Web Gnomonices!
La prima rivista digitale di Gnomonica by Nicola Severino 2004
SPECIALE TEMATICHE GNOMONICHE
Numero 3
Febbraio 2004
LE ORE PLANETARIE
In un bellissimo articolo di Charles-Henri Eyraud e Paul Gagnaire con integrazione
testi e immagini di Nicola Severino
Meridiana ad ore Planetarie di Lugano. Foto di Augusto Gaggioni
Web Gnomonices!
By Nicola Severino –
[email protected]
A proposito di ore planetarie
di Charles-Henri Eyraud e Paul Gagnaire
Traduzione alla lettera di Riccardo Anselmi
"Le même cours des planètes
Règle nos jours et nos nuits.
On m'a vu ce que vous êtes;
Vous serez ce que je suis".
Pierre Corneille1
Introduzione
La divisione del giorno
La divisione del giorno in 24 parti
L’origine della divisione del giorno in 2 volte 12 ore resta un po’ enigmatico ma diverse
interpretazioni sono state date. L’origine potrebbe essere d’ordine puramente matematico2 dato che
12 è l’intero più piccolo che ha 6 divisori (1,2,3,4,6,12) così come 60 è l’intero più piccolo con 12
divisori (1,2,3,4,5,6,10,12,15,20,30,60)…
Questa divisione potrebbe essere stata creata in analogia con l’anno solare diviso in 12 mesi dato
che contiene 12 lunazioni…
Un’altra interpretazione, collegata all’osservazione del cielo da parte degli Egizi, è stata fornita dal
matematico e storico di scienze antiche, Otto Neugebauer. Noi la riprenderemo dalle righe che
seguono.
Gli Egizi, i Caldei e più tardi i Greci utilizzarono il levar e il calar delle stelle come riferimenti per
l’anno solare. In Egitto si raggruppavano i giorni in 36 periodi di 10 giorni (oltre a 5 giorni chiamati
epagomeni); la volta celeste era dunque divisa in 36 decani di 10 gradi, stelle brillanti o
costellazioni, ognuna presiedeva la decade dell’anno in cui si verificava la levata eliaca. La scelta
dei decani doveva essere fatta con cura affinché le loro levate eliache verso oriente fossero
regolarmente distanziate, e permettessero di dividere la notte in intervalli di tempo uguali. A seguito
dello slittamento del sole sull’eclittica a filo delle stagioni, la stella ( o la costellazione) scelta come
riferimento per l’ultima divisione della prima decade diventa il riferimento della penultima
divisione della seconda decade e così di seguito…Gli Egizi istruirono così ciò che è stato chiamato i
“calendari diagonali” costituiti da 36 colonne e N linee dando per ognuna delle 36 decadi i decani
riferimenti di N divisioni della notte.
Il punto essenziale dell’argomentazione di Neugebauer consiste nel calcolo del numero dei levarsi
dei decani nel cielo d’Egitto. Se la notte fosse nera dal tramonto all’alba e se la durata del giorno e
della notte fossero uguali tutto l’anno, 18 decani su 36 si leverebbero durante la notte e la divisione
dell’anno in decadi condurrebbe a dividere la notte in 18. Ma l’alba ed il crepuscolo (serale), così
come la variazione della durata del giorno non permettono in media d’osservare che il levarsi di 12
decani per cui i calendari diagonali hanno così 12 linee e 36 colonne ( più una colonna per i giorni
epagomeni).
1
Stances à Marquise, riprese da Georges Brassens…
Si sa che il sistema di numerazione dei Sumeri era basato da 60 a base ausiliaria 10 con certe unità di misura divise in 12 o
24 parti.
2
D’altronde le iscrizioni dei quadranti solari ritrovati nelle tombe rivelano che il giorno era diviso in
10. Aggiungendo l’alba ed il crepuscolo (serale) otteniamo la divisione in 12 parti.
D’altra parte sembra che Erodoto (484 - 420 avanti Cristo) abbia, piuttosto, attribuito un’origine
babilonese a questa divisione. In effetti nel suo “Historia” racconta come gli esattori egizi
misurassero il terreno perduto dai contadini a causa delle inondazioni del Nilo e diminuissero il
balzello pro rata. “E’ ciò che da luogo, a mio avviso, all’invenzione della geometria che alcuni greci
esportarono nel loro paese. Quindi, l’uso dei poli, dello gnomone e la divisione del giorno in dodici
parti i Greci li appresero dai Babilonesi” Historia Libro II, 109.
I babilonesi lo hanno forse trasmesso agli Egizi?
Differenti sistemi della divisione del giorno: Ore temporarie
La suddivisone del giorno chiaro in dodici ore temporarie, chiamate anche ore antiche, bibliche,
giudaiche e ineguali, consiste nel considerare l’arco diurno del Sole e nel dividerlo in dodici
porzioni, uguali tra di loro. Ben inteso, l’indomani del giorno scelto, l’arco diurno non avrà più la
stessa durata e l’ora temporaria non conterrà più lo stesso numero di minuti ma ciascuna delle
dodici ore temporarie varrà esattamente come le altre undici ore. Per una certa latitudine, la durata
delle ore temporarie non dipende che dalla declinazione del sole. Così, alle latitudini medie, circa
45°, l’ora temporaria del giorno vale 40 minuti verso il solstizio invernale, 1 ora e 20 minuti a
quello estivo e 60 minuti agli equinozi. Esiste dunque una variazione di tempo in rapporto da uno a
due tra un solstizio e l’altro. La stessa constatazione può essere fatta, invertendo le cose, per le ore
notturne. Per una stessa data la somma di un’ora diurna con una notturna vale 120 minuti.
Altri sistemi orari
Le ore babiloniche3
dividono il giorno in 24
ore uguali di cui la
prima inizia al sorgere
del
sole,
l’ultima
termina all’alba del
giorno successivo.
Le
ore
italiche
dividono il giorno in 24
ore uguali di cui la
prima ha inizio al tramonto, l’ultima si conclude al tramonto del giorno successivo.
Può esistere un’infinità di tipi di ore: ogni regola concepibile per suddividere in tranche la durata di
un giorno, può dare origine ad un sistema orario.
È così che uno gnomonista ha proposto di creare delle ore “bretoni”, omaggio alla deliziosa torta
dolce chiamata “ quattro quarti bretone”. Queste ore suddividono in 4 parti ogni mezza giornata di
tempo vero, coincidenti con gli istanti in cui l’altezza del sole raggiunge i seguenti significativi
valori:
- il quarto dell’altezza di culminazione
- la metà di questa altezza
- i tre quarti di questa altezza
- la stessa altezza di culminazione
A partire dal mezzodì la suddivisione si protrae per quattro nuovo quarti calcolati con simmetria
inversa a quella dei quattro quarti del mattino.
3
Spiegheremo il sistema ad « ore planetarie » nel paragrafo III
I pianeti e i giorni della settimana
I 7 vagabondi (Fig.2 a)
Pitagora ( Samo verso il 580, Taranto verso il 500 A.C) è all’origine del principio che ha perdurato
per 2000 anni: quello della perfezione del movimento circolare uniforme. Il modello trasmesso dalla
sua scuola era il seguente:
La terra sferica, pesante, è al centro del mondo, immobile.
La sfera delle stelle fisse esegue intorno alla Terra una rivoluzione da oriente all’occidente attorno
ad un asse invariabile. Il grande cerchio del cielo, perpendicolare a questo asse, è chiamato
equatore.
