Biochimica Panoramica generale PDF generato attraverso il toolkit opensource ''mwlib''. Per maggiori informazioni, vedi [[http://code.pediapress.com/ http://code.pediapress.com/]]. PDF generated at: Mon, 30 Jan 2012 07:57:41 UTC Indice Voci Proteine 1 Amminoacido 1 Proteina 9 Carboidrati 20 Glucidi 20 Glucosio 26 Glicogeno 30 Amido 31 Cellulosa 33 Lipidi 37 Lipidi 37 Trigliceride 40 Enzimi 42 Enzima 42 Catalisi enzimatica 59 Inibitore enzimatico 68 Cinetica di Michaelis-Menten 81 Note Fonti e autori delle voci 84 Fonti, licenze e autori delle immagini 85 Licenze della voce Licenza 87 1 Proteine Amminoacido In chimica gli amminoacidi sono molecole organiche che nella loro struttura recano sia il gruppo funzionale amminico (delle ammine) (-NH2) sia quello carbossilico (degli acidi carbossilici) (-COOH). In biochimica il termine amminoacidi si riferisce più spesso agli L-α-amminoacidi, di formula generica NH2CHRCOOH, cioè quelli il cui gruppo amminico ed il cui gruppo carbossilico sono legati allo stesso atomo di carbonio (chiamato appunto carbonio α) in configurazione L (con l'unica eccezione della glicina, achirale, in cui -R = -H). È a questo tipo di amminoacidi che il presente articolo è dedicato. Generalità Gli amminoacidi sono, tra le altre cose, gli elementi costitutivi (monomeri) delle proteine[1]. Per eliminazione di una molecola di acqua (reazione di condensazione con eliminazione), il gruppo amminico di un amminoacido può legarsi al gruppo carbossilico di un altro formando un legame ammidico (o peptidico) H2N-CH-COOH | R + H2N-CH-COOH | R' --> H2N-CH-CO-NH-CH-COOH | | R R' + H2O il legame covalente che unisce i due amminoacidi, evidenziato in rosso, prende anche il nome in biochimica di "legame peptidico" o "giunto peptidico". Si noti come l'unione di due o più amminoacidi lasci alle due estremità della catena altri due gruppi liberi, che possono ulteriormente reagire legandosi ad altri amminoacidi (reazioni di questo genere rientrano nella classe più generale delle polimerizzazioni per condensazione). Una catena di più amminoacidi legati attraverso legami peptidici prende il nome generico di polipeptide o di oligopeptide se il numero di amminoacidi coinvolti è limitato; uno o più polipeptidi, a volte accompagnati da altre strutture ausiliarie o ioni dette cofattori o gruppi prostetici, costituiscono una proteina. Gli amminoacidi che compaiono nelle proteine di tutti gli organismi viventi sono 20 (anche se evidenze recenti suggeriscono che questo numero potrebbe aumentare fino a 23, vedi più sotto) e sono sotto il controllo genetico, nel senso che l'informazione del tipo e della posizione di un amminoacido in una proteina è codificata nel DNA. Talvolta, nelle proteine compaiono anche altri amminoacidi, più rari, detti occasionali che vengono prodotti per modifiche chimiche successive alla biosintesi della proteina, che avviene sul ribosoma. In natura sono stati finora scoperti oltre 500 amminoacidi diversi che non fanno parte di proteine e svolgono ruoli biologici diversi. Alcuni sono stati addirittura trovati nelle meteoriti. Piante e batteri sono in grado di biosintetizzare amminoacidi particolari, che possono essere trovati, per esempio, negli antibiotici peptidici, ad esempio la nisina e l'alameticina. La lantionina è un solfuro dimero dell'alanina che si trova insieme ad amminoacidi insaturi nei lantibiotici, ovvero antibiotici peptidici di origine batterica. L'acido 1-amminociclopropan-1-carbossilico (ACC) è un semplice amminoacido ciclico disostituito che funge da intermedio nella sintesi dell'etilene, che per gli organismi vegetali è un ormone. Oltre a quelli coinvolti nella biosintesi delle proteine, vi sono amminoacidi che svolgono importanti funzioni biologiche quali la glicina, l'acido gamma-amminobutirrico (GABA, un γ amminoacido) e l'acido glutammico (tre neurotrasmettitori), la carnitina (coinvolta nel trasporto dei lipidi all'interno della cellula), l'ornitina, la citrullina, l'omocisteina, l'idrossiprolina, l'idrossilisina e la sarcosina. Amminoacido Dei venti amminoacidi proteici, alcuni sono definiti essenziali[1]. Un amminoacido è definito essenziale se all'interno dell'organismo non sono presenti le strutture (enzimi, proteine di sintesi) necessarie a biosintetizzarlo; è perciò necessario che questo amminoacido venga introdotto con la dieta. Gli amminoacidi essenziali sono la lisina, la leucina, l'isoleucina, la metionina, la fenilalanina, la treonina, il triptofano, la valina e l'istidina. Riguardo all'istidina, è importante precisarne l'essenzialità: l'istidina è un amminoacido essenziale durante tutta la vita, ma durante l'età adulta il fabbisogno non è molto rilevante, poiché l'organismo riesce a conservarla in modo particolarmente efficiente, riducendone la richiesta biologica. Nei bambini e nelle donne in gravidanza la richiesta di istidina invece è molto più alta perché questo meccanismo non si è ancora sviluppato. Esistono poi amminoacidi condizionatamente essenziali, ossia che devono essere assunti con la dieta solo in alcuni periodi della vita o a causa di alcune patologie. Di questo gruppo fanno parte l'arginina (è sintetizzata dall'organismo come derivato del glutammato prodotto nel Ciclo di Krebs, ma nelle donne in gravidanza e nei bambini la sua produzione non è sufficiente a coprire la richiesta biologia, perciò deve essere assunta con la dieta), la tirosina (è prodotta a partire dall'amminoacido essenziale fenilalanina, perciò è necessario assumere quest'ultima con la dieta per sintetizzarla; inoltre non sono infrequenti i casi di fenilchetonuria, una patologia che descrive l'incapacità dell'organismo di metabolizzare la fenilalanina, che perciò non è trasformata in tirosina e si accumula provocando gravi danni all'organismo), e la cisteina (per la sua sintesi, derivata dalla glicolisi, è necessario il contributo della metionina, un altro amminoacido essenziale, perché rende possibile la presenza del gruppo sulfidrilico della cisteina). Va infine precisato che il concetto di essenzialità varia a seconda degli organismi[2][3]. Una nota particolare meritano due amminoacidi, detti occasionali,: la selenocisteina, corrispondente ad un codone UGA che normalmente è un codone di interruzione[4], e la pirrolisina, presente negli enzimi di alcuni batteri metanogeni coinvolti nel processo di generazione del metano, corrispondente ad un codone UAG[5]. La scoperta del primo, nel 1986, venne interpretata dalla comunità scientifica come un fenomeno marginale e ristretto. Tuttavia, dopo la scoperta del secondo amminoacido extra, nel 2004, la comunità scientifica internazionale sta rivedendo le sue posizioni, e si è aperta la caccia ad altri amminoacidi extra. Amminoacidi di interesse commerciale o farmacologico • • • • Il glutammato sodico è usato nell'industria alimentare come esaltatore di sapidità La L-diidrossifenilalanina (L-DOPA) è un farmaco usato per il trattamento del morbo di Parkinson[6]. Il 5-idrossitriptofano (5-HTP) è stato usato per il trattamento dei sintomi neurologici associati alla fenilchetonuria. L'acido gamma-amminobutirrico o GABA ha diverse funzioni fisiologiche (neurotrasmissione, ipotensivo, effetti diuretici, effetto tranquillizzante, prevenzione del diabete). Utilizzato come farmaco ed integratore, è anche contenuto naturalmente in alcuni alimenti fermentati. 2 Amminoacido 3 Struttura generica degli amminoacidi Ogni amminoacido presenta uno specifico gruppo laterale (detto anche gruppo R). In funzione delle proprietà chimiche di tale gruppo, un amminoacido viene classificato come acido, basico, idrofilo (o polare) e idrofobo (o apolare). L'ingombro dei vari gruppi R che sporgono dalla catena polipetidica, l'affinità reciproca tra gruppi polari e tra gruppi apolari, l'attrazione tra gruppi basici e gruppi acidi sono alcune delle forze che concorrono a modellare la conformazione della proteina nello spazio (la struttura terziaria), conformazione dalla quale dipende in modo essenziale l'attività biologica della proteina stessa. Struttura generica di un amminoacido. R rappresenta un gruppo laterale specifico di ogni amminoacido. A causa della basicità del gruppo amminico e dell'acidità di quello carbossilico, gli amminoacidi isolati si presentano in forma di zwitterioni, cioè molecole che recano contemporaneamente le due cariche opposte, mantenendo la neutralità. COO| H-C-R | NH3+ l'attrazione tra le cariche opposte tra più zwitterioni spiega inoltre perché gli amminoacidi isolati sono polveri cristalline, a differenza delle ammine e degli acidi carbossilici aventi peso molecolare simile. Isomeria Con l'eccezione della glicina, per la quale R è un atomo di idrogeno, gli amminoacidi sono molecole chirali, di ciascuna delle quali esistono due enantiomeri. Come convenzionalmente avviene per le molecole di interesse biochimico, gli enantiomeri degli amminoacidi sono contrassegnati dalle lettere D o L a seconda che i sostituenti legati all'atomo di carbonio asimmetrico abbiano disposizione simile a quella della L-gliceraldeide o a quella della D-gliceraldeide. La stragrande maggioranza delle proteine sintetizzate da organismi viventi è formata da amminoacidi L. Qualche amminoacido D è stato trovato in proteine prodotte da organismi che vivono negli abissi marini e nelle pareti cellulari di alcuni batteri. Amminoacidi D sono presenti anche nel veleno di alcuni animali come molluschi (coni), oppure nelle secrezioni mucose di alcune specie anfibie. Amminoacido 4 Gli amminoacidi ordinari Strutture Queste sono le strutture dei 20 L-amminoacidi ordinari, cui vanno aggiunti i due codificati da codoni di stop, in particolari condizioni e solo in alcune specie: la pirrolisina e la selenocisteina. L'atomo di idrogeno legato all'atomo di carbonio stereogenico è sotto il piano di lettura, il gruppo amminico sporge dal piano di lettura verso l'osservatore (con l'eccezione della prolina, in cui a sporgere verso l'osservatore è il gruppo carbossilico). L'alchile R distintivo per ogni amminoacido appare alla sinistra del gruppo amminico. (+) Arginina (Arg, R) (+) Alanina (Ala, A) (—) Asparagina (Asn, N) (—) Cisteina (Cys, C) (+) Acido aspartico (Asp, D) Glicina (Gly, G) (+) Acido glutammico (Glu, E) (+) Glutammina (Gln, Q) (—) Istidina (His, H) (+) Isoleucina (Ile, I) (—) Leucina (Leu, L) (+) Lisina (Lys, K) Amminoacido 5 (—) Metionina (Met, M) (—) Fenilalanina (Phe, F) (—) Prolina (Pro, P) (—) Serina (Ser, S) (—) Treonina (Thr, T) (—) Triptofano (Trp, W) (+) Valina (Val, V) (—) Tirosina (Tyr, Y) Proprietà chimiche I 20 amminoacidi standard possono essere divisi in gruppi a seconda della carica e della polarità delle loro catene laterali: • Catene laterali neutre apolari: alanina, fenilalanina, glicina, isoleucina, leucina, metionina, prolina, triptofano, valina • Catene laterali neutre polari: asparagina, cisteina, glutammina, serina, tirosina, treonina • Catene laterali cariche acide: aspartato, glutammato • Catene laterali cariche basiche: arginina, istidina, lisina Gli amminoacidi standard hanno delle proprietà chimiche in comune: • sono tutti α-amminoacidi (ovvero, il gruppo amminico ed il gruppo carbossilico sono legati allo stesso atomo di carbonio) • a pH fisiologico si trovano in forma di zwitterioni • presentano attività ottica e si trovano tutti nella forma L Quella che segue è una tabella che riassume nell'ordine • • • • • il simbolo convenzionale ad una lettera il simbolo convenzionale a tre lettere il nome il tipo di gruppo laterale R il peso molecolare (PM) Amminoacido • • • • • 6 il punto isoelettrico (pI) la costante di dissociazione acida del gruppo carbossilico (pK1) la costante di dissociazione acida del sale del gruppo amminico (pK2) la costante di dissociazione acida del gruppo R (pKr), dove applicabile eventuali note per ognuno degli amminoacidi ordinari. Il simbolo convenzionale ad una lettera per un amminoacido generico è X; il simbolo a tre lettere asx indica indifferentemente sia l'asparagina che l'acido aspartico. simbolo nome tipo di R PM pI pK1 pK2 6,11 2,35 9,87 pKr A Ala Alanina idrofobo 89,09 C Cys Cisteina idrofilo 121,16 5,05 1,92 10,70 8,37 D Asp Acido aspartico acido 133,10 2,85 1,99 9,90 3,90 E Glu Acido glutammico acido 147,13 3,15 2,10 9,47 4,07 F Phe Fenilalanina idrofobo aromatico 165,19 5,49 2,20 9,31 G Gly Glicina idrofobo 75,07 6,06 2,35 9,78 H His Istidina basico 155,16 7,60 1,80 9,33 I Ile idrofobo 131,17 6,05 2,32 9,76 K Lys Lisina basico 146,19 9,60 2,16 9,06 L Leu Leucina idrofobo 131,17 6,01 2,33 9,74 M Met Metionina idrofobo 149,21 5,74 2,13 9,28 N Asn Asparagina idrofilo 132,12 5,41 2,14 8,72 P Pro Prolina idrofobo 115,13 6,30 1,95 10,64 Q Gln Glutammina idrofilo 146,15 5,65 2,17 9,13 R Arg Arginina basico 174,20 10,76 1,82 8,99 S Ser idrofilo 105,09 5,68 2,19 9,21 T Thr Treonina idrofilo 119,12 5,60 2,09 9,10 V Val Valina idrofobo 117,15 6,00 2,39 9,74 W Trp Triptofano idrofobo aromatico 204,23 5,89 2,46 9,41 Y Tyr Tirosina idrofobo aromatico 181,19 5,64 2,20 9,21 Isoleucina Serina note In ambiente ossidante, due molecole di cisteina si uniscono tramite un ponte disolfuro -S-S- dando luogo ad un dimero, la cistina, che invece è apolare idrofobo; questo fenomeno nelle proteine permette di unire tra loro punti distanti di una catena polipeptidica o catene polipeptidiche diverse. Avendo due atomi di idrogeno legati al carbonio α, la glicina non è chirale. 6,04 Sia il carbonio α che quello β sono stereogenici 10,54 È sempre il primo amminoacido con cui inizia una sintesi proteica; a volte viene rimosso dopo che la proteina è stata assemblata. Non potendo il legame Cα-N ruotare, questo amminoacido interferisce con il ripiegarsi delle strutture di tipo elica α o foglietto β. 12,48 Sia il carbonio α che quello β sono stereogenici 10,46 Amminoacido Reazione di protonazione/deprotonazione Dal valore del pKa degli ammino e carbossilo gruppi e alcuni gruppi R si possono ricavare informazioni sulla carica parziale nei differenti valori di pH; in una soluzione neutra: • • • • • • Il gruppo carbossilico è preferibilmente carico negativo. Il gruppo amminico è preferibilmente carico positivo. Il gruppo R dell'aspartato e glutammato è preferibilmente carico negativamente. Il gruppo R della lisina e arginina è a pH 7 preferibilmente positivamente caricato. Il gruppo R della tirosina è per lo più neutro. Il gruppo R dell'istidina ha il 10% di probabilità di essere carico positivo a pH 7, ma la probabilità aumenta fino al 50% in soluzioni a pH 6. Per questo l'istidina è molto sensibile alle variazioni di pH nell'intervallo fisiologico. 7 Amminoacido Sintesi degli amminoacidi Gli amminoacidi posso essere sintetizzati attraverso 3 vie: 1. amminazione degli acidi α-amminocarbossilici; 2. sintesi di Gabriel modificata; 3. sintesi di Strecker. Note [1] http:/ / www. med. unibs. it/ chimica/ P5-aminoacidi. pdf [2] Fürst P, Stehle P (giugno 2004). What are the essential elements needed for the determination of amino acid requirements in humans? (http:/ / jn. nutrition. org/ cgi/ pmidlookup?view=long& pmid=15173430). The Journal of Nutrition 134 (6 Suppl): 1558S–1565S. PMID 15173430. [3] Reeds PJ (luglio 2000). Dispensable and indispensable amino acids for humans (http:/ / jn. nutrition. org/ cgi/ pmidlookup?view=long& pmid=10867060). The Journal of Nutrition 130 (7): 1835S–40S. PMID 10867060. [4] Driscoll DM, Copeland PR (2003). Mechanism and regulation of selenoprotein synthesis. Annual Review of Nutrition 23 (1): 17–40. DOI: 10.1146/annurev.nutr.23.011702.073318 (http:/ / dx. doi. org/ 10. 1146/ annurev. nutr. 23. 011702. 073318). PMID 12524431. [5] Krzycki JA (dicembre 2005). The direct genetic encoding of pyrrolysine. Current Opinion in Microbiology 8 (6): 706–12. DOI: 10.1016/j.mib.2005.10.009 (http:/ / dx. doi. org/ 10. 1016/ j. mib. 2005. 10. 009). PMID 16256420. [6] Kostrzewa RM, Nowak P, Kostrzewa JP, Kostrzewa RA, Brus R (marzo 2005). Peculiarities of L: -DOPA treatment of Parkinson's disease. Amino Acids 28 (2): 157–64. DOI: 10.1007/s00726-005-0162-4 (http:/ / dx. doi. org/ 10. 1007/ s00726-005-0162-4). PMID 15750845. Voci correlate • • • • • • • • • Amminoacidi essenziali Amminoacidi glucogenetici Amminoacidi chetogenici Amminoacidi insulinogenici Gruppo funzionale Proteina Peptidi Proteosintesi Proteolisi Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Aminoacids 8 Proteina Proteina Le proteine, o protidi, sono tra i composti organici più complessi e sono i costituenti fondamentali di tutte le cellule animali e vegetali. Dal punto di vista chimico, una proteina è un polimero (e anche una macromolecola) di residui amminoacidici, uniti mediante un legame peptidico, spesso in associazione con altre molecole e/o ioni metallici (in questo caso si parla di proteina coniugata). Descrizione Le proteine hanno una struttura tridimensionale molto complessa a cui è associata sempre una funzione biologica. Da questa considerazione deriva uno dei dogmi fondamentali della biologia: "Struttura <--> Funzione", nel senso che ad ogni diversa organizzazione strutturale posseduta da una proteina (detta proteina nativa) è associata una specifica funzione biologica. Da questo punto di vista le proteine possono essere classificate in due grandi famiglie: le proteine globulari e le proteine a struttura estesa o fibrosa. Queste due organizzazioni riflettono le due grosse separazioni funzionali che le contraddistinguono: • Le proteine estese o fibrose svolgono funzioni generalmente biomeccaniche, esse rientrano nella costituzione delle unghie, dei peli, dello strato corneo dell'epidermide, opponendo una valida difesa contro il mondo esterno. • Al contrario, le proteine globulari sono coinvolte in specifiche e molteplici funzioni biologiche, spesso di notevole importanza per l'economia cellulare, sono proteine gli enzimi, i pigmenti respiratori, molti ormoni, le tossine, e gli anticorpi, responsabili della difesa immunitaria. Cibi particolarmente ricchi di proteine sono: carne , pesce, uova, latte e derivati. Altri cibi meno ricchi di proteine sono: cereali, lievito di birra e cereali (quest'ultimo ha poco valore biologico. Il valore biologico indica la quantità di proteine umane estraibili da 100g di proteine alimentari. Può essere: -Ad alto valore biologico: ci sono tutti gli aminoacidi essenziali (8) nella giusta quantità e ben disposti come quelli nella carne, pesce, uova, latte e derivati. -A medio valore biologico: contengono tutti gli aminoacidi essenziali (8) in maniera squilibrata ad esempio nei legumi -A basso valore biologico: manca uno o più aminoacidi essenziali I protidi I protidi sono uno dei componenti fondamentali delle cellule. La loro composizione in amminoacidi è variabile e sotto il controllo genetico per cui il loro peso molecolare può essere molto variabile e dipende dal numero e dal tipo di amminoacidi (monomeri) di cui è costituita la molecola (eteropolimero in cui il peso molecolare medio di un amminoacido è circa 115). Se la molecola è costituita da poche unità di amminoacidi (in genere non più di 15 ÷ 20) viene definita un oligopeptide. In genere, un oligopeptide non ha una ben definita conformazione in soluzione ma, essendo piuttosto flessibile, la cambia continuamente. Un polimero più lungo si dice polipeptide. Uno o più polipeptidi costituiscono una proteina. È bene chiarire subito che una proteina nella sua organizzazione nativa, e quindi funzionalmente attiva, può esistere solo in soluzioni saline diluite (molto simili, per composizione, a quelle esistenti nei sistemi acquosi cellulari). La sua struttura dipende esclusivamente dalle caratteristiche chimico-fisiche della soluzione acquosa in cui si trova (pH, presenza di ioni salini, temperatura, pressione, presenza di composti organici come urea, alcoli, ecc.). Il variare di questi parametri può determinare delle modifiche strutturali che possono alterare le proprietà funzionali, fino ad annullarle (proteina denaturata). Proteine che contengono lo stesso tipo e numero di amminoacidi possono differire dall'ordine in cui questi sono situati nella struttura della molecola. Tale aspetto è molto importante perché una minima variazione nella sequenza degli amminoacidi di una proteina (cioè nell'ordine con cui i vari tipi di amminoacidi si susseguono) può portare a variazioni nella struttura tridimensionale della macromolecola che possono rendere la proteina non funzionale. Un esempio ben noto è il caso della catena beta dell'emoglobina umana che nella sua normale sequenza porta un tratto 9 Proteina 10 formato da: valina - istidina - leucina - treonina - prolina - acido glutammico - lisina. Composizione elementare La molecola proteica risulta costituita da atomi di carbonio, ossigeno, idrogeno e azoto; spesso contiene anche zolfo (presente negli amminoacidi metionina, cisteina e cistina) e, talvolta, fosforo e/o metalli come ferro, rame, zinco ed altri. Le proteine sono dei polipeptidi con più di 90-100 amminoacidi. Gli amminoacidi Lo scheletro delle proteine è costituito da una sequenza di 20 tipi di amminoacidi diversi, cui si aggiungono alcune tipologie speciali di amminoacidi modificati (come l'idrossilisina nel collagene). In una singola proteina non necessariamente sono presenti tutte le tipologie di amminoacidi che invece si trovano in quantità differenti. La struttura generica degli amminoacidi ordinari è la seguente: R | H2N-C-COOH | H R rappresenta un gruppo specifico di ogni amminoacido, ed è detto catena laterale o gruppo laterale, per distinguerlo dal resto dell'amminoacido che costituisce l'ossatura polipeptidica della proteina, è tale gruppo a conferire a ciascun amminoacido le sue peculiarità chimiche. In funzione delle proprietà chimiche di tale gruppo, un amminoacido viene classificato come acido, basico, idrofilo (o polare) e idrofobo (o apolare). Gli aminoacidi sono anche formati di due gruppi distinti chiamati gruppo amminico e gruppo carbossilico(-NH2<,-COOH). Nella "fusione" si ha la formazione di una molecola d' acqua tramite condensazione (dato che nell'avvicinamento si ha il distaccamento di uno ione idrogeno positivo e del gruppo ossidrilico OH negativo), il gruppo amminico di un amminoacido può legarsi al gruppo carbossilico di un altro: 2N-CH-COOH | R H + H2N-CH-COOH | R' --> H2N-CH-CO-NH-CH-COOH | | R R' + H2O Il legame che unisce due amminoacidi, evidenziato in rosso, prende il nome di legame peptidico. Una catena di più amminoacidi legati attraverso legami peptidici prende il nome generico di polipeptide, uno o più polipeptidi, a volte accompagnati da altre molecole ausiliarie, costituiscono una proteina. L'ingombro dei vari gruppi R che sporgono dalla catena polipetidica, l'affinità reciproca tra gruppi polari e tra gruppi apolari, l'attrazione tra gruppi basici e gruppi acidi sono alcune delle forze che concorrono a modellare la conformazione della proteina nello spazio, conformazione dalla quale dipende in modo essenziale l'attività biologica della proteina stessa. Gli amminoacidi presenti negli organismi viventi sono numerosissimi ma solo venti di essi (tutti della serie stereochimica L) sono sottoposti al controllo genetico, come conseguenza dei processi evolutivi e contenuti nelle proteine: 1. acido aspartico (monoamminodicarbossilico) 2. acido glutammico (monoamminodicarbossilico) 3. alanina (monoamminomonocarbossilico) 4. arginina (diamminomonocarbossilico) Proteina 5. asparagina 6. cisteina (monoamminomonocarbossilico) 7. fenilalanina (monoamminomonocarbossilico) 8. glicina (o glicocolla) 9. glutammina 10. isoleucina 11. istidina 12. leucina 13. lisina (diamminomonocarbossilico) 14. metionina 15. prolina (iminoacido) 16. serina (monoamminomonocarbossilico) 17. tirosina 18. treonina 19. triptofano (monoamminomonocarbossilico) 20. valina Tra gli amminoacidi non proteici annoveriamo il GABA (acido gamma-amminobutirrico, un mediatore chimico del sistema nervoso), la DOPA (3,4-diidrossi-l-fenilalanina, precursore dell'adrenalina), ed altri che hanno specifiche e spesso importanti proprietà biologiche. Gli amminoacidi essenziali per il nostro organismo sono 9 (istidina, isoleucina, leucina, lisina, metionina, fenilanina, treonina, triptofano e valina). Alcuni di essi sono "condizionatamente essenziali", ovvero diventano indispensabili solo sotto specifiche condizioni fisiologiche o patologiche (ad esempio: cisteina, tirosina, taurina, glicina, arginina, glutammina, prolina). Inoltre è necessario un apporto sufficiente di azoto presente negli amminoacidi, che può essere soddisfatto dagli amminoacidi sopracitati, dagli aminoacidi non essenziali o da altre fonti. La composizione di una proteina dipende dal numero e dal tipo di amminoacidi di cui è formata. Considerando anche che un amminoacido può comparire più volte nella stessa catena polipeptidica, il numero delle combinazioni possibili è enorme: una sequenza di 300 aminoacidi in teoria può codificare 20300 proteine diverse. Tuttavia, la maggior parte di queste proteine non possono esistere in natura perché lo impediscono le coppie di angoli di rotazione di ciascun loro amminoacido, oppure perché sarebbero particolarmente instabili, così meno di una ogni miliardo potrebbe esistere. Solo le proteine stabili infatti persistono e sono selezionate dall'evoluzione, infatti una cellula non potrebbe sopravvivere possedendo proteine dall'emivita troppo breve, dalla funzione troppo variabile, o impossibili da regolare. Il cambiamento anche di un singolo amminoacido all'interno di una proteina può essere silente e non alternarne significativamente la funzione, ma può anche alterarne la struttura e dunque la funzione, ciò è provato dalle numerose patologie di cui è responsabile la mutazione di un singolo amminoacido in una proteina. Si comprende comunque quanto grande possa essere il numero delle diverse possibili proteine che sono state generate dai processi evolutivi che hanno coinvolto (e coinvolgono) tutte le specie viventi esistenti in natura. Nell'uomo pare che si codifichino almeno 24.000 proteine diverse. Struttura Ripiegamento Una proteina, essendo una macromolecola formata da decine di migliaia di atomi, potrebbe potenzialmente assumere un numero incredibilmente grande di possibili ripiegamenti. Tuttavia considerazioni fisiche limitano di molto i possibili ripiegamenti e dunque la conformazione finale di una proteina. Intanto gli atomi non si possono mai sovrapporre e si comportano a grandi linee come delle sfere con un raggio defiinito detto raggio di van der Waals, ciò limita non poco il numero di angoli in una catena polipeptidica. Ciascun amminoacido contribuisce alla 11 Proteina formazione della catena polipeptidica con tre legami. Uno è il legame peptidico (C-N) tra il carbonio di un gruppo chetonico di uno degli amminoacidi e l'azoto del gruppo amminico dell'adiacente, uno viene chiamato convenzionalmente legame Cα-C ed è presente tra il carbone centrale cui è attaccato il gruppo laterale R e il carbone del gruppo carbossilico, ed infine un legame Cα-N tra il carbone centrale e l'azoto del gruppo amminico dello stesso amminoacido. Il legame peptidico è planare ed impedisce una rotazione, mentre la rotazione è permessa sugli altri due legami; l'angolo di rotazione del legame Cα-C è detto ψ, quello del legame Cα-N è detto φ. Dunque la conformazione degli atomi della catena principale di una proteina è determinata dalla coppia di quegli angoli di rotazione per ciascun amminoacido. Dal momento che non sono possibili collisione steriche tra gli amminoacidi gli angoli possibili sono limitati. Ramachandran in funzione delle possibili coppie di angoli di rotazioni compilò un grafico che oggi prende il suo nome dove è ben visibile come la maggior parte delle proteine assumano solo due grandi tipologie di conformazione: l'α-elica o il β-foglietto. Tra gli atomi di una proteina si stabiliscono interazioni dette legami, che possono essere covalenti o non covalenti. I legami non covalenti, presi singolarmente, sono sempre più deboli dei covalenti nell'ordine di decine o centinaia di volte, tuttavia il loro numero all'interno di una proteina li rende fondamentali per comprenderne il ripiegamento. I legami non covalenti che si riscontrano nelle proteine sono i legami idrogeno, le attrazioni elettrostatiche e le attrazioni di van der Waals. Il legame idrogeno si effettua per esempio tra un ossigeno e un idrogeno affacciati, le attrazioni elettrostatiche tra gruppi laterali con carica opposta