CAPITOLO 1 LOGICA, MATEMATICA E LOGICA MATEMATICA 1

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CAPITOLO 1
LOGICA, MATEMATICA E LOGICA MATEMATICA
1. Una prima determinazione
L’ oggetto tradizionale di studio della logica, sono i ragionamenti (inferenze, deduzioni), ossia le maniere con cui si producono delle asserzioni (conclusioni) come conseguenza di determinate premesse, ragionamenti che devono essere logicamente validi o
corretti nel senso che non si possa negare la veritá della conclusione quando si assuma
la veritá delle premesse.
La nozione cruciale é pertanto quella di conseguenza logica. L’ aggettivo ”logica” serve
a distinguerla da altri tipi di ”passaggio ad una conclusione”.
1.
Il passaggio dalle due premesse: 1)”Ogni A e’ B”, 2) ”Qualche A non é C”, alla conclusione:
”Non ogni B é C”, e’ tipicamente una deduzione puramente logica (tanto che non abbiamo
bisogno di sapere cosa denotino le lettere ”A,B,C”). Invece passare dalla premessa: ”Una
corrente elettrica passa in un tratto di filo di rame” alla conclusione ”Il filo di rame si riscalda”
non e’ una conseguenza logica (se mai il risultato dell’ applicazione di qualche legge fisica).
Cosi’ pure non e’ una conseguenza logica ricavare che ”compare la lettera S sullo schermo”
dalla premessa ”premo il tasto con la lettera S”... .
2.
Va anche detto che lo studio della logica puo’ essere inteso secondo obiettivi diversi: come
una teoria che indaga sistematicamente le caratteristiche dei ragionamenti logici e le regole per
costruire ragionamenti corretti; o come una dottrina che espone, propone, o impone un certo
modo di argomentare; o come base delle indagini gnoseologiche che vogliono determinare come
si costruisca la conoscenza; o come la parte piu’ generale delle metodologia delle singole scienze
(”logica della fisica”, etc.). A noi interessera’ essenzialmente il primo tipo di obiettivo.
Sicuramente gli esseri umani hanno svolto ragionamenti e tratto conseguenze logiche da
tempo immemorabile ed in ogni parte della terra, prima di cominciare a riflettere sui
ragionamenti. Allo stesso modo, la circolazione sanguigna ed il ruolo del cuore sono in
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funzione da centinaia di secoli: ma e’ solo da un certo punto in poi che la questione fu
oggetto di indagine e fu formulata una teoria sulla circolazione sanguigna.
Nessuno e’ in grado di indicare chi abbia cominciato a indagare la capacita’ di eseguire
ragionamenti. Anche in tradizioni culturali diverse da quella Occidentale si ritrovano
piu’ o meno anticamente trattati dedicati alla logica in senso lato (molto spesso nel senso
di dottrina): noi trascureremo completamente questo tipo di fonti, non per disinteresse
o complessi di superiorita’, quanto perche’ dobbiamo limitarci ad alcuni aspetti utili ai
nostri fini. Nelle osservazioni seguenti si fa una rapida scorsa “storica” sugli sviluppi
della logica in occidente al solo scopo che di chiarire la portata dell’ incontro tra la logica
e la matematica avvenuto tra l’ 800 ed il ’900 e le seguenti diramazioni della materia(1).
2. La logica nell’ antichitá
Nella storia culturale dell’ occidente si cominciano a citare trattati di logica (magari
nel senso di metodologia) attribuiti ad alcuni tra gli antichi pensatori cosidetti Presocratici: ci rimangono solo alcuni frammenti e aforismi. La perdita cosı́ subita dalla
storia della cultura é stata in parte casuale, in parte dovuta al fatto che le dispute
filosofiche nell’ antica Grecia spesso diventavano battaglie politiche, in cui i vincitori
non si peritavano di esiliare gli avversarii e di distruggerne le opere scritte. Ebbe importanza decisiva per un lungo volgere di secoli il contributo di Aristotele (IV sec. a. C.),
che ha lasciato una serie di trattati di argomento logico (raccolti poi sotto il titolo di
”Organon”[=strumento]) la cui influenza sugli sviluppi posteriori della logica filosofica
giustifica la qualifica attribuita allo stagirita di ”Padre della logica”. Aristotele affronta
con notevole sitematicitá alcuni problemi centrali: quali siano le argomentazioni corrette, come si compongano o si trasformino le inferenze, etc. Una delle sue principali
teorie, é quella del ”sillogismo” su cui molti altri lavorarono successivamente e che fu
portata a compimento dai logici del medioevo. La teoria del sillogismo aveva come obiettivo lo studio delle inferenze la cui la correttezza o meno dipendesse dal rapporti tra
certi termini presenti nelle premesse. La correttezza di un sillogismo della forma:
- ”Ogni A é B” ,
-”Ogni B é C”;
quindi
-”Ogni A é C” (Conclusione)
1Le
domande storiche serie che qui tralasciamo completamente sono del tipo: perchè Aristotele e gli
altri si occuparono di Logica? Come si spiega che molti matematici anche dei nostri giorni considerano
ridicolo occuparsi di logica? Che ha a che fare la matematizzazione della logica con la nascita della
societ‘a industriale ? ... La seguente discussione, se volessimo classificarla, è un (tentativo) di presentare
una evoluzione concettuale con appiccicate quà e là dei cenni cronologici; questi ultimi si potrebbero
eliminare del tutto; la discussione avrebbe un senso lo stesso; ma presentata in ordine cronologico sembra
un po’ meno una racconto di fantascienza in cui qualcuno si sveglia una mattina ed inventa le tavole
di veritá... . Avvertiamo che nel seguito non c’è alcuna pretesa di accuratezza filologico-cronologicoaneddotica.
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dipende chiaramente dalla forma delle frasi ossia dalla presenza, e dalle posizioni
che vi assumono, dei termini A,B,C nelle premesse e nella conclusione. Le lettere A,B,C
debbono stare per nomi di classi o predicati. La logica, giá nella sua prima (per quanto se
ne sappia) grande presentazione sistematica ha il carattere distintivo di scienza formale.