Il sole, la luna e i 5 pianeti, coinvolti in questo movimento, descrivono ogni giorno dei cerchi
paralleli all’equatore.
Il sole compie in 365,…. giorni un movimento proprio da occidente ad oriente sopra un piano
inclinato sull’equatore.
Anche la luna e gli altri 5 pianeti hanno, sopra a dei piani più o meno vicini a quello del sole, un
movimento da occidente ad oriente sopra a delle orbite, tanto più lontane quanto più lungo è il loro
periodo.
Mercurio e Venere, seguono o precedono il Sole, con un flebile scarto angolare (al massimo 29° per
Mercurio, 49° per Venere). L’uguaglianza dei periodi medi di Mercurio, Venere e Sole fece esitare
sull’ordine delle orbite ma, finalmente, il Sole fu piazzato al centro con tre pianeti al di sotto (Luna,
Mercurio e Venere), tre al di sopra (Marte, Giove e Saturno) come indica la figura 3.
Figure 3a e 3b: il Mondo (molto semplificato) degli antichi e l’ordine dei giorni della
Settimana
L’ordine dei giorni
della settimana (fig.
3b)4
L’origine
della
settimana a 7 giorni è
probabilmente
astronomica e legata
alla Luna: 7 giorni
rappresentano,
in
effetti, circa un quarto
della lunazione.
I nomi dei giorni sono
legati ai pianeti nella
maggioranza
delle
lingue indo-europee.
I simboli dei pianeti sono rappresentati in figura 4. I più antichi sono quelli del Sole e della Luna
che si ritrovano nelle differenti culture. Venere avrebbe un’origine egizia: la croce ansata
rappresenta, effettivamente, la dea della fecondità e si ritrova sopra le iscrizioni egizie. I simboli di
Saturno, Giove, Marte e Mercurio, sarebbero di origine greca: una minuscola falce per il dio del
Tempio Cronos (ma Saturno è pure il dio latino dell’agricoltura), la Z per il padre degli dei Zeus e
la lancia e lo scudo per il dio Marte (pianeta rossastro, dio della guerra), il bastone a due serpenti
per il dio Mercurio (pianeta rapido, messaggero degli dei…).
Cadran-info n°2 ( revue de la Commission des cadrans solaires de la Société Astronomique de France) Octobre 2000, p 7982
4
Lo storico greco Dione Cassio (verso il 155-235 D.C.) spiega l’ordine dei giorni della settimana
attraverso i rituali praticati nei templi egizi.
Ciascuna ora del giorno era presieduta (governata) da un pianeta, il pianeta reggente della prima ora
del primo giorno era il Sole, l’astro più importante del cielo. È lui che dà il suo nome al primo
giorno (Giorno del Sole, Sonntag, Sunday… )
Seguendo l’ordine decrescente della distanza dei pianeti, Venere è il Reggente della seconda ora,
Mercurio della terza ora,…Mercurio della 24° ora di questo 1° giorno, e c’è allora la Luna come
Reggente della prima ora del secondo giorno che dà il suo nome a questo giorno (Lunedì)….Marte
è il Reggente della prima ora del terzo giorno e…. (figura2b)
Un quadrante ad “ore pseudo planetarie”
I reggenti dell’ora (vedi l’annesso)
Esistono pure delle tavole dei Maestri dell’ora, nominati anche Reggenti dell’ora o Signori dell’ora.
In gnomonica si conoscono pure dei quadranti solari in cui le caselle formate dall’incrocio delle
linee orarie con gli archi di declinazione contengono dei simboli dei pianeti reggenti, per quanto
possano esistere casi compatibili con la declinazione del quadrante; l’ideale è che il quadrante porti
almeno tredici linee orarie. Affinché un tale sistema funzioni completamente, è necessario che si
disponga che i giorni della settimana siano rappresentati dai sette archi della declinazione usuale, al
posto del 21 di ogni mese, e non dallo spazio tra due archi. In effetti, i sette archi non compongono
che sei spazi e i simboli della prima e dell’ultima giornata della settimana non potrebbero essere
disegnati se non fuori delle caselle.
Ogni giorno chiaro, dall’alba al tramonto, è suddivisa in dodici ore planetarie e lo stesso si dovrebbe
poter dire per ogni notte, dal tramonto all’alba. Ma c’è anche un'altra interpretazione sostenuta da
certi astrologi per i quali la notte è regolata da due Maestri dell’ora, l’uno che esercita la sua
influenza dal tramonto a mezzanotte e l’altra da mezzanotte all’alba.
Il quadrante della chiesa Santa Caterina d’Oppenheim, Germania (fig. 4)
Questo quadrante risale al 15° o 16° secolo, epoca di rinnovamento dell’Astrologia in Europa ( si
può notare che lo stilo è dritto e non polare). Si può vedere sulla fotografia della figura 4 i sette
archi di declinazione abituali con una ottava linea in alta che permette di ottenere 7 campi, uno per
ogni giorno della settimana. Si può leggere nella colonna di sinistra, il giorno della settimana
rappresentato dal suo pianeta (dall’alto in basso): Sole, Luna, Mercurio, Marte, Giove, Venere e
Saturno.
Le ore planetarie sono numerate in cifre arabe 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8 , 9. esse sono assimilate alle ore
temporarie numerate al di sotto in cifre romane…, VIII, IX, X, XI, XII, I, II, III.
In un giorno della settimana, a un’ora data, si legge il Reggente dell’ora nel campo corrispondente
al giorno e nella colonna dove cade l’ombra dello stilo.
Figura 4: Quadrante della chiesa Santa
Caterina d’Oppenheim (Germania) per gentile
autorizzazione delle Edizioni Oberlin,
Strasburgo
Esempio : supponiamo che sia domenica, alle ore 10
planetarie del giorno, vale a dire che si trova nella
casella in alto a destra dove c’è il simbolo di Mercurio.
Sia, a partire dal Sole, reggente della prima ora di
domenica, Venere reggente della seconda ora,
Mercurio reggente della terza ora e della decima ora.
Le vere ore planetarie
Ore temporarie - Ore planetarie
Il problema interessante in gnomonica è conoscere come dividere un giorno in dodici ore planetarie,
secondo la buona dottrina. La maggior parte dei quadranti solari che portano i simboli dei pianeti
usano, come quello d’Oppenheim, le ore temporarie, una facilitazione spiacevole, dato che esiste
una considerevole differenza tra i due sistemi.
Ritorno alle origini
Il concetto di autentica ora planetaria si rivela più sottile. Sembra che fosse completamente
dimenticato dagli gnomonisti sino a quando Joseph Drecker non lo rispolverò dall’oblio nella sua
opera del 1925 la cui la bibliografia fa riferimento ad astronomi-astrologi del 16° secolo.
Uno gnomonista belga, Léon Thiran, ha presentato qualche anno fa un commentario di Joseph
Drecker abbastanza conosciuto dagli gnomonisti ma che sfortunatamente non è stato mai
pubblicato.
Infine, lo gnomonista olandese, Fer J. De Vries, nel suo software ZONWLAK ZW2000, fornisce gli
elementi necessari al calcolo e alla tracciatura delle ore planetarie, così come altre componenti di un
quadrante astrologico. È proprio da questi autori che abbiamo attinto le informazioni utilizzate in
questo studio.