e le attrazioni di van der Waals tra dipoli molecolari istantanei indotti (forza di London), tra dipoli permanenti (forza di Keesom) o tra un dipolo permanente ed uno corrispondente indotto (forza di Debye). Ad esse si deve aggiungere la tendenza dei gruppi di amminoacidi idrofobici (fenilalanina, leucina, isoleucina, triptofano, valina, cisteina, metionina, prolina, alanina e glicina) ad avvicinarsi e unirsi tra loro, formando delle tasche idrofobiche lontane dalla rete di legami idrogeno che deve essere immaginata sempre presente all'interno di un ambiente acquoso tra le molecole d'acqua. Generalmente questi gruppi di amminoacidi sono quasi sempre posti all'interno della proteina, dal momento che questa si interfaccia quasi sempre ad un ambiente acquoso, per cui i suoi amminoacidi idrofilici, polari e con carica saranno tendenzialmente all'esterno. La struttura tridimensionale di una proteina è determinata dalla sola disposizione sequenziale dei suoi amminoacidi e la conformazione che assume è tendenzialmente quella con energia libera più bassa. È stato possibile scoprire questa peculiarità delle proteine effettuando esperimenti di denaturazione (tramite solventi come l'urea) e rinaturazione di proteine in vitro. Si è notato che alcune proteine, una volta denaturate e rimosso il solvente si ripiegavano autonomamente. Tuttavia, non tutte le proteine una volta denaturate possono ripiegarsi spontaneamente nella loro conformazione originaria. La conformazione di una proteina, benché sia normalmente la più stabile possibile per la sequenza dei suoi amminoacidi, non è immutabile, e subisce piccole modificazioni dopo interazione con ligandi o altri proteine. Questa possibilità sta alla base della funzionalità della maggior parte delle proteine. La conformazione di una proteina può essere notevolmente aiutata ed affinata dagli chaperoni, delle proteine che si legano alle catene parzialmente ripiegate e le assistono sino a formare la corretta conformazione. Spesso agiscono isolando tra loro le tasche idrofobiche di una proteina, che in caso contrario tenderebbero ad associarsi prematuramente. Una porzione di proteina che si ripiega indipendentemente dal resto della catena polipeptidica è detta dominio proteico ed una proteina può averne uno come numerosi. Si suppone che esistano in natura circa 2.000 domini proteici dalla struttura differente, circa 800 sono stati identificati, tuttavia la stragrande maggioranza dei domini proteici assume poche decine di conformazioni diverse. l'α-elica e il β-foglio pieghettato L'α-elica e il β-foglietto sono le conformazioni più comuni riscontrabili nelle catene polipeptidiche di una proteina. Una singola proteina può essere formata sia da α-eliche e β-foglietti in numero variabile. • L'α-elica è la conformazione più comune riscontrabile nelle proteine, particolarmente presente nei recettori cellulari dov'è immersa nella membrana plasmatica della cellula, spesso con più α-eliche per una singola proteina (unite da catene polipeptidiche ad U). In questo caso i gruppi idrofobici sono a contatto con la membrana plasmatica e i gruppi idrofilici sono all'interno, oppure si affacciano al citoplasma e allo spazio extracellulare. L'elica è una delle conformazioni più favorevoli perché naturalmente riduce al minimo l'energia libera, può essere 12 Proteina sinistrorsa o destrorsa. Fu scoperta per la prima volta nell'α-cheratina negli anni Sessanta. L'α-elica si forma quando una catena polipeptidica si ripiega su se stessa con formazione di legami idrogeno tra un legame peptidico e il quarto successivo, in particolare tra il gruppo chetonico C=O dell'uno e il gruppo N-H dell'altro, e il legame è tra O e H. Tutti i gruppi amminici di un'elica sono rivolti verso l'N-terminale della proteina, tutti quelli chetonici verso il C-terminale, così l'elica assume parziale carica positiva all'N-terminale e parziale carica negativa al C-terminale. L'elica che si forma ha un giro completo ogni 3,6 amminoacidi e la distanza media tra questi è 0,54 nm. In alcune proteine due o tre α-eliche si avvolgono l'una intorno all'altra formando il coiled coil. Generalmente questa conformazione è assunta quando ciascuna elica ha la maggior parte delle catene laterali di amminoacidi idrofobici da un lato, in questo modo, sfruttando le attrazioni idrofobiche, le eliche possono avvolgersi una intorno all'altra. L'α-cheratina è un esempio di proteina che assume questa particolare conformazione, preferita dalle proteine con funzione strutturale. • Il β-foglio pieghettato e la seconda conformazione più comune nelle proteine, molto presente in alcuni enzimi e nelle proteine coinvolte nella difesa immunitaria. Fu scoperto negli anni Sessanta studiando la fibroina, la proteina principale costituente della seta. Il β-fogliopeighettato consiste in numerose catene polipeptidiche che si dispongono l'una adiacente all'altra, collegate in una struttura continua da brevi sequenze a U. Tali catene possono puntare tutte nella stessa direzione (catene parallele) o in direzioni alternate (catene antiparallele). Ancora una volta le catene polipeptidiche adiacenti sono unite in una struttura rigida da legami idrogeno che connettono i legami peptidici di una catena con quella adiacente. Livelli di organizzazione Una proteina nel suo complesso è una molecola in cui vengono convenzionalmente distinti vari livelli di organizzazione, che possono essere tre o quattro a seconda della proteina. • La struttura primaria è formata dalla sequenza specifica degli amminoacidi, dalla catena peptidica e dal numero stesso delle catene, determina da sola il ripiegamento della proteina. • La struttura secondaria consiste nella conformazione spaziale delle catene; ad esempio la conformazione a spirale (o ad alfa elica), mantenuta e consentita dai legami a idrogeno, quella planare (o a foglietto beta), il coiled coil (collagene) o quelle globulari appartenenti al gruppo KEMF (cheratina, epidermina, miosina, fibrinogeno). All'interno di una singola proteina vi può essere una combinazione di sequenze di α eliche, foglietto β e sequenze non ripetitive, e sono ad un livello di complessità compreso tra la struttura secondaria e quella terziaria. • Il dominio è un'unità globulare o fibrosa formata da catene polipeptidiche ripiegate in più regioni compatte, costituiscono divisioni della struttura terziaria, ha la caratteristica di ripiegarsi più o meno indipendentemente rispetto al resto della proteina. Un dominio è generalmente compreso tra i 30 e i 350 amminoacidi. Molte delle proteine più complesse sono aggregazioni modulari di numerosi domini proteici. Tra i più comuni si citino SH2 o SH3; la proteina Src possiede un dominio SH2, un dominio SH3 e un dominio catalitico chinasico C-terminale. • La struttura terziaria (dal punto di vista della termodinamica è la forma con la più bassa energia libera) è rappresentata dalla configurazione tridimensionale completa che la catena polipeptidica assume nell'ambiente in cui si trova. Viene consentita e mantenuta da diversi fattori, come i ponti disolfuro, e le forze di Van der Waals. Fondamentali sua formazione sono le chaperonine, proteine chiamate anche "dello stress" o "dello shock termico" (Hsp, "heat shock proteins), per il loro ruolo nella rinaturazione delle proteine denaturate. Gran parte delle strutture terziarie può essere classificato come globulare o fibrosa. • La struttura quaternaria è quella che deriva dall'associazione di due o più unità polipeptidiche, unite tra loro da legami deboli (e a volte ponti disolfuro) in un modo molto specifico, come ad esempio avviene nella costituzione dell'emoglobina, costituita da quattro subunità, due globuline α e due globuline β. • La struttura quinaria , che fu suggerita da Edwin H. McConkey, ricercatore all'Università del Colorado. Egli elaborò un'interessante teoria che fu ingiustamente trascurata, effettuando esperimenti di gel-elettroforesi per 13 Proteina confrontare le varie popolazioni proteiche in organismi che si trovavano in differenti stadi evolutivi. I risultati portarono lo studioso a definire la struttura quinaria, riferendosi a tutto ciò che, in seno ad un polipeptide, si può rapportare a tutte le interazioni transitorie stabilite da alcune proteine (in vivo) per la salvaguardia dal processo evolutivo. In particolare, tale struttura si può considerare come la tendenza all'invarianza, e non a particolari cambiamenti morfologici nella struttura di un polipeptide. Le proteine che contengono anche una parte non polipeptidica, gruppo prostetico, sono dette proteine coniugate. Due proteine si dicono isoforme se, a parità di struttura primaria, differiscono in uno degli altri livelli di struttura. Denaturare una proteina significa distruggerne la conformazione spaziale, rompendo i legami idrogeno e ponti disolfuro per mezzo di acidi, basi, calore, radiazioni o agitazione (un esempio comune di denaturazione è la cottura di un uovo nel quale l'albumina, che costituisce la maggior parte dell'albume, viene denaturata). Una proteina denaturata, pur mantenendo intatta la sua struttura primaria, non è più in grado di esplicare la sua funzione, a meno che non si riesca a ristabilirne la struttura terziaria. Proteine complesse Le proteine, per quanto complesse anche prese singolarmente, negli organismi viventi possono aggregarsi ad altre proteine identiche oppure a proteine apparentemente molto differenti creando dei complessi proteici. Ciò che permette questo legame sono i legami non covalenti che permettono alla stessa proteina di assumere una determinata conformazione. In una proteina sono spesso presenti una o più zone caratteristiche capaci di interazioni non covalenti con altre proteine, qualsiasi zona siffatta è detta sito di legame. Quando una proteina tramite un sito di legame si lega ad un'altra proteina formando un complesso proteico ciascuna di esse prende il nome di subunità proteica; se le subunità che formano la proteina sono due si dirà che è un dimero, se tre un trimero, se quattro un tetramero e così via. Vi sono complessi proteici che contengono decine di subunità. Il legame può essere per esempio "testa-testa" (in tal caso sono favoriti i dimeri) o "testa-coda" (dove spesso le proteine sono globulari o ad anello). Un esempio di proteina provvista di più subunità è l'emoglobina, una proteina globulare formata da quattro subunità, due α-globuline ad uno dei due poli e due β-globuline all'altro (le subunità non sono perciò alternate), con un gruppo prostetico (l'eme) legato a ciascuna subunità. Altri complessi proteici sono formati da molte più subunità che permettono di realizzare dei filamenti dal momento che ad un polo possiedono un sito di legame e all'altro polo una struttura proteica complementare a quello stesso sito. Si creano così catene filamenti proteici come l'actina-F, formata da centinaia di subunità globulari di actina-G che le conferiscono al microscopio elettronico un aspetto simile a quello di una collana elicoidale di perle. La ridondanza della struttura elicoidale e non retta è sempre dovuta all'affinità per una conformazione con la minore energia libera. Una variante all'elica è il coiled coil, che coinvolge due o tre catene polipeptidiche, come nella cheratina o nel collagene. Si può dire che a grandi linee le proteine globulari tendono ad avere funzione enzimatica, mentre quelle che formano filamenti hanno funzione strutturale (formano ad esempio le miofibrille nelle fibre muscolari o le fibre della matrice extracellulare, o ancora il citoscheletro di una cellula). Vi sono proteine la cui funzione è resa possibile proprio per la loro struttura poco caratterizzabile e casuale, ne è un esempio l'elastina, che forma le fibre elastiche della parete delle arterie e di molti altri tessuti del corpo umano. Nell'elastina numerose catene polipeptidiche sono legate covalentemente tra loro senza una disposizione regolare e tale struttura disordinata determina la sua deformabilità. Proteine poco strutturate hanno svariate funzioni nella cellula, alcune ad esempio hanno funzione strutturale come l'elastina, altre però sono dei canali come le nucleoporine poste sulla membrana nucleare di ciascuna cellule, altre ancora fungono da proteine impalcatura, cioè proteine che raggruppano in stretta vicinanza altre proteine dalla funzione correlata, fondamentali nella segnalazione e nella comunicazione cellulare. Una caratteristica comune a tutte le proteine poco strutturate è una grande ridondanza di aminoacidi e la bassa presenza di amminoacidi idrofobici. Certe proteine molto esposte alla degradazione nell'ambiente extracellulare sono stabilizzate da legami disolfuro (S-S) che si formano tra due proteine; questo legame agisce come una vera e propria graffetta sulla proteina, permettendole in ambienti ostili di mantenere la sua conformazione. All'interno del citoplasma è difficile riscontrare legami disolfuro a causa dell'ambiente riducente, per cui le cisteine mostrano gruppi (-SH). L'evoluzione ha fatto inoltre in modo che vi fosse 14 Proteina la possibilità di creare complessi proteici ancora più grandi di filamenti, coiled coil, o proteine globulari. Il vantaggio di tali strutture è che siccome sono spesso costituite dalla ripetizione di subunità identiche o simili, occorre poco materiale genetico per sintetizzare grandi complessi proteici, per esempio i capsidi dei virus, inoltre l'associazione tra le subunità necessita generalmente di un'energia molto bassa, oppure, in certi casi, sono subunità autoassemblanti (per esempio il ribosoma batterico). Il capside di molti virus è formato o da un tubo cavo (come nel virus del mosaico del tabacco) oppure rassomiglia ad un icosaedro o ad una sfera cava, come per esempio il poliovirus. Generalmente tali strutture si rivelano sia molto stabili date le numerose interazioni tra le subunità, sia adattabili, dal momento che per infettare una cellula devono permettere la fuoriuscita dell'acido nucleico, sia RNA o DNA. Chiralità delle proteine Tutti gli amminoacidi, ad eccezione della glicina presentano un carbonio legato a quattro sostituenti diversi che è un centro chirale. Tutti gli amminoacidi possono dunque esistere in due conformazioni: L o D, sintetizzandoli artificialmente si ottiene una miscela racema. Tuttavia tutti gli amminoacidi dei composti biologici si trovano in natura soltanto conformazione L. Amminoacidi in conformazione D si rinvengono in alcune specie batteriche e vengono pure adoperati per la sintesi di farmac. La gramicidina S, un peptide naturale con funzione antibatterica, nella sua struttura primaria contiene anche alcuni amminoacidi appartenenti alla conformazione D Funzioni Legame Le proteine svolgono funzioni strutturale, immunitaria, trasporto (di ossigeno, metalli, lipidi, di membrana), di identificazione dell'identità genetica, ormonale, enzimatica, contrattile, energetica. Quasi tutte le proteine conosciute interagiscono con altre proteine o con altri tipi di molecole, comunque detti ligandi, tramite i loro siti di legame, ciò sta alla base di gran parte delle interazioni presenti in una cellula. Una proteina di norma possiede un sito di legame che le permette di legarsi con uno o pochi ligandi, per cui la maggior parte delle proteine ha alta specificità. L'entità del legame può essere differente, vi sono proteine che si legano ai propri ligandi in modo molto tenace, altre invece che si legano debolmente e la tipologia di legame influenza la funzione della stessa proteina. Ad esempio, gli anticorpi legano strettamente i propri ligandi (detti antigeni), mentre certi enzimi per questioni di cinetica e per velocizzare le reazioni non legano così strettamente il proprio substrato. La capacità di legame dipende sempre dalla capacità della proteine di stabilire legami non covalenti (legame idrogeno, attrazioni elettrostatiche, attrazioni idrofobiche e forze di van der Waals) con il ligando. Più legami si formano, più il legame con il ligando sarà complessivamente intenso. Il sito di legame di una proteina possiede una forma che è generalmente quasi speculare a quella del ligando che vi deve aderire, ciò ne determina la specificità. Le caratteristiche di ciascun sito di legame sono date dalle catene laterali degli amminoacidi che si affacciano in esso; gli amminoacidi che vi prendono parte sono spesso distanti lungo la catena polipeptidica della proteina. Mutazioni nel sito di legame generalmente determinano malfunzionamento o cessazione dell'attività catalitica o di legame originaria. Non è sorprendente pensare che i siti di legame siano alcuni degli amminoacidi più conservati all'interno di una proteina. I siti di legame sono isolati dall'ambiente acquoso in cui sono immersi dal momento che alcune catene laterali poste in prossimità del sito di legame tendono a respingere le molecole d'acqua; è inoltre sfavorevole per una molecola d'acqua dissociarsi dalla rete di legami idrogeno con cui è interconnessa alle altre molecole d'acqua per reagire con una catena laterale di un amminoacido del sito di legame. Il ligando può essere attratto mediante alcuni espedienti, come il raggruppamento in siti specifici di amminoacidi provvisti di carica, che sono quindi in grado di attrarre più facilmente ligandi di carica opposta e nel contempo di respingere quelli con la stessa carica. Le possibili interfacce tra una proteina e il suo ligando sono molti, tra le più comuni le interazioni superficie (sito di legame)-stringa (ligando), oppure elica-elica (comune nelle proteine regolatrici di geni), o ancora, più comunemente delle altre due, 15 Proteina superficie-superficie (quanto avviene in moltissimi enzimi). La forza di legame di una proteina verso il suo ligando all'equilibrio, cioè nello stato in cui le associazioni e le dissociazioni tra la proteina e il ligando sono in egual numero, è misurata tramite la costante di equilibrio. La velocità di dissociazione è calcolata tramite la formula: velocità associazione = koff[AB] dove [AB] è la concentrazione del complesso proteico in moli e koff è la costante di dissociazione. La velocità di associata è calcolata tramite la formula: velocità dissociazione = kon[A] [B], dove [A] e [B] sono le due molecole e kon è la costante di associazione. Eguagliando le due velocità si ricava la costante di equilibrio (detta anche di affinità) Ka = [AB] \ [A][B] Maggiore è la costante di equilibrio, maggiore sarà la forza di legame, inoltre essa è una misura diretta della differenza di energia libera tra lo stato legato e dissociato della proteina. Enzimi Gli enzimi formano buona parte delle proteine conosciute e sono spesso proteine globulari. Quasi tutti i nomi degli enzimi terminano in "-asi" per convenzione. Essi non solo si legano ad un ligando, ma catalizzano una reazione, cioè ne abbassano l'energia necessaria, accelerandola notevolmente e formando nuovi prodotti senza modificarsi. Per questo motivo possono catalizzare numerose reazioni e a velocità incredibili, tanto che i più potenti catalizzatori noti sono enzimi. Il ligando di un enzima prende il nome di substrato ed è generalmente molto più piccolo dell'enzima stesso. Il ruolo degli enzimi fa sì che queste proteine siano alla base della vita e del metabolismo di ogni organismo, qualora si associano in vie enzimatiche ordinate. Alcuni enzimi sono utilizzati per fini industriali. La sintesi chimica di numerosi farmaci, ad esempio, è portata a termine attraverso l'utilizzo di enzimi. Anche diversi prodotti di uso domestico fanno ampio uso di enzimi: diversi detersivi contengono enzimi per velocizzare la degradazione delle proteine e dei lipidi che compongono le macchie. La papaina, enzima estratto dalla papaia, è invece utilizzata in numerosi prodotti per le sue caratteristiche proteolitiche: dall'intenerimento della carne, processo noto già agli indigeni americani, all'utilizzo in applicazioni topiche sulle ferite e sulle cicatrici. Gli enzimi sono classificati in: • Idrolasi, gli enzimi che tagliano un substrato mediante idrolisi, ne fanno parte le proteasi (che tagliano altre proteine) e le nucleasi (che tagliano acidi nucleici, cioè DNA e RNA). • Sintasi, enzimi che sintetizzano una nuova molecola a partire da due substrati, generalmente per condensazione. • Isomerasi, enzimi che trasformano un ligando in un suo isomero modificandolo chimicamente a livello dei legami. • Polimerasi, enzimi che associano varie molecole costituendo un polimero, per esempio un acido nucleico. • Chinasi, enzimi che aggiungono gruppi fosfato ad alcune molecole. • Fosfatasi, enzimi che rimuovono gruppi fosfato da alcune molecole. • Ossido-reduttasi, enzimi che ossidano e riducono alcune molecole, ne fanno parte le ossidasi, le reduttasi e le deidrogenasi. • ATPasi, enzimi che idrolizzano ATP liberandone l'energia. Classificazione La formazione di copie duplicate di geni e l'alterazione della funzione di una proteina nel corso dell'evoluzione hanno portato alla formazione delle circa 500 famiglie proteiche identificate. All'interno di una famiglia sebbene ciascuna proteina svolga una funzione leggermente diversa dall'altra, la sequenza di amminoacidi in particolare presso i siti catalitici e in regioni conservate è quasi identica. Non è tuttavia una legge che vale per tutte le proteine di una famiglia, esistono infatti alcune proteine dalla sequenza aminoacidica molto diversa e tuttavia dalla conformazione tridimensionale molto simile. Si può quindi affermare che nel corso dell'evoluzione all'interno di una 16 Proteina famiglia proteica si è conservata più la conformazione tridimensionale che non la sequenza degli amminoacidi. Generalmente quando almeno un quarto della sequenza amminoacidica di due proteine corrisponde, esse hanno la stessa struttura generale. Due proteine diverse appartenenti ad una stessa famiglia e dalla funzione simile sono dette paraloghe, mentre la stessa proteina in due organismi diversi (per esempio uomo e topo) è detta ortologa. La parentela tra due proteine è generalmente accettata quando almeno il 30% degli amminoacidi corrispondono, ma per verificarla è possibile ricorrere ai cosiddetti fingerprint, cioè brevi sequenze di amminoacidi comuni in quasi tutte le proteine di una data famiglia. Alcune proteine si sono formate per rimescolamento dei domini proteici o per la loro duplicazione all'interno della stessa proteina a causa di unioni accidentali di DNA codificante; certi domini sono particolarmente diffusi e sono perciò chiamati moduli proteici. Ne sono Questi domini hanno la caratteristica di avere gli N-terminali e C-terminali ai poli opposti della proteina, così che l'aggregazione ad altri domini e ad altre proteine per formare strutture più grandi è favorita rispetto a quanto accadrebbe se fossero entrambi verso lo stesso polo della proteina; un esempio è il modulo 1 della fibronectina. In tal caso i domini che assumono una conformazione simile ad una spina della corrente sono inseriti nelle anse proteiche di alcune proteine, per esempio il modulo kringle nell'urochinasi o il dominio SH2. Alcuni di questi domini non si ritrovano solo tra proteine paraloghe ma anche ortologhe, per esempio il dominio SH2 mostra una diffusione molto simile sia nel verme che nella mosca, eppure è ben poco frequente nei vegetali. Vi sono invece dei domini comuni a solo certe categorie di organismi come l'MHC, il complesso maggiore di istocompatibilità (major histocompatibility complex), presente nell'uomo ma assente negli insetti e nei vegetali, tuttavia questi costituiscono soltanto il 7% del totale. Si è osservato inoltre che, malgrado alcuni organismi viventi apparentemente semplici come l'alga Arabidopsis posseggano più geni di un essere umano, tendenzialmente le proteine umane sono formate da un numero maggiore di domini e quindi sono più complesse rispetto alle ortologhe in altri organismi. La classificazione può essere dunque fatta in base alla composizione chimica, alla configurazione molecolare o alla solubilità. Si distinguono così proteine semplici (costituite da soli amminoacidi) e proteine coniugate (costituite da una proteina semplice e da un gruppo prostetico di natura non proteica). Tra le proteine semplici: • proteine fibrose, generalmente insolubili nei solventi acquosi ed a volte inattaccabili dagli enzimi proteolitici • collageno (costituente essenziale del tessuto connettivo) • elastina (componente principale delle fibre elastiche e delle pareti vasali) • cheratina (componente essenziale dell'epidermide) • proteine globulari o globose, solubili in acqua e cristallizzabili • protamine (di struttura semplice, simile ai peptoni) • istoni (di struttura semplice, simile ai peptoni) • albumine, assai diffuse nel mondo animale • globuline, insolubili in acqua, si trovano nel sangue, nel muscolo, nei tessuti in genere e nei semi • prolamine, caratteristiche del mondo vegetale. Tra le proteine coniugate (costituite almeno da apoproteina+gruppo prostetico) • Emoglobina: Apoproteina + gruppo Eme + Fe • clorofille: Apoproteina + Anello tetrapirrolico + Mg • Opsine: Apoproteina + Retinale Un'ulteriore suddivisione delle proteine è quella che le distingue in base alla loro funzione. • Le proteine strutturali sono componenti delle strutture permanenti dell'organismo ed hanno principalmente una funzione meccanica. Due esempi sono il collagene e l'elastina, presenti nella matrice dei tessuti connettivi. • Le proteine di trasporto si legano (in genere con legami deboli) a sostanze poco (o comunque non abbastanza) idrosolubili e ne consentono il trasporto nei liquidi corporei. Comprendono ad esempio le proteine del sangue che trasportano i lipidi e il ferro, nonché l'emoglobina che trasporta l'ossigeno. Molto importanti sono anche le 17 Proteina 18 proteine di trasporto delle membrane cellulari, che permettono un passaggio selettivo di molecole idrosolubili e ioni. • Le immunoglobuline (dette anche anticorpi) sono proteine che si legano a molecole normalmente non presenti nell'organismo, concorrendo alla difesa dello stesso. • Gli enzimi sono proteine catalitiche. Essi accelerano enormemente la velocità di specifiche reazioni chimiche, determinando quali, tra le pressoché infinite reazioni che potrebbero avvenire tra le sostanze presenti, avvengono realmente a velocità apprezzabile. Di fatto, ogni molecola appena un po' complessa presente in un essere vivente è prodotta da enzimi. Proprietà Le proprietà delle proteine si ricollegano a quelle dei loro costituenti, gli amminoacidi: sono elettroliti anfoteri, possono essere sottoposte ad elettroforesi, sono otticamente attive (levogire) e presentano il fenomeno di Tyndall. Il punto isoelettrico o PI di una proteina è rappresentato da quella concentrazione di idrogenioni del mezzo, che si comporta in modo da far assumere al protide una forma di anfoione. Per ottenere il peso molecolare o PM delle proteine si deve far ricorso a tecniche e metodologie di non sempre facile attuazione. Tra le tante, quella che fornisce i risultati più precisi è senza dubbio la spettrometria di massa. Sintesi Le proteine sono sintetizzate dagli organismi attraverso il processo della sintesi proteica. A livello industriale e di laboratorio, la sintesi dei polipeptidi può essere condotta per due vie distinte: 1. Sintesi di Merrifield (o in fase solida): i polipeptidi vengono sintetizzati utilizzando un supporto solido polimerico a cui vengono legati in successione gli amminoacidi, partendo dal primo, che viene solitamente utilizzato opportunamente modificato affinché si leghi alla resina e resti protetto dall'azione dei reagenti utilizzati durante la sintesi del polipeptide. 