Winter disease (WD) è il termine generico che è stato utilizzato per indicare episodi di mortalità avvenuti in allevamenti di orata durante la stagione fredda nell’area mediterranea. Dalla tipica stagionalità della malattia, propria del periodo invernale, deriva la caratteristica definizione di “malattia invernale” o, nella definizione anglosassone, Winter Disease. Risulta una malattia relativamente nuova che comincia ad attirare l’attenzione di quanti si interessano di acquacoltura: in primis gli allevatori sempre in allarme per la probabile presenza di un nuovo patogeno che in qualche misura possa minare la sicurezza ed il buon andamento economico dei loro impianti. Recentemente, per la precisione lo scorso maggio, si è tenuta a Roma sotto il patrocinio del Ministero della Sanità una tavola rotonda che vedeva riuniti diversi addetti del settore proprio per discutere il tema di questa patologia nascente. Nel corso della riunione è emerso come la malattia sia una realtà nel nostro Paese da alcuni anni. Purtroppo però ancora non si opera praticamente nei suoi riguardi per la difficoltà di identificazione dell’agente biologico e per il carattere di sporadicità che questa talvolta presenta e che non permette di programmare le indagini e conseguenti studi al problema. In Italia ha prodotto elevate mortalità, registrate in allevamenti di orata, soprattutto nel Sud e nel Centro durante gli anni 1995-1996. Sono stati osservati episodi analoghi a livello europeo in Spagna e Portogallo negli stessi periodi. Dati di campo ci presentano la malattia come ricorrente nel corso dell’inverno ed all’inizio della primavera con mortalità che possono raggiungere il 70% dei soggetti di un allevamento. Nei soggetti colpiti risultano macroscopicamente evidenziabili delle anomalie a livello natatorio. Nel complesso gli animali presentano un tipico “aspetto letargico”. Il nuoto infatti si presenta rallentato, caratterizzato da movimenti rotatori lungo l’asse principale del corpo e spesso associato a posture parallele, talvolta oblique, assunte dalle orate rispetto alla superficie acquea. Gli animali inoltre presentano spesso un vistoso addome rigonfio facilmente evidenziabile al solo esame clinico. Associato ad un aumento nella distensione dell’addome si ritrova inoltre una opacità corneale. In genere gli animali toccati dalla malattia presentano uno scarso interesse per il cibo e nei gruppi colpiti la mortalità avviene in periodi piuttosto brevi, cioè in 4-5 giorni dalla comparsa dei segni clinici. Ad un attento esame macroscopico esterno risultano anche presenti arrossamenti delle pinne e numerose estese aree emorragiche nella zona perianale. Una ispezione necroscopica dei pesci presenta invece un moderato aumento di liquido in cavità celomatica, mentre il tratto gastroenterico, notevolmente dilatato ed edematoso, si caratterizza per uno strato di muco bianco-trasparente a volte giallastro in diversi tratti. Molto spesso vengono osservate aderenze intestinali. La vescica natatoria si presenta spesso ipertrofica, mentre a livello del fegato e del sistema nervoso centrale si evidenziano anche qui numerose aree emorragiche. Lesioni a carico della cistifellea e la bile che in questi casi assume una colorazione verde-nerastro rileva la costante presenza di myxospore di parassiti del genere Ceratomixa spp. Mixosporidi inoltre vengono talvolta messi in evidenza anche a livello di branchie e vescica natatoria. Analisi al microscopio ottico hanno rilevato alterazioni intestinali determinate da massive proliferazioni di cellule mucose spesso associate ad edema sottocutaneo e necrosi dello strato epiteliale. Lesioni si ritrovano sempre mediante indagini istologiche a carico del pancreas esocrino, del fegato e del sistema muscoloscheletrico. Per quest’ultimo tipo di lesioni riscontrate è stato ipotizzato come uno dei fattori scatenanti la malattia possa essere determinato da un fattore nutrizionale come quello che caratterizza la distrofia muscolare dei salmonidi allevati con diete povere in selenio e vitamina E dove si ritrovano analoghe lesioni muscoloscheletriche. D’altra parte la sintomatologia della Winter Disease è stata attribuita anche ad una multifattorialità di varianti quali ad esempio l’evidenziazione nei soggetti morti di una costante presenza di Pseudomonas anguilliseptica nel cervello, fegato, rene e muscolo associata ad una presenza di Aeromonas hydrophila che però non risulta chiaro se sono legati alla malattia come ospiti secondari e opportunistici agenti patogeni o se la loro presenza risulti determinante per l’evoluzione della malattia stessa. Un dato che per qualche tempo pareva fondamentale per l’innescarsi della patologia è stato ritenuto quello della temperatura. Infatti la malattia pareva mostrarsi con temperature oscillanti tra gli 11° e i 13° C, quindi con temperature relativamente basse. L’ipotesi veniva inoltre suffragata dal fatto che fenomeni di immunodepressione sono spesso concomitanti alle basse temperature rendendo gli animali più recettivi nei confronti del patogeno. Però questa supposizione è stata demolita da osservazioni su alcuni focolai di Winter Disease che si sono presentati sporadicamente con temperature attorno ai 16°C e recrudescenze degli stessi che si sono avuti con valori di temperatura che toccavano i 17°C. Alcuni casi inoltre si sono presentati con temperature basse ma con mortalità differenti a seconda del gruppo animale osservato e a seconda della zona dove la malattia si sviluppava. Ultimamente alcuni studiosi spagnoli hanno ipotizzato come la malattia sia legata a disturbi nel metabolismo dei carboidrati ed hanno osservato che una dieta arricchita con immunostimolanti durante i mesi precedenti quelli tipici e critici per lo sviluppo della malattia sembra ridurre fortemente le perdite. Anche questi dati però rimangono solo a livello sperimentale e di conseguenza ci sono ancora molti punti oscuri sull’evoluzione di questa nuova patologia. Recentemente alcuni autori italiani avevano associato la malattia con la presenza di alcune forme virali ritenute però in un secondo tempo soltanto casuali nella loro associazione alla malattia o tutt’al più sporadiche. Si deduce quindi che un fattore cardine vero e proprio in grado di determinarla probabilmente non esiste quanto piuttosto la singola risposta individuale e una molteplicità di varianti fisiologiche del pesce e di fattori ambientali. Restano di conseguenza una serie di incognite da chiarire nei riguardi della sensibilità alla sindrome morbosa della winter disease e numerosi interrogativi a cui rispondere per quanto riguarda un corretto comportamento preventivo e terapeutico. Le risposte agli antibiotici sono infatti incostanti e talvolta assolutamente negative. Dott.ssa Antonella Magni