Le ore planetarie
Le ore planetarie durano quanto le ore temporarie; esse sono anche frazioni del giorno solare e si
misurano in tempo vero solare. Ogni giorno (data), esistono dodici ore planetarie di giorno e dodici
ore planetarie di notte; sopra ad un quadrante solare queste ultime non possono essere raffigurate,
ma è possibile tracciarle sopra ad un timpano d’astrolabio in cui le posizioni delle stelle informano
sulle posizioni notturne del Sole. Similmente alle ore temporarie, dodici ore planetarie sono limitate
da tredici linee marginali, di cui la prima si confonde con l’orizzonte lato Est e l’ultima con
l’orizzonte lato Ovest. Queste linee, però, non sono numerate da 1 a 13; in effetti, come per le ore
temporarie, ogni linea indica che l’ora che porta lo stesso numero sta per finire. La prima ha
dunque, virtualmente, il numero zero; essa potrebbe, pure, portare il numero 12 dato che la sua
affrancatura segna la fine della dodicesima ora notturna. Quanto all’ultima ora, essa porta,
logicamente, la cifra 12, poiché il suo affrancamento segna la fine della dodicesima ora planetaria
diurna e l’ingresso nella prima ora notturna. Questo modo di numerare 12 la frontiera tra il giorno e
la notte e di non numerare la separazione tra la notte ed il giorno è tradizionale: essa evita a turno lo
zero e la ripetizione del 12.
Le ore planetarie si riferiscono all’eclittica e non all’equatore celeste. Esse sono ineguali tra di
loro, non soltanto sul limite dei giorni e dei mesi, ma ancora in una sola e stessa giornata.
Un’ora planetaria corrisponde al tempo che intercorre tra il sorgere dei due punti
dell’eclittica distanti, l’un l’altro, 15°. Sia un giorno J, qualunque tra i 365 giorni dell’anno di cui
si può dire di ciascun ciò che si dice per J. In quella data, il Sole si alza in un istante T. Nello stesso
tempo che il sole sorge, sorge pure un certo grado dell’eclittica che chiamiamo ascendente, sia esso
A. Questo istante è l’inizio dell’ora planetaria n° 1, espressa in tempo solare. L’eclittica continua a
girare (movimento apparente) e giunge un altro istante in cui si alza uno dei suoi gradi che vale
A+15. la prima ora planetarie finisce e la seconda ora planetaria ha inizio, e così di seguito.
Le ore planetarie, non hanno dunque nulla a che vedere con i movimenti o le posizioni dei 7 pianeti
antichi; se esse si chiamano in questo modo è perché sono incaricate di determinare la durata
durante la quale questo o quel pianeta esercitano la loro influenza sui destini umani.
Metodo di calcolo
Tracciare le linee delle ore planetarie consiste dunque nel calcolare gli angoli orari veri del Sole nel
momento che sorgono con successioni regolari di archi di 15° di eclittica.
Ecco la procedura esposta da Fer de Vries per un dato giorno. Calcolare successivamente:
1) DEC : la declinazione del Sole, a mezzodì del giorno considerato
RA = arcsin(tan( DEC ) / tan(23.44))
2) RA: l’ascensione retta del Sole
LS = arcsin(sin( DEC ) / sin(23.44))
3) LS: la longitudine eclittica del Sole
LE = LS + (U *15) per U=1,2,3,ecc(ore planetarie)
4) LE: la longitudine dei 12 ascendenti
DE = arcsin(sin( LE ) * sin( 23.44))
5) DE :la declinazione dei 12 ascendenti
RE = arcsin(tan( DE ) / tan(23.44))
6) RE : l’ascensione retta dei 12 ascendenti
T = ar cos(− tan(ϕ ) tan( DE ) in cui ϕ è la latitudine
7) T : il semi arco diurno dei 12 ascendenti
8) AH : l’angolo orario del Sole per i 12 ascendenti AH = −T − RA + RE
Quindi, posizionare questo ascendente AH sul quadrante o sull’astrolabio per le operazioni usuali,
dopo aver vigilato, ad ogni tappa, che i risultati siano applicati ai quadranti appropriati.
Ore planetarie sopra ad un timpano d’astrolabio e sopra ad un quadrante orizzontale
Per una determinata ora solare, la posizione dell’eclittica è differente per una stessa declinazione del
sole, crescente o decrescente. Per questa ragione una linea oraria planetaria comprende due
posizioni: una in declinazione del sole crescente, dal 21 dicembre al 21 giugno, l’altra, in
declinazione decrescente, dal 21 giugno al 21 dicembre.
Un Timpano d’astrolabio dettagliato
Per una migliore comprensione abbiamo riprodotto su due timpani differenti le linee orarie
planetarie: l’una per una data compresa tra il solstizio d’estate ed il solstizio d’inverno, l’altra per
una data compresa tra il solstizio d’inverno e quello d’estate. Su ogni timpano si può osservare
l’andamento sinuoso della posizione della linea dell’ora planetaria da un tropico all’altro. Sul
timpano completo una linea oraria planetaria è la linea chiusa formata da due porzioni di curva.
Figura 5: Timpano d’astrolabio con le ore planetarie (numerate per quelle di giorno)
Figura 6: Levate e tramonti del Sole agli equinozi
Interpretazione fisica
Ai solstizi
Si osserva evidentemente che le
ore planetarie sul Tropico del
Cancro e su quello del Capricorno
(21 giugno e 21 dicembre) hanno
lo stesso valore su entrambi i
timpani.
Agli equinozi
Agli equinozi la lettura dei valori
delle ore planetarie avviene
all’intersezione
delle
linee
1,2,3,…12 con l’equatore. Per il 22 settembre si leggeranno sul timpano “21 giugno-21 settembre”,
per il 21 marzo sul timpano “21 dicembre-21 giugno”. Ci interesseremo, subito, all’equinozio
d’autunno, il 22 settembre. Constatiamo che i primi punti 1,2,3 sono ravvicinati e gli ultimi
9,10,11,12 distanziati, ciò che significa che, detto in tempo vero, le prime ore planetarie del giorno
(il mattino) sono brevi, le ultime (la sera) sono lunghe. Questo risultato si comprende facilmente
con l’aiuto della figura 6 che mostra la levata ed il calar del sole il 22 settembre. Al levar del sole,
l’eclittica forma un angolo rilevante con l’orizzonte e le prime ore planetarie sono brevi, al calar del
sole l’eclittica forma un angolo contenuto con l’orizzonte e le ultime ore planetarie sono lunghe.
All’equinozio di primavera, il 21 marzo, le stesse osservazioni mostrano che le prime ore planetarie
sono lunghe, le ultime sono corte.
Un quadrante solare orizzontale tracciato con Zonwvlak di Fer de Vries
Per stimolare i lettori a familiarizzare con le ore planetarie e a utilizzare l’apposito programma
software Zonwlak disponibile su Internet forniamo la figura 7 con un quadrante orizzontale ad ore
planetarie.
Conclusione
Non si tratta di predicare l’astrologia, soprattutto per il suo aspetto divinatorio e commerciale, ma
questa divisione del giorno, utilitaria e arbitraria come tutte le altre divisione del giorno, non manca
d’interesse per il fatto che considera “naturale” il percorso del Sole lungo l’eclittica, allorquando gli
altri sistemi si riferiscono all’equatore oppure, semplicemente, ad un arco giornaliero del Sole. Per
l’astrologia il “domicilio” del Sole è l’eclittica.