2. Sintesi enzimatica: vengono opportunamente utilizzati enzimi capaci di promuovere la formazione o la rimozione di un legame peptidico (chimotripsina, tripsina, elastasi, pepsina, etc.). Voci correlate Altre classi di molecole biologiche Alcuni esempi di proteine • • • • • • • • • • • • • • • • • • Acidi nucleici Glucidi Lipidi Vitamine Struttura e sintesi delle proteine • • • • • • • • Amminoacidi Fabbisogno sostanziale umano Protein Data Bank Proteoma Proteopedia Ribosoma - Reticolo endoplasmatico Sintesi proteica Predizione di struttura proteica Albumina Alfafetoproteina Chaperonina Chinesina Diastasi Glicoproteina Gammaglobulina Enzima Insulina Lisozima Miosina Spettrina Transaminasi Tubulina Proteina 19 Altri progetti • Wikibooks contiene testi o manuali: http://it.wikibooks.org/wiki/Chimica organica/Proteine • • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Proteins Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/proteina Collegamenti esterni • Esperienze in laboratorio - Le proteine [1] • Purificazione di proteine e dosaggio quantitativo [2]: descrizione delle tecniche di purificazione delle proteine, principio ed esempi di dosaggio quantitativo. • Il cibo e le proteine [3] Note [1] http:/ / www. itchiavari. org/ chimica/ lab/ proteine. html [2] http:/ / www. chemdav. altervista. org/ page3/ files/ 12ea655b2fcca17f1f229255f98c145f-15. php [3] http:/ / www. my-personaltrainer. it/ nutrizione/ alimenti-proteine. html 20 Carboidrati Glucidi I glucidi (dal greco glucos, cioè dolce), chiamati anche zuccheri o carboidrati (da idrati di carbonio) o saccaridi, sono una delle principali classi di biomolecole. Hanno numerose funzioni biologiche tra cui quella di riserva energetica e trasporto dell'energia (esempio: amido, glicogeno) e sono anche noti come componenti strutturali della cellulosa Struttura dell'amilosio, un componente dell'amido nelle piante e della cartilagine negli animali. Inoltre i carboidrati e i loro derivati giocano un ruolo fondamentale nel sistema immunitario, nella fertilità e nello sviluppo biologico. Dal punto di vista chimico, i carboidrati sono aldeidi o chetoni a cui sono stati aggiunti vari gruppi ossidrilici, solitamente uno per ogni atomo di carbonio che non fa parte del gruppo funzionale aldeidico o chetonico. Le singole unità di carboidrati sono chiamate "monosaccaridi". Tra questi si annoverano il glucosio, il galattosio e il fruttosio. La formula generale di un monosaccaride, detta formula empirica (o minima) è (C·H2O)n, dove n è un numero maggiore o uguale a tre; ad ogni modo non tutti i carboidrati si adattano a questa precisa definizione stechiometrica (per esempio gli acidi uronici, i deossizuccheri come il fucosio). I monosaccaridi possono legarsi tra di loro in moltissimi modi per formare i polisaccaridi o gli oligosaccaridi. Molti carboidrati contengono uno o più unità di monosaccaridi a cui sono stati tolti o aggiunti vari gruppi. Per esempio il deossiribosio, un componente del DNA, è una versione modificata del ribosio (un componente dell'RNA). Altri carboidrati presentano invece gruppi funzionali differenti, come nel caso degli amminozuccheri e delle glicoproteine. Classificazione I carboidrati possono essere classificati come semplici (monosaccaridi e disaccaridi) o complessi (oligosaccaridi e polisaccaridi). Le linee guida per l'alimentazione generalmente consigliano i carboidrati complessi, e alcuni cibi ricchi di carboidrati semplici come la frutta (che contiene glucosio e fruttosio) o i prodotti caseari (che contengono lattosio) come sola fonte di carboidrati nella dieta. Ciò esclude alcune fonti di zuccheri semplici come i dolci o le bevande zuccherate. L'indice glicemico e il carico glicemico sono concetti sviluppati per analizzare il comportamento del cibo durante la digestione. Questi classificano i cibi ricchi di carboidrati in base alla velocità del loro effetto sul livello di glucosio nel sangue. L'indice insulinico è una classificazione simile, più recente, che classifica il cibo in base al suo effetto sui livelli di insulina nel sangue, causato dai vari macronutrienti, soprattutto dai carboidrati e da alcuni amminoacidi presenti nel cibo. L'indice glicemico è una misura di quanto velocemente i carboidrati del cibo vengono assorbiti, mentre il carico glicemico è la misura che determina l'impatto di una data quantità di glucidi presenti in un pasto. I carboidrati complessi non assimilabili, come la cellulosa, l'emicellulosa e la pectina, sono un'importante componente della fibra alimentare. Glucidi Classificazione dei monosaccaridi I monosaccaridi sono classificati in base a tre differenti caratteristiche: la posizione del loro gruppo carbonile, il numero di atomi di carbonio che contengono e la loro chiralità. Se il gruppo carbonilico è aldeidico, il monosaccaride è un aldoso; se il gruppo carbonilico è chetonico, il monosaccaride è un chetoso. I monosaccaridi con tre atomi di carbonio sono chiamati triosi, con quattro sono chiamati tetrosi, con cinque pentosi, con sei esosi e con sette eptosi. Questi due sistemi di classificazione sono spesso combinati. Per esempio, il glucosio è un aldoesoso, il ribosio è un aldopentoso e il fruttosio è un chetoesoso. Ogni atomo di carbonio che porta un gruppo ossidrile (-OH), ad eccezione del primo e dell'ultimo carbonio, è asimmetrico, con stereocentri con due possibili Enantiomeri del glucosio, con evidenziata la configurazione D,L configurazioni (R o S). A causa di questa simmetria, esiste un certo numero di isomeri per ogni formula di monosaccaride. Il D-glucosio, per esempio, ha formula (C·H2O)6 e quattro dei suoi sei atomi di carbonio sono stereogeni, rendendo il D-glucosio uno dei 16 possibili stereoisomeri. Nel caso della gliceraldeide, un aldotrioso, c'è una coppia di possibili stereoisomeri, che sono enantiomeri ed epimeri. L'1-3-diidrossiacetone, il chetoso che corrisponde alla gliceraldeide aldosa, è una molecola simmetrica senza stereocentri. La classificazione in D o L è fatta in base all'orientamento del carbonio asimmetrico più lontano dal gruppo aldeidico o chetonico: in una proiezione di Fischer standard se il gruppo ossidrile è a destra della molecola, lo zucchero ha configurazione D; se è a sinistra lo zucchero ha configurazione L. Gli zuccheri di serie D sono più comuni e pertanto la D spesso viene omessa. Configurazione Il gruppo aldeidico o chetonico di una catena lineare di un monosaccaride reagirà reversibilmente con un gruppo ossidrile su un altro atomo di carbonio per formare un semiacetale o un semichetale, formando un anello eterociclico con un ponte ossigeno tra i due atomi di carbonio. Gli anelli con cinque o sei atomi sono chiamati furanosi e piranosi ed esistono in equilibrio con la forma a catena aperta. Durante la conversione dalla forma a catena aperta alla forma ciclica, l'atomo di carbonio contenente l'ossigeno carbonilico, chiamato carbonio anomerico, diventa un centro chirale con due possibili configurazioni: l'atomo di ossigeno può prendere posizione sopra o sotto il piano dell'anello. I due possibili stereoisomeri risultanti sono detti anomeri. Nell'anomero α, l'-OH che sostituisce il carbonio anomerico sta dal lato opposto (trans) dell'anello (secondo CH2OH). La forma alternativa dà l'anomero β. Dato che l'anello e la forma a catena aperta si interconvertono velocemente, entrambi gli anomeri esistono all'equilibrio. 21 Glucidi 22 α-D-Glucopiranosio β-D-Glucopiranosio La mutarotazione è un fenomeno, legato proprio all'instaurarsi di un equilibrio tra anomeri, che consiste nella variazione del potere rotatorio dei carboidrati osservato in una loro soluzione. Ruolo biologico I monosaccaridi sono la più grande risorsa per il metabolismo, dato che vengono usati come fonte di energia. Quando non c'è immediato bisogno di monosaccaridi spesso sono convertiti in forme più vantaggiose per lo spazio, spesso in polisaccaridi. In molti animali, compresi gli umani, questa forma di deposito è il glicogeno, sito nelle cellule del fegato e dei muscoli. Le piante invece utilizzano l'amido come riserva. Altri polisaccaridi come la chitina, che concorre alla formazione dell'esoscheletro degli artropodi, svolgono invece una funzione strutturale. Oligosaccaridi e polisaccaridi Gli oligosaccaridi e i polisaccaridi sono composti da lunghe catene di monosaccaridi (monomeri) legati da legami glicosidici. La distinzione tra i due è basata sul numero di monosaccaridi presenti nella catena. Gli oligosaccaridi tipicamente contengono da sette a nove monosaccaridi, mentre i polisaccaridi contengono più di dieci monosaccaridi.[1] I polisaccaridi rappresentano un'importante classe di polimeri biologici. La loro funzione negli organismi viventi è di solito strutturale o di deposito. L'amido (un polimero del glucosio) è utilizzato come polisaccaride di deposito nelle piante, e si trova sia nella forma di amilosio sia in quella ramificata dell'amilopectina. Negli animali, il polimero di glucosio strutturalmente simile è il più densamente ramificato glicogeno, qualche volta chiamato "amido animale". Le proprietà del glicogeno gli permettono di essere metabolizzato più rapidamente, il che si adatta alle vite attive degli animali che si muovono. Le forme di glicogeno più diffuse sono il glicogeno epatico e glicogeno muscolare. Il glicogeno epatico si trova nel fegato, è la riserva di zucchero e di energia negli animali e dura 24 ore. Il glicogeno muscolare è la riserva di zucchero utilizzata direttamente dalle cellule muscolari senza passare per la circolazione sanguigna. Il glicogeno epatico, invece, prima di raggiungere le cellule e, in particolare, il tessuto muscolare deve essere immesso nella circolazione sanguigna. I polisaccaridi si suddividono in omopolisaccaridi ( costituiti da tante unità di uno stesso monosaccaride ripetuto più volte) e eteropolisaccaridi (costituiti da tante unità monosaccaridiche diverse). La cellulosa e la chitina sono esempi di polisaccaridi strutturali. La cellulosa è situata nelle pareti cellulari e in altri organismi, e si ritiene che sia la più abbondante molecola organica sulla Terra. Ha molti utilizzi, come un ruolo significativo nell'industria tessile e della carta, ed è usata come materia prima per la produzione del rayon (attraverso il processo viscoso), acetato di cellulosa, celluloide, e nitrocellulosa. La struttura della chitina è simile, ha delle catene laterali che contengono azoto, aumentandone la forza. Si trova negli esoscheletri degli artropodi e nelle pareti cellulari di alcuni funghi. Ha molti usi, tra cui il filo di sutura chirurgico. Altri polisaccaridi includono il callosio, la laminarina, lo xilano, il mannano, il fucoidano, e il galactomannano. Glucidi 23 Riduzione e ossidazione dei glucidi Pur esistendo prevalentemente in forma emiacetalica ciclica, i glucidi sono in equilibrio con la loro forma a catena aperta. Ciò rende il gruppo aldeidico soggetto a reazioni di riduzione, solitamente utilizzando l'idrogenazione catalica o il tetraidroborato di sodio. Una applicazione di questa reazione consiste nella sintesi del dolcificante sorbitolo, ottenuto dalla riduzione del D-glucosio: La funzione aldeidica è anche soggetta a ossidazione, per esempio con bromo, formando Acido gluconico, ottenuto i composti noti come acidi aldonici. Utilizzando condizioni ossidative più drastiche, per per ossidazione del esempio impiegando acido nitrico, è possibile ossidare anche il gruppo -CH2OH glucosio terminale, producendo gli acidi aldarici. Acidi aldonici e aldarici tendono a esistere principalmente sotto forma di lattoni. Infine è possibile che si verifichi solamente l'ossidazione del gruppo -CH2OH terminale con il gruppo -CHO che resta inalterato, producendo gli acidi uronici. La formazione di questo genere di composti avviene prevalentemente per via biochimica per azione di enzimi, dato che con i rettivi chimici risulta favorita l'ossidazione del gruppo aldeidico. Un esempio di acido uronico è rappresentato dall'acido glucuronico, ottenuto per ossidazione del D-glucosio e che ricopre un ruolo importante nell'escrezione delle sostanze tossiche per via urinaria. In generale, gli zuccheri suscettibili di ossidazione vengono definiti zuccheri riducenti. Sono riducenti tutti quegli zuccheri il cui carbonio anomerico non è impegnato in un legame stabile, come nel caso dei glicosidi e disaccaridi come il saccarosio. Oltre agli aldosi, anche i chetosi sono zuccheri riducenti, in quanto presentano anche loro una funzione aldeidica in seguito a un equilibrio con un intermedio enediolico (diolo con un doppio legame, R-C(OH)(CHOH)). I reattivi di Benedict e quello di Fehling sono di comune utilizzo nella pratica di laboratorio per la determinazione delle proprietà riducenti degli zuccheri. Scissione ossidativa Menzione a parte merita l'ossidazione con acido periodico, in quanto quest'ultima provoca anche una scissione della molecola glucidica. La reazione, utilizzata per la determinazione della struttura dei carboidrati, implica la rottura del legame C-C di un 1,2-diolo con formazione di due chetoni: R2(HO)C-C(OH)R'2 + HIO4 → R2C=O + R'2C=O + HIO3 + H2O o di un composto α-idrossi carbonilico con formazione di un acido carbossilico e di un chetone: RC(O)-C(OH)R'2 + HIO4 → RCO2H + R'2C=O + HIO3 Quando sono presenti tre atomi di carbonio contigui legati a gruppi OH la reazione consuma due moli di acido periodico e il carbonio centrale viene ossidato ad acido formico (HCO2H): R2(OH)C-C(OH)-C(OH)R'2 + 2 HIO4 → R2C=O + HCO2H + R'2C=O + 2 HIO3 Il legame evidenziato col trattino è quello che subisce la scissione. Glucidi Glicosidi Quando un emiacetale reagisce con una funzione alcolica di un altro composto chimico si ottiene un glicoside. La parte non zuccherina del composto ottenuto viene chiamata aglicone. I glicosidi, impegnando il carbonio anomerico nella formazione di un legame etereo stabile, a differenza degli zuccheri originari non presentano mutarotazione. Sono soggetti a idrolisi per azione di acidi in soluzione acquosa. I glicosidi rappresentano una classe di sostanze molto diffuse in natura e diversi di loro possiedono proprietà farmacologiche. Sintesi di Kiliani-Fischer La sintesi di Kiliani-Fischer permette l'omologazione dei carboidrati, ovvero consente l'allungamento della catena. Viene realizzata facendo reagire lo zucchero di partenza con un cianuro, tipicamente NaCN, che produce una addizione nucleofila al gruppo carbonilico aggiungendo un nuovo gruppo nitrilico (-C≡N) e generando due epimeri. Il nitrile viene successivamente trasformato in acido carbossilico in seguito a idrolisi, e questo forma un lattone. A questo punto si separa il diastereomero che interessa e lo si sottopone a riduzione con amalgama di sodio. In tal modo si ottiene un nuovo zucchero che differisce dallo zucchero di partenza per la presenza di un atomo di carbonio in più, senza variazione della stereochimica degli altri atomi di carbonio chirali. Nutrimento I carboidrati sono la più comune fonte di energia negli organismi viventi, e la loro digestione richiede meno acqua di quella delle proteine o dei grassi. Le proteine e i grassi sono componenti strutturali necessari per i tessuti biologici e per le cellule, e sono anche una fonte di energia per la maggior parte degli organismi. I carboidrati non sono nutrienti essenziali per gli esseri umani: il corpo può ottenere tutta l'energia necessaria da proteine e grassi. Però una dieta completamente priva di carboidrati può portare a chetosi. Comunque, il cervello e i neuroni in genere non possono consumare direttamente i grassi e hanno bisogno di glucosio da cui ricavare energia: questo glucosio può essere ricavato da alcuni degli amminoacidi presenti nelle proteine e anche dal glicerolo presente nei trigliceridi. I carboidrati forniscono 3,75 kcal per grammo, le proteine 4 kcal per grammo, mentre i grassi forniscono 9 kcal per grammo. Nel caso delle proteine, però, quest'informazione è fuorviante in quanto solo alcuni degli amminoacidi possono essere utilizzati per ricavare energia. Allo stesso modo, negli esseri umani, solo alcuni carboidrati possono fornire energia, tra questi ci sono molti monosaccaridi e alcuni disaccaridi. Anche altri tipi di carboidrati possono essere digeriti, ma solo grazie all'aiuto dei batteri intestinali. I ruminanti e le termiti possono addirittura digerire la cellulosa, che non è digeribile dagli altri organismi. Tra i cibi ricchi di carboidrati ricordiamo il pane, la pasta, i legumi, le patate, la crusca, il riso e i cereali. La maggior parte di questi cibi sono ricchi di amido. La FAO (Food and Agriculture Organization) e l'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) raccomandano di ingerire il 55-75% dell'energia totale dai carboidrati, ma solo il 10% dagli zuccheri semplici. 24 Glucidi 25 Metabolismo Catabolismo Le principali vie metaboliche dei monosaccaridi sono: 1. La glicolisi: processo attraverso il quale una molecola di glucosio viene trasformata in due molecole di piruvato con un rilascio di energia sotto forma di 2 molecole di ATP e con la riduzione di due molecole di NAD+ a NADH + H+. 2. Il ciclo di Krebs: processo continuo atto a disorganicare i due carboni presenti nell'Acetil-CoA (risultato dell'azione della piruvato deidrogenasi sul piruvato) in due molecole di anidride carbonica con un rilascio di energia sotto forma di 3 NADH + 3 H+, 1 FADH2 e 1 GTP (facilmente convertibile in ATP tramite l'azione dell'enzima nucleoside difosfato chinasi). 3. Via del fosfogluconato: processo parallelo alla glicolisi atto a rifornire l'organismo di ribosio-5-fosfato e NADPH. Gli oligosaccaridi e i polisaccaridi sono prima scissi in monosaccaridi da enzimi detti glicosidasi per poi essere catabolizzati singolarmente. In alcuni casi, come per la cellulosa, il legame glicosidico è particolarmente difficile da scindere e pertanto sono necessari enzimi specifici (in questo caso la cellulasi) senza i quali è impossibile catabolizzare tali zuccheri. Note [1] (EN) Definizione IUPAC Gold Book (http:/ / goldbook. iupac. org/ P04752. html) Bibliografia • T. W. Graham Solomons, Chimica organica, 2a ed., Bologna, Zanichelli, 2001, pp. 901-938. ISBN 88-08-09414-6 Voci correlate • Zucchero Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/ Category:Carbohydrates Collegamenti esterni • Esperienze in laboratorio - I carboidrati (http://www.itchiavari.org/chimica/lab/carboidr.html) • Diete senza pane e pasta Pochi carboidrati e la memoria svanisce (http://salute24.ilsole24ore.com/salute/ alimentazione/1312_diete_senza_pane_e_pastapochi_carboidratie_la_memoria_svanisce.php) Glucosio 26 Glucosio Glucosio Nomi alternativi destrosio (la forma D) D-(+)o(-)-glucopiranosio. Caratteristiche generali Formula bruta o molecolare C6H12O6 Massa molecolare (u) Aspetto Numero CAS 180,16 solido cristallino bianco [50-99-7 [1] ] Proprietà chimico-fisiche Solubilità in acqua 910 g/L a 25 °C Temperatura di fusione (K) ~419 (~146 °C) Proprietà termochimiche ΔfH0 (kJ·mol−1) -1273,3 Indicazioni di sicurezza Frasi H -- Consigli P -- [2] Il glucosio (o "glucoso") è un monosaccaride aldeidico; è il composto organico più diffuso in natura, sia libero sia sotto forma di polimeri. Caratteristiche Ha formula CH2OH(CHOH)4CHO, e differisce dal galattosio per la sua configurazione. È una molecola chirale, ne esistono quindi due enantiomeri: • L'enantiomero destrogiro (D-glucosio o destrosio) è il più diffuso in natura, presente allo stato libero in numerosi frutti zuccherini; si trova anche nella maggior parte dei liquidi organici, nel fegato, nel sangue e nella milza. • L'enantiomero levogiro (L-glucosio). È uno dei carboidrati più importanti ed è usato come fonte di energia sia dagli animali che dalle piante. Il glucosio è il principale prodotto della fotosintesi ed è il combustibile della respirazione. Si scioglie bene in acqua (470 g/L) e poco in etanolo. Una soluzione di 100 g/L in acqua a 20 °C ha pH circa 7. Il glucosio è uno zucchero aldoesoso perché la sua molecola contiene un gruppo -CHO, tipico delle aldeidi (aldo-) e perché è composta da sei atomi di carbonio (-esoso). La sua forma più stabile è quella in cui uno dei gruppi ossidrile si lega al carbonio del gruppo aldeidico (C=O) a formare un anello a 6 atomi, un anello piranosico, la cui struttura è riportata in figura. La reazione di formazione dell'anello è reversibile; a pH 7 circa lo 0,0026% delle molecole è presente in forma aperta. Glucosio 27 Il glucosio è una fonte di energia onnipresente in biologia. Il motivo del perché sia esso e non un altro monosaccaride, ad esempio il fruttosio, è ancora oggetto di speculazione. In assenza di forme di vita che lo sintetizzino, il glucosio può formarsi chimicamente dalla formaldeide, è quindi probabile che fosse presente e ben disponibile quando nacquero i primi sistemi biochimici primitivi. Un'altra proprietà, forse più importante per le forme di vita superiori, è la sua ridotta (rispetto ad altri zuccheri esosi) tendenza a reagire con i gruppi amminici delle proteine. Questa reazione (detta glicazione) riduce o annulla l'attività di molti enzimi ed è responsabile di numerosi effetti a lungo termine del diabete, quali la cecità e la ridotta funzione renale. La bassa reattività del glucosio verso la glicosilazione è dovuta al suo prevalente permanere nella forma ciclica, meno reattiva. Nella respirazione, attraverso una serie di reazioni catalizzate da enzimi, il glucosio viene ossidato fino a formare biossido di carbonio e acqua; l'energia prodotta da questa reazione viene usata per produrre molecole di ATP. Una molecola di glucosio ed una di fruttosio unite da un legame glicosidico formano una molecola di saccarosio, il comune zucchero da tavola. L'amido, la cellulosa ed il glicogeno sono polimeri del glucosio e vengono generalmente classificati come polisaccaridi. Il nome destrosio è dovuto al fatto che una soluzione di D-glucosio ruota il piano della luce polarizzata verso destra (ossia in senso orario). Isomeria La molecola del glucosio è chirale; esistono quindi due enantiomeri, l'uno speculare all'altro, il D-glucosio e l'L-glucosio. Dei due, solo il primo (D) è quello utilizzato e prodotto dagli organismi viventi. Quando la molecola del glucosio si chiude ad anello, può farlo in due modi diversi; il gruppo -OH legato all'atomo di carbonio immediatamente successivo a quello di ossigeno percorrendo l'anello in senso orario può infatti puntare verso il basso o verso l'alto rispetto al piano medio della molecola, nel primo caso si parla di forma α, nel secondo di forma β. In soluzione acquosa le due forme si convertono l'una nell'altra (mutarotazione) e nel giro di qualche ora le proporzioni si stabilizzano sul rapporto α:β 36:64. Animazione del D-glucosio che si chiude a anello Per stabilire se un carboidrato Le forme cicliche del D-glucosio appartiene alla serie D o alle serie L occorre considerare la forma aperta della molecola e confrontare la disposizione dei sostituenti attorno al penultimo atomo di carbonio con la disposizione dei sostituenti attorno al secondo atomo di carbonio della D-gliceraldeide. Il carboidrato è D se ha il penultimo carbonio con il gruppo alcolico a destra, L se la molecola è speculare alla forma destrogira. Glucosio 28 Sintesi Nei sistemi viventi • è il prodotto della fotosintesi nelle piante ed in alcuni procarioti; • viene prodotto nel fegato per scissione delle riserve di glicogeno; • viene prodotto nel fegato e dalla surrene tramite un processo noto come gluconeogenesi. Ruolo nel metabolismo I carboidrati sono una fonte di energia molto importante per gli organismi viventi; la loro combustione attraverso la respirazione fornisce circa 4 kilocalorie per grammo. Attraverso la glicolisi, il glucosio è immediatamente coinvolto nella produzione dell'adenosin-trifosfato (ATP), che è il vettore energetico delle cellule. È altresì un composto critico nella sintesi delle proteine e nel metabolismo dei lipidi. Inoltre, dato che le cellule del sistema nervoso non sono in grado di metabolizzare i lipidi, il glucosio rappresenta la loro fonte principale di energia. Misuratore di glucosio per esseri umani Il glucosio è assorbito nel sangue attraverso le pareti intestinali. Parte di esso viene indirizzato direttamente alle cellule cerebrali, mentre il rimanente si accumula nei tessuti del fegato e dei muscoli in una forma polimerica affine all'amido, il glicogeno. Quest'ultimo è una fonte di energia ausiliaria per il corpo e funge da riserva che viene consumata quando è necessario. Proprio il rapido assorbimento del glucosio ne fa uno degli zuccheri semplici a più alto indice glicemico, tanto che viene internazionalmente utilizzato come unità di misura di tale indice, e posto a 100. Il fruttosio ed il galattosio, altri zuccheri che si formano dalla scissione dei carboidrati, vengono indirizzati al fegato, dove vengono a loro volta convertiti in glucosio. Questo percorso più lungo ne fa degli zuccheri più adatti per un utilizzo dilazionato nel tempo, in quanto il loro indice glicemico è inferiore, ma la loro efficacia è più duratura, in virtù del lento rilascio in forma di glucosio da parte del fegato. Trasporto transepiteliale del glucosio L'assorbimento del glucosio a livello intestinale richiede l'intervento di diversi trasportatori del glucosio, ovvero proteine integrali di membrana che mediano il passaggio delle molecole del monosaccaride da una parte all'altra dell'epitelio. Il modello che descrive questo processo prende in considerazione tre trasportatori detti SGLUT1, Na+/K+ ATPasi (pompa sodio-potassio) e GLUT2. Il sodio entra nelle cellule dell'epitelio tramite un simporto Sodio-Glucosio, SGLUT1, grazie a un gradiente di concentrazione favorevole trascinando con sé il glucosio. La differenza di concentrazione è mantenuta grazie alla pompa sodio/potassio che espelle costantemente ioni Na+ fuori dalla cellula. Il glucosio poi può raggiungere la circolazione sanguigna attraverso GLUT2 senza bisogno di ulteriore energia perché si muove secondo gradiente. Glucosio 29 Note [1] http:/ / toolserver. org/ ~magnus/ cas. php?cas=50-99-7& language=it [2] scheda del D-glucosio su IFA-GESTIS (http:/ / gestis-en. itrust. de) Voci correlate • • • • • • • • • • • • ATP Ciclo di Calvin Ciclo di Krebs Diabete Dolcificante NADH Galattosio Glicolisi Fruttosio Fotosintesi Monosaccaride Tessuti glucosio-dipendenti Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Glucose Collegamenti esterni • (EN) Ulteriori informazioni sulla chimica e la biochimica del glucosio, su EvoWiki (http://www.evowiki.org/ index.php/Glucose) Glicogeno 30 Glicogeno Il glicogeno è un polimero (omopolimero) del glucosio. È l'analogo dell'amido, un altro polimero meno ramificato del glucosio. Struttura I legami tra unità di glucosio successive sono α (1-4) per la maggior parte, anche se sono presenti legami α (1-6). Si tratta quindi di un polisaccaride ramificato, ha un peso molecolare molto più elevato. Funzione Il glicogeno è una fonte energetica negli animali (umani inclusi) e nei funghi. Nei vertebrati è conservato prevalentemente nel fegato e nei muscoli scheletrici. Sintesi Visione schematica bidimensionale di una sezione di glicogeno. Una proteina centrale di glicogenina è circondata da ramificazioni di unità di glucosio. L'intero [1] granulo globulare può contenere approssimativamente 30,000 unità di glucosio. Il processo di biosintesi del glicogeno è anche diretto da tre enzimi, ma questo è un processo energeticamente sfavorito, ecco perché deve intervenire l'UTP (un analogo dell'ATP) per far sì che la reazione si verifichi . Gli enzimi partecipanti sono: UDP-Glicogeno-Pirofosfatasi, Glicogeno-Sintasi e Enzima Ramificante. Il primo enzima converte il Glu-1P in UDP-Glucosio, il secondo aggancia questo Glucosio sotto forma di UDP-Glu al glicogeno, dando UDP + Glicogeno, il terzo, come dice il suo stesso nome, ramifica. La regolazione di questa via può essere di due tipi: • Allosterica: con un intervento diretto su Glicogeno Fosforilasi e Glicogeno Sintasi. • Covalente: per fosforilazione e defosforilazione sugli stessi enzimi. Degradazione Il glicogeno è una molecola che, al momento del bisogno può andare incontro ad una demolizione, per produrre glucosio, utile alle vie glicolitiche dell'organismo; ma altre volte è lo stesso glucosio che può risultare in eccesso e può dunque essere stipato sotto forma di glicogeno. La degradazione del glicogeno è catalizzata dalla glicogeno fosforilasi. Questo enzima viene attivato da adrenalina o glucagone in un meccanismo che comporta l'attivazione dell'adenilato ciclasi e la conseguente produzione di cAMP. Il processo di demolizione del glicogeno consta di tre fasi, operate da tre enzimi, quali: glicogeno fosforilasi, enzima deramificante e fosfoglucomutasi. Il primo mira a rompere i legami α(1-4)-glicosidici a dare Glu-1P, ma solo se distanti almeno quattro unità dal punto di ramificazione; è per questo che interviene l'enzima deramificante, che permette la funzionalità della Glicogeno Fosforilasi anche lì dove non potrebbe; in ultimo interviene la Fosfoglucomutasi che converte le molecole di Glu-1P in Glu-6P. Glicogeno 31 Note [1] Page 12 in: (http:/ / books. google. dk/ books?id=SRptlOx7yj4C& printsec=frontcover& hl=en) Exercise physiology: energy, nutrition, and human performance By William D. McArdle, Frank I. Katch, Victor L. Katch Edition: 6, illustrated Published by Lippincott Williams & Wilkins, 2006 ISBN 0-7817-4990-5, 9780781749909, 1068 pages Voci correlate • Sintesi del glicogeno • glicogenolisi Altri progetti • Wikizionario contiene la voce di dizionario: http://it.wiktionary.org/wiki/glicogeno Amido L'amido è un carboidrato polisaccaridico che consiste di un gran numero di unità di glucosio unite tra loro da legame glicosidico. L'amido puro è una polvere bianca, insapore ed inodore, che risulta insolubile nell'acqua fredda o in alcol. L'amido è prodotto dalle piante verdi, dove è utilizzato come riserva nelle cellule vegetali, ed è un'importante fonte alimentare anche per l'uomo. La macromolecola, quando è disciolta in acqua calda, può anche essere utilizzata in numerosi processi industriali come agente addensante o collante. Foto al microscopio di una patata. Sono visibili gli agglomerati di amido dal colore scuro. Composizione È composto da due polimeri: l'amilosio (che ne costituisce circa il 20%) e l'amilopectina (circa l'80%). In entrambi i casi si tratta di polimeri del glucosio, che si differenziano l'uno dall'altro per la struttura. L'amilosio è un polimero lineare che tende ad avvolgersi ad elica, in cui le unità di glucosio sono Struttura dell'amido. legate tra loro con legami glicosidici α(1→4) (tra il sito 1 di una unità e quello 4 dell'unità successiva). L'elica è costituita da 6 molecole di glucopiranosio (glucosio) per spira, stabilizzate da legami a idrogeno come nel DNA. L'amilopectina è invece un polimero ramificato che presenta catene di base di struttura simile all'amilosio che si dispongono a formare una struttura ramificata; ogni 24-30 unità di glucosio si innestano Amido 32 catene laterali attraverso legami α(1→6). L'amilopectina ha una struttura a grappolo costituita da segmenti di tipo A (15-20 unità di glucopiranosio) e catene di tipo B meno numerose. Sullo scheletro delle catene di Tipo B s'insediano le catene di tipo A che costituiscono le ramificazioni. L'amilopectina è caratterizzata da strutture amorfe e strutture cristalline; le prime sono costituite di legami α(1→6), mentre le strutture cristalline danno origine a tratti di doppia elica. L'amilopectina è disposta verso l'interno in prossimità del centro dei granuli di amido. Una molecola di amilosio può contenere sino a 1000 residui di glucosio. L'amilosio lega insieme la struttura più espansa dell'amilopectina. Biosintesi e Funzione L'amido è il carboidrato di riserva delle piante, immagazzinato come fonte energetica, sintetizzato per via enzimatica a partire dal glucosio, a sua volta prodotto dalla fotosintesi clorofilliana 6 CO2 + 6 H2O + luce → C6H12O6 + 6 O2 n C6H12O6 + enzima → H-(C6H10O5)n-OH + n-1 H2O La formazione dell'amido, cioè l'unione dell'amilosio e dell'amilopectina, è catalizzata da un enzima chiamato amido sintetasi. Proprietà In natura l'amido ha disposizione semicristallina nei granuli, il che ne determina la quasi totale insolubilità in acqua a temperatura ambiente; una parziale solubilizzazione è possibile attraverso un aumento della temperatura, e porta alla formazione di un gel. Il processo è influenzato dall'origine botanica dell'amido e dalla quantità di acqua. Un altro effetto del processo di gelatinizzazione è la variazione della digeribilità dell'amido: la forma cristallina è difficilmente attaccabile dagli enzimi (quali α- e β-amilasi), mentre quella gelatinizzata lo è di più in conseguenza della disorganizzazione strutturale avvenuta. Utilizzi L'amido si trova nei frutti, nei semi e nei tuberi delle piante. Nell'industria alimentare le cinque fonti principali di amido sono il mais, le patate, il riso, la tapioca e il grano. Anche i legumi come i fagioli ne sono ricchi. L'amido riveste particolare importanza nell'industria alimentare, quale agente addensante, e nella produzione della carta, cartone e colle, in forma di salda d'amido, grazie alle sue proprietà collanti. In questo caso l'amido viene utilizzato direttamente nell'impasto della cellulosa conferendo maggiore resistenza meccanica alla carta che ne risulta. Altre applicazioni dell'amido riguardano l'industria farmaceutica dove viene utilizzato come eccipiente. Una semplice analisi qualitativa che indica la presenza dell'amido può essere condotta in laboratorio saggiando la sostanza con il reattivo di Lugol. In presenza di amido, il reattivo tende a legarsi (in particolare all'elica dell'amilosio) dando un complesso che assorbe la luce, virando verso il blu scuro. In ambito educativo, può essere utilizzato per creare esperimenti sui liquidi non newtoniani. Amido 33 Derivati dell'amido Tra i principali vi sono: • Amido modificato • Destrine • Glucosio e derivati: ottenuti per conversione enzimatica dell'amido, fino a ridurre il polimero glucosidico a due monomeri (maltosio) o a singole molecole di glucosio. • Fruttosio Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Starch Cellulosa Cellulosa Nomi alternativi --Caratteristiche generali Formula bruta o molecolare (C6H10O5)n Aspetto Numero CAS solido cristallino bianco [9004-34-6 [1] ] Proprietà chimico-fisiche Proprietà termochimiche Indicazioni di sicurezza Frasi R -- Frasi S -- La cellulosa è uno dei più importanti polisaccaridi. È costituita da un gran numero di molecole di glucosio (da circa 300 a 3.000 unità) unite tra loro da un legame -1--->4 glicosidico. La catena polimerica non è ramificata. Cellulosa Struttura Le catene sono disposte parallelamente le une alle altre e si legano fra loro per mezzo di legami ad idrogeno molto forti, formando fibrille, catene molto lunghe, difficili da dissolvere. Queste fibrille localmente sono molto ordinate al punto da raggiungere una struttura cristallina. La parte cristallina è idrofoba, ossia non assorbe acqua, e quindi per poter ottenere un prodotto idrofilo (come il comune cotone) occorre sottoporre la cellulosa ad un insieme di trattamenti detti mercerizzazione, dal nome del chimico e industriale tessile inglese John Mercer che ideò il processo nel 1844 e lo brevettò nel 1851. Circa la metà delle pareti cellulari delle piante è costituita da cellulosa, ma il cotone, per esempio, è cellulosa quasi al 100%. La cellulosa è idrolizzata, in particolari condizioni, nel disaccaride cellobiosio che successivamente è idrolizzato a glucosio. Nell'intestino dell'uomo questo processo idrolitico non avviene perché mancano gli enzimi per rompere il legame -1--->4 glicosidico. Nei prestomaci dei ruminanti e nell'intestino cieco degli erbivori monogastrici (equidi), invece, sono presenti numerosi batteri e protozoi simbionti che convertono il legame β in un legame α, scindibile da tutti gli animali. Economia della cellulosa La "cellulosa" è importante commercialmente in quanto da essa si ricavano numerosi derivati: il rayon, si ottiene dalla cellulosa in una soluzione di idrossido di sodio e solfuro di carbonio, con lo stesso metodo si può ottenere il cellophane. Altri prodotti sono la carta e la viscosa. I vari gruppi costituenti la cellulosa possono reagire con acido nitrico per dare il nitrato di cellulosa (un esplosivo conosciuto come "cotone fulminante" o "fulmicotone"). Il nome cellulosa fu introdotto nel 1839 da Ansalme Payen, professore francese di Chimica Applicata. La cellulosa è uno dei tanti polimeri che si trovano in natura. La cellulosa è una fibra eccellente. Cotone e canapa sono costituite da cellulosa fibrosa. Estrazione chimica ed ottenimento di pasta chimica I processi chimici sono finalizzati a sciogliere la lignina in fase acquosa acida o alcalina e separarla dalla cellulosa insolubile. La composizione chimica dipende dalla composizione del legno adoperato; la resa è influenzata da vari fattori, tra cui il tipo di legno, le tecniche di lavorazione e il processo di ottenimento. Può arrivare al 90-95 %. Aspetto: fascetti di fibre di lunghezza variabile, frammenti di fibre e fibre isolate; consumo di energia: circa 12 kcal/tonn di pasta; 34 Cellulosa In seguito alla lavorazione delle parti legnose di un albero, si ottiene la polpa di cellulosa. È costituita perlopiù da cellulosa ed in quantità minore da sottoprodotti della lavorazione e da costituenti del legno originario. Si distingue dalla polpa di legno per la maggior quantità di cellulosa e la minor presenza di altri composti originari del legno (come la lignina). 35 Fibre di cellulosa Qualità della pasta Una pasta di cellulosa ad alto contenuto di lignina dà luogo a carta con bassa resistenza ad invecchiamento e soggetta ad ingiallimento a causa della presenza di doppi legami. Questa pasta più economica è usata per giornali, cartoni e altri oggetti cartacei di uso giornaliero. La pasta più pregiata, detta pasta chimica, permette di ottenere carte di maggior pregio, usate ad esempio per riviste patinate o per altri usi come l'imballaggio alimentare. Produzione della polpa di cellulosa Il legno è formato indicativamente da: • • • • Cellulosa (ca. 45%) Emicellulosa (ca. 30%) Lignina (ca. 23%) Estraibili vari: terpeni, resine, acidi grassi (ca. 5%) Cellulosa ed emicellulosa costituiscono le fibre del legno, mentre la lignina è l'interfibra che le tiene unite. Oggi la maggior parte delle industrie utilizza come materia prima polpa di cellulosa prodotta altrove (ed eventualmente carta di riciclo). La polpa si ottiene dal legno mediante diversi processi. In tutti i casi si parte dal tronco di legno o dai chip, pezzetti di legno ricavati dai sottoprodotti della lavorazione del legname. Qualora si lavorino tronchi interi, questi dopo essere stati scortecciati, vengono spaccati o macinati, riducendo il legno ad una pezzatura idonea alle seguenti lavorazioni. Le tre principali filiere di produzione della polpa sono il ciclo al solfato (ca. 80%), il ciclo al solfito ed il semichimico. Paste chimiche: processo Kraft La lignina viene sfibrata chimicamente (con soda caustica e solfuro di sodio) e selettivamente, lasciando intatte le fibre di cellulosa: si ottiene una pasta marrone che richiede molti sbiancanti, ma la carta finale è molto resistente (kraft, che in tedesco significa forte). Il processo ha degli svantaggi ambientali (lo zolfo genera odore di uova marce, e ci sono molti scarti acquosi) e di resa (solo il 50% del legno viene trasformato in pasta, anche se molti scarti vengono bruciati e l’energia recuperata). Cellulosa 36 Paste meccaniche (groundwood pulping) La lignina viene sfibrata con uno sminuzzamento meccanico (grinding) e le fibre cellulosiche vengono liberate ma anche parzialmente danneggiate: la carta prodotto è meno resistente e viene generalmente usata per carta da giornale, elenchi telefonici ecc… Il processo ha dei vantaggi di resa (il 95% del legno viene trasformato in pasta), ma richiede molta energia meccanica. Paste semichimiche (CTMP) Il processo di formazione della pasta è intermedio: il legno viene trattato chimicamente e successivamente viene trattato con vapore e meccanicamente (Chemo Thermo Mechanical Pulping). La carta prodotta è più forte di quella ottenuta da paste meccaniche e può essere utilizzata per produrre carte patinate. Approccio biologico Dalla metà del XX secolo si sono implementati gli sforzi accademici e privati (soprattutto dei paesi scandinavi e statunitensi) per migliorare i processi di estrazione della polpa di cellulosa rendendoli più eco-compatibili. Le ultime scoperte puntano alla sostituzione dei prodotti chimici con batteri ed al trattamento di sbiancamento con ossigeno in presenza di catalizzatori. Il fungo Ceriporiopsis subvermispora viene inoculato nella polpa di legno in determinate condizioni, grazie alle quali attacca la lignina e rompe i legami che la legano alla cellulosa, generando dopo qualche settimana una biopolpa, simile ma di qualità superiore rispetto alla polpa di legno, e di costo inferiore. Successivamente la biopolpa viene candeggiata per via chimica con ossigeno e un catalizzatore del tipo a ossimetallati (per esempio Na7[SiV2W10O40] ) oppure per via biochimica con una xilanasi di batterio ipertermofilo[2]. Note [1] http:/ / toolserver. org/ ~magnus/ cas. php?cas=9004-34-6& language=it [2] M.B. Brennan, Chem. Eng. News, 23 marzo 1998, 39 Voci correlate • Economia a legna • Legno • Triacetato di cellulosa Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Cellulose 37 Lipidi Lipidi I lipidi (detti anche grassi, dal greco lypos, grasso) sono molecole organiche, presenti in natura, raggruppate sulla base delle loro proprietà comuni di solubilità: sono insolubili in acqua (definiti per questo idrofobi), mentre sono solubili in solventi organici non polari, come l'etere dietilico o l'acetone. I lipidi hanno una densità significativamente minore di quella dell'acqua (dunque galleggiano). Dal punto di vista strutturale, sono costituiti prevalentemente da atomi di carbonio, e di idrogeno uniti tra loro con legami covalenti scarsamente polari (caratteristica che conferisce il comportamento idrofobo) e disposti simmetricamente. Nonostante la loro somiglianza in termini di solubilità, i lipidi sono molto diversi tra loro per quanto riguarda la struttura chimica, in quanto comprendono esteri e idrocarburi e possono essere aciclici, ciclici o policiclici. A seconda del grado di complessità, i lipidi si suddividono in 3 categorie: lipidi semplici, lipidi complessi e lipidi derivati. Struttura generica di un fosfolipide Ruolo fisiologico I lipidi rappresentano un'importante riserva energetica in quanto sono in grado di liberare una grande quantità di calorie per unità di massa, il valore calorico di un grammo di lipidi è circa il doppio rispetto a zuccheri e proteine, proprio per questo sono il substrato energetico ideale per le cellule. Da ricordare che proprio i lipidi fungono da trasportatori di vitamine liposolubili (A, D, F, E, K) e pertanto eccessive riduzioni di lipidi nella dieta possono provocare una diminuzione dell'apporto vitaminico. I grassi nell'organismo assumono anche altre funzioni che vanno oltre all'importante funzione energetica; il loro deposito vicino ad organi importanti come cuore, fegato, milza, reni, cervello e midollo spinale rappresenta un importante protezione meccanica, ed inoltre il suo deposito nel sottocute svolge un ruolo isolante contro le basse temperature. Durante l'attività fisica i lipidi vengono utilizzati insieme ai carboidrati, fornendo in ugual misura l'energia necessaria per attività di medio basso livello, se l'attività fisica si protrae per almeno un'ora si va incontro ad un esaurimento delle scorte di carboidrati (glicogeno) e ad un corrispondente aumento dell'utilizzo di lipidi. Lipidi Lipidi semplici Sono costituiti da carbonio, idrogeno e ossigeno, e comprendono trigliceridi, cere e terpeni. I lipidi di origine animale sono contenuti abbondantemente nel burro, strutto e sego. Trigliceridi I trigliceridi o triacilgliceroli sono i lipidi più semplici ma anche più abbondanti in origine naturale, e costituiscono i grassi animali e gli oli vegetali. Servono soprattutto come deposito per l'energia prodotta e immagazzinata a livello di tessuto adiposo (grasso sottocutaneo). Un trigliceride è un lipide costituito da una molecola di glicerolo a cui sono legati 3 acidi grassi. Il glicerolo (1,2,3-propantriolo) è un alcol con tre atomi di carbonio, ciascuno con un gruppo ossidrilico, mentre l'acido grasso è formato da un gruppo carbossilico e da una catena idrocarburica. I 3 acidi grassi sono uniti a una molecola di glicerolo per esterificazione, grazie ai gruppi ossidrilici del glicerolo. Spesso i 3 acidi grassi sono differenti. Gli acidi grassi sono i lipidi più semplici e comuni, e possono differire per la lunghezza e/o il tipo di legame tra gli atomi di carbonio, legami che possono essere tutti singoli, e allora si parla di acidi grassi saturi, oppure no, e in questo caso si parla di acidi grassi insaturi (monoinsaturi se c'è un solo doppio legame, polinsaturi altrimenti). Sono stati isolati, da varie cellule e tessuti, più di 500 tipi di acidi grassi, e si può notare che quasi sempre questi hanno un numero pari di atomi di carbonio, solitamente compreso tra 12 e 20. Gli acidi grassi insaturi, se in configurazione cis, creano una piega. Le pieghe dei grassi insaturi impediscono alle molecole di compattarsi saldamente e di solidificare a temperatura ambiente. La maggior parte dei grassi vegetali è composta da oli insaturi, mentre i grassi animali si dividono: nei pesci prevalgono i grassi insaturi, negli animali terrestri quelli saturi. Le diete ricche di grassi saturi portano alla aterosclerosi. Cere Le cere sono esteri di acidi grassi a elevato numero di atomi di carbonio con alcoli alifatici monossidrilici. Questi possono essere saturi o insaturi, a catena lineare e a catena ramificata. Le cere si trovano come costituenti degli esseri viventi, sia nel mondo vegetale (ad esempio la cera carnauba e la cera montana) sia nel mondo animale (ad esempio la cera d'api e la lanolina, che si ricava dalla lana). Le cere costituiscono lo strato di protezione dei vegetali e costituiscono anche lo scheletro di molti insetti e il rivestimento del piumaggio degli uccelli acquatici. Terpeni Diffusi nel mondo vegetale con l'unità di base costituita dall'isoprene (una struttura a cinque atomi di carbonio). Lipidi complessi I lipidi complessi, detti anche lipoidi, sono costituiti da carbonio, idrogeno, ossigeno e fosforo o azoto e sono frutto di esterificazione degli acidi grassi con alcoli di vario tipo. Comprendono fosfolipidi, fosfatidi, glicolipidi e solfolipidi. I lipidi complessi sono anche detti saponificabili perché se immersi in soluzione alcalina formano saponi. Questi lipidi sono costituiti da esteri del glicerolo. Tutti contengono acidi grassi a catena più o meno lunga (acido butirrico, acido propionico fino agli acidi stearico e palmitico a oltre 10 atomi di carbonio). 38 Lipidi Fosfolipidi Sono simili ai trigliceridi dal punto di vista strutturale, ma contengono un gruppo fosfato che conferisce una carica negativa, e quindi polarità, alla molecola. Il risultato finale è che ogni fosfolipide ha una testa idrofila e una coda idrofoba: si dice quindi anfipatico. Questa particolare struttura li rende idonei a formare le membrane biologiche che avvolgono le cellule e gli organuli cellulari. Infatti, in un ambiente liquido le molecole di fosfolipidi si dispongono con i gruppi idrofili rivolti sia verso la soluzione acquosa interna alle cellule, sia verso quella esterna, relativa all’ambiente circostante. Invece le code idrofobe si attraggono tra loro occupando una posizione mediana. In particolare un fosfolipide è composto da una molecola di glicerolo che si lega a due catene di acidi grassi e a un gruppo fosfato (PO43-). I fosfolipidi (lipidi di membrana) sono i principali componenti della frazione lipidica delle membrane cellulari. Possiamo riconoscere due tipi di fosfolipidi: • fosfogliceridi; • sfingolipidi: particolarmente abbondanti nel tessuto nervoso. Steroidi Sono lipidi policiclici derivati del ciclopentanoperidrofenantrene. I loro scheletri carboniosi sono piegati per formare quattro anelli uniti tra loro. Sono sempre costruiti così: tre anelli a sei lati e un anello a cinque lati. Comprendono il colesterolo, componente essenziale delle membrane cellulari eucariotiche, precursore di molti ormoni, oltre che precursore della vitamina D3 e degli acidi biliari. Esiste una sintesi endogena costante di colesterolo che può essere eccessivamente stimolata da una dieta ricca di grassi. Contenuto energetico I lipidi hanno un altissimo contenuto energetico e, nell'ambito dei tre gruppi di macromolecole che compongono gli elementi nutritivi per la cellula: • Grassi (o lipidi) l'ossidazione di 1 g di lipidi genera 9 kcal = 37,65 kJ • Zuccheri (o glucidi) l'ossidazione di 1 g di glicidi genera 4 kcal = 16,74 kJ • Proteine (o protidi) l'ossidazione di 1 g di proteine genera 4 kcal = 16,74 kJ Questi dati valgono per le misure in un calorimetro, in particolare per le proteine (prodotti finali CO2 e N2). Nell'organismo umano il prodotto finale del catabolismo proteico è invece rappresentato dall'urea, quindi l'energia di reazione è un po' minore (circa 15 kJ). Negli animali e nell'uomo, il principale utilizzo del grasso è come riserva energetica per il corpo e come isolante termico. I grassi vengono immagazzinati principalmente nel tessuto adiposo sotto forma di trigliceridi (lipidi di accumulo). 39 Lipidi 40 Bibliografia • T. W. Graham Solomons, Chimica organica, 2a ed., Bologna, Zanichelli, 2001, pp. 939-968. ISBN 88-08-09414-6 Voci correlate • • • • • • • • • Steroide Acidi grassi Trigliceridi Fosfolipidi Colesterolo Metabolismo dei lipidi Beta-ossidazione Fabbisogno sostanziale umano Numero di acidità Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Lipids Trigliceride I triglicèridi detti anche triacilgliceròli sono esteri neutri del glicerolo e formati da tre acidi grassi a media o lunga catena[1]. Fanno parte della famiglia dei gliceridi assieme ai monogliceridi e digliceridi. Essi costituiscono una parte importante dell'olio vegetale e del grasso animale. Il glicerolo è un alcool a tre atomi di carbonio con un gruppo ossidrilico per ogni carbonio. Gli acidi grassi sono uniti all'alcool tramite legami estere (tramite condensazione: con l'eliminazione di una molecola di acqua). Immagine 3D di un trigliceride Struttura chimica La formula chimica è CH2COOR-CHCOOR'-CH2-COOR", dove R, R', ed R" sono lunghe catene alchiliche. I tre acidi grassi RCOOH, R'COOH ed R"COOH possono essere tutti diversi, tutti uguali o solo due uguali. Se il trigliceride è composto da acidi grassi uguali si dice semplice mentre se gli acidi grassi che lo compongono sono diversi allora si dice misto. La lunghezza delle catene di acidi grassi nelle comuni strutture dei trigliceridi può essere dai 5 ai 28 atomi di carbonio, ma 17 e 19 sono Esempio di un trigliceride insaturo. Parte sinistra: glicerolo, parte destra dall'alto al basso: acido palmitico, acido oleico, acido alfa-linolenico, formula chimica: C55H98O6 Trigliceride più comuni. Catene più corte possono essere rilevate in alcune sostanze (acido butirrico nel burro). Gli acidi grassi naturali nelle piante e negli animali sono prevalentemente composte solo da numeri pari di atomi di carbonio, a causa del modo in cui sono sintetizzate dall'acetil COAH. I batteri tuttavia, possiedono la capacità di sintetizzare catene con numeri dispari e ramificati di acidi grassi. Di conseguenza, i lipidi dei ruminanti contengono proporzioni significative di catene ramificate di acidi grassi, a causa dell'azione dei batteri nel rumine. La maggior parte dei lipidi naturali contiene un complesso insieme di singoli trigliceridi; a causa di questo, essi fondono ad una gran varietà di temperature. Il burro di cacao è inusuale perché composto da una piccola varietà di trigliceridi, uno dei quali contiene nell'ordine acido palmitico, acido oleico ed acido stearico. Questo origina una relativamente piccola serie di punti di fusione, causando la scioglievolezza del cioccolato. Nelle cellule, i trigliceridi non possono passare attraverso la membrana cellulare liberamente, ma devono essere precedentemente trasformati da enzimi detti lipasi, che ne catalizzano l'idrolisi ad acidi grassi e glicerolo (processo detto lipolisi). Sintesi I triacilgliceroli vengono prodotti nei tessuti animali a partire da due precursori (gli acil-CoA e l'L-glicerolo 3-fosfato) mediante una serie di reazioni enzimatiche. Il glicerolo 3-fosfato si può formare in due modi. Può derivare dal diidrossiacetone fosfato prodotto nella glicolisi per azione della glicerolo 3-fosfato deidrogenasi NAD-dipendente localizzata nel citosol, mentre nel rene e nel fegato può formarsi dal glicerolo mediante una fosforilazione catalizzata dalla glicerolo chinasi. Gli altri precursori dei triacilgliceroli sono gli acil-CoA, che si formano dagli acidi grassi ad opera della acil-CoA sintetasi, lo stesso enzima che attiva gli acidi grassi per farli entrare nella β ossidazione. La prima fase della sintesi dei triacilgliceroli è l'acilazione dei due gruppi ossidrilici liberi di L-glicerolo 3-fosfato con due molecole di acil-CoA per generare diacilglicerolo 3-fosfato, più conosciuto con il nome di acido fosfatidico o fasfatidato. Nella via che porta alla formazione di triacilgliceroli, il fosfatidato viene idrolizzato da parte della fosfatidato fosfatasi per formare 1,2-diacilglicerolo. I diacilgliceroli possono essere convertiti in triacilgliceroli per transesterificazione con una terza molecola di acil-CoA. Note [1] Nomenclatura dei lipidi (http:/ / www. chem. qmul. ac. uk/ iupac/ lipid/ ). IUPAC-IUB Commission on Biochemical Nomenclature (CBN). URL consultato il 8 marzo 2007. Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/ Category:Triglycerides 41 42 Enzimi Enzima Gli enzimi sono i catalizzatori dei sistemi biologici. La parola enzima deriva dal greco ἐν ζύμῳ (en zýmō, nel lievito).[1] La stragrande maggioranza degli enzimi sono proteine (proteine enzimatiche). Una piccola minoranza di enzimi sono molecole di RNA.[2] Le molecole di RNA dotate di potere catalitico costituiscono una sottocategoria peculiare degli enzimi chiamata ribozimi (o enzimi a RNA). Il processo di catalisi indotto da un enzima (come da un qualsiasi altro catalizzatore) consiste in una accelerazione della velocità della reazione e quindi in un più rapido raggiungimento dello stato di equilibrio termodinamico. Un enzima accelera unicamente le velocità delle reazioni chimiche, diretta ed inversa (dal composto A al composto B e viceversa), senza intervenire sui processi che ne regolano la spontaneità. Il suo ruolo consiste nel facilitare le reazioni attraverso l'interazione tra il substrato (la molecola o le molecole che partecipano alla Immagine generata al computer dell'enzima Purina nucleoside fosforilasi reazione) ed il proprio sito attivo (la parte di enzima in cui avvengono le reazioni), formando un complesso. Avvenuta la reazione, il prodotto viene allontanato dall'enzima, che rimane disponibile per iniziarne una nuova. L'enzima infatti non viene consumato durante la reazione. Concetti generali Come tutti i catalizzatori, anche gli enzimi permettono una riduzione dell'energia di attivazione (ΔG‡) di una reazione, accelerando in modo consistente la sua velocità. La maggior parte delle reazioni biologiche catalizzate da enzimi hanno una velocità superiore di milioni di volte alla velocità che avrebbero senza alcun catalizzatore. Come per tutti i catalizzatori, gli enzimi non sono consumati dalla reazione che catalizzano, né alterano l'equilibrio chimico della reazione. In ogni caso, la differenza principale degli enzimi dagli altri catalizzatori chimici è la loro estrema specificità di substrato. Essi infatti sono in grado di catalizzare solo una reazione o pochissime reazioni simili, poiché il sito attivo interagisce con i reagenti in modo stereospecifico (è sensibile anche a piccolissime differenze della struttura tridimensionale). Enzima 43 Secondo la banca dati ExplorEnz della IUBMB, sono state individuate finora 4038 reazioni biochimiche catalizzate da enzimi.[3] Tutti gli enzimi sono proteine, ma non tutti i catalizzatori biologici sono enzimi, dal momento che esistono anche catalizzatori costituiti di RNA, chiamati ribozimi.[4] L'attività enzimatica può essere influenzata da altre molecole. Esistono infatti molecole in grado di inibire tale attività (molti farmaci e veleni sono inibitori enzimatici). Sono note anche molecole attivatrici dell'enzima, in grado di aumentarne l'attività. L'attività può essere anche influenzata dalla temperatura, dal pH e dalla concentrazione di substrato. Alcuni enzimi sono utilizzati per fini industriali. La sintesi chimica di numerosi farmaci, ad esempio, è portata a termine attraverso l'utilizzo di enzimi. Anche diversi prodotti di uso domestico fanno ampio uso di enzimi. Diversi detersivi contengono enzimi per velocizzare la degradazione delle proteine e dei lipidi che compongono le macchie. La papaina, enzima estratto dalla papaia, è invece utilizzato in numerosi prodotti per le sue caratteristiche proteolitiche: dall'intenerimento della carne, processo noto già agli indigeni americani, all'utilizzo in applicazioni topiche sulle ferite e sulle cicatrici. Storia Gli uomini primitivi trovandosi nella necessità di conservare il più a lungo possibile il latte cominciarono a produrre il formaggio: per caso o per osservazione dei visceri di animali macellati scoprirono che lo stomaco dei vitelli e delle giovani capre cagliava il latte. Solo molte centinaia di anni dopo si comprese che il caglio altro non era se non un enzima.