula: velocità associazione = koff[AB] dove [AB] è la
concentrazione del complesso proteico in moli e koff è la costante di dissociazione.
La velocità di associata è calcolata tramite la formula: velocità dissociazione = kon[A] [B], dove [A] e [B] sono le
due molecole e kon è la costante di associazione.
Eguagliando le due velocità si ricava la costante di equilibrio (detta anche di affinità) Ka = [AB] \ [A][B]
Maggiore è la costante di equilibrio, maggiore sarà la forza di legame, inoltre essa è una misura diretta della
differenza di energia libera tra lo stato legato e dissociato della proteina.
Enzimi
Gli enzimi formano buona parte delle proteine conosciute e sono spesso proteine globulari. Quasi tutti i nomi degli
enzimi terminano in "-asi" per convenzione. Essi non solo si legano ad un ligando, ma catalizzano una reazione, cioè
ne abbassano l'energia necessaria, accelerandola notevolmente e formando nuovi prodotti senza modificarsi. Per
questo motivo possono catalizzare numerose reazioni e a velocità incredibili, tanto che i più potenti catalizzatori noti
sono enzimi. Il ligando di un enzima prende il nome di substrato ed è generalmente molto più piccolo dell'enzima
stesso. Il ruolo degli enzimi fa sì che queste proteine siano alla base della vita e del metabolismo di ogni organismo,
qualora si associano in vie enzimatiche ordinate. Alcuni enzimi sono utilizzati per fini industriali. La sintesi chimica
di numerosi farmaci, ad esempio, è portata a termine attraverso l'utilizzo di enzimi. Anche diversi prodotti di uso
domestico fanno ampio uso di enzimi: diversi detersivi contengono enzimi per velocizzare la degradazione delle
proteine e dei lipidi che compongono le macchie. La papaina, enzima estratto dalla papaia, è invece utilizzata in
numerosi prodotti per le sue caratteristiche proteolitiche: dall'intenerimento della carne, processo noto già agli
indigeni americani, all'utilizzo in applicazioni topiche sulle ferite e sulle cicatrici.
Gli enzimi sono classificati in:
• Idrolasi, gli enzimi che tagliano un substrato mediante idrolisi, ne fanno parte le proteasi (che tagliano altre
proteine) e le nucleasi (che tagliano acidi nucleici, cioè DNA e RNA).
• Sintasi, enzimi che sintetizzano una nuova molecola a partire da due substrati, generalmente per condensazione.
• Isomerasi, enzimi che trasformano un ligando in un suo isomero modificandolo chimicamente a livello dei
legami.
• Polimerasi, enzimi che associano varie molecole costituendo un polimero, per esempio un acido nucleico.
• Chinasi, enzimi che aggiungono gruppi fosfato ad alcune molecole.
• Fosfatasi, enzimi che rimuovono gruppi fosfato da alcune molecole.
• Ossido-reduttasi, enzimi che ossidano e riducono alcune molecole, ne fanno parte le ossidasi, le reduttasi e le
deidrogenasi.
• ATPasi, enzimi che idrolizzano ATP liberandone l'energia.
Classificazione
La formazione di copie duplicate di geni e l'alterazione della funzione di una proteina nel corso dell'evoluzione
hanno portato alla formazione delle circa 500 famiglie proteiche identificate. All'interno di una famiglia sebbene
ciascuna proteina svolga una funzione leggermente diversa dall'altra, la sequenza di amminoacidi in particolare
presso i siti catalitici e in regioni conservate è quasi identica. Non è tuttavia una legge che vale per tutte le proteine di
una famiglia, esistono infatti alcune proteine dalla sequenza aminoacidica molto diversa e tuttavia dalla
conformazione tridimensionale molto simile. Si può quindi affermare che nel corso dell'evoluzione all'interno di una
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Proteina
famiglia proteica si è conservata più la conformazione tridimensionale che non la sequenza degli amminoacidi.
Generalmente quando almeno un quarto della sequenza amminoacidica di due proteine corrisponde, esse hanno la
stessa struttura generale. Due proteine diverse appartenenti ad una stessa famiglia e dalla funzione simile sono dette
paraloghe, mentre la stessa proteina in due organismi diversi (per esempio uomo e topo) è detta ortologa. La
parentela tra due proteine è generalmente accettata quando almeno il 30% degli amminoacidi corrispondono, ma per
verificarla è possibile ricorrere ai cosiddetti fingerprint, cioè brevi sequenze di amminoacidi comuni in quasi tutte le
proteine di una data famiglia. Alcune proteine si sono formate per rimescolamento dei domini proteici o per la loro
duplicazione all'interno della stessa proteina a causa di unioni accidentali di DNA codificante; certi domini sono
particolarmente diffusi e sono perciò chiamati moduli proteici. Ne sono Questi domini hanno la caratteristica di
avere gli N-terminali e C-terminali ai poli opposti della proteina, così che l'aggregazione ad altri domini e ad altre
proteine per formare strutture più grandi è favorita rispetto a quanto accadrebbe se fossero entrambi verso lo stesso
polo della proteina; un esempio è il modulo 1 della fibronectina. In tal caso i domini che assumono una
conformazione simile ad una spina della corrente sono inseriti nelle anse proteiche di alcune proteine, per esempio il
modulo kringle nell'urochinasi o il dominio SH2. Alcuni di questi domini non si ritrovano solo tra proteine paraloghe
ma anche ortologhe, per esempio il dominio SH2 mostra una diffusione molto simile sia nel verme che nella mosca,
eppure è ben poco frequente nei vegetali. Vi sono invece dei domini comuni a solo certe categorie di organismi come
l'MHC, il complesso maggiore di istocompatibilità (major histocompatibility complex), presente nell'uomo ma
assente negli insetti e nei vegetali, tuttavia questi costituiscono soltanto il 7% del totale. Si è osservato inoltre che,
malgrado alcuni organismi viventi apparentemente semplici come l'alga Arabidopsis posseggano più geni di un
essere umano, tendenzialmente le proteine umane sono formate da un numero maggiore di domini e quindi sono più
complesse rispetto alle ortologhe in altri organismi.
La classificazione può essere dunque fatta in base alla composizione chimica, alla configurazione molecolare o alla
solubilità. Si distinguono così proteine semplici (costituite da soli amminoacidi) e proteine coniugate (costituite da
una proteina semplice e da un gruppo prostetico di natura non proteica).
Tra le proteine semplici:
• proteine fibrose, generalmente insolubili nei solventi acquosi ed a volte inattaccabili dagli enzimi proteolitici
• collageno (costituente essenziale del tessuto connettivo)
• elastina (componente principale delle fibre elastiche e delle pareti vasali)
• cheratina (componente essenziale dell'epidermide)
• proteine globulari o globose, solubili in acqua e cristallizzabili
• protamine (di struttura semplice, simile ai peptoni)
• istoni (di struttura semplice, simile ai peptoni)
• albumine, assai diffuse nel mondo animale
• globuline, insolubili in acqua, si trovano nel sangue, nel muscolo, nei tessuti in genere e nei semi
• prolamine, caratteristiche del mondo vegetale.
Tra le proteine coniugate (costituite almeno da apoproteina+gruppo prostetico)
• Emoglobina: Apoproteina + gruppo Eme + Fe
• clorofille: Apoproteina + Anello tetrapirrolico + Mg
• Opsine: Apoproteina + Retinale
Un'ulteriore suddivisione delle proteine è quella che le distingue in base alla loro funzione.
• Le proteine strutturali sono componenti delle strutture permanenti dell'organismo ed hanno principalmente una
funzione meccanica. Due esempi sono il collagene e l'elastina, presenti nella matrice dei tessuti connettivi.
• Le proteine di trasporto si legano (in genere con legami deboli) a sostanze poco (o comunque non abbastanza)
idrosolubili e ne consentono il trasporto nei liquidi corporei. Comprendono ad esempio le proteine del sangue che
trasportano i lipidi e il ferro, nonché l'emoglobina che trasporta l'ossigeno. Molto importanti sono anche le
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Proteina
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proteine di trasporto delle membrane cellulari, che permettono un passaggio selettivo di molecole idrosolubili e
ioni.
• Le immunoglobuline (dette anche anticorpi) sono proteine che si legano a molecole normalmente non presenti
nell'organismo, concorrendo alla difesa dello stesso.
• Gli enzimi sono proteine catalitiche. Essi accelerano enormemente la velocità di specifiche reazioni chimiche,
determinando quali, tra le pressoché infinite reazioni che potrebbero avvenire tra le sostanze presenti, avvengono
realmente a velocità apprezzabile. Di fatto, ogni molecola appena un po' complessa presente in un essere vivente è
prodotta da enzimi.
Proprietà
Le proprietà delle proteine si ricollegano a quelle dei loro costituenti, gli amminoacidi: sono elettroliti anfoteri,
possono essere sottoposte ad elettroforesi, sono otticamente attive (levogire) e presentano il fenomeno di Tyndall. Il
punto isoelettrico o PI di una proteina è rappresentato da quella concentrazione di idrogenioni del mezzo, che si
comporta in modo da far assumere al protide una forma di anfoione. Per ottenere il peso molecolare o PM delle
proteine si deve far ricorso a tecniche e metodologie di non sempre facile attuazione. Tra le tante, quella che fornisce
i risultati più precisi è senza dubbio la spettrometria di massa.
Sintesi
Le proteine sono sintetizzate dagli organismi attraverso il processo della sintesi proteica.
A livello industriale e di laboratorio, la sintesi dei polipeptidi può essere condotta per due vie distinte:
1. Sintesi di Merrifield (o in fase solida): i polipeptidi vengono sintetizzati utilizzando un supporto solido
polimerico a cui vengono legati in successione gli amminoacidi, partendo dal primo, che viene solitamente
utilizzato opportunamente modificato affinché si leghi alla resina e resti protetto dall'azione dei reagenti utilizzati
durante la sintesi del polipeptide.
2. Sintesi enzimatica: vengono opportunamente utilizzati enzimi capaci di promuovere la formazione o la
rimozione di un legame peptidico (chimotripsina, tripsina, elastasi, pepsina, etc.).
Voci correlate
Altre classi di molecole biologiche
Alcuni esempi di proteine
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Acidi nucleici
Glucidi
Lipidi
Vitamine
Struttura e sintesi delle proteine
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Amminoacidi
Fabbisogno sostanziale umano
Protein Data Bank
Proteoma
Proteopedia
Ribosoma - Reticolo endoplasmatico
Sintesi proteica
Predizione di struttura proteica
Albumina
Alfafetoproteina
Chaperonina
Chinesina
Diastasi
Glicoproteina
Gammaglobulina
Enzima
Insulina
Lisozima
Miosina
Spettrina
Transaminasi
Tubulina
Proteina
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Altri progetti
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Wikibooks contiene testi o manuali: http://it.wikibooks.org/wiki/Chimica organica/Proteine
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Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/proteina
Collegamenti esterni
• Esperienze in laboratorio - Le proteine [1]
• Purificazione di proteine e dosaggio quantitativo [2]: descrizione delle tecniche di purificazione delle proteine,
principio ed esempi di dosaggio quantitativo.
• Il cibo e le proteine [3]
Note
[1] http:/ / www. itchiavari. org/ chimica/ lab/ proteine. html
[2] http:/ / www. chemdav. altervista. org/ page3/ files/ 12ea655b2fcca17f1f229255f98c145f-15. php
[3] http:/ / www. my-personaltrainer. it/ nutrizione/ alimenti-proteine. html
20
Carboidrati
Glucidi
I glucidi (dal greco glucos, cioè dolce),
chiamati anche zuccheri o carboidrati
(da idrati di carbonio) o saccaridi,
sono una delle principali classi di
biomolecole.
Hanno
numerose
funzioni biologiche tra cui quella di
riserva
energetica
e
trasporto
dell'energia
(esempio:
amido,
glicogeno) e sono anche noti come
componenti strutturali della cellulosa
Struttura dell'amilosio, un componente dell'amido
nelle piante e della cartilagine negli
animali. Inoltre i carboidrati e i loro
derivati giocano un ruolo fondamentale nel sistema immunitario, nella fertilità e nello sviluppo biologico.
Dal punto di vista chimico, i carboidrati sono aldeidi o chetoni a cui sono stati aggiunti vari gruppi ossidrilici,
solitamente uno per ogni atomo di carbonio che non fa parte del gruppo funzionale aldeidico o chetonico. Le singole
unità di carboidrati sono chiamate "monosaccaridi". Tra questi si annoverano il glucosio, il galattosio e il fruttosio.
La formula generale di un monosaccaride, detta formula empirica (o minima) è (C·H2O)n, dove n è un numero
maggiore o uguale a tre; ad ogni modo non tutti i carboidrati si adattano a questa precisa definizione stechiometrica
(per esempio gli acidi uronici, i deossizuccheri come il fucosio).
I monosaccaridi possono legarsi tra di loro in moltissimi modi per formare i polisaccaridi o gli oligosaccaridi. Molti
carboidrati contengono uno o più unità di monosaccaridi a cui sono stati tolti o aggiunti vari gruppi. Per esempio il
deossiribosio, un componente del DNA, è una versione modificata del ribosio (un componente dell'RNA). Altri
carboidrati presentano invece gruppi funzionali differenti, come nel caso degli amminozuccheri e delle glicoproteine.
Classificazione
I carboidrati possono essere classificati come semplici (monosaccaridi e disaccaridi) o complessi (oligosaccaridi e
polisaccaridi). Le linee guida per l'alimentazione generalmente consigliano i carboidrati complessi, e alcuni cibi
ricchi di carboidrati semplici come la frutta (che contiene glucosio e fruttosio) o i prodotti caseari (che contengono
lattosio) come sola fonte di carboidrati nella dieta. Ciò esclude alcune fonti di zuccheri semplici come i dolci o le
bevande zuccherate.
L'indice glicemico e il carico glicemico sono concetti sviluppati per analizzare il comportamento del cibo durante la
digestione. Questi classificano i cibi ricchi di carboidrati in base alla velocità del loro effetto sul livello di glucosio
nel sangue. L'indice insulinico è una classificazione simile, più recente, che classifica il cibo in base al suo effetto sui
livelli di insulina nel sangue, causato dai vari macronutrienti, soprattutto dai carboidrati e da alcuni amminoacidi
presenti nel cibo. L'indice glicemico è una misura di quanto velocemente i carboidrati del cibo vengono assorbiti,
mentre il carico glicemico è la misura che determina l'impatto di una data quantità di glucidi presenti in un pasto.
I carboidrati complessi non assimilabili, come la cellulosa, l'emicellulosa e la pectina, sono un'importante
componente della fibra alimentare.
Glucidi
Classificazione dei monosaccaridi
I monosaccaridi sono classificati in base a tre differenti
caratteristiche: la posizione del loro gruppo carbonile, il
numero di atomi di carbonio che contengono e la loro
chiralità. Se il gruppo carbonilico è aldeidico, il
monosaccaride è un aldoso; se il gruppo carbonilico è
chetonico, il monosaccaride è un chetoso. I
monosaccaridi con tre atomi di carbonio sono chiamati
triosi, con quattro sono chiamati tetrosi, con cinque
pentosi, con sei esosi e con sette eptosi. Questi due
sistemi di classificazione sono spesso combinati. Per
esempio, il glucosio è un aldoesoso, il ribosio è un
aldopentoso e il fruttosio è un chetoesoso.
Ogni atomo di carbonio che porta un gruppo ossidrile
(-OH), ad eccezione del primo e dell'ultimo carbonio, è
asimmetrico, con stereocentri con due possibili
Enantiomeri del glucosio, con evidenziata la configurazione D,L
configurazioni (R o S). A causa di questa simmetria,
esiste un certo numero di isomeri per ogni formula di monosaccaride. Il D-glucosio, per esempio, ha formula
(C·H2O)6 e quattro dei suoi sei atomi di carbonio sono stereogeni, rendendo il D-glucosio uno dei 16 possibili
stereoisomeri. Nel caso della gliceraldeide, un aldotrioso, c'è una coppia di possibili stereoisomeri, che sono
enantiomeri ed epimeri. L'1-3-diidrossiacetone, il chetoso che corrisponde alla gliceraldeide aldosa, è una molecola
simmetrica senza stereocentri. La classificazione in D o L è fatta in base all'orientamento del carbonio asimmetrico
più lontano dal gruppo aldeidico o chetonico: in una proiezione di Fischer standard se il gruppo ossidrile è a destra
della molecola, lo zucchero ha configurazione D; se è a sinistra lo zucchero ha configurazione L. Gli zuccheri di
serie D sono più comuni e pertanto la D spesso viene omessa.
Configurazione
Il gruppo aldeidico o chetonico di una catena lineare di un monosaccaride reagirà reversibilmente con un gruppo
ossidrile su un altro atomo di carbonio per formare un semiacetale o un semichetale, formando un anello eterociclico
con un ponte ossigeno tra i due atomi di carbonio. Gli anelli con cinque o sei atomi sono chiamati furanosi e piranosi
ed esistono in equilibrio con la forma a catena aperta. Durante la conversione dalla forma a catena aperta alla forma
ciclica, l'atomo di carbonio contenente l'ossigeno carbonilico, chiamato carbonio anomerico, diventa un centro
chirale con due possibili configurazioni: l'atomo di ossigeno può prendere posizione sopra o sotto il piano dell'anello.
I due possibili stereoisomeri risultanti sono detti anomeri. Nell'anomero α, l'-OH che sostituisce il carbonio
anomerico sta dal lato opposto (trans) dell'anello (secondo CH2OH). La forma alternativa dà l'anomero β. Dato che
l'anello e la forma a catena aperta si interconvertono velocemente, entrambi gli anomeri esistono all'equilibrio.
21
Glucidi
22
α-D-Glucopiranosio
β-D-Glucopiranosio
La mutarotazione è un fenomeno, legato proprio all'instaurarsi di un equilibrio tra anomeri, che consiste nella
variazione del potere rotatorio dei carboidrati osservato in una loro soluzione.
Ruolo biologico
I monosaccaridi sono la più grande risorsa per il metabolismo, dato che vengono usati come fonte di energia.
Quando non c'è immediato bisogno di monosaccaridi spesso sono convertiti in forme più vantaggiose per lo spazio,
spesso in polisaccaridi. In molti animali, compresi gli umani, questa forma di deposito è il glicogeno, sito nelle
cellule del fegato e dei muscoli. Le piante invece utilizzano l'amido come riserva. Altri polisaccaridi come la chitina,
che concorre alla formazione dell'esoscheletro degli artropodi, svolgono invece una funzione strutturale.
Oligosaccaridi e polisaccaridi
Gli oligosaccaridi e i polisaccaridi sono composti da lunghe catene di monosaccaridi (monomeri) legati da legami
glicosidici. La distinzione tra i due è basata sul numero di monosaccaridi presenti nella catena. Gli oligosaccaridi
tipicamente contengono da sette a nove monosaccaridi, mentre i polisaccaridi contengono più di dieci
monosaccaridi.[1]
I polisaccaridi rappresentano un'importante classe di polimeri biologici. La loro funzione negli organismi viventi è di
solito strutturale o di deposito. L'amido (un polimero del glucosio) è utilizzato come polisaccaride di deposito nelle
piante, e si trova sia nella forma di amilosio sia in quella ramificata dell'amilopectina. Negli animali, il polimero di
glucosio strutturalmente simile è il più densamente ramificato glicogeno, qualche volta chiamato "amido animale".
Le proprietà del glicogeno gli permettono di essere metabolizzato più rapidamente, il che si adatta alle vite attive
degli animali che si muovono. Le forme di glicogeno più diffuse sono il glicogeno epatico e glicogeno muscolare. Il
glicogeno epatico si trova nel fegato, è la riserva di zucchero e di energia negli animali e dura 24 ore. Il glicogeno
muscolare è la riserva di zucchero utilizzata direttamente dalle cellule muscolari senza passare per la circolazione
sanguigna. Il glicogeno epatico, invece, prima di raggiungere le cellule e, in particolare, il tessuto muscolare deve
essere immesso nella circolazione sanguigna.
I polisaccaridi si suddividono in omopolisaccaridi ( costituiti da tante unità di uno stesso monosaccaride ripetuto più
volte) e eteropolisaccaridi (costituiti da tante unità monosaccaridiche diverse). La cellulosa e la chitina sono esempi
di polisaccaridi strutturali. La cellulosa è situata nelle pareti cellulari e in altri organismi, e si ritiene che sia la più
abbondante molecola organica sulla Terra. Ha molti utilizzi, come un ruolo significativo nell'industria tessile e della
carta, ed è usata come materia prima per la produzione del rayon (attraverso il processo viscoso), acetato di cellulosa,
celluloide, e nitrocellulosa. La struttura della chitina è simile, ha delle catene laterali che contengono azoto,
aumentandone la forza. Si trova negli esoscheletri degli artropodi e nelle pareti cellulari di alcuni funghi. Ha molti
usi, tra cui il filo di sutura chirurgico.
Altri polisaccaridi includono il callosio, la laminarina, lo xilano, il mannano, il fucoidano, e il galactomannano.
Glucidi
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Riduzione e ossidazione dei glucidi
Pur esistendo prevalentemente in forma emiacetalica ciclica, i glucidi sono in equilibrio
con la loro forma a catena aperta. Ciò rende il gruppo aldeidico soggetto a reazioni di
riduzione, solitamente utilizzando l'idrogenazione catalica o il tetraidroborato di sodio.
Una applicazione di questa reazione consiste nella sintesi del dolcificante sorbitolo,
ottenuto dalla riduzione del D-glucosio:
La funzione aldeidica è anche soggetta a ossidazione, per esempio con bromo, formando
Acido gluconico, ottenuto
i composti noti come acidi aldonici. Utilizzando condizioni ossidative più drastiche, per
per ossidazione del
esempio impiegando acido nitrico, è possibile ossidare anche il gruppo -CH2OH
glucosio
terminale, producendo gli acidi aldarici. Acidi aldonici e aldarici tendono a esistere
principalmente sotto forma di lattoni. Infine è possibile che si verifichi solamente l'ossidazione del gruppo -CH2OH
terminale con il gruppo -CHO che resta inalterato, producendo gli acidi uronici. La formazione di questo genere di
composti avviene prevalentemente per via biochimica per azione di enzimi, dato che con i rettivi chimici risulta
favorita l'ossidazione del gruppo aldeidico. Un esempio di acido uronico è rappresentato dall'acido glucuronico,
ottenuto per ossidazione del D-glucosio e che ricopre un ruolo importante nell'escrezione delle sostanze tossiche per
via urinaria.