Un’ altra scuola filosofica che citeremo per importanti contributi alla logica greca e’
quella cosidetta Megarico-Stoica (secoli V-IV ): la ricordiamo sopratutto per un tipo
di analisi della validita’ delle argomentazioni che invece di focalizzarsi sui termini presenti, poneva al centro i connettivi tra proposizioni, prefigurando cosi’ la cosidetta logica
proposizionale (in nomenclatura moderna). Per esempio, essi fornirono analisi importanti del connettivo di implicazione ”se a allora b”; qui le lettere a,b stanno per delle
proposizioni.
Nella tradizione culturale dell’ antica Roma, non si evidenziano rilevanti novitá di
impostazione o di metodologia; la logica rimaneva una disciplina tramandata e in parte
sviluppata, sopratutto valutata per i suoi possibili usi nella chiarezza del pensiero o
nell’ argomentazione giuridica o giudiziaria. E’ noto che la maggior parte delle energie
culturali dell’ antica Roma era dedicata al diritto, alla politica ed alle arti applicate,
da quella militare all’ architettura; molto meno all’ indagine conoscitiva della natura ed
alla filosofia in generale.
3. Dal medioevo all’ etá moderna
Mentre per tutto il primo millennio non risulta che gli studi logici abbiano raccolto
molta attenzione, un’ interesse a volte molto vivace per la logica si ritrova a partire dal
secolo XI fino al Rinascimento. Probabilmente questa ripresa di interesse corrisponde
alla temperie culturale dell’ epoca. La teologia, quale scienza suprema, aveva non poco
da guadagnare dal fornirsi di una capacitá argomentativa ben fondata, strumento utile
allo stabilimento della Veritá. Comunque ci furono notevoli sviluppi e presentazioni sistematiche delle teorie logiche: ormai la disciplina aveva anche acquisito un nome latino,
appunto quello di Logica - dal temine greco ”λoγoς”= discorso, ragione-,(o anche Dialectica). In particolare, sia la trattazione del sillogismo che l’ analisi proposizionale
raggiunsero un notevole perfezionamento e fornirono sottilissime disquisizioni. La logica si impose come disciplina scolastica necessaria per i livelli di studio superiore, ma
progressivamente i suoi elementi entrarono nel curricilum di tutte le scuole.
Nell’ epoca dell’ Umanesimo e del Rinascimento, la tradizione della logica come disciplina scolastica nell’ ambito delle scienze umane e filosofiche proseguı́ ampiamente
indisturbata; la rivoluzione scientifica (Bacone, Keplero, Galilei, Newton ,...) non si estese alla logica, anche se ovviamente contribuira’ indirettamente nei secoli a venire alle
trasformazioni della logica.
Nella formulazione dei grandi sistemi della filosofia dell’ epoca moderna nel ’600 e
nel ’700 (Locke, Hume, Cartesio, Leibniz,...fino a Kant) la logica compariva in modo
esplicito, e questi pensatori spesso scrissero trattati di logica; essi tendevano piuttosto
ad essere incentrati sulla metodologia scientifica o sulla gnoseologia che non a portare
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novitá nella teoria formale del ragionamento corretto oppure erano ancora essenzialmente
riproposizioni e sistematizzazioni delle antiche teorie tradizionali.
L’eccezione e’ costituita dalle indagini logiche innovative di Leibniz. Egli tuttavia
produsse solo una serie di manoscritti, e non presentó in modo organico i suoi risultati
in pubblicazioni. La prima pubblicazione dei suoi lavori di logica fu fatta in Francia all’
inizio del secolo XX. La sua idea basilare era quella di trattare la logica con il metodo
matematico.
L’ assoluta novitá di una simile impostazione risulta particolarmente lampante quando
si rifletta come, in questa cavalcata storica, abbiamo finora sempre visto la logica come
capitolo della ricerca filosofica o magari teologica.
E i matematici ? Non c’e’ alcun dubbio che la nascita della Matematica come scienza
e’ da assegnarsi all’ utilizzo cosciente ed esplicito del suo metodo caratteristico: la dimostrazione dei suoi enunciati. É significativa la battuta secondo cui la matematica
come scienza naque quando qualcuno espose la prima dimostrazione; si dice che costui
fosse Talete che, aiutandosi secondo la leggenda con dei disegni sulla sabbia, dimostró
il famoso teorema sui triangoli isosceli: un triangolo con due angoli uguali e’ isoscele.
Certo anche i risultati dell’ algebra, aritmetica e geometria babilonesi o egiziane fanno
parte appieno della storia della matematica. In realtá anche una metodologia di calcolo,
comunque raffinata, costituisce matematica (ossia si potrebbe presentare nella forma di
teoremi e relative dimostrazioni), anche se di fatto fosse sviluppata non per sé ma come
ausilio ad una tecnica (dall’ agrimensura, al commercio, all’ astrologia).
Tuttavia, mancava l’esplicito e cosciente utilizzo delle dimostrazioni matematiche. Su
questo, la scienza greca aveva raggiunto (basti pensare alla grandiosa ”summa” costituita
dagli ’Elementi’ di Euclide) piena maturitá. Sfogliando il trattato di Euclide non si puo’
non rimanare affascinati dalla presentazione: introduzione degli enti primitivi; definizioni
degli altri; assiomi che li riguardano; e poi teoremi e corollari con le loro dimostrazioni.
Nello svolgimento e sviluppo ulteriore della matematica, ci si muoveva ormai secondo questo metodo giunto a maturita’in Grecia almeno dal III secolo avanti Cristo. I
matematici non facevano altro che produrre regionamenti, mentre i rapporti con coloro
che erano incaricati di indagare sui ragionamenti (i logici) erano rimasti essenzialmente
inesistenti. I logici non avevano molto da dire sui metodi logici utilizzati dai matematici:
le sottigliezze della teoria sillogistica o delle analisi proposizionali non avevano quasi alcun impatto sul modo di procedere delle dimostrazioni matematiche. Da parte loro i
matematici erano impegnati a produrre teoremi, e finche’ non ce ne fosse un bisogno ineludibile, non avevano alcun motivo di occuparsi a indagare razionalmente sui loro proprii
ragionamenti. Come degli alacri stomaci, il loro compito era di digerire bene (produrre
dimostrazioni convincenti); non avevano alcuno stimolo a mettersi a studiare il funzionamento dello stomaco. Questo era un modo di fare sensato: ”chiunque” (almeno tra i
professionisti della matematica) era in grado di seguire una presunta dimostrazione e
di decidere se accettarla in quanto corretta o di rigettarla in quanto inconcludente, e
questo bastava.