[5] Sebbene fin dalla fine del XVII secolo processi come la digestione della carne ad opera dei secreti gastrici[6] o la conversione di amido a zucchero attraverso la saliva erano ampiamente noti, gli esatti meccanismi attraverso cui questi eventi avessero luogo, invece, erano del tutto sconosciuti.[7] Louis Pasteur Nel XIX secolo, Louis Pasteur suggerì che fosse la presenza di entità da lui chiamate fermenti, contenute all'interno delle cellule di lievito, e prive di ogni funzione all'esterno delle cellule, a far avvenire questi processi. Scrisse che la fermentazione alcolica è un processo correlato con la vita e l'organizzazione delle cellule di lievito, e non con la morte e la putrefazione delle cellule stesse.[8] La parola enzima fu utilizzata per la prima volta nel 1878 dal fisiologo Wilhelm Kühne. Egli scelse tale parola (in greco ἐν ζύμῳ - en zýmō - significa all'interno del lievito) proprio perché si riteneva che entità del genere potessero trovarsi solo all'interno di cellule di lievito. Nel 1897 Eduard Buchner iniziò a studiare la capacità degli estratti di lievito di portare a termine le fermentazione di zuccheri, anche in assenza di cellule di lievito integre. Gli esperimenti che portò a termine presso l'Università di Berlino gli permisero di determinare che tali fermentazioni avvengono anche in assenza di cellule vive di lievito.[9] Egli chiamò zimasi l'enzima che aveva portato a termine la fermentazione del saccarosio.[10] Nel 1907 Buchner ricevette il Premio Nobel per la Chimica per le ricerche biochimiche e la scoperta della fermentazione indipendente dalla cellula. In seguito alla dimostrazione del funzionamento degli enzimi indipendentemente da una cellula vivente, la ricerca si focalizzò sulla natura chimica degli enzimi stessi. Numerose evidenze mostravano la stretta associazione tra proteine ed attività enzimatica, ma una parte influente della comunità scientifica del primo Novecento (tra cui il Premio Nobel Richard Willstätter) sosteneva che le proteine non fossero altro che semplici trasportatori degli enzimi. Lo scienziato affermava che gli enzimi fossero formati da una parte colloidale proteica, chiamata apoenzima o Enzima apofermento, e da un gruppo attivo chiamato coenzima o cofermento. I cofermenti determinerebbero la specificità dell'azione degli enzimi. Nel 1926, in ogni caso, James Sumner mostrò come l'enzima ureasi fosse una proteina vera e propria cristallizzandolo. Nel 1937 Sumner dimostrò lo stesso per la catalasi. Furono comunque i lavori di Northrop e Stanley sugli enzimi digestivi pepsina, tripsina e chimotripsina a confermare definitivamente le ipotesi di Sumner. I tre ricercatori furono premiati con il Premio Nobel nel 1946.[11] La scoperta che gli enzimi fossero cristallizzabili diede il via ad una corsa tesa alla definizione delle strutture tridimensionali degli enzimi attraverso tecniche come la cristallografia a raggi X. La prima macromolecola ad essere definita con questa tecnica fu il lisozima, enzima deputato alla digestione della parete batterica e contenuto nelle lacrime, nella saliva, nell'albume. La cristallizzazione del lisozima fu portata a termine dal gruppo coordinato da David Chilton Phillips nel 1965[12] e segnò di fatto l'inizio della biologia strutturale. Nomenclatura A partire dalla zimasi caratterizzata da Buchner, tutti gli enzimi sono stati denominati utilizzando il suffisso -asi. Comunemente, il nome dell'enzima viene composto dalla fusione del substrato con il suffisso. Ad esempio la lattasi è in grado di scindere la molecola di lattosio, la DNA polimerasi è coinvolta nella formazione di polimeri di DNA. Esistono in ogni caso delle norme precise per la definizione del nome degli enzimi, messe a punto dalla International Union of Biochemistry and Molecular Biology attraverso la Enzyme Commission, costituita nel 1955. La classificazione degli enzimi si basa sui numeri EC: ad ogni enzima viene associato un codice composto di quattro numeri ed un nome sistematico a seconda della reazione catalizzata. Esistono sei differenti classi di enzimi.[13] • • • • EC 1 - Ossidoreduttasi: catalizzano reazioni di ossidoriduzione; EC 2 - Transferasi: catalizzano il trasferimento di un gruppo funzionale; EC 3 - Idrolasi: catalizzano l'idrolisi di vari tipi di legame chimico; EC 4 - Liasi: catalizzano la rottura di legami covalenti attraverso metodi alternativi all'idrolisi o all'ossidoriduzione; • EC 5 - Isomerasi: catalizzano le isomerizzazioni all'interno di una molecola; catalizzano la riorganizzazione intramolecolare • EC 6 - Ligasi: catalizzano il legame tra due molecole attraverso un legame covalente. Funzioni biologiche Gli enzimi portano a termine una gran quantità di funzioni all'interno degli organismi viventi. • Una delle caratteristiche più importanti degli enzimi è la possibilità di lavorare in successione, creando un pathway metabolico. Nei pathways, ogni enzima utilizza il prodotto della reazione precedente come substrato. È la presenza degli enzimi a determinare i passaggi del pathway: senza enzimi, il metabolismo non passerebbe attraverso gli stessi passaggi e non sarebbe in grado di generare prodotti ad una velocità sufficiente per le esigenze della cellula. Ad esempio, un pathway come la glicolisi non potrebbe esistere in assenza degli enzimi che la compongono. Il glucosio, ad esempio, è in grado di reagire direttamente con l'adenosintrifosfato (ATP) per essere fosforilato su uno o più carboni, ma in assenza di enzimi questo avverrebbe a velocità tanto ridotte da essere insignificante. La rete del metabolismo cellulare dipende dunque dal set di enzimi funzionali presenti. • Un'altra importante funzione degli enzimi è correlata alla digestione negli animali. Enzimi come le amilasi e le proteasi sono in grado di ridurre le macromolecole (nella fattispecie amido e proteine) in unità semplici (maltosio e amminoacidi), assorbibili dall'intestino. In alcuni casi gli enzimi necessari alla digestione possono essere prodotti da organismi ospiti del tubo digerente: nei ruminanti, ad esempio, la cellulasi necessaria alla degradazione della cellulosa è prodotta da alcune specie batteriche. 44 Enzima • Essi sono anche fondamentali per la trasduzione del segnale e la regolazione dei processi cellulari. In particolare, questi processi sono coordinati solitamente da chinasi e fosfatasi.[14] • Gli enzimi sono anche in grado di generare movimento, come avviene ad esempio con la miosina, che idrolizza l'ATP generando la contrazione muscolare o con il trasporto di molecole nei vari dipartimenti cellulari attraverso il citoscheletro.[15] • Altre ATPasi, localizzate presso le membrane cellulari, sono le pompe ioniche, coinvolte nel trasporto attivo. • I virus contengono numerosi enzimi che permettono loro di infettare le cellule. Tra di essi figurano le integrasi e le retrotrascrittasi. • Gli enzimi sono anche coinvolti in funzioni più esotiche, come la generazione di luce nella lucciola, resa possibile dalla presenza della luciferasi.[16] Struttura e funzionamento L'attività degli enzimi è determinata dalla struttura quaternaria[17] (ovvero l'arrangiamento spaziale delle subunità) e dalla struttura terziaria (ovvero la conformazione tridimensionale) degli enzimi stessi. La maggior parte degli enzimi presenta dimensioni decisamente maggiori dei substrati su cui agiscono. Solitamente la regione dell'enzima coinvolta nell'attività catalitica è molto ridotta (conta spesso solo 3-4 amminoacidi).[18] La regione contenente questi residui catalitici, nota come sito attivo, si occupa di prendere contatto con il substrato e di portare a termine la reazione. Gli enzimi possono anche contenere regioni che legano cofattori necessari per la catalisi. Alcuni enzimi presentano anche siti di legame per piccole molecole, spesso prodotti diretti o indiretti della reazione catalizzata. Tale legame può incrementare o ridurre l'attività dell'enzima, attraverso una regolazione a feedback negativo. Specificità La maggior parte degli enzimi presenta una notevolissima specificità per la reazione catalizzata e per i substrati coinvolti. Tale specificità è legata a diversi fattori che caratterizzano l'associazione tra il substrato ed il sito attivo, come la complementarietà dal punto di vista strutturale, le cariche elettriche, la natura idrofila o idrofoba. Schema del modello dell'adattamento indotto Gli enzimi mostrano spesso livelli elevatissimi di stereospecificità, regioselettività e chemoselettività.[19] Alcuni degli enzimi che mostrano la maggiore specificità sono coinvolti nella replicazione e nell'espressione del genoma. Tali enzimi presentano meccanismi di proof-reading (correzione di bozze). Ad esempio enzimi come le DNA polimerasi sono in grado di catalizzare inizialmente la reazione di elongazione del filamento di DNA, quindi di valutare in un secondo momento l'efficienza e la correttezza dell'operazione stessa.[20] Questo processo in due passaggi permette di ridurre enormemente gli errori compiuti (si stima che le DNA polimerasi di mammifero abbiano un tasso di errore di 1 su 100 milioni di reazioni catalizzate.[21]) Simili meccanismi di proof-reading sono presenti anche nelle RNA polimerasi,[22] nelle amminoacil-tRNA sintetasi[23] e nei ribosomi.[24] Esistono in ogni caso anche diversi enzimi caratterizzati da una specificità relativamente più bassa. Diversi enzimi sono infatti in grado di agire su un numero ampio di substrati. Una possibile spiegazione di questa evidenza è legata al fatto che, dal punto di vista evolutivo, essa permetterebbe la costituzione di nuovi pathways metabolici.[25] 45 Enzima Modello chiave-serratura Il primo modello ad essere stato messo a punto per spiegare la specificità degli enzimi è quello suggerito da Hermann Emil Fischer nel 1894, secondo il quale l'enzima ed il substrato possiedono una forma esattamente complementare che ne permette un incastro perfetto.[26] Tale modello è spesso definito come chiave-serratura. In ogni caso tale modello esplica bene la specificità degli enzimi, ma è decisamente meno affidabile nello spiegare la stabilizzazione dello stato di transizione che l'enzima raggiunge durante il legame con il substrato. Modello dell'adattamento indotto Nel 1958 Daniel Koshland propose una modifica del modello chiave-serratura: dal momento che gli enzimi sono strutture relativamente flessibili, egli suggerì che il sito attivo potesse continuamente modellarsi in base alla presenza o meno del substrato.[27] Come risultato, il substrato non si lega semplicemente ad un sito attivo rigido, ma genera un rimodellamento del sito stesso, che lo porta ad un legame più stabile in modo da portare correttamente a termine la sua attività catalitica,[28] come succede ad esempio per la esochinasi[29] e per altri enzimi glicolitici. In alcuni casi, come avviene per le glicosidasi, anche il substrato può cambiare leggermente la propria forma all'ingresso nel sito attivo.[30] Funzionamento Il legame iniziale tra enzima e substrato è necessario anche da un punto di vista energetico. L'energia del legame deriva non solo da eventuali legami covalenti, ma anche da una fitta rete di interazioni deboli, ioniche o elettrostatiche. Solo il corretto substrato è in grado di partecipare a tutte le interazioni previste. Ciò, oltre a spiegare la sorprendente stabilità del legame tra enzima e substrato, permette di comprendere i meccanismi che conferiscono elevata specificità all'enzima stesso. La riduzione dell'energia di attivazione può essere invece spiegata dal fatto che tutte le interazioni tra enzima e substrato sono possibili solo quando il substrato si trova nello stato di transizione. Tale stato è dunque stabilizzato (in un certo senso esso viene forzato) dal legame tra enzima e substrato. Il substrato nello stato di transizione può essere considerato un vero e proprio nuovo substrato di una nuova reazione, avente una energia di attivazione inferiore a quella originale. La riduzione della ΔG‡ può dunque essere intesa come conseguenza della creazione di una sorta di nuova reazione, impossibile senza la presenza dell'enzima corretto. L'affinità dell'enzima per il substrato è quindi la condizione necessaria per il suo funzionamento; ma questo non significa che nel complesso le forze di interazione debbano essere molto elevate: se il complesso enzima-substrato fosse eccessivamente stabile, per esempio, l'enzima non tenderebbe a formare i prodotti. Se fosse invece troppo alta l'affinità tra enzima e stato di transizione (o tra enzima e prodotto) la reazione si bloccherebbe, non permettendo al complesso di dissociarsi e liberare i prodotti. Strategie catalitiche Alcune delle strategie comunemente messe in atto dagli enzimi per catalizzare reazioni sono le seguenti.[31] • Catalisi covalente. Il sito attivo contiene un gruppo reattivo (solitamente nucleofilo), che viene legato covalentemente in modo temporaneo nel corso della reazione. Questo è il meccanismo sfruttato da enzimi come la chimotripsina. • Catalisi acido-base. Nel sito attivo è presente un residuo amminoacidico che funge da donatore o accettore di elettroni. Nella stessa chimotripsina, ad esempio, è presente un'istidina in grado di incrementare il potere nucleofilo della serina, responsabile del legame con il substrato. • Catalisi mediata da ioni metallici. Gli ioni metallici possono svolgere funzioni catalitiche in diversi modi. Ad esempio, possono funzionare da catalizzatori elettrofili, che stabilizzano la carica negativa di un intermedio di reazione. In modo analogo, uno ione metallico può generare un nucleofilo incrementando l'acidità di una molecola posta nelle vicinanze, come avviene per la molecola di acqua durante l'idratazione dell'anidride 46 Enzima 47 carbonica catalizzata dall'anidrasi carbonica. In alcuni casi, lo ione metallico può anche legare direttamente il substrato, incrementando così l'energia di legame. Questa è la strategia seguita ad esempio dalle nucleosidemonofosfato chinasi (dette anche NMP chinasi). • Catalisi da avvicinamento. In numerose reazioni che coinvolgono più substrati, il fattore limitante è la scarsa possibilità che i substrati si dispongano vicini e nel corretto orientamento. Enzimi come le stesse NMP chinasi sono ad esempio in grado di disporre due nucleotidi vicini tra loro, facilitando il trasferimento di un gruppo fosfato da un nucleotide all'altro. Analisi recenti hanno svelato ulteriori correlazioni tra le dinamiche interne dell'enzima e l'efficienza di catalisi risultante.[32][33][34] Le regioni interne di un enzima (dai singoli amminoacidi fino alle eliche alfa) possono cambiare posizione e conformazione in tempi che vanno dai femtosecondi ai secondi: sono tali spostamenti a cambiare la rete di interazioni possibili con il substrato, con conseguenze importanti a livello di aumento o un calo dell'efficienza catalitica.[35][36][37][38] Questo ha conseguenze fondamentali a livello dello studio della modulazione allosterica, dell'inibizione e dell'attivazione enzimatica. Modulazione allosterica Alcuni enzimi sono provvisti, oltre che del sito attivo, anche di cosiddetti siti allosterici, che funzionano come degli interruttori, potendo bloccare o attivare l'enzima. Quando una molecola particolare fa infatti da substrato per questi siti, la struttura dell'enzima viene completamente modificata, al punto che esso può non funzionare più. Al contrario, può avvenire che la deformazione metta in funzione l'enzima. Molto spesso la deformazione consiste in un riorientamento dei domini che compongono l'enzima in modo da rendere il sito attivo più accessibile (attivatori) o meno accessibile (inibitori). Queste molecole che regolano l'attività enzimatica sono dette effettori allosterici o modulatori allosterici. L'enzima fosfofruttochinasi, dotato di siti di modulazione allosterica Il sito allosterico può essere anche lo stesso sito attivo dell'enzima: in questo caso, in genere, gli attivatori sono gli stessi reagenti, mentre gli inibitori allosterici saranno i prodotti. Molti effettori hanno effetti simili su più enzimi diversi: in questo modo l'allosteria può essere utilizzata per sincronizzare diverse reazioni che si trovano lungo la stessa via o su vie diverse. Ad esempio l'ATP è un inibitore allosterico di molti enzimi che operano su reazioni di catabolismo (glicolisi, ciclo di Krebs...): così quando la sua concentrazione è alta, ovvero la cellula ha molta energia a disposizione, lo stesso ATP rallenta le vie che portano alla produzione di ulteriori molecole ad alto contenuto energetico. Enzima Meccanismi di reazione a due substrati I meccanismi di reazione a due substrati sono: • Bi-Bi ordinato: si legano i substrati S1 e S2 e si staccano i prodotti P1 e P2 in ordine (come in molte ossidoreduttasi NAD+(P) dipendenti). • Bi-Bi Random: si legano i due substrati e si staccano i due prodotti in vari ordini (come in molte chinasi e alcune deidrogenasi). • Ping Pong (o doppio spostamento): si attacca il substrato S1 e si stacca il prodotto P1, poi si attacca S2 e si stacca P2 (come per le amminotrasferasi e serina proteasi). Cofattori Molti enzimi contengono molecole non proteiche che partecipano alla funzione catalitica. Queste molecole, che si legano spesso all'enzima nelle vicinanze del sito attivo, vengono definite cofattori. Combinandosi con la forma non attiva dell'enzima (apoenzima), esse danno origine ad un enzima cataliticamente attivo (oloenzima). Queste molecole spesso vengono divise in due categorie sulla base della natura chimica: i metalli ed i coenzimi (piccole molecole organiche). Sulla base del legame con l'enzima, invece, si distinguono i gruppi prostetici ed i cosubstrati. I gruppi prostetici sono di solito strettamente legati agli enzimi, generalmente in modo permanente. I cosubstrati sono invece legati più debolmente agli enzimi (una singola molecola di cosubstrato a volte può associarsi successivamente con enzimi diversi) e servono come portatori di piccole molecole da un enzima ad un altro. La maggior parte delle vitamine, composti che gli esseri umani e altri animali non sono in grado di sintetizzare autonomamente, sono cofattori (o precursori di cofattori). 48 Enzima 49 Termodinamica Come per tutti i catalizzatori, gli enzimi non modificano l'equilibrio chimico della reazione. Solitamente, in presenza di un enzima, la reazione si svolge nella stessa direzione in cui si svolgerebbe senza. L'unica differenza è la velocità della reazione. Di conseguenza, gli enzimi possono catalizzare in modo equivalente sia la reazione diretta che quella inversa. Ad esempio, l'anidrasi carbonica catalizza la reazione in entrambe le direzioni a seconda della concentrazione dei reagenti. Diagramma di una reazione catalitica che mostra l'energia richiesta a vari stadi lungo l'asse del tempo (coordinate di reazione). I substrati normalmente necessitano di una notevole quantità di energia (picco rosso) per giungere allo stato di transizione, onde reagire per formare il prodotto. L'enzima crea un microambiente nel quale i substrati possono raggiungere lo stato di transizione (picco blu) più facilmente, riducendo così la quantità d'energia richiesta. Essendo più facile arrivare a uno stato energetico minore la reazione può avere luogo più frequentemente e di conseguenza la velocità di reazione sarà maggiore. (nei tessuti, con alta concentrazione di CO2) (nel polmone, con bassa concentrazione di CO2) In ogni caso, se l'equilibrio è decisamente spostato in una direzione (in caso ad esempio di una reazione esoergonica), la reazione diventa irreversibile, e l'enzima si trova de facto a poter catalizzare la reazione solo in quella direzione. Sebbene l'unica differenza tra la presenza e l'assenza di un enzima sia la velocità di reazione, a volte l'assenza dell'enzima può dare il via allo sviluppo di altre reazioni non catalizzate, che conducono alla formazione di diversi substrati. In assenza di catalizzatori, infatti, possono subentrare reazioni differenti, caratterizzate da una minore energia di attivazione. La presenza degli enzimi, inoltre, può permettere l'accoppiamento di due o più reazioni, in modo che una reazione favorita dal punto di vista termodinamico possa essere sfruttata per portarne a termine una sfavorita. Questo è quello che avviene con l'idrolisi dell'ATP, utilizzata comunemente per avviare numerose reazioni biologiche. Enzima 50 Cinetica La cinetica enzimatica si occupa in modo particolare degli aspetti cinetici (cioè legati al fattore tempo) del legame enzima-substrato e della conseguente generazione di un prodotto. I dati di velocità utilizzati nelle analisi cinetiche sono ottenuti da saggi enzimatici. Nel 1913 Leonor Michaelis e Maud Menten proposero una Meccanismo di una reazione a substrato (S) singolo catalizzata da un enzima (E) a teoria quantitativa della cinetica enzimatica, generare un prodotto (P) che è tuttora nota come cinetica di Michaelis-Menten.[39] Il loro lavoro è stato ulteriormente ampliato nel 1925 da George Edward Briggs e John Burdon Sanderson Haldane, che hanno messo a punto le equazioni cinetiche utilizzate comunemente ancora oggi.[40] Il maggior contributo di Michaelis e Menten fu quello di suddividere idealmente l'azione degli enzimi in due fasi. Nella prima fase, il substrato si lega reversibilmente all'enzima, formando il complesso enzima-substrato (ES), a volte chiamato complesso di Michaelis-Menten in loro onore. La fase successiva è la vera e propria conversione del substrato a prodotto. Gli enzimi sono in grado di catalizzare alcuni milioni di reazioni al secondo. Per esempio, la reazione catalizzata dalla orotidina-5-fosfato decarbossilasi impiega circa 25 millisecondi per processare la stessa quantità di substrato che, in assenza dell'enzima, verrebbe convertita in 78 milioni di anni.[41] La velocità enzimatica dipende dalle condizioni della soluzione e dalla concentrazione del substrato. Condizioni denaturanti, come le alte temperature, pH lontani dalla neutralità o alte concentrazioni saline riducono l'attività enzimatica. Alte concentrazioni di substrato, invece, tendono ad incrementare l'attività. Curva di saturazione per una reazione enzimatica: evidenziata la relazione tra la concentrazione di substrato (S) e la velocità di reazione (v) La velocità massima di una reazione enzimatica è individuabile incrementando la concentrazione di substrato fino a raggiungere un livello a cui la velocità stessa rimane costante (nella curva di saturazione, è il livello indicato in alto a destra). La saturazione ha luogo perché, all'aumentare della concentrazione di substrato, una quantità sempre maggiore di enzima libero è convertita nella forma ES. Alla velocità massima (definita Vmax) dell'enzima, tutti i siti attivi dell'enzima sono saturi di substrato, e l'ammontare del complesso ES è pari a quello dell'enzima stesso. Enzima 51 Le costanti cinetiche degli enzimi La Vmax è solo una delle costanti cinetiche che caratterizzano gli enzimi. Un'altra molto usata fornisce informazioni sulla quantità di substrato necessaria per raggiungere una determinata velocità di reazione. Si tratta della costante di Michaelis-Menten (abbreviata comunemente come Km), definita come la concentrazione di substrato necessaria per raggiungere la metà della Vmax. Ogni enzima presenta una Km caratteristica relativamente ad ogni diverso substrato. Altra costante molto utilizzata è la kcat (o numero di turnover), definita come il numero di molecole di substrato convertite per secondo. L'efficienza dell'enzima può essere espressa come rapporto tra kcat e Km. Tale rapporto è anche definito costante di specificità. Dal momento che tale costante incorpora sia l'affinità che l'abilità catalitica, spesso si utilizza per confrontare l'efficienza di diversi enzimi o quella di un unico enzima con differenti substrati. Il massimo teoretico per la costante di specificità è chiamato limite di diffusione ed è compreso tra 108 e 109 M−1 s−1. In questo intervallo, ogni collisione tra enzima e substrato ha come effetto la produzione di un prodotto, e la velocità di formazione del prodotto non è limitata dalla velocità di reazione ma dal limite di diffusione. Enzimi che presentano una tale proprietà sono detti enzimi cataliticamente perfetti o cineticamente perfetti. Esempi di enzimi di questo tipo sono la trioso fosfato isomerasi, l'anidrasi carbonica, l'acetilcolinesterasi, la catalasi, la fumarasi, la beta lattamasi e la superossido dismutasi. Alcuni enzimi possono operare con velocità maggiori dei limiti di diffusione. Sebbene ciò possa sembrare impossibile, esistono alcuni modelli in grado di spiegare il fenomeno.[42][43] Inibizione enzimatica Gli inibitori enzimatici sono sostanze in grado di diminuire o annullare l'azione catalitica di un enzima. Possono agire legandosi al sito attivo competitivamente al substrato (inibizione competitiva) o legandosi ad un sito allosterico. L'inibizione può essere reversibile, rendendo possibile il ripristino della funzione catalitica dell'enzima tramite aumento della concentrazione del substrato rispetto all'inibitore; o irreversibile con l'impossibilità di potere ripristinare l'attività catalitica. Gli induttori, invece, sono sostanze in grado di interagire con i siti enzimatici in modo da aumentare la funzionalità dell'enzima. Gli inibitori competitivi legano l'enzima in modo reversibile, impedendo il legame con il substrato. Il legame con il substrato, viceversa, impedisce il legame dell'inibitore. Inibitori reversibili Sono molecole che si legano non covalentemente all'enzima motivo per cui dopo la loro rimozione l'enzima torna ad essere funzionante. Enzima 52 Inibizione competitiva Gli inibitori competitivi occupano il sito di legame del substrato, impedendo al substrato di legarsi correttamente (formazione di un complesso EI al posto di uno ES). Se però si verifica prima il legame enzima-substrato, l'inibitore competitivo perde di efficacia. La consistenza dell'inibizione dipende dunque sia dalla concentrazione di inibitore che da quella di substrato. Spesso gli inibitori competitivi mimano in modo notevole la forma dei substrati di cui inibiscono il legame. Ad esempio il metotrexato è un inibitore competitivo della diidrofolato reduttasi, che catalizza la riduzione del diidrofolato a tetraidrofolato. Gli inibitori non competitivi legano siti alternativi a quello che lega il susbstrato. Il legame di tali inibitori, tuttavia, genera cambiamenti conformazionali tali da impedire l'ingresso del substrato o generarne la sua espulsione. All'aumentare della concentrazione di inibitore la kmapp aumenta la velocità della reazione. Asintoticamente però la velocità tende ancora a Vmax per cui l'effetto dell'inibitore può essere annullato aumentando la concentrazione di substrato. Inibizione non competitiva Gli inibitori non competitivi sono in grado di legare siti differenti dal sito attivo. Essi sono dunque in grado di legare sia l'enzima libero, sia in configurazione ES. Il loro legame all'enzima genera un cambiamento conformazionale dell'enzima stesso, che può avere come conseguenza l'inibizione del legame tra enzima e substrato. Non essendoci dunque competizione tra inibitore e substrato, l'importanza dell'inibizione dipende esclusivamente dalla concentrazione dell'inibitore stesso. L'inibitore causa una diminuzione della Vmax ma non modifica la km. Inibizione acompetitiva (e incompetitiva) Un inibitore acompetitivo si lega a un sito diverso da quello del substrato, presente solamente nel complesso ES: interagisce solo con ES e non con E. Vmax e km diminuiscono di uno stesso fattore all'aumentare della concentrazione di inibitore: Vmax/km è costante. Inibizione mista In realtà non si verifica un'inibizione puramente non competitiva, ma un'inibizione di tipo misto in cui variano sia Vmax che km in modo diverso. In pratica l'inibizione acompetitiva e l'inibizione mista avvengono solo negli enzimi con due o più substrati. Enzima Inibitori irreversibili Alcuni inibitori sono in grado di reagire con l'enzima e formare un legame covalente. L'inattivazione così indotta è irreversibile. Esistono diversi composti di questo tipo: una classe importante è quella dei cosiddetti inibitori suicidi, che contano al loro interno la eflornitina, un farmaco utilizzato per trattare la malattia del sonno.