L’astrologia, anche se ha provocato e provoca ancora molte credenze erronee, ha concorso sin dal
suo nascere ai progressi dell’Astronomia e, a questo titolo, è interessante per l’evoluzione storica
delle idee. Ecco cosa scriveva Guillaume Bigourdan, membro dell’Accademia delle Scienze, nel
1911.
<< I pronostici che riguardano la durata della vita si basavano sulla lunghezza temporale degli
archi dello zodiaco, ossia sulla velocità da cui sono animati nel movimento diurno. Un problema
fondamentale era quello dell’ascensione dei segni zodiacali, e per conoscere la durata di queste
ascensioni, occorreva proiettare gli archi d’eclittica sull’equatore : le durate d’ascesa erano
proporzionali a queste proiezioni. Lo hanno notato gli astronomi babilonesi che dovevano risolvere
lo stesso problema degli astronomi odierni quando trasformano le longitudini celesti (o gradi di
ascensione obliqua) in archi dell’equatore (o di ascensione retta);… Altri esempi potrebbero
mostrare ancora la profonda influenza dell’astrologia sul progresso dell’astronomia>>
Bibliografia
Ch. Daremberg et E. Saglio, Dictionnaire des Antiquités Grecques et Romaines, Hachette 1875
Guillaume Bigourdan, L’Astronomie, Évolution des idées et des méthodes, Flammarion 1911
Abel Rey, La Science orientale avant les Grecs, Albin Michel, 1942
Paul Couderc, Le calendrier, Que sais-je, P.U.F., 1946
Otto Neugebauer, Les sciences exactes dans l’antiquité, Actes Sud 1990, pages 113 à 118
Georges Ifrah, Histoire universelle des chiffres, Seghers, 1981
René Rohr, Les Cadrans solaires, page 112, Éditions Oberlin 1986. Voir aussi le cadran de pseudoplanétaires de Görlitz
André Le Boeuffle, Le symbole astronomique de la Terre et des autres planètes, Obs. et Travaux
n°24, 1990/4
Dictionnaire de la civilisation mésopotamienne, Éditions Robert Laffont, Collection Bouquins,
2001
Émile Biémont, Rythmes du Temps, de Boeck Éditions, 2000
Joseph Drecker, Die Theorie der Sonnenuhren, chapitre XIV: Verwendung der Sonnenuhr in der
Astrologie
Raymon D’Hollander, Sciences géographiques dans l’Antiquité, Association Française de
Topographie, 2002
Severino Nicola, Storia della Gnomonica, Roccasecca, 1992-1994
Fer de Vries, Logiciel Zonwlak ZW2000, http://www.de-zonnewijzerkring.nl/eng/index-vlakkezonw.htm
Opera non consultata:
Otto Neugebauer, Egyptian astronomical texts, 4 volumes, Providence Brown University Press
APPENDICE
Le ore ineguali, temporali, o planetarie.
Di Nicola Severino, estratto da Storia della Gnomonica, Roccasecca, 1992
La divisione in 12 parti uguali del giorno e della notte poneva delle difficoltà in
quanto queste ore non erano come le nostre, ma avevano una durata che variava nel
corso dell’anno, perchè variavano gli istanti del sorgere e del tramontare del sole. Per
questo motivo furono chiamate “ore temporarie”, o “ore temporali”, denominate dai Greci
χαιριχαξ (5) e facevano parte del sistema di numerazione detto ad “ore ineguali”. Esse
corrispondevano, grosso modo, a un’ora e un quarto delle nostre in estate, e a tre quarti
d’ora delle stesse in inverno.
Nel parlare di ore temporali, planetarie, ineguali, ecc. c’è pericolo che si generi
confusione sulle varie definizioni. Per evitare ciò sarà bene, prima di tutto, evidenziare il
significato delle ore planetarie. Queste sono nient’altro che le antiche ore temporali, alle
quali si associa, secondo le teorie astrologiche del tempo, l’influenza dei singoli pianeti con
le singole ore del giorno. Hieronimo Vitali nel “Lexicon mathematicum astronomicum
geometricum “, del 1668 (pag. 223, par. 34), scrisse: “Aliae dictae inaequales, temporarie,
naturales ae Planetariae...Dicuntur etiam planetariae, quoniam singulis horis inaequalibus
singulos planetas dominari contendant Astrologi, facto initio planeta diem denominante”,
quindi sono dette Planetarie poichè gli astrologi affermano che i singoli pianeti dominano
le singole ore ineguali.
Le ore temporali e le ore Planetarie, come suddivisione oraria, sono la stessa cosa,
con la differenza che le temporarie rappresentano le ore vere e proprie, e le planetarie
rappresentano l’influsso (solo dal punto di vista strologico) che su quelle ore hanno i
singoli pianeti, secondo un preciso ordine che ora vedremo. Le ore planetarie non si
“leggono”, come le ore temporali, direttamente sul quadrante dell’orologio, perchè come
ore non hanno alcun senso, ma se ne conosce il significato solo attraverso una apposita
tabella abbinata alla meridiana, nella quale viene riportato il dominio dei pianeti. Giovanni
Battista Vimercato, milanese monaco di Certosa, nel suo libro “Dialogo de gl’horologi
solari” del 1586 riporta un buon esempio di come debba intendersi la lettura delle ore
temporali su un orologio solare:
“...con l’ombra dello stilo conosciuta l’hora Planetaria (ovvero l’ora temporale), come
per essempio settima nel giorno del Sabbato, entrate nella tavola seguente - (la tavola in
cui è riportato il dominio dei pianeti) -, dove da man sinistra son segnate l’hore del giorno
d’una in una, e trovato il numero settimo, procederete all’incontro d’esse verso la man
5
Giovanni Poleno, "Historia fori romani", Venetiis, 1737, Vol. I, Cap. IX, pag. 393 C:"...de horis
videlicet duo esse genera horarum, unum Temporalium, quas Graeci caisicas (χαιριχαξ) vocant,
quae ex Solis progressu, vel regressu supra nostrum hemisphaerium incrementum, vel decrementum
capiunt, nam Brumae tempore diurnae brevissimae, nocturnae longissimae sunt...".
destra sin sotto al Sabbato, e troverete la Luna esser il pianeta signor di quell’ora di quel
giorno...” (6).
Le meridiane a ore planetarie, quindi, sono sempre accoppiate con la “Tavola dei
Reggenti”, cioè la tavola con i pianeti, dove viene letta la vera ora planetaria. In qualche
caso si è avuta anche la simpatica idea di descrivere i simboli dei pianeti, anzichè su una
tavola a parte, fra gli spazi delle rette orarie sulla meridiana stessa, come nel caso di uno
dei più belli esemplari di meridiane ad ore planetarie murale pervenutoci: quello di S.
Benigno Canavese e che risale al 1699.