In generale, gli zuccheri suscettibili di ossidazione vengono definiti zuccheri riducenti. Sono riducenti tutti quegli
zuccheri il cui carbonio anomerico non è impegnato in un legame stabile, come nel caso dei glicosidi e disaccaridi
come il saccarosio. Oltre agli aldosi, anche i chetosi sono zuccheri riducenti, in quanto presentano anche loro una
funzione aldeidica in seguito a un equilibrio con un intermedio enediolico (diolo con un doppio legame,
R-C(OH)(CHOH)). I reattivi di Benedict e quello di Fehling sono di comune utilizzo nella pratica di laboratorio per
la determinazione delle proprietà riducenti degli zuccheri.
Scissione ossidativa
Menzione a parte merita l'ossidazione con acido periodico, in quanto quest'ultima provoca anche una scissione della
molecola glucidica. La reazione, utilizzata per la determinazione della struttura dei carboidrati, implica la rottura del
legame C-C di un 1,2-diolo con formazione di due chetoni:
R2(HO)C-C(OH)R'2 + HIO4 → R2C=O + R'2C=O + HIO3 + H2O
o di un composto α-idrossi carbonilico con formazione di un acido carbossilico e di un chetone:
RC(O)-C(OH)R'2 + HIO4 → RCO2H + R'2C=O + HIO3
Quando sono presenti tre atomi di carbonio contigui legati a gruppi OH la reazione consuma due moli di acido
periodico e il carbonio centrale viene ossidato ad acido formico (HCO2H):
R2(OH)C-C(OH)-C(OH)R'2 + 2 HIO4 → R2C=O + HCO2H + R'2C=O + 2 HIO3
Il legame evidenziato col trattino è quello che subisce la scissione.
Glucidi
Glicosidi
Quando un emiacetale reagisce con una funzione alcolica di un altro composto chimico si ottiene un glicoside. La
parte non zuccherina del composto ottenuto viene chiamata aglicone. I glicosidi, impegnando il carbonio anomerico
nella formazione di un legame etereo stabile, a differenza degli zuccheri originari non presentano mutarotazione.
Sono soggetti a idrolisi per azione di acidi in soluzione acquosa.
I glicosidi rappresentano una classe di sostanze molto diffuse in natura e diversi di loro possiedono proprietà
farmacologiche.
Sintesi di Kiliani-Fischer
La sintesi di Kiliani-Fischer permette l'omologazione dei carboidrati, ovvero consente l'allungamento della catena.
Viene realizzata facendo reagire lo zucchero di partenza con un cianuro, tipicamente NaCN, che produce una
addizione nucleofila al gruppo carbonilico aggiungendo un nuovo gruppo nitrilico (-C≡N) e generando due epimeri.
Il nitrile viene successivamente trasformato in acido carbossilico in seguito a idrolisi, e questo forma un lattone. A
questo punto si separa il diastereomero che interessa e lo si sottopone a riduzione con amalgama di sodio. In tal
modo si ottiene un nuovo zucchero che differisce dallo zucchero di partenza per la presenza di un atomo di carbonio
in più, senza variazione della stereochimica degli altri atomi di carbonio chirali.
Nutrimento
I carboidrati sono la più comune fonte di energia negli organismi viventi, e la loro digestione richiede meno acqua di
quella delle proteine o dei grassi. Le proteine e i grassi sono componenti strutturali necessari per i tessuti biologici e
per le cellule, e sono anche una fonte di energia per la maggior parte degli organismi.
I carboidrati non sono nutrienti essenziali per gli esseri umani: il corpo può ottenere tutta l'energia necessaria da
proteine e grassi. Però una dieta completamente priva di carboidrati può portare a chetosi. Comunque, il cervello e i
neuroni in genere non possono consumare direttamente i grassi e hanno bisogno di glucosio da cui ricavare energia:
questo glucosio può essere ricavato da alcuni degli amminoacidi presenti nelle proteine e anche dal glicerolo
presente nei trigliceridi. I carboidrati forniscono 3,75 kcal per grammo, le proteine 4 kcal per grammo, mentre i
grassi forniscono 9 kcal per grammo. Nel caso delle proteine, però, quest'informazione è fuorviante in quanto solo
alcuni degli amminoacidi possono essere utilizzati per ricavare energia. Allo stesso modo, negli esseri umani, solo
alcuni carboidrati possono fornire energia, tra questi ci sono molti monosaccaridi e alcuni disaccaridi. Anche altri
tipi di carboidrati possono essere digeriti, ma solo grazie all'aiuto dei batteri intestinali. I ruminanti e le termiti
possono addirittura digerire la cellulosa, che non è digeribile dagli altri organismi.
Tra i cibi ricchi di carboidrati ricordiamo il pane, la pasta, i legumi, le patate, la crusca, il riso e i cereali. La maggior
parte di questi cibi sono ricchi di amido.
La FAO (Food and Agriculture Organization) e l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) raccomandano di
ingerire il 55-75% dell'energia totale dai carboidrati, ma solo il 10% dagli zuccheri semplici.
24
Glucidi
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Metabolismo
Catabolismo
Le principali vie metaboliche dei monosaccaridi sono:
1. La glicolisi: processo attraverso il quale una molecola di glucosio viene trasformata in due molecole di piruvato
con un rilascio di energia sotto forma di 2 molecole di ATP e con la riduzione di due molecole di NAD+ a NADH
+ H+.
2. Il ciclo di Krebs: processo continuo atto a disorganicare i due carboni presenti nell'Acetil-CoA (risultato
dell'azione della piruvato deidrogenasi sul piruvato) in due molecole di anidride carbonica con un rilascio di
energia sotto forma di 3 NADH + 3 H+, 1 FADH2 e 1 GTP (facilmente convertibile in ATP tramite l'azione
dell'enzima nucleoside difosfato chinasi).
3. Via del fosfogluconato: processo parallelo alla glicolisi atto a rifornire l'organismo di ribosio-5-fosfato e
NADPH.
Gli oligosaccaridi e i polisaccaridi sono prima scissi in monosaccaridi da enzimi detti glicosidasi per poi essere
catabolizzati singolarmente. In alcuni casi, come per la cellulosa, il legame glicosidico è particolarmente difficile da
scindere e pertanto sono necessari enzimi specifici (in questo caso la cellulasi) senza i quali è impossibile
catabolizzare tali zuccheri.
Note
[1] (EN) Definizione IUPAC Gold Book (http:/ / goldbook. iupac. org/ P04752. html)
Bibliografia
• T. W. Graham Solomons, Chimica organica, 2a ed., Bologna, Zanichelli, 2001, pp. 901-938. ISBN
88-08-09414-6
Voci correlate
• Zucchero
Altri progetti
•
Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/
Category:Carbohydrates
Collegamenti esterni
• Esperienze in laboratorio - I carboidrati (http://www.itchiavari.org/chimica/lab/carboidr.html)
• Diete senza pane e pasta Pochi carboidrati e la memoria svanisce (http://salute24.ilsole24ore.com/salute/
alimentazione/1312_diete_senza_pane_e_pastapochi_carboidratie_la_memoria_svanisce.php)
Glucosio
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Glucosio
Glucosio
Nomi alternativi
destrosio (la forma D) D-(+)o(-)-glucopiranosio.
Caratteristiche generali
Formula bruta o molecolare C6H12O6
Massa molecolare (u)
Aspetto
Numero CAS
180,16
solido cristallino bianco
[50-99-7
[1]
]
Proprietà chimico-fisiche
Solubilità in acqua
910 g/L a 25 °C
Temperatura di fusione (K) ~419 (~146 °C)
Proprietà termochimiche
ΔfH0 (kJ·mol−1)
-1273,3
Indicazioni di sicurezza
Frasi H
--
Consigli P
--
[2]
Il glucosio (o "glucoso") è un monosaccaride aldeidico; è il composto organico più diffuso in natura, sia libero sia
sotto forma di polimeri.
Caratteristiche
Ha formula CH2OH(CHOH)4CHO, e differisce dal galattosio per la sua configurazione.
È una molecola chirale, ne esistono quindi due enantiomeri:
• L'enantiomero destrogiro (D-glucosio o destrosio) è il più diffuso in natura, presente allo stato libero in numerosi
frutti zuccherini; si trova anche nella maggior parte dei liquidi organici, nel fegato, nel sangue e nella milza.
• L'enantiomero levogiro (L-glucosio).
È uno dei carboidrati più importanti ed è usato come fonte di energia sia dagli animali che dalle piante. Il glucosio è
il principale prodotto della fotosintesi ed è il combustibile della respirazione.
Si scioglie bene in acqua (470 g/L) e poco in etanolo. Una soluzione di 100 g/L in acqua a 20 °C ha pH circa 7.
Il glucosio è uno zucchero aldoesoso perché la sua molecola contiene un gruppo -CHO, tipico delle aldeidi (aldo-) e
perché è composta da sei atomi di carbonio (-esoso). La sua forma più stabile è quella in cui uno dei gruppi ossidrile
si lega al carbonio del gruppo aldeidico (C=O) a formare un anello a 6 atomi, un anello piranosico, la cui struttura è
riportata in figura. La reazione di formazione dell'anello è reversibile; a pH 7 circa lo 0,0026% delle molecole è
presente in forma aperta.
Glucosio
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Il glucosio è una fonte di energia onnipresente in biologia. Il motivo del perché sia esso e non un altro
monosaccaride, ad esempio il fruttosio, è ancora oggetto di speculazione. In assenza di forme di vita che lo
sintetizzino, il glucosio può formarsi chimicamente dalla formaldeide, è quindi probabile che fosse presente e ben
disponibile quando nacquero i primi sistemi biochimici primitivi. Un'altra proprietà, forse più importante per le
forme di vita superiori, è la sua ridotta (rispetto ad altri zuccheri esosi) tendenza a reagire con i gruppi amminici
delle proteine. Questa reazione (detta glicazione) riduce o annulla l'attività di molti enzimi ed è responsabile di
numerosi effetti a lungo termine del diabete, quali la cecità e la ridotta funzione renale. La bassa reattività del
glucosio verso la glicosilazione è dovuta al suo prevalente permanere nella forma ciclica, meno reattiva.
Nella respirazione, attraverso una serie di reazioni catalizzate da enzimi, il glucosio viene ossidato fino a formare
biossido di carbonio e acqua; l'energia prodotta da questa reazione viene usata per produrre molecole di ATP.
Una molecola di glucosio ed una di fruttosio unite da un legame glicosidico formano una molecola di saccarosio, il
comune zucchero da tavola. L'amido, la cellulosa ed il glicogeno sono polimeri del glucosio e vengono generalmente
classificati come polisaccaridi.
Il nome destrosio è dovuto al fatto che una soluzione di D-glucosio ruota il piano della luce polarizzata verso destra
(ossia in senso orario).
Isomeria
La molecola del glucosio è chirale;
esistono quindi due enantiomeri, l'uno
speculare all'altro, il D-glucosio e
l'L-glucosio. Dei due, solo il primo (D)
è quello utilizzato e prodotto dagli
organismi viventi.
Quando la molecola del glucosio si
chiude ad anello, può farlo in due modi
diversi; il gruppo -OH legato all'atomo
di
carbonio
immediatamente
successivo a quello di ossigeno
percorrendo l'anello in senso orario
può infatti puntare verso il basso o
verso l'alto rispetto al piano medio
della molecola, nel primo caso si parla
di forma α, nel secondo di forma β. In
soluzione acquosa le due forme si
convertono
l'una
nell'altra
(mutarotazione) e nel giro di qualche
ora le proporzioni si stabilizzano sul
rapporto α:β 36:64.
Animazione del D-glucosio che si chiude a anello
Per stabilire se un carboidrato
Le forme cicliche del D-glucosio
appartiene alla serie D o alle serie L
occorre considerare la forma aperta
della molecola e confrontare la disposizione dei sostituenti attorno al penultimo atomo di carbonio con la
disposizione dei sostituenti attorno al secondo atomo di carbonio della D-gliceraldeide. Il carboidrato è D se ha il
penultimo carbonio con il gruppo alcolico a destra, L se la molecola è speculare alla forma destrogira.
Glucosio
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Sintesi
Nei sistemi viventi
• è il prodotto della fotosintesi nelle piante ed in alcuni procarioti;
• viene prodotto nel fegato per scissione delle riserve di glicogeno;
• viene prodotto nel fegato e dalla surrene tramite un processo noto come gluconeogenesi.
Ruolo nel metabolismo
I carboidrati sono una fonte di energia molto importante per gli
organismi viventi; la loro combustione attraverso la respirazione
fornisce circa 4 kilocalorie per grammo.
Attraverso la glicolisi, il glucosio è immediatamente coinvolto nella
produzione dell'adenosin-trifosfato (ATP), che è il vettore energetico
delle cellule. È altresì un composto critico nella sintesi delle proteine e
nel metabolismo dei lipidi. Inoltre, dato che le cellule del sistema
nervoso non sono in grado di metabolizzare i lipidi, il glucosio
rappresenta la loro fonte principale di energia.
Misuratore di glucosio per esseri umani
Il glucosio è assorbito nel sangue attraverso le pareti intestinali. Parte
di esso viene indirizzato direttamente alle cellule cerebrali, mentre il rimanente si accumula nei tessuti del fegato e
dei muscoli in una forma polimerica affine all'amido, il glicogeno. Quest'ultimo è una fonte di energia ausiliaria per
il corpo e funge da riserva che viene consumata quando è necessario.
Proprio il rapido assorbimento del glucosio ne fa uno degli zuccheri semplici a più alto indice glicemico, tanto che
viene internazionalmente utilizzato come unità di misura di tale indice, e posto a 100.
Il fruttosio ed il galattosio, altri zuccheri che si formano dalla scissione dei carboidrati, vengono indirizzati al fegato,
dove vengono a loro volta convertiti in glucosio. Questo percorso più lungo ne fa degli zuccheri più adatti per un
utilizzo dilazionato nel tempo, in quanto il loro indice glicemico è inferiore, ma la loro efficacia è più duratura, in
virtù del lento rilascio in forma di glucosio da parte del fegato.
Trasporto transepiteliale del glucosio
L'assorbimento del glucosio a livello intestinale richiede l'intervento di diversi trasportatori del glucosio, ovvero
proteine integrali di membrana che mediano il passaggio delle molecole del monosaccaride da una parte all'altra
dell'epitelio. Il modello che descrive questo processo prende in considerazione tre trasportatori detti SGLUT1,
Na+/K+ ATPasi (pompa sodio-potassio) e GLUT2.
Il sodio entra nelle cellule dell'epitelio tramite un simporto Sodio-Glucosio, SGLUT1, grazie a un gradiente di
concentrazione favorevole trascinando con sé il glucosio. La differenza di concentrazione è mantenuta grazie alla
pompa sodio/potassio che espelle costantemente ioni Na+ fuori dalla cellula. Il glucosio poi può raggiungere la
circolazione sanguigna attraverso GLUT2 senza bisogno di ulteriore energia perché si muove secondo gradiente.
Glucosio
29
Note
[1] http:/ / toolserver. org/ ~magnus/ cas. php?cas=50-99-7& language=it
[2] scheda del D-glucosio su IFA-GESTIS (http:/ / gestis-en. itrust. de)
Voci correlate
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ATP
Ciclo di Calvin
Ciclo di Krebs
Diabete
Dolcificante
NADH
Galattosio
Glicolisi
Fruttosio
Fotosintesi
Monosaccaride
Tessuti glucosio-dipendenti
Altri progetti
•
Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Glucose
Collegamenti esterni
• (EN) Ulteriori informazioni sulla chimica e la biochimica del glucosio, su EvoWiki (http://www.evowiki.org/
index.php/Glucose)
Glicogeno
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Glicogeno
Il glicogeno è un polimero (omopolimero)
del glucosio. È l'analogo dell'amido, un altro
polimero meno ramificato del glucosio.
Struttura
I legami tra unità di glucosio successive
sono α (1-4) per la maggior parte, anche se
sono presenti legami α (1-6). Si tratta quindi
di un polisaccaride ramificato, ha un peso
molecolare molto più elevato.
Funzione
Il glicogeno è una fonte energetica negli
animali (umani inclusi) e nei funghi.
Nei vertebrati è conservato prevalentemente
nel fegato e nei muscoli scheletrici.
Sintesi
Visione schematica bidimensionale di una sezione di glicogeno. Una proteina
centrale di glicogenina è circondata da ramificazioni di unità di glucosio. L'intero
[1]
granulo globulare può contenere approssimativamente 30,000 unità di glucosio.
Il processo di biosintesi del glicogeno è
anche diretto da tre enzimi, ma questo è un processo energeticamente sfavorito, ecco perché deve intervenire l'UTP
(un analogo dell'ATP) per far sì che la reazione si verifichi . Gli enzimi partecipanti sono:
UDP-Glicogeno-Pirofosfatasi, Glicogeno-Sintasi e Enzima Ramificante. Il primo enzima converte il Glu-1P in
UDP-Glucosio, il secondo aggancia questo Glucosio sotto forma di UDP-Glu al glicogeno, dando UDP + Glicogeno,
il terzo, come dice il suo stesso nome, ramifica.
La regolazione di questa via può essere di due tipi:
• Allosterica: con un intervento diretto su Glicogeno Fosforilasi e Glicogeno Sintasi.
• Covalente: per fosforilazione e defosforilazione sugli stessi enzimi.
Degradazione
Il glicogeno è una molecola che, al momento del bisogno può andare incontro ad una demolizione, per produrre
glucosio, utile alle vie glicolitiche dell'organismo; ma altre volte è lo stesso glucosio che può risultare in eccesso e
può dunque essere stipato sotto forma di glicogeno.
La degradazione del glicogeno è catalizzata dalla glicogeno fosforilasi. Questo enzima viene attivato da adrenalina o
glucagone in un meccanismo che comporta l'attivazione dell'adenilato ciclasi e la conseguente produzione di cAMP.
Il processo di demolizione del glicogeno consta di tre fasi, operate da tre enzimi, quali: glicogeno fosforilasi, enzima
deramificante e fosfoglucomutasi. Il primo mira a rompere i legami α(1-4)-glicosidici a dare Glu-1P, ma solo se
distanti almeno quattro unità dal punto di ramificazione; è per questo che interviene l'enzima deramificante, che
permette la funzionalità della Glicogeno Fosforilasi anche lì dove non potrebbe; in ultimo interviene la
Fosfoglucomutasi che converte le molecole di Glu-1P in Glu-6P.
Glicogeno
31
Note
[1] Page 12 in: (http:/ / books. google. dk/ books?id=SRptlOx7yj4C& printsec=frontcover& hl=en) Exercise physiology: energy, nutrition, and
human performance By William D. McArdle, Frank I. Katch, Victor L. Katch Edition: 6, illustrated Published by Lippincott Williams &
Wilkins, 2006 ISBN 0-7817-4990-5, 9780781749909, 1068 pages
Voci correlate
• Sintesi del glicogeno
• glicogenolisi
Altri progetti
•
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Amido
L'amido è un carboidrato polisaccaridico
che consiste di un gran numero di unità di
glucosio unite tra loro da legame
glicosidico. L'amido puro è una polvere
bianca, insapore ed inodore, che risulta
insolubile nell'acqua fredda o in alcol.
L'amido è prodotto dalle piante verdi, dove
è utilizzato come riserva nelle cellule
vegetali, ed è un'importante fonte alimentare
anche per l'uomo. La macromolecola,
quando è disciolta in acqua calda, può anche
essere utilizzata in numerosi processi
industriali come agente addensante o
collante.
Foto al microscopio di una patata. Sono visibili gli agglomerati di amido dal colore
scuro.
Composizione
È composto da due polimeri: l'amilosio (che
ne costituisce circa il 20%) e l'amilopectina
(circa l'80%). In entrambi i casi si tratta di
polimeri del glucosio, che si differenziano
l'uno dall'altro per la struttura. L'amilosio è
un polimero lineare che tende ad avvolgersi
ad elica, in cui le unità di glucosio sono
Struttura dell'amido.
legate tra loro con legami glicosidici
α(1→4) (tra il sito 1 di una unità e quello 4
dell'unità successiva). L'elica è costituita da 6 molecole di glucopiranosio (glucosio) per spira, stabilizzate da legami
a idrogeno come nel DNA. L'amilopectina è invece un polimero ramificato che presenta catene di base di struttura
simile all'amilosio che si dispongono a formare una struttura ramificata; ogni 24-30 unità di glucosio si innestano
Amido
32
catene laterali attraverso legami α(1→6). L'amilopectina ha una struttura a grappolo costituita da segmenti di tipo A
(15-20 unità di glucopiranosio) e catene di tipo B meno numerose. Sullo scheletro delle catene di Tipo B s'insediano
le catene di tipo A che costituiscono le ramificazioni. L'amilopectina è caratterizzata da strutture amorfe e strutture
cristalline; le prime sono costituite di legami α(1→6), mentre le strutture cristalline danno origine a tratti di doppia
elica. L'amilopectina è disposta verso l'interno in prossimità del centro dei granuli di amido.
Una molecola di amilosio può contenere sino a 1000 residui di glucosio. L'amilosio lega insieme la struttura più
espansa dell'amilopectina.
Biosintesi e Funzione
L'amido è il carboidrato di riserva delle piante, immagazzinato come fonte energetica, sintetizzato per via enzimatica
a partire dal glucosio, a sua volta prodotto dalla fotosintesi clorofilliana
6 CO2 + 6 H2O + luce → C6H12O6 + 6 O2
n C6H12O6 + enzima → H-(C6H10O5)n-OH + n-1 H2O
La formazione dell'amido, cioè l'unione dell'amilosio e dell'amilopectina, è catalizzata da un enzima chiamato amido
sintetasi.
Proprietà
In natura l'amido ha disposizione semicristallina nei granuli, il che ne determina la quasi totale insolubilità in acqua a
temperatura ambiente; una parziale solubilizzazione è possibile attraverso un aumento della temperatura, e porta alla
formazione di un gel.