[44] Anche la penicillina ed i suoi derivati agiscono in questo modo. Gli antibiotici di questa classe vengono legati dal sito attivo dell'enzima bersaglio (le transpeptidasi) e vengono convertiti in un intermedio che reagisce in modo irreversibile con alcuni residui presenti nel sito attivo. Utilizzi degli inibitori Gli inibitori sono spesso utilizzati come farmaci, ma possono agire anche come veri e propri veleni. In realtà, la differenza tra farmaco e veleno è esclusivamente una questione di dose del composto: la maggior parte dei farmaci, infatti, se somministrati ad alte dosi può risultare tossica, come già Paracelso evidenziò nel XVI secolo: "In tutte le cose c'è un veleno, e senza un veleno non c'è nulla.[45] Il principio della dose è lo stesso per cui gli antibiotici e gli altri agenti anti-infezione sono veleni per il patogeno e non per l'organismo umano. • Un esempio di inibitore utilizzato come farmaco è l'aspirina, che inibisce l'attività delle ciclossigenasi COX-1 e COX-2, che producono le prostaglandine, mediatori dell'infiammazione, riducendo dunque la sensazione di dolore. • Il cianuro è invece un inibitore irreversibile che si combina con il rame ed il ferro presenti nel sito attivo dell'enzima citocromo c ossidasi, bloccando la catena di trasporto degli elettroni e, di conseguenza, la respirazione cellulare.[46] In molti organismi anche i prodotti degli enzimi possono agire come una sorta di inibitori, attraverso un meccanismo di feedback negativo. Se un enzima produce troppo prodotto, esso può infatti agire come inibitore dell'enzima stesso, riducendo o bloccando la produzione di ulteriore prodotto. Tale meccanismo è molto frequente negli enzimi coinvolti in pathway metabolici: la esochinasi, ad esempio, è inibita da alte quantità di glucosio-6-fosfato. Regolazione dell'attività enzimatica La cellula è in grado di controllare l'attività degli enzimi in almeno cinque modalità principali. 1. Produzione degli enzimi. La trascrizione e la sintesi proteica dei geni relativi agli enzimi sono controllati con i comuni meccanismi che regolano l'espressione genica. In particolare, tale regolazione spesso risponde a stimoli esterni alla cellula. Ad esempio, alcuni batteri possono diventare resistenti agli antibiotici attraverso l'induzione di enzimi ad hoc (ad esempio la resistenza alla penicillina è dovuta all'enzima beta-lattamasi, che genera l'idrolisi dell'anello beta-lattamico che caratterizza la molecola). Un altro esempio è l'induzione delle citocromo P450 ossidasi nel fegato, coinvolte nel metabolismo dei farmaci. 2. Compartimentalizzazione degli enzimi. L'utilizzo di vescicole ed organelli da parte della cellula è essenziale per permettere lo svolgimento di diversi pathway metabolici (anche partendo dagli stessi substrati di base). Ad esempio gli acidi grassi sono biosintetizzati da un set di enzimi presenti nel citosol, nel reticolo endoplasmatico e nell'apparato del Golgi, mentre gli stessi acidi grassi sono utilizzati nel mitocondrio, come fonte di energia attraverso la beta ossidazione.[47] 3. Feedback negativo. I prodotti finali di un pathway metabolico sono spesso inibitori dei primi enzimi della stessa via metabolica (solitamente quelli che caratterizzano le reazioni irreversibili), regolando così l'intero flusso della via metabolica. Un tale meccanismo di regolazione è definito a feedback negativo, perché la quantità di prodotto generato dipende dalla concentrazione del prodotto stesso. I meccanismi di feedback negativo sono in grado di regolare finemente l'attività degli enzimi in base alle necessità della cellula, permettendo una ottimizzazione della gestione dei metaboliti a disposizione ed un corretto mantenimento dell'omeostasi. 4. Modificazioni post traduzionali. La fosforilazione, la miristilazione e la glicosilazione sono solo alcune delle possibili modificazioni che i singoli amminoacidi di un enzima possono subire in seguito alla sua traduzione. Tali 53 Enzima modificazioni sono molto utilizzate per la regolazione della trasduzione del segnale. Ad esempio la cellula epatica è in grado di rispondere al segnale ormonale dell'insulina attraverso la fosforilazione di numerosi enzimi, tra cui la glicogeno sintetasi, che così avvia la glicogenosintesi, riducendo la glicemia.[48] Un altro esempio di modificazione post traduzionale è il taglio di intere sezioni di proteina. La chimotripsina, ad esempio, è biosintetizzata in forma inattiva (come chimotripsinogeno) nel pancreas e viene trasportata nell'intestino tenue, dove è attivata. Questo permette all'enzima di non avviare la sua attività proteolitica nel sito di produzione (nel pancreas, in questo caso), ma solo dove ce n'è davvero bisogno (nel tubo digerente). Questi tipi di precursori inattivi sono detti zimogeni. 5. Attivazione in ambienti differenti da quelli di produzione. Un'ultima via di regolazione molto usata è la biosintesi di enzimi attivi solo in condizioni molto differenti. L'emagglutinina del virus dell'influenza, ad esempio, viene attivata solo in seguito ad un notevole cambiamento conformazionale indotto dal contatto con l'ambiente acido dell'endosoma della cellula infettata.[49] Simile processo subiscono gli enzimi lisosomiali, che vengono attivati solo in presenza del pH acido tipico dell'organello. Cascate enzimatiche Le cascate enzimatiche sono sistemi costituiti da più enzimi i quali agiscono tra loro causando delle modificazioni covalenti. Le cascate possono essere monocicliche, bicicliche o multicicliche. Effetto del pH sull'attività degli enzimi Gli enzimi, come le altre proteine, presentano attività massima ad un pH ottimale. A pH diversi alcuni residui amminoacidici si protonano o deprotonano modificando la struttura del sito attivo e dell'enzima in generale. Questo ne diminuisce o inibisce l'attività catalitica. Enzimi e patologie Dal momento che il controllo dell'attività enzimatica è necessario per l'omeostasi cellulare, qualsiasi suo malfunzionamento può indurre risultati patologici. Mutazioni, sovrapproduzione o sottoproduzione del gene codificante per un enzima può indurre ad esempio una patologia genetica. L'importanza degli enzimi nei processi cellulari può essere ulteriormente dimostrata dal fatto che il malfunzionamento di un solo enzima (su migliaia) è in grado di indurre una patologia seria. Ad esempio la fenilchetonuria è dovuta alla mutazione di un solo amminoacido nel gene per la fenilalanina idrossilasi, che catalizza il primo step nella conversione della fenilalanina a tirosina, essenziale per evitare all'organismo gli effetti tossici dovuti all'accumulo ematico di fenilalanina. Tale mutazione genera la perdita di ogni attività enzimatica, con conseguenze neurologiche gravi, tra cui un importante ritardo mentale.[50] Applicazioni industriali Gli enzimi sono enormemente utilizzati nell'industria chimica ed in altre applicazioni industriali che richiedono catalizzatori estremamente specifici. Le principali limitazioni al loro impiego sono la scarsa stabilità in solventi differenti da quello biologico e - ovviamente - il numero limitato di reazioni per cui l'evoluzione ha messo a punto enzimi efficaci. Di conseguenza, sta assumendo un'importanza sempre crescente una nuova area di ricerca che punta alla messa a punto di enzimi con determinate proprietà, sia attraverso la modifica di enzimi esistenti, sia attraverso una sorta di evoluzione in vitro.[51][52] 54 Enzima Settore Industria alimentare 55 Applicazione Panificazione Enzimi utilizzati Funzioni α-amilasi fungine. Catalizzano la conversione dell'amido presente nella farina in zuccheri semplici. Utilizzate nella produzione di pane in genere, si inattivano intorno ai 50 °C e sono dunque distrutte durante il processo di cottura. Proteasi I produttori di biscotti le utilizzando per ridurre la concentrazione di proteine nella farina. Alimenti per neonati Tripsina Proteasi utilizzata per predigerire gli alimenti destinati ai neonati. Birrificazione Enzimi contenuti nell'orzo. Degradano amido e proteine producendo zuccheri semplici, amminoacidi e brevi peptidi, utilizzati dai lieviti per la fermentazione. Enzimi dell'orzo prodotti industrialmente. Largamente utilizzati per la birrificazione industriale come sostituto degli enzimi naturali dell'orzo. Amilasi, glucanasi e proteasi Degradano i polisaccaridi e le proteine del malto. Beta glucosidasi Ottimizza il processo di filtrazione. Amiloglucosidasi Permette la produzione di birre a basso contenuto calorico. Proteasi Rimuovono la torbidezza che si genera durante la conservazione delle birre. Succhi di frutta Cellulasi, pectinasi Chiarificano i succhi di frutta Industria casearia Rennina Derivata dallo stomaco di giovani ruminanti (come vitelli e agnelli), è usata nella manifattura di formaggi per idrolizzare proteine. Vari enzimi prodotti da microrganismi Il loro impiego è crescente nel settore. Lipasi Utilizzata nella produzione di formaggi come il Roquefort. Lattasi Degradano il lattosio a glucosio e galattosio. Intenerimento della carne Papaina Con la sua azione proteolitica, ammorbidisce la carne per la cottura. Trattamento dell'amido Amilasi, amiloglucosidasi e glucoamilasi Convertono l'amido in glucosio (molto utilizzati nella produzione di sciroppi). Glucosio isomerasi Converte il glucosio in fruttosio, per la produzione di sciroppi ad alta concentrazione di fruttosio (che, rispetto al saccarosio, presenta alte caratteristiche dolcificanti e basso contenuto calorico). industria cartiera Amilasi, xilanasi, cellulasi e ligninasi Le amilasi favoriscono la degradazione dell'amido, al fine di ottenere una viscosità inferiore. Le xilanasi favoriscono lo sbiancamento della carta. Le cellulasi ammorbidiscolo le fibre. Le ligninasi rimuovono la lignina per rendere la carta più morbida. Produzione di biocarburanti Cellulasi Utilizzate per degradare la cellulosa in zuccheri semplici utilizzabili per le fermentazioni. Detersivi Soprattutto proteasi (in una specifica isoforma in grado di funzionare all'esterno delle cellule Utilizzate nelle fasi di prelavaggio, con applicazione diretta sulle macchie di natura proteica. Amilasi Utilizzate per il lavaggio di stoviglie con macchie particolarmente resistenti di amido e derivati. Lipasi Utilizzate per ottimizzare la rimozione di macchie di unto e grassi di vario tipo. Proteasi Permettono la rimozione di varie proteine dalle lenti, per prevenire eventuali infezioni. Pulizia delle lenti a contatto Enzima 56 Produzione di gomma Catalasi Consente la produzione di ossigeno a partire dal perossido, per convertire il lattice in gomma schiumosa. Fotografia Proteasi (ficina) Degradano la gelatina presente sulle pellicole di scarto per il recupero del contenuto di argento. Biologia molecolare Enzimi di restrizione, DNA ligasi e polimerasi Utilizzate per la manipolazione del DNA nelle tecniche di ingegneria genetica. Ampi utilizzi in farmacologia, agricoltura e medicina (tra cui la medicina forense). Note [1] [2] [3] [4] [5] [6] [7] (EN) Smith AD (Ed) et. al. 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Bolognani (a cura di), Sistemi enzimatici a cascata, collana: Quaderni di Biochimica (n°44), Piccin-Nuova Libraria, 1990.ISBN 88-299-0871-1 Voci correlate • Cascata enzimatica • Inibitore enzimatico • Proteina • • • • • • • Catalizzatore Ribozima Abzima Isoenzima Cinetica di Michaelis-Menten Zimogramma BRENDA Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Enzymes Collegamenti esterni • (EN) Enzyme spotlight (http://www.ebi.ac.uk/intenz/spotlight.jsp): approfondimento mensile di un enzima a cura dell'Istituto europeo di bioinformatica. • (EN) BRENDA (http://www.brenda-enzymes.org): banca dati contenente informazioni e dati di letteratura relativi a tutti gli enzimi conosciuti. • (EN) KEGG (http://www.genome.jp/kegg/): banca dati contenente informazioni complete sugli enzimi ed i relativi pathway. • (EN) MACiE (http://www-mitchell.ch.cam.ac.uk/macie): banca dati contenente informazioni sui meccanismi di reazione. • (EN) Enzyme Structures Database (http://www.ebi.ac.uk/thornton-srv/databases/enzymes/): fornisce il collegamento da un determinato enzima alla sua struttura tridimensionale nella Protein Data Bank. • (EN) ExPASy enzyme (http://us.expasy.org/enzyme/): fornisce il collegamento da un determinato enzima alle informazioni ad esso correlate nel database Swiss-Prot. Catalisi enzimatica Catalisi enzimatica La catalisi enzimatica è un tipo di catalisi realizzata da catalizzatori proteici detti enzimi. È la catalisi con la quale avvengono praticamente tutte le reazioni biochimiche. Specificità degli enzimi La maggior parte degli enzimi presenta una notevolissima specificità per la reazione catalizzata e per i substrati coinvolti. Tale specificità è legata a diversi fattori che caratterizzano l'associazione tra il substrato ed il sito attivo, come la complementarietà dal punto di vista strutturale, le cariche elettriche, la natura idrofilica o Schema del modello dell'adattamento indotto idrofobica. Gli enzimi mostrano spesso livelli elevatissimi di stereospecificità, regioselettività e chemoselettività.[1] Alcuni degli enzimi che mostrano la maggiore specificità sono coinvolti nella replicazione e nell'espressione del genoma. Tali enzimi presentano meccanismi di proof-reading (correzione di bozze). Ad esempio enzimi come le DNA polimerasi sono in grado di catalizzare inizialmente la reazione di elongazione del filamento di DNA, quindi di valutare in un secondo momento l'efficienza e la correttezza dell'operazione stessa.[2] Questo processo in due passaggi permette di ridurre enormemente gli errori compiuti (si stima che le DNA polimerasi di mammifero abbiano un tasso di errore di 1 su 100 milioni di reazioni catalizzate.[3]) Simili meccanismi di proof-reading sono presenti anche nelle RNA polimerasi,[4] nelle amminoacil-tRNA sintetasi[5] e nei ribosomi.[6] Esistono in ogni caso anche diversi enzimi caratterizzati da una specificità relativamente più bassa. Diversi enzimi sono infatti in grado di agire su un numero ampio di substrati. Una possibile spiegazione di questa evidenza è legata al fatto che, dal punto di vista evolutivo, essa permetterebbe la costituzione di nuovi pathways metabolici.[7] Modello chiave-serratura Il primo modello ad essere stato messo a punto per spiegare la specificità degli enzimi è quello suggerito da Hermann Emil Fischer nel 1894, secondo il quale l'enzima ed il substrato possiedono una forma esattamente complementare che ne permette un incastro perfetto.[8] Tale modello è spesso definito come chiave-serratura. In ogni caso tale modello esplica bene la specificità degli enzimi, ma è decisamente meno affidabile nello spiegare la stabilizzazione dello stato di transizione che l'enzima raggiunge durante il legame con il substrato. Modello dell'adattamento indotto Nel 1958 Daniel Koshland propose una modifica del modello chiave-serratura: dal momento che gli enzimi sono strutture relativamente flessibili, egli suggerì che il sito attivo potesse continuamente modellarsi in base alla presenza o meno del substrato.[9] Come risultato, il substrato non si lega semplicemente ad un sito attivo rigido, ma genera un rimodellamento del sito stesso, che lo porta ad un legame più stabile in modo da portare correttamente a termine la sua attività catalitica,[10] come succede ad esempio per la esochinasi[11] e per altri enzimi glicolitici. In alcuni casi, come avviene per le glicosidasi, anche il substrato può cambiare leggermente la propria forma all'ingresso nel sito attivo.[12] 59 Catalisi enzimatica Funzionamento Il legame iniziale tra enzima e substrato è necessario anche da un punto di vista energetico. L'energia del legame deriva non solo da eventuali legami covalenti, ma anche da una fitta rete di interazioni deboli, ioniche o elettrostatiche. Solo il corretto substrato è in grado di partecipare a tutte le interazioni previste. Ciò, oltre a spiegare la sorprendente stabilità del legame tra enzima e substrato, permette di comprendere i meccanismi che conferiscono elevata specificità all'enzima stesso. La riduzione dell'energia di attivazione può essere invece spiegata dal fatto che tutte le interazioni tra enzima e substrato sono possibili solo quando il substrato si trova nello stato di transizione. Tale stato è dunque stabilizzato (in un certo senso esso viene forzato) dal legame tra enzima e substrato. Il substrato nello stato di transizione può essere considerato un vero e proprio nuovo substrato di una nuova reazione, avente una energia di attivazione inferiore a quella originale. La riduzione della ΔG‡ può dunque essere intesa come conseguenza della creazione di una sorta di nuova reazione, impossibile senza la presenza dell'enzima corretto. L'affinità dell'enzima per il substrato è quindi la condizione necessaria per il suo funzionamento; ma questo non significa che nel complesso le forze di interazione debbano essere molto elevate: se il complesso enzima-substrato fosse eccessivamente stabile, per esempio, l'enzima non tenderebbe a formare i prodotti. Se l'affinità troppo alta fosse invece tra enzima e stato di transizione (o tra enzima e prodotto) la reazione si bloccherebbe, non permettendo al complesso di dissociarsi e liberare i prodotti. Strategie catalitiche Alcune delle strategie comunemente messe in atto dagli enzimi per catalizzare reazioni sono le seguenti.[13] • Catalisi covalente • Catalisi acido-base • Catalisi mediata da ioni metallici • Catalisi da avvicinamento. In numerose reazioni che coinvolgono più substrati, il fattore limitante è la scarsa possibilità che i substrati si dispongano vicini e nel corretto orientamento. Enzimi come le stesse NMP chinasi sono ad esempio in grado di disporre due nucleotidi vicini tra loro, facilitando il trasferimento di un gruppo fosfato da un nucleotide all'altro. Analisi recenti hanno svelato ulteriori correlazioni tra le dinamiche interne dell'enzima e l'efficienza di catalisi risultante.[14][15][16] Le regioni interne di un enzima (dai singoli amminoacidi fino alle eliche alfa) possono cambiare posizione e conformazione in tempi che vanno dai femtosecondi ai secondi: sono tali spostamenti a cambiare la rete di interazioni possibili con il substrato, con conseguenze importanti a livello di aumento o un calo dell'efficienza catalitica.[17][18][19][20] Questo ha conseguenze fondamentali a livello dello studio della modulazione allosterica, dell'inibizione e dell'attivazione enzimatica. Casi particolari Esistono anche altri tipi di catalisi come la catalisi rotazionale. Modulazione allosterica Alcuni enzimi sono provvisti, oltre che del sito attivo, anche di cosiddetti siti allosterici, che funzionano come degli interruttori, potendo bloccare o attivare l'enzima. Quando una molecola particolare fa infatti da substrato per questi siti, la struttura dell'enzima viene completamente modificata, al punto che esso può non funzionare più. Al contrario, può avvenire che la deformazione metta in funzione l'enzima. Molto spesso la deformazione consiste in un riorientamento dei domini che compongono l'enzima in modo da rendere il sito attivo più accessibile (attivatori) o meno accessibile (inibitori). Queste molecole che regolano l'attività enzimatica sono dette effettori allosterici o modulatori allosterici. 60 Catalisi enzimatica Il sito allosterico può essere anche lo stesso sito attivo dell'enzima: in questo caso, in genere, gli attivatori sono gli stessi reagenti, mentre gli inibitori allosterici saranno i prodotti. Molti effettori hanno effetti simili su più enzimi diversi: in questo modo l'allosteria può essere utilizzata per sincronizzare diverse reazioni che si trovano lungo la stessa via o su vie diverse. Ad esempio l'ATP è un inibitore allosterico di molti enzimi che operano su reazioni di catabolismo (glicolisi, ciclo di Krebs..): così quando la sua concentrazione è alta, ovvero la cellula ha molta energia a disposizione, lo stesso ATP rallenta le vie che portano alla produzione di ulteriori molecole ad alto contenuto energetico. Meccanismi di reazione a due substrati I meccanismi di reazione a due substrati sono: • Bi-Bi ordinato: si legano i substrati S1 e S2 e si staccano i prodotti P1 e P2 in ordine (come in molte ossidoreduttasi NAD+(P) dipendenti). • Bi-Bi Random: si legano i due substrati e si staccano i due prodotti in vari ordini (come in molte chinasi e alcune deidrogenasi). • Ping Pong (o doppio spostamento): si attacca il substrato S1 e si stacca il prodotto P1, poi si attacca S2 e si stacca P2 (come per le amminotrasferasi e serina proteasi). Cofattori Molti enzimi contengono molecole non proteiche che partecipano alla funzione catalitica. Queste molecole, che si legano spesso all'enzima nelle vicinanze del sito attivo, vengono definite cofattori. Combinandosi con la forma non attiva dell'enzima (apoenzima), esse danno origine ad un enzima cataliticamente attivo (oloenzima). Queste molecole spesso vengono divise in due categorie sulla base della natura chimica: i metalli ed i coenzimi (piccole molecole organiche). Sulla base del legame con l'enzima, invece, si distinguono i gruppi prostetici ed i cosubstrati. I gruppi prostetici sono di solito strettamente legati agli enzimi, generalmente in modo permanente. I cosubstrati sono invece legati più debolmente agli enzimi (una singola molecola di cosubstrato a volte può associarsi successivamente con enzimi diversi) e servono come portatori di piccole molecole da un enzima ad un altro. La maggior parte delle vitamine, composti che gli esseri umani e altri animali non sono in grado di sintetizzare autonomamente, sono cofattori (o precursori di cofattori). 61 Catalisi enzimatica 62 Termodinamica Come per tutti i catalizzatori, gli enzimi non modificano l'equilibrio chimico della reazione. Solitamente, in presenza di un enzima, la reazione si svolge nella stessa direzione in cui si svolgerebbe senza. L'unica differenza è la velocità della reazione. Di conseguenza, gli enzimi possono catalizzare in modo equivalente sia la reazione diretta che quella inversa. Ad esempio, l'anidrasi carbonica catalizza la reazione in entrambe le direzioni a seconda della concentrazione dei reagenti. Diagramma di una reazione catalitica che mostra l'energia richiesta a vari stadi lungo l'asse del tempo (coordinate di reazione). I substrati normalmente necessitano di una notevole quantità di energia (picco rosso) per giungere allo stato di transizione, onde reagire per formare il prodotto. L'enzima crea un microambiente nel quale i substrati possono raggiungere lo stato di transizione (picco blu) più facilmente, riducendo così la quantità d'energia richiesta. Essendo più facile arrivare a uno stato energetico minore la reazione può avere luogo più frequentemente e di conseguenza la velocità di reazione sarà maggiore. (nei tessuti, con alta concentrazione di CO2) (nel polmone, con bassa concentrazione di CO2) In ogni caso, se l'equilibrio è decisamente spostato in una direzione (in caso ad esempio di una reazione esoergonica), la reazione diventa irreversibile, e l'enzima si trova de facto a poter catalizzare la reazione solo in quella direzione. Sebbene l'unica differenza tra la presenza e l'assenza di un enzima sia la velocità di reazione, a volte l'assenza dell'enzima può dare il via allo sviluppo di altre reazioni non catalizzate, che conducono alla formazione di diversi substrati. In assenza di catalizzatori, infatti, possono subentrare reazioni differenti, caratterizzate da una minore energia di attivazione. La presenza degli enzimi, inoltre, può permettere l'accoppiamento di due o più reazioni, in modo che una reazione favorita dal punto di vista termodinamico possa essere sfruttata per portarne a termine una sfavorita. Questo è quello che avviene con l'idrolisi dell'ATP, utilizzata comunemente per avviare numerose reazioni biologiche. Catalisi enzimatica 63 Cinetica La cinetica enzimatica si occupa in modo particolare degli aspetti cinetici (cioè legati al fattore tempo) del legame enzima-substrato e della conseguente generazione di un prodotto. I dati di velocità utilizzati nelle analisi cinetiche sono ottenuti da saggi enzimatici. Nel 1913 Leonor Michaelis e Maud Menten proposero una Meccanismo di una reazione a substrato (S) singolo catalizzata da un enzima (E) a teoria quantitativa della cinetica enzimatica, generare un prodotto (P) che è tutt'ora nota come cinetica di Michaelis-Menten.[21] Il loro lavoro è stato ulteriormente ampliato nel 1925 da George Edward Briggs e John Burdon Sanderson Haldane, che hanno messo a punto le equazioni cinetiche utilizzate comunemente ancora oggi.[22] Il maggior contributo di Michaelis e Menten fu quello di suddividere idealmente l'azione degli enzimi in due fasi. Nella prima fase, il substrato si lega reversibilmente all'enzima, formando il complesso enzima-substrato (ES), a volte chiamato complesso di Michaelis-Menten in loro onore. La fase successiva è la vera e propria conversione del substrato a prodotto. Gli enzimi sono in grado di catalizzare alcuni milioni di reazioni al secondo. Per esempio, la reazione catalizzata dalla orotidina-5-fosfato decarbossilasi impiega circa 25 millisecondi per processare la stessa quantità di substrato che, in assenza dell'enzima, verrebbe convertita in 78 milioni di anni.[23] La velocità enzimatica dipende dalle condizioni della soluzione e dalla concentrazione del substrato. Condizioni denaturanti, come le alte temperature, pH lontani dalla neutralità o alte concentrazioni saline riducono l'attività enzimatica. Alte concentrazioni di substrato, invece, tendono ad incrementare l'attività. Curva di saturazione per una reazione enzimatica: evidenziata la relazione tra la concentrazione di substrato (S) e la velocità di reazione (v) La velocità massima di una reazione enzimatica è individuabile incrementando la concentrazione di substrato fino a raggiungere un livello a cui la velocità stessa rimane costante (nella curva di saturazione, è il livello indicato in alto a destra). La saturazione ha luogo perché, all'aumentare della concentrazione di substrato, una quantità sempre maggiore di enzima libero è convertita nella forma ES. Alla velocità massima (definita Vmax) dell'enzima, tutti i siti attivi dell'enzima sono saturi di substrato, e l'ammontare del complesso ES è pari a quello dell'enzima stesso. Catalisi enzimatica 64 Inibizione enzimatica Gli inibitori enzimatici sono sostanze in grado di diminuire o annullare l'azione catalitica di un enzima. Possono agire legandosi al sito attivo competitivamente al substrato (inibizione competitiva) o legandosi ad un sito allosterico. L'inibizione può essere reversibile, rendendo possibile il ripristino della funzione catalitica dell'enzima tramite aumento della concentrazione del substrato rispetto all'inibitore; o irreversibile con l'impossibilità di potere ripristinare l'attività catalitica. Gli induttori, invece, sono sostanze in grado di interagire con i siti enzimatici in modo da aumentare la funzionalità dell'enzima. Gli inibitori competitivi legano l'enzima in modo reversibile, impedendo il legame con il substrato. Il legame con il substrato, viceversa, impedisce il legame dell'inibitore. Inibitori reversibili Sono molecole che si legano non covalentemente all'enzima motivo per cui dopo la loro rimozione l'enzima torna ad essere funzionante. Inibizione competitiva Gli inibitori competitivi occupano il sito di legame del substrato, impedendo al substrato di legarsi correttamente (formazione di un complesso EI al posto di uno ES). Se però si verifica prima il legame enzima-substrato, l'inibitore competitivo perde di efficacia. La consistenza dell'inibizione dipende Gli inibitori non competitivi legano siti alternativi a quello che lega il susbstrato. Il dunque sia dalla concentrazione di legame di tali inibitori, tuttavia, genera cambiamenti conformazionali tali da impedire l'ingresso del substrato o generarne la sua espulsione. inibitore che da quella di substrato. Spesso gli inibitori competitivi mimano in modo notevole la forma dei substrati di cui inibiscono il legame. All'aumentare della concentrazione di inibitore la kmapp aumenta la velocità della reazione. Asintoticamente però la velocità tende ancora a Vmax per cui l'effetto dell'inibitore può essere annullato aumentando la concentrazione di substrato. Ad esempio il metotrexato è un inibitore competitivo della diidrofolato reduttasi, che catalizza la riduzione del diidrofolato a tetraidrofolato. Catalisi enzimatica Inibizione non competitiva Gli inibitori non competitivi sono in grado di legare siti differenti dal sito attivo. Essi sono dunque in grado di legare sia l'enzima libero, sia in configurazione ES. Il loro legame all'enzima genera un cambiamento conformazionale dell'enzima stesso, che può avere come conseguenza l'inibizione del legame tra enzima e substrato. Non essendoci dunque competizione tra inibitore e substrato, l'importanza dell'inibizione dipende esclusivamente dalla concentrazione dell'inibitore stesso. L'inibitore causa una diminuzione della Vmax ma non modifica la km. Inibizione acompetitiva (e incompetitiva) Un inibitore acompetitivo si lega a un sito diverso da quello del substrato, presente solamente nel complesso ES: interagisce solo con ES e non con E. Vmax e km diminuiscono di uno stesso fattore all'aumentare della concentrazione di inibitore: Vmax/km è costante. Inibizione mista In realtà non si verifica un'inibizione puramente non competitiva, ma un'inibizione di tipo misto in cui variano sia Vmax che km in modo diverso. In pratica l'inibizione acompetitiva e l'inibizione mista avvengono solo negli enzimi con due o più substrati. Inibitori irreversibili Alcuni inibitori sono in grado di reagire con l'enzima e formare un legame covalente. L'inattivazione così indotta è irreversibile. Esistono diversi composti di questo tipo: una classe importante è quella dei cosiddetti inibitori suicidi, che contano al loro interno la eflornitina, un farmaco utilizzato per trattare la malattia del sonno.