Sulle ore ineguali o planetarie, abbiamo l’interessante e chiara esposizione di
Egnatio Danti, “Cosmografo del Serenissimo Gran Duca di Toscana”, nel suo “Trattato
dell’uso della sfera” incluso nella traduzione della sfera di Proclo, stampata a Firenze nel
1573:
“L’Hore ineguali o vero Planetarie sono la duodecima parte del giorno artificiale, o
della notte, perchè gl’antichi Romani, e gli Hebrei dividevano il giorno per lungo, o breve,
che egli fosse sempre in 12 parti, tal che di state l’hore erano grandi, e d’inverno piccole, e
perciò sono chiamate hore ineguali, perche scemano, ò crescano secondo, che anco i
giorni scemano, e crescano. Ma Planetarie sono chiamate, perche in ciascuna di dette
hore predomina, e signoreggia un Pianeta, e di qui hanno preso il nome i giorni della
Settimana; perche la prima hora del Sabbato primo giorno (appresso di loro) della
Settimana dominerà Saturno, e nella seconda Giove, e così girando fino a 24 la 24 hora
tocca a Marte, e la prima del di seguente al Sole, onde la Domenica (a modo nostro) viene
denominata da Sole, e il seguente dalla Luna, perche nella prima hora tocca il dominio a
lei, e così parimenti interviene a gl’altri giorni della Settimana, che sono dominati da quel
Pianeta, che signoreggia nella prima hora di quel giorno. Volendo adunque sapere in qual
si voglia momento di hora quale hora planetaria corre: trova primieramente per la
precedente la grandezza del giorno, ò della notte artificiale, e poi multiplica dette hore per
15 che harai il numero dè gradi, che dello Equinotiale sono ascesi nel di, o nella notte
proposta, i quali gradi dividi per 12 e harai la grandezza delle hore ineguali, o planetarie.
Verbigrazia nell’esempio superiore il giorno 4 di Ottobre fu trovato di hore 9 e minuti
35 multiplica le hore 9 per 15 e ne verranno 135 gradi, e parti per 4 li 35 minuti di hora che
ne verranno 8 gradi e 45 minuti di grado, aggiugnili alli superiori gradi, che sommeranno
gradi 143 e minuti 45 che tanti gradi il di quarto d’ottobre ascendono sopra l’Orizzonte,
dividi ora questi gradi, e minuti per 12 che ne verranno gradi 11 e minuti 58 e secondi 45 e
tanto sarà la grandezza d’un’hora planetaria ò ineguale del detto giorno. Nel medesimo
modo opererai per l’hore della notte, perche nel di quarto sopradetto la notte è di hore 14 e
minuti 25 partiti per 4 ne vengono 6 gradi e 15 minuti di grado, che giunti insieme fanno
gradi 216 e min. 15 dè quali divisi per 12 ne tocca a ciascun’hora ineguale gradi 18 e min.
1 e sec. 15 e tanta e la grandezza delle hore ineguali della sopradetta notte. Volendo ora
sapere in qual si voglia momento quante hore son già passate dopo il levar del Sole,
guarda quanto è lunga un’hora ineguale nel di proposto e poi moltiplica l’hore eguali per
15 e quel che ne viene dividi per la grandezza dell’hora ineguale, e harai il numero d’hore
ineguali.
Verbigrazia se harai trovato, che la grandezza del giorno sia hore 10 multiplica
dette hore per 15 e ne verranno gr. 150 partili per 12 ne toccherà a ciascuna hora
planetaria gr. 12 e min. 30 e havendo trovato che corre l’hora 6 dopo il levare del Sole,
multiplica le 6 hore per 15 e ne verrà gr. 90 li quali partili per 12 e mezzo che è la
grandezza dell’hora ineguale di quel di, e vedrai, che sono già passate 7 hore ineguali, e
gr. 2 e mezzo dell’hora 8 nella quale volendo sapere qual pianeta signoreggia, considera
6
E' da rilevare che questo di G. Battista Vimercato, è il primo trattato sugli orologi solari scritto in
volgare e non quello di Oddi Muzio da Urbino, come in genere viene riportato, che risale al 1614.
da qual pianeta sia denominato qul giorno, e poi da quello comincia a contare fin che
giugni all’hora corrente, e harai l’intento”.
Ancora da G. Battista Vimercato apprendiamo che, secondo le fonti, sarebbero stati
i Babilonesi, come primi osservatori dell’”Astrologia Giudiciaria” a scoprire che “...A causa
delle altre forze che hanno le Stelle del Cielo per i loro movimenti, aspetti e influssi loro
nelle cose inferiori, si ha la naturale divisione del giorno e della notte in 12 parti in cui i
Pianeti si distribuiscono e a seconda dell’ordine che hanno nelle rispettive orbite celesti
così dominano in successione le varie parti del giorno” (7). Inoltre, i Babilonesi trovarono
che il pianeta al quale toccava il dominio della prima ora del giorno manteneva ancora la
sua influenza per tutta la durata del medesimo giorno, che veniva chiamato col nome di
quel pianeta. Fu così che vennero denominati i giorni della “Hebdomas”, ovvero della
settimana dei Giudei, ripresa in seguito dagli altri popoli della Fede Cristiana, come
ascerisce Davide Gregorio in “Astronomia, Physicae et Geometriae”, del 1726. Un’altra
conferma la troviamo in Diocassio, o Dìone Cassio Cocceiano, storico greco vissuto tra il II
e III secolo d.C. Egli scrisse un’opera monumentale in 80 libri, dal titolo “Storia Romana”,
di cui ci sono pervenuti solo i libri dal 36 al 60. Nel libro XXXVII scrive: “Poichè i giorni
(della settimana) sono riferiti a quelle sette stelle, che chiamarono pianeti, per dirla in
breve, dagli Egizi si è diffusa, nella consuetudine degli uomini, l’usanza di chiamare i giorni
della settimana con i nomi dei pianeti. Infatti, per quanto mi consta, essa non fu usanza
nota ai Greci antichi”.
Secondo Diocassio lo schema del giro dei pianeti, cioè delle tavole planetarie,
sembra sia stato divulgato da Dione oratore e moralista greco, detto “crisostomo” (bocca
d’oro) che visse fino al 120 d. C. circa.
Sull’ordine e la successione dei Pianeti nelle varie ore dei giorni, come viene
riportato nelle “tavole”, apprendiamo che presso gli antichi filosofi greci vigeva il seguente
ordine: Luna, Venere, Mercurio, Marte, Giove e Saturno. In seguito venne adottato l’ordine
che poi è rimasto per molto tempo: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, e Saturno.
Cicerone scrisse che Diogene Babilonese, vissuto nel 150 a.C. circa, insegnò questa
disposizione, ed è probabile che egli fu anche il primo a divulgarla in Grecia, come già
successe per altre dottrine. Per i particolari seguiamo il libro del Vimercato:
“...la Dominica, nella sua prima hora si trova il Sole e la nominarono giorno del Sole.
La Feria seconda (il secondo giorno), qual trovarono nella prima hora la Luna, perciò
Lunedì la chiamarono, e così Marte il Martedì, con il resto che per ordine sapete
nominarsi, e questo tal ordine d’hora in hora fra loro successivamente s’usurpavano,
secondo l’ordine delle loro orbite in cielo discendendo da Saturno a Giove, da Giove a
Marte, quindi il Sole, poi Venere, Mercurio e la Luna dalla quale di nuovo tornarono a
Saturno, sempre girando il loro dominio in modo di circolo, come per esempio farebbe la
Dominica dedicato al Sole, poichè la sua prima hora è dedicata al Sole, diremo dunque in
tal giorno l’hora prima esser del Sole. La seconda di Venere, la terza di Mercurio. La
quarta della Luna. La quinta di Saturno. la sesta di Giove. La settima di Marte. L’ottava del
Sole, un’altra volta tornando à far quel medesimo ordine. La nona di Venere. La decima di
Mercurio. L’undecima della Luna e la duodecima di Saturno, qual sarà l’ultima del giorno.