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Il proponimento di Leibniz si poneva, ai suoi tempi, ad un livello puramento teorico:
sará possibile formulare i ragionamenti come se fossero dei calcoli? Per lui la risposta
era positiva, piú peró come programma che come opera compiuta. Questo serviva ad
un suo grandioso progetto di formalizzare tutta la conoscenza, di ridurre la produzione
di conoscenza a procedure di calcolo, fino ad immaginare che ogni disputa o esigenza
conoscitiva si potesse risolvere applicando l’esortazione: ”calculemus!”. A questa proposta mancavano, nel secolo XVII, due requisiti basilari perche’ non rimanesse una anticipazione ambiziosa: un insieme di strumenti matematici adeguati, e una motivazione
cogente. Da una parte mancava una sufficiente chiarezza di idee circa la possibile trattazione computazionale di dati che non fossero numeri come in tutta la matematica
fino allora; a questa tematica contribuira’ per esempio in modo decisivo la nascita dell’
algebra astratta all’ inizio dell’ 800. Dall’ altra mancava ancora un motivazione sufficientemente pressante a intraprende una siffatta matematizzazione del ragionamento
matematico.
4. Problemi di fondamenti della matematica nell’ ’800
Un bisogno del genere sarebbe sorto da alcuni problemi sui fondamenti dell’ analisi
matematica e della geometria che crebbero anch’ essi nell’ 800. Non ci sono, in genere,
difficoltá a stabilire che una data argomentazione costituisca o no una dimostrazione
matematica accettabile; dipende dal fatto che abbiamo una nozione intuitiva sufficientemente chiara di come dev’essere fatta una dimostrazione corretta.I termini devono essere
utilizzati correttamente, e tutti i passaggi logici devono essere convincenti. Ma consideriamo una precisa teoria matematica T (per es. la geometria piana euclidea, o la teoria
degli insiemi,...) e supponiamo di dubitare se un certo asserto α sia o meno un teorema
di T; é sufficiente basarsi su questa comune intuizione? Essa ci consente di accettare (o
magari criticare o rigettare) una presunta dimostrazione di α che ci venga sottoposta.
Ma nel caso che, avendo tentato senza successo di esibire una dimostrazione di α dagli
assiomi di T, cominciamo a pensare che una siffatta dimostrazione non esista, la nozione
intuitiva, informale, comune di dimostrazione non ci aiuta: il massimo che potremo ottenere é che per quanto se ne sappia, fino ad oggi non possediamo alcuna dimostrazione
di α in T. Per una soluzione definitiva del dubbio, o si trova una dimostrazione per l’
asserto α oppure occorre una dimostrazione ∆ del seguente teorema:
(◦) Una dimostrazione di α in T non puó esistere.
Per ottenere una dimostrazione ∆ occorrerá, in ultima analisi, una matematica che
abbia come oggetto di studio gli asserti matematici e le loro dimostrazioni in una data
teoria matematica.
Ecco un motivo serio per indirizzarsi verso una matematizzazione della logica (o perlomeno della logica utilizzata nella produzione dei teoremi di matematica).
Nell’ ’800 si ebbero varie situazioni in cui sorsero problemi che richiedevano un’ attenzione speciale agli strumenti di lavoro dei matematici e specificamente problemi di
indimostrabilitá come (◦).
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A questo punto, i tempi erano maturi per essere costretti a riprendere l’ idea di fondo
di Leibniz, anche se naturalmente la strumentazione e la realizzazione furono in parte
sostanziale diversi da quelli proposti da Leibniz (e per motivi storici neppure sospettabili
da parte sua).
4.1. Geometrie non euclidee
Con particolare intensitá a partire dal ’600, molti matematici concentrarono l’ attenzione su cosiddetto quinto postulato degli Elementi di Euclide, che é un assioma della
geometria piana che si puó formulare come segue (2):
Dati sul piano una retta r ed un punto P che non sta su r, esiste una ed una sola retta
per P che non interseca (ossia é parallela ad) r.
Lo stesso Euclide pareva distinguerlo dagli altri assiomi; lo introdusse solo piú avanti
nella trattazione. Il fatto é che esso coinvolge in un certo senso l’ infinito: due rette
nel piano sono parallele se “comunque proseguite” non hanno intersezioni. Il tentativo
(di G.Saccheri e altri) era di tentare di dimostrarlo usando solo gli altri assiomi; se ció
fosse riuscito, ogni sospetto a suo proposito sarebbe svanito: gli altri assiomi essendo
considerati di assoluta evidenza intuitiva (“due punti distinti determinano una e una
sola retta che li congiunge”, etc.).
La tecnica per cercare una siffatta dimostrazione era essenzialmente quella detta ad
absurdum (”per assurdo ”). Ossia, si considerava la teoria E neg−V che conservava gli
altri assiomi usuali della geometria, escludendo il quinto postulato ed assumendo al suo
posto la sua negazione: “Esistono nel piano una retta r ed un punto P fuori di r, tali che
se qualche retta passante per P é parallela ad r allora ve ne sono almeno due distinte
passanti per P e parallele ad r.”
IL tentativo diventava quindi quello di provare che da queste nuove assunzioni si
potesse dimostrare una assurditá logica del tipo: “che un certo angolo sia allo stesso
tempo congruente ma anche non congruente con un altro” (3).
Si noti bene: non era sufficiente provare dagli assiomi di E neg−V qualche asserto
solo“geometricamente strano”, o controintuitivo; era necessario ricavarne una contraddizione logica , ossia , per qualche asserto γ, trovare sia una prova di γ che una prova
della sua negazione. Quando questo capita per una teoria T, si dice che T é contraddittoria o inconsistente. Mentre una teoria T é consistente o non-contraddittoria se, al
2Non
abbiamo nessuna pretesa di fare una storia della geometria in due pagine; in particolare: la
formulazione che diamo a questo assioma non è quella originale di Euclide !