Il processo è influenzato dall'origine botanica dell'amido e dalla quantità di acqua.
Un altro effetto del processo di gelatinizzazione è la variazione della digeribilità dell'amido: la forma cristallina è
difficilmente attaccabile dagli enzimi (quali α- e β-amilasi), mentre quella gelatinizzata lo è di più in conseguenza
della disorganizzazione strutturale avvenuta.
Utilizzi
L'amido si trova nei frutti, nei semi e nei tuberi delle piante.
Nell'industria alimentare le cinque fonti principali di amido sono il mais, le patate, il riso, la tapioca e il grano.
Anche i legumi come i fagioli ne sono ricchi.
L'amido riveste particolare importanza nell'industria alimentare, quale agente addensante, e nella produzione della
carta, cartone e colle, in forma di salda d'amido, grazie alle sue proprietà collanti. In questo caso l'amido viene
utilizzato direttamente nell'impasto della cellulosa conferendo maggiore resistenza meccanica alla carta che ne
risulta. Altre applicazioni dell'amido riguardano l'industria farmaceutica dove viene utilizzato come eccipiente.
Una semplice analisi qualitativa che indica la presenza dell'amido può essere condotta in laboratorio saggiando la
sostanza con il reattivo di Lugol. In presenza di amido, il reattivo tende a legarsi (in particolare all'elica
dell'amilosio) dando un complesso che assorbe la luce, virando verso il blu scuro.
In ambito educativo, può essere utilizzato per creare esperimenti sui liquidi non newtoniani.
Amido
33
Derivati dell'amido
Tra i principali vi sono:
• Amido modificato
• Destrine
• Glucosio e derivati: ottenuti per conversione enzimatica dell'amido, fino a ridurre il polimero glucosidico a due
monomeri (maltosio) o a singole molecole di glucosio.
• Fruttosio
Altri progetti
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Cellulosa
Cellulosa
Nomi alternativi
--Caratteristiche generali
Formula bruta o molecolare (C6H10O5)n
Aspetto
Numero CAS
solido cristallino bianco
[9004-34-6
[1]
]
Proprietà chimico-fisiche
Proprietà termochimiche
Indicazioni di sicurezza
Frasi R
--
Frasi S
--
La cellulosa è uno dei più importanti polisaccaridi. È costituita da un gran numero di molecole di glucosio (da circa
300 a 3.000 unità) unite tra loro da un legame -1--->4 glicosidico.
La catena polimerica non è ramificata.
Cellulosa
Struttura
Le catene sono disposte parallelamente le une alle altre e si legano fra loro per mezzo di legami ad idrogeno molto
forti, formando fibrille, catene molto lunghe, difficili da dissolvere.
Queste fibrille localmente sono molto ordinate al punto da raggiungere una struttura cristallina.
La parte cristallina è idrofoba, ossia non assorbe acqua, e quindi per poter ottenere un prodotto idrofilo (come il
comune cotone) occorre sottoporre la cellulosa ad un insieme di trattamenti detti mercerizzazione, dal nome del
chimico e industriale tessile inglese John Mercer che ideò il processo nel 1844 e lo brevettò nel 1851.
Circa la metà delle pareti cellulari delle piante è costituita da cellulosa, ma il cotone, per esempio, è cellulosa quasi
al 100%.
La cellulosa è idrolizzata, in particolari condizioni, nel disaccaride cellobiosio che successivamente è idrolizzato a
glucosio.
Nell'intestino dell'uomo questo processo idrolitico non avviene perché mancano gli enzimi per rompere il legame
-1--->4 glicosidico. Nei prestomaci dei ruminanti e nell'intestino cieco degli erbivori monogastrici (equidi), invece,
sono presenti numerosi batteri e protozoi simbionti che convertono il legame β in un legame α, scindibile da tutti gli
animali.
Economia della cellulosa
La "cellulosa" è importante commercialmente in quanto da essa si ricavano numerosi derivati: il rayon, si ottiene
dalla cellulosa in una soluzione di idrossido di sodio e solfuro di carbonio, con lo stesso metodo si può ottenere il
cellophane. Altri prodotti sono la carta e la viscosa.
I vari gruppi costituenti la cellulosa possono reagire con acido nitrico per dare il nitrato di cellulosa (un esplosivo
conosciuto come "cotone fulminante" o "fulmicotone"). Il nome cellulosa fu introdotto nel 1839 da Ansalme Payen,
professore francese di Chimica Applicata. La cellulosa è uno dei tanti polimeri che si trovano in natura. La cellulosa
è una fibra eccellente. Cotone e canapa sono costituite da cellulosa fibrosa.
Estrazione chimica ed ottenimento di pasta chimica
I processi chimici sono finalizzati a sciogliere la lignina in fase acquosa acida o alcalina e separarla dalla cellulosa
insolubile.
La composizione chimica dipende dalla composizione del legno adoperato; la resa è influenzata da vari fattori, tra
cui il tipo di legno, le tecniche di lavorazione e il processo di ottenimento. Può arrivare al 90-95 %. Aspetto: fascetti
di fibre di lunghezza variabile, frammenti di fibre e fibre isolate; consumo di energia: circa 12 kcal/tonn di pasta;
34
Cellulosa
In seguito alla lavorazione delle parti
legnose di un albero, si ottiene la
polpa di cellulosa. È costituita
perlopiù da cellulosa ed in quantità
minore
da
sottoprodotti
della
lavorazione e da costituenti del legno
originario. Si distingue dalla polpa di
legno per la maggior quantità di
cellulosa e la minor presenza di altri
composti originari del legno (come la
lignina).
35
Fibre di cellulosa
Qualità della pasta
Una pasta di cellulosa ad alto contenuto di lignina dà luogo a carta con bassa resistenza ad invecchiamento e soggetta
ad ingiallimento a causa della presenza di doppi legami. Questa pasta più economica è usata per giornali, cartoni e
altri oggetti cartacei di uso giornaliero.
La pasta più pregiata, detta pasta chimica, permette di ottenere carte di maggior pregio, usate ad esempio per riviste
patinate o per altri usi come l'imballaggio alimentare.
Produzione della polpa di cellulosa
Il legno è formato indicativamente da:
•
•
•
•
Cellulosa (ca. 45%)
Emicellulosa (ca. 30%)
Lignina (ca. 23%)
Estraibili vari: terpeni, resine, acidi grassi (ca. 5%)
Cellulosa ed emicellulosa costituiscono le fibre del legno, mentre la lignina è l'interfibra che le tiene unite. Oggi la
maggior parte delle industrie utilizza come materia prima polpa di cellulosa prodotta altrove (ed eventualmente carta
di riciclo).
La polpa si ottiene dal legno mediante diversi processi. In tutti i casi si parte dal tronco di legno o dai chip, pezzetti
di legno ricavati dai sottoprodotti della lavorazione del legname. Qualora si lavorino tronchi interi, questi dopo
essere stati scortecciati, vengono spaccati o macinati, riducendo il legno ad una pezzatura idonea alle seguenti
lavorazioni. Le tre principali filiere di produzione della polpa sono il ciclo al solfato (ca. 80%), il ciclo al solfito ed il
semichimico.
Paste chimiche: processo Kraft
La lignina viene sfibrata chimicamente (con soda caustica e solfuro di sodio) e selettivamente, lasciando intatte le
fibre di cellulosa: si ottiene una pasta marrone che richiede molti sbiancanti, ma la carta finale è molto resistente
(kraft, che in tedesco significa forte). Il processo ha degli svantaggi ambientali (lo zolfo genera odore di uova marce,
e ci sono molti scarti acquosi) e di resa (solo il 50% del legno viene trasformato in pasta, anche se molti scarti
vengono bruciati e l’energia recuperata).
Cellulosa
36
Paste meccaniche (groundwood pulping)
La lignina viene sfibrata con uno sminuzzamento meccanico (grinding) e le fibre cellulosiche vengono liberate ma
anche parzialmente danneggiate: la carta prodotto è meno resistente e viene generalmente usata per carta da giornale,
elenchi telefonici ecc… Il processo ha dei vantaggi di resa (il 95% del legno viene trasformato in pasta), ma richiede
molta energia meccanica.
Paste semichimiche (CTMP)
Il processo di formazione della pasta è intermedio: il legno viene trattato chimicamente e successivamente viene
trattato con vapore e meccanicamente (Chemo Thermo Mechanical Pulping). La carta prodotta è più forte di quella
ottenuta da paste meccaniche e può essere utilizzata per produrre carte patinate.
Approccio biologico
Dalla metà del XX secolo si sono implementati gli sforzi accademici e privati (soprattutto dei paesi scandinavi e
statunitensi) per migliorare i processi di estrazione della polpa di cellulosa rendendoli più eco-compatibili. Le ultime
scoperte puntano alla sostituzione dei prodotti chimici con batteri ed al trattamento di sbiancamento con ossigeno in
presenza di catalizzatori.
Il fungo Ceriporiopsis subvermispora viene inoculato nella polpa di legno in determinate condizioni, grazie alle
quali attacca la lignina e rompe i legami che la legano alla cellulosa, generando dopo qualche settimana una
biopolpa, simile ma di qualità superiore rispetto alla polpa di legno, e di costo inferiore. Successivamente la
biopolpa viene candeggiata per via chimica con ossigeno e un catalizzatore del tipo a ossimetallati (per esempio
Na7[SiV2W10O40] ) oppure per via biochimica con una xilanasi di batterio ipertermofilo[2].
Note
[1] http:/ / toolserver. org/ ~magnus/ cas. php?cas=9004-34-6& language=it
[2] M.B. Brennan, Chem. Eng. News, 23 marzo 1998, 39
Voci correlate
• Economia a legna
• Legno
• Triacetato di cellulosa
Altri progetti
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37
Lipidi
Lipidi
I lipidi (detti anche grassi, dal greco lypos, grasso) sono molecole
organiche, presenti in natura, raggruppate sulla base delle loro
proprietà comuni di solubilità: sono insolubili in acqua (definiti per
questo idrofobi), mentre sono solubili in solventi organici non polari,
come l'etere dietilico o l'acetone.
I lipidi hanno una densità significativamente minore di quella
dell'acqua (dunque galleggiano). Dal punto di vista strutturale, sono
costituiti prevalentemente da atomi di carbonio, e di idrogeno uniti tra
loro con legami covalenti scarsamente polari (caratteristica che
conferisce il comportamento idrofobo) e disposti simmetricamente.
Nonostante la loro somiglianza in termini di solubilità, i lipidi sono
molto diversi tra loro per quanto riguarda la struttura chimica, in
quanto comprendono esteri e idrocarburi e possono essere aciclici,
ciclici o policiclici. A seconda del grado di complessità, i lipidi si
suddividono in 3 categorie: lipidi semplici, lipidi complessi e lipidi
derivati.
Struttura generica di un fosfolipide
Ruolo fisiologico
I lipidi rappresentano un'importante riserva energetica in quanto sono in grado di liberare una grande quantità di
calorie per unità di massa, il valore calorico di un grammo di lipidi è circa il doppio rispetto a zuccheri e proteine,
proprio per questo sono il substrato energetico ideale per le cellule. Da ricordare che proprio i lipidi fungono da
trasportatori di vitamine liposolubili (A, D, F, E, K) e pertanto eccessive riduzioni di lipidi nella dieta possono
provocare una diminuzione dell'apporto vitaminico. I grassi nell'organismo assumono anche altre funzioni che vanno
oltre all'importante funzione energetica; il loro deposito vicino ad organi importanti come cuore, fegato, milza, reni,
cervello e midollo spinale rappresenta un importante protezione meccanica, ed inoltre il suo deposito nel sottocute
svolge un ruolo isolante contro le basse temperature.
Durante l'attività fisica i lipidi vengono utilizzati insieme ai carboidrati, fornendo in ugual misura l'energia necessaria
per attività di medio basso livello, se l'attività fisica si protrae per almeno un'ora si va incontro ad un esaurimento
delle scorte di carboidrati (glicogeno) e ad un corrispondente aumento dell'utilizzo di lipidi.
Lipidi
Lipidi semplici
Sono costituiti da carbonio, idrogeno e ossigeno, e comprendono trigliceridi, cere e terpeni. I lipidi di origine
animale sono contenuti abbondantemente nel burro, strutto e sego.
Trigliceridi
I trigliceridi o triacilgliceroli sono i lipidi più semplici ma anche più abbondanti in origine naturale, e costituiscono
i grassi animali e gli oli vegetali. Servono soprattutto come deposito per l'energia prodotta e immagazzinata a livello
di tessuto adiposo (grasso sottocutaneo). Un trigliceride è un lipide costituito da una molecola di glicerolo a cui sono
legati 3 acidi grassi. Il glicerolo (1,2,3-propantriolo) è un alcol con tre atomi di carbonio, ciascuno con un gruppo
ossidrilico, mentre l'acido grasso è formato da un gruppo carbossilico e da una catena idrocarburica. I 3 acidi grassi
sono uniti a una molecola di glicerolo per esterificazione, grazie ai gruppi ossidrilici del glicerolo. Spesso i 3 acidi
grassi sono differenti. Gli acidi grassi sono i lipidi più semplici e comuni, e possono differire per la lunghezza e/o il
tipo di legame tra gli atomi di carbonio, legami che possono essere tutti singoli, e allora si parla di acidi grassi saturi,
oppure no, e in questo caso si parla di acidi grassi insaturi (monoinsaturi se c'è un solo doppio legame, polinsaturi
altrimenti). Sono stati isolati, da varie cellule e tessuti, più di 500 tipi di acidi grassi, e si può notare che quasi sempre
questi hanno un numero pari di atomi di carbonio, solitamente compreso tra 12 e 20.
Gli acidi grassi insaturi, se in configurazione cis, creano una piega. Le pieghe dei grassi insaturi impediscono alle
molecole di compattarsi saldamente e di solidificare a temperatura ambiente. La maggior parte dei grassi vegetali è
composta da oli insaturi, mentre i grassi animali si dividono: nei pesci prevalgono i grassi insaturi, negli animali
terrestri quelli saturi. Le diete ricche di grassi saturi portano alla aterosclerosi.
Cere
Le cere sono esteri di acidi grassi a elevato numero di atomi di carbonio con alcoli alifatici monossidrilici. Questi
possono essere saturi o insaturi, a catena lineare e a catena ramificata.
Le cere si trovano come costituenti degli esseri viventi, sia nel mondo vegetale (ad esempio la cera carnauba e la cera
montana) sia nel mondo animale (ad esempio la cera d'api e la lanolina, che si ricava dalla lana).
Le cere costituiscono lo strato di protezione dei vegetali e costituiscono anche lo scheletro di molti insetti e il
rivestimento del piumaggio degli uccelli acquatici.
Terpeni
Diffusi nel mondo vegetale con l'unità di base costituita dall'isoprene (una struttura a cinque atomi di carbonio).
Lipidi complessi
I lipidi complessi, detti anche lipoidi, sono costituiti da carbonio, idrogeno, ossigeno e fosforo o azoto e sono frutto
di esterificazione degli acidi grassi con alcoli di vario tipo. Comprendono fosfolipidi, fosfatidi, glicolipidi e
solfolipidi. I lipidi complessi sono anche detti saponificabili perché se immersi in soluzione alcalina formano saponi.
Questi lipidi sono costituiti da esteri del glicerolo. Tutti contengono acidi grassi a catena più o meno lunga (acido
butirrico, acido propionico fino agli acidi stearico e palmitico a oltre 10 atomi di carbonio).
38
Lipidi
Fosfolipidi
Sono simili ai trigliceridi dal punto di vista strutturale, ma contengono un gruppo fosfato che conferisce una carica
negativa, e quindi polarità, alla molecola. Il risultato finale è che ogni fosfolipide ha una testa idrofila e una coda
idrofoba: si dice quindi anfipatico. Questa particolare struttura li rende idonei a formare le membrane biologiche che
avvolgono le cellule e gli organuli cellulari. Infatti, in un ambiente liquido le molecole di fosfolipidi si dispongono
con i gruppi idrofili rivolti sia verso la soluzione acquosa interna alle cellule, sia verso quella esterna, relativa
all’ambiente circostante. Invece le code idrofobe si attraggono tra loro occupando una posizione mediana. In
particolare un fosfolipide è composto da una molecola di glicerolo che si lega a due catene di acidi grassi e a un
gruppo fosfato (PO43-). I fosfolipidi (lipidi di membrana) sono i principali componenti della frazione lipidica delle
membrane cellulari. Possiamo riconoscere due tipi di fosfolipidi:
• fosfogliceridi;
• sfingolipidi: particolarmente abbondanti nel tessuto nervoso.
Steroidi
Sono lipidi policiclici derivati del ciclopentanoperidrofenantrene. I loro scheletri carboniosi sono piegati per formare
quattro anelli uniti tra loro. Sono sempre costruiti così: tre anelli a sei lati e un anello a cinque lati. Comprendono il
colesterolo, componente essenziale delle membrane cellulari eucariotiche, precursore di molti ormoni, oltre che
precursore della vitamina D3 e degli acidi biliari. Esiste una sintesi endogena costante di colesterolo che può essere
eccessivamente stimolata da una dieta ricca di grassi.
Contenuto energetico
I lipidi hanno un altissimo contenuto energetico e, nell'ambito dei tre gruppi di macromolecole che compongono gli
elementi nutritivi per la cellula:
• Grassi (o lipidi) l'ossidazione di 1 g di lipidi genera 9 kcal = 37,65 kJ
• Zuccheri (o glucidi) l'ossidazione di 1 g di glicidi genera 4 kcal = 16,74 kJ
• Proteine (o protidi) l'ossidazione di 1 g di proteine genera 4 kcal = 16,74 kJ
Questi dati valgono per le misure in un calorimetro, in particolare per le proteine (prodotti finali CO2 e N2).
Nell'organismo umano il prodotto finale del catabolismo proteico è invece rappresentato dall'urea, quindi l'energia di
reazione è un po' minore (circa 15 kJ).
Negli animali e nell'uomo, il principale utilizzo del grasso è come riserva energetica per il corpo e come isolante
termico. I grassi vengono immagazzinati principalmente nel tessuto adiposo sotto forma di trigliceridi (lipidi di
accumulo).
39
Lipidi
40
Bibliografia
• T. W. Graham Solomons, Chimica organica, 2a ed., Bologna, Zanichelli, 2001, pp. 939-968. ISBN
88-08-09414-6
Voci correlate
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Steroide
Acidi grassi
Trigliceridi
Fosfolipidi
Colesterolo
Metabolismo dei lipidi
Beta-ossidazione
Fabbisogno sostanziale umano
Numero di acidità
Altri progetti
•
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Trigliceride
I triglicèridi detti anche triacilgliceròli sono esteri neutri del glicerolo
e formati da tre acidi grassi a media o lunga catena[1]. Fanno parte
della famiglia dei gliceridi assieme ai monogliceridi e digliceridi. Essi
costituiscono una parte importante dell'olio vegetale e del grasso
animale. Il glicerolo è un alcool a tre atomi di carbonio con un gruppo
ossidrilico per ogni carbonio. Gli acidi grassi sono uniti all'alcool
tramite legami estere (tramite condensazione: con l'eliminazione di una
molecola di acqua).
Immagine 3D di un trigliceride
Struttura chimica
La formula chimica è CH2COOR-CHCOOR'-CH2-COOR", dove R,
R', ed R" sono lunghe catene alchiliche. I tre acidi grassi RCOOH,
R'COOH ed R"COOH possono essere tutti diversi, tutti uguali o solo
due uguali. Se il trigliceride è composto da acidi grassi uguali si dice
semplice mentre se gli acidi grassi che lo compongono sono diversi
allora si dice misto.
La lunghezza delle catene di acidi grassi nelle comuni strutture dei
trigliceridi può essere dai 5 ai 28 atomi di carbonio, ma 17 e 19 sono
Esempio di un trigliceride insaturo. Parte sinistra:
glicerolo, parte destra dall'alto al basso: acido
palmitico, acido oleico, acido alfa-linolenico,
formula chimica: C55H98O6
Trigliceride
più comuni. Catene più corte possono essere rilevate in alcune sostanze (acido butirrico nel burro). Gli acidi grassi
naturali nelle piante e negli animali sono prevalentemente composte solo da numeri pari di atomi di carbonio, a causa
del modo in cui sono sintetizzate dall'acetil COAH. I batteri tuttavia, possiedono la capacità di sintetizzare catene
con numeri dispari e ramificati di acidi grassi. Di conseguenza, i lipidi dei ruminanti contengono proporzioni
significative di catene ramificate di acidi grassi, a causa dell'azione dei batteri nel rumine.
La maggior parte dei lipidi naturali contiene un complesso insieme di singoli trigliceridi; a causa di questo, essi
fondono ad una gran varietà di temperature. Il burro di cacao è inusuale perché composto da una piccola varietà di
trigliceridi, uno dei quali contiene nell'ordine acido palmitico, acido oleico ed acido stearico. Questo origina una
relativamente piccola serie di punti di fusione, causando la scioglievolezza del cioccolato.
Nelle cellule, i trigliceridi non possono passare attraverso la membrana cellulare liberamente, ma devono essere
precedentemente trasformati da enzimi detti lipasi, che ne catalizzano l'idrolisi ad acidi grassi e glicerolo (processo
detto lipolisi).
Sintesi
I triacilgliceroli vengono prodotti nei tessuti animali a partire da due precursori (gli acil-CoA e l'L-glicerolo
3-fosfato) mediante una serie di reazioni enzimatiche. Il glicerolo 3-fosfato si può formare in due modi. Può derivare
dal diidrossiacetone fosfato prodotto nella glicolisi per azione della glicerolo 3-fosfato deidrogenasi
NAD-dipendente localizzata nel citosol, mentre nel rene e nel fegato può formarsi dal glicerolo mediante una
fosforilazione catalizzata dalla glicerolo chinasi. Gli altri precursori dei triacilgliceroli sono gli acil-CoA, che si
formano dagli acidi grassi ad opera della acil-CoA sintetasi, lo stesso enzima che attiva gli acidi grassi per farli
entrare nella β ossidazione. La prima fase della sintesi dei triacilgliceroli è l'acilazione dei due gruppi ossidrilici
liberi di L-glicerolo 3-fosfato con due molecole di acil-CoA per generare diacilglicerolo 3-fosfato, più conosciuto
con il nome di acido fosfatidico o fasfatidato. Nella via che porta alla formazione di triacilgliceroli, il fosfatidato
viene idrolizzato da parte della fosfatidato fosfatasi per formare 1,2-diacilglicerolo. I diacilgliceroli possono essere
convertiti in triacilgliceroli per transesterificazione con una terza molecola di acil-CoA.