[24] Anche la penicillina ed i suoi derivati agiscono in questo modo. Gli antibiotici di questa classe vengono legati dal sito attivo dell'enzima bersaglio (le transpeptidasi) e vengono convertiti in un intermedio che reagisce in modo irreversibile con alcuni residui presenti nel sito attivo. Utilizzi degli inibitori Gli inibitori sono spesso utilizzati come farmaci, ma possono agire anche come veri e propri veleni. In realtà, la differenza tra farmaco e veleno è esclusivamente una questione di dose del composto: la maggior parte dei farmaci, infatti, se somministrati ad alte dosi può risultare tossica, come già Paracelso evidenziò nel XVI secolo: "In tutte le cose c'è un veleno, e senza un veleno non c'è nulla.[25] Il principio della dose è lo stesso per cui gli antibiotici e gli altri agenti anti-infezione sono veleni per il patogeno e non per l'organismo umano. • Un esempio di inibitore utilizzato come farmaco è l'aspirina, che inibisce l'attività delle ciclossigenasi COX-1 e COX-2, che producono le prostaglandine, mediatori dell'infiammazione, riducendo dunque la sensazione di dolore. • Il cianuro è invece un inibitore irreversibile che si combina con il rame ed il ferro presenti nel sito attivo dell'enzima citocromo c ossidasi, bloccando la catena di trasporto degli elettroni e, di conseguenza, la respirazione cellulare.[26] In molti organismi anche i prodotti degli enzimi possono agire come una sorta di inibitori, attraverso un meccanismo di feedback negativo. Se un enzima produce troppo prodotto, esso può infatti agire come inibitore dell'enzima stesso, riducendo o bloccando la produzione di ulteriore prodotto. Tale meccanismo è molto frequente negli enzimi coinvolti in pathway metabolici: la esochinasi, ad esempio, è inibita da alte quantità di glucosio-6-fosfato. 65 Catalisi enzimatica Regolazione dell'attività enzimatica La cellula è in grado di controllare l'attività degli enzimi in almeno cinque modalità principali. 1. 2. 3. 4. 5. Produzione degli enzimi Compartimentalizzazione degli enzimi Feedback negativo Modificazioni post traduzionali Attivazione in ambienti differenti da quelli di produzione Cascate enzimatiche Le cascate enzimatiche sono sistemi costituiti da più enzimi i quali agiscono tra loro causando delle modificazioni covalenti. Le cascate possono essere monocicliche, bicicliche o multicicliche. Note [1] (EN) Jaeger KE, Eggert T. (2004). Enantioselective biocatalysis optimized by directed evolution.. 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English translation (http:/ / web. lemoyne. edu/ ~giunta/ menten. html) Accessed 6 April 2007 66 Catalisi enzimatica [22] (EN) Briggs G. E., Haldane J. B. S. (1925). A note on the kinetics of enzyme action (http:/ / www. biochemj. org/ bj/ 019/ 0338/ bj0190338_browse. htm). Biochem. J. 19: 339-339. PMID 16743508. [23] (EN) Radzicka A, Wolfenden R. (1995). A proficient enzyme.. Science 6 (267): 90-931. PMID 7809611. [24] Poulin R, Lu L, Ackermann B, Bey P, Pegg AE. Mechanism of the irreversible inactivation of mouse ornithine decarboxylase by alpha-difluoromethylornithine. Characterization of sequences at the inhibitor and coenzyme binding sites. (http:/ / www. jbc. org/ cgi/ reprint/ 267/ 1/ 150) J Biol Chem. 1992 Jan 5;267(1):150-8. PMID 1730582 [25] (EN) Ball, Philip (2006) The Devil's Doctor: Paracelsus and the World of Renaissance Magic and Science. Farrar, Straus and Giroux ISBN 0-374-22979-1 [26] (EN) Yoshikawa S and Caughey WS. (maggio 1990). Infrared evidence of cyanide binding to iron and copper sites in bovine heart cytochrome c oxidase. Implications regarding oxygen reduction. (http:/ / www. jbc. org/ cgi/ reprint/ 265/ 14/ 7945). J Biol Chem. 265 (14): 7945-7958. PMID 2159465. Bibliografia • • • • • • Halvor Christensen, Cinetica enzimatica, Franco Angeli, 1971. Hans Bergmeyer, Principi di analisi enzimatica, Piccin-Nuova Libraria, 1982. Alan Fersht, Struttura e meccanismi d'azione degli enzimi, Bologna, Zanichelli, 1989. Nicholas Price, Principi di enzimologia, Delfino Antonio Editore, 1996. Lauro Galzigna, Elementi di enzimologia, Piccin-Nuova Libraria, 1996. Riccardo Muzzarelli, Enzimologia, Università di Ancona, 1998. • David L. Nelson; Michael M. Cox, I Principi di Biochimica di Lehninger, 3a ed., Bologna, Zanichelli, febbraio 2002.ISBN 8808090353 • Umberto Mura; Antonella Del Corso; Marcella Camici, L. Bolognani (a cura di), Sistemi enzimatici a cascata, collana: Quaderni di Biochimica (n°44), Piccin-Nuova Libraria, 1990.ISBN 8829908711 Voci correlate • • • • • • • • • Enzima Catalisi enzimatica covalente Catalisi enzimatica acido-base Catalisi enzimatica da ioni metallici Cascata enzimatica Inibitore enzimatico Cinetica di Michaelis-Menten Costante di Michaelis-Menten Perfezione catalitica Altri progetti • Wikimedia Commons contiene file multimediali: http://commons.wikimedia.org/wiki/Category:Enzymes Collegamenti esterni • (EN) Enzyme spotlight (http://www.ebi.ac.uk/intenz/spotlight.jsp): approfondimento mensile di un enzima a cura dell'Istituto europeo di bioinformatica. • (EN) BRENDA (http://www.brenda-enzymes.org): banca dati contenente informazioni e dati di letteratura relativi a tutti gli enzimi conosciuti. • (EN) KEGG (http://www.genome.jp/kegg/): banca dati contenente informazioni complete sugli enzimi ed i relativi pathway. • (EN) MACiE (http://www-mitchell.ch.cam.ac.uk/macie): banca dati contenente informazioni sui meccanismi di reazione. 67 Catalisi enzimatica • (EN) Enzyme Structures Database (http://www.ebi.ac.uk/thornton-srv/databases/enzymes/): fornisce il collegamento da un determinato enzima alla sua struttura tridimensionale nella Protein Data Bank. • (EN) ExPASy enzyme (http://us.expasy.org/enzyme/): fornisce il collegamento da un determinato enzima alle informazioni ad esso correlate nel database Swiss-Prot. Inibitore enzimatico Con il termine inibitore enzimatico si indica una molecola in grado di instaurare un legame chimico con un enzima, diminuendone così l'attività. L'inibitore infatti può intralciare l'enzima nella catalisi della sua reazione, per esempio impedendo al substrato di entrare nel sito attivo dell'enzima stesso. Il legame tra enzima ed inibitore può essere reversibile o irreversibile. Gli inibitori irreversibili solitamente reagiscono con l'enzima, modificando chimicamente residui amminoacidici fondamentali per l'attività. Al contrario, gli inibitori reversibili si legano non-covalentemente e producono diversi tipi di inibizione a seconda che si leghino all'enzima, al complesso enzima-substrato, o ad entrambi. Agli enzimi possono legarsi anche molecole in grado di potenziarne l'attività, dette attivatori enzimatici. Alcune di queste molecole non sono indispensabili per la catalisi, ma la loro presenza la facilita. Altri, come i cofattori (es. ioni metallici come calcio, ferro, manganese) e coenzimi (es. prodotti derivanti da vitamine), sono indispensabili e la loro assenza non rende possibile il meccanismo enzimatico. Quindi alcuni inibitori enzimatici possono anche competere per cofattori e coenzimi e ridurre l'attività catalitica in questo modo. Inibitori sintetici e naturali Dal momento che il blocco o l'inibizione dell'attività enzimatica può causare la morte selettiva di microrganismi patogeni o correggere uno sbilanciamento metabolico, la maggior parte dei farmaci in commercio sono proprio inibitori enzimatici. Per questo la loro scoperta e il loro miglioramento è un settore importante della ricerca nel campo della biochimica e della farmacologia. Un inibitore enzimatico di carattere medicinale è spesso giudicato in base alla sua specificità (la sua mancanza di legami con altre proteine) ed alla sua potenza (la sua costante di dissociazione, che indica la concentrazione necessaria ad inibire l'enzima). Un'elevata specificità e potenza assicurano che un farmaco avrà pochi effetti collaterali e pertanto minore tossicità. Inibitori comunemente usati in campo agro-alimentare sono gli erbicidi e pesticidi. Gli inibitori enzimatici non sono però esclusivamente molecole sintetiche: essi sono spesso composti naturali, coinvolti nella regolazione del metabolismo. Ad esempio, gli enzimi di un pathway metabolico spesso sono inibiti dai prodotti finali del pathway stesso. Questo tipo di feedback negativo rallenta il flusso attraverso un pathway quando i prodotti cominciano a formarsi ed è un'importante strategia per mantenere l'omeostasi in una cellula. Altri inibitori enzimatici cellulari sono proteine che si legano ed inibiscono uno specifico enzima bersaglio. Questo permette di controllare gli enzimi che potrebbero danneggiare la cellula, come le proteasi o le nucleasi. Un importante esempio è l'inibitore della ribonucleasi, che si lega a questo enzima in uno dei più stretti legami proteina-proteina conosciuti.[1] Inibitori enzimatici naturali possono anche essere veleni ed essere usati come difesa contro i predatori o come arma per uccidere una preda. 68 Inibitore enzimatico 69 Inibitori reversibili Sono molecole che si legano non covalentemente all'enzima motivo per cui dopo la loro rimozione l'enzima torna ad essere funzionante. Tipi di inibitori reversibili Gli inibitori reversibili si legano agli enzimi con interazioni non covalenti, come il legame idrogeno, l'interazione idrofobica ed il legame ionico. I legami multipli deboli tra l'inibitore ed il sito attivo si combinano per produrre legami forti e specifici. Al contrario dei substrati e degli inibitori irreversibili, gli inibitori reversibili generalmente non danno luogo a reazioni chimiche quando si legano all'enzima e possono essere facilmente rimossi per diluizione o dialisi. Vi sono tre tipi di inibitori enzimatici reversibili, classificati in base all'effetto causato dalle variazioni in concentrazione del substrato enzimatico sull'inibitore.[2] In alto l'enzima svolge la sua normale funzione; in basso è illustrata l'inibizione competitiva: substrato ed inibitore competono per il sito attivo. • Nell'inibizione competitiva, l'inibitore compete con il substrato nel legarsi al sito attivo dell'enzima. L'effetto è quello di diminuire la concentrazione di enzima libero disponibile a reagire: diminuisce l'affinità dell'enzima con il substrato, ma non varia la velocità massima che può essere raggiunta. Gli inibitori competitivi spesso sono strutturalmente simili al vero substrato. • Nell'inibizione acompetitiva, l'inibitore si può legare solo al complesso enzima-substrato. Il legame dell'inibitore influenza il legame del substrato, e viceversa. Questo tipo di inibizione può essere ridotta, ma non bloccata, In alto l'enzima svolge la sua normale funzione; in basso è illustrata l'inibizione aumentando la concentrazione del mista: l'inibitore ha un sito di legame diverso dal sito attivo. Che si leghi prima il substrato. Nonostante sia possibile per gli substrato o l'inibitore, l'effetto è comunque un mancato legame enzima-substrato. inibitori acompetitivi legarsi al sito attivo, questo tipo di inibizione risulta generalmente dall'effetto allosterico, in cui l'inibitore si lega ad un sito differente dell'enzima e produce una modificazione allosterica dell'enzima. La modificazione di conformazione (ad esempio della struttura terziaria o forma tridimensionale) dell'enzima riduce così l'affinità del substrato col sito attivo e l'efficienza dell'enzima. Inibitore enzimatico • L'inibizione non competitiva e l'inibizione mista sono inibizioni dell'enzima da parte di molecole capaci di legare sia l'enzima libero che il complesso enzima-substrato. A seconda delle costanti di inibizione Ki e Ki', che identificano i due equilibri dell'inibitore "I" con l'enzima libero Ki e il complesso Ki', l'effetto inibitore ha una magnitudo differente. Se l'inibitore ha affinità identica sia per il complesso che per l'enzima l'effetto è quello di modificare sia la velocità di reazione che la quantità di substrato necessaria a saturare l'enzima (da reazione di primo ordine a reazione di ordine zero). Se l'affinità dell'inibitore è maggiore per il complesso enzima substrato rispetto all'enzima libero l'effetto è quello di agire in maniera significativa sul rilascio del prodotto di catalisi: diminuisce perciò l'efficienza dell'enzima. Se invece l'affinità dell'inibitore è maggiore per l'enzima libero, l'effetto è quello di ridurre l'enzima libero a disposizione della catalisi (come per la competitiva). Descrizione quantitativa dell'inibizione reversibile L'inibizione reversibile può essere descritta quantitativamente nei termini del legame dell'inibitore all'enzima ed al complesso enzima-substrato, e dei suoi effetti sulle costanti cinetiche dell'enzima. Nel classico schema di Michaelis–Menten, un enzima (E) si lega al suo substrato (S) per formare il complesso enzima-substrato ES. Durante la catalisi, questo complesso si rompe per rilasciare il prodotto P e l'enzima libero. L'inibitore (I) si può legare a E o a ES con costanti di dissociazione Ki o Ki', rispettivamente. • Gli inibitori competitivi si possono legare a E, ma non a ES. L'inibizione competitiva aumenta Km (l'inibitore interferisce con il legame del substrato), ma non influisce su Vmax (l'inibitore non ostacola la catalisi in ES perché non si può legare a ES). • Gli inibitori non-competitivi hanno eguale affinità per E ed ES (Ki = Ki'). L'inibizione non-competitiva non modifica Km (non influisce sul legame col substrato) ma diminuisce Vmax (il legame dell'inibitore ostacola la catalisi). • Gli inibitori misti si legano sia a E che a ES, ma le loro affinità per queste due forme dell'enzima sono diverse (Ki ≠ Ki'). Pertanto, gli inibitori misti interferiscono con il legame del substrato (aumentano Km) ed ostacolano la catalisi nel complesso ES (diminuiscono Vmax). Se un enzima ha vari substrati, gli inibitori possono mostrare tipi differenti di inibizione a seconda del substrato in questione. Ciò risulta dal sito attivo contenente due diversi siti di legame, uno per ciascun substrato. Per esempio, un inibitore può competere con il substrato A per il primo sito di legame, ma essere un inibitore non competitivo rispetto al substrato B nel secondo sito di legame.[3] 70 Inibitore enzimatico Misurazione delle costanti di dissociazione di un inibitore reversibile Come già discusso, un inibitore enzimatico è caratterizzato dalle due costanti di dissociazione: Ki (relativa a E) e Ki' (relativa al complesso ES). La costante Ki può essere misurata direttamente con vari metodi; un metodo estremamente accurato è la calorimetria isotermica di titolazione, in cui viene misurata la concentrazione dell'inibitore in una soluzione con enzimi ed il calore rilasciato o assorbito.[4] La costante Ki', invece, è difficile da misurare direttamente, dal momento che il complesso enzima-substrato ha vita breve ed è suscettibile alla reazione chimica che forma il prodotto. Pertanto, la Ki' è talvolta misurata indirettamente, osservando l'attività enzimatica su vari substrati e le concentrazioni dell'inibitore, e interpolando i dati[5] in una equazione di Michaelis–Menten modificata: ove i fattori modificanti α e α' sono definiti dalla concentrazione dell'inibitore e dalle due costanti di dissociazione Così, in presenza dell'inibitore, l'effettiva Km e Vmax dell'enzima divengono rispettivamente (α/α')Km e (1/α')Vmax. In ogni caso, l'equazione di diagrammi di Lineweaver–Burk dei Michaelis-Menten modificata assume che il legame dell'inibitore con differenti tipi di inibitori enzimatici l'enzima abbia raggiunto l'equilibrio, il che può essere un processo molto reversibili. La freccia mostra l'effetto della lento per gli inibitori con costanti di dissociazione molto basse crescente concentrazione dell'inibitore. (sub-nanomolari). In questi casi, è più pratico trattare l'inibitore come un inibitore irreversibile (come descritto in seguito); tuttavia, può essere ancora possibile stimare cineticamente Ki' se Ki è misurabile indipendentemente. Gli effetti dei diversi tipi di inibitori enzimatici reversibili sull'attività enzimatica possono essere visualizzati con rappresentazioni grafiche dell'equazione di Michaelis–Menten, come il Lineweaver–Burk ed il diagramma di Eadie-Hofstee. Per esempio, nel diagramma Lineweaver-Burk le linee dell'inibizione competitiva si intersecano sull'asse y, mostrando che tali inibitori non influenzano Vmax. Similmente, le linee dell'inibizione non-competitiva si intersecano sull'asse x, in quanto tali inibitori non influenzano Km. Tuttavia, può essere difficile stimare Ki e Ki' accuratamente da tali grafici[6], motivo per cui si è soliti stimare queste costanti facendo uso della più affidabile regressione non lineare descritta in precedenza. 71 Inibitore enzimatico 72 Casi particolari • Il meccanismo dell'inibizione parzialmente competitiva è simile a quello della non-competitiva, eccetto per il fatto che il complesso EIS ha un'attività catalitica più bassa rispetto a quella del complesso ES. Questa inibizione mostra tipicamente una minore Vmax, ma un valore invariato di Km.[7] • L'inibizione incompetitiva avviene quando l'inibitore si lega solo al complesso enzima-substrato, non all'enzima libero; il complesso EIS è cataliticamente inattivo. Tale modalità di inibizione è rara e causa una diminuzione tanto della Vmax quanto della Km.[7] • L'inibizione del substrato o del prodotto si ha quando il substrato o il prodotto di una reazione catalizzata da un enzima inibisce l'attività enzimatica. Tale inibizione può seguire gli schemi di quella competitiva, non competitiva o mista. Nell'inibizione del substrato vi è una progressiva diminuzione di attività per elevate concentrazioni di substrato. Ciò può indicare l'esistenza di due siti di legame nell'enzima. A bassa concentrazione di substrato, è occupato il sito ad alta affinità e la normale cinetica enzimatica è rispettata. Tuttavia, a concentrazioni maggiori, viene occupato anche il secondo sito (inibitorio).[8] L'inibizione del prodotto è spesso una caratteristica regolatoria del metabolismo e può essere una forma di feedback negativo. • L'inibizione slow-tight avviene quando il complesso EI iniziale va incontro (tramite isomerizzazione) ad un complesso più stretto EI* (il processo di inibizione complessivo è reversibile). Questo evento si manifesta tanto lentamente quanto aumenta l'inibizione enzimatica. In tali condizioni, la tradizionale cinetica di Michaelis–Menten dà un valore errato di Ki, che dipende dal tempo. Il valore reale di Ki si può ottenere attraverso un'analisi più complessa sul rapporto delle costanti on (kon) e off (koff) dell'associazione inibitoria. Esempi di inibitori reversibili Dal momento che gli enzimi hanno lo scopo di legarsi saldamente ai loro substrati, e la maggior parte degli inibitori reversibili si legano al sito attivo dell'enzima, non sorprende come taluni di questi inibitori siano molto simili per struttura al substrato dell'enzima bersaglio. Un esempio di questa mimetica è costituito dagli inibitori delle proteasi, come il ritonavir, una classe di farmaci antiretrovirali usati ad esempio per curare le infezioni da HIV.[9] Gli inibitori sono spesso in grado di imitare lo stato di transizione, l'intermedio di una reazione catalizzata dall'enzima. Questo assicura che l'inibitore sfrutti l'effetto stabilizzante dello stato di transizione dell'enzima, dando luogo ad una migliore affinità di legame (Ki inferiore alla Km) rispetto al substrato. Un esempio di tale inibitore dello stato di transizione è l'antivirale oseltamivir, che imita la natura planare dell'anello dello ione ossonio nella reazione dell'enzima virale neuraminidasi. La struttura del ritonavir, un esempio di inibitore delle proteasi, è quella di un tetrapeptide. Il farmaco somiglia alla regione proteica che costituisce il substrato della proteasi dell'HIV. Tale molecola, dunque, compete con questo substrato per il sito attivo dell'enzima Inibitore enzimatico 73 Tuttavia, non tutti gli inibitori reversibili mimano le strutture dei substrati. La struttura di un altro inibitore della proteasi dell'HIV come il tipranavir, ad esempio, non è di tipo peptidico e non ha evidenti similitudini strutturali con il substrato. Questi inibitori non-peptidici possono essere più stabili di quelli contenenti legami peptidici, in quanto non costituiscono substrato per le peptidasi e sono più difficilmente degradati nella cellula. Nell'ideazione dei farmaci occorre anche una valutazione attenta delle concentrazioni necessarie per indurre una competizione efficace. Ad esempio, è possibile inibire le protein chinasi attraverso molecole con struttura chimica simile all'ATP (uno dei Un esempio di inibitore non peptidico della proteasi è costituito dal tipranavir substrati di tali enzimi), ma tali farmaci dovranno competere con le alte concentrazioni di ATP della cellula. In alcuni casi, dunque, si preferisce mettere a punto inibitori delle protein chinasi che competono per il loro sito di legame con i relativi substrati proteici, presenti nelle cellule a concentrazioni molto inferiori alla concentrazione standard di ATP. Basterà dunque una concentrazione molto minore di questo secondo tipo di inibitore per ottenere un risultato simile a quello indotto dal primo tipo di farmaco.[10] Inibitori irreversibili Tipi di inibizione irreversibile Gli inibitori irreversibili solitamente modificano covalentemente l'enzima, e l'inibizione non può essere pertanto successivamente neutralizzata. Spesso tali inibitori contengono gruppi funzionali reattivi come aldeidi, aloalcani o alcheni. Questi gruppi elettrofili reagiscono con le catene laterali degli amminoacidi addotti covalenti. I residui modificati sono quelli con catene laterali contenenti gruppi nucleofili come l'ossidrile o il sulfidrile (ad esempio la serina, bersagliabile dal diisopropilfluorofosfato, la cisteina, la treonina o la tirosina).[11] Il concetto di inibizione irreversibile è in ogni caso diverso da quello di inattivazione irreversibile dell'enzima. Gli inibitori irreversibili sono solitamente specifici per una classe di enzimi e non inattivano tutte le proteine; non funzionano distruggendo la struttura proteica ma alterando specificamente il sito attivo del loro bersaglio. Gli inibitori irreversibili, dunque, non sono correlati a fenomeni legati a livelli estremi di pH o di temperatura, che causano solitamente la denaturazione aspecifica di tutte le strutture proteiche presenti in soluzione, oppure all'idrolisi aspecifica mediata dall'aggiunta nel mezzo di acido cloridrico concentrato caldo, che genera una rottura dei legami peptidici ed un rilascio di amminoacidi liberi.[12] Reazione dell'inibitore irreversibile diisopropilfluorofosfato (DFP) con la serina del sito attivo di una proteasi Inibitore enzimatico 74 Analisi dell'inibizione irreversibile Gli inibitori irreversibili formano un complesso reversibile non-covalente con l'enzima (EI o ESI), che reagisce per produrre un complesso covalentemente modificato e definito EI* o dead-end (senza uscita). Il rapporto a cui si forma EI* è detto rapporto di inattivazione (o kinact). Dal momento che la formazione di EI può competere con ES, il legame degli inibitori irreversibili può essere evitato mediante competizione con un substrato o con un secondo inibitore reversibile. I meccanismi di legame e di inattivazione di questo tipo di reazione possono essere investigati incubando l'enzima e l'inibitore e misurando la quantità di attività Schema cinetico degli inibitori irreversibili. rimanente al trascorrere del tempo. L'attività decresce in maniera dipendente dal tempo, di solito seguendo il decadimento esponenziale. Riportando questi dati in una equazione di rapporto si ottiene il tasso di inattivazione a quella concentrazione dell'inibitore. Questa operazione è ripetuta a diverse concentrazioni dell'inibitore. Se un complesso reversibile EI è coinvolto, il tasso di inattivazione sarà saturabile e, disegnando la curva, si otterrà la kinact e la Ki.[13] Un altro metodo largamente usato in queste analisi è la spettrometria di massa. In questo caso un'accurata misura della massa dell'enzima originario non modificato e dell'enzima inattivato permette di calcolare la crescita in massa causata dalla reazione con l'inibitore e mostra la stechiometria della reazione. Questo è indagabile usando uno spettrometro di massa MALDI-TOF. Una tecnica complementare, l'impronta digitale proteica, implica la digetione della proteina originaria e modificata mediante una proteasi come la tripsina. Ciò produce un insieme di peptidi che possono essere analizzati con uno spettrometro di massa. Il peptide la cui massa cambia dopo la reazione con l'inibitore è quello che contiene il sito di modificazione. Casi particolari Spesso alcuni inibitori reversibili sono in grado di legarsi così strettamente al loro bersaglio da apparire come irreversibili. Questi inibitori mostrano costanti cinetiche simili a quelle degli inibitori irreversibili covalenti. In questi casi, alcuni di questi inibitori si legano rapidamente all'enzima nel complesso a bassa affinità EI e questo Meccanismo chimico dell'inibizione irreversibile dell'ornitina decarbossilasi da parte [14] successivamente va incontro ad un più dell'DFMO. Il Piridossale 5'-fosfato (Py) e l'enzima (E) non sono mostrati. Tratto da lento riassestamento verso un complesso EI* legato molto saldamente. Tale comportamento cinetico è definito legame lento[15] Questo lento assestamento dopo il legame provoca spesso una modifica di conformazione, legata al fatto che l'enzima si stringe attorno alla molecola dell'inibitore. Esempi di inibitori a legame lento sono costituiti da importanti farmaci, come il metotrexato[16], l'allopurinolo[17] e la forma attivata dell'aciclovir.[18] Inibitore enzimatico 75 Esempi di inibitori irreversibili Il diisopropilfluorofosfato (DFP) è un inibitore delle proteasi, che idrolizza il legame fosforo-fluoro lasciando il fosfato legato alla serina presente nel sito attivo, inibendo in modo irreversibile l'enzima.[20] In modo analogo, il DFP reagisce anche col sito attivo dell'acetilcolinesterasi nelle sinapsi dei neuroni, ed è quindi anche una potente neurotossina, la cui dose letale è fissata a meno di 100 mg.