3Anche qui, non abbiamo alcuna pretesa di accuratezza filologica; per esempio Saccheri tendeva
piuttosto a usare il principio logico della“consequentia mirabilis” secondo cui, per concludere con la
tesi: F é vera, basta dimostrare che vale l’ implicazione: “Se non − F è vera allora F è vera”. Il suo
obiettivo fu allora il seguente: mostrare che dai rimanenti assiomi della geometria -escluso il V postulatocui si aggiungesse la negazione del V postulato come ipotesi, si potesse dimostrare il V postulato. Il
fatto che F sia conseguenza logica dell’ implicazione (¬F ) → F si può constatare rapidamente con le
tavole di verita –Ved. cap 4.– La consequentia mirabilis è equivalente in un senso preciso –ossia, nella
logica intuizionistica –al principio del terzo escluso come pure al principio del ragionamento per assurdo
che se ¬A comporta un assurdo logico, allora A è vera.
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contrario non puó capitare per alcun asserto γ che sia esso ed anche la sua negazione si
possano dimostrare dagli assiomi di T.
Insomma, il tentativo era di dimostrare che E neg−V fosse contraddittoria. Da una
siffatta prova, la conclusione successiva sarebbe stata: allora il postulato V é conseguenza
logica degli altri assiomi.
Basandosi sul principio di “omogeneitá” del piano geometrico, per cui quello che
capita per un certo punto ed una certa retta debba valere per tutti i punti e le rette
che soddisfino alle stesse ipotesi generali, in pratica i ricercatori si concentrarono a
considerare degli asserti piú comodi da usare da cui conseguisse la negazione del quinto
postulato (senza l’ uso degli altri postulati) quali i seguenti
Λ : Nel piano, non esistono rette parallele distinte:
oppure
Σ : Nel piano, per un punto fuori dalla retta r, passano due rette (e quindi, infinite
rette ) parallele ad r.
Considerata la teoria E \ (V ) con gli assiomi usuali ma escludendo il quinto, si trattava
allora di dimostrare che l’assunzione di Λ ( oppure alternativamente di Σ) portasse ad
una assurditá logica.
Se questo fosse riuscito, si sarebbe dovuto concludere che la negazione di Λ é conseguenza logica degli assiomi diversi dal quinto, e cosı́ pure che la negazione di Σ é conseguenza logica degli assiomi diversi dal quinto. Ma allora , messe insieme la negazione
di Λ e la negazione di Σ , ne dedurremmo, ancora per il principio di omogeneitá, che il
quinto postulato si ottiene come conseguenza logica degli altri assiomi di Euclide.
Tutte le notevoli fatiche poste in questo progetto di ridurre ad assurditá logica la
sostituzione di Λ o di Σ al posto del quinto postulato restarono deluse; ma non furono
affatto infruttuose!
Un primo risultato é che si potessero ottenere decine di (strani) teoremi delle due
teorie: E − := E \ (V ) + Λ e rispettivamente E + := E \ (V ) + Σ. Teoremi “strani”, ma
non si riusciva a produrre alcuna contraddizione. Pertanto si cominciava a sospettare
che entrambe queste teorie goemetriche, per quanto ”strane”, fossero consistenti.
Un secondo risultato fu quello di porre dei dubbi sul fatto che la teoria E \ (V )
fosse in grado di dimostrare il quinto postulato. Cio’e a porsi un tipico problema di
indimostrabilitá.
Nei primi decenni dell’800 si ebbe la svolta concettuale importante dovuta alla scoperta
da parte di Bolyai, Gauss, Lobatchewskj di alcuni risultati di consistenza relativa. In
sostanza, se E sono tutti gli usuali assiomi delle geometria euclidea, essi dimostrarono
che:
N1 Se E é consistente, anche E − é consistente;
N2 Se E é consistente, anche E + é consistente.
Questi risultati costringevano ad una profonda riflessione sulla natura delle veritá
geometrica, se non altro perché davano una legittimitá matematica alle cosiddette “geometrie non euclidee” (quelle derivanti da E − , E + ) non inferiore alla legittimitá della
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geometria euclidea. Se poi si trattave dell’ applicazione della geometria alla formulazioni
di leggi fisiche, si apriva la prospettiva - rivoluzionaria rispetto alla tradizione scientifica
precedente- che magari la geometria vigente nel mondo fisico potesse non essere quella
euclidea... .
Tornando all’ aspetto logico, domandiamoci come si procedeva per le dimostrazioni di
asserti come N1,N2. Il ragionamento era basato sulla costruzione di interpretazioni
o modelli: in sostanza, si mostrava come, per es. per E − , fosse possibile all’ interno dell’ usuale geometria E, interpretare (tradurre) le nozioni primitive di E − , ossia
“punto,retta, appartenenza” in un modo abbastanza furbo da poter ottenere che tutte le
traduzioni degli gli assiomi di E − , cosı́ interpretati, diventassero delle veritá geometriche
euclidee ( ossia fossero dei teoremi di E.) La conclusione era che se in E − si potesse dimostrare una contraddizione “γ e anche non-γ” e se γ é la traduzione in termini euclidei
di γ, allora in E si otterrebbe una dimostrazione della contraddizione “γ e non-γ.
Per esempio, si fissi in geometria euclidea una superficie sferica S e si interpretino le nozioni
primitive di E − come segue: per “ambiente: il piano” si prenda “ambiente : la superficie
S”; per “punto” si prenda: “coppia di punti di S diametralmente opposti”; per “retta” si
traduca: ”circonferenza massima di S” e per “appartenenza di un punto ad una retta ” la
traduzione ovvia: che la circonferenza passi per entrambi i punti diametralmente opposti. In
questo modello risultano soddisfatti tutti gli assiomi di E − .
E qualcosa di simile si puó trovare per E + .
Tuttavia, l’aver ottenuto tali prove di consistenza relativa , con tutta la sua importanza
nella storia della matematica, lascia aperta una questione fondamentale per tutte queste
geometrie. E cioé: Possiamo dimostrare che la geometria E é consistente? Anche questo
é un problema di indimostrabilitá: vorremmo dimostrare che nessuna constraddizione si
possa dimostrare in geometria euclidea.