Poi seguendo a quelle della notte la prima sarebbe di Giove, la nona di Marte, la decima
del Sole, la quarta di Venere, la quinta di Mercurio, la sesta della Luna, la settima di
Saturno, l’ottava di Giove, la nona di Marte, la decima del Sole, l’undecima di Venere, la
duodecima di Mercurio, di maniera che la prima del giorno seguente alla Dominica tocca
alla Luna, però è nominato Lunedì, e seguitando così per ordine di mano in mano alla
7
G: Battista Vimercato, Op. cit. in "Descrittione de gli horologi solari per theorica ragione", cap.
VIII, "Discorso intorno l'hore antiche ineguali, dette planetarie".
prima di Feria terza toccarà Marte, a quella di Feria quarta Mercurio, di Feria quinta a
Giove, di Feria sesta a Venere e al Sabbato Saturno” (8).
Come si può facilmente osservare, l’ordine dei pianeti dominanti le ore ineguali è
quello dato dalle relative posizioni sulle loro orbite celesti, secondo l’ordine del “sistema
volgare” della cosmografia dell’epoca: Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio e
Luna. Gli antichi escogitarono una frase per ricordare tale ordine che metricamente si
diceva: “Post sim sum ultima Luna subest” (9).
Questo sistema orario, cioè quello delle ore ineguali, venne adottato da quasi tutti i
popoli dell’antichità ed è per questo che esse furono chiamate in diversi modi: ore antiche,
perchè sono le più antiche che si conoscano; ore planetarie, come abbiamo visto; ore
bibliche, perchè sono citate nelle Sacre Scritture; ore giudaiche, perchè in uso presso i
Giudei; ore naturali, e infine ore canoniche, perchè “Nominate sono dal santo Vangelo e
con le quali distingue la Santa Chiesa l’Hore Canoniche di Prima, di Terza, di Sesta e di
Nona”, come riporta Valentino Pini nella citata opera (10) . Spesso si sono confuse le ore
canoniche con le planetarie e le temporarie. Ma, come vedremo più avanti nel capitolo
delle ore canoniche, esse dipendono tutte dal sistema delle ore ineguali, però con
caratteristiche e significati diversi l’una dall’altra.
Nel secolo XVII si occuparono dell’argomento il Vossium nella “Theologia Gentili”,
Lib. II; il Marshamum nel “Canone Chronico”, pag. 197; il Seldenum nel “Jure Nat. e
Gent.”, Lib. III, cap. 21 e D. Joannis Moebii che discusse sulla denominazione Planetaria
dei giorni (Lipsia 1687) (11).
ANCORA SULLE ORE CANONICHE, TEMPORARIE E
PLANETARIE
Estratto dalla rivista Gnomonica, edita da UAI, n° 2, 1999 - Nicola Severino, Roccasecca (FR)
Riflettendo per l’ennesima volta sul significato ed il confronto delle ore Canoniche con
il similare sistema delle ore Temporarie e Planetarie, ho pensato che spendere ancora
qualche parola su un argomento non troppo chiaro per tutti gli appassionati di orologi
solari possa ritornare in qualche modo utile, se non altro per stimolare ulteriori
approfondimenti sul tema.
In altre occasioni ho avuto modo di dire che le ore Canoniche sono, nella pratica della
misurazione del tempo, esattamente uguali alle ore Temporarie antiche adottate da S.
Benedetto nel VI secolo. Sulla storia delle ore Canoniche rimando il lettore al mio
articolo Le meridiane canoniche e il computo delle ore Canoniche dei monaci del
8
G.B. Vimercato, Op. cit. pag 61-62
Joanne Stoflerino, "De usu astrolabii", sec. XVI, pag. 92
10
V. Pini, Op. cit. , pag. 5
11
C. Heilbronner, Op. Cit. pag. 71. Per una bibliografia approfondita sull'argomento e sugli orologi
solari in genere si veda N. Severino, "Bibliografia generale sulla Gnomonica dall'antichità al secolo
XIX", I ed. Associazione Astronomica Umbra, 1992, con 300 titoli, e soprattutto la II edizione, con
oltre 700 titoli menzionati.
9
medioevo, pubblicato in Rivista Cistercense, 14, 1997, pp. 41-71, dell’Abbazia di
Casamari. Solamente prendo in prestito dal suddetto lavoro la seguente definizione:
“Le meridiane canoniche sono dei semplici segnatempo solari adatti sostanzialmente ad
indicare le ore temporarie, come in uso anticamente; utilizzando la stessa suddivisione
oraria, e contrassegnando alcune linee con dei simboli, esse venivano adattate alle
esigenze della vita religiosa: conoscere, attraverso l’ombra del sole proiettata dallo
gnomone, i momenti delle principali azioni liturgiche, in particolare le ore dette minori,
cioè Terza, Sesta e Nona e, con la retta alba-tramonto, la Prima e i Vespri”.
La meridiana canonica più “normale” e simile ad un normale orologio solare temporario
è, appunto, una meridiana verticale murale, ma anche del tipo “emiciclo” come in uso
anticamente, che riporta la suddivisione oraria temporale con undici linee di cui sono
contrassegnate le “ore minori”, cioè la linea della fine della “Terza ora Canonica”; la
linea della fine della “Sesta ora Canonica” e la linea della fine della “Nona ora
Canonica”. Tra i molti tipi diversi di meridiane canoniche trovate fino ad oggi, ve ne
sono alcune - più “strane” - che recano diverse simbologie, in genere simboli religiosi o
lettere antiche (greco). Con i simboli venivano contrassegnate in genere le tre “ore
minori”, mentre con le lettere greche venivano contrassegnate tutte (o quasi tutte) le
undici linee orarie temporarie.
Inoltre, si conoscono svariati esempi di meridiane ad ore Canoniche che hanno
suddivisioni più semplici, come per esempio con sei linee, o quattro. Si tratta,
evidentemente, di un adeguamento del sistema delle ore temporarie con le usanze e le
necessità dei vari monasteri ed ordini religiosi.
Una particolarità che è bene ricordare, invece, che è propria praticamente di tutte le
meridiane canoniche del medioevo, riguarda la loro semplicissima pratica costruttiva;
ovvero il fin troppo semplice modo di realizzarle (non si può neanche parlare di
progettazione). Le meridiane ad ore temporarie venivano costruite già dal IX secolo
dagli astronomi arabi, ma con requisiti tecnici e matematici che l’Occidente Cristiano
conobbe solo con l’Illuminismo! L’appassionato di gnomonica non ha difficoltà nel
riconoscere le meridiane arabe ad ore temporarie fatte attorno all’anno Mille non
come semplici semicerchi suddivisi in 4 in 6 o in 12 spazi uguali, ma con un tracciato
orario perfetto ottenuto con il calcolo.
Le meridiane Canoniche dell’Occidente sono fedeli testimoni dell’adattamento di
primitive cognizioni scientifiche alle esigenze della pratica cristiana nelle comunità
ecclesiastiche. A prescindere dal fatto che i principali Uffici Religiosi Benedettini si
svolgevano regolarmente di notte, quando cioè le meridiane solari erano inutilizzabili,
di giorno serviva un semplice segnatempo non per calcolare il transito del sole sul
meridiano o per altre osservazioni astronomiche, bensì per avere un’idea piuttosto
approssimativa del momento in cui bisognava svolgere gli uffici diurni.
Forse è per questo che nei monasteri dell’Alto e Basso medioevo le meridiane
canoniche (quindi temporarie) furono sempre e solo dei semplici semicerchi suddivisi in
spazi uguali con le linee orarie convergenti verso il centro, mentre bisognerà
attendere il pieno Rinascimento per vedere qualche meridiana temporaria murale
progettata secondo i canoni classici della gnomonica (in cui le linee orarie non possono
convergere verso il centro orario perché non sono archi di cerchio massimi passanti
per il Polo).