Note
[1] Nomenclatura dei lipidi (http:/ / www. chem. qmul. ac. uk/ iupac/ lipid/ ). IUPAC-IUB Commission on Biochemical Nomenclature
(CBN). URL consultato il 8 marzo 2007.
Altri progetti
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Category:Triglycerides
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42
Enzimi
Enzima
Gli enzimi sono i catalizzatori dei sistemi
biologici. La parola enzima deriva dal greco
ἐν ζύμῳ (en zýmō, nel lievito).[1] La
stragrande maggioranza degli enzimi sono
proteine (proteine enzimatiche). Una piccola
minoranza di enzimi sono molecole di
RNA.[2] Le molecole di RNA dotate di potere
catalitico costituiscono una sottocategoria
peculiare degli enzimi chiamata ribozimi (o
enzimi a RNA). Il processo di catalisi indotto
da un enzima (come da un qualsiasi altro
catalizzatore) consiste in una accelerazione
della velocità della reazione e quindi in un
più rapido raggiungimento dello stato di
equilibrio termodinamico. Un enzima
accelera unicamente le velocità delle reazioni
chimiche, diretta ed inversa (dal composto A
al composto B e viceversa), senza intervenire
sui processi che ne regolano la spontaneità.
Il suo ruolo consiste nel facilitare le reazioni
attraverso l'interazione tra il substrato (la
molecola o le molecole che partecipano alla
Immagine generata al computer dell'enzima Purina nucleoside fosforilasi
reazione) ed il proprio sito attivo (la parte di
enzima in cui avvengono le reazioni),
formando un complesso. Avvenuta la reazione, il prodotto viene allontanato dall'enzima, che rimane disponibile per
iniziarne una nuova. L'enzima infatti non viene consumato durante la reazione.
Concetti generali
Come tutti i catalizzatori, anche gli enzimi permettono una riduzione dell'energia di attivazione (ΔG‡) di una
reazione, accelerando in modo consistente la sua velocità. La maggior parte delle reazioni biologiche catalizzate da
enzimi hanno una velocità superiore di milioni di volte alla velocità che avrebbero senza alcun catalizzatore. Come
per tutti i catalizzatori, gli enzimi non sono consumati dalla reazione che catalizzano, né alterano l'equilibrio chimico
della reazione.
In ogni caso, la differenza principale degli enzimi dagli altri catalizzatori chimici è la loro estrema specificità di
substrato. Essi infatti sono in grado di catalizzare solo una reazione o pochissime reazioni simili, poiché il sito attivo
interagisce con i reagenti in modo stereospecifico (è sensibile anche a piccolissime differenze della struttura
tridimensionale).
Enzima
43
Secondo la banca dati ExplorEnz della IUBMB, sono state individuate finora 4038 reazioni biochimiche catalizzate
da enzimi.[3] Tutti gli enzimi sono proteine, ma non tutti i catalizzatori biologici sono enzimi, dal momento che
esistono anche catalizzatori costituiti di RNA, chiamati ribozimi.[4]
L'attività enzimatica può essere influenzata da altre molecole. Esistono infatti molecole in grado di inibire tale
attività (molti farmaci e veleni sono inibitori enzimatici). Sono note anche molecole attivatrici dell'enzima, in grado
di aumentarne l'attività. L'attività può essere anche influenzata dalla temperatura, dal pH e dalla concentrazione di
substrato.
Alcuni enzimi sono utilizzati per fini industriali. La sintesi chimica di numerosi farmaci, ad esempio, è portata a
termine attraverso l'utilizzo di enzimi. Anche diversi prodotti di uso domestico fanno ampio uso di enzimi. Diversi
detersivi contengono enzimi per velocizzare la degradazione delle proteine e dei lipidi che compongono le macchie.
La papaina, enzima estratto dalla papaia, è invece utilizzato in numerosi prodotti per le sue caratteristiche
proteolitiche: dall'intenerimento della carne, processo noto già agli indigeni americani, all'utilizzo in applicazioni
topiche sulle ferite e sulle cicatrici.
Storia
Gli uomini primitivi trovandosi nella necessità di conservare il più a
lungo possibile il latte cominciarono a produrre il formaggio: per caso o
per osservazione dei visceri di animali macellati scoprirono che lo
stomaco dei vitelli e delle giovani capre cagliava il latte. Solo molte
centinaia di anni dopo si comprese che il caglio altro non era se non un
enzima.[5] Sebbene fin dalla fine del XVII secolo processi come la
digestione della carne ad opera dei secreti gastrici[6] o la conversione di
amido a zucchero attraverso la saliva erano ampiamente noti, gli esatti
meccanismi attraverso cui questi eventi avessero luogo, invece, erano
del tutto sconosciuti.[7]
Louis Pasteur
Nel XIX secolo, Louis Pasteur suggerì che fosse la presenza di entità da
lui chiamate fermenti, contenute all'interno delle cellule di lievito, e
prive di ogni funzione all'esterno delle cellule, a far avvenire questi
processi. Scrisse che la fermentazione alcolica è un processo correlato
con la vita e l'organizzazione delle cellule di lievito, e non con la morte
e la putrefazione delle cellule stesse.[8]
La parola enzima fu utilizzata per la prima volta nel 1878 dal fisiologo Wilhelm Kühne. Egli scelse tale parola (in
greco ἐν ζύμῳ - en zýmō - significa all'interno del lievito) proprio perché si riteneva che entità del genere potessero
trovarsi solo all'interno di cellule di lievito.
Nel 1897 Eduard Buchner iniziò a studiare la capacità degli estratti di lievito di portare a termine le fermentazione di
zuccheri, anche in assenza di cellule di lievito integre. Gli esperimenti che portò a termine presso l'Università di
Berlino gli permisero di determinare che tali fermentazioni avvengono anche in assenza di cellule vive di lievito.[9]
Egli chiamò zimasi l'enzima che aveva portato a termine la fermentazione del saccarosio.[10] Nel 1907 Buchner
ricevette il Premio Nobel per la Chimica per le ricerche biochimiche e la scoperta della fermentazione indipendente
dalla cellula.
In seguito alla dimostrazione del funzionamento degli enzimi indipendentemente da una cellula vivente, la ricerca si
focalizzò sulla natura chimica degli enzimi stessi. Numerose evidenze mostravano la stretta associazione tra proteine
ed attività enzimatica, ma una parte influente della comunità scientifica del primo Novecento (tra cui il Premio
Nobel Richard Willstätter) sosteneva che le proteine non fossero altro che semplici trasportatori degli enzimi. Lo
scienziato affermava che gli enzimi fossero formati da una parte colloidale proteica, chiamata apoenzima o
Enzima
apofermento, e da un gruppo attivo chiamato coenzima o cofermento. I cofermenti determinerebbero la specificità
dell'azione degli enzimi.
Nel 1926, in ogni caso, James Sumner mostrò come l'enzima ureasi fosse una proteina vera e propria
cristallizzandolo. Nel 1937 Sumner dimostrò lo stesso per la catalasi. Furono comunque i lavori di Northrop e
Stanley sugli enzimi digestivi pepsina, tripsina e chimotripsina a confermare definitivamente le ipotesi di Sumner. I
tre ricercatori furono premiati con il Premio Nobel nel 1946.[11]
La scoperta che gli enzimi fossero cristallizzabili diede il via ad una corsa tesa alla definizione delle strutture
tridimensionali degli enzimi attraverso tecniche come la cristallografia a raggi X. La prima macromolecola ad essere
definita con questa tecnica fu il lisozima, enzima deputato alla digestione della parete batterica e contenuto nelle
lacrime, nella saliva, nell'albume. La cristallizzazione del lisozima fu portata a termine dal gruppo coordinato da
David Chilton Phillips nel 1965[12] e segnò di fatto l'inizio della biologia strutturale.
Nomenclatura
A partire dalla zimasi caratterizzata da Buchner, tutti gli enzimi sono stati denominati utilizzando il suffisso -asi.
Comunemente, il nome dell'enzima viene composto dalla fusione del substrato con il suffisso. Ad esempio la lattasi è
in grado di scindere la molecola di lattosio, la DNA polimerasi è coinvolta nella formazione di polimeri di DNA.
Esistono in ogni caso delle norme precise per la definizione del nome degli enzimi, messe a punto dalla International
Union of Biochemistry and Molecular Biology attraverso la Enzyme Commission, costituita nel 1955. La
classificazione degli enzimi si basa sui numeri EC: ad ogni enzima viene associato un codice composto di quattro
numeri ed un nome sistematico a seconda della reazione catalizzata.
Esistono sei differenti classi di enzimi.[13]
•
•
•
•
EC 1 - Ossidoreduttasi: catalizzano reazioni di ossidoriduzione;
EC 2 - Transferasi: catalizzano il trasferimento di un gruppo funzionale;
EC 3 - Idrolasi: catalizzano l'idrolisi di vari tipi di legame chimico;
EC 4 - Liasi: catalizzano la rottura di legami covalenti attraverso metodi alternativi all'idrolisi o
all'ossidoriduzione;
• EC 5 - Isomerasi: catalizzano le isomerizzazioni all'interno di una molecola; catalizzano la riorganizzazione
intramolecolare
• EC 6 - Ligasi: catalizzano il legame tra due molecole attraverso un legame covalente.
Funzioni biologiche
Gli enzimi portano a termine una gran quantità di funzioni all'interno degli organismi viventi.
• Una delle caratteristiche più importanti degli enzimi è la possibilità di lavorare in successione, creando un
pathway metabolico. Nei pathways, ogni enzima utilizza il prodotto della reazione precedente come substrato. È
la presenza degli enzimi a determinare i passaggi del pathway: senza enzimi, il metabolismo non passerebbe
attraverso gli stessi passaggi e non sarebbe in grado di generare prodotti ad una velocità sufficiente per le esigenze
della cellula. Ad esempio, un pathway come la glicolisi non potrebbe esistere in assenza degli enzimi che la
compongono. Il glucosio, ad esempio, è in grado di reagire direttamente con l'adenosintrifosfato (ATP) per essere
fosforilato su uno o più carboni, ma in assenza di enzimi questo avverrebbe a velocità tanto ridotte da essere
insignificante. La rete del metabolismo cellulare dipende dunque dal set di enzimi funzionali presenti.
• Un'altra importante funzione degli enzimi è correlata alla digestione negli animali. Enzimi come le amilasi e le
proteasi sono in grado di ridurre le macromolecole (nella fattispecie amido e proteine) in unità semplici (maltosio
e amminoacidi), assorbibili dall'intestino. In alcuni casi gli enzimi necessari alla digestione possono essere
prodotti da organismi ospiti del tubo digerente: nei ruminanti, ad esempio, la cellulasi necessaria alla
degradazione della cellulosa è prodotta da alcune specie batteriche.
44
Enzima
• Essi sono anche fondamentali per la trasduzione del segnale e la regolazione dei processi cellulari. In particolare,
questi processi sono coordinati solitamente da chinasi e fosfatasi.[14]
• Gli enzimi sono anche in grado di generare movimento, come avviene ad esempio con la miosina, che idrolizza
l'ATP generando la contrazione muscolare o con il trasporto di molecole nei vari dipartimenti cellulari attraverso
il citoscheletro.[15]
• Altre ATPasi, localizzate presso le membrane cellulari, sono le pompe ioniche, coinvolte nel trasporto attivo.
• I virus contengono numerosi enzimi che permettono loro di infettare le cellule. Tra di essi figurano le integrasi e
le retrotrascrittasi.
• Gli enzimi sono anche coinvolti in funzioni più esotiche, come la generazione di luce nella lucciola, resa possibile
dalla presenza della luciferasi.[16]
Struttura e funzionamento
L'attività degli enzimi è determinata dalla struttura quaternaria[17] (ovvero l'arrangiamento spaziale delle subunità) e
dalla struttura terziaria (ovvero la conformazione tridimensionale) degli enzimi stessi. La maggior parte degli enzimi
presenta dimensioni decisamente maggiori dei substrati su cui agiscono. Solitamente la regione dell'enzima coinvolta
nell'attività catalitica è molto ridotta (conta spesso solo 3-4 amminoacidi).[18] La regione contenente questi residui
catalitici, nota come sito attivo, si occupa di prendere contatto con il substrato e di portare a termine la reazione. Gli
enzimi possono anche contenere regioni che legano cofattori necessari per la catalisi. Alcuni enzimi presentano
anche siti di legame per piccole molecole, spesso prodotti diretti o indiretti della reazione catalizzata. Tale legame
può incrementare o ridurre l'attività dell'enzima, attraverso una regolazione a feedback negativo.
Specificità
La maggior parte degli enzimi presenta
una notevolissima specificità per la
reazione catalizzata e per i substrati
coinvolti. Tale specificità è legata a
diversi fattori che caratterizzano
l'associazione tra il substrato ed il sito
attivo, come la complementarietà dal
punto di vista strutturale, le cariche
elettriche, la natura idrofila o idrofoba.
Schema del modello dell'adattamento indotto
Gli enzimi mostrano spesso livelli
elevatissimi di stereospecificità, regioselettività e chemoselettività.[19]
Alcuni degli enzimi che mostrano la maggiore specificità sono coinvolti nella replicazione e nell'espressione del
genoma. Tali enzimi presentano meccanismi di proof-reading (correzione di bozze). Ad esempio enzimi come le
DNA polimerasi sono in grado di catalizzare inizialmente la reazione di elongazione del filamento di DNA, quindi di
valutare in un secondo momento l'efficienza e la correttezza dell'operazione stessa.[20] Questo processo in due
passaggi permette di ridurre enormemente gli errori compiuti (si stima che le DNA polimerasi di mammifero
abbiano un tasso di errore di 1 su 100 milioni di reazioni catalizzate.[21]) Simili meccanismi di proof-reading sono
presenti anche nelle RNA polimerasi,[22] nelle amminoacil-tRNA sintetasi[23] e nei ribosomi.[24]
Esistono in ogni caso anche diversi enzimi caratterizzati da una specificità relativamente più bassa. Diversi enzimi
sono infatti in grado di agire su un numero ampio di substrati. Una possibile spiegazione di questa evidenza è legata
al fatto che, dal punto di vista evolutivo, essa permetterebbe la costituzione di nuovi pathways metabolici.[25]
45
Enzima
Modello chiave-serratura
Il primo modello ad essere stato messo a punto per spiegare la specificità degli enzimi è quello suggerito da
Hermann Emil Fischer nel 1894, secondo il quale l'enzima ed il substrato possiedono una forma esattamente
complementare che ne permette un incastro perfetto.[26] Tale modello è spesso definito come chiave-serratura. In
ogni caso tale modello esplica bene la specificità degli enzimi, ma è decisamente meno affidabile nello spiegare la
stabilizzazione dello stato di transizione che l'enzima raggiunge durante il legame con il substrato.
Modello dell'adattamento indotto
Nel 1958 Daniel Koshland propose una modifica del modello chiave-serratura: dal momento che gli enzimi sono
strutture relativamente flessibili, egli suggerì che il sito attivo potesse continuamente modellarsi in base alla presenza
o meno del substrato.[27] Come risultato, il substrato non si lega semplicemente ad un sito attivo rigido, ma genera
un rimodellamento del sito stesso, che lo porta ad un legame più stabile in modo da portare correttamente a termine
la sua attività catalitica,[28] come succede ad esempio per la esochinasi[29] e per altri enzimi glicolitici. In alcuni casi,
come avviene per le glicosidasi, anche il substrato può cambiare leggermente la propria forma all'ingresso nel sito
attivo.[30]
Funzionamento
Il legame iniziale tra enzima e substrato è necessario anche da un punto di vista energetico. L'energia del legame
deriva non solo da eventuali legami covalenti, ma anche da una fitta rete di interazioni deboli, ioniche o
elettrostatiche. Solo il corretto substrato è in grado di partecipare a tutte le interazioni previste. Ciò, oltre a spiegare
la sorprendente stabilità del legame tra enzima e substrato, permette di comprendere i meccanismi che conferiscono
elevata specificità all'enzima stesso.
La riduzione dell'energia di attivazione può essere invece spiegata dal fatto che tutte le interazioni tra enzima e
substrato sono possibili solo quando il substrato si trova nello stato di transizione. Tale stato è dunque stabilizzato (in
un certo senso esso viene forzato) dal legame tra enzima e substrato. Il substrato nello stato di transizione può essere
considerato un vero e proprio nuovo substrato di una nuova reazione, avente una energia di attivazione inferiore a
quella originale. La riduzione della ΔG‡ può dunque essere intesa come conseguenza della creazione di una sorta di
nuova reazione, impossibile senza la presenza dell'enzima corretto.
L'affinità dell'enzima per il substrato è quindi la condizione necessaria per il suo funzionamento; ma questo non
significa che nel complesso le forze di interazione debbano essere molto elevate: se il complesso enzima-substrato
fosse eccessivamente stabile, per esempio, l'enzima non tenderebbe a formare i prodotti. Se fosse invece troppo alta
l'affinità tra enzima e stato di transizione (o tra enzima e prodotto) la reazione si bloccherebbe, non permettendo al
complesso di dissociarsi e liberare i prodotti.
Strategie catalitiche
Alcune delle strategie comunemente messe in atto dagli enzimi per catalizzare reazioni sono le seguenti.[31]
• Catalisi covalente. Il sito attivo contiene un gruppo reattivo (solitamente nucleofilo), che viene legato
covalentemente in modo temporaneo nel corso della reazione. Questo è il meccanismo sfruttato da enzimi come la
chimotripsina.
• Catalisi acido-base. Nel sito attivo è presente un residuo amminoacidico che funge da donatore o accettore di
elettroni. Nella stessa chimotripsina, ad esempio, è presente un'istidina in grado di incrementare il potere
nucleofilo della serina, responsabile del legame con il substrato.
• Catalisi mediata da ioni metallici. Gli ioni metallici possono svolgere funzioni catalitiche in diversi modi. Ad
esempio, possono funzionare da catalizzatori elettrofili, che stabilizzano la carica negativa di un intermedio di
reazione. In modo analogo, uno ione metallico può generare un nucleofilo incrementando l'acidità di una
molecola posta nelle vicinanze, come avviene per la molecola di acqua durante l'idratazione dell'anidride
46
Enzima
47
carbonica catalizzata dall'anidrasi carbonica. In alcuni casi, lo ione metallico può anche legare direttamente il
substrato, incrementando così l'energia di legame. Questa è la strategia seguita ad esempio dalle
nucleosidemonofosfato chinasi (dette anche NMP chinasi).
• Catalisi da avvicinamento. In numerose reazioni che coinvolgono più substrati, il fattore limitante è la scarsa
possibilità che i substrati si dispongano vicini e nel corretto orientamento. Enzimi come le stesse NMP chinasi
sono ad esempio in grado di disporre due nucleotidi vicini tra loro, facilitando il trasferimento di un gruppo
fosfato da un nucleotide all'altro.
Analisi recenti hanno svelato ulteriori correlazioni tra le dinamiche interne dell'enzima e l'efficienza di catalisi
risultante.[32][33][34] Le regioni interne di un enzima (dai singoli amminoacidi fino alle eliche alfa) possono cambiare
posizione e conformazione in tempi che vanno dai femtosecondi ai secondi: sono tali spostamenti a cambiare la rete
di interazioni possibili con il substrato, con conseguenze importanti a livello di aumento o un calo dell'efficienza
catalitica.[35][36][37][38] Questo ha conseguenze fondamentali a livello dello studio della modulazione allosterica,
dell'inibizione e dell'attivazione enzimatica.
Modulazione allosterica
Alcuni enzimi sono provvisti, oltre che del sito attivo,
anche di cosiddetti siti allosterici, che funzionano come
degli interruttori, potendo bloccare o attivare l'enzima.
Quando una molecola particolare fa infatti da substrato
per questi siti, la struttura dell'enzima viene
completamente modificata, al punto che esso può non
funzionare più. Al contrario, può avvenire che la
deformazione metta in funzione l'enzima. Molto spesso
la deformazione consiste in un riorientamento dei
domini che compongono l'enzima in modo da rendere il
sito attivo più accessibile (attivatori) o meno
accessibile (inibitori). Queste molecole che regolano
l'attività enzimatica sono dette effettori allosterici o
modulatori allosterici.
L'enzima fosfofruttochinasi, dotato di siti di modulazione allosterica
Il sito allosterico può essere anche lo stesso sito attivo
dell'enzima: in questo caso, in genere, gli attivatori sono gli stessi reagenti, mentre gli inibitori allosterici saranno i
prodotti.
Molti effettori hanno effetti simili su più enzimi diversi: in questo modo l'allosteria può essere utilizzata per
sincronizzare diverse reazioni che si trovano lungo la stessa via o su vie diverse. Ad esempio l'ATP è un inibitore
allosterico di molti enzimi che operano su reazioni di catabolismo (glicolisi, ciclo di Krebs...): così quando la sua
concentrazione è alta, ovvero la cellula ha molta energia a disposizione, lo stesso ATP rallenta le vie che portano alla
produzione di ulteriori molecole ad alto contenuto energetico.
Enzima
Meccanismi di reazione a due substrati
I meccanismi di reazione a due substrati sono:
• Bi-Bi ordinato: si legano i substrati S1 e S2 e si staccano i prodotti P1 e P2 in ordine (come in molte
ossidoreduttasi NAD+(P) dipendenti).
• Bi-Bi Random: si legano i due substrati e si staccano i due prodotti in vari ordini (come in molte chinasi e alcune
deidrogenasi).
• Ping Pong (o doppio spostamento): si attacca il substrato S1 e si stacca il prodotto P1, poi si attacca S2 e si
stacca P2 (come per le amminotrasferasi e serina proteasi).