Si potrebbe proseguire con prove di consistenza relativa: abbiamo l’interpretazione
cartesiana delle geometria euclidea nella teoria dei numeri reali: “punto”(del piano)
significa “coppia ordinata di numeri reali”; “retta” significa:“insieme delle soluzioni di
una equazione lineare in due incognite ”, etc. Abbiamo cioé il ’principale teorema’ di
Cartesio :
(N3) Se la teoria R dei numeri reali é consistente, allora la geometria euclidea é
consistente .
Queste catene N3,N1 oppure N2,N1 si possono proseguire ( ved. il paragrafo successivo), ma per trovare un livello cui fermarsi occorrerá alla fine affrontare, per una
qualche teoria di base B, la ricerca di una prova di consistenza non piú relativa. Allora
il problema di consistenza per B dovrá essere affrontato per davvero studiando come
sono fatte le dimostrazioni nella teoria B, sperando di trovare una prova logica che dica
che non possa esserci una dimostrazione di inconsistenza in B.
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4.2. Fondamenti dell’ analisi e teoria dei numeri naturali nell’ 800
I grandi sviluppi dell’ analisi matematica nel 600 e 700 avevano oscurato, data l’
enorme importanza delle loro applicazioni in geometria ed in fisica, alcune questioni
basilari. L’ approccio ”continentale” (Leibniz) all’ analisi era fondato sulla nozione di
grandezza infinitamente piccola (o infinitamente grande), un concetto piuttosto oscuro
se non addirittura insostenibile. Dall’ altra parte, la scuola inglese di Newton, Barrow,
etc. riconduceva la nozione di derivata a intuizioni geometriche: in sostanza, la derivata
in un punto era la pendenza (”coefficiente angolare”) della retta tangente in quel punto.
Dando per scontata la nozione di retta tangente, tutto tornava per bene. Ma certamente
non era soddisfatto il citerio del rigore matematico, a meno di chiarirsi in via puramente
geometrica la nozione di retta tangente. Nella pratica matematica dell’ epoca, l’ obiettivo
essendo appunto quello di far crescere e mostrare la potenza applicativa del metodo
analitico, questi problemi di fondo venivano lasciati da parte.
E’ nota la pesante ironia del filosofo vescovo Berkeley nel suo libello ”The Analyst” in cui
sbeffeggiava i matematici che lavoravano con gli infinitesimi con eccessiva disinvoltura.
Ecco all’ incirca come, con siffati strumenti, si determinava per es. la derivata nel punto x = 3
della funzione y = 2x2 : si prendeva un infinitesimo h e si calcolava il rapporto incrementale
18 + 12h + h2 − 18
h(12 + h)
2(3 + h)2 − 2(32 )
=
=
= 12 + h
h
h
h
A questo punto, essendo h infinitesimo (quindi trascurabile), in realta’ il risultato e’ 12.
Berkeley sottolineava l’ inconsistenza del procedere: per ottenere ∗, la grandezza h deve essere
non nulla (sta al denominatore ...); per concludere che 12 + h = 12, invece, evidentemente deve
essere h = 0. In mancanza di chiarezza di idee sullo status di queste fantasmatiche grandezze
infinitesime ma non nulle, l’ obiezione era distruttiva: si trattava di una vera e propria contraddizione. (Solo nel ’900, ci si e’ resi conto che l’idea poteva stare in piedi, in modo del
tutto consistente, allargando l’ ambito dei numeri reali per includervi opportunamente numeri
infinitamente piccoli e non nulli: si tratta della cosiddetta analisi non standard, prodotta dalla
logica matematica verso la meta’ del XX secolo).
(∗)
Nei grandi trattati di analisi matematica di fine 700 (d’Alembert, Lagrange, ...) la
nozioni basilari vengono presentate in modo formalmente insoddisfacente o basate su
intuizioni vaghe quali ”piccolissimo”, ”vicino quanto si voglia” ... .
Alla fine si misero all’ opera i varii Cauchy, Weierstrass, Dedekind per dare ordine e
rigore logico alla nozioni basilari portando alla fine a dare:
(1) la definizione assiomatica di campo dei numeri reali quale –diremmo oggi– campo
ordinato completo (ogni insieme non vuoto superiormente limitato ha un estremo
superiore);
(2) la definizione di limite secondo la formulazione del ”∀ϵ∃δ” che ritroviamo ancora
oggi nei testi di analisi matematica.
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Circa il punto 1.: con diversi approcci (sezioni di Dedekind, successioni di Cauchy,
semirette di Cantor-Russell) si ottennero delle costruzioni del campo dei numeri reali –si
ricordi che tutti i campi ordinati completi sono tra loro isomorfi, onde ha senso usare
l’ articolo determinativo–. Si parte dai numeri razionali; ma questi (le ”frazioni”) a
loro volta si costruiscono dall’ anello ordinato dei numeri interi, ed infine quest’ultimo
si costruisce dal monoide naturalmente ordinato dei numeri naturali N = {0, 1, 2, . . . }.
Quando si conosca N , “si sa tutto” anche sul campo reale R. Si usa parlare di aritmetizzazione dell’ analisi a proposito di questa colossale riduzione della questione dei
fondamenti dell’ analisi alla questione dei fondamenti della teoria dei numeri naturali.
Circa il punto 2.: la ormai classica definizione di limite , su cui si sviluppa l’intero
edificio dell’ analisi, non ha proprio nulla di vago o sospetto.
A meno di sollevare dubbi sulla nozione di numero naturale, sembra che l’ analisi
abbia cosi’ trovato un solido terreno sui cui basarsi.
Qualcuno (per es. Kronecker) sosteneva che i naturali sono stati addirittura forniti
alla nostra mente da un denevolo Dio, e che nostro compito e di partire da qui per fare
tutta la matematica classica.
Altri tentarono risposte che fossero meno aprioristiche e nell’ ambito di una normale
metodologia matematica.
A.Cosı́ Dedekind presentó una introduzione della nozione di numero naturale a partire dalla
nozione di insieme ordinato: in termini contemporanei, i numeri naturali altro non erano che
“la piú piccola” struttura totalmente ordinata dotata di minimo e tale che per ciascun
elemento vi fosse anche un minimo elemento maggiore (un successivo).