[21] Tripanotione reduttasi con la molecola di inibitore più in basso legata irreversibilmente e quella più in alto reversibilmente. Creata da PDB [19] 1GXF . Un altro esempio di inibitore irreversibile delle proteasi è la iodoacetamide, che si lega ad un residuo di cisteina dell'enzima. Lo zolfo contenuto nell'aminoacido reagisce con tale inibitore, si forma un tioetere liberando acido ioidrico (HI). L'enzima quindi perde la sua attività. L'inibizione suicida è un tipo inusuale di inibizione irreversibile che si ha quando l'enzima trasforma l'inibitore in una forma reattiva nel suo sito attivo. Un esempio è l'α-difluorometilornitina (o DFMO), inibitore della biosintesi delle poliammine ed analogo dell'amminoacido ornitina, usato per trattare la tripanosomiasi africana (febbre del sonno). L'ornitina decarbossilasi può catalizzare la decarbossilazione del DFMO invece che dell'ornitina. Conseguenza di tale reazione è l'eliminazione di un atomo di fluoro, che converte questo intermedio catalitico nell'immina coniugata, una specie altamente elettrofila, che reagisce con un residuo di cisteina o di lisina nel sito attivo per inibire irreversibilmente l'enzima.[14] Dal momento che l'inibizione irreversibile dà spesso luogo all'iniziale formazione di un complesso non-covalente EI, è talvolta possibile per un inibitore legarsi ad un enzima in più di un modo. Per esempio, un inibitore chiamato mostarda di chinacrina può inibire in due modi diversi la tripanotione reduttasi del protozoo Trypanosoma cruzi. In un caso può legarsi reversibilmente, nell'altro covalentemente, dal momento che reagisce con un residuo amminoacidico attraverso la sua azoiprite.[22] Scoperta e progettazione di inibitori I nuovi farmaci sono il prodotto di una lunga fase di sviluppo, il cui primo passaggio è spesso la scoperta di un nuovo inibitore enzimatico. In passato il solo modo per scoprire questi nuovi inibitori era l'approccio per "prova ed errore": si sottoponeva un enzima bersaglio all'azione di una gran varietà di composti sperando di scoprire qualche utile interazione inibitoria. Questo metodo è ancora utilizzato con successo ed è stato ampliato dall'approccio della chimica combinatoria, che produce rapidamente un gran numero di nuovi composti, e dalle tecnologie HTS, che permettono di sfruttare queste ampie librerie di composti chimici come inibitori utili. Robots usati per un HTS della biblioteca chimica per scoprire nuovi inibitori enzimatici Inibitore enzimatico 76 Recentemente, si sta applicando un approccio alternativo: la progettazione farmacologica razionale, che utilizza la struttura tridimensionale del sito attivo enzimatico per individuare le molecole che possono agire da inibitori. Queste ipotesi sono poi verificate e uno dei composti testati diventerà il nuovo inibitore. Questo nuovo inibitore viene poi usato per ottenere un complesso EI, che sarà quindi analizzato per determinare, e successivamente ottimizzare, il tipo di legame che si instaura tra la molecola e l'enzima all'interno del sito attivo. Questo ciclo di prove e miglioramenti può essere ripetuto fino a produrre un inibitore sufficientemente potente (con una costante di dissociazione di <10-9 M[23]). Usi degli inibitori Gli inibitori enzimatici si trovano in natura e sono anche sintetizzati artificialmente per usi nel campo della farmacologia e della biochimica. I veleni naturali sono anch'essi spesso degli inibitori enzimatici sviluppati per difendere piante e animali dai predatori. Queste tossine naturali includono alcuni dei composti più velenosi ad oggi conosciuti. Gli inibitori artificiali sono spesso usati come farmaci, ma possono anche essere insetticidi come il malatione, erbicidi come il glifosato, o disinfettanti come il triclosan. Farmacologia Struttura del sildenafil (Viagra). [[File:Methotrexate and folic acid compared.png Struttura di un complesso tra la penicillina G e la Streptomyces [24] transpeptidasi. Generata da PDB 1PWC . 300pxIl coenzima acido folico (a sinistra) comparato al farmaco anti-cancro metotrexato (a destra). Inibitore enzimatico L'uso più comune degli inibitori enzimatici è rappresentato dalla sintesi di farmaci. Molti di essi, infatti, hanno come bersaglio enzimi umani e possono correggere alcune situazioni patologiche. Tuttavia, non tutti i farmaci sono inibitori enzimatici. Alcuni, come i farmaci antiepilettici, alterano l'attività enzimatica causando una maggiore o minore produzione dell'enzima. Questi effetti sono chiamati induzione e inibizione enzimatica e derivano da alterazioni dell'espressione genica, che non sono legate all'inibizione enzimatica finora descritta. Altri farmaci interagiscono con bersagli cellulari diversi dagli enzimi, come i canali ionici o i recettori di membrana. Un esempio interessante di inibitore enzimatico medicinale è il sildenafil, principio attivo del Viagra, (figura a destra) un trattamento comune per le disfunzioni erettili maschili. Questo composto è un potente inibitore della fosfodiesterasi-5, l'enzima che degrada la molecola guanosina monofosfato ciclica.[25] Questa molecola, che svolge funzione di segnale, provoca il rilassamento della muscolatura liscia e consente al sangue di affluire all'interno del corpo cavernoso, causando l'erezione. Il farmaco, abbassando l'attività dell'enzima che blocca il segnale, mantiene quest'ultimo per un più lungo periodo di tempo. Un altro esempio della somiglianza strutturale di alcuni inibitori ai substrati degli enzimi bersaglio è rappresentato nella figura, dove si confronta il farmaco metotrexate con l'acido folico. L'acido folico è la forma ossidata del substrato del diidrofolato reduttasi, un enzima fortemente inibito dal methotrexate. Il Methotrexate blocca l'azione del diidrofolato reduttasi fermando quindi la biosintesi della timidina. Questo blocco della biosintesi nucleotidica è selettivamente tossica per le cellule che crescono rapidamente, e per questo motivo il methotrexate è spesso usato nella chemioterapia.[26] Gli inibitori usati in farmacologia servono anche ad inibire gli enzimi necessari alla sopravvivenza dei microorganismi patogeni. Ad esempio, i batteri sono protetti da una spessa parete cellulare formata da peptidoglicani. Molti antibiotici come la penicillina e la vancomicina inibiscono gli enzimi che li producono.[27] Questo provoca una perdita di resistenza della parete e la sua rottura. Nella figura, una molecola di penicillina si lega al suo bersaglio, la transpeptidasi del batterio Streptomyces R61. La ricerca sui farmaci è facilitata quando un enzima essenziale per la sopravvivenza di un patogeno è assente, o presente in una forma molto diversa, nell'uomo. Nell'esempio sopra, gli esseri umani non producono peptidoglicani, e quindi gli inibitori di questo processo sono selettivamente tossici per i batteri. La tossicità selettiva degli antibiotici può anche sfruttare le differenze nella struttura dei ribosomi batterici, o quelle relative alla biosintesi degli acidi grassi. Il concetto di tossicità selettiva risale agli studi pioneristici di chemioterapia condotti dal medico tedesco Paul Ehrlich nei primi anni del Novecento. Controllo metabolico Gli inibitori enzimatici sono molto importanti anche nel controllo metabolico. Molti pathways metabolici nella cellula sono inibiti da metaboliti che controllano l'attività enzimatica attraverso la regolazione allosterica o l'inibizione del substrato. Un esempio è costituito dal pathway glicolitico. Questo pathway catabolico consuma glucosio e produce ATP, NADH e piruvato. Un passaggio chiave nella regolazione della glicolisi è la reazione iniziale catalizzata dalla fosfofruttochinasi-1 (PFK1). Quando i livelli di ATP crescono, l'ATP si lega ad un sito allosterico nella PFK1 per abbassare la velocità di reazione dell'enzima; la glicolisi è inibita e la produzione di ATP scende. Questo controllo basato su un feedback negativo aiuta a mantenere una concentrazione stabile di ATP nella cellula. Tuttavia, i pathways metabolici non sono regolati solo attraverso l'inibizione in quanto l'attivazione è ugualmente importante. Rispetto alla PFK1, il fruttosio 2,6-difosfato e l'ADP sono esempi di attivatori allosterici.[28] L'inibizione fisiologica degli enzimi può anche essere prodotta da inibitori proteici specifici. Questo meccanismo avviene nel pancreas, che sintetizza molti precursori di enzimi digestivi noti come zimogeni. Molti di essi sono attivati dalla proteasi tripsina, perciò è importante inibire l'attività della tripsina nel pancreas per prevenire l'"autodistruzione" dell'organo. Un modo in cui l'attività della tripsina viene controllata è la produzione di uno specifico e potente inibitore nel pancreas. Questo inibitore si lega saldamente alla tripsina, bloccando l'attività che potrebbe danneggiare seriamente l'organo.[29] Nonostante l'inibitore della tripsina sia una proteina, essa evita la sua 77 Inibitore enzimatico idrolisi, come substrato dalla proteasi, escludendo l'acqua dal sito attivo della tripsina e destabilizzando lo stato di transizione.[30] Altri esempi di inibitori enzimatici fisiologici proteici includono l'inibitore barstar della ribonucleasi batterica barnasi[31] e gli inibitori delle protein fosfatasi.[32] Inibitori dell'acetilcolinesterasi L'Acetilcolinesterasi (AChE) è un enzima presente in tutti gli animali, dagli insetti all'uomo. È essenziale per la funzionalità delle cellule nervose per la sua capacità di scindere il neurotrasmettitore acetilcolina nei suoi costituenti, l'acetato e la colina. Questo meccanismo è pressoché unico tra i neurotrasmettitori dal momento che la maggior parte, tra cui la serotonina, la dopamina, e la norepinefrina, non è scomposta, ma assorbita dalla membrana postisinaptica. Un gran numero di inibitori dell'AChE sono utilizzati sia in medicina che in agricultura. Inibitori competitivi reversibili, come l'edrofonio, la fisostigmina, e la neostigmina, sono usati nel trattamento della Miastenia gravis ed in anestesia. I pesticidi al carbamato sono altri esempi di inibitori reversibili della AChE. Gli insetticidi organofosfati come il malatione, il paratione, ed il clorpirifos inibiscono irreversibilmente l'acetilcolinesterasi. Veleni naturali Animali e piante, nel corso della loro evoluzione, hanno sviluppato la capacità di sintetizzare un'ampia gamma di sostanze velenose, tra cui metaboliti secondari, peptidi e proteine che possono agire quali inibitori. Le tossine naturali sono di solito piccole molecole organiche e sono così varie e diffuse che, probabilmente, vi sono inibitori naturali per la maggior parte dei processi metabolici.[33] I processi metabolici cui si rivolgono i veleni naturali non Per scoraggiare i predatori di semi, le lenticchie contengono inibitori della tripsina interessano soltanto gli enzimi nei pathways che interferiscono con la digestione. metabolici, ma possono anche includere l'inibizione di recettori, proteine canale o strutturali nella cellula. Per esempio, il paclitaxel (taxolo), una molecola organica presente nel Taxus, si lega strettamente ai dimeri di tubulina e inibisce la loro unione nei microtubuli del citoscheletro.[34] Molti veleni naturali agiscono come neurotossine che provocano paralisi e possono quindi condurre alla morte. Tali veleni sono usati sia come mezzi di difesa contro i predatori, sia per cacciare e catturare le prede. Alcuni di questi inibitori naturali, nonostante i loro attributi tossici, a dosi più basse sono utili per usi terapeutici.[35] Un esempio di neurotossina sono i glucoalcaloidi, presenti nella famiglia delle Solanaceae (patate, pomodori e melanzane), che sono inibitori dell'acetilcolinesterasi. L'inibizione di questo enzima causa una produzione incontrollata di acetilcolina, la paralisi muscolare e quindi la morte. La neurotossicità può anche derivare dall'inibizione dei recettori; per esempio, l'atropina prodotta dall' Atropa belladonna funziona come un antagonista competitivo dei recettori dell'acetilcolina.[36] Nonostante molte tossine naturali siano metaboliti secondari, questi veleni includono anche peptidi e proteine. Un esempio di peptide tossico è l'α-amanitina, presente nell'amanita falloide e in specie correlate. Si tratta di un potente inibitore enzimatico, che impedisce la trascrizione del DNA da parte dell'RNA polimerasi II.[37] La tossina microcistina, presente nelle alghe, è anch'essa un peptide ed è un inibitore della protein fosfatasi.[38] Questa tossina può contaminare le fonti d'acqua dopo la fioritura algale ed è un noto agente cancerogeno che può anche causare emorragie epatiche acute e la morte, se assunta a dosi elevate.[39] 78 Inibitore enzimatico Anche le proteine possono essere veleni naturali, come l'inibitore della tripsina che si trova in alcune lenticchie, come mostrato nella figura sopra. Una classe meno comune di tossine è rappresentata dagli enzimi tossici, che agiscono come inibitori irreversibili dei loro bersagli e modificano chimicamente i loro enzimi substrato. Un esempio è dato dalla ricina, una potentissima tossina proteica rilevata nei chicchi del Ricinus communis. Questo enizima è una glicosidasi che inibisce i ribosomi. Poiché la ricina è un inibitore catalitico irreversibile, una sola molecola di questo composto è in grado di uccidere una cellula.[40] Note [1] Shapiro R, Vallee BL. Interaction of human placental ribonuclease with placental ribonuclease inhibitor. Biochemistry. 1991 Feb 26;30(8):2246–55. PMID 1998683 [2] Berg J., Tymoczko J. and Stryer L. (2002) Biochemistry. (http:/ / www. ncbi. nlm. nih. gov/ books/ bv. fcgi?call=bv. View. . ShowTOC& rid=stryer. TOC& depth=2) W. H. Freeman and Company ISBN 0-7167-4955-6 [3] *Irwin H. Segel, Enzyme Kinetics : Behavior and Analysis of Rapid Equilibrium and Steady-State Enzyme Systems. Wiley–Interscience; New edition (1993), ISBN 0-471-30309-7 [4] Holdgate GA. Making cool drugs hot: isothermal titration calorimetry as a tool to study binding energetics. Biotechniques. 2001 Jul;31(1):164–6 PMID 11464510 [5] Leatherbarrow RJ. Using linear and non-linear regression to fit biochemical data. Trends Biochem Sci. 1990 Dec;15(12):455–8. 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PMID 15450171 Voci correlate • • • • • • • • • • • • • • Inibizione enzimatica retroattiva da prodotto finale Inibitore reversibile Inibitore irreversibile Inibitore competitivo Inibitore non competitivo Inibitore acompetitivo Inibitore di tipo misto Inibitore suicida Enzima Catalisi enzimatica Allosteria Regolazione allosterica Chimica farmaceutica Farmacoforo Collegamenti esterni • (EN) Web tutorial on enzyme inhibition (http://orion1.paisley.ac.uk/kinetics/Chapter_3/contents_chap3. html), dispensa di Peter Birch della University of Paisley, con animazioni • (EN) Symbolism and Terminology in Enzyme Kinetics (http://www.chem.qmul.ac.uk/iubmb/kinetics/ek4t6. html#p6), consigli sulla terminologia di inibizione enzimatica ad opera del Nomenclature Committee of the International Union of Biochemistry (NC-IUB) • (EN) PubChem from NCBI (http://pubchem.ncbi.nlm.nih.gov/), database di farmaci ed inibitori enzimatici • (EN) BRENDA (http://www.brenda.uni-koeln.de/), database degli enzimi con i relativi inibitori noti 80 Inibitore enzimatico • (EN) Enzymes, Kinetics and Diagnostic Use (http://web.indstate.edu/thcme/mwking/enzyme-kinetics.html), testo sulle applicazioni mediche degli inibitori enzimatici di Michael W. King della IU School of Medicine Cinetica di Michaelis-Menten La cinetica di Michaelis-Menten descrive l'andamento della velocità di una reazione catalizzata da enzimi, al variare della concentrazione di substrato. Questo modello, valido per enzimi non allosterici, fu proposto da Leonor Michaelis e Maud Menten nel 1913. Inibitori ed induttori enzimatici sono sostanze in grado di alterare la cinetica enzimatica. Il modello cinetico spiega come all'aumentare anche di poco della concentrazione del substrato disponibile all'enzima (di concentrazione supposta costante), la velocità della reazione aumenti vertiginosamente fino al raggiungimento di un massimo, chiamato Vmax. In questo punto la reazione ha raggiunto la velocità massima possibile semplicemente perché è presente tanto substrato da saturare tutto Confronto tra cinetica enzimatica ordinaria, con inibizione competitiva e con inibizione non competitiva. l'enzima presente in soluzione, perciò un'ulteriore aggiunta di substrato non servirebbe in quanto non verrebbe più attaccato da enzimi. Ciò avviene perché non sono più presenti enzimi liberi, ma solo forme enzimatiche legate al substrato. L'enzima libero, indicato dalla lettera maiuscola E, reagisce dapprima con il substrato S dando il complesso enzima-substrato, ES, il quale si scomporrà originando il prodotto della reazione enzimatica, P, e riformando l'enzima libero. Riassumendo schematicamente: dove i termini indicati con k rappresentano le costanti specifiche di velocità di reazione. ES è un intermedio di reazione il cui basso valore di energia di attivazione permette di fare avvenire una specifica reazione, catalizzata da una specifica classe di enzimi, in modo molto favorevole (effetto catalitico). Quando ES in seguito al raggiungimento di uno stato di equilibrio dinamico assume un valore di concentrazione che si mantiene costante nel tempo, si dice che è stato raggiunto lo stato stazionario (steady state).[1] 81 Cinetica di Michaelis-Menten Equazione di Michaelis-Menten In condizioni stazionarie (allo stato stazionario) la velocità di formazione del complesso enzima-substrato eguaglia la velocità di scomposizione: dove le parentesi quadre indicano la concentrazione molare. La concentrazione totale dell'enzima, [E]0 è eguale alla somma della concentrazione dell'enzima legato con la concentrazione dell'enzima libero: [E] + [ES] = [E]0 Ricavando la concentrazione dell'enzima libero, [E], da questa relazione e sostituendola nella espressione cinetica dello stato stazionario, precedentemente descritta, si ricava dalla quale, eseguendo i prodotti, è possibile ottenere la concentrazione del complesso enzima-substrato, [ES], in funzione delle concentrazioni di substrato ed enzima totale: La velocità di formazione del prodotto è data dalla quantità di complesso enzima-substrato che si scompone nell'unità di tempo: Dividendo numeratore e denominatore del rapporto, per il termine K1, si ottiene la nota equazione di Michaelis-Menten: dove KM è la costante di Michaelis-Menten e rappresenta un termine che ingloba altri valori costanti. Inoltre, visto che una volta raggiunto lo stato stazionario il valore della velocità massima, Vmax, è dato dal prodotto Vmax = k2 [E]0 l'equazione di Michaelis-Menten può anche essere espressa nella forma alternativa L'equazione di Michaelis e Menten mette quindi in relazione la velocità di formazione del prodotto V con la concentrazione del substrato [S]. Costante di Michaelis-Menten La costante di Michaelis-Menten, KM, rappresenta la concentrazione di substrato necessaria affinché la reazione abbia velocità pari a metà della velocità massima. Essa equivale al seguente rapporto: La costante di Michaelis-Menten è una grandezza caratteristica di ciascun enzima. Essa è un termine che indica quantitativamente l'affinità tra un enzima e il suo substrato: più basso è il valore di KM e più bassa sarà la concentrazione di substrato che permette di raggiungere un valore di velocità di reazione pari alla metà della velocità massima, il che indica una alta affinità dell'enzima per il substrato. Viceversa un alto valore di KM indica che sarà necessario più substrato per raggiungere una velocità di reazione pari alla metà della velocità massima, il che significa una minore affinità dell'enzima per il substrato. 82 Cinetica di Michaelis-Menten 83 Interpretazione grafica Riportando su un diagramma cartesiano l'andamento della velocità di reazione, dedotta secondo la cinetica di Michaelis-Menten, in funzione della concentrazione di substrato si ottiene graficamente un ramo di iperbole. Risultano di considerazioni: ovvia deduzione le seguenti • a basse concentrazioni di substrato la reazione è praticamente del primo ordine, crescendo la velocità proporzionalmente ad [S] (essendo l'enzima in forte eccesso rispetto al substrato, la sua concentrazione può considerarsi costante); • ad alte concentrazioni di substrato la velocità tende Grafico che mostra l'andamento della velocità di reazione enzimatica in ad assume un valore massimo che diviene costante. funzione della concentrazione di substrato. Ciò è dovuto alla completa saturazione dell'enzima che annulla l'effetto dovuto all'ulteriore aumento della concentrazione di substrato (non è presente più enzima disponibile). Una tale cinetica di reazione è di ordine zero e in questo caso risulta Vmax = K2 [E]0. Riportando l'equazione di Michaelis-Menten nella forma è possibile ottenere il grafico dei doppi reciproci (o di Lineweaver-Burk), rappresentando graficamente l'andamento di 1/V in funzione di 1/[S]. In tal modo si ottiene una retta con intercetta sull'asse delle ascisse nel punto - 1/KM, sull'asse delle ordinate nel punto 1/Vmax e con coefficiente angolare pari al rapporto KM/Vmax. Quello dei doppi reciproci non è però l'unico grafico utile per interpretare la cinetica enzimatica, altri sono: • grafico lineare diretto (o di Eisental-Cornish Bowden): V sulle ordinate e [S] sulle ascisse • grafico di Eadie-Hofstee: V sulle ordinate e V/[S] sulle ascisse • grafico di Hanes: V/[S] sulle ordinate e [S] sulle ascisse Note [1] L'approssimazione di stato stazionario fu introdotta da Briggs e Haldane nel 1925 alla legge cinetica di Michaelis-Menten propriamente detta (1913), il che permette una trattazione più semplice del modello, così come quella da noi seguita. Voci correlate • • • • Catalisi enzimatica Costante di Michaelis-Menten IC50 Inibitore enzimatico Fonti e autori delle voci Fonti e autori delle voci Amminoacido Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46766833 Autori:: A7N8X, Ai2007, Andreagoo8, Angelorenzi, Aracuano, Aushulz, Barbaking, Basilicofresco, Biopresto, Bios1973, Blakwolf, Buggia, Cisco79, Crypto, Daerlic, Danilo, Dr Zimbu, Eumolpo, Fabexplosive, Fra74, Gabbiere, Gabriele85, Gazal Cotre, Ggonnell, Giac, Giac83, Giacomo Lanza, Giancarlo Rossi, Gim²y, Giovasiculo86, Govoch, Guidomac, Harlock81, Hashar, Iakopo, Iannigb, Jacopo Werther, Joder, KingFanel, LuigiPetrella, Lunar Eclipse, Mars79, Nicolò Gastaldi, No2, Oks, Paginazero, Pandit, Pasquali.mail, Peter Forster, Phantomas, Picoterawatt, Piper90, Red Power, Ssspera, Suisui, Tarawneh, Taueres, The Doc, Thorin III, Ticket 2010081310004741, Tommaso Ferrara, Tosfire, Trixt, Truthful eye, Veneziano, Ylebru, 78 Modifiche anonime Proteina Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46801778 Autori:: .anaconda, A7N8X, Ariel, Ask21, Aushulz, Bannato, Barbaking, Basilicofresco, BilloK, Buggia, Caulfield, Chimica500, Civvì, Dakmme, Danilo, Demostene119, Descarto, Dommac, Dr Roberto, Dr Zimbu, Drain, Elwood, F. Cosoleto, Fafabifiofo, Franz Liszt, Frigotoni, Gabriele85, Gce, Giac83, Giancarlo Rossi, Giovannigobbin, Gnumarcoo, Guidomac, Hashar, Heartpox, Hellis, Henrykus, Hovosapiens, Jacopo Werther, Johnlong, Kiado, Larry.europe, Lascorz, Lord Randal, Lunar Eclipse, M.ricciardi, MM, Mafulopsi, Malvivent, MapiVanPelt, Marcel Bergeret, Mark91, Matheus rocha, Maxcip, Mickey83, Nubifer, Paginazero, Pandit, Peter Forster, Phantomas, Piero, Piper90, Pirandello63, Pumilio, Ramac, Robenci, Rojelio, Sbisolo, Seics, Shivanarayana, Simo82, SimoneMLK, Sirabder87, Slim8shady9, Snowdog, Ssspera, Suisui, Svante, Tia solzago, Ticket 2010081310004741, Tommaso Ferrara, Vipera, Vituzzu, Ylebru, ZioNicco, 267 Modifiche anonime Glucidi Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46032397 Autori:: .anaconda, A7N8X, AKappa, Alfio, Alkalin, Aushulz, AvdE, Biopresto, Bramfab, Buggia, Bultro, Calabash, Cisco79, Curtis15, Daniele Boglio, Danilo, Demart81, Djdmx, Eumolpo, Fantasma, Formica rufa, Frazzone, Gabriele85, Gggg81, Giac83, Giancarlodessi, Guidomac, Hellis, Jalo, KS, Katayoku, Klaudio, Kormoran, Lenore, Lucus, Lumage, Marcella Lenarduzzi, Marco 27, Mark91, Melos, Nicolò Gastaldi, Nicosiano DOC, No2, Oks, Osk, Paginazero, Peter Forster, Phantomas, Quistnix, Rabbit the best, Sailko, Shivanarayana, Ssspera, Taueres, Ticket 2010081310004741, Tommaso Ferrara, Utaini, Veneziano, Xaura, Ylebru, Zxs3830, 147 Modifiche anonime Glucosio Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46787535 Autori:: Aushulz, Basilicofresco, Blakwolf, Buggia, Burubuz, Cisco79, Cryptex, Davidesrt95, Derfel74, Dvd93, Elwood, Filnik, Gabriele85, Gaetanogambilonghi, Giac83, Hellis, Iacopo.lea, Jacopo Werther, Jalo, Jetrian, Massimo Macconi, Nefas, Oks, Oldsam76, Paginazero, Pandit, Pavilyan, Peste Razor, Podestà, Renato Caniatti, Scovolino, Shaka, Sleck, Svante, Tommaso Ferrara, Ulisse0, Veneziano, Wizard, Ylebru, 39 Modifiche anonime Glicogeno Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46410544 Autori:: Ariel, Biopresto, Cisco79, Fabuio, Flubby75, Gabriele85, Guam, Ibbi, Nase, Richzena, Seversky, Torsolo, 10 Modifiche anonime Amido Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=45341964 Autori:: .anaconda, Angelo Mascaro, Angelorenzi, Balabiot, Buggia, Cisco79, Davide, Dia^, DizioMario, Djdmx, Ego, Etms51, Fmulas, Frieda, Frigotoni, Gabriele85, Gaetanogambilonghi, Gainas, Genuae, Giac83, Incola, Lilja, M7, Marco 27, Marcopete87, Mau db, Nuno Tavares, Paginazero, Phantomas, Pyotr, Rocastelo, RockScorpion, The Doc, Tomi, 31 Modifiche anonime Cellulosa Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46593095 Autori:: .snoopy., Aushulz, Basilero, Biopresto, Buggia, Bumba, Cisco79, Climacus32, Dani4P, Djdmx, Etms51, Franco3450, Gabriele85, Gaiabianchi, Giancarlo Rossi, Giancarlodessi, Gianfranco, Gnumarcoo, Hrundi V. Bakshi, KingTT, Liopac, MRCGC, MapiVanPelt, Mars79, Molix, No2, Paginazero, Peter Forster, Quatar, Riccardoariotti, Robenci, Sbisolo, Shíl, Testadilegno, 33 Modifiche anonime Lipidi Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=45646946 Autori:: Afnecors, AnjaManix, Ask21, Aushulz, Basilicofresco, Biopresto, Blakwolf, Bouncey2k, Buggia, Buzz lightyear, Caemlyn, Caulfield, ChemicalBit, Cisco79, Cruccone, DanGarb, Danilo, Davide21, Dome, Elwood, Eog1916, Eumolpo, Fabo92, Gabriele85, Gac, Gaetanogambilonghi, Gelma, GiovanniM, Heartpox, Hellis, Iakopo, Iosononessuno, Jacopo Werther, Kaspo, Kibira, Krepideia, L736E, Lornova, Lucazeo, Luisa, M7, MapiVanPelt, Mattia Luigi Nappi, Melkor II, Melos, Mtt, Nase, Osk, P tasso, Paginazero, Peter Forster, Phantomas, RanZag, Renato Caniatti, Retaggio, Rl89, Rojelio, Seics, Semolo75, Senpai, Shivanarayana, SteGrifo27, Supernino, Taueres, Ticket 2010081310004741, Vituzzu, Weissbach, Xaura, 163 Modifiche anonime Trigliceride Fonte:: 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Xaura, 95 Modifiche anonime Catalisi enzimatica Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=43138816 Autori:: Aushulz, Eumolpo, Gabriele85, No2, Numerettiano, Powercioccio, 2 Modifiche anonime Inibitore enzimatico Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=46008899 Autori:: AnjaManix, Annamaria.dmr, Aushulz, Brownout, Castagna, Chem g, Dadda86, Diafino, Fenix Felix, Gabriele85, Giac83, Giancarlodessi, Henrykus, Inviaggio, Nase, No2, Perkele, Pippuz, Sailko, Terrasque, Trixt, Vincenzo Torraca, ZioNicco, 10 Modifiche anonime Cinetica di Michaelis-Menten Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?oldid=40384565 Autori:: Aushulz, Casso89, Cisco79, Dr Zimbu, Elcairo, Gabriele85, Joder, Larry Yuma, Marcogo, Mauro742, Rollo86, Sunrise, Tibs, 5 Modifiche anonime 84 Fonti, licenze e autori delle immagini Fonti, licenze e autori delle immagini File:AminoAcidball.svg Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:AminoAcidball.svg Licenza: Public Domain Autori:: Edgar181, TimVickers, Wutsje, YassineMrabet, 2 Modifiche anonime File:Amminoacido alanina formula.svg Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:Amminoacido_alanina_formula.svg Licenza: Public Domain Autori:: Original uploader was Paginazero at it.wikipedia File:Amminoacido arginina formula.svg Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:Amminoacido_arginina_formula.svg Licenza: Public Domain Autori:: Original uploader was Paginazero at it.wikipedia File:Amminoacido asparagina formula.svg Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:Amminoacido_asparagina_formula.svg Licenza: Public Domain Autori:: Original uploader was Paginazero at it.wikipedia File:Amminoacido acido aspartico formula.svg Fonte:: http://it.wikipedia.org/w/index.php?title=File:Amminoacido_acido_aspartico_formula.svg Licenza: Public Domain Autori:: Original uploader was Paginazero at it.wikipedia File:Amminoacido cisteina formula.svg Fonte:: 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