Tutto ciò, per sottolineare che molte volte gli studiosi perdono la testa nel cercare di
giustificare, con astrusi calcoli matematici, questa o quella linea oraria su tali semplici
ed approssimative meridiane canoniche, senza tenere in conto che in quel tempo non si
badava al minuto di precisione e che tali meridiane, così concepite, erano già sbagliate
in partenza, nella teoria e nella pratica. Ma erano facili a farsi per mano di chiunque
ed utili per lo scopo cui venivano utilizzate. Dal 1300 in poi, l’orologio meccanico
cominciò a farsi strada e a pretendere un posto di maggior rilievo nella misurazione
del tempo. Così, all’inizio della Rinascenza, quando la meridiana Canonica medievale era
ormai solo un vago ricordo, gli Uffici Religiosi venivano computati per mezzo
dell’orologio meccanico astronomico, od Italico. Ma siccome la tradizione delle Ore
Canoniche si riferiva sempre all’antico sistema delle ore Temporarie, fu necessario
dotarsi di apposite tavole, calcolate in base a tavole astronomiche. E’ questo il motivo
principale per cui non fu più necessario costruire meridiane canoniche oltre il XIII XIV secolo.
La necessità di calcolare con sufficiente precisione i momenti delle ore Canoniche,
rispetto al sistema Italico, Babilonico ed Astronomico, più comunemente in uso, si fa
sentire maggiormente nei secoli XV e XVI, quando furono pubblicati alcuni volumi che
rendevano chiaro anche l’uso pratico delle tavole suddette, come nel caso di Marcello
Francolini , De tempore horarum canonicarum tractatus, pubblicato in Roma nel 1545.
Da questo testo ho tratto due figure che rappresentano con la maggiore chiarezza
possibile la corrispondenza tra i tre sistemi orari principali: Italico, Astronomico,
Temporario e Canonico.
Si badi bene, non vi è differenza sostanziale tra Temporario e Canonico, anche se qui
ho usato la congiunzione “e”. Ed è questo un punto importante che andremo subito a
vedere.
Le due figure si riferiscono, la prima al Fig. 1 Disegno di Francolini valido per gli
tempo degli equinozi, quando tutti e tre equinozi
i sistemi orari si equivalgono e la
seconda al tempo dei solstizi. Prendiamo
in esame solo la parte inferiore
dell’intero cerchiò, cioè il semicerchio
inferiore che potrebbe rappresentare
una
classica
meridiana
canonica
medievale. Ai lati intanto si leggono i
riferimenti ai punti cardinali. Si ha, a
destra di chi guarda, l’Ortus ad indicare
l’Est,
quindi
l’Occasus
(Ovest),
Medianox (Nord), Meridies (Sud).
Inoltre, la parte inferiore è quella del
giorno-luce (Dies) e quella superiore
riguarda lo spazio notturno, compreso il
crepuscolo serale e mattutino (c.v.,
c.m.). Come si vede, la notte è Fig. 2 Disegno di Francolini valido per i solstizi
suddivisa in quattro Vigilie, come in
uso anticamente, oppure in tre
Notturni e le Lodi. Il cerchio più
esterno indica il sistema orario Italico
e comincia con la 12 vero l’Ortus al
nascere del sole, 18 sulla linea
verticale
della
linea
meridiana
(meridies) e 24 al tramonto del sole,
come si conviene appunto nel sistema
Italico. Il secondo cerchio indica il
sistema Astronomico, cominciando da
12-0 sulla linea della Mezzanotte, le 6
al sorgere del Sole, le 12 a
Mezzogiorno e ancora le 6 al
tramonto. Il terzo cerchio indica il
sistema Temporario con “Hora I” verso l’Ortus, 6 a mezzogiorno e 12 all’occaso,
passando per le intermedie suddivisioni. L’ultimo cerchio interno, il più largo, indica gli
spazi delle classiche ore Canoniche. La Prima, come si vede, inizia alle 6 ora
astronomica e termina alle 7 sempre ora astronomica. Ma si ha anche il riferimento
degli altri sistemi: finisce all’ora 7 astronomica, 13 italica e 1 temporaria; l’ora Terza
Canonica inizia alle 7 ora astronomica e termina alle 15 di ora Italica, alle 9 ora
astronomica e alla 3 (terza) ora temporaria; l’ora Sesta Canonica inizia alle 9 ora
astronomica e termina all’ora 18 italica, 12 astronomica e 6 temporaria.
Ecco la differenza di cui si diceva prima. L’ora Canonica raggruppa, diciamo così,
alcune ore temporarie insieme; l’ora Temporaria vera e propria invece si riferisce alla
singola ora. Gli orologi solari antichi recavano sempre le 11 linee per 12 spazi
temporari. Nella norma erano senza numerazione alcuna, mentre le meridiane
canoniche dell’Alto medioevo recavano incisi i simboli in corrispondenza dei tre
principali raggruppamenti: Prima, Sesta e Nona.
L’ora Canonica è sostanzialmente uguale al sistema orario Temporario. Ogni ora
Canonica raggruppa, come abbiamo visto, alcune ore Temporarie che a causa della loro
diversa lunghezza, regolamentata a seconda delle stagioni, hanno durata diversa. La
seconda figura (fig.2) di Francolini ci mostra, infatti, la durata delle ore Canoniche ai
tempi del solstizio estivo. Si ha che la Prima ora Canonica comincia circa alle 4,30 ora
astronomica e termina poco prima delle 6, quando inizia la Terza ora Canonica che
termina poco dopo le 8 lasciando il passo alla Sesta ora canonica che termina sempre
con il passaggio del sole in meridiano all’ora 12 astronomica locale. Inizia quindi la Nona
che termina circa un quarto d’ora prima delle 4 pomeridiane; segue l’ora dei Vespri che
termina poco dopo le 6 ed il Completorium (Compieta) che termina al tramonto del
Sole (circa le 7,30 astronomiche ora locale per una latitudine di circa 42,5 gradi
adottata da Francolini per il suo disegno).
E’ da notare che tradizionalmente le ore Canoniche venivano richiamate col suono delle
campane alla fine di ognuna di esse. Così, la Sesta veniva suonata a Mezzogiorno
esatto e si diceva “Sesta”, ovvero l’ora Sesta era completata. D’altra parte, i segni
incisi sulle meridiane canoniche sono ancora più espliciti ed indicano appunto la fine
dello spazio temporale di ciascuna ora canonica.
Nei disegni tratti da Zinner (fig. 3) si possono vedere alcune diverse tipologie
stilistiche di meridiane canoniche medievali. Si può osservare che in alcune di esse
sono marcate diverse linee orarie. Nel primo esempio (n° 33) si vedono solo tre linee
che rappresentano solo gli spazi orari della Terza, Sesta e Nona. Nella 34 si notano
contrassegnate ancora la Terza la Sesta e la Nona, sebbene siano state evidenziate le
ore del mattino. La n° 35 è sostanzialmente identica alla 33. La n° 37 conferma che le
usanze nei monasteri dovevano essere diverse a seconda dei luoghi e delle regole
locali. Si ha una suddivisione in 11 linee come per una normale meridiana temporaria,
ma sono contrassegnate con una croce le linee della Seconda ora temporaria, della
Quarta ora temporaria, la Sesta e con le lettere l’ottava ora temporaria come il
termina dell’ora Nona e la decima ora temporaria come il termine dei Vespri. La n° 36
riporta solo 5 linee orarie che sembrano rispecchiare la stessa marcatura della n° 37.