Ancora qui, questioni di unicitá (e l’uso dell’ articolo determinativo) si specificano meglio in
termini di isomorfismo. Tutto questo era molto affascinante, ma si sono risolti tutti i problemi?
Intanto, Dedekind si trova ad inventare alcune parti di quella che poi Cantor sviluppera’ come
”teoria degli insiemi”: il ” piú piccolo” di cui parla altro é un intersezione insiemistica, svolta
su una classe di strutture, ciascuna delle quali, per di piú é composta di un numero infinito di
elementi.
E quando la matematica si occupa dell’ infinito, i problemi sono prontissimi a venir fuori.
Dedekind, infatti, ebbe bisogno di dare una definizione matematica di quando un insieme
di oggetti sia infinito: la sua definizione é che debba esistere una biiezione (corrispondenza
biunivoca) tra l’insieme ed una sua parte propria (o, con differente nomenclatura, che esso
sia equipotente ad una sua parte propria). Data questa geniale definizione, veniva subito la
questione: é questa una nozione sensata o per caso essa é contraddittoria. Se fossimo capaci
di esibire almeno un esempio di insieme infinito potremmo essere tranquillizati: la nozione é
sensata. non possiamo citare ”l ’insieme dei numeri naturali” (che, in quanto equipotente con l’
insieme dei numeri dispari, é infinito), visto che stiamo mirando a definire l’insieme dei numeri
naturali. Neanche potremmo citare cose come ”l’ insieme dei punti di una retta” : che esso
sia infinito si dimostra sı́ in geometria, basandosi peró su un opportuno assioma che comporta
che ”tra due punti distinti di una retta, ne esiste uno almeno in mezzo”; ed un assioma del
genere non ci dice nulla sull’ esistenza ”concreta” di almeno una retta. Non faremmo altro
che spostare la questione (circa l’ esistenza di qualche insieme infinito) dall’ aritmentica alla
geometria (esistenza di una retta)... .
CAPITOLO 1
11
Dedekind propose un’ altra via: sostenne che l’insieme dei pensieri che lui poteva formulare
fosse un esempio di insieme infinito. Poteva formulare il pensiero – per es.– di una data sedia.;
poi, il pensiero di lui che pensava a questa sedia, poi di lui che pensava a se stesso nell’
atto di pensare a questa sedia, e cosı́ via : non c’é un termine ultimo in questa sequela di
pensieri possibili. Non molti rimasero convinti che questa osservazione di Dedekind potesse
considerarsi come fornitrice di ”certezza matematica” sull’ esistenza di un insieme infinito:
niente di paragonabile alle usuali affermazioni di esistenza in matematica del tipo ”esiste un
numero il cui quadrato é 4” ( e qui lo esibisco: il numero 2) e neppure del tipo ”esiste un
numero il cui quadrato é 5” (qui√non posso certo esibirlo, ma in qualche modo, trattando con
le appprossimazioni razionali a 5 posso ritenermi convinto ...). In sostanza, per essere molto
pignoli, la proposta di Dedekind poteva essere considerata come una formulazione della teoria
dei naturali all’ interno di una altra teoria (con i suoi propri termini primitivi ed assiomi),
cioé la teoria degli insiemi. Ma allora i problemi fondazionali si spostano a questa teoria: ci
possiamo fidare dell’ aritmetica e dell’ analisi solo nella misura in cui ci fidiamo della teoria
degli insiemi, e la domanda ontologica ”cosa é un numero naturale ?” rischia di diventare priva
di senso esattament quanto quella di ”cosa é una superficie ?” in geometria euclidea.
B.Alio modo: le teorie matematiche, da Euclide in poi, erano caratterizzate dal seguire l’
approccio assiomatico (o ” ipotetico–deduttivo” secondo la nomenclatura di Hilbert.) Per
trattare in questo modo dei numeri naturali (brevemente: ”n.n.”), fu proposto da G. Peano un
gruppo di assiomi per i numeri naturali. La nozione, quindi, e’ presa come termine primitivo
(analogamente alle nozioni di punto o retta in geometria assiomatica); si postulava l’ esistenza
di un n.n. a (non sarebbe strano chiamarlo ”zero”) e di un’ operatore s che a ciascun n.n. x
associa un n.n s(x); e si ponevano i seguenti assiomi:
(1) Per nessun n.n. x si ha a = s(x);
(2) Quali che siano n.n.x, y, se s(x) = s(y) allora x = y;
(3) (Assioma di induzione) Se P é una proprietá qualunque predicabile per n.n., se P vale
per a, ed inoltre ogni volta che P valga per un n.n. x allora P vale anche per s(x),
allora P vale per ciascun n.n. .
Tecnicamente parlando ( e lavorando con.... un minimo di teoria degli insiemi), si vede
che due strutture < A, s, a >, < A′ , s′ , a′ > ciascuna delle quali obbedisca agli assiomi di
Peano sono tra loro isomorfe; che gli assiomi permettono definizioni ”induttive” (per es. di
addizione, sottrazione, ordinamento, e quant’ altro ci pare); ed insomma che l’ aritmetica si
puó sviluppare senza rimpianti in questo ambiente assiomatico, in perfetto parallelismo con la
geometria assiomatizzata.
La domanda diventa questa volta la seguente: come possiamo essere sicuri che questi assiomi
non comportino alcuna contraddizione?
Domanda importante, almeno per chi, ripercorrendo l’ aritmetizzazione dell’ analisi, vede la
sua parentela con l’ altra: se sia cioé consistente (= non contraddittoria) la teoria dei numeri
reali, ossia l’ analisi matematica. Potremmo accontentarci di esibire una struttura < A, s, a >
che soddisfi gli assiomi di Peano (come si suol dire, un modello di tali assiomi). Allora certo
tali assiomi non possono avere conseguenze contraddittorie, poiché forse sappiamo poco sulla
Veritá, e sulla natura delle dimostrazioni, ma questo certo sappiamo:
12
CAPITOLO 1
(1) che di un qualunque asserto β che si riferisca ad oggetti di A non e’ possibile che β,
riferito agli oggetti di A, sia allo stesso tempo vero e falso;
(2) che se un asserto β é dimostrabile dagli assiomi, e se gli assiomi valgono in A, anche β
é valido in .