Cofattori
Molti enzimi contengono molecole non proteiche che partecipano alla funzione catalitica. Queste molecole, che si
legano spesso all'enzima nelle vicinanze del sito attivo, vengono definite cofattori. Combinandosi con la forma non
attiva dell'enzima (apoenzima), esse danno origine ad un enzima cataliticamente attivo (oloenzima).
Queste molecole spesso vengono divise in due categorie sulla base della natura chimica: i metalli ed i coenzimi
(piccole molecole organiche).
Sulla base del legame con l'enzima, invece, si distinguono i gruppi prostetici ed i cosubstrati. I gruppi prostetici sono
di solito strettamente legati agli enzimi, generalmente in modo permanente. I cosubstrati sono invece legati più
debolmente agli enzimi (una singola molecola di cosubstrato a volte può associarsi successivamente con enzimi
diversi) e servono come portatori di piccole molecole da un enzima ad un altro. La maggior parte delle vitamine,
composti che gli esseri umani e altri animali non sono in grado di sintetizzare autonomamente, sono cofattori (o
precursori di cofattori).
48
Enzima
49
Termodinamica
Come per tutti i catalizzatori, gli
enzimi non modificano l'equilibrio
chimico della reazione. Solitamente, in
presenza di un enzima, la reazione si
svolge nella stessa direzione in cui si
svolgerebbe senza. L'unica differenza è
la velocità della reazione. Di
conseguenza, gli enzimi possono
catalizzare in modo equivalente sia la
reazione diretta che quella inversa. Ad
esempio, l'anidrasi carbonica catalizza
la reazione in entrambe le direzioni a
seconda della concentrazione dei
reagenti.
Diagramma di una reazione catalitica che mostra l'energia richiesta a vari stadi lungo
l'asse del tempo (coordinate di reazione). I substrati normalmente necessitano di una
notevole quantità di energia (picco rosso) per giungere allo stato di transizione, onde
reagire per formare il prodotto. L'enzima crea un microambiente nel quale i substrati
possono raggiungere lo stato di transizione (picco blu) più facilmente, riducendo così la
quantità d'energia richiesta. Essendo più facile arrivare a uno stato energetico minore la
reazione può avere luogo più frequentemente e di conseguenza la velocità di reazione sarà
maggiore.
(nei tessuti, con alta concentrazione di CO2)
(nel polmone, con bassa concentrazione di CO2)
In ogni caso, se l'equilibrio è decisamente spostato in una direzione (in caso ad esempio di una reazione
esoergonica), la reazione diventa irreversibile, e l'enzima si trova de facto a poter catalizzare la reazione solo in
quella direzione.
Sebbene l'unica differenza tra la presenza e l'assenza di un enzima sia la velocità di reazione, a volte l'assenza
dell'enzima può dare il via allo sviluppo di altre reazioni non catalizzate, che conducono alla formazione di diversi
substrati. In assenza di catalizzatori, infatti, possono subentrare reazioni differenti, caratterizzate da una minore
energia di attivazione.
La presenza degli enzimi, inoltre, può permettere l'accoppiamento di due o più reazioni, in modo che una reazione
favorita dal punto di vista termodinamico possa essere sfruttata per portarne a termine una sfavorita. Questo è quello
che avviene con l'idrolisi dell'ATP, utilizzata comunemente per avviare numerose reazioni biologiche.
Enzima
50
Cinetica
La cinetica enzimatica si occupa in modo
particolare degli aspetti cinetici (cioè legati
al
fattore
tempo)
del
legame
enzima-substrato e della conseguente
generazione di un prodotto. I dati di velocità
utilizzati nelle analisi cinetiche sono ottenuti
da saggi enzimatici. Nel 1913 Leonor
Michaelis e Maud Menten proposero una
Meccanismo di una reazione a substrato (S) singolo catalizzata da un enzima (E) a
teoria quantitativa della cinetica enzimatica,
generare un prodotto (P)
che è tuttora nota come cinetica di
Michaelis-Menten.[39] Il loro lavoro è stato
ulteriormente ampliato nel 1925 da George Edward Briggs e John Burdon Sanderson Haldane, che hanno messo a
punto le equazioni cinetiche utilizzate comunemente ancora oggi.[40]
Il maggior contributo di Michaelis e Menten fu quello di suddividere idealmente l'azione degli enzimi in due fasi.
Nella prima fase, il substrato si lega reversibilmente all'enzima, formando il complesso enzima-substrato (ES), a
volte chiamato complesso di Michaelis-Menten in loro onore. La fase successiva è la vera e propria conversione del
substrato a prodotto.
Gli enzimi sono in grado di catalizzare
alcuni milioni di reazioni al secondo. Per
esempio, la reazione catalizzata dalla
orotidina-5-fosfato decarbossilasi impiega
circa 25 millisecondi per processare la stessa
quantità di substrato che, in assenza
dell'enzima, verrebbe convertita in 78
milioni di anni.[41]
La velocità enzimatica dipende dalle
condizioni della soluzione e dalla
concentrazione del substrato. Condizioni
denaturanti, come le alte temperature, pH
lontani dalla neutralità o alte concentrazioni
saline riducono l'attività enzimatica. Alte
concentrazioni di substrato, invece, tendono
ad incrementare l'attività.
Curva di saturazione per una reazione enzimatica: evidenziata la relazione tra la
concentrazione di substrato (S) e la velocità di reazione (v)
La velocità massima di una reazione enzimatica è individuabile incrementando la concentrazione di substrato fino a
raggiungere un livello a cui la velocità stessa rimane costante (nella curva di saturazione, è il livello indicato in alto a
destra). La saturazione ha luogo perché, all'aumentare della concentrazione di substrato, una quantità sempre
maggiore di enzima libero è convertita nella forma ES. Alla velocità massima (definita Vmax) dell'enzima, tutti i siti
attivi dell'enzima sono saturi di substrato, e l'ammontare del complesso ES è pari a quello dell'enzima stesso.
Enzima
51
Le costanti cinetiche degli enzimi
La Vmax è solo una delle costanti cinetiche che caratterizzano gli enzimi. Un'altra molto usata fornisce informazioni
sulla quantità di substrato necessaria per raggiungere una determinata velocità di reazione. Si tratta della costante di
Michaelis-Menten (abbreviata comunemente come Km), definita come la concentrazione di substrato necessaria per
raggiungere la metà della Vmax. Ogni enzima presenta una Km caratteristica relativamente ad ogni diverso substrato.
Altra costante molto utilizzata è la kcat (o numero di turnover), definita come il numero di molecole di substrato
convertite per secondo.
L'efficienza dell'enzima può essere espressa come rapporto tra kcat e Km. Tale rapporto è anche definito costante di
specificità. Dal momento che tale costante incorpora sia l'affinità che l'abilità catalitica, spesso si utilizza per
confrontare l'efficienza di diversi enzimi o quella di un unico enzima con differenti substrati. Il massimo teoretico
per la costante di specificità è chiamato limite di diffusione ed è compreso tra 108 e 109 M−1 s−1. In questo intervallo,
ogni collisione tra enzima e substrato ha come effetto la produzione di un prodotto, e la velocità di formazione del
prodotto non è limitata dalla velocità di reazione ma dal limite di diffusione. Enzimi che presentano una tale
proprietà sono detti enzimi cataliticamente perfetti o cineticamente perfetti. Esempi di enzimi di questo tipo sono la
trioso fosfato isomerasi, l'anidrasi carbonica, l'acetilcolinesterasi, la catalasi, la fumarasi, la beta lattamasi e la
superossido dismutasi.
Alcuni enzimi possono operare con velocità maggiori dei limiti di diffusione. Sebbene ciò possa sembrare
impossibile, esistono alcuni modelli in grado di spiegare il fenomeno.[42][43]
Inibizione enzimatica
Gli inibitori enzimatici sono sostanze
in grado di diminuire o annullare
l'azione catalitica di un enzima.
Possono agire legandosi al sito attivo
competitivamente
al
substrato
(inibizione competitiva) o legandosi ad
un sito allosterico. L'inibizione può
essere reversibile, rendendo possibile il
ripristino della funzione catalitica
dell'enzima tramite aumento della
concentrazione del substrato rispetto
all'inibitore; o irreversibile con
l'impossibilità di potere ripristinare
l'attività catalitica. Gli induttori,
invece, sono sostanze in grado di
interagire con i siti enzimatici in modo
da
aumentare
la
funzionalità
dell'enzima.
Gli inibitori competitivi legano l'enzima in modo reversibile, impedendo il legame con il
substrato. Il legame con il substrato, viceversa, impedisce il legame dell'inibitore.
Inibitori reversibili
Sono molecole che si legano non covalentemente all'enzima motivo per cui dopo la loro rimozione l'enzima torna ad
essere funzionante.
Enzima
52
Inibizione competitiva
Gli inibitori competitivi occupano il
sito di legame del substrato,
impedendo al substrato di legarsi
correttamente (formazione di un
complesso EI al posto di uno ES). Se
però si verifica prima il legame
enzima-substrato,
l'inibitore
competitivo perde di efficacia. La
consistenza dell'inibizione dipende
dunque sia dalla concentrazione di
inibitore che da quella di substrato.
Spesso gli inibitori competitivi
mimano in modo notevole la forma dei
substrati di cui inibiscono il legame.
Ad esempio il metotrexato è un
inibitore competitivo della diidrofolato
reduttasi, che catalizza la riduzione del
diidrofolato a tetraidrofolato.
Gli inibitori non competitivi legano siti alternativi a quello che lega il susbstrato. Il
legame di tali inibitori, tuttavia, genera cambiamenti conformazionali tali da impedire
l'ingresso del substrato o generarne la sua espulsione.
All'aumentare della concentrazione di
inibitore la kmapp aumenta la velocità
della reazione. Asintoticamente però la velocità tende ancora a Vmax per cui l'effetto dell'inibitore può essere
annullato aumentando la concentrazione di substrato.
Inibizione non competitiva
Gli inibitori non competitivi sono in grado di legare siti differenti dal sito attivo. Essi sono dunque in grado di legare
sia l'enzima libero, sia in configurazione ES. Il loro legame all'enzima genera un cambiamento conformazionale
dell'enzima stesso, che può avere come conseguenza l'inibizione del legame tra enzima e substrato. Non essendoci
dunque competizione tra inibitore e substrato, l'importanza dell'inibizione dipende esclusivamente dalla
concentrazione dell'inibitore stesso.
L'inibitore causa una diminuzione della Vmax ma non modifica la km.
Inibizione acompetitiva (e incompetitiva)
Un inibitore acompetitivo si lega a un sito diverso da quello del substrato, presente solamente nel complesso ES:
interagisce solo con ES e non con E.
Vmax e km diminuiscono di uno stesso fattore all'aumentare della concentrazione di inibitore: Vmax/km è costante.
Inibizione mista
In realtà non si verifica un'inibizione puramente non competitiva, ma un'inibizione di tipo misto in cui variano sia
Vmax che km in modo diverso.
In pratica l'inibizione acompetitiva e l'inibizione mista avvengono solo negli enzimi con due o più substrati.
Enzima
Inibitori irreversibili
Alcuni inibitori sono in grado di reagire con l'enzima e formare un legame covalente. L'inattivazione così indotta è
irreversibile. Esistono diversi composti di questo tipo: una classe importante è quella dei cosiddetti inibitori suicidi,
che contano al loro interno la eflornitina, un farmaco utilizzato per trattare la malattia del sonno.[44] Anche la
penicillina ed i suoi derivati agiscono in questo modo. Gli antibiotici di questa classe vengono legati dal sito attivo
dell'enzima bersaglio (le transpeptidasi) e vengono convertiti in un intermedio che reagisce in modo irreversibile con
alcuni residui presenti nel sito attivo.
Utilizzi degli inibitori
Gli inibitori sono spesso utilizzati come farmaci, ma possono agire anche come veri e propri veleni. In realtà, la
differenza tra farmaco e veleno è esclusivamente una questione di dose del composto: la maggior parte dei farmaci,
infatti, se somministrati ad alte dosi può risultare tossica, come già Paracelso evidenziò nel XVI secolo: "In tutte le
cose c'è un veleno, e senza un veleno non c'è nulla.[45] Il principio della dose è lo stesso per cui gli antibiotici e gli
altri agenti anti-infezione sono veleni per il patogeno e non per l'organismo umano.
• Un esempio di inibitore utilizzato come farmaco è l'aspirina, che inibisce l'attività delle ciclossigenasi COX-1 e
COX-2, che producono le prostaglandine, mediatori dell'infiammazione, riducendo dunque la sensazione di
dolore.
• Il cianuro è invece un inibitore irreversibile che si combina con il rame ed il ferro presenti nel sito attivo
dell'enzima citocromo c ossidasi, bloccando la catena di trasporto degli elettroni e, di conseguenza, la respirazione
cellulare.[46]
In molti organismi anche i prodotti degli enzimi possono agire come una sorta di inibitori, attraverso un meccanismo
di feedback negativo. Se un enzima produce troppo prodotto, esso può infatti agire come inibitore dell'enzima stesso,
riducendo o bloccando la produzione di ulteriore prodotto. Tale meccanismo è molto frequente negli enzimi
coinvolti in pathway metabolici: la esochinasi, ad esempio, è inibita da alte quantità di glucosio-6-fosfato.
Regolazione dell'attività enzimatica
La cellula è in grado di controllare l'attività degli enzimi in almeno cinque modalità principali.
1. Produzione degli enzimi. La trascrizione e la sintesi proteica dei geni relativi agli enzimi sono controllati con i
comuni meccanismi che regolano l'espressione genica. In particolare, tale regolazione spesso risponde a stimoli
esterni alla cellula. Ad esempio, alcuni batteri possono diventare resistenti agli antibiotici attraverso l'induzione di
enzimi ad hoc (ad esempio la resistenza alla penicillina è dovuta all'enzima beta-lattamasi, che genera l'idrolisi
dell'anello beta-lattamico che caratterizza la molecola). Un altro esempio è l'induzione delle citocromo P450
ossidasi nel fegato, coinvolte nel metabolismo dei farmaci.
2. Compartimentalizzazione degli enzimi. L'utilizzo di vescicole ed organelli da parte della cellula è essenziale
per permettere lo svolgimento di diversi pathway metabolici (anche partendo dagli stessi substrati di base). Ad
esempio gli acidi grassi sono biosintetizzati da un set di enzimi presenti nel citosol, nel reticolo endoplasmatico e
nell'apparato del Golgi, mentre gli stessi acidi grassi sono utilizzati nel mitocondrio, come fonte di energia
attraverso la beta ossidazione.[47]
3. Feedback negativo. I prodotti finali di un pathway metabolico sono spesso inibitori dei primi enzimi della stessa
via metabolica (solitamente quelli che caratterizzano le reazioni irreversibili), regolando così l'intero flusso della
via metabolica. Un tale meccanismo di regolazione è definito a feedback negativo, perché la quantità di prodotto
generato dipende dalla concentrazione del prodotto stesso. I meccanismi di feedback negativo sono in grado di
regolare finemente l'attività degli enzimi in base alle necessità della cellula, permettendo una ottimizzazione della
gestione dei metaboliti a disposizione ed un corretto mantenimento dell'omeostasi.
4. Modificazioni post traduzionali. La fosforilazione, la miristilazione e la glicosilazione sono solo alcune delle
possibili modificazioni che i singoli amminoacidi di un enzima possono subire in seguito alla sua traduzione. Tali
53
Enzima
modificazioni sono molto utilizzate per la regolazione della trasduzione del segnale. Ad esempio la cellula epatica
è in grado di rispondere al segnale ormonale dell'insulina attraverso la fosforilazione di numerosi enzimi, tra cui la
glicogeno sintetasi, che così avvia la glicogenosintesi, riducendo la glicemia.[48] Un altro esempio di
modificazione post traduzionale è il taglio di intere sezioni di proteina. La chimotripsina, ad esempio, è
biosintetizzata in forma inattiva (come chimotripsinogeno) nel pancreas e viene trasportata nell'intestino tenue,
dove è attivata. Questo permette all'enzima di non avviare la sua attività proteolitica nel sito di produzione (nel
pancreas, in questo caso), ma solo dove ce n'è davvero bisogno (nel tubo digerente). Questi tipi di precursori
inattivi sono detti zimogeni.
5. Attivazione in ambienti differenti da quelli di produzione. Un'ultima via di regolazione molto usata è la
biosintesi di enzimi attivi solo in condizioni molto differenti. L'emagglutinina del virus dell'influenza, ad esempio,
viene attivata solo in seguito ad un notevole cambiamento conformazionale indotto dal contatto con l'ambiente
acido dell'endosoma della cellula infettata.[49] Simile processo subiscono gli enzimi lisosomiali, che vengono
attivati solo in presenza del pH acido tipico dell'organello.
Cascate enzimatiche
Le cascate enzimatiche sono sistemi costituiti da più enzimi i quali agiscono tra loro causando delle modificazioni
covalenti. Le cascate possono essere monocicliche, bicicliche o multicicliche.
Effetto del pH sull'attività degli enzimi
Gli enzimi, come le altre proteine, presentano attività massima ad un pH ottimale. A pH diversi alcuni residui
amminoacidici si protonano o deprotonano modificando la struttura del sito attivo e dell'enzima in generale. Questo
ne diminuisce o inibisce l'attività catalitica.
Enzimi e patologie
Dal momento che il controllo dell'attività enzimatica è necessario per l'omeostasi cellulare, qualsiasi suo
malfunzionamento può indurre risultati patologici. Mutazioni, sovrapproduzione o sottoproduzione del gene
codificante per un enzima può indurre ad esempio una patologia genetica. L'importanza degli enzimi nei processi
cellulari può essere ulteriormente dimostrata dal fatto che il malfunzionamento di un solo enzima (su migliaia) è in
grado di indurre una patologia seria.
Ad esempio la fenilchetonuria è dovuta alla mutazione di un solo amminoacido nel gene per la fenilalanina
idrossilasi, che catalizza il primo step nella conversione della fenilalanina a tirosina, essenziale per evitare
all'organismo gli effetti tossici dovuti all'accumulo ematico di fenilalanina. Tale mutazione genera la perdita di ogni
attività enzimatica, con conseguenze neurologiche gravi, tra cui un importante ritardo mentale.[50]
Applicazioni industriali
Gli enzimi sono enormemente utilizzati nell'industria chimica ed in altre applicazioni industriali che richiedono
catalizzatori estremamente specifici. Le principali limitazioni al loro impiego sono la scarsa stabilità in solventi
differenti da quello biologico e - ovviamente - il numero limitato di reazioni per cui l'evoluzione ha messo a punto
enzimi efficaci. Di conseguenza, sta assumendo un'importanza sempre crescente una nuova area di ricerca che punta
alla messa a punto di enzimi con determinate proprietà, sia attraverso la modifica di enzimi esistenti, sia attraverso
una sorta di evoluzione in vitro.[51][52]
54
Enzima
Settore
Industria
alimentare
55
Applicazione
Panificazione
Enzimi utilizzati
Funzioni
α-amilasi fungine.
Catalizzano la conversione dell'amido presente nella farina in zuccheri
semplici. Utilizzate nella produzione di pane in genere, si inattivano
intorno ai 50 °C e sono dunque distrutte durante il processo di cottura.
Proteasi
I produttori di biscotti le utilizzando per ridurre la concentrazione di
proteine nella farina.
Alimenti per
neonati
Tripsina
Proteasi utilizzata per predigerire gli alimenti destinati ai neonati.
Birrificazione
Enzimi contenuti nell'orzo.
Degradano amido e proteine producendo zuccheri semplici, amminoacidi
e brevi peptidi, utilizzati dai lieviti per la fermentazione.
Enzimi dell'orzo prodotti
industrialmente.
Largamente utilizzati per la birrificazione industriale come sostituto degli
enzimi naturali dell'orzo.
Amilasi, glucanasi e proteasi
Degradano i polisaccaridi e le proteine del malto.
Beta glucosidasi
Ottimizza il processo di filtrazione.
Amiloglucosidasi
Permette la produzione di birre a basso contenuto calorico.
Proteasi
Rimuovono la torbidezza che si genera durante la conservazione delle
birre.
Succhi di frutta
Cellulasi, pectinasi
Chiarificano i succhi di frutta
Industria
casearia
Rennina
Derivata dallo stomaco di giovani ruminanti (come vitelli e agnelli), è
usata nella manifattura di formaggi per idrolizzare proteine.
Vari enzimi prodotti da
microrganismi
Il loro impiego è crescente nel settore.
Lipasi
Utilizzata nella produzione di formaggi come il Roquefort.
Lattasi
Degradano il lattosio a glucosio e galattosio.
Intenerimento
della carne
Papaina
Con la sua azione proteolitica, ammorbidisce la carne per la cottura.
Trattamento
dell'amido
Amilasi, amiloglucosidasi e
glucoamilasi
Convertono l'amido in glucosio (molto utilizzati nella produzione di
sciroppi).
Glucosio isomerasi
Converte il glucosio in fruttosio, per la produzione di sciroppi ad alta
concentrazione di fruttosio (che, rispetto al saccarosio, presenta alte
caratteristiche dolcificanti e basso contenuto calorico).
industria cartiera
Amilasi, xilanasi, cellulasi e
ligninasi
Le amilasi favoriscono la degradazione dell'amido, al fine di ottenere una
viscosità inferiore. Le xilanasi favoriscono lo sbiancamento della carta.
Le cellulasi ammorbidiscolo le fibre. Le ligninasi rimuovono la lignina
per rendere la carta più morbida.
Produzione di biocarburanti
Cellulasi
Utilizzate per degradare la cellulosa in zuccheri semplici utilizzabili per le
fermentazioni.
Detersivi
Soprattutto proteasi (in una
specifica isoforma in grado di
funzionare all'esterno delle cellule
Utilizzate nelle fasi di prelavaggio, con applicazione diretta sulle macchie
di natura proteica.
Amilasi
Utilizzate per il lavaggio di stoviglie con macchie particolarmente
resistenti di amido e derivati.
Lipasi
Utilizzate per ottimizzare la rimozione di macchie di unto e grassi di vario
tipo.
Proteasi
Permettono la rimozione di varie proteine dalle lenti, per prevenire
eventuali infezioni.
