PIER VINCENZO COVA SENILITÀ E CLASSI SOCIALI NELLA

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PIER VINCENZO COVA
SENILITÀ E CLASSI SOCIALI NELLA ROMA ANTICA1
Roma antica non disponeva di una Costituzione scritta, ma faceva riferimento al mos maiorum,
letteralmente "il costume degli avi", da non intendersi però in chiave privatistica, ma come complesso di
comportamenti anche pubblici, quindi morali e politici . Questa normativa ideale aveva finito per riuscire
una costituzione non scritta. Nel fatto che si fosse formata storicamente Cicerone vedeva una superiorità
dello stato romano rispetto alle città greche, che si rifacevano a un legislatore unico, più o meno mitico.
In questo quadro diventa naturale il rilievo concesso ai vecchi, come custodi della tradizione e memoria
storica. Tale condizione simbolica non era priva di pericoli per i singoli: se il simbolo assurgeva a valore
di per sé, perdevano interesse i vecchi come persone. L’episodio più tipico di questa possibilità si registra
nel contesto dell’invasione gallica del 390 a.C. Di fronte al rischio imminente dell’occupazione della
stessa Roma, si decide di portare in salvo sulla rocca il senato e l’esercito, in cui si vedeva il cuore stesso
dello stato, e di abbandonare alla loro sorte le masse, tra le quali i vecchi di ogni condizione sociale,
anche elevata, «destinati in ogni caso a morire», come riferisce Livio. Più spesso però il ruolo dei vecchi
è anche individualmente positivo. Si potrebbe formare un’intera galleria di anziani salvatori della patria,
accorti legislatori, mediatori nei conflitti, esemplari nei comportamenti. La storiografia antica si occupa
ampiamente di questi uomini, a cominciare dai tempi remoti. Famoso è Appio Claudio, il quale, benché
cieco e cadente, si fa portare in senato per ammonire a non concludere una pace umiliante con Pirro. O
Cincinnato, che viene nominato dittatore per la seconda volta quando ha più di ottant’anni, allo scopo di
dirimere una delicata controversia di politica interna. Più celebre è certamente Fabio Massimo il
Temporeggiatore. Chiamato al comando nel momento più critico della seconda guerra punica, con
Annibale alle porte, rinuncia alla strategia dell’attacco frontale contro il Cartaginese, riuscita esiziale per
lunghi anni agli eserciti romani, e sceglie di stancare e indebolire l’avversario con la tattica opposta.
Questa salva certamente Roma, ma non risolve il conflitto. A questo imporrà la svolta vincente Scipione,
portando la guerra direttamente in Africa. Fabio Massimo non condivide questa nuova strategia; la sua
opposizione può essere dettata da miopia senile e dai propri successi. Ma la sua inimicizia verso il
successore, come poco dopo quella di Catone e in genere dei conservatori, in realtà vede anche lontano.
Per attribuire i poteri a Scipione, troppo giovane per ottenerli secondo la prassi, che fissava l’età minima
per il consolato a 43 anni (non lontano dalla soglia della vecchiaia, secondo le prospettive anagrafiche
dell’epoca) si era dovuto operare un forte strappo alla costituzione non scritta. Si avvierà così quel
processo di superamento degli istituti tradizionali, che porterà prima al predominio di poteri e uomini
forti e poi alla fine del regime repubblicano. Forse nostalgici di quel regime sono gli uomini
dell’opposizione senatoria a Nerone: il loro capo è Trasea Peto, che è un anziano fermo nei principii,
anche se moderato nelle forme. Tacito descrive la sua morte sul modello di quella di Socrate, il grande
vecchio saggio. Questo non significa che anche senza opposizione al principato siano mancati vecchi
degni delle migliori tradizioni, come quel Virginio Rufo, che, generale vittorioso, rifiutò due volte il
trono imperiale, che le sue truppe gli offrivano secondo il costume del tempo. Plinio il Giovane, che lo
esalta a ragione, lamenta però che la sua memoria fu presto trascurata. Ma lo stesso Plinio ha occasione di
riproporre figure di vecchi integri nella mente e nel corpo, fedeli servitori dello stato e non digiuni di
cultura. Ma i vecchi del suo epistolario sono in genere di media o alta condizione sociale. Poco sappiamo
invece della gente comune, nella quale gli anziani rappresentavano la fascia più debole in mancanza di
una adeguata legislazione sociale. Drammatica doveva essere la condizione degli schiavi con certi
padroni. Catone consigliava di ridurre le razioni alimentari ai malati e di vendere i vecchi come strumenti
fuori uso. Qualche secolo dopo invece Plinio li considerava quasi come suoi congiunti ed era sensibile ai
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Giornale di Brescia, 30.12.2005.
loro problemi. Ma anche dei liberi la condizione senile non era invidiabile, se si pensa alla vita dei
quartieri popolari o dei tuguri di campagna. Del famoso Orbilio, maestro troppo severo di Orazio,
sappiamo che vecchissimo abitava in una soffitta (sotto le tegole, dice Svetonio). Un altro grammatico,
M. Popilio Andronico, non ebbe fortuna come insegnante, perché non sapeva tenere la disciplina; da
vecchio per sopravvivere fu costretto a vendere una sua opera su Ennio, che poi fu pubblicata da un altro.
I due sono di carattere opposto, ma accomunati dalla stessa sorte. Neanche la celebrità salvava dalla
miseria: P. Valerio Catone, critico e poeta di fama, a tarda età si ridusse a vivere di stenti in un tugurio.
Economicamente diversa, ma non esaltante neanche la vecchiaia dei grandi oratori, ai quali Quintiliano
consigliava che si ritirassero dalla professione, quando non reggevano più alle fatiche dei processi, per
non dare spettacolo della loro decadenza fisica. Non è un grammatico né un poeta quell’Umbricio (il
nome è fittizio, ma la situazione reale), descritto da Giovenale nella terza satira. È invece un cittadino
comune, che ha caricato le sue poche cose su un solo carretto e se ne va da Roma. La sua città è ormai
invivibile per lui: è piena di stranieri, di artisti e di giochi, di arricchiti e di imbroglioni; la vita è troppo
cara, insostenibili i prezzi degli affitti anche al terzo piano di edifici fatiscenti; il traffico per le vie è
frenetico e rumoroso, rischiosa la circolazione notturna per pedoni senza scorta e senza lumi. Insomma
un quadro tutto negativo. Ma queste sono cronache di quasi duemila anni fa.
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