Infatti é nell’ essenza di una dimostrazione di essere tale che se le premesse (in tal caso: gli
assiomi) sono veri in una struttura, lo debba essere anche la conclusione della dimostrazione
(cioé β). Purtroppo si vede abbastanza presto che dagli assiomi segue l’esistenza di una biiezione
tra i n.n. e i numeri diversi da a; ossia che si ha a che fare con un insieme A infinito, e risiamo
agli stessi problemi che con Dedekind. Con la teoria N dei numeri naturali, i casi sembra siano
due: o la consideriamo come teoria basilare, ed allora sorge il problema della sua consistenza
assoluta, o la traduciamo in teoria degli insiemi ed allora il problema si pone per quest’ ultima...
C.Una via nuova: Gottlob Frege, un matematico tedesco di fine 800, non poteva accettare
questo tipo di situazione poco sicura su una nozione cosı́ basilare quale quella di numero
naturale. Il suo tentativo fu quello di tagliare ogni possibile rischio fondando la nozione di
n.n. sulla pura logica. Se ci fosse riuscito, in effetti, avremmo ottenuto il massimo di sicurezza
fondazionale, poiché non c’é alcun modo di dubitare delle pura logica. Per presentare la sua
idea in modo non del tutto fedele, ma didatticamente accettabile (chi fosse interessato consulti
le sue opere) diremo che per lui un n.n. altri non é che un tipico costrutto logico, ossia un
concetto. Per semplificare, si consideri la seguente tebella di corrispondenze tra n.n., classi,
concetti (ove con ∅ si denota la classe vuota):
0
1
2
...
∅
{∅}
{∅, {∅}}
...
quadrato circolare
satellite della Terra
leggendari fondatori di Roma
...
Insomma insomma un n.n. k non é altro che un concetto, tale che –parlando intuitivamente–
vi siano esattamente k oggetti ai quali il concetto si applichi; ovvero che la classe definita dal
concetto contenga k elementi. La proposta di Frege consisteva nel dimenticarsi dei numeri come
ottenuti contando gli elementi di una classe, e trattare direttamente al concetto che definisce
la classe.
Naturalmente, un professore tedesco di matematica sentiva l’ onere di realizzare una teoria
matematica, con gli stessi standard di qualunque altra, che si ispirasse a questa idea di logicizzare l’ aritmetica. E qui capita qualcosa di veramente notevole: Frege si trovó di fronte il
compito di formulare la logica sotto le fattispecie di una teora matematica, analoga per precisione, rigore, e possibilitá di sviluppare dimostrazioni secondo l’usuale stile matematico, che
avessero come oggetto non numeri, figure geometriche, equazioni, bensı́ oggetti logici: termini,
espressioni, proposizioni e loro combinazioni logiche.
Ed é molto notevole che ci sia riuscito: fondando la matematizzazione di una larga fetta
della logica (quella che oggi chiameremo la logica dei predicati o ”logica del primo ordine”)
potremmo dire che (se Aristotele vien detto il padre della logica) Frege sia il padre della logica
matematica.
Questo exploit, per il quale resterá il suo nome nella storia della cultura, era per lui lo
strumento principale per realizzare il suo progetto di mostrare come i n.n. siano costrutti
CAPITOLO 1
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logici. E qui capitó l’ imprevisto, sotto forma di una radicale difficoltá, anzi la peggiore che
possa capitare ad un matematico: la presenza di una contraddizione nelle sua teoria.
Per semplificare, diremo che Frege adottó un principio di pura logica, in apparenza del tutto
ovvio, e comunque necessario per portare a buon fine il suo progetto, noto come principio
di comprensione, e che potremmo presentare come segue: Data una qualunque proprietá (o
predicato ad un posto, o concetto) P resta determinata la classe degli oggetti che godono della
proprietá ( che soddisfano il predicato, o che cadono sotto il concetto) P. Cosı́ è , alla proprietá
”essere un divisore di 12” corrisponde la classe formata dai numeri 1, 2, 3 e 4; al predicato
”essere diverso da sé stesso” corrisponde la classe vuota; al concetto ”satellite della terra”
corrisponde la classe contenente un unico elemeto, la Luna.
Il giovane B. Russell invió a Frege ( che aveva pubblicato il primo volume della sua gigantesca
opera di fondazione logica dell’ aritmetica) una letterina in cui notava che questo principio dava
luogo ad una contraddizione.
Tra le classi, ci sono quelle che appartengono a se stesse (per es.: la classe degli enti astratti,
é un ente astratto ed appartiene a se’ stessa), Altre invece non appartengono a sé stesse (per es.
la classe dei cavalli si guarda bene dall’ essere un cavallo). Comunque sia, abbiamo a che far
con una proprietá ( o concetto) P : ”Non appartenere a sé stessa” . Allora , secondo il principio
di comprensione suddetto, dovrebbe esistere la classe R composta esattamente da tutte quelle
classi A tali che A ∈
/ A. Ma data l’ esistenza di R (la cosidetta ”classe paradossale di Russell”),
ci si chiede: R soddisfa P ? Naturalmente una ed una sola delle due possibilitá dovrebbe
capitare: R soddisfa P , o R non soddisfa P. Nel primo caso: R dovrebbe appartenere ad R,
allora non soddisfa P (contraddizione!). Nel secondo caso: R non apparterrebbe ad R, allora
soddisfa P (contraddizione !). In ciascuno dei casi possibili, troviamo una contraddizione.
Oltre ad avere un effetto disastroso sul programma di Frege, il cosidetto ”paradosso di Russell”
dá filo da torcere a chiunque abbia il gusto della logica ed ha prodotto una lunga sequela di
indagini e teorie.