Pulizia delle lenti a contatto
Enzima
56
Produzione di gomma
Catalasi
Consente la produzione di ossigeno a partire dal perossido, per convertire
il lattice in gomma schiumosa.
Fotografia
Proteasi (ficina)
Degradano la gelatina presente sulle pellicole di scarto per il recupero del
contenuto di argento.
Biologia molecolare
Enzimi di restrizione, DNA ligasi e
polimerasi
Utilizzate per la manipolazione del DNA nelle tecniche di ingegneria
genetica. Ampi utilizzi in farmacologia, agricoltura e medicina (tra cui la
medicina forense).
Note
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Voci correlate
• Cascata enzimatica
• Inibitore enzimatico
• Proteina
•
•
•
•
•
•
•
Catalizzatore
Ribozima
Abzima
Isoenzima
Cinetica di Michaelis-Menten
Zimogramma
BRENDA
Altri progetti
•
Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Enzymes
Collegamenti esterni
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collegamento da un determinato enzima alla sua struttura tridimensionale nella Protein Data Bank.
• (EN) ExPASy enzyme (http://us.expasy.org/enzyme/): fornisce il collegamento da un determinato enzima alle
informazioni ad esso correlate nel database Swiss-Prot.
Catalisi enzimatica
Catalisi enzimatica
La catalisi enzimatica è un tipo di catalisi realizzata da catalizzatori proteici detti enzimi. È la catalisi con la quale
avvengono praticamente tutte le reazioni biochimiche.
Specificità degli enzimi
La maggior parte degli enzimi presenta
una notevolissima specificità per la
reazione catalizzata e per i substrati
coinvolti. Tale specificità è legata a
diversi fattori che caratterizzano
l'associazione tra il substrato ed il sito
attivo, come la complementarietà dal
punto di vista strutturale, le cariche
elettriche, la natura idrofilica o
Schema del modello dell'adattamento indotto
idrofobica. Gli enzimi mostrano spesso
livelli elevatissimi di stereospecificità, regioselettività e chemoselettività.[1]
Alcuni degli enzimi che mostrano la maggiore specificità sono coinvolti nella replicazione e nell'espressione del
genoma. Tali enzimi presentano meccanismi di proof-reading (correzione di bozze). Ad esempio enzimi come le
DNA polimerasi sono in grado di catalizzare inizialmente la reazione di elongazione del filamento di DNA, quindi di
valutare in un secondo momento l'efficienza e la correttezza dell'operazione stessa.[2] Questo processo in due
passaggi permette di ridurre enormemente gli errori compiuti (si stima che le DNA polimerasi di mammifero
abbiano un tasso di errore di 1 su 100 milioni di reazioni catalizzate.[3]) Simili meccanismi di proof-reading sono
presenti anche nelle RNA polimerasi,[4] nelle amminoacil-tRNA sintetasi[5] e nei ribosomi.[6]
Esistono in ogni caso anche diversi enzimi caratterizzati da una specificità relativamente più bassa. Diversi enzimi
sono infatti in grado di agire su un numero ampio di substrati. Una possibile spiegazione di questa evidenza è legata
al fatto che, dal punto di vista evolutivo, essa permetterebbe la costituzione di nuovi pathways metabolici.[7]
Modello chiave-serratura
Il primo modello ad essere stato messo a punto per spiegare la specificità degli enzimi è quello suggerito da
Hermann Emil Fischer nel 1894, secondo il quale l'enzima ed il substrato possiedono una forma esattamente
complementare che ne permette un incastro perfetto.[8] Tale modello è spesso definito come chiave-serratura. In
ogni caso tale modello esplica bene la specificità degli enzimi, ma è decisamente meno affidabile nello spiegare la
stabilizzazione dello stato di transizione che l'enzima raggiunge durante il legame con il substrato.
Modello dell'adattamento indotto
Nel 1958 Daniel Koshland propose una modifica del modello chiave-serratura: dal momento che gli enzimi sono
strutture relativamente flessibili, egli suggerì che il sito attivo potesse continuamente modellarsi in base alla presenza
o meno del substrato.[9] Come risultato, il substrato non si lega semplicemente ad un sito attivo rigido, ma genera un
rimodellamento del sito stesso, che lo porta ad un legame più stabile in modo da portare correttamente a termine la
sua attività catalitica,[10] come succede ad esempio per la esochinasi[11] e per altri enzimi glicolitici. In alcuni casi,
come avviene per le glicosidasi, anche il substrato può cambiare leggermente la propria forma all'ingresso nel sito
attivo.[12]
59
Catalisi enzimatica
Funzionamento
Il legame iniziale tra enzima e substrato è necessario anche da un punto di vista energetico. L'energia del legame
deriva non solo da eventuali legami covalenti, ma anche da una fitta rete di interazioni deboli, ioniche o
elettrostatiche. Solo il corretto substrato è in grado di partecipare a tutte le interazioni previste. Ciò, oltre a spiegare
la sorprendente stabilità del legame tra enzima e substrato, permette di comprendere i meccanismi che conferiscono
elevata specificità all'enzima stesso.
La riduzione dell'energia di attivazione può essere invece spiegata dal fatto che tutte le interazioni tra enzima e
substrato sono possibili solo quando il substrato si trova nello stato di transizione. Tale stato è dunque stabilizzato (in
un certo senso esso viene forzato) dal legame tra enzima e substrato. Il substrato nello stato di transizione può essere
considerato un vero e proprio nuovo substrato di una nuova reazione, avente una energia di attivazione inferiore a
quella originale. La riduzione della ΔG‡ può dunque essere intesa come conseguenza della creazione di una sorta di
nuova reazione, impossibile senza la presenza dell'enzima corretto.
L'affinità dell'enzima per il substrato è quindi la condizione necessaria per il suo funzionamento; ma questo non
significa che nel complesso le forze di interazione debbano essere molto elevate: se il complesso enzima-substrato
fosse eccessivamente stabile, per esempio, l'enzima non tenderebbe a formare i prodotti. Se l'affinità troppo alta
fosse invece tra enzima e stato di transizione (o tra enzima e prodotto) la reazione si bloccherebbe, non permettendo
al complesso di dissociarsi e liberare i prodotti.
Strategie catalitiche
Alcune delle strategie comunemente messe in atto dagli enzimi per catalizzare reazioni sono le seguenti.[13]
• Catalisi covalente
• Catalisi acido-base
• Catalisi mediata da ioni metallici
• Catalisi da avvicinamento. In numerose reazioni che coinvolgono più substrati, il fattore limitante è la scarsa
possibilità che i substrati si dispongano vicini e nel corretto orientamento. Enzimi come le stesse NMP chinasi
sono ad esempio in grado di disporre due nucleotidi vicini tra loro, facilitando il trasferimento di un gruppo
fosfato da un nucleotide all'altro.
Analisi recenti hanno svelato ulteriori correlazioni tra le dinamiche interne dell'enzima e l'efficienza di catalisi
risultante.[14][15][16] Le regioni interne di un enzima (dai singoli amminoacidi fino alle eliche alfa) possono cambiare
posizione e conformazione in tempi che vanno dai femtosecondi ai secondi: sono tali spostamenti a cambiare la rete
di interazioni possibili con il substrato, con conseguenze importanti a livello di aumento o un calo dell'efficienza
catalitica.[17][18][19][20] Questo ha conseguenze fondamentali a livello dello studio della modulazione allosterica,
dell'inibizione e dell'attivazione enzimatica.
Casi particolari
Esistono anche altri tipi di catalisi come la catalisi rotazionale.
Modulazione allosterica
Alcuni enzimi sono provvisti, oltre che del sito attivo, anche di cosiddetti siti allosterici, che funzionano come degli
interruttori, potendo bloccare o attivare l'enzima. Quando una molecola particolare fa infatti da substrato per questi
siti, la struttura dell'enzima viene completamente modificata, al punto che esso può non funzionare più. Al contrario,
può avvenire che la deformazione metta in funzione l'enzima. Molto spesso la deformazione consiste in un
riorientamento dei domini che compongono l'enzima in modo da rendere il sito attivo più accessibile (attivatori) o
meno accessibile (inibitori). Queste molecole che regolano l'attività enzimatica sono dette effettori allosterici o
modulatori allosterici.
60
Catalisi enzimatica
Il sito allosterico può essere anche lo stesso sito attivo dell'enzima: in questo caso, in genere, gli attivatori sono gli
stessi reagenti, mentre gli inibitori allosterici saranno i prodotti.
Molti effettori hanno effetti simili su più enzimi diversi: in questo modo l'allosteria può essere utilizzata per
sincronizzare diverse reazioni che si trovano lungo la stessa via o su vie diverse. Ad esempio l'ATP è un inibitore
allosterico di molti enzimi che operano su reazioni di catabolismo (glicolisi, ciclo di Krebs..): così quando la sua
concentrazione è alta, ovvero la cellula ha molta energia a disposizione, lo stesso ATP rallenta le vie che portano alla
produzione di ulteriori molecole ad alto contenuto energetico.
Meccanismi di reazione a due substrati
I meccanismi di reazione a due substrati sono:
• Bi-Bi ordinato: si legano i substrati S1 e S2 e si staccano i prodotti P1 e P2 in ordine (come in molte
ossidoreduttasi NAD+(P) dipendenti).
• Bi-Bi Random: si legano i due substrati e si staccano i due prodotti in vari ordini (come in molte chinasi e alcune
deidrogenasi).
• Ping Pong (o doppio spostamento): si attacca il substrato S1 e si stacca il prodotto P1, poi si attacca S2 e si
stacca P2 (come per le amminotrasferasi e serina proteasi).
Cofattori
Molti enzimi contengono molecole non proteiche che partecipano alla funzione catalitica. Queste molecole, che si
legano spesso all'enzima nelle vicinanze del sito attivo, vengono definite cofattori. Combinandosi con la forma non
attiva dell'enzima (apoenzima), esse danno origine ad un enzima cataliticamente attivo (oloenzima).
Queste molecole spesso vengono divise in due categorie sulla base della natura chimica: i metalli ed i coenzimi
(piccole molecole organiche).
Sulla base del legame con l'enzima, invece, si distinguono i gruppi prostetici ed i cosubstrati. I gruppi prostetici sono
di solito strettamente legati agli enzimi, generalmente in modo permanente. I cosubstrati sono invece legati più
debolmente agli enzimi (una singola molecola di cosubstrato a volte può associarsi successivamente con enzimi
diversi) e servono come portatori di piccole molecole da un enzima ad un altro. La maggior parte delle vitamine,
composti che gli esseri umani e altri animali non sono in grado di sintetizzare autonomamente, sono cofattori (o
precursori di cofattori).
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Catalisi enzimatica
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Termodinamica
Come per tutti i catalizzatori, gli
enzimi non modificano l'equilibrio
chimico della reazione. Solitamente, in
presenza di un enzima, la reazione si
svolge nella stessa direzione in cui si
svolgerebbe senza. L'unica differenza è
la velocità della reazione. Di
conseguenza, gli enzimi possono
catalizzare in modo equivalente sia la
reazione diretta che quella inversa. Ad
esempio, l'anidrasi carbonica catalizza
la reazione in entrambe le direzioni a
seconda della concentrazione dei
reagenti.
Diagramma di una reazione catalitica che mostra l'energia richiesta a vari stadi lungo
l'asse del tempo (coordinate di reazione). I substrati normalmente necessitano di una
notevole quantità di energia (picco rosso) per giungere allo stato di transizione, onde
reagire per formare il prodotto. L'enzima crea un microambiente nel quale i substrati
possono raggiungere lo stato di transizione (picco blu) più facilmente, riducendo così la
quantità d'energia richiesta. Essendo più facile arrivare a uno stato energetico minore la
reazione può avere luogo più frequentemente e di conseguenza la velocità di reazione sarà
maggiore.
(nei tessuti, con alta concentrazione di CO2)
(nel polmone, con bassa concentrazione di CO2)
In ogni caso, se l'equilibrio è decisamente spostato in una direzione (in caso ad esempio di una reazione
esoergonica), la reazione diventa irreversibile, e l'enzima si trova de facto a poter catalizzare la reazione solo in
quella direzione.
Sebbene l'unica differenza tra la presenza e l'assenza di un enzima sia la velocità di reazione, a volte l'assenza
dell'enzima può dare il via allo sviluppo di altre reazioni non catalizzate, che conducono alla formazione di diversi
substrati. In assenza di catalizzatori, infatti, possono subentrare reazioni differenti, caratterizzate da una minore
energia di attivazione.
La presenza degli enzimi, inoltre, può permettere l'accoppiamento di due o più reazioni, in modo che una reazione
favorita dal punto di vista termodinamico possa essere sfruttata per portarne a termine una sfavorita. Questo è quello
che avviene con l'idrolisi dell'ATP, utilizzata comunemente per avviare numerose reazioni biologiche.
Catalisi enzimatica
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Cinetica
La cinetica enzimatica si occupa in modo
particolare degli aspetti cinetici (cioè legati
al
fattore
tempo)
del
legame
enzima-substrato e della conseguente
generazione di un prodotto. I dati di velocità
utilizzati nelle analisi cinetiche sono ottenuti
da saggi enzimatici. Nel 1913 Leonor
Michaelis e Maud Menten proposero una
Meccanismo di una reazione a substrato (S) singolo catalizzata da un enzima (E) a
teoria quantitativa della cinetica enzimatica,
generare un prodotto (P)
che è tutt'ora nota come cinetica di
Michaelis-Menten.[21] Il loro lavoro è stato
ulteriormente ampliato nel 1925 da George Edward Briggs e John Burdon Sanderson Haldane, che hanno messo a
punto le equazioni cinetiche utilizzate comunemente ancora oggi.[22]
Il maggior contributo di Michaelis e Menten fu quello di suddividere idealmente l'azione degli enzimi in due fasi.
Nella prima fase, il substrato si lega reversibilmente all'enzima, formando il complesso enzima-substrato (ES), a
volte chiamato complesso di Michaelis-Menten in loro onore. La fase successiva è la vera e propria conversione del
substrato a prodotto.
Gli enzimi sono in grado di catalizzare
alcuni milioni di reazioni al secondo. Per
esempio, la reazione catalizzata dalla
orotidina-5-fosfato decarbossilasi impiega
circa 25 millisecondi per processare la stessa
quantità di substrato che, in assenza
dell'enzima, verrebbe convertita in 78
milioni di anni.[23]
La velocità enzimatica dipende dalle
condizioni della soluzione e dalla
concentrazione del substrato. Condizioni
denaturanti, come le alte temperature, pH
lontani dalla neutralità o alte concentrazioni
saline riducono l'attività enzimatica. Alte
concentrazioni di substrato, invece, tendono
ad incrementare l'attività.
Curva di saturazione per una reazione enzimatica: evidenziata la relazione tra la
concentrazione di substrato (S) e la velocità di reazione (v)
La velocità massima di una reazione enzimatica è individuabile incrementando la concentrazione di substrato fino a
raggiungere un livello a cui la velocità stessa rimane costante (nella curva di saturazione, è il livello indicato in alto a
destra). La saturazione ha luogo perché, all'aumentare della concentrazione di substrato, una quantità sempre
maggiore di enzima libero è convertita nella forma ES. Alla velocità massima (definita Vmax) dell'enzima, tutti i siti
attivi dell'enzima sono saturi di substrato, e l'ammontare del complesso ES è pari a quello dell'enzima stesso.
Catalisi enzimatica
64
Inibizione enzimatica
Gli inibitori enzimatici sono sostanze
in grado di diminuire o annullare
l'azione catalitica di un enzima.
Possono agire legandosi al sito attivo
competitivamente
al
substrato
(inibizione competitiva) o legandosi ad
un sito allosterico. L'inibizione può
essere reversibile, rendendo possibile il
ripristino della funzione catalitica
dell'enzima tramite aumento della
concentrazione del substrato rispetto
all'inibitore; o irreversibile con
l'impossibilità di potere ripristinare
l'attività catalitica. Gli induttori,
invece, sono sostanze in grado di
interagire con i siti enzimatici in modo
da
aumentare
la
funzionalità
dell'enzima.
Gli inibitori competitivi legano l'enzima in modo reversibile, impedendo il legame con il
substrato. Il legame con il substrato, viceversa, impedisce il legame dell'inibitore.
Inibitori reversibili
Sono molecole che si legano non
covalentemente all'enzima motivo per
cui dopo la loro rimozione l'enzima
torna ad essere funzionante.
Inibizione competitiva
Gli inibitori competitivi occupano il
sito di legame del substrato,
impedendo al substrato di legarsi
correttamente (formazione di un
complesso EI al posto di uno ES). Se
però si verifica prima il legame
enzima-substrato,
l'inibitore
competitivo perde di efficacia. La
consistenza dell'inibizione dipende
Gli inibitori non competitivi legano siti alternativi a quello che lega il susbstrato. Il
dunque sia dalla concentrazione di
legame di tali inibitori, tuttavia, genera cambiamenti conformazionali tali da impedire
l'ingresso del substrato o generarne la sua espulsione.
inibitore che da quella di substrato.
Spesso gli inibitori competitivi
mimano in modo notevole la forma dei substrati di cui inibiscono il legame.
All'aumentare della concentrazione di inibitore la kmapp aumenta la velocità della reazione. Asintoticamente però la
velocità tende ancora a Vmax per cui l'effetto dell'inibitore può essere annullato aumentando la concentrazione di
substrato.
Ad esempio il metotrexato è un inibitore competitivo della diidrofolato reduttasi, che catalizza la riduzione del
diidrofolato a tetraidrofolato.
Catalisi enzimatica
Inibizione non competitiva
Gli inibitori non competitivi sono in grado di legare siti differenti dal sito attivo. Essi sono dunque in grado di legare
sia l'enzima libero, sia in configurazione ES. Il loro legame all'enzima genera un cambiamento conformazionale
dell'enzima stesso, che può avere come conseguenza l'inibizione del legame tra enzima e substrato. Non essendoci
dunque competizione tra inibitore e substrato, l'importanza dell'inibizione dipende esclusivamente dalla
concentrazione dell'inibitore stesso.
L'inibitore causa una diminuzione della Vmax ma non modifica la km.
Inibizione acompetitiva (e incompetitiva)
Un inibitore acompetitivo si lega a un sito diverso da quello del substrato, presente solamente nel complesso ES:
interagisce solo con ES e non con E.
Vmax e km diminuiscono di uno stesso fattore all'aumentare della concentrazione di inibitore: Vmax/km è costante.
Inibizione mista
In realtà non si verifica un'inibizione puramente non competitiva, ma un'inibizione di tipo misto in cui variano sia
Vmax che km in modo diverso.
In pratica l'inibizione acompetitiva e l'inibizione mista avvengono solo negli enzimi con due o più substrati.
Inibitori irreversibili
Alcuni inibitori sono in grado di reagire con l'enzima e formare un legame covalente. L'inattivazione così indotta è
irreversibile. Esistono diversi composti di questo tipo: una classe importante è quella dei cosiddetti inibitori suicidi,
che contano al loro interno la eflornitina, un farmaco utilizzato per trattare la malattia del sonno.[24] Anche la
penicillina ed i suoi derivati agiscono in questo modo. Gli antibiotici di questa classe vengono legati dal sito attivo
dell'enzima bersaglio (le transpeptidasi) e vengono convertiti in un intermedio che reagisce in modo irreversibile con
alcuni residui presenti nel sito attivo.
Utilizzi degli inibitori
Gli inibitori sono spesso utilizzati come farmaci, ma possono agire anche come veri e propri veleni. In realtà, la
differenza tra farmaco e veleno è esclusivamente una questione di dose del composto: la maggior parte dei farmaci,
infatti, se somministrati ad alte dosi può risultare tossica, come già Paracelso evidenziò nel XVI secolo: "In tutte le
cose c'è un veleno, e senza un veleno non c'è nulla.[25] Il principio della dose è lo stesso per cui gli antibiotici e gli
altri agenti anti-infezione sono veleni per il patogeno e non per l'organismo umano.
• Un esempio di inibitore utilizzato come farmaco è l'aspirina, che inibisce l'attività delle ciclossigenasi COX-1 e
COX-2, che producono le prostaglandine, mediatori dell'infiammazione, riducendo dunque la sensazione di
dolore.
• Il cianuro è invece un inibitore irreversibile che si combina con il rame ed il ferro presenti nel sito attivo
dell'enzima citocromo c ossidasi, bloccando la catena di trasporto degli elettroni e, di conseguenza, la respirazione
cellulare.[26]
In molti organismi anche i prodotti degli enzimi possono agire come una sorta di inibitori, attraverso un meccanismo
di feedback negativo. Se un enzima produce troppo prodotto, esso può infatti agire come inibitore dell'enzima stesso,
riducendo o bloccando la produzione di ulteriore prodotto. Tale meccanismo è molto frequente negli enzimi
coinvolti in pathway metabolici: la esochinasi, ad esempio, è inibita da alte quantità di glucosio-6-fosfato.
65
Catalisi enzimatica
Regolazione dell'attività enzimatica
La cellula è in grado di controllare l'attività degli enzimi in almeno cinque modalità principali.
1.
2.
3.
4.
5.
Produzione degli enzimi
Compartimentalizzazione degli enzimi
Feedback negativo
Modificazioni post traduzionali
Attivazione in ambienti differenti da quelli di produzione
Cascate enzimatiche
Le cascate enzimatiche sono sistemi costituiti da più enzimi i quali agiscono tra loro causando delle modificazioni
covalenti. Le cascate possono essere monocicliche, bicicliche o multicicliche.
Note
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[3] (EN) Berg J., Tymoczko J. and Stryer L. (2002) Biochemistry. W. H. Freeman and Company ISBN 0-7167-4955-6
[4] (EN) Zenkin N, Yuzenkova Y, Severinov K. (2006). Transcript-assisted transcriptional proofreading.. Science. 313: 518-520. PMID
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[5] (EN) Ibba M, Soll D. (2000). Aminoacyl-tRNA synthesis.. Annu Rev Biochem. 69: 617-650. PMID 10966471.
[6] (EN) Rodnina MV, Wintermeyer W. (2001). Fidelity of aminoacyl-tRNA selection on the ribosome: kinetic and structural mechanisms..