Lo stesso per la n° 38 con la differenza che reca incise le lettere greche. Più normale
è, invece, la n° 39 che porta contrassegnate solo le linee orarie della Terza, Sesta e
Nona ora temporaria.
Un bell’esempio di meridiana canonica e planetaria calcolata con regole gnomoniche è
quella del monastero di Taggia, ma riporta errata la marcatura delle linee orarie in
quanto essa è sfasata con un ritardo di un’ora canonica per linea, cioè le ore Terza,
Sesta, Nona, Vespri e Compieta sono contrassegnate all’inizio e non alla fine di
ciascuna di esse. Quindi, l’ora Nona è stata contrassegnata in corrispondenza dell’ora
Sesta (linea Meridiana). Si può pensare che si sia voluto marcare tali ore all’inizio di
ciascuno spazio delle ore Canoniche, ma è assolutamente contrario a secoli di
tradizione.
Detto questo, non rimane
che spendere le ultime Fig. 3
parole sul sistema delle
ore dette “Planetarie”.
Queste sembra siano state
divulgate per la prima volta
da Dione Cassio attorno al
IV secolo, ma sono il
retaggio di una più antica
tradizione
caldeo-egizia.
Le ore Planetarie sono
anch’esse
esattamente
uguali alle ore Temporarie.
L’unica differenza è che
esse sono destinate ad
indicare,
secondo
le
antiche
credenze
astrologiche, l’influsso che
un determinato pianeta ha
sulle vicende umane in
corrispondenza di ciascuna
ora temporaria. Anche in
questo
caso
le
ore
Planetarie si costruiscono
esattamente come le ore
Temporarie,
ma
si
contrassegnano oltre che
con
la
tradizionale
numerazione
temporaria
anche con i simboli dei pianeti, abbinati a ciascuna ora, che hanno influsso sull’uomo in
ciascun giorno della settimana. Questa simbologia si ricava da un’antica tradizione, da
cui sarebbe derivata anche la normale settimana ed il nome dei singoli giorni, che in
genere si usa presentare sotto forma di “tavola dei Reggenti”. Una sorta di tabella
che indica per ogni giorno e per ogni ora il pianeta dominante che ha influsso sull’uomo.
Pure e semplici indicazioni astrologiche cui credevano i nostri avi, ma le ore Planetarie
sono rigorosamente uguali alle ore Temporarie.
Decalogo delle Ore Canoniche
1. Le ore Canoniche sono gli istanti corrispondenti all’ inizio o fine di alcune ore
Temporarie (gruppi) stabiliti dai monaci del medioevo per il computo dei propri
uffici religiosi.
2. Ogni gruppo è rappresentato, nella norma della tradizione, dalla Terza ora Canonica
(1° gruppo) che comprende (al tempo degli equinozi e per una latitudine di 42 gradi))
la Prima, la Seconda e la Terza ora temporaria; la Sesta ora Canonica (2° gruppo)
che comprende la
Quarta la Quinta e la Sesta ora temporaria; la Nona ora
Canonica (3° gruppo) che comprende la Settima, l’Ottava e la Nona ora temporaria;
I Vespri e il Completorio (4° gruppo) che comprende la Decima l’Undicesima e la
Dodicesima ora Temporaria.
3. Le ore Canoniche, essendo derivate dalle ore Temporarie, sono comprese
sull’orizzonte tra i punti di massima e minima amplitudine ortiva ed occasa del Sole
e si rappresentano sulla sfera celeste per mezzo di archi tangenti alle calotte
polari.
4. Questi archi, non essendo archi di cerchio massimi passanti per il polo, si
rappresentano sul piano come linee vagamente serpeggianti e - con la dovuta e
normale approssimazione - come linee rette.
5. Le linee orarie Canoniche (e quindi Temporarie e Planetarie), non essendo archi di
cerchio passanti per i Poli celesti non possono convergere nel centro orario della
meridiana canonica;
6. Ne segue che tutte le meridiane canoniche realizzate suddividendo un semicerchio
inferiore in vari spazi uguali e facendo convergere le linee orarie verso il centro,
sono teoricamente errate ed approssimative.
7. Le ore Canoniche (come le Temporarie e Planetarie) non essendo archi di cerchio
passanti per i Poli celesti, non possono essere indicate con la lunghezza dell’ombra
di un assostilo (stilo polare), ma esclusivamente dal vertice di un ortostilo
orizzontale che rappresenta il centro di proiezione.
8. La più antica meridiana canonica (divulgata ai tempi nostri da chi scrive) fu
scoperta in Palestina verso la fine del 1800 e testimonia l’uso di questo sistema di
computo per mezzo di orologi solari già nel III-IV secolo d.C. Essa conferma,
inoltre, la tradizionale suddivisione e raggruppamenti indicato al punto 2).
9. La maggior parte delle meridiane canoniche medievali sono molto approssimative. La
semplice suddivisione di un semicerchio era un’operazione molto facile anche per chi
non conosceva alcuna regola della gnomonica. E’ questo il motivo del loro successo ed
impiego, ma scomparvero gradualmente con l’incessante successo dell’orologio
meccanico da torre che consentì il calcolo preciso delle ore Canoniche rispetto a
tutti gli altri sistemi orari, grazie ad apposite tavole.
10.Le ore Temporarie, Canoniche e Planetarie, sono identiche nella teoria e
costruzione e si diversificano nel significato di ciò che indicano. Le ore Temporarie
indicano l’incostante durata delle ore naturali dovuta alla diversa lunghezza del
giorno nell’anno; le ore Canoniche adottano le ore Temporarie ed indicano,
raggruppando alcune di esse, alcuni momenti relativi ai principali uffici religiosi
istituiti dalla regola benedettina; le ore Planetarie sono uguali alle ore Temporarie
ma indicano anche l’influsso che un certo astro ha sulla vita dell’uomo e sulla natura
nei singoli giorni ed ore in cui domina.
IMMAGINI
A. Kircher, Orologio solare orizzontale in cui l’eliodromon, cioè il
calendario gnomonica annuo delle 7 curve diurne di declinazione da
indicazioni degli influssi planetari sulla salute dell’uomo. Da Ars Magna Lucis
et Umbrae, Roma 1646 (foto dell’autore, per gentile concessione della
Biblioteca Provinciale de l’Aquila)
A. Kircher, Tabella dei Regimi Planetari, cioè degli influssi dei pianeti nelle
singole ore dei singoli giorni, come devono essere riportati anche negli orologi
solari. Riferimento bibliografico come sopra.
Nella figura sotto, un’altra tavola orologio solare orizzontale di Kircher, tratta
dallo stesso libro, in cui è rappresentato un orologio solare orizzontale
centrale con l’influsso dei pianeti sulle singole parti del corpo durante l’anno e
sette piccoli orologi planetari normali
Qui a fianco un particolare della tavola precedente
con l’orologio planetario dell’influsso di Mercurio.
Ancora un particolare della tavola precedente in cui la scritta in latino
definisce chiaramente l’uso dell’orologio solare ivi rappresentato.
Tavola delle ore planetarie come riportata da Vimercato in
Dialogo de Gli Horologi Solari, Venetia, 1586 (per gentile concessione della
Biblioteca di Montecassino).