Frege non si riprese dalla batosta. Russell propose, con la sua teoria dei tipi logici una via
d’ uscita, tendente essenzialmente a dire che una classe ha un ”tipo” o ”livello” necessarimante
superiore a ogni tipo di qualunque elemento della classe, sicché, in particolare la classe paradossale non puó esistere. Comunque, per tornare al tema della fondazione dell’ aritmetica, alla
fine, verso gli anni ’20 del XX secolo, Russell sembró convinto che non si riuscisse a fondare
logicamente la nozione di n.n. se non ammettendo un principio non puramente logico, ossia
il cosidetto ”Assioma dell’ infinito”, che –in buona sostanza – postula che esista un insieme
infinito. Purtroppo, una soluzione non certo soddisfacente alle aspettative del programma di
Frege (e di Russell stesso) che é noto come ”Logicismo,” secondo cui la matematica si deve
fondare sulla pura logica.
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CAPITOLO 1
4.3. Alcuni sviluppi matematici rilevanti
Nella prima parte dell’ 800 si aprirono nuovi capitoli della ricerca matematica che
avrebbero fornito una serie di metodi e tecniche per la matematizzazione della logica
stessa. Il dato fondamentale é la liberazione di possibilitá che si ebbe aprendo un terreno
nuovo all’ indagine matematica che da “scienza delle quantitá” si allargó verso temi
di crescente astrazione, che poi vuol dire in matematica, ampliare l’ applicabilitá dei
risultati.
Ma prima ancora di accennare agli sviluppi nel XIX secolo rilevanti per la logica,
dobbiamo citare l’ introduzione, da parte degli algebristi, di quella che forse é la nozione
piú importante della matematica come la conosciamo oggi: quella di variabile. Si cominció con l’ introduzione della parola “cosa” per idicare l’incognita nelle equazioni nei
trattati degli algebristi italiani del Rinascimento, fino all’ uso di lettere per simbolizzare
grandezze nei lavori del secolo XVII, fino alle variabili e funzioni dell’ analisi . Senza
questa nozione, niente matematica moderna, niente matematizzazione della fisica, niente
ingegneria,....
Tornando al secolo XIX, registriamo la nascita dell’ algebra moderna, o astratta (da
Galois a Gauss, Abel, Hamilton, Cayley, Grassmann, ...): dallo studio delle equazioni
(anzi, all’ inizio, proprio per studiare meglio la risolubulitá delle equazioni algebriche) si
passa allo studio di strutture astratte (a partire da quella di gruppo). Questo significó in
primo luogo che si potesse trattare matematicamente con (e calcolare su) oggetti che non
fossero solo numeri, ma magari permutazioni, classi di congruenza, polinomi, vettori ....
e poi appunto studiare le proprietá delle relative strutture astratte come le chiameremmo
oggi: gruppi, corpi, anelli , spazi vettoriali.
É anche interessante notare che questi sviluppi vennero innescati in parte da problemi algebrici
di impossibilitá: e specificamente dal problema della risolubilitá delle equazioni algebriche in un’
incognita “mediante radicali”. Formule risulutive, che coinvolgevano solo le quattro operazioni
aritmetiche e l’ estrazione di radici a partire dai coefficienti, e universali (cioé in grado di
risolvere qualunque equazione) erano note per le equazioni fino al grado 4. Per i gradi 1 e 2,
erano note da tempi immemorabili; per il grado 3 furono trovate nel secolo XVI dagli italiani
Del Ferro, Tartaglia, Cardano; per quelle di grado 4 dall’ allievo di Cardano, Ludovico Ferrari.
Per decenni si tentó invano di trovare la formula per quelle di grado 5. Furono poi Abel e
Ruffini a trovare il teorema fondamentale di irresolubilitá per le equazioni di grado ≥ 5 :
Per ogni n ≥ 5, non esistono formule risolutive mediante radicali per la generica equazione
algebrica di grado n.
(Risultati del genere ebbero poi interessanti interpretazioni geometriche e si riverberarono
in problemi di costruibilitá con riga e compasso).
E nello stesso tempo Abel e Galois gettarono le basi della teoria dei gruppi di permutazione,
e quindi dell’ algebra moderna.
CAPITOLO 1
15
Alla nuova atmosfera creata dallo studio di strutture algebriche astratte, contribui’
verso il 1850, l’ opera di G. Boole, che riprese (probabilmente in modo indipendente)
una parte dell’ idea di Leibniz, fornendo un calcolo delle proposizioni che era una trattazione algebrica della logica dei connettivi (oggi chiamata calcolo proposizionale), in
cui gli operatori algebrici erano proprio i connettivi logici ( congiunzione, disgiunzione,
negazione) e se ne studiavano algebricamente alcune proprietá. Veniva fuori un’ algebra
inaudita, in cui, per esempio, valeva la legge a × a = a, (se × denota la congiunzione tra
proposizioni). Ma ormai i matematici conoscevano delle algebre strane: pochi anni prima
Hamilton aveva prodotto l’ algebra dei quaternioni, a ridosso del campo complesso, in
cui la legge commutativa a + b = b + a non sempre valeva...
Accenniamo anche alle novitá metodologiche avvenute in Geometria, a parte il caso
delle geometrie non euclidee; in particolare all’ introduzione della geometria proiettiva
(a partire da Desargues e Pascal nel sec. XVII) e della geometria descrittiva (sec. XIX).
Anche qui le teorie costruite avevano il carattere di generalizzazione e di liberazione di
quella fantasia razionale che é l’ energia basilare della matematica.
5. Crisi dei fondamenti; proposte; la logica matematica nel ‘900....
[MANCA]
6. Logica e Informartica
[MANCA]
7. Appendice: la teoria del sillogismo
[MANCA]
8. [Cenno di] bibliografia
1. Per una prima lettura, si vedano l’articolo di Mugnai e la parte storica dell’ articolo
di Mangione in:
AA.VV.,Nove lezioni di Logica, Muzzio Ed.
Eventualmente si consultino poi i testi citati nelle loro bibiografie. Si consiglia anche
la prima parte di: S.C.Kleene:Introduction to metamathematics
2. Puó esser utile anche una lettura di un testo di storia della Matematica.
3. Alcuni siti di storia della matematica che meritano una visita:
aleph0.clarku.edu/ ∼djoice/mathlist
www-gap.dcs.st-and.ac.uk/ ∼history
Mentre il seguente dá un insieme di links utili:
www.dcs.warwick.ac.uk/bsham/resourches.html
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