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[11] (EN) Immagine dell'adattamento indotto nella esochinasi (http:/ / www. ncbi. nlm. nih. gov/ books/ bv. fcgi?rid=stryer. figgrp. 2210)
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[25] (EN) Ball, Philip (2006) The Devil's Doctor: Paracelsus and the World of Renaissance Magic and Science. Farrar, Straus and Giroux ISBN
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Lauro Galzigna, Elementi di enzimologia, Piccin-Nuova Libraria, 1996.
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• David L. Nelson; Michael M. Cox, I Principi di Biochimica di Lehninger, 3a ed., Bologna, Zanichelli, febbraio
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• Umberto Mura; Antonella Del Corso; Marcella Camici, L. Bolognani (a cura di), Sistemi enzimatici a cascata,
collana: Quaderni di Biochimica (n°44), Piccin-Nuova Libraria, 1990.ISBN 8829908711
Voci correlate
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Enzima
Catalisi enzimatica covalente
Catalisi enzimatica acido-base
Catalisi enzimatica da ioni metallici
Cascata enzimatica
Inibitore enzimatico
Cinetica di Michaelis-Menten
Costante di Michaelis-Menten
Perfezione catalitica
Altri progetti
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Collegamenti esterni
• (EN) Enzyme spotlight (http://www.ebi.ac.uk/intenz/spotlight.jsp): approfondimento mensile di un enzima a
cura dell'Istituto europeo di bioinformatica.
• (EN) BRENDA (http://www.brenda-enzymes.org): banca dati contenente informazioni e dati di letteratura
relativi a tutti gli enzimi conosciuti.
• (EN) KEGG (http://www.genome.jp/kegg/): banca dati contenente informazioni complete sugli enzimi ed i
relativi pathway.
• (EN) MACiE (http://www-mitchell.ch.cam.ac.uk/macie): banca dati contenente informazioni sui meccanismi
di reazione.
67
Catalisi enzimatica
• (EN) Enzyme Structures Database (http://www.ebi.ac.uk/thornton-srv/databases/enzymes/): fornisce il
collegamento da un determinato enzima alla sua struttura tridimensionale nella Protein Data Bank.
• (EN) ExPASy enzyme (http://us.expasy.org/enzyme/): fornisce il collegamento da un determinato enzima alle
informazioni ad esso correlate nel database Swiss-Prot.
Inibitore enzimatico
Con il termine inibitore enzimatico si indica una molecola in grado di instaurare un legame chimico con un enzima,
diminuendone così l'attività. L'inibitore infatti può intralciare l'enzima nella catalisi della sua reazione, per esempio
impedendo al substrato di entrare nel sito attivo dell'enzima stesso. Il legame tra enzima ed inibitore può essere
reversibile o irreversibile. Gli inibitori irreversibili solitamente reagiscono con l'enzima, modificando chimicamente
residui amminoacidici fondamentali per l'attività. Al contrario, gli inibitori reversibili si legano non-covalentemente
e producono diversi tipi di inibizione a seconda che si leghino all'enzima, al complesso enzima-substrato, o ad
entrambi.
Agli enzimi possono legarsi anche molecole in grado di potenziarne l'attività, dette attivatori enzimatici. Alcune di
queste molecole non sono indispensabili per la catalisi, ma la loro presenza la facilita. Altri, come i cofattori (es. ioni
metallici come calcio, ferro, manganese) e coenzimi (es. prodotti derivanti da vitamine), sono indispensabili e la loro
assenza non rende possibile il meccanismo enzimatico. Quindi alcuni inibitori enzimatici possono anche competere
per cofattori e coenzimi e ridurre l'attività catalitica in questo modo.
Inibitori sintetici e naturali
Dal momento che il blocco o l'inibizione dell'attività enzimatica può causare la morte selettiva di microrganismi
patogeni o correggere uno sbilanciamento metabolico, la maggior parte dei farmaci in commercio sono proprio
inibitori enzimatici. Per questo la loro scoperta e il loro miglioramento è un settore importante della ricerca nel
campo della biochimica e della farmacologia. Un inibitore enzimatico di carattere medicinale è spesso giudicato in
base alla sua specificità (la sua mancanza di legami con altre proteine) ed alla sua potenza (la sua costante di
dissociazione, che indica la concentrazione necessaria ad inibire l'enzima). Un'elevata specificità e potenza
assicurano che un farmaco avrà pochi effetti collaterali e pertanto minore tossicità. Inibitori comunemente usati in
campo agro-alimentare sono gli erbicidi e pesticidi.
Gli inibitori enzimatici non sono però esclusivamente molecole sintetiche: essi sono spesso composti naturali,
coinvolti nella regolazione del metabolismo. Ad esempio, gli enzimi di un pathway metabolico spesso sono inibiti
dai prodotti finali del pathway stesso. Questo tipo di feedback negativo rallenta il flusso attraverso un pathway
quando i prodotti cominciano a formarsi ed è un'importante strategia per mantenere l'omeostasi in una cellula. Altri
inibitori enzimatici cellulari sono proteine che si legano ed inibiscono uno specifico enzima bersaglio. Questo
permette di controllare gli enzimi che potrebbero danneggiare la cellula, come le proteasi o le nucleasi. Un
importante esempio è l'inibitore della ribonucleasi, che si lega a questo enzima in uno dei più stretti legami
proteina-proteina conosciuti.[1] Inibitori enzimatici naturali possono anche essere veleni ed essere usati come difesa
contro i predatori o come arma per uccidere una preda.
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Inibitore enzimatico
69
Inibitori reversibili
Sono molecole che si legano non covalentemente all'enzima motivo per cui dopo la loro rimozione l'enzima torna ad
essere funzionante.
Tipi di inibitori reversibili
Gli inibitori reversibili si legano agli enzimi
con interazioni non covalenti, come il
legame idrogeno, l'interazione idrofobica ed
il legame ionico. I legami multipli deboli tra
l'inibitore ed il sito attivo si combinano per
produrre legami forti e specifici. Al
contrario dei substrati e degli inibitori
irreversibili,
gli
inibitori
reversibili
generalmente non danno luogo a reazioni
chimiche quando si legano all'enzima e
possono essere facilmente rimossi per
diluizione o dialisi.
Vi sono tre tipi di inibitori enzimatici
reversibili, classificati in base all'effetto
causato dalle variazioni in concentrazione
del substrato enzimatico sull'inibitore.[2]
In alto l'enzima svolge la sua normale funzione; in basso è illustrata l'inibizione
competitiva: substrato ed inibitore competono per il sito attivo.
• Nell'inibizione competitiva, l'inibitore
compete con il substrato nel legarsi al
sito attivo dell'enzima. L'effetto è quello
di diminuire la concentrazione di enzima
libero disponibile a reagire: diminuisce
l'affinità dell'enzima con il substrato, ma
non varia la velocità massima che può
essere raggiunta. Gli inibitori competitivi
spesso sono strutturalmente simili al vero
substrato.
• Nell'inibizione acompetitiva, l'inibitore si
può legare solo al complesso
enzima-substrato. Il legame dell'inibitore
influenza il legame del substrato, e
viceversa. Questo tipo di inibizione può
essere ridotta, ma non bloccata,
In alto l'enzima svolge la sua normale funzione; in basso è illustrata l'inibizione
aumentando la concentrazione del
mista: l'inibitore ha un sito di legame diverso dal sito attivo. Che si leghi prima il
substrato. Nonostante sia possibile per gli
substrato o l'inibitore, l'effetto è comunque un mancato legame enzima-substrato.
inibitori acompetitivi legarsi al sito
attivo, questo tipo di inibizione risulta
generalmente dall'effetto allosterico, in cui l'inibitore si lega ad un sito differente dell'enzima e produce una
modificazione allosterica dell'enzima. La modificazione di conformazione (ad esempio della struttura terziaria o
forma tridimensionale) dell'enzima riduce così l'affinità del substrato col sito attivo e l'efficienza dell'enzima.
Inibitore enzimatico
• L'inibizione non competitiva e l'inibizione mista sono inibizioni dell'enzima da parte di molecole capaci di legare
sia l'enzima libero che il complesso enzima-substrato. A seconda delle costanti di inibizione Ki e Ki', che
identificano i due equilibri dell'inibitore "I" con l'enzima libero Ki e il complesso Ki', l'effetto inibitore ha una
magnitudo differente. Se l'inibitore ha affinità identica sia per il complesso che per l'enzima l'effetto è quello di
modificare sia la velocità di reazione che la quantità di substrato necessaria a saturare l'enzima (da reazione di
primo ordine a reazione di ordine zero). Se l'affinità dell'inibitore è maggiore per il complesso enzima substrato
rispetto all'enzima libero l'effetto è quello di agire in maniera significativa sul rilascio del prodotto di catalisi:
diminuisce perciò l'efficienza dell'enzima. Se invece l'affinità dell'inibitore è maggiore per l'enzima libero,
l'effetto è quello di ridurre l'enzima libero a disposizione della catalisi (come per la competitiva).
Descrizione quantitativa dell'inibizione reversibile
L'inibizione reversibile può essere descritta quantitativamente nei termini del legame dell'inibitore all'enzima ed al
complesso enzima-substrato, e dei suoi effetti sulle costanti cinetiche dell'enzima. Nel classico schema di
Michaelis–Menten, un enzima (E) si lega al suo substrato (S) per formare il complesso enzima-substrato ES. Durante
la catalisi, questo complesso si rompe per rilasciare il prodotto P e l'enzima libero. L'inibitore (I) si può legare a E o a
ES con costanti di dissociazione Ki o Ki', rispettivamente.
• Gli inibitori competitivi si possono legare a E, ma non a ES. L'inibizione competitiva aumenta Km (l'inibitore
interferisce con il legame del substrato), ma non influisce su Vmax (l'inibitore non ostacola la catalisi in ES perché
non si può legare a ES).
• Gli inibitori non-competitivi hanno eguale affinità per E ed ES (Ki = Ki'). L'inibizione non-competitiva non
modifica Km (non influisce sul legame col substrato) ma diminuisce Vmax (il legame dell'inibitore ostacola la
catalisi).
• Gli inibitori misti si legano sia a E che a ES, ma le loro affinità per queste due forme dell'enzima sono diverse (Ki
≠ Ki'). Pertanto, gli inibitori misti interferiscono con il legame del substrato (aumentano Km) ed ostacolano la
catalisi nel complesso ES (diminuiscono Vmax).
Se un enzima ha vari substrati, gli inibitori possono mostrare tipi differenti di inibizione a seconda del substrato in
questione. Ciò risulta dal sito attivo contenente due diversi siti di legame, uno per ciascun substrato. Per esempio, un
inibitore può competere con il substrato A per il primo sito di legame, ma essere un inibitore non competitivo
rispetto al substrato B nel secondo sito di legame.[3]
70
Inibitore enzimatico
Misurazione delle costanti di dissociazione di un inibitore reversibile
Come già discusso, un inibitore enzimatico è caratterizzato dalle due
costanti di dissociazione: Ki (relativa a E) e Ki' (relativa al complesso ES).
La costante Ki può essere misurata direttamente con vari metodi; un metodo
estremamente accurato è la calorimetria isotermica di titolazione, in cui
viene misurata la concentrazione dell'inibitore in una soluzione con enzimi
ed il calore rilasciato o assorbito.[4] La costante Ki', invece, è difficile da
misurare direttamente, dal momento che il complesso enzima-substrato ha
vita breve ed è suscettibile alla reazione chimica che forma il prodotto.
Pertanto, la Ki' è talvolta misurata indirettamente, osservando l'attività
enzimatica su vari substrati e le concentrazioni dell'inibitore, e interpolando
i dati[5] in una equazione di Michaelis–Menten modificata:
ove i fattori modificanti α e α' sono definiti dalla concentrazione
dell'inibitore e dalle due costanti di dissociazione
Così, in presenza dell'inibitore, l'effettiva Km e Vmax dell'enzima divengono
rispettivamente (α/α')Km e (1/α')Vmax. In ogni caso, l'equazione di
diagrammi di Lineweaver–Burk dei
Michaelis-Menten modificata assume che il legame dell'inibitore con
differenti tipi di inibitori enzimatici
l'enzima abbia raggiunto l'equilibrio, il che può essere un processo molto
reversibili. La freccia mostra l'effetto della
lento per gli inibitori con costanti di dissociazione molto basse
crescente concentrazione dell'inibitore.
(sub-nanomolari). In questi casi, è più pratico trattare l'inibitore come un
inibitore irreversibile (come descritto in seguito); tuttavia, può essere ancora possibile stimare cineticamente Ki' se Ki
è misurabile indipendentemente.
Gli effetti dei diversi tipi di inibitori enzimatici reversibili sull'attività enzimatica possono essere visualizzati con
rappresentazioni grafiche dell'equazione di Michaelis–Menten, come il Lineweaver–Burk ed il diagramma di
Eadie-Hofstee. Per esempio, nel diagramma Lineweaver-Burk le linee dell'inibizione competitiva si intersecano
sull'asse y, mostrando che tali inibitori non influenzano Vmax. Similmente, le linee dell'inibizione non-competitiva si
intersecano sull'asse x, in quanto tali inibitori non influenzano Km. Tuttavia, può essere difficile stimare Ki e Ki'
accuratamente da tali grafici[6], motivo per cui si è soliti stimare queste costanti facendo uso della più affidabile
regressione non lineare descritta in precedenza.
71
Inibitore enzimatico
72
Casi particolari
• Il meccanismo dell'inibizione parzialmente competitiva è simile a quello della non-competitiva, eccetto per il fatto
che il complesso EIS ha un'attività catalitica più bassa rispetto a quella del complesso ES. Questa inibizione
mostra tipicamente una minore Vmax, ma un valore invariato di Km.[7]
• L'inibizione incompetitiva avviene quando l'inibitore si lega solo al complesso enzima-substrato, non all'enzima
libero; il complesso EIS è cataliticamente inattivo. Tale modalità di inibizione è rara e causa una diminuzione
tanto della Vmax quanto della Km.[7]
• L'inibizione del substrato o del prodotto si ha quando il substrato o il prodotto di una reazione catalizzata da un
enzima inibisce l'attività enzimatica. Tale inibizione può seguire gli schemi di quella competitiva, non competitiva
o mista. Nell'inibizione del substrato vi è una progressiva diminuzione di attività per elevate concentrazioni di
substrato. Ciò può indicare l'esistenza di due siti di legame nell'enzima. A bassa concentrazione di substrato, è
occupato il sito ad alta affinità e la normale cinetica enzimatica è rispettata. Tuttavia, a concentrazioni maggiori,
viene occupato anche il secondo sito (inibitorio).[8] L'inibizione del prodotto è spesso una caratteristica regolatoria
del metabolismo e può essere una forma di feedback negativo.
• L'inibizione slow-tight avviene quando il complesso EI iniziale va incontro (tramite isomerizzazione) ad un
complesso più stretto EI* (il processo di inibizione complessivo è reversibile). Questo evento si manifesta tanto
lentamente quanto aumenta l'inibizione enzimatica. In tali condizioni, la tradizionale cinetica di
Michaelis–Menten dà un valore errato di Ki, che dipende dal tempo. Il valore reale di Ki si può ottenere attraverso
un'analisi più complessa sul rapporto delle costanti on (kon) e off (koff) dell'associazione inibitoria.
Esempi di inibitori reversibili
Dal momento che gli enzimi hanno lo scopo di legarsi saldamente ai loro
substrati, e la maggior parte degli inibitori reversibili si legano al sito
attivo dell'enzima, non sorprende come taluni di questi inibitori siano
molto simili per struttura al substrato dell'enzima bersaglio. Un esempio
di questa mimetica è costituito dagli inibitori delle proteasi, come il
ritonavir, una classe di farmaci antiretrovirali usati ad esempio per curare
le infezioni da HIV.[9] Gli inibitori sono spesso in grado di imitare lo
stato di transizione, l'intermedio di una reazione catalizzata dall'enzima.
Questo assicura che l'inibitore sfrutti l'effetto stabilizzante dello stato di
transizione dell'enzima, dando luogo ad una migliore affinità di legame
(Ki inferiore alla Km) rispetto al substrato. Un esempio di tale inibitore
dello stato di transizione è l'antivirale oseltamivir, che imita la natura
planare dell'anello dello ione ossonio nella reazione dell'enzima virale
neuraminidasi.
La struttura del ritonavir, un esempio di
inibitore delle proteasi, è quella di un
tetrapeptide. Il farmaco somiglia alla regione
proteica che costituisce il substrato della
proteasi dell'HIV. Tale molecola, dunque,
compete con questo substrato per il sito attivo
dell'enzima
Inibitore enzimatico
73
Tuttavia, non tutti gli inibitori reversibili mimano le strutture dei
substrati. La struttura di un altro inibitore della proteasi dell'HIV
come il tipranavir, ad esempio, non è di tipo peptidico e non ha
evidenti similitudini strutturali con il substrato. Questi inibitori
non-peptidici possono essere più stabili di quelli contenenti legami
peptidici, in quanto non costituiscono substrato per le peptidasi e
sono più difficilmente degradati nella cellula.
Nell'ideazione dei farmaci occorre anche una valutazione attenta
delle concentrazioni necessarie per indurre una competizione
efficace. Ad esempio, è possibile inibire le protein chinasi
attraverso molecole con struttura chimica simile all'ATP (uno dei
Un esempio di inibitore non peptidico della proteasi è
costituito dal tipranavir
substrati di tali enzimi), ma tali farmaci dovranno competere con
le alte concentrazioni di ATP della cellula. In alcuni casi, dunque,
si preferisce mettere a punto inibitori delle protein chinasi che competono per il loro sito di legame con i relativi
substrati proteici, presenti nelle cellule a concentrazioni molto inferiori alla concentrazione standard di ATP. Basterà
dunque una concentrazione molto minore di questo secondo tipo di inibitore per ottenere un risultato simile a quello
indotto dal primo tipo di farmaco.[10]
Inibitori irreversibili
Tipi di inibizione irreversibile
Gli inibitori irreversibili solitamente modificano covalentemente
l'enzima, e l'inibizione non può essere pertanto successivamente
neutralizzata. Spesso tali inibitori contengono gruppi funzionali
reattivi come aldeidi, aloalcani o alcheni. Questi gruppi elettrofili
reagiscono con le catene laterali degli amminoacidi addotti
covalenti. I residui modificati sono quelli con catene laterali
contenenti gruppi nucleofili come l'ossidrile o il sulfidrile (ad
esempio la serina, bersagliabile dal diisopropilfluorofosfato, la
cisteina, la treonina o la tirosina).[11]
Il concetto di inibizione irreversibile è in ogni caso diverso da
quello di inattivazione irreversibile dell'enzima. Gli inibitori
irreversibili sono solitamente specifici per una classe di enzimi e
non inattivano tutte le proteine; non funzionano distruggendo la
struttura proteica ma alterando specificamente il sito attivo del loro
bersaglio. Gli inibitori irreversibili, dunque, non sono correlati a
fenomeni legati a livelli estremi di pH o di temperatura, che
causano solitamente la denaturazione aspecifica di tutte le strutture
proteiche presenti in soluzione, oppure all'idrolisi aspecifica
mediata dall'aggiunta nel mezzo di acido cloridrico concentrato
caldo, che genera una rottura dei legami peptidici ed un rilascio di
amminoacidi liberi.[12]
Reazione dell'inibitore irreversibile
diisopropilfluorofosfato (DFP) con la serina del sito
attivo di una proteasi
Inibitore enzimatico
74
Analisi dell'inibizione irreversibile
Gli inibitori irreversibili formano un complesso
reversibile non-covalente con l'enzima (EI o ESI), che
reagisce per produrre un complesso covalentemente
modificato e definito EI* o dead-end (senza uscita). Il
rapporto a cui si forma EI* è detto rapporto di
inattivazione (o kinact). Dal momento che la formazione
di EI può competere con ES, il legame degli inibitori
irreversibili può essere evitato mediante competizione
con un substrato o con un secondo inibitore reversibile.
I meccanismi di legame e di inattivazione di questo tipo
di reazione possono essere investigati incubando
l'enzima e l'inibitore e misurando la quantità di attività
Schema cinetico degli inibitori irreversibili.
rimanente al trascorrere del tempo. L'attività decresce
in maniera dipendente dal tempo, di solito seguendo il
decadimento esponenziale. Riportando questi dati in una equazione di rapporto si ottiene il tasso di inattivazione a
quella concentrazione dell'inibitore. Questa operazione è ripetuta a diverse concentrazioni dell'inibitore. Se un
complesso reversibile EI è coinvolto, il tasso di inattivazione sarà saturabile e, disegnando la curva, si otterrà la kinact
e la Ki.[13]
Un altro metodo largamente usato in queste analisi è la spettrometria di massa. In questo caso un'accurata misura
della massa dell'enzima originario non modificato e dell'enzima inattivato permette di calcolare la crescita in massa
causata dalla reazione con l'inibitore e mostra la stechiometria della reazione. Questo è indagabile usando uno
spettrometro di massa MALDI-TOF. Una tecnica complementare, l'impronta digitale proteica, implica la digetione
della proteina originaria e modificata mediante una proteasi come la tripsina. Ciò produce un insieme di peptidi che
possono essere analizzati con uno spettrometro di massa. Il peptide la cui massa cambia dopo la reazione con
l'inibitore è quello che contiene il sito di modificazione.
Casi particolari
Spesso alcuni inibitori reversibili sono
in grado di legarsi così strettamente al
loro bersaglio da apparire come
irreversibili. Questi inibitori mostrano
costanti cinetiche simili a quelle degli
inibitori irreversibili covalenti. In
questi casi, alcuni di questi inibitori si
legano rapidamente all'enzima nel
complesso a bassa affinità EI e questo
Meccanismo chimico dell'inibizione irreversibile dell'ornitina decarbossilasi da parte
[14]
successivamente va incontro ad un più
dell'DFMO. Il Piridossale 5'-fosfato (Py) e l'enzima (E) non sono mostrati. Tratto da
lento
riassestamento
verso
un
complesso EI* legato molto saldamente. Tale comportamento cinetico è definito legame lento[15] Questo lento
assestamento dopo il legame provoca spesso una modifica di conformazione, legata al fatto che l'enzima si stringe
attorno alla molecola dell'inibitore. Esempi di inibitori a legame lento sono costituiti da importanti farmaci, come il
metotrexato[16], l'allopurinolo[17] e la forma attivata dell'aciclovir.[18]
Inibitore enzimatico
75
Esempi di inibitori irreversibili
Il diisopropilfluorofosfato (DFP) è un inibitore
delle proteasi, che idrolizza il legame
fosforo-fluoro lasciando il fosfato legato alla serina
presente nel sito attivo, inibendo in modo
irreversibile l'enzima.[20] In modo analogo, il DFP
reagisce
anche
col
sito
attivo
dell'acetilcolinesterasi nelle sinapsi dei neuroni, ed
è quindi anche una potente neurotossina, la cui
dose letale è fissata a meno di 100 mg.[21]
Tripanotione reduttasi con la molecola di inibitore più in basso legata
irreversibilmente e quella più in alto reversibilmente. Creata da PDB
[19]
1GXF
.
Un altro esempio di inibitore irreversibile delle
proteasi è la iodoacetamide, che si lega ad un
residuo di cisteina dell'enzima. Lo zolfo contenuto
nell'aminoacido reagisce con tale inibitore, si
forma un tioetere liberando acido ioidrico (HI).
L'enzima quindi perde la sua attività.
L'inibizione suicida è un tipo inusuale di inibizione irreversibile che si ha quando l'enzima trasforma l'inibitore in
una forma reattiva nel suo sito attivo. Un esempio è l'α-difluorometilornitina (o DFMO), inibitore della biosintesi
delle poliammine ed analogo dell'amminoacido ornitina, usato per trattare la tripanosomiasi africana (febbre del
sonno). L'ornitina decarbossilasi può catalizzare la decarbossilazione del DFMO invece che dell'ornitina.
Conseguenza di tale reazione è l'eliminazione di un atomo di fluoro, che converte questo intermedio catalitico
nell'immina coniugata, una specie altamente elettrofila, che reagisce con un residuo di cisteina o di lisina nel sito
attivo per inibire irreversibilmente l'enzima.[14]
Dal momento che l'inibizione irreversibile dà spesso luogo all'iniziale formazione di un complesso non-covalente EI,
è talvolta possibile per un inibitore legarsi ad un enzima in più di un modo. Per esempio, un inibitore chiamato
mostarda di chinacrina può inibire in due modi diversi la tripanotione reduttasi del protozoo Trypanosoma cruzi. In
un caso può legarsi reversibilmente, nell'altro covalentemente, dal momento che reagisce con un residuo
amminoacidico attraverso la sua azoiprite.[22]
Scoperta e progettazione di inibitori
I nuovi farmaci sono il prodotto di una lunga fase
di sviluppo, il cui primo passaggio è spesso la
scoperta di un nuovo inibitore enzimatico. In
passato il solo modo per scoprire questi nuovi
inibitori era l'approccio per "prova ed errore": si
sottoponeva un enzima bersaglio all'azione di una
gran varietà di composti sperando di scoprire
qualche utile interazione inibitoria. Questo metodo
è ancora utilizzato con successo ed è stato ampliato
dall'approccio della chimica combinatoria, che
produce rapidamente un gran numero di nuovi
composti, e dalle tecnologie HTS, che permettono
di sfruttare queste ampie librerie di composti
chimici come inibitori utili.
Robots usati per un HTS della biblioteca chimica per scoprire nuovi
inibitori enzimatici
Inibitore enzimatico
76
Recentemente, si sta applicando un approccio alternativo: la progettazione farmacologica razionale, che utilizza la
struttura tridimensionale del sito attivo enzimatico per individuare le molecole che possono agire da inibitori. Queste
ipotesi sono poi verificate e uno dei composti testati diventerà il nuovo inibitore. Questo nuovo inibitore viene poi
usato per ottenere un complesso EI, che sarà quindi analizzato per determinare, e successivamente ottimizzare, il tipo
di legame che si instaura tra la molecola e l'enzima all'interno del sito attivo. Questo ciclo di prove e miglioramenti
può essere ripetuto fino a produrre un inibitore sufficientemente potente (con una costante di dissociazione di <10-9
M[23]).
Usi degli inibitori
Gli inibitori enzimatici si trovano in natura e sono anche sintetizzati artificialmente per usi nel campo della
farmacologia e della biochimica. I veleni naturali sono anch'essi spesso degli inibitori enzimatici sviluppati per
difendere piante e animali dai predatori. Queste tossine naturali includono alcuni dei composti più velenosi ad oggi
conosciuti. Gli inibitori artificiali sono spesso usati come farmaci, ma possono anche essere insetticidi come il
malatione, erbicidi come il glifosato, o disinfettanti come il triclosan.
Farmacologia
Struttura del sildenafil (Viagra).
[[File:Methotrexate and folic acid compared.png
Struttura di un complesso tra la penicillina G e la Streptomyces
[24]
transpeptidasi. Generata da PDB 1PWC
.
300pxIl coenzima acido folico (a sinistra) comparato al farmaco
anti-cancro metotrexato (a destra).
Inibitore enzimatico
L'uso più comune degli inibitori enzimatici è rappresentato dalla sintesi di farmaci. Molti di essi, infatti, hanno come
bersaglio enzimi umani e possono correggere alcune situazioni patologiche. Tuttavia, non tutti i farmaci sono
inibitori enzimatici. Alcuni, come i farmaci antiepilettici, alterano l'attività enzimatica causando una maggiore o
minore produzione dell'enzima. Questi effetti sono chiamati induzione e inibizione enzimatica e derivano da
alterazioni dell'espressione genica, che non sono legate all'inibizione enzimatica finora descritta. Altri farmaci
interagiscono con bersagli cellulari diversi dagli enzimi, come i canali ionici o i recettori di membrana.
Un esempio interessante di inibitore enzimatico medicinale è il sildenafil, principio attivo del Viagra, (figura a
destra) un trattamento comune per le disfunzioni erettili maschili. Questo composto è un potente inibitore della
fosfodiesterasi-5, l'enzima che degrada la molecola guanosina monofosfato ciclica.[25] Questa molecola, che svolge
funzione di segnale, provoca il rilassamento della muscolatura liscia e consente al sangue di affluire all'interno del
corpo cavernoso, causando l'erezione. Il farmaco, abbassando l'attività dell'enzima che blocca il segnale, mantiene
quest'ultimo per un più lungo periodo di tempo.
Un altro esempio della somiglianza strutturale di alcuni inibitori ai substrati degli enzimi bersaglio è rappresentato
nella figura, dove si confronta il farmaco metotrexate con l'acido folico. L'acido folico è la forma ossidata del
substrato del diidrofolato reduttasi, un enzima fortemente inibito dal methotrexate. Il Methotrexate blocca l'azione
del diidrofolato reduttasi fermando quindi la biosintesi della timidina. Questo blocco della biosintesi nucleotidica è
selettivamente tossica per le cellule che crescono rapidamente, e per questo motivo il methotrexate è spesso usato
nella chemioterapia.[26]
Gli inibitori usati in farmacologia servono anche ad inibire gli enzimi necessari alla sopravvivenza dei
microorganismi patogeni. Ad esempio, i batteri sono protetti da una spessa parete cellulare formata da
peptidoglicani. Molti antibiotici come la penicillina e la vancomicina inibiscono gli enzimi che li producono.[27]
Questo provoca una perdita di resistenza della parete e la sua rottura. Nella figura, una molecola di penicillina si lega
al suo bersaglio, la transpeptidasi del batterio Streptomyces R61.
La ricerca sui farmaci è facilitata quando un enzima essenziale per la sopravvivenza di un patogeno è assente, o
presente in una forma molto diversa, nell'uomo. Nell'esempio sopra, gli esseri umani non producono peptidoglicani,
e quindi gli inibitori di questo processo sono selettivamente tossici per i batteri. La tossicità selettiva degli antibiotici
può anche sfruttare le differenze nella struttura dei ribosomi batterici, o quelle relative alla biosintesi degli acidi
grassi. Il concetto di tossicità selettiva risale agli studi pioneristici di chemioterapia condotti dal medico tedesco Paul
Ehrlich nei primi anni del Novecento.
Controllo metabolico
Gli inibitori enzimatici sono molto importanti anche nel controllo metabolico. Molti pathways metabolici nella
cellula sono inibiti da metaboliti che controllano l'attività enzimatica attraverso la regolazione allosterica o
l'inibizione del substrato. Un esempio è costituito dal pathway glicolitico. Questo pathway catabolico consuma
glucosio e produce ATP, NADH e piruvato. Un passaggio chiave nella regolazione della glicolisi è la reazione
iniziale catalizzata dalla fosfofruttochinasi-1 (PFK1). Quando i livelli di ATP crescono, l'ATP si lega ad un sito
allosterico nella PFK1 per abbassare la velocità di reazione dell'enzima; la glicolisi è inibita e la produzione di ATP
scende. Questo controllo basato su un feedback negativo aiuta a mantenere una concentrazione stabile di ATP nella
cellula. Tuttavia, i pathways metabolici non sono regolati solo attraverso l'inibizione in quanto l'attivazione è
ugualmente importante. Rispetto alla PFK1, il fruttosio 2,6-difosfato e l'ADP sono esempi di attivatori allosterici.[28]
L'inibizione fisiologica degli enzimi può anche essere prodotta da inibitori proteici specifici. Questo meccanismo
avviene nel pancreas, che sintetizza molti precursori di enzimi digestivi noti come zimogeni. Molti di essi sono
attivati dalla proteasi tripsina, perciò è importante inibire l'attività della tripsina nel pancreas per prevenire
l'"autodistruzione" dell'organo. Un modo in cui l'attività della tripsina viene controllata è la produzione di uno
specifico e potente inibitore nel pancreas. Questo inibitore si lega saldamente alla tripsina, bloccando l'attività che
potrebbe danneggiare seriamente l'organo.[29] Nonostante l'inibitore della tripsina sia una proteina, essa evita la sua
77
Inibitore enzimatico
idrolisi, come substrato dalla proteasi, escludendo l'acqua dal sito attivo della tripsina e destabilizzando lo stato di
transizione.[30] Altri esempi di inibitori enzimatici fisiologici proteici includono l'inibitore barstar della ribonucleasi
batterica barnasi[31] e gli inibitori delle protein fosfatasi.[32]
Inibitori dell'acetilcolinesterasi
L'Acetilcolinesterasi (AChE) è un enzima presente in tutti gli animali, dagli insetti all'uomo. È essenziale per la
funzionalità delle cellule nervose per la sua capacità di scindere il neurotrasmettitore acetilcolina nei suoi costituenti,
l'acetato e la colina. Questo meccanismo è pressoché unico tra i neurotrasmettitori dal momento che la maggior
parte, tra cui la serotonina, la dopamina, e la norepinefrina, non è scomposta, ma assorbita dalla membrana
postisinaptica. Un gran numero di inibitori dell'AChE sono utilizzati sia in medicina che in agricultura. Inibitori
competitivi reversibili, come l'edrofonio, la fisostigmina, e la neostigmina, sono usati nel trattamento della Miastenia
gravis ed in anestesia. I pesticidi al carbamato sono altri esempi di inibitori reversibili della AChE. Gli insetticidi
organofosfati come il malatione, il paratione, ed il clorpirifos inibiscono irreversibilmente l'acetilcolinesterasi.
Veleni naturali
Animali e piante, nel corso della loro
evoluzione, hanno sviluppato la capacità di
sintetizzare un'ampia gamma di sostanze
velenose, tra cui metaboliti secondari,
peptidi e proteine che possono agire quali
inibitori. Le tossine naturali sono di solito
piccole molecole organiche e sono così varie
e diffuse che, probabilmente, vi sono
inibitori naturali per la maggior parte dei
processi metabolici.[33] I processi metabolici
cui si rivolgono i veleni naturali non
Per scoraggiare i predatori di semi, le lenticchie contengono inibitori della tripsina
interessano soltanto gli enzimi nei pathways
che interferiscono con la digestione.
metabolici, ma possono anche includere
l'inibizione di recettori, proteine canale o
strutturali nella cellula. Per esempio, il paclitaxel (taxolo), una molecola organica presente nel Taxus, si lega
strettamente ai dimeri di tubulina e inibisce la loro unione nei microtubuli del citoscheletro.[34]
Molti veleni naturali agiscono come neurotossine che provocano paralisi e possono quindi condurre alla morte. Tali
veleni sono usati sia come mezzi di difesa contro i predatori, sia per cacciare e catturare le prede. Alcuni di questi
inibitori naturali, nonostante i loro attributi tossici, a dosi più basse sono utili per usi terapeutici.[35] Un esempio di
neurotossina sono i glucoalcaloidi, presenti nella famiglia delle Solanaceae (patate, pomodori e melanzane), che
sono inibitori dell'acetilcolinesterasi. L'inibizione di questo enzima causa una produzione incontrollata di
acetilcolina, la paralisi muscolare e quindi la morte. La neurotossicità può anche derivare dall'inibizione dei recettori;
per esempio, l'atropina prodotta dall' Atropa belladonna funziona come un antagonista competitivo dei recettori
dell'acetilcolina.[36]
Nonostante molte tossine naturali siano metaboliti secondari, questi veleni includono anche peptidi e proteine. Un
esempio di peptide tossico è l'α-amanitina, presente nell'amanita falloide e in specie correlate. Si tratta di un potente
inibitore enzimatico, che impedisce la trascrizione del DNA da parte dell'RNA polimerasi II.[37] La tossina
microcistina, presente nelle alghe, è anch'essa un peptide ed è un inibitore della protein fosfatasi.[38] Questa tossina
può contaminare le fonti d'acqua dopo la fioritura algale ed è un noto agente cancerogeno che può anche causare
emorragie epatiche acute e la morte, se assunta a dosi elevate.[39]
78
Inibitore enzimatico
Anche le proteine possono essere veleni naturali, come l'inibitore della tripsina che si trova in alcune lenticchie,
come mostrato nella figura sopra. Una classe meno comune di tossine è rappresentata dagli enzimi tossici, che
agiscono come inibitori irreversibili dei loro bersagli e modificano chimicamente i loro enzimi substrato. Un
esempio è dato dalla ricina, una potentissima tossina proteica rilevata nei chicchi del Ricinus communis. Questo
enizima è una glicosidasi che inibisce i ribosomi. Poiché la ricina è un inibitore catalitico irreversibile, una sola
molecola di questo composto è in grado di uccidere una cellula.[40]
Note
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79
Inibitore enzimatico
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Voci correlate
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Inibizione enzimatica retroattiva da prodotto finale
Inibitore reversibile
Inibitore irreversibile
Inibitore competitivo
Inibitore non competitivo
Inibitore acompetitivo
Inibitore di tipo misto
Inibitore suicida
Enzima
Catalisi enzimatica
Allosteria
Regolazione allosterica
Chimica farmaceutica
Farmacoforo
Collegamenti esterni
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html), dispensa di Peter Birch della University of Paisley, con animazioni
• (EN) Symbolism and Terminology in Enzyme Kinetics (http://www.chem.qmul.ac.uk/iubmb/kinetics/ek4t6.
html#p6), consigli sulla terminologia di inibizione enzimatica ad opera del Nomenclature Committee of the
International Union of Biochemistry (NC-IUB)
• (EN) PubChem from NCBI (http://pubchem.ncbi.nlm.nih.gov/), database di farmaci ed inibitori enzimatici
• (EN) BRENDA (http://www.brenda.uni-koeln.de/), database degli enzimi con i relativi inibitori noti
80
Inibitore enzimatico
• (EN) Enzymes, Kinetics and Diagnostic Use (http://web.indstate.edu/thcme/mwking/enzyme-kinetics.html),
testo sulle applicazioni mediche degli inibitori enzimatici di Michael W. King della IU School of Medicine
Cinetica di Michaelis-Menten
La cinetica di Michaelis-Menten descrive
l'andamento della velocità di una reazione
catalizzata da enzimi, al variare della
concentrazione di substrato. Questo
modello, valido per enzimi non allosterici,
fu proposto da Leonor Michaelis e Maud
Menten nel 1913. Inibitori ed induttori
enzimatici sono sostanze in grado di alterare
la cinetica enzimatica.
Il
modello
cinetico
spiega
come
all'aumentare anche di poco della
concentrazione del substrato disponibile
all'enzima (di concentrazione supposta
costante), la velocità della reazione aumenti
vertiginosamente fino al raggiungimento di
un massimo, chiamato Vmax. In questo
punto la reazione ha raggiunto la velocità
massima possibile semplicemente perché è
presente tanto substrato da saturare tutto
Confronto tra cinetica enzimatica ordinaria, con inibizione competitiva e con
inibizione non competitiva.
l'enzima presente in soluzione, perciò
un'ulteriore aggiunta di substrato non
servirebbe in quanto non verrebbe più attaccato da enzimi. Ciò avviene perché non sono più presenti enzimi liberi,
ma solo forme enzimatiche legate al substrato.
L'enzima libero, indicato dalla lettera maiuscola E, reagisce dapprima con il substrato S dando il complesso
enzima-substrato, ES, il quale si scomporrà originando il prodotto della reazione enzimatica, P, e riformando
l'enzima libero.
Riassumendo schematicamente:
dove i termini indicati con k rappresentano le costanti specifiche di velocità di reazione. ES è un intermedio di
reazione il cui basso valore di energia di attivazione permette di fare avvenire una specifica reazione, catalizzata da
una specifica classe di enzimi, in modo molto favorevole (effetto catalitico). Quando ES in seguito al
raggiungimento di uno stato di equilibrio dinamico assume un valore di concentrazione che si mantiene costante nel
tempo, si dice che è stato raggiunto lo stato stazionario (steady state).[1]
81
Cinetica di Michaelis-Menten
Equazione di Michaelis-Menten
In condizioni stazionarie (allo stato stazionario) la velocità di formazione del complesso enzima-substrato eguaglia la
velocità di scomposizione:
dove le parentesi quadre indicano la concentrazione molare.
La concentrazione totale dell'enzima, [E]0 è eguale alla somma della concentrazione dell'enzima legato con la
concentrazione dell'enzima libero:
[E] + [ES] = [E]0
Ricavando la concentrazione dell'enzima libero, [E], da questa relazione e sostituendola nella espressione cinetica
dello stato stazionario, precedentemente descritta, si ricava
dalla quale, eseguendo i prodotti, è possibile ottenere la concentrazione del complesso enzima-substrato, [ES], in
funzione delle concentrazioni di substrato ed enzima totale:
La velocità di formazione del prodotto è data dalla quantità di complesso enzima-substrato che si scompone
nell'unità di tempo:
Dividendo numeratore e denominatore del rapporto, per il termine K1, si ottiene la nota equazione di
Michaelis-Menten:
dove KM è la costante di Michaelis-Menten e rappresenta un termine che ingloba altri valori costanti.
Inoltre, visto che una volta raggiunto lo stato stazionario il valore della velocità massima, Vmax, è dato dal prodotto
Vmax = k2 [E]0 l'equazione di Michaelis-Menten può anche essere espressa nella forma alternativa
L'equazione di Michaelis e Menten mette quindi in relazione la velocità di formazione del prodotto V con la
concentrazione del substrato [S].
Costante di Michaelis-Menten
La costante di Michaelis-Menten, KM, rappresenta la concentrazione di substrato necessaria affinché la reazione
abbia velocità pari a metà della velocità massima.
Essa equivale al seguente rapporto:
La costante di Michaelis-Menten è una grandezza caratteristica di ciascun enzima. Essa è un termine che indica
quantitativamente l'affinità tra un enzima e il suo substrato: più basso è il valore di KM e più bassa sarà la
concentrazione di substrato che permette di raggiungere un valore di velocità di reazione pari alla metà della velocità
massima, il che indica una alta affinità dell'enzima per il substrato. Viceversa un alto valore di KM indica che sarà
necessario più substrato per raggiungere una velocità di reazione pari alla metà della velocità massima, il che
significa una minore affinità dell'enzima per il substrato.
82
Cinetica di Michaelis-Menten
83
Interpretazione grafica
Riportando su un diagramma cartesiano l'andamento
della velocità di reazione, dedotta secondo la cinetica
di
Michaelis-Menten,
in
funzione
della
concentrazione di substrato si ottiene graficamente un
ramo di iperbole.
Risultano di
considerazioni:
ovvia
deduzione
le
seguenti
• a basse concentrazioni di substrato la reazione è
praticamente del primo ordine, crescendo la
velocità proporzionalmente ad [S] (essendo
l'enzima in forte eccesso rispetto al substrato, la
sua concentrazione può considerarsi costante);
• ad alte concentrazioni di substrato la velocità tende
Grafico che mostra l'andamento della velocità di reazione enzimatica in
ad assume un valore massimo che diviene costante.
funzione della concentrazione di substrato.
Ciò è dovuto alla completa saturazione dell'enzima
che annulla l'effetto dovuto all'ulteriore aumento della concentrazione di substrato (non è presente più enzima
disponibile). Una tale cinetica di reazione è di ordine zero e in questo caso risulta Vmax = K2 [E]0.
Riportando l'equazione di Michaelis-Menten nella forma
è possibile ottenere il grafico dei doppi reciproci (o di Lineweaver-Burk), rappresentando graficamente l'andamento
di 1/V in funzione di 1/[S]. In tal modo si ottiene una retta con intercetta sull'asse delle ascisse nel punto - 1/KM,
sull'asse delle ordinate nel punto 1/Vmax e con coefficiente angolare pari al rapporto KM/Vmax.
Quello dei doppi reciproci non è però l'unico grafico utile per interpretare la cinetica enzimatica, altri sono:
• grafico lineare diretto (o di Eisental-Cornish Bowden): V sulle ordinate e [S] sulle ascisse
• grafico di Eadie-Hofstee: V sulle ordinate e V/[S] sulle ascisse
• grafico di Hanes: V/[S] sulle ordinate e [S] sulle ascisse
Note
[1] L'approssimazione di stato stazionario fu introdotta da Briggs e Haldane nel 1925 alla legge cinetica di Michaelis-Menten propriamente detta
(1913), il che permette una trattazione più semplice del modello, così come quella da noi seguita.
Voci correlate
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Catalisi enzimatica
Costante di Michaelis-Menten
IC50
Inibitore enzimatico
Fonti e